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Fabbricò l’allarme-antrace, ora Pence controllerà Trump
«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che averte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.Molti ricorderanno i famosi “attacchi all’antrace” che seguirono di un paio di mesi gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, scrive Mazzucco su “Luogo Comune”. In quel periodo, diversi esponenti del partito democratico – soprattutto quelli che chiedevano una indagine parlamentare sull’11 Settembre – ricevettero nei loro uffici delle lettere contenenti una strana polverina bianca, che si rivelò poi essere antrace. Mentre a quei democratici «passava immediatamente la voglia di istituire una commissione parlamentare sull’11 Settembre», il panico si diffondeva in tutta l’America, continua Mazzucco, «poiché nel frattempo erano morte diverse persone a causa dell’antrace». E mentre tutti cercavano di capire da dove potesse essere arrivata quella “polvere maledetta”, «fu proprio Mike Pence a guidare la propaganda mediatica che cercava di far ricadere su Saddam Hussein le colpe per la diffusione dell’antrace». Inizialmente, prosegue Mazzucco, Mike Pence diffuse la falsa notizia che quell’antrace fosse stata “geneticamente modificata” (da qualche Stato estero, si supponeva) per renderla più virulenta e resistente alle cure. Poi invece si scoprì che per combattere l’antrace bastava prendere dei normalissimi antibiotici.Quando l’Fbi scoprì finalmente che l’antrace proveniva da un laboratorio interno degli Stati Uniti (e non da una “nazione straniera”), «fu proprio Mike Pence ad andare su tutte le furie, perché gli veniva a mancare un argomento fondamentale per la futura invasione dell’Iraq». In un gesto di rabbia stizzita, scrive Mazzucco, lo stesso Pence scrisse una lettera aperta all’allora ministro di giustizia, John Ashcroft, chiedendo: «Perché mai l’Fbi sembra aver concluso che l’origine di questi attacchi all’antrace sia interna, quando vi sono indizi importanti che suggeriscono una fonte internazionale per questi materiali?». Naturalmente, anche quegli “indizi importanti” si rivelarono inesistenti, e la fonte dell’antrace fu definitivamente confermata essere un laboratorio degli Stati Uniti. «Nel frattempo però Mike Pence aveva svolto egregiamente il suo compito a favore dei neocons, che avrebbero poi approfittato del terreno da lui preparato per mandare all’Onu Colin Powell ad accusare Saddam Hussein con la famosa fialetta di polvere bianca».Oggi, cioè 15 anni dopo, ecco che Pence ricompare. Dove? Accanto a Trump, all’indomani della sua inattesa vittoria alle primarie repubblicane. «Dopo aver provato in tutti i modi a fermarlo, evidentemente, gli stessi repubblicani devono aver pensato che la soluzione migliore, in caso di una sua elezione alla Casa Bianca, fosse di mettergli accanto un personaggio fidato, come appunto Mike Pence», ragiona Mazzucco. Se quindi Donald Trump dovesse vincere, si apriranno due possibili scenari, molto diversi fra loro, ma con un risultato comunque simile: «Nel primo scenario il buon Donald verrebbe docilmente guidato dal silenzioso Pence a continuare la politica espansionistica degli Stati Uniti, esattamente come il buon George Bush venne docilmente guidato dal silenzioso Dick Cheney all’invasione militare di Afghanistan e Iraq, 15 anni fa. Nel secondo scenario, invece, Trump – se non dovesse per caso “recepire” i buoni consigli di Pence – avrà prima o poi un brutto incidente, che lo toglierà di mezzo definitivamente, o che gli impedirà comunque di continuare a fare il presidente. E così, in un caso come nell’altro, saranno stati nuovamente i neocons a riprendere il controllo dell’America».«Se vincerà la Clinton, il proseguimento delle guerre imperialistiche è garantito già in partenza. Se invece vincesse Trump, si troverà comunque il modo di farle proseguire, con metodi meno leciti ma comunque molto efficaci. Gli unici che non perdono mai le elezioni, in America, sono quelli del complesso militare-industriale». Parola di Massimo Mazzucco, che avverte: «I media occidentali sono talmente ingolfati nel seguire l’altalenante vicenda di Donald Trump, che si sono dimenticati di dare un’occhiata da vicino al suo vicepresidente nominato, cioè Mike Pence». Chi è costui? «E’ stato presentato come un politico sempliciotto e di buone maniere, di solide tradizioni repubblicane, messo accanto a Trump per dare più credibilità al ciuffo selvaggio dell’imprenditore newyorkese». Invece, Pence «è molto di più di un semplice politico conservatore». In realtà è «un “attack dog” di primissimo livello dei neocons, mascherato da perbenista praticante». Ricordate la pagliacciata della fialetta all’antrace agitata all’Onu da Colin Powell per fabbricare prove contro Saddam? Era opera sua, di Mike Pence. L’uomo che ora è stato messo “in marcatura” su Trump, nel caso dovesse battere Hillary.
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Se gli americani si liberano dell’élite mafiosa che li domina
Non siete sorpresi che Hillary e le sue puttane della stampa non abbiano incolpato Putin per il fatto che il direttore dell’Fbi Comey ha riaperto il caso delle e-mail della Clinton? Queste hanno hanno messo in gioco la seconda carta a favore di Hillary. Hanno reso Comey il problema. Secondo il senatore Harry Reid e le puttane, non dobbiamo preoccuparci dei crimini di Hillary. Dopotutto, è solo una donna della politica che si sta creando il nido, come gli uomini in politica hanno fatto per anni. Perché tutti questi misogini continuano a tirarla in mezzo? Le puttane lamentano che il presunto crimine commesso da Comey sia molto più importante. Questo odiatore di donne repubblicano ha violato l’Hatch Act dicendo al Congresso che l’investigazione che aveva dichiarato chiusa è stata riaperta. Un’interpretazione molto strana dell’Hatch Act. Durante un’elezione va bene annunciare che il candidato presidente è innocente, ma non è ok dire che è sotto investigazione.Nel luglio 2016 Comey ha violato l’Hatch Act quando, su ordini del corrotto Attorney General di Obama, ha detto che Hillary era pulita. Facendo così, Comey ha usato il prestigio che può dare l’annuncio federale di fine indagini per la violazione dei protocolli di sicurezza da parte della Clinton per spingerla dal punto di vista elettorale. In effetti, la situazione di Hillary nei sondaggi è basata sul fatto che i sondaggisti danno maggior peso ai suoi supporter. È facile creare un favorito se pesi di più alcuni supporter nelle domande elettorali. Se si guarda alle persone che assistono alle apparizioni pubbliche, è chiaro che la popolazione statunitense preferisce Donald Trump, il quale si oppone alla guerra con la Russia e la Cina. La guerra con le potenze nucleari è una grossa parte di queste elezioni. Il problema di Hillary ha messo in difficoltà l’oligarchia statunitense, di cui la Clinton è serva fedele. Cosa faranno se vince Trump? Farà la fine di Jfk, Bob Kennedy, Martin Luther King, George Wallace? Ai posteri l’ardua sentenza. Arriverà un’inserviente di un hotel all’ultimo istante alla stessa maniera con cui le oligarchie si sono sbarazzate di Dominique Strauss-Kahn?Tutte le femministe d’occidente, progressiste e di sinistra, si erano fatte abbindolare dall’ovvia trappola tesa a Strauss-Kahn. Dopo che a Strauss-Kahn è stato impedito di candidarsi all’elezione presidenziale francese e lo si è messo nelle condizioni di dimettersi da presidente del Fmi, le autorità di New York hanno dovuto far cadere tutte le accuse contro di lui. Washington però ha ottenuto il risultato di mettere il suo vassallo Sarkozy all’Eliseo. Ecco come l’oligarchia fa a pezzi quelli che sospetta non servirebbero i suoi interessi. La corrotta ed autoreferenziale oligarchia fa in modo di avere in pugno i governi ed i media, i centri di pensiero e le maggiori università e, ovviamente grazie alle puttane della stampa, le menti degli statunitensi. Il primo interesse degli oligarchi ora è rimettere in sesto Hillary per la corsa alla presidenza, per cui vediamo se riusciranno ancora una volta ad ingannare la popolazione.Mentre siamo in attesa, preoccupiamoci di un’altra questione importante. Il sindacato criminale della Clinton negli ultimi anni del 20° secolo ha permesso a un pugno di mega-corporations di consolidare tutti i media Usa in poche mani. Questo accentramento di potere dell’oligarchia è stato ottenuto nonostante la legge antitrust. Le fusioni nel campo dei media hanno fatto a pezzi la tradizione di media divisi ed indipendenti. Ma all’un percento cosa interessa la legge federale? Nulla. Il potere dell’un percento lo rende immune alla legge. I crimini di Hillary potrebbero costarle le elezioni, ma non andrà in prigione. Non contenta del controllo del 90% dei media, l’oligarchia vuole ancora maggior concentrazione e maggior controllo. Sembra che ce la faranno, grazie al corrotto governo Usa. La Federal Trade Commission dovrebbe rafforzare la legge antitrust. Invece, l’agenzia federale abitualmente viola l’antitrust permettendo concentrazioni a livello di monopolio di interessi economico-finanziari.A causa del fallimento del governo federale nel rafforzare le proprie stesse leggi, ora abbiamo banche “troppo grandi per fallire”, un monopolio incontrollato in Internet e la distruzione dei media indipendenti. Non molto tempo fa c’era un campo dell’economia conosciuto come antitrust. Dottorandi si sono specializzati in questo campo e hanno scritto dissertazioni sul controllo pubblico dei poteri monopolistici. Suppongo che questa branca dell’economia, come gli Stati Uniti della mia gioventù, non esiste più. Rahul Manchanda spiega che «di nuovo un enorme conglomerato mediatico sta per essere assorbito da un altro enorme conglomerato mediatico, per creare un altro gargantuesco outlet dei media, in un nuovo rafforzamento dell’enorme forza, del denaro, della ricchezza, del potere intimidatorio, delle cospirazioni e del controllo», facendo a pezzi la Costituzione ed il Primo Emendamento.(Paul Craig Roberts, “Il popolo americano può sconfiggere l’oligarchia che lo governa?”, da “Counterpunch” del 2 novembre 2016, post tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”. Craig Roberts, economista, è stato viceministro del Tesoro con Reagan nonché “editor” del “Wall Street Journal”; il suo libro “How the Economy Was Lost” è disponibile su “Counterpunch” in formato digitale; il suo ultimo libro è “How America Was Lost”).Non siete sorpresi che Hillary e le sue puttane della stampa non abbiano incolpato Putin per il fatto che il direttore dell’Fbi Comey ha riaperto il caso delle e-mail della Clinton? Queste hanno hanno messo in gioco la seconda carta a favore di Hillary. Hanno reso Comey il problema. Secondo il senatore Harry Reid e le puttane, non dobbiamo preoccuparci dei crimini di Hillary. Dopotutto, è solo una donna della politica che si sta creando il nido, come gli uomini in politica hanno fatto per anni. Perché tutti questi misogini continuano a tirarla in mezzo? Le puttane lamentano che il presunto crimine commesso da Comey sia molto più importante. Questo odiatore di donne repubblicano ha violato l’Hatch Act dicendo al Congresso che l’investigazione che aveva dichiarato chiusa è stata riaperta. Un’interpretazione molto strana dell’Hatch Act. Durante un’elezione va bene annunciare che il candidato presidente è innocente, ma non è ok dire che è sotto investigazione.
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Sylos Labini: solo lo Stato può salvarci dall’inferno dell’euro
Scrisse Antonio Gramsci: «La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere». Questa citazione descrive bene ciò che sta succedendo nel periodo attuale, sostiene Stefano Sylos Labini: il capitalismo finanziario neoliberista è entrato in crisi ormai da anni e sta utilizzando l’intervento delle banche centrali per rimanere in piedi. Si è capito che i vecchi approcci sono ormai superati perché non riescono più a garantire crescita e benessere diffuso. «L’intervento pubblico è paralizzato dal peso del debito mentre il sistema bancario si è inceppato e non sta finanziando in modo adeguato le famiglie e le imprese». Per questo servono nuove logiche di intervento per sostenere l’economia reale. Sylos Labini cita il Sardex, moneta complementare lanciata in Sardegna come “sistema di compensazione di credito reciproco”, attraverso cui l’economia reale crea la sua moneta per finanziare scambi e investimenti evitando l’intermediazione del sistema bancario. Ma ovviamente non basta: «E qui in Europa abbiamo anche il problema dell’euro», aggiunge l’economista, «che si fonda su delle regole che impediscono di promuovere la crescita dell’economia e non consentono di attuare politiche per ridurre la disoccupazione».Si tratta di una situazione preoccupante, se consideriamo gli imponenti fenomeni migratori che si stanno riversando sul Vecchio Continente, osserva Sylos Labini in una riflessione prooposta al festival “Mitzas” di Cagliari e ripresa da “Megachip”. «Si parla di piani di accoglienza e di re-distribuzione dei migranti, ma quello che serve è un grande Piano del Lavoro: questa gente se si ferma in Europa deve lavorare per avere un reddito. Ma in tal caso il Piano del Lavoro deve riguardare – e con diritto di precedenza – i disoccupati europei, che sono circa 20 milioni di persone». Attenzione: «Solo lo Stato può garantire quel contributo fondamentale all’impiego in lavori di pubblica utilità, servizi sociali, manutenzione del territorio e delle infrastrutture». Il settore privato può fare la sua parte, certo, «ma da solo non sarà mai in grado di risolvere il problema della disoccupazione». Non esiste alternativa allo Stato, che «deve avere le risorse finanziarie nonché le capacità organizzative per offrire un impiego a tutti coloro che sono in grado di lavorare».E se non riusciremo a mettere in campo delle nuove politiche economiche per assicurare una vita dignitosa alla popolazione europea, continua Sylos Labini, corriamo il rischio di entrare in quella che Giorgio Ruffolo ha definito una “Nuova Età dei Torbidi”: dopo la fase socialdemocratica dell’Età dell’Oro e la fase neoliberista dell’Età del Capitalismo Finanziario, oggi si sta profilando una nuova fase storica dominata dalla destra protezionista e nazionalista. A Bretton Woods nel 1944 si era stabilito un sistema che prevedeva una forte limitazione dei trasferimenti di capitale da un paese all’altro dando piena libertà agli scambi commerciali. Questo sistema, ricorda l’economista, lasciava ai governi nazionali un largo spazio di autonomia nella gestione della politica monetaria e della politica economica. «In tal modo si consolidò un compromesso tra capitalismo e democrazia che in Europa permise ai governi socialdemocratici di assicurare benessere diffuso e piena occupazione».Alla fine degli anni ‘70, però, «si scatenò la controffensiva capitalistica: Reagan e la Thatcher avviarono un processo di deregolamentazione e di liberalizzazione dei movimenti di capitale che determinò un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia», creando «una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi imprese private nei confronti degli Stati nazionali». Da quel momento, prosegue Sylos Labini, la capacità di intervento dello Stato nell’economia andò incontro ad un drastico ridimensionamento, mentre i lavoratori iniziarono a subire i ricatti delle delocalizzazioni produttive: imprese trasferite nel terzo mondo, dove il lavoro costa pochissimo, a tutto vantaggio del nuovo capitalismo finanziario. «Si è creato così un mercato finanziario integrato che ha consentito al capitale di tutto il mondo di entrare in collegamento e di dar luogo all’“internazionale dei capitalisti”, un’élite globale che concentra in sé un potere immenso». Ironia della storia: «L’appello di Karl Marx, “proletari di tutto il mondo unitevi”, si è realizzato, ma al contrario».Oggi, i mercati finanziari sono diventati un’istituzione strutturata. E si esprimono come gli Stati. «È ben noto, infatti, che a Wall Street si tengono riunioni periodiche dei capi delle grandi banche e delle società finanziarie che stabiliscono i tassi di interesse e, attraverso le decisioni di investimento, possono sfiduciare i governi che attuano politiche economiche non gradite, condizionando il destino di intere popolazioni». Di fatto, «la democrazia è stata svuotata e la sovranità popolare umiliata». Vie d’uscita? Una: «Superare la globalizzazione gestita dal capitale finanziario». Ma costruire un nuovo modello di sviluppo non sarà semplice, «perché il vasto schieramento che è contro l’austerità e il liberismo non ha una strategia unitaria». Troppe fazioni, in contrasto tra loro. «Una situazione particolarmente grave in Europa, dove esiste il problema di una moneta unica che sta allargando i divari tra il blocco dell’euro-marco e i paesi della periferia». Per Sylos Labini, «ci troviamo in una trappola infernale», perché «uscire dalla moneta unica è complicato», ma «continuare con queste politiche economiche ci porterà al disastro». E sperare in una svolta progressista dell’Europa è «un’ingenua illusione».Scrisse Antonio Gramsci: «La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere». Questa citazione descrive bene ciò che sta succedendo nel periodo attuale, sostiene Stefano Sylos Labini: il capitalismo finanziario neoliberista è entrato in crisi ormai da anni e sta utilizzando l’intervento delle banche centrali per rimanere in piedi. Si è capito che i vecchi approcci sono ormai superati perché non riescono più a garantire crescita e benessere diffuso. «L’intervento pubblico è paralizzato dal peso del debito mentre il sistema bancario si è inceppato e non sta finanziando in modo adeguato le famiglie e le imprese». Per questo servono nuove logiche di intervento per sostenere l’economia reale. Sylos Labini cita il Sardex, moneta complementare lanciata in Sardegna come “sistema di compensazione di credito reciproco”, attraverso cui l’economia reale crea la sua moneta per finanziare scambi e investimenti evitando l’intermediazione del sistema bancario. Ma ovviamente non basta: «E qui in Europa abbiamo anche il problema dell’euro», aggiunge l’economista, «che si fonda su delle regole che impediscono di promuovere la crescita dell’economia e non consentono di attuare politiche per ridurre la disoccupazione».
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Foa: Hillary ci trascina in guerra con Putin. Renzi? Esegue
Fra Donald Trump e Hillary Clinton io non mi chiedo chi è il migliore dei due, ma chi è il meno peggio, il meno pericoloso. Paradossalmente, conoscendo bene Hillary e vedendo i disastri che ha fatto in Libia, nel mondo arabo e in Siria all’inizio della guerra, quando era segretario di Stato, e sapendo che Hillary Clinton in realtà è una “neocon”, ovvero una rappresentante degli orientamenti del neo-conservatorismo estremo che ha guidato la politica Usa dal 2011 a oggi coi risultati disastrosi che vediamo, ebbene io dico che tra i due è molto meno rischioso Trump, non foss’altro perché vuole una distensione con la Russia, mentre Hillary – come Obama – preme per un conflitto con la Russia. E io rabbrividisco al solo pensiero di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, in Europa, con il rischio che vengano usate le armi atomiche. E’ veramente una follia, e per questo penso che Trump sarebbe meno pericoloso di Hillary.I soldati italiani che saranno inviati al confine con la Russia? E’ gravissimo, ma purtroppo non è sorprendente. Renzi, che fa le sue sparate pubbliche contro l’Unione Europea e qualche tempo fa, anche con un certo coraggio, si era schierato con posizioni favorevoli o simpatizzanti nei confronti della Russia, poi quando l’America ti dice (tramite la Nato) che bisogna mandare soldati in Lituania, Estonia, al confine con la Russia, non ha il coraggio di opporsi, perché alla fine chi comanda sono gli Stati Uniti – e nessun leader europeo, tranne poche eccezioni, ha il coraggio di dire no, di anteporre gli interessi nazionali. Questo è un altro aspetto che non viene dibattuto, e invece è molto significativo: per me questa decisione è scandalosa, perché ci espone al rischio di una rappresaglia diretta da parte della Russia, rischio che non possiamo permetteci di correre, e soprattutto lancia un messaggio sbagliatissimo: l’Italia è amica della Russia e deve evitare queste forme di provocazione. Purtroppo, invece, l’evidenzia dimostra che, se Washington dice “bisogna che voi mandiate i soldati”, l’Italia poi china la testa e manda i soldati. Dovremmo veramente chiederci se tutto questo è davvero nel nostro interesse.La Russia non ha fatto nulla per provocare gli Stati Uniti. Ma gli americani, nei loro disegni strategici, sono convinti che la Russia debba essere controllata. Sono convinti che, controllando lo spazio eurasiatico, possano mantenere la leadership nel mondo e mettere in un angolo la Cina. Putin non è un leader allineato. Inizialmente lo era; ma poi, quando l’America ha iniziato a occuparsi dell’Ucraina, si è reso conto che non poteva fidarsi degli americani ed è cominciata questa schermaglia, inizialmente verbale, e poi sfociata nelle sanzioni. Il vero obiettivo degli Stati Uniti è provocare l’uscita di scena di Putin: sostituirlo con un leader russo che sia in realtà molto amico degli Usa, come peraltro era Eltsin. E per far questo sono disposti a tutto: l’arma delle sanzioni, l’arma delle minacce.Ma attenzione: i russi non sono un piccolo paese come l’Iraq, o un paese che può essere facilmente messo sotto pressione come qualunque piccolo paese occidentale. La Russia resta una grande potenza, dotata di una certa intelligenza e di un servizio di intelligence raffinato. E infatti le risposte che vediamo sono veramente fuori dagli schemi. Il problema è che questo disegno degli americani rischia di portare il mondo a una nuova guerra mondiale, a una guerra nucleare. Il rischio, purtroppo, è molto concreto. E io sono davvero preoccupato: se fino a oggi non ci siamo arrivati è perché la Russia è riuscita a mantenere i nervi molto saldi. Ma, mi chiedo: c’è davvero bisogno di spingerci fino a questo punto? La risposta, ovviamente, potere immaginarla.(Marcello Foa, dichiarazioni rilasciate alla trasmissione web-radio “Border Nights” del 18 ottobre 2016, condotta da Fabio Frabetti in collaborazione con Stefania Nicoletti – un lungo colloquio radiofonico, in cui Foa si è espresso in modo approfondito e circostanziato sulla scandalosa reticenza dei media mainstream soprattutto in relazione ai gravissimi abusi commessi da Hillary Clinton).Fra Donald Trump e Hillary Clinton io non mi chiedo chi è il migliore dei due, ma chi è il meno peggio, il meno pericoloso. Paradossalmente, conoscendo bene Hillary e vedendo i disastri che ha fatto in Libia, nel mondo arabo e in Siria all’inizio della guerra, quando era segretario di Stato, e sapendo che Hillary Clinton in realtà è una “neocon”, ovvero una rappresentante degli orientamenti del neo-conservatorismo estremo che ha guidato la politica Usa dal 2011 a oggi coi risultati disastrosi che vediamo, ebbene io dico che tra i due è molto meno rischioso Trump, non foss’altro perché vuole una distensione con la Russia, mentre Hillary – come Obama – preme per un conflitto con la Russia. E io rabbrividisco al solo pensiero di un conflitto tra Stati Uniti e Russia, in Europa, con il rischio che vengano usate le armi atomiche. E’ veramente una follia, e per questo penso che Trump sarebbe meno pericoloso di Hillary, che attraverso la Fondazione Clinton si è fatta finanziare dall’Arabia Saudita e dal Qatar, i due paesi arabi accusati di sostenere l’Isis.
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Carpeoro: a colpire Palermo non sarà la mafia, ma l’Isis-P1
Se smarrisci la tua missione, poi ti riduci a essere un mero strumento di potere. Fino a mettere in atto il terrorismo, oggi travestito da “fondamentalismo islamico”. Ma, al di là degli esecutori, gli organizzatori risiedono nell’intelligence. Che a sua volta risponde a personaggi del massimo potere, interamente massonico. E’ la tesi del recentissimo libro “Dalla massoneria al terrorismo”, nel quale Gianfranco Carpeoro – già gran maestro della loggia “Serenissima”, del rito scozzese, nonché studioso di Giordano Bruno e grande esperto di simbologia – affronta il tema cruciale dell’attualità di oggi: la politica di rigore dell’élite finanziaria, imposta anche “con le cattive”, cioè gli attentati, per rispondere a una logica di puro dominio e sottomissione di Stati e popoli. Charlie Hebdo, Batalclan, Bruxelles, Nizza. Le stesse “firme”, leggibili da chi conosce il linguaggio esoterico, consentono di risalire ai veri mandanti. Che, secondo Carpeoro, oggi colpiscono con crescente ferocia perché stanno iniziando ad avere paura di perdere il loro potere, da quando settori dell’élite – lo si vede negli Usa, con l’appoggio alla candidatura Sanders – si sono sfilati dal super-vertice globalizzatore, in preda al delirio di onnipotenza e ormai pronto a tutto: forse anche a colpire l’Italia, a Palermo.Tempo fa, Carpeoro aveva avvertito del possibile pericolo per il nostro paese, legato a una data particolare, il 10 agosto: «Dovete sapere che Federico II ebbe un ruolo di protettore dell’Islam, visto che fu protagonista dell’unica crociata che finì con degli accordi riguardanti la restituzione pacifica di Gerusalemme ai cristiani», racconta Carpeoro a Marcus Mason, che l’ha intervistato per il blog “Lo Sciacallo”. L’imperatore-esoterista, però, subito dopo la pace per Gersusalemme avviò una persecuzione violentissima contro gli islamici siciliani, sterminandoli: «Questa persecuzione culminò il 10 agosto del 1222, quando catturò i capi, lo sceicco e i due figli, decapitandoli in piazza a Palermo». L’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” conferma i suoi timori: «Prima o poi, qualcosa combineranno». Lo dice la logica, se si interpreta in chiave simbolica il corredo di informazioni attorno agli attentati in Francia e in Belgio, a partire dal massacro di Nizza il 14 luglio, data “sacra” per la massoneria progressista, vero “bersaglio” (tra gli altri) degli organizzatori dell’attentato. Poi la strage del Bataclan attuata il 13 novembre, giorno in cui i Templari messi al bando nel 1308 riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia, dove contribuirono a fondare la massoneria moderna. E il doppio attacco a Bruxelles contro aeroporto e metropolitana, come a sottolineare il motto “così in cielo, come in terra”.Quanto a Charlie Hebdo, parla la cronaca: indagini “seppellite” dal governo Hollande con l’imposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura, della strana triangolazione che collegava il commando “jihadista” ai servizi segreti parigini, attraverso il trafficante belga che fornì loro le armi. Meccanismo che Carpeoro, nel suo libro, chiama “sovragestione”: esponenti del massimo potere utilizzano settori dell’intelligence per reclutare, all’occorrenza, anche dei kamikaze, a volte completamente all’oscuro del piano, a differenza di quanto avviene nella mafia, dove almeno è possibile risalire ai mandanti, una volta catturati i killer. «E’ Cosa Nostra che ha copiato il metodo. Se uno si va a studiare come agiva Cosa Nostra, può notare che gli anelli superiori li conoscevano. La caratteristica di questo protocollo dell’intelligence, invece, è quella che gli anelli bassi non conoscono nemmeno l’esistenza degli anelli superiori. Questi bombaroli si fanno esplodere senza conoscere i vertici che dirigono questo tipo di operazioni. Molti sono convinti di agire come autonomi».“Sovragestione” non è sempre sinonimo di terrorismo: si tratta di una modalità di potere che collega elementi in apparenza lontani. Come Enrico Cuccia, ad esempio, a torto ritenuto «portabandiera della finanza laica», quando invece era di fede templarista: «Mediobanca era organizzata in capitoli templari e il Consiglio d’amministrazione era composto da 13 membri», racconta Carpeoro allo “Sciacallo”. Il gran capo «presenziava alle riunioni secondo una ritualità templare. Io sono in possesso della lettera che Cuccia scrisse a Romiti quando quest’ultimo fu inquisito, e vi posso assicurare che è una lettera templare al 100%». Il suo braccio destro, Raffaele Mattioli, contribuì alla ricostruzione dell’abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, e chiese di esservi sepolto, «unico laico in un cimitero di frati». Nella lapide «è sdraiato con le mani incrociate, vestito da templare, con tanto di squadra e compasso». Templari, come quelli a cui ammiccherebbero gli “architetti” della strage del Bataclan? Cristiani “eretici”, nella doppia veste di monaci e guerrieri – allora, certo. Ma oggi?«La gente dà poco peso ai simboli e ai miti», premette Carpeoro nell’intervista. «Nel medioevo spesso venivano raffigurati dei draghi: ciò non significa che bisogna credere ai draghi, ma ai dinosauri sì. Questo significa che le leggende e i miti hanno le loro radici da un archetipo, e l’archetipo è una storia vera, reale. Il ricercatore saggio sa decifrare questi simboli fino a coglierne il vero significato, senza fermarsi a un’analisi superficiale». Il suo libro parte dalla spiegazione di questi simboli, dei riti, e poi si snoda indagando la parabola di potere del network massonico, di cui Carpeoro non fa più parte. «La massoneria e la Chiesa cattolica raggiungono insieme l’apogeo: l’apogeo della Chiesa viene raggiunto nel medioevo con la costruzione delle grandi cattedrali, tramite la manovalanza dei massoni». Poi, le due entità parallele si ritrovano su fronti opposti, perché «la Chiesa diventa potere: cessa di essere conoscenza e potere, abbracciando unicamente il secondo». Lo dimostra la stessa soppressione dell’ordine dei Templari. «D’altro canto, la massoneria comincia a mettere in discussione i dogmi, rendendo per questo fragile la costruzione della Chiesa cattolica, che in quegli anni si fondava sul dogma».Quello che ai più sfugge spesso – ma ora, libri come quello di Carpeoro contribuiscono a recuperare il gap di informazione – è il nesso profondissimo che lega il vertice del massimo potere ai simulacri della simbologia esoterica medievale. Dinamiche sempre parallele, che coinvolgono sia il mondo massonico che quello cattolico, ad esempio attraverso l’Opus Dei. «Lo scontro nacque perché la massoneria decise di prendere le difese dello gnosticismo: da quel momento la Chiesa comincia a scomunicare. E la massoneria diventa anticlericale, sbagliando, nella stessa misura in cui la Chiesa si proclamava antimassonica». Poi, però, ci fu una storica saldatura, a cominciare dal livello finanziario, come dimostrano le vicende di Calvi, Sindona e Gelli – su quest’ultimo, Carpeoro si sofferma a lungo, rivelando il ruolo della P2 nei tentativi di golpe di Italia, “sovragestiti” da una struttura-ombra che l’autore chiama P1. Grande burattinaio, un super-massone come il politologo statunitense Michael Ledeen, prima legato a Craxi e poi al suo demolitore, Di Pietro (oggi, si dice, a Matteo Renzi ma anche al grillino Luigi Di Maio). Già ai tempi di Craxi, ricorda Carpeoro, la “sovragestione” affondò le mani nella strategia della tensione, fino al caso Moro, nel quale Ledeen fu direttamente coinvolto, introdotto al Viminale come super-consulente di Cossiga.Terrorismo e mondo arabo, già allora. Nel mirino, Craxi: amico dei palestinesi (che cercò di finanziare, anche attraverso Gelli) e poi di Moro, che tentò di salvare. Tutto inutile, la “sovragestione” aveva deciso altrimenti: Bettino in esilio ad Hammamet, Moro ucciso. E oggi? L’Italia gode ancora di una «protezione speciale da parte dell’Islam», dice Carpeoro. C’è chi ricorda del Conto Protezione, istituito in Svizzera da Craxi per sostenere Arafat. «Perciò l’Italia ha un po’ di benemerenza nei confronti degli islamici. E’ vero che esiste la sovragestione, ma anche questa non può non tener conto che gli italiani non sono odiati dagli arabi. Non come i francesi». Certo, «abbiamo la macchia della Libia, ma è pur vero che è una macchia sbiadita, a differenza del colonialismo francese e di quello che hanno fatto poi gli americani: pensate che Sarkozy ha voluto la morte di Gheddafi perché erano soci e aveva paura che questi potesse parlare». Quindi, «escluso il Vaticano, dove l’Isis ha minacciato di colpire, a meno di clamorosi scenari politici, se l’Italia non parteciperà ai giochi francesi e americani difficilmente verrà colpita». Se invece gli strateghi della “sovragestione” sceglieranno di devastare il nostro paese, Carpeoro scommette che gli stragisti vorranno «invocare una motivazione strumentalmente forte, come i fatti di Palermo del 1222», il fatidico 10 agosto.(Il libro: Gianfranco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Uno Editori, 189 pagine, 13 euro).Se smarrisci la tua missione, poi ti riduci a essere un mero strumento di potere. Fino a mettere in atto il terrorismo, oggi travestito da “fondamentalismo islamico”. Ma, al di là degli esecutori, gli organizzatori risiedono nell’intelligence. Che a sua volta risponde a personaggi del massimo potere, interamente massonico. E’ la tesi del recentissimo libro “Dalla massoneria al terrorismo”, nel quale Gianfranco Carpeoro – già gran maestro della loggia “Serenissima”, del rito scozzese, nonché studioso di Giordano Bruno e grande esperto di simbologia – affronta il tema cruciale dell’attualità di oggi: la politica di rigore dell’élite finanziaria, imposta anche “con le cattive”, cioè gli attentati, per rispondere a una logica di puro dominio e sottomissione di Stati e popoli. Charlie Hebdo, Batalclan, Bruxelles, Nizza. Le stesse “firme”, leggibili da chi conosce il linguaggio esoterico, consentono di risalire ai veri mandanti. Che, secondo Carpeoro, oggi colpiscono con crescente ferocia perché stanno iniziando ad avere paura di perdere il loro potere, da quando settori dell’élite – lo si vede negli Usa, con l’appoggio alla candidatura Sanders – si sono sfilati dal super-vertice globalizzatore, in preda al delirio di onnipotenza e ormai pronto a tutto: forse anche a colpire l’Italia, a Palermo.
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Scalfari sdogana l’oligarchia e i dogmi dell’élite reazionaria
L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).La democrazia – almeno in via di principio – afferma il diritto da parte di tutti di concorrere per una carica politica (elettorato passivo), così come il diritto di voto universale (elettorato attivo). Le oligarchie, invece, il governo “dei pochi”, non contemplano la partecipazione popolare alle decisioni collettive. Possono essere manifeste, occulte, agiscono dentro e/o fuori dalle strutture preposte all’esercizio del potere e, a seconda dei casi, si basano su un diritto divino di governare le masse (oligarchie religiose: ad es. caste sacerdotali), su uno “status d’ascrizione” (aristocrazie di sangue), sulla gestione della governance economica globale (oligarchie finanziarie: banche d’affari, multinazionali, conglomerati vari), su una gestione burocratica dei processi politico-economici e sociali (oligarchie tecnocratiche: Bce, Commissione Europea) o su una presunta superiorità spirituale (oligarchie iniziatiche: società misteriosofiche/esoteriche varie; in primis la massoneria, in riferimento alle sue declinazioni interne di stampo conservatore, neo-aristocratico e reazionario, lontane dall’ideale democratico-progressista).La questione, poi, si fa ancora più sottile e malefica, se pensiamo che negli ultimi 40 anni in Occidente c’è stato questo tentativo (riuscito, ad oggi) di piegare la democrazia, lasciandola nelle forme ma svuotandola nella sostanza – dopo quello fallito di eliminarla ovunque, anche dal punto di vista formale, con l’esperimento nazifascista – facendola diventare una “oligarchia de facto”. Come? Delegittimando la politica e il ruolo dello Stato e, contemporaneamente, legittimando il mercato; grazie alle sue leggi (domanda-offerta, “mano invisibile”, ecc), una comunità di individui sarebbe in grado di auto-regolarsi, senza il bisogno di un intervento governativo. Idea, questa, che sta alla base di una vera e propria teologia dogmatica – il neoliberismo – intrinsecamente anti-democratica, neo-oligarchica e falsamente liberale. Dunque, nel momento in cui Eugenio Scalfari accomuna i due concetti sopra esposti, non solo dice qualcosa di non vero, ma è anche in malafede.Egli, infatti, cerca – in maniera assai subdola – non tanto e non solo di screditare la democrazia, quanto soprattutto (e qui sta la chiave del discorso) di legittimare – da un punto di vista filosofico – oltre che difendere, l’oligarchia stessa. Che è, in sostanza, la modalità di governo attualmente dominante in Occidente. Almeno finché la democrazia non verrà smantellata anche nelle sue forme. Prima di chiudere, riprendo un attimino la citazione iniziale e vi sottopongo una riflessione: l’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Non sentite anche voi puzza di “teorie trioculari”? Questa citazione non vi ricorda – almeno vagamente – le affermazioni contenute in “The Crisis of Democracy”, famigerato rapporto della Trilateral Commission redatto nel 1975? A me sì.(Rosario Picolla, “Scalfari, l’oligarchia e la democrazia”, dal blog del “Movimento Roosevelt” del 14 ottobre 2016).L’oligarchia «è il governo dei pochi ma è la sola forma d’un governo democratico». Continua la campagna di Scalfari – tanto caro a certa (sedicente) sinistra da salotto – che, attraverso un altro ragionamento contorto e surreale, non solo giustifica l’oligarchia, ma la accomuna di nuovo alla democrazia, compiendo un’opera di mistificazione. Ci aveva già provato, infatti, con un articolo scritto all’indomani del confronto Renzi vs Zagrebelski, di cui consiglio vivamente la lettura. Ci sarebbero tante cose da dire, ma mi soffermo su di una in particolare. Innanzitutto, la democrazia (quella rappresentativa, s’intende) è sì una delega del potere (dai “molti” ai “pochi”), ma pro-tempore: questa è la prima cosa che bisogna sottolineare, visto che si parla di un mandato a scadenza, pensato apposta per non conferire permanentemente poteri a nessuno. Dopodiché, i cittadini hanno il diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti, tramite elezioni: la delega, dunque, segue la logica – di derivazione illuminista – del “contratto sociale”, secondo la tradizione inaugurata dal giusnaturalismo (o scuola del diritto naturale laico).
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Il regno del Cigno Nero, la crisi come orizzonte definitivo
Il cigno nero, la crisi (ossia recessione-stagnazione più disoccupazione e disinvestimenti, migrazione, instabilità, incertezza di prospettive) permane, compie otto anni e non si intravede alcuna uscita da essa. Da un lato, permane perché è la conseguenza del nuovo tipo di economia, cioè dell’economia finanziaria che opera ormai apertamente attraverso la costruzione e lo svuotamento delle bolle, come strumento di aumento e di concentrazione del reddito e del potere, anche politico, nelle mani di chi la gestisce. Dall’altro lato, permane perché è uno strumento di riforma della società, della legge, dell’uomo, nel senso che consente a chi la gestisce di ridurre a chi la subisce, sostanzialmente col suo consenso, i diritti di lavoratore, di risparmiatore, di utente dei servizi pubblici, di partecipazione politica: di cittadino, in una parola. Quindi essa dissolve anche la polis, cioè lo Stato nazionale, l’organizzazione del demos, nella globalizzazione e nella migrazione di massa. Consente insomma di sottomettere e controllare, eliminando gradualmente il diritto anche alla privacy, alla quasi totalità della popolazione che non detiene il potere.Essa gradualmente demolisce i processi di partecipazione, decisione, controllo che salgono dal basso per via elettorale, e lo fa soprattutto togliendo rappresentatività e facoltà ai parlamenti in favore di governi e di organismi tecnici; però al contempo pretende il consenso della base alle sue decisioni e alle sue riforme, ma non lo recepisce per come esso spontaneamente si forma, bensì lo produce come le serve agendo dall’alto, guidando l’informazione, ripetendo incessantemente dogmi spesso falsi finché vengono percepiti come realtà scontata, fissando l’agenda dei temi di cui parlare e i limiti entro cui farlo, delegittimando a priori le posizioni diverse con etichette quali euroscettico, razzista, islamofobo, omofobo, populista. E talora sanziona anche penalmente l’espressione critica o alternativa. Per contro, elargisce sovvenzioni, appoggio, massima visibilità mediatica e autorevolezza istituzionale alle idee guida per il nuovo ordine sociale che sta formando. La crisi non è in realtà crisi, ma struttura; e permane perché è utile, ed è l’elemento portante del nuovo ordinamento globale.In questa logica comprendiamo il senso profondo, strutturale, dell’aumento verticale dei poveri e bisognosi, degli esclusi dal reddito dalle rendite, dal welfare, dalle garanzie. Cioè dal lavoro, dalla pensione, dalla pubblica assistenza come diritti. Sottolineo: come diritti, diritti stabili, non come concessioni volta per volta. Quando si rileva che in Italia gli indigenti, nell’arco di cinque anni, sono passati da 1 milione e mezzo a 4 milioni, quando si rileva che si stanno formando masse di milioni di immigrati, esodati, disoccupati, e quando si rileva che si preparano milioni di futuri pensionati che non avranno una rendita pensionistica sufficiente a vivere – quando si rileva tutto questo, si dovrebbe capire il volto della società che stanno costruendo, aiutandosi molto anche con l’ideale tedesco di austerità elevato a metodo inflessibile di governo: un corpo sociale saldamente nelle mani dell’oligarchia dominante, anche grazie al fatto che gran parte di esso sarà costituita da masse miste di indigenti, di impoveriti, di disoccupati, di immigrati, di pensionati, che sopravvivono grazie a interventi caritatevoli ed emergenziali del governo e di agenzie ampiamente finanziate dal governo, come Caritas, chiesa e sindacati, cioè alti prelati e alti sindacalisti, molto lautamente remunerati, essi già svolgono un importante ruolo di direzione, consolazione e collegamento in questo schema sociale.La mancanza di reddito e servizi sicuri, quindi la dipendenza da interventi anno per anno, bilancio dopo bilancio, da parte del governo, rende gradualmente queste masse sempre più passive, remissive, politicamente inattive. Il cigno nero non è volato via, ha costruito il suo trono per restare. Effettivamente, il reddito di cittadinanza, al quale in linea di principio sono contrario per varie ragioni anche pedagogiche, sarebbe il miglior antidoto a questa strategia di ingegneria sociale. Ma non potrà mai funzionare se prima non si sarà capito che il denaro oggi è un mero simbolo a costo zero di produzione, e che dunque l’unico ma decisivo vincolo alla politica di spesa è l’efficacia produttiva della spesa, mentre gli attuali dogmi di austerità e pareggio di bilancio sono un mero inganno genocida e liberticida.(Marco Della Luna, “Il regno del Cigno Nero”, dal blog di Della Luna dell’8 ottobre 2016).Il cigno nero, la crisi (ossia recessione-stagnazione più disoccupazione e disinvestimenti, migrazione, instabilità, incertezza di prospettive) permane, compie otto anni e non si intravede alcuna uscita da essa. Da un lato, permane perché è la conseguenza del nuovo tipo di economia, cioè dell’economia finanziaria che opera ormai apertamente attraverso la costruzione e lo svuotamento delle bolle, come strumento di aumento e di concentrazione del reddito e del potere, anche politico, nelle mani di chi la gestisce. Dall’altro lato, permane perché è uno strumento di riforma della società, della legge, dell’uomo, nel senso che consente a chi la gestisce di ridurre a chi la subisce, sostanzialmente col suo consenso, i diritti di lavoratore, di risparmiatore, di utente dei servizi pubblici, di partecipazione politica: di cittadino, in una parola. Quindi essa dissolve anche la polis, cioè lo Stato nazionale, l’organizzazione del demos, nella globalizzazione e nella migrazione di massa. Consente insomma di sottomettere e controllare, eliminando gradualmente il diritto anche alla privacy, alla quasi totalità della popolazione che non detiene il potere.
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La festa è finita, tra un po’ useranno l’esercito contro di noi
Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».La fine di ogni ciclo di crescita, inevitabilmente, cambia la struttura democratica, avverte Meijer, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. La crisi produrrà nuovi politici, perché, come sostenne Hazel Henderson, «l’economia non è altro che un travestimento della politica». Tradotto: «Da un lato ti trovi la classe al potere che tenta di tenersi stretta al suo potere in declino, producendo falsi numeri positivi a vagonate e sostenendo che comunque non esiste alternativa possibile alla loro (semmai soltanto dosi maggiori della stessa ricetta), e dall’altro lato c’è una vaga affiliazione, nella misura in cui si può parlare di affiliazione, di destra e sinistra, individui e partiti, in grado di subodorare cambiamenti in corso che potranno usare a proprio beneficio». La classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi: «Gli verranno addossate le colpe, e perlopiù meritatamente, per la caduta del sistema economico». Infatti: «Se sei percepito come parte della vecchia guardia, sei fuori». L’ascesa di Trump, Farage e simili è stata molto più veloce di quanto chiunque potesse pensare. «Si nutrono di malcontento, ma sono in grado di farlo soltanto perchè questo malcontento è stato del tutto ignorato dalle classi dominanti».Il che, aggiunge Meijer, ha molto ha che fare con il fatto che tali governanti si sono senza dubbio arricchiti, mentre i “piani bassi” della società sicuramente no. «Inoltre, se il più della gente potesse ancora vantare comode esistenze da classe media, l’ostilità verso migranti e rifugiati sarebbe stata ben minore: e i vari Trump, Wilders, Le Pen o “Alternative für Deutschland” non avrebbero trovato le loro miniere d’oro. La percezione che i nuovi arrivati siano a qualche titolo responsabili per il peggioramento delle condizioni di vita crea terreno fertile per chiunque voglia servirsene». E siccome la sinistra «non tocca l’argomento», la destra «si prende tutto per assenza di concorrenza». Bernie Sanders e Jeremy Corbyn possono anche avere idee coraggiose, in materia di redistribuzione della ricchezza, ma il potere resiste e li ostacola. Così, molta parte della leadership – Hillary Clinton, Theresa May, Sarkozy, la Merkel – sta «orchestrando sagge virate verso destra», avendo sentore che «il potere non emanerà più dal centro». Politici che, conunque, sembrano ormai «destinati a essere spazzati via dal voto popolare».Ben più difficile, innvece, sarà «sbarazzarsi delle organizzazioni transnazionali, come l’Ue o l’Fmi (e molte altre) nonostante rappresentino un progetto fallito». “Bloomberg” certifica l’allarme del Fmi: «La fede nella globalizzazione è ormai a disagio di fronte alle evidenti disparità che crea. Dal voto britannico a favore dell’uscita dalla Ue, a Donald Trump che avanza al grido di “l’America prima di tutto”, aumentano le pressioni per porre un freno e ridurre l’integrazione economica, sempre all’ordine del giorno per Fmi e Banca Mondiale per almeno 70 anni. Alimentata da salari stagnanti e insicurezza lavorativa in costante crescita, la sommossa populista minaccia di gettare definitivamente nella depressione una economia che la dirigente dell’Fmi Christine Lagarde ammette essere già adesso debole e fragile». Attenzione: «La rappresaglia contro la globalizzazione si manifesta in sentimenti nazionalisti accentuati, sfiducia per il mondo esterno e desiderio di maggiore isolamento protezionistico», sostiene Luis Kuijs dell’Oxford Economics di Hong Kong, in passato anche burocrate del Fmi. Per il World Economic Outlook, l’espansione globale è già compromessa: l’economia mondiale sta rallentando.«Posso capire che un voto contro i vari Hollande, Hillary, Cameron costituisca una “rappresaglia contro la globalizzazione”», dice Meijer, a patto però che non venga demonizzato il termine “protezionismo”: «Ogni singola società del pianeta dovrebbe proteggere le sue esigenze di base evitando che finiscano sotto il controllo di stranieri, sia per profitto, sia per potere. Niente di buono può mai venirne dalla cessione di questa facoltà di controllo per nessuna società, assolutamente mai». Sicchè, «non c’è niente di sbagliato nel voler proteggere la propria capacità di controllo sul proprio approvvigionamento idrico, autosussistenza alimentare, garanzia di alloggi sicuri: parliamo di cose che, al contrario, non andrebbero mai negoziate o scambiate sui mercati globali». Chi vorrebbe globalizzare anche quelle? I soliti noti, «i cui comodi ruoli dirigenziali e comodi grassi conti bancari dipendono direttamente nella nostra progressiva perdita di controllo personale sopra le stesse esigenze di base per sopravvivere nella vita». In fondo, «è ciò che accade a ogni organismo che ha raggiunto i limiti della sua crescita: inizia a “nutrirsi dell’ospite”. Che si parli di un tumore, dell’Impero Romano, o dei nostri attuali modelli economici basati sul presupposto della crescita perenne».Trump ha abbaiato contro Messico e Cina, minacciando di innalzare grosse tariffe doganali sulle importazioni da entrambi i paesi. Innervositi dal Brexit, i leader europei «sono coscienti che potrebbe essere solo l’inizio di un terremoto politico che minaccia le vecchie certezze del continente». Il prossimo anno, ricorda Meijer, si voterà in Germania e Francia, le maggiori economie dell’Eurozona, nonchè in Olanda. «In ciascuno di questi paesi le forze anti-establishment stanno guadagnando terreno». Insieme al crescente risentimento verso la Ue da Budapest a Madrid, gli osservatori politici giudicano l’attuale avanzata del “populismo” come la più grande minaccia al blocco-Ue dalla sua creazione, dalle ceneri della Sconda Guerra Mondiale al presente. Per i media mainstream, la categoria “populista” include moltissima gente, «da Trump a Beppe Grillo con tutto ciò che ci sta in mezzo, passando dall’ungherese Orban a Nigel Farage, “Podemos” in Spagna, “Syriza” in Grecia, la Afd tedesca». Movimenti diversissimi tra loro, ma con una cosa in comune: «Protestano contro uno status quo già fallito e in rapido processo di deterioramento, e ricevono massiccio supporto popolare per questa ragione, dal momento che è la gente a portare sulle spalle il peso del fallimento».Né si intravedono avvisaglie di segno positivo: «Probabilmente il più vistoso fatto macroeconomico relativo alle economie avanzate oggi è il permanere di un’anemia della domanda nonostante i bassi tassi d’interesse», scrive l’ex capo-economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Questi esperti, scrive Meijer, dimostrano di aver sentore che qualcosa non torna, ma nessuno possiede risposte. Vi era “accordo sulla globalizzazione prima della crisi”, adesso non esiste più, e questo è tutto. «Immagino l’economia mondiale come qualcosa di simile a un’auto in corsa senza conducente e bloccata su una corsia lenta», ha detto David Stockton, ex burocrate della Fed. «Questa è l’economia globale, non va da nessuna parte e nel frattempo i soldi finiscono facilmente e in fretta», sottolinea Meijer. «In Europa, l’avanzata populista fornisce un potente incentivo ad abbandonare l’austerità per i governi prima delle prossime elezioni, e magari oltre; che una mossa del genere placherà coloro che sono rimasti nel lato perdente della globalizzazione è comunque suscettibile di dubbio».Il consenso alla globalizzazione si basava sulla promessa di maggior crescita economica, ammette Ding Shuang, capo-economista cinese, al Fmi dal 1997 al 2010: «Ma i benefici non sono stati ripartiti equamente, quindi adesso assistiamo a una ondata anti-globalizzazione». Per Meijer, la globalizzazione è già finita. «Non è mai stata intesa da nessuno come distribuzione di nulla, a parte forse di ricchezza tra le mani delle élites e bassi salari per chiunque altro. L’Ue e l’Fmi non hanno ottenuto nulla di quanto avevano promesso, come allo stesso modo non l’hanno fatto i partiti tradizionali, in Usa, Regno Unito, come in Europa in generale. Hanno promesso crescita e la crescita è finita. Avranno ottenuto risultati per i loro padroni ma hanno perso nei confronti di chiunque altro. Il resto è solo aria fritta». E il peggio è che «non si può assolutamente escludere che arriveranno a servirsi dell’esercito e della polizia, che controllano, per tenersi aggrapparti a ciò che hanno: anzi, temo sia qualcosa che succederà di sicuro». Anche perché «la crescita è finita, svanita da un pezzo per farsi sostituire dal debito», e noi «stiamo trascendendo verso uno stadio completamente diverso delle nostre vite, economie, società».Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».
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Craig Roberts: Hillary tutela l’1% che lucra sulla guerra
Hillary è il candidato dell’1% e Trump quello del 99%, che l’oligarchia vuole distruggere attraverso i media. Se pure vincesse Trump, poco potrebbe contro questo 1% affamato di potere che controlla i posti chiave a Washington e su cui né il popolo americano né gli alleati esteri, diventati ormai vassalli, esercitano più alcun controllo. Su “Counterpunch”, Paul Craig Roberts evidenzia l’assurdità della campagna presidenziale americana, che discute delle tasse di Trump invece della minaccia sempre più inevitabile di una guerra con la Russia scatenata dall’oligarchia al potere. «Cosa deve pensare il mondo guardando la campagna presidenziale americana? Nel corso del tempo le campagne politiche americane sono diventate più irreali e meno legate alle preoccupazioni degli elettori, ma quella attuale è così irreale da essere assurda», afferma Craig Roberts, già viceministro di Reagan. «La delocalizzazione dei posti di lavoro americani da parte delle multinazionali e la deregolamentazione del sistema finanziario degli Stati Uniti hanno portato al fallimento economico dell’America. Si potrebbe pensare che questo sia un argomento da campagna presidenziale».L’ideologia neo-conservatrice dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti li sta portando con i loro vassalli ad un conflitto con la Russia e la Cina, scrive Craig Roberts, in un post ripreso da “Voci dall’Estero”. «I rischi di una guerra nucleare sono più alti che in qualsiasi altro momento nella storia». Questo sì, è «un argomento da campagna presidenziale». Invece, «i problemi sono l’uso legale delle leggi fiscali da parte di Trump e il suo atteggiamento non ostile verso il presidente russo Putin», al punto che «si potrebbe pensare che il problema sia l’atteggiamento estremamente ostile di Hillary verso Putin (“il nuovo Hitler”), che promette un conflitto con una grande potenza nucleare». Per quanto riguarda il giovarsi delle leggi fiscali, Pat Buchanan ha sottolineato che Hillary «ha utilizzato a suo vantaggio una deduzione grande quasi come quella di Trump». Durante gli anni in Arkansas, la Clinton «si è anche avvalsa di una detrazione fiscale su una lista di indumenti usati donati a un ente di beneficenza, tra cui 2 dollari per un paio di mutande usate da Bill».Il “dibattito” tra i vice-presidenti, poi, ha rivelato che il candidato del Partito Democratico «è così ignorante da pensare che Putin, che è democraticamente eletto e ha un enorme sostegno pubblico, è un dittatore». Questo, continua Craig Roberts, è quello che sappiamo sui due candidati alla presidenza. «Hillary ha una lunga lista di scandali, da Whitewater e Vince Foster a Bengasi e alla violazione dei protocolli per la sicurezza nazionale». La candidata democratica «è stata comprata e pagata dagli oligarchi di Wall Street, delle mega-banche e del complesso militare industriale, nonché da interessi stranieri». Prova ne sono «i 120 milioni di dollari del patrimonio personale dei Clinton e i 1.600 milioni di dollari della loro fondazione». In altre parole, «Goldman Sachs non ha pagato 675.000 dollari a Hillary per tre discorsi di 20 minuti per la saggezza che contenevano». Al contrario, «quello che sappiamo in merito a Trump è che l’oligarchia non lo sopporta e ha ordinato al Ministero della Propaganda, cioè i media statunitensi, di distruggerlo».Chiaramente, continua Craig Roberts, «Hillary è il candidato dell’1%, e Trump è il candidato del resto di noi». Purtroppo, però, «circa la metà del 99% è troppo stupida per conoscere tutto questo». Inoltre, «se Trump dovesse finire alla Casa Bianca, non significa che potrebbe prevalere sull’oligarchia», che infatti «è radicata a Washington e controlla cariche di politica economica ed estera, think tank e altri gruppi di lobbisti, e i media». Il popolo? «Non controlla nulla». E oggi, «cosa pensa il mondo quando vede condannare Donald Trump perché non vuole la guerra con la Russia o la delocalizzazione dell’economia americana?». E i “vassalli” di Washington – britannici, canadesi, australiani, giapponesi – dove vedono nella politica americana una leadership degna del sacrificio della loro sovranità e dell’indipendenza della loro politica estera? «Dove vedono anche solo un briciolo di intelligenza?». E ancora: «Perché il mondo guarda al governo più stupido, vigliacco, arrogante, corrotto e criminale del pianeta come una guida? La guerra è l’unica destinazione a cui Washington può condurre».Hillary è il candidato dell’1% e Trump quello del 99%, che l’oligarchia vuole distruggere attraverso i media. Se pure vincesse Trump, poco potrebbe contro questo 1% affamato di potere che controlla i posti chiave a Washington e su cui né il popolo americano né gli alleati esteri, diventati ormai vassalli, esercitano più alcun controllo. Su “Counterpunch”, Paul Craig Roberts evidenzia l’assurdità della campagna presidenziale americana, che discute delle tasse di Trump invece della minaccia sempre più inevitabile di una guerra con la Russia scatenata dall’oligarchia al potere. «Cosa deve pensare il mondo guardando la campagna presidenziale americana? Nel corso del tempo le campagne politiche americane sono diventate più irreali e meno legate alle preoccupazioni degli elettori, ma quella attuale è così irreale da essere assurda», afferma Craig Roberts, già viceministro di Reagan. «La delocalizzazione dei posti di lavoro americani da parte delle multinazionali e la deregolamentazione del sistema finanziario degli Stati Uniti hanno portato al fallimento economico dell’America. Si potrebbe pensare che questo sia un argomento da campagna presidenziale».
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Carpeoro: come gli Illuminati hanno infiltrato l’America
Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.«Ma attenzione: gli Illuminati di oggi non hanno nulla a che vedere con i fondatori, tedeschi, di un’ideologia che era l’opposto del Nuovo Ordine Mondiale». Erano idee libertarie, su cui si fondò il primo socialismo utopistico, pre-marxista, di Saint-Simon, Blanc, Prudhomme. La parola “illuminati” richiama direttamente il ‘700, il clima culturale del secolo dei Lumi, racconta Carpeoro in una conversazione con Benedetto Sette, pubblicata su YouTube. Tramite i suoi esponenti di punta, come Diderot e d’Alembert, fondatori dell’“Encyclopédie”, l’Illuminismo «voleva restituire, a una civiltà dominata da poteri assoluti, autocratici e autoritari, l’equilibrio consentito dai “lumi” della ragione». Nella Francia del ‘700, la ragione viene posta al di sopra di ogni altra cosa: «D’altro canto, una cinquantina di anni prima, Cartesio sosteneva il “cogito ergo sum”, cioè che l’essere è dato dal pensare». E quindi: «Poter mettere in discussione qualunque cosa è giusto. L’importante, però, è non sostituire vecchi dogmi con nuovi dogmi, sul piedestallo di una finta razionalità: questo crea nuove ingiustizie».Ed è esattamente quello che è accaduto agli Illuminati, nella loro parabola: se gli ideologi tedeschi erano partiti dall’idealismo egualitario e proto-socialista, i loro epigoni americani (auto-proclamatisi “eredi” degli Illuminati di Baviera) sono diventati i massimi guardiani dello status quo, del potere oligarchico in mano a pochissimi. Tutto nasce il 1° maggio del 1776 a Ingolstadt, nel sud della Germania, dove il professor Johann Adam Weishaupt, docente di giurisprudenza, fonda la confraternita degli Illuminati di Baviera. Obiettivo: una società più giusta, liberata dall’arbitrio di un potere fondato sul dominio. Una prospettiva rivoluzionaria, a partire dall’abolizione del tabù assoluto, la proprietà privata. «Weishaupt era un massone tedesco che aveva nel suo progetto la creazione di un livello superiore alla massoneria», racconta Carpeoro. L’ideologo degli Illuminati di Baviera si muove come un altro massone libertario, il francese Louis Claude de Saint-Martin, che aveva creato quello che chiamava Ordine dei Perfettibili. Matrice comune: i Rosacroce, la leggendaria “fratellanza” che accomunò Dante Alighieri e Giordano Bruno, fino a Goethe, Victor Hugo e oltre, verso la prospettiva di un’umanità liberata dal bisogno e dalla paura.Lo statuto elaborato da Weishaupt «ha come presupposti l’abolizione della proprietà privata e l’allargamento progressivo della scala di interessi: individui e popoli devono sempre porsi al di sotto di un ordine superiore, cioè l’interesse di tutti, dell’umanità, del mondo». Il principio mistico-religioso è di origine gnostica, continua Carpeoro. E Weishaupt parte dall’opera di Comenius, che era anch’esso un Rosacroce, al secolo Jan Amos Komenský. «Fu l’ultimo di quei Rosacroce che avevano teorizzato la costruzione della società perfetta: Francesco Bacone con la “Nuova Atlantide”, Tommaso Campanella con “La città del sole”, Tommaso Moro con “Utopia”; lo stesso rifondatore dei Rosacroce, Johann Valentin Andreae, scrisse un’opera che si chiamava “Christianopolis” o “Viaggio all’isola di Caphar Salama”». Stesso tema: un mondo di cittadini liberi e consapevoli, con pari diritti. «Ben presto, però, Weishaupt si accorge che un ideale di questo tipo deve fare i conti col potere: deve cioè diventare un’organizzazione di potere». All’inizio, i primi Illuminati hanno un enorme successo: partono dalla Baviera, ma le loro idee finiscono per conquistare tutta la Germania. «Weishaupt diventa un interlocutore privilegiato dei malgravi tedeschi, dei potenti. E all’ombra di questo progetto abbastanza idealista nasce quindi una struttura dalle forti connotazioni pratiche».Così, inevitabilmente, affiorano i primi problemi: alla fine del ‘700, al movimento aderisce il barone Adolf von Knigge, «colui che dà la svolta vera alla società degli Illuminati come struttura», creando «una struttura di potere, di gestione e direzione unica della società». Fatale lo scontro con Weishaupt, «un idealista con la mania dei rituali magico-esoterici». Quei rituali gli varranno l’accusa di “gesuitismo” e autoritarismo. La realtà è un’altra: i baroni, che pure hanno aderito allo slancio ideolgico iniziale, capiscono che l’egualitarismo di Weischaupt mette in pericolo i loro privilegi. Sarà Federico II di Prussia a sciogliere ufficialmente la società, per legge. E Weishaupt morirà povero solo, in esilio, abbandonato da tutti, nel 1830. «La storia degli Illuminati di Baviera finisce qui», sottolinea Carpeoro: «Non è mai andata oltre la dimensione territoriale della Germania». Come dire: gli Illuminati successivi, che giureranno di ispirarsi a Weischaupt, non hanno mai avuto alcuna relazione diretta con il movimento tedesco. Non solo: se i primi neo-Illuminati americani avevano ancora, in parte, qualche germe idealistico nella loro ideologia, i successori hanno fatto piazza pulita di qualsiasi istinto democratico, divenendo la punta di lancia dell’élite finanziaria che oggi domina il pianeta.Il passaggio cruciale è la nascita degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776. Siamo ancora nel secolo dei Lumi, ma dall’altra parte dell’Oceano. Le idee viaggiano: il fondatore, George Washington, massone, è anch’egli un iniziato Rosacroce. «Succede che quando Washington giura come presidente – racconta Carpeoro – alcuni americani dichiarano di ispirarsi al modello degli Illuminati tedeschi, pur senza aver mai avuto alcun rapporto con essi. Ma è lo stesso Washington a sconfessarsi totalmente. In una lettera aperta a un giornale, avverte: mai e mai poi mai le idee dei nuovi Illuminati avrebbero dovuto prendere possesso dell’America». Bel problema: «Siccome Washington era anche il capo della massoneria americana – continua Carpeoro – questi signori capirono che dovevano inquinare la massoneria, per riuscire ad arrivare al potere negli Stati Uniti. E lo fecero utilizzando tutti coloro che avevano perso la guerra civile americana, quindi una serie di personaggi sudisti, cioè schiavisti, che vennero infiltrati nella massoneria, resero gran parte della massoneria americana conservatrice e reazionaria, e poi elaborarono le teorie dei Nuovi Illuminati».I Nuovi Illuminati nascono infatti all’inizio del XX secolo, tra l’Inghilterra e l’America. «Riferendosi – per l’etichetta e per il marchio – a quello che aveva fatto Weischaupt in Germania, in realtà teorizzano il cosiddetto mondialismo, il Nuovo Ordine Mondiale. Teorizzano cioè il fatto che, traversalmente agli Stati, possa nascere non “una” società perfetta in un determinato paese, ma “la” società perfetta». Nasce quindi «una struttura che deve necessariamente cospirare». Una super-struttura, «trasversale a tutti gli Stati». E questo accade attraverso uomini d’affari come Cecil Rhodes, secondo cui Usa e Gran Bretagna devono dare vita a un unico governo federale della Terra. A questo scopo, Rhodes crea una confraternita, la Rhodes Scholarship, che in America esiste tuttora. E così Lionel Curtis, che fonda vari gruppi, tra cui la Tavola Rotonda di Rohdes-Milner, presupposto dell’attuale Round Table. «In pratica, questi personaggi infiltrano soprattutto il governo americano, fin dalla sua nascita». Nonostante l’altolà di Washington, i Nuovi Illuminati riusciranno ad avere intensi rapporti con diversi presidenti americani: Edward Mandell House sarà il segretario di Woodrow Wilson, il presidente che costruirà la Società delle Nazioni, progenitrice dell’Onu. Altra eminente personalità dei neo-Illuminati americani, lo scrittore Herbert George Wells, autore nel 1897 del fortunato romanzo “La guerra dei mondi”.«Quindi – prosegue Carpeoro – fin dall’inizio si diffonde questo progetto di costruire il Nuovo Ordine Mondiale nel nome degli Stati Uniti d’America. Successivamente, come tutte le strutture di potere, questa diventa una struttura che affianca il potere in realtà senza cambiare niente». Il New World Order, che in origine doveva avere un’ispirazione rivoluzionaria, «in realtà si riduce alla pura gestione dell’esistente: una gestione trasversale, mondialista e di assoluto potere dello status quo». Evidente: «Per questi signori, meno cambia e meglio è: perché così fa comodo a loro». Ma il processo di “degenerazione” non è improvviso, avviene per gradi. Quando gli Illuminati devono aggirare Washington e quindi si alleano con le componenti più conservatrici del paese, il Sud schiavista, intuendo che saranno riassorbite nel vertice di potere in vista della riconciliazione nazionale postbellica, il loro capo è Albert Pike, «un eminente massone del neo-rito scozzese, che fece una politica di infiltrazione culturale molto capillare». Nonostante ciò, dice Carpeoro, «il suo modo di essere “illuminato” non è lo stesso di Rotschild: Pike è ancora fortemente ideologico».Il discorso degli attuali Illuminati diventa esclusivamente pragmatico successivamente, «con le associazioni tra banchieri, i trust, i vari Bilderberg». Così, «con un’ulteriore mutazione, diventa una struttura di conservazione; ma all’inizio gli Illuminati erano una struttura di rivoluzione». Il sionismo bellicista? «E’ una conseguenza, non una causa». E i motivi sono anch’essi evidenti: «Poiché una parte dei grandi banchieri mondiali sono di provenienza ebraica, ai tempi di Yalta hanno forzato la situazione e utilizzato anche la struttura trasversale degli Illuminati per arrivare alla costituzione dello Stato di Israele, e soprattutto per escludere che si facesse lo Stato di Palestina». E’ tristemente noto: «Una delle posizioni più reazionarie e meno sostenibili, pubblicamente, di un certo sionismo, è la negazione dell’esistenza del popolo palestinese, così come tra gli arabi esiste chi nega l’esistenza del popolo ebreo». Falsi storici: «I Filistei biblici sono gli attuali palestinesi, e già facevano le guerre per la terra, in quell’epoca». Il conflitto israelo-palestinese, “cristallizzato” nel retrobottega di Yalta nel 1945, è ancora oggi il focolaio di odio da cui la manipolazione culturale fa derivare lo “scontro di civiltà” tanto caro al complesso militare-industriale, a Wall Street, al Pentagono.Autore del romanzo “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) sulla “storia di una leggenda realmente accaduta”, quella dei Rosacroce, lo stesso Carpeoro sta per pubblicare un saggio, presso Uno Editori, intitolato “Dalla massoneria al terrorismo”. Focus: la strategia della tensione internazionale, affidata a manovalanza magari islamista ma accuratamente coperta dalla “sovragestione”, il network di potere che vede al lavoro interi settori dei servizi segreti occidentali impegnati in missioni “false flag”, attentati compiuti “sotto falsa bandiera”, per esempio quella dell’Isis, in Francia, e progettati da “menti raffinatissime”, appartenenti alla massoneria deviata, di potere, il cui vertice è costituito proprio dai neo-Illuminati. «La loro influenza principale, con la teorizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, è il condizionamento economico degli Stati: i banchieri si sono organizzati tramite questa struttura per condizionare le scelte economiche degli Stati». I risvolti di cronaca – le strane incongruenze nelle indagini, i messaggi simbolici di cui sono disseminate le stragi – suggeriscono l’idea che, dai diktat finanziari, si possa anche passare, all’occorrenza, alle bombe e ai Kalashnikov. Per contro, ripete Carpeoro, «l’intensificarsi di quella violenza indica che il vertice del massimo potere non è più così compatto: qualcuno si sta sfilando, chi resta al comando teme di perdere terreno e per questo spinge sul terrorismo». Mai stati del tutto granitici, i poteri forti: «Litigano spesso fra loro, e questo apre spazi per tutti noi». Del resto «il potere è uno schema, non una piramide monolitica», anche se si tratta di piramidi “illuminate”.Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta gli affiliati furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.
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Perkins: dopo il terzo mondo, ora stanno depredando noi
La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.Naturalmente in America vediamo come il governo sia paralizzato, semplicemente non funziona. Viene controllato dalle grandi multinazionali. Queste hanno capito che il nuovo obiettivo, la nuova risorsa, sono gli Usa e l’Europa, e gli orribili avvenimenti successi in Grecia, e Irlanda e Islanda, stanno ormai avvenendo anche da noi, negli Usa. Le statistiche ci mostrano una crescita economica, ma allo stesso tempo aumentano i pignoramenti di case e la disoccupazione. Si tratta della stessa dinamica debitoria che porta a amministratori di emergenza, i quali consegnano le redini dell’economia alle multinazionali private: lo stesso meccanismo che vediamo nei paesi del terzo mondo. Quando ero un “sicario dell’economia”, una delle cose che facevamo era concedere enormi prestiti a questi paesi, ma quei soldi non finivano mai davvero ai paesi, finivano alle nostre stesse multinazionali che vi costruivano le infrastrutture. E quando i paesi non riuscivano a ripagare i loro debiti, imponevamo la privatizzazione della gestione dell’acqua, delle fognature e della distribuzione elettrica. Ormai vediamo succedere la stessa cosa negli Stati Uniti. Flint nel Michigan ne è un ottimo esempio.Non stiamo parlando di un impero degli Stati Uniti, si tratta di un impero delle multinazionali protette e appoggiate dall’esercito Usa e dalla Cia. Ma non è un impero degli americani, non aiuta gli americani. Ci sfrutta nella stessa maniera in cui noi abbiamo sfruttato gli altri paesi del mondo. Viaggiando attraverso gli Usa e nel mondo, vedo davvero che la gente si sta svegliando. Stiamo capendo. Capiamo che viviamo in una stazione spaziale molto fragile: non abbiamo alcuna navetta spaziale, e non possiamo andarcene. Dobbiamo risolvere la situazione, dobbiamo prendercene carico, perché stiamo distruggendo la stazione spaziale. Le grandi multinazionali la stanno distruggendo, ma queste vengono gestite da persone, e queste sono vulnerabili. Se ci pensiamo bene, i mercati sono una democrazia, se li usiamo nel modo giusto. Certo, gli accordi come il Ttip sono devastanti, danno alle multinazionali la sovranità sui governi. E’ ridicolo. Vediamo i popoli dell’America Centrale terribilmente disperati, cercano di uscire da un sistema marcio, in primo luogo a causa degli accordi commerciali e delle nostre politiche nei confronti dell’America Latina.E naturalmente vediamo queste stesse politiche nel Medio Oriente e in Africa, queste onde migratorie che stanno investendo l’Europa dal Medio Oriente. Questi problemi terribili sono stati creati dall’ingordigia delle multinazionali. Sono appena stato in America Centrale e quello che da noi viene definito un problema di immigrazione, in realtà è un problema di accordi commerciali. Non si possono imporre dazi a causa degli accordi commerciali – Nafta e Cafta – ma gli Usa possono dare aiuti di Stato ai loro agricoltori. Gli altri governi non si possono permettere di aiutare i propri agricoltori. Perciò i nostri agricoltori riescono ad avere la meglio sui loro, a questo distrugge le altre economie, e anche altre cose, ed ecco perché si creano problemi di immigrazione. Tre o quattro anni fa la Cia ha organizzato un colpo di Stato contro il presidente democraticamente eletto dell’Honduras, Zelaya, perché non si è piegato a multinazionali grandi, globali e con legami con gli Usa come Dole e Chiquita.Il presidente voleva alzare il salario minimo a un livello ragionevole, e voleva una riforma agraria che garantisse che queste persone riuscissero a guadagnare dalla loro terra, anziché assistere alle multinazionali che lo facevano. Le multinazionali non l’hanno potuto tollerare. Non è stato assassinato, ma è stato disarcionato con un colpo di Stato, e spedito in un altro paese, rimpiazzandolo con un dittatore brutale. Oggi l’Honduras è uno dei paesi più violenti e sanguinari dell’emisfero. Quello che abbiamo fatto fa paura. E quando una cosa così accade a un presidente, manda un messaggio a tutti gli altri presidenti dell’emisfero, e anzi di tutto il mondo: non intralciate i nostri piani. Non intralciate le multinazionali. O cooperate e vi arricchite, e tutti i vostri amici e le vostre famiglie si arricchiscono, oppure verrette disarcionati o assassinati. Si tratta di un messaggio molto forte.(John Perkins, dichiarazioni rilasciate a Sarah van Gelder per l’intervista “Nuove confessioni di un sicario dell’economia: stavolta vengono a prendersi la democrazia”, pubblicata da “Yes Magazine” e ripresa da “Voci dall’Estero” il 6 ottobre 2016. Perkins è celebre per il bestseller “Confessioni di un sicario dell’economia”, ora aggiornato con una nuova edizione).La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.
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Un oceano di dollari e droga, l’Afghanistan 15 anni dopo
Sono passati 15 anni dall’invasione militare dell’Afghanistan da parte degli americani, supportati dalla cosiddetta “coalizione internazionale”, di cui anche noi facciamo parte. Le truppe americane hanno invaso l’Afghanistan il 7 ottobre del 2001, meno di un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre a New York e Washington. Quella che era sembrata una rapida vittoria sul regime dei Talebani si è trasformata in una sanguinosa guerriglia che continua ancora oggi. L’amministrazione del presidente Bush aveva accusato l’organizzazione Al-Qaeda di Osama Bin Laden di aver dirottato gli aerei civili che hanno colpito e World Trade Center e il Pentagono. La Casa Bianca era convinta che Bin Laden si trovasse in Afghanistan, e pretese e i Talebani glielo consegnassero. I Talebani, guidati dal Mullah Omar, chiesero agli americani di mostrare le prove della sua colpevolezza. In cambio, ebbero la guerra. Con l’aiuto dei jet e delle truppe americane, i signori della guerra della Alleanza del Nord scacciarono i Talebani dalle città più importanti e presero il controllo della capitale, Kabul, a metà di novembre.Venne insediato un nuovo governo guidato dal presidente Hamid Karzai, sostenuto dagli americani, ricorda “Russia Today”, in una ricostruzione ripresa da “Luogo Comune”, il blog di Massimo Mazzucco. Gli alleati della Nato legittimarono in qualche modo l’azione americana, mandando truppe per aiutare “la ricostruzione” dell’Afghanistan. «Per quanto sia stato il presidente Bush a iniziare la guerra in Afghanistan, è stato il suo successore, Barack Obama, a dare luogo alla “surge”, l’incremento militare che avrebbe dovuto mettere fine alla guerra», ricorda “Rt”. Così, 15 anni dopo l’invasione, oggi sono poco meno di 9.000 i militari americani in Afghanistan, da un picco di 100.000 che era stato raggiunto nel 2011. Questi soldati fanno parte dell’operazione “Sentinella della Libertà”, e il Pentagono insiste nel dire che il loro unico ruolo sia di “consigliare e assistere” i militari afghani, e non di combattere i Talebani o lo Stato Islamico. Ma, di recente, il sergente Adam Thomas è stato ucciso nella provincia di Nangarhar, apparentemente a causa di una bomba artigianale. È il terzo soldato americano ucciso in Afghanistan nel 2016.Secondo la “Reuters”, a partire dal 2002 gli Stati Uniti hanno speso più di 60 miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza afghane. Poi c’è la droga, continua “Russia Today”: la coltivazione di oppio, che era stata proibita sotto la stretta interpretazione islamica dei Talebani, ha avuto un ritorno “glorioso” durante la guerra. Secondo un rapporto della Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite su droga e crimine, si stima oggi l’estensione delle coltivazioni di oppio in Afghanistan ad oltre 200.000 ettari. Le cifre finali rischiano di superare il record del 2014, che era di 224.000 ettari. «L’eradicazione delle coltivazioni è stata praticamente zero», ha detto il direttore della Unodc, Yury Fedotov. Come siamo arrivati a questa situazione? Per quanto l’invasione del 2001 sia riuscita a rovesciare il governo dei Talebani, afferma “Rt”, gli Stati Uniti non sono riusciti a catturare o uccidere Bin Laden – il presunto organizzatore dell’11 Settembre – che 10 anni dopo, nel presunto (e tuttora oscuro) blitz di Abbottabad, in Pakistan, da cui però non è mai giunta nessuna foto del cadavere del capo di Al-Qaeda, che poi sarebbe stato “sepolto in mare”, gettato dal ponte di una portaerei.«Per un mese – ricorda “Russia Today” – le truppe americane hanno inutilmente setacciato le grotte di Tora Bora, al confine col Pakistan, dove si credeva che Bin Laden fosse nascosto. «Nonostante Bush avesse promesso, in campagna elettorale, di mettere fine all’ingerenza americana nelle altre nazioni, i soldati americani e della Nato si sono presto ritrovati a combattere una tipica guerra di contro-insorgenza, lanciando continue offensive contro gli sfuggevoli Talebani e i ribelli di Al-Qaeda». I comandi americani in Afghanistan continuavano a chiedere sempre più truppe, ma la maggior parte delle forze americane era impegnata in Iraq, dopo che l’invasione del 2003 aveva seguito un percorso analogo: da una rapida vittoria a un incubo senza fine. «Grazie ad una combinazione fra un incremento di truppe e accordi sottobanco con i leader locali, gli Stati Uniti sono riusciti a neutralizzare la maggior parte della ribellione in Iraq». E ora, dopo la sua rielezione, «Obama ha implementato un programma simile anche in Afghanistan».E dire che, nel maggio 2011, una squadra di Navy Seals aveva attaccato il presunto rifugio di Abbottabad, dove – secondo Washington – sarebbe stato ucciso Bin Laden. «Questo significava il raggiungimento dello scopo principale della guerra, per quanto sia arrivato dopo quasi un decennio». Con la presunta scomparsa di Bin Laden, Obama ha annunciato il ritiro graduale dall’Afghanistan entro la fine del 2016, mentre le operazioni di combattimento – ufficialmente – sarebbero terminate nel dicembre del 2014. «Qualcuno però si è dimenticato di dirlo al Talebani», se è vero che, nel maggio 2015, un drone americano ha ucciso in Pakistan il loro leader, Mohammad Mansour. «E’ ora che gli afghani smettano di combattere e inizino a costruire un futuro tutti insieme», disse allora il ministro degli esteri statunitense John Kerry, invitando i Talebani a prendere accordi con il governo afghano del nuovo presidente, Ashraf Ghani. I Talebani invece hanno scelto il mullah Haibatullah Akhundzada come nuovo leader, lanciando una nuova offensiva. Nel settembre 2015 hanno preso Kunduz, importante città del nord del paese, vicino al confine con il Tajikistan. Ne sono stati scacciati dopo due settimane di pesanti combattimenti, nel corso dei quali gli aerei americani hanno distrutto l’ospedale di “Medici Senza Frontiere”. Un anno dopo, però, i Talebani rientravano nuovamente a Kunduz, piantando la loro bandiera al centro della piazza principale della città.Alla “conferenza dei donatori”, in Austria, Stati Uniti ed Europa hanno appena promesso 15 miliardi di dollari per sostenere il governo afghano nei prossimi quattro anni. «Il costo della guerra in Afghanistan è stato stimato in 685 miliardi di dollari dal Servizio di Ricerca del Parlamento americano», aggiunge “Rt”. Secondo una stima della Harvard Kennedy School of Government, però, il costo a lungo termine potrebbe arrivare a 6 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, se si calcolano «i costi di assistenza medica a lungo termine e di disabilità per i veterani, il rinnovamento dell’arsenale militare ed i costi economici e sociali». Tutti soldi «scomparsi nel nulla». Miliardi di dollari destinati alla “ricostruzione” dell’Afghanistan sono stati spesi «in aerei da guerra che sono poi stati svenduti a prezzo di rottame», ma anche «in stazioni di rifornimento da 30 milioni di dollari ciascuna», e anche «in aerei per combattere il traffico di droga che non sono mai decollati, com’è stato documentato dall’ispettore generale degli Stati Uniti per la ricostruzione in Afghanistan».La sola lotta al narcotraffico, conclude “Russia Today”, ha ingoiato 8,4 miliardi di dollari, senza dare il minimo risultato visibile: «L’Afghanistan oggi produce il 90% dell’eroina nel mondo, in quantità ancora maggiori di quanto lo facesse prima del 2001». Forse la più grossa ironia della guerra in Afghanistan sta nel fatto che «gli americani hanno finito per combattere la stessa gente che avevano supportato durante la Guerra Fredda». Sul finire degli anni ‘70, Washington aveva finanziato di nascosto i ribelli islamici per attirare l’Unione Sovietica in un “incubo simile al Vietnam”. Missione compiuta, peraltro: grazie anche a Osama Bin Laden, appositamente reclutato e armato da emissari della Casa Bianca, del calibro del super-massone Zbigniew Brzezinski. «Dopo il ritiro dei sovietici, nel 1989, gli stessi ribelli – i mujaheddin – iniziarono a lottare fra di loro, permettendo così ai Talebani di emergere come fazione dominante». I soggetti ideali per la “guerra infinita”, l’alibi perfetto per il conflitto permanente e la militarizzazione del pianeta.Sono passati 15 anni dall’invasione militare dell’Afghanistan da parte degli americani, supportati dalla cosiddetta “coalizione internazionale”, di cui anche noi facciamo parte. Le truppe americane hanno invaso l’Afghanistan il 7 ottobre del 2001, meno di un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre a New York e Washington. Quella che era sembrata una rapida vittoria sul regime dei Talebani si è trasformata in una sanguinosa guerriglia che continua ancora oggi. L’amministrazione del presidente Bush aveva accusato l’organizzazione Al-Qaeda di Osama Bin Laden di aver dirottato gli aerei civili che hanno colpito e World Trade Center e il Pentagono. La Casa Bianca era convinta che Bin Laden si trovasse in Afghanistan, e pretese e i Talebani glielo consegnassero. I Talebani, guidati dal Mullah Omar, chiesero agli americani di mostrare le prove della sua colpevolezza. In cambio, ebbero la guerra. Con l’aiuto dei jet e delle truppe americane, i signori della guerra della Alleanza del Nord scacciarono i Talebani dalle città più importanti e presero il controllo della capitale, Kabul, a metà di novembre.