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Di Maio, non puoi più fingere di non sapere com’è il Mostro
La Bella Addormentata nel bosco si è ridestata da un lungo sonno. E, tutta sconvolta, ci informa che non si trova nel Paese delle Meraviglie, ma che nel bosco c’è un orco, grosso, sporco, con i denti aguzzi e gli artigli ricurvi. Questo mostro si chiama tecnocrazia oligarchico-finanziaria, e controlla gli Stati (specialmente le democrazie del Sud Europa) per cui andare a votare è inutile, tanto comandano loro, in ossequio al dio dei Mercati, in ossequio all’apertura delle Borse, in ossequio all’Euroburocrazia delle banche centrali e delle cancellerie mittel-europee. Caro Luigi, stavolta te lo dico con il cuore e senza nessun risentimento, ma con tanta amarezza e disincanto. Non voglio fare la primadonna, e d’altronde siamo arrivati ad un punto, in Italia, nel quale non ci sono più teatri e non ci sono più riflettori, ma resta solo da imbracciare una pala e tentare di fare pulizia dalle macerie. Ma cosa facevate voi quando Messora vi diceva queste cose, a parte sbatterlo fuori perché volevate entrare nell’Alde? E mentre io gridavo alla luna e voi annunciavate querela (ricordi?), quando andavi a pranzo con quegli stessi mostri senza anima che oggi ti hanno (e ci hanno) dato il benservito, tu a cosa pensavi? Perché lo facevi? Credevi davvero, tu, pecora come tutti noi, di poter essere invitato alla tavola imbandita dai lupi e non finire prima o poi tra le pietanze?Non ti faccio il lungo elenco delle rassicurazioni che hai cercato di dare a tutti, dai mercati ai lobbisti incontrati a porte chiuse, per tentare di arrivare qui, oggi, perché sono sicuro che li ricordi uno ad uno, e sono sicuro che adesso ti brucia tanto quanto brucia a tutti noi avere avuto l’ennesima dimostrazione di quanto contiamo veramente. Ti hanno osservato con attenzione, magari con aria divertita; ti hanno fatto intendere che sì, in fondo eri un esemplare curioso di varia umanità, e ti hanno guardato con quell’aria semisorridente, sorniona, con quello sguardo gelido, stringendoti la mano come un sordido finanziere affarista la stringe all’ingenuo padre di famiglia che crede di avere concluso l’affare del secolo. Loro sapevano che tu quella porta non l’avresti varcata mai. Perché le loro televisioni te l’avrebbero impedito. E se non fosse bastato, la legge elettorale te l’avrebbe impedito. E se ancora non fosse bastato – come non è bastato – perché il garante ultimo di questo sistema di commissariamento permanente te l’avrebbe impedito. In qualunque modo. A qualunque costo. E così è stato. Amen!Però… Però… se questa consapevolezza il Movimento 5 Stelle l’avesse avuta da subito, sin dal 2013 quando entrò vigorosamente nelle istituzioni… Se anziché tentare di farsi sistema, cercando di ripulirsi e riqualificarsi agli occhi dei potenti, liberandosi dei rimasugli delle lotte ai banchetti, delle denunce troppo veementi nelle piazze, dei post troppo espliciti in rete e sui blog; se insomma tu avessi condotto il Movimento 5 Stelle non verso la deriva istituzionale presidiata dai guardiani della democrazia, cercando di non dare troppo fastidio ai manovratori occulti ma lasciando che si occupasse delle briciole, come gli stipendi dei parlamentari, ma verso lo scontro nudo e crudo con un sistema di potere che occlude ogni possibilità per i cittadini e svuota la Costituzione (come si è visto ieri sera al Quirinale) a vantaggio di potenze sovranazionali e colonizzatrici, forse oggi saremmo già avanti. Forse avreste preso quel 100% alle elezioni che voleva Beppe Grillo, e Mattarella oggi non sarebbe più un problema. Invece siamo ancora qui, nel 2018, a dire le cose che se stavate un po’ attenti qualcuno in rete diceva già nel 2011. E sarebbe bastato dargli retta (e non mi riferisco solo a Messora).Adesso chiedi di credere alla tua autentica presa di coscienza (un po’ tardiva) sulla vera natura dei poteri che ci governano. Bene. Io sono un inguaribile romantico. E sai cosa ti dico? Che potrei anche crederti. Ma te ne prego: hai preso una strada, sei entrato in rotta di collisione con quei poteri forti che ti hanno pugnalato alle spalle mentre salivi la scalinata che conduceva alla vittoria, ti sei messo a denunciarli e a hai perfino iniziato a chiamarli per nome… Adesso il contratto scrivilo con te stesso, mettici dentro le cose che hai detto in questo video e poi firmalo col sangue. Non cambiare più idea, Luigi. Se hai davvero capito con chi hai a che fare, adesso affonda la lama e non la estrarre più fino a quando questi nemici dell’Italia, della patria, della democrazia e dei popoli non saranno tutti stati eliminati. Sei ancora il capo politico di un movimento che ha il 32% dei voti, se non di più. Da solo, o alleandoti con qualcuno che la pensi come te, hai la possibilità di riscrivere il finale di questa storia. Tutti sbagliamo. Tutti cadiamo. Ma il mondo lo cambia solo chi riesce a rialzarsi con una nuova consapevolezza, avendo finalmente chiaro quello che bisogna fare. E quello che bisogna fare è riconquistare la libertà. Sfrutta questa occasione. Non ce ne sarà un’altra.(Claudio Messora, “Il nuovo contratto di Luigi Di Maio”, da “ByoBlu” del 28 maggio 2018).La Bella Addormentata nel bosco si è ridestata da un lungo sonno. E, tutta sconvolta, ci informa che non si trova nel Paese delle Meraviglie, ma che nel bosco c’è un orco, grosso, sporco, con i denti aguzzi e gli artigli ricurvi. Questo mostro si chiama tecnocrazia oligarchico-finanziaria, e controlla gli Stati (specialmente le democrazie del Sud Europa) per cui andare a votare è inutile, tanto comandano loro, in ossequio al dio dei Mercati, in ossequio all’apertura delle Borse, in ossequio all’Euroburocrazia delle banche centrali e delle cancellerie mittel-europee. Caro Luigi, stavolta te lo dico con il cuore e senza nessun risentimento, ma con tanta amarezza e disincanto. Non voglio fare la primadonna, e d’altronde siamo arrivati ad un punto, in Italia, nel quale non ci sono più teatri e non ci sono più riflettori, ma resta solo da imbracciare una pala e tentare di fare pulizia dalle macerie. Ma cosa facevate voi quando Messora vi diceva queste cose, a parte sbatterlo fuori perché volevate entrare nell’Alde? E mentre io gridavo alla luna e voi annunciavate querela (ricordi?), quando andavi a pranzo con quegli stessi mostri senza anima che oggi ti hanno (e ci hanno) dato il benservito, tu a cosa pensavi? Perché lo facevi? Credevi davvero, tu, pecora come tutti noi, di poter essere invitato alla tavola imbandita dai lupi e non finire prima o poi tra le pietanze?
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Carotenuto: Iran-Israele, gli oligarchi della prossima guerra
La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.Ognuno ha una parte di ragione, ma nessuno la racconta giusta: la destra israeliana investe sulla paura ben sapendo che Israele «dispone di un territorio così piccolo che, in caso di guerra, potrebbe essere invaso in mezza giornata». Al tempo stesso, Tel Aviv – che denuncia il pericolo del nucleare iraniano – finge di non sapere di disporre di 230 testate atomiche: «Un potenziale pari almeno a quello della Francia e probabilmente della Gran Bretagna, tale da mettere Israele in grado di colpire anche le capitali europee, con missili o almeno con aerei». Sul fronte opposto, non è che l’Iran sia un modello tranquillizzante: «E’ un paese imperialista, fautore di un Islam ostile all’Occidente, e che persegue un suo cinico disegno di potenza regionale». La Russia? «In tanti vedono in Putin una sorta di pacificatore». Ma, al di là dell’effettivo ruolo di stabilizzazione attualmente svolto, il Cremlino «non fa altro che gli interessi della potenza russa». A sua volta, il fronte islamico è spaccato: e gli sciiti iraniani sono quelli che più si sono avvantaggiati dall’aggressione occidentale contro paesi sunniti come l’Iraq. Per l’Occidente, una sequenza di autogol a catena: oggi i soldati di Teheran combattono in Siria al fianco di Assad, il presidente che Obama voleva rovesciare. E in Siria si sono saldati con la potente milizia sciita di Hezbollah, proveniente dal Libano.Gli apprendisti stregoni che dopo l’11 Settembre hanno dato alle fiamme il Medio Oriente devastando l’intera regione, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia allo Yemen, oggi vedono Israele accerchiato da nemici filo-iraniani. A sua volta, lo Stato ebraico enfatizza il pericolo per invocare come sempre il supporto degli Usa, senza il quale Tel Aviv non potrebbe disporre del temibile apparato militare che ne fa la principale potenza dell’area. Facile profeta, anni fa, il generale americano Wesley Clark: rivelò che i neocon firmatari del Pnac, il Piano per un Nuovo Secolo Americano, prima ancora del Duemila avevano messo nel mirino tutti i paesi – dall’Afghanistan alla Siria – poi effettivamente colpiti dalle guerre “per conto terzi” a cui stiamo assistendo, con strascichi grottechi che si estendono alla Somalia, dove miliziani filo-sauditi combattono contro guerriglieri armati dal rivale Qatar. Smisurate follie innescate dalla Cia e dal Mossad, che hanno regalato consenso e influenza territoriale proprio all’Iran, l’unico paese – della famosa lista nera – non ancora attaccato direttamente. Succederà a breve? Il rischio è concreto, ammette Carotenuto: ma in caso di guerra, aggiunge, Teheran si rivelerà un osso durissimo. E in ogni caso, prima o poi, avrà l’atomica: raggiungerà cioè una parità strategica con Israle, che già oggi potrebbe cancellare l’Iran a suon di bombe.Carotenuto invita a leggere la situazione evitando semplificazioni o, peggio, l’errore tipico delle tifoserie che parteggiano per gli ipotetici buoni contro gli altrettanto ipotetici cattivi. Si fa presto a dire “Israele”, “l’Iran”, “gli Usa”, come se in guerra fossero intere nazioni. Si tratta di élite pericolose, di oligarchie nascoste. La guerra la fanno davvero, ma il più delle volte sotto falsa bandiera – utilizzando il terrorismo – e comunque agitando retoriche patriottiche che non corrispondono mai alle vere intenzioni degli oligarchi che intessono trame dinamitarde, ogni giorno più pericolose. Da decenni il Medio Oriente petrolifero è la polveriera del mondo: possono cambiare gli attori e il copione può subire variazioni, ma la sostanza non cambia. L’uomo che volle fermare una volta per tutte questa follia – Yitzhak Rabin – fu assassinato nel ‘95 a Tel Aviv: non da palestinesi, ma da un estremista ebraico. Da allora, la situazione è preciptata: l’11 Settembre, le guerre “americane”, l’orrore dell’Isis e l’affermarsi della potenza iraniana, a sua volta – sostiene Carotenuto – controllata da un gruppo di potere “oscuro” che non finirà mai in televisione. Tutti si guardano in cagnesco, col dito sul grilletto. Il pericolo di un’esplosione cresce. Ma i popoli della regione non hanno mai avuto una sola occasione per parlarsi e chiarirsi, in modo trasparente. A dominare, più che mai, è il vecchio copione della guerra, fondato sulla menzogna di chi agita bandiere ma pensa soprattutto ai soldi, sapendo che in ogni caso il “vortice della tensione” è l’alimento perfetto per rendere eterna la logica aberrante del conflitto, che pare destinata a non finire mai. Fino a quando?La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.
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Sapelli: basta veti, Mattarella rispetti il voto degli italiani
Di Maio lo ha definito «l’italiano senza santi in paradiso». Avrebbe già dovuto ricevere l’incarico dal capo dello Stato di formare il nuovo governo, ma per ora non se ne parla. Giuseppe Conte è sotto la lente del Quirinale, che ha preso tempo per riflettere sulle credenziali del giurista e per tranquillizzare l’Europa e i “mercati”. «Il caso Conte assomiglia molto all’ennesima manovra per non far partire questo governo», dichiara l’economista Giulio Sapelli, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”. Per Sapelli, occorre non cedere al ricatto dei “mercati”, chiamandoli per nome e scegliendo di stare dalla parte delle gente. Ma non lo fanno né l’Europa, né chi attualmente comanda in Italia. Mattarella ha consultato i presidenti di Camera e Senato, prendendo altro tempo. «Non capisco perché», protesta Sapelli: «Avrebbe già dovuto mandare Di Maio in Parlamento, come si faceva nella Prima Repubblica». Un messaggio al Qurininale: «Prima ancora del rispetto della Costituzione – dice Sapelli – bisognerebbe comportarsi secondo la regola del buon padre di famiglia: questa mancanza di fiducia nelle persone e nel voto popolare è grave e preoccupante».Ci sarebbero perplessità anche su Paolo Savona, che la Lega vorrebbe come ministro dell’economia: le sue posizioni critiche sull’euro (e la Germania) hanno messo in allarme Bruxelles e il Colle. «Ma per favore», taglia corto Sapelli: «Il professor Savona gode di una stima universale, gli basterebbe alzare il telefono per parlare con tutti i banchieri centrali del mondo. Lo conosco da trent’anni e posso assicurare che è un grande servitore di questo paese. Anzi, lo vedrei benissimo come premier». Evidentemente c’è qualcuno che non si fida. «Mai come in queste ore – aggiunge Sapelli – bisognerebbe invece agire con benevolenza: senza fiducia e benevolenza, la politica muore. E la società anche». La polemica sui “tecnici” al governo? «Lega e M5S parlano di premier tecnico molto impropriamente», dice Sapelli. «Ogni cosiddetto tecnico ha anche una visione politica. Se dice di non averla, mente e rappresenta quella di qualcun altro». Secondo l’economista, «si è rotto il rapporto tra intellettuali e popolo, come diceva Pasolini, perché i grandi partiti di massa si sono estinti». Come si può ricostruirlo? «Con la propria voce, con i social. Non è protagonismo, ma ricerca di un rapporto con l’opinione pubblica, che non abbiamo più». E cosa c’è al suo posto? «Giornali che rappresentano gruppi di interesse e di potere esterni».Sempre secondo Sapelli. «la parola “mercati” andrebbe bandita, insieme a quella di “populismo”. Come diceva Federico Caffè, i mercati hanno un nome, un cognome e spesso anche un soprannome. Quando sento parlare di “mercati” – aggiunge – ho paura che ritornino cose terribili che in parte conosciamo». Monti, il fantasma (pilotato) dello spread: il pretesto per spolpare il paese. «Chi asseconda l’allarme dei mercati mi fa venire in mente il discorso di Franz Neumann negli anni Trenta sul controllo politico dell’angoscia: e l’angoscia porta a destra, al fascismo, alla mentalità autoritaria, anche all’antisemitismo», accusa Sapelli. Le agenzie di rating? «Fanno gli interessi di quattro-cinque grandi banche di investimento speculativo e rappresentano istanze che vogliono danneggiare il paese. Le istituzioni dovrebbero dire questo, in Europa e in Italia: parlare alla gente, prendere per mano il popolo e pacificarne gli animi. Invece li eccitano, gli animi, spesso gli uni contro gli altri». Si sono fatte sentire anche le autorità europee: sui conti pubblici non si scherza. E’ vero, ribatte Sapelli, ma quelle «sono espressioni di una volontà di dominio antidemocratico».L’austerity, i poteri europei: «Il problema vero è che l’Europa si sta disfacendo, sotto i colpi non dei cannoni ma della progressiva occupazione di spazi di potere nella Ue e all’interno della macchina tecnocratica e burocratica europea», continua il professore. «In quanti sanno chi è Martin Selmayr, che da portavoce di Juncker si è ritrovato segretario generale della Commissione? Eppure è a capo di un esercito di più di 20mila funzionari e controlla le leve delle nostre vite». Sapelli aggiunge due osservazioni: la prima è che il popolo italiano ha eletto Di Maio, la seconda è che le istituzioni responsabilizzano, educano. «E perciò do fiducia anche al giovane Di Maio. Del resto, se qualcuno ha dato fiducia a Marianna Madia e nessuno ha battuto ciglio, perché non darla a Di Maio?». Pare che Salvini intenda fare muro su Savona: o va all’economia o salta tutto. «Se è così, fa bene. Se il nome fosse rifiutato si aprirebbe una faglia gravissima tra il presidente della Repubblica e il Parlamento». Resterebbe solo il voto. «Forse, nello stato in cui siamo, sarebbe la soluzione migliore». Con questa legge elettorale? «Non se ne possono fare altre. Per fare una legge elettorale seria ci vorrebbero dei partiti veri, con una cultura politica e di governo».Di Maio lo ha definito «l’italiano senza santi in paradiso». Avrebbe già dovuto ricevere l’incarico dal capo dello Stato di formare il nuovo governo, ma per ora non se ne parla. Giuseppe Conte è sotto la lente del Quirinale, che ha preso tempo per riflettere sulle credenziali del giurista e per tranquillizzare l’Europa e i “mercati”. «Il caso Conte assomiglia molto all’ennesima manovra per non far partire questo governo», dichiara l’economista Giulio Sapelli, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”. Per Sapelli, occorre non cedere al ricatto dei “mercati”, chiamandoli per nome e scegliendo di stare dalla parte delle gente. Ma non lo fanno né l’Europa, né chi attualmente comanda in Italia. Mattarella ha consultato i presidenti di Camera e Senato, prendendo altro tempo. «Non capisco perché», protesta Sapelli: «Avrebbe già dovuto mandare Di Maio in Parlamento, come si faceva nella Prima Repubblica». Un messaggio al Qurininale: «Prima ancora del rispetto della Costituzione – dice Sapelli – bisognerebbe comportarsi secondo la regola del buon padre di famiglia: questa mancanza di fiducia nelle persone e nel voto popolare è grave e preoccupante».
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Giovagnoli: perché la Chiesa ci ha tolto gli alberi millenari
Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.Nelle catacombe della storia cristiana, con l’aiuto di archivisti, Giovagnoli ha scovato le carte dello sconosciutissimo Concilio Namnetense, vero e proprio “fantasma” persino su Google, prima che uscisse “La messa è finita”, libro-denuncia nel quale il Folletto marchigiano riesuma lo sconcertante anatema lanciato dal Vaticano contro gli alberi più vetusti, ovviamente associati a misteriosi dèmoni. Altrettanto sconcertante il trattamento che vescovi e preti medievali si impegnarono a riservare alle maestose piante: dovevano essere segate e abbattute, poi addirittura sradicate, fatte a pezzi e infine bruciate – come fossero eretici in carne e ossa, e non monumenti (viventi) del mondo vegetale. Il sommo Guido Ceronetti, scrittore atipico e coltissimo traduttore, ha spiegato cosa c’è nella testa del piromane, quando non è un semplice incendiario a pagamento, reclutato dalla mafia della speculazione edilizia. E’ vero, il maniaco del fuoco prova sempre un segreto piacere nel veder divampare le fiamme, preparandosi poi a godersi di nascosto l’altro “spettacolo”, quello dei soccorsi. Ma c’è altro, in fondo alla sua mente: e cioè il gusto (probabilmente inconsapevole) della dissacrazione, della profanazione sacrilega. Perché i boschi, da che mondo è mondo – ricorda Ceronetti – sono sempre stati la dimora dei dèi. Ovvero: il tempio naturale di una sorta di patto sacro, tra l’uomo e l’universo.Giovagnoli collega le cose in modo diretto, persino brutale: la stessa mano che ci ha privato degli alberi millenari, dice, è quella che ha incatenato il mondo occidentale per 1700 anni, inaugurando la raffinata schiavitù psicologica della fede. Come Machiavelli, lo scrittore-alchimista la considera un sopraffino “instrumentum regni”: la sottomissione spinge gli uomini a mettersi in ginocchio e a chiedere assurdamente perdono – a umanissimi burocrati della religione – per non si sa quali peccati. «Ai romani servivano le catene, ai cristiani bastò il crocifisso». Un simbolo potentissimo e onnipresente, persino sulle cime dei monti: in molte conferenze, ora disponibili su YouTube, Giovagnoli propone un impetoso parallelo tra l’emblema cristico scelto dai cattolici – l’uomo in agonia sulla croce, atrocemente torturato – e «l’altro modello cristico, il meraviglioso Uomo Vitruviano di Leonardo, con tutti i suoi “centri di potere” liberi di esprimersi: la testa non cinta dalla corona di spine, mani e piedi non trafitti da chiodi ma in contatto con terra e cielo, e poi il sesso – i genitali tranquillamente esposti, non “bannati” come quelli del Gesù cattolico, nascosti da un panno». Citando il drammaturgo Alejandro Jodorowsky e il filologo-esegeta Igor Sibaldi, Giovagnoli sintetizza: «L’eros è la nostra maggiore forza creativa, quella che ci rende capaci di ribellarci; imprigionarlo e mortificarlo significa voler produrre generazioni di servi».Nella veemente invettiva anticattolica di Giovagnoli – fiero di essersi “sbattezzato” – c’è spazio anche per le entusiasmanti frontiere scientifiche dell’epigenetica, che studia i mutamenti “alchemici” che avvengono nel corpo umano di fronte a particolari sollecitazioni emotive. «Recenti studi esaminano l’effetto deprimente del suono delle campane: a chi le ascolta, in ultima analisi, ricordano l’onnipresenza di un potere superiore, insuperabile. Sono le stesse campane, dal suono grave, che venivano suonate per ammonire i fedeli: stai attento e vedi di rigare dritto, se non vuoi fare la fine degli eretici o degli ultimi sacerdoti pagani, appesi ai loro alberi sacri e lasciati morire lentamente, con il ventre squarciato». Campane e crocifissi, libertà di pensiero: opinioni, interpretazioni. Ma gli alberi? «In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In tutte, tranne che in quella cattolica». Baobab immensi in Africa, sequoie millenarie in America, foreste incontaminate in Asia. Niente di simile, purtroppo, in Europa: tranne rarissimi casi – come quello degli olivastri sardi, vecchi anche di tremila anni – da noi i grandi alberi generalmente non superano i 2-3 secoli di vita.Niente a che vedere con le maestose querce meravigliosamente raccontate da Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” scritta al seguito delle legioni romane: sul Baltico, le querce millenarie erano così immense da formare archi grandiosi, sotto i quali potevano transitare squadroni di cavalleria. Certo, ammette Giovagnoli, la rivoluzione industriale ha dato il colpo di grazia alle foreste madri europee. Ma la “guerra” contro i grandi alberi nasce prima, ed è squisitamente culturale: qualcosa di molto più sottile e profondo delle mere istanze economiche. Notare: «Più ci si allontana geograficamente dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma, e maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni straordinarie», insieme a popoli «con tradizioni che riconoscono all’albero un potere super partes nel vissuto spirituale». Non è un caso, aggiunge, se l’Italia si è data una legge-quadro sui parchi naturali solo negli anni ‘90. C’è stata una «evidentissima reticenza politica» nel concedere al verde la propria naturale importanza, in un paese cresciuto al suono dei campanili. «Al Grande Parassita – scrive Giovagnoli, alludendo al cattolicesimo – la natura selvatica non è mai piaciuta tanto; anzi, l’ha sempre considerata un intralcio», forse anche perché «chi conosce la natura selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria».A lui è accaduto anni fa, racconta, quando era alle prese con un dramma: nessun medico sembrava in grado di curarlo. «Mi sono allora comportato da alchimista», dice a Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ho cercato volutamente lo stato di “nigredo”, la dissoluzione dell’Io, calandomi da solo nella cosa che più mi faceva paura: il bosco di notte». Scendere nel proprio buio: come Dante, che la sua resurrezione iniziatica la comincia proprio dalle tenebre dell’Inferno. «A un certo punto – racconta Michele – ho sentito un gran caldo alla pancia, e sono crollato in un pianto dirotto, fino all’alba. Tornato a casa, sono andato dal medico e ho scoperto che ero guarito». Come? Mistero: «Posso solo dire che l’albero è il nostro più grande alleato, sulla Terra». Inutile chiedere a un poeta di fare un disegno. Meglio assecondare la sua vena: «Un bosco ti sente, ti ascolta, percepisce la tua energia vibrazionale. Può anche mutare all’istante la sua composizione chimica, producendo acido acetil-salicilico. E’ qualcosa di prodigioso, che cambia la qualità dell’aria e può entrarti nella pelle, per osmosi». Alchimista autodidatta ed entusiasta, “miracolato” dai suoi alberi, Giovagnoli fa notare come sarebbe bello, se oggi avessimo a portata di mano quelle piante millenarie, oscenamente distrutte nel medievo. «Erano un pezzo della memoria vivente del mondo: avevano respirato la stessa aria di Gesù». E a proposito di aria: «Non potremmo vivere, senza gli alberi: sono loro a fabbricare l’ossigeno che ci tiene in vita».In tutte le tradizioni autenticamente esoteriche, inclusa quella ben conosciuta dal citato Leonardo, lo specchio è un simbolo principe: capovolgendo l’immagine, offre la visione integrata e complementare dell’insieme. Tradotto in “giovagnolese”: «Fateci caso: gli organi che respirano l’ossigeno prodotto dal bosco sono come alberi rovesciati: i polmoni la chioma, e sopra di loro i bronchi, le radici, ramificate in modo frattale esattamente come i rami delle piante». Serve altro, per capire come mai i grandi alberi erano sacri? «C’erano prima di noi, sono la storia della Terra. Sono stati i primi a uscire dall’acqua, creando un’atmosfera respirabile per gli esseri umani». Di più: «E’ come se gli alberi entrassero in noi, a partire dalla nascita: quella che respiriamo è la loro aria, il loro ossigeno». Gli alberi, poi, non conoscono frontiere: «Pensate a quando vanno in amore, in primavera: il polline di un noce greco può volare sul mare, per andare a “corteggiare” un noce cresciuto in Puglia». Aprite gli occhi, ripete Giovagnoli: «Non c’è una croce a congiungerci con l’universo: c’è un albero. Per questo, chi ha diffuso croci ha voluto abbattere gli alberi. E il più delle volte, le chiese sono state erette proprio là dove prima sorgevano alberi millenari». Teologia: la visione trascendente “sfratta” la divinità dal mondo: Dio c’è, ma è altrove. Non è immanente, nella natura. «Tutto falso», assicura il Folletto. «Non ci credete? Provate. Il bosco vi aspetta. Ed è pronto ad aiutarvi, come ha fatto con me».(Il libro: Michele Giovagnoli, “La messa è finita. Come liberarsi dal più subdolo dei parassiti. Gli acutissimi strumenti di dominio in dotazione al clero”, Uno Editori, 174 pagine, euro 12,90. Giovagnoli ha inoltre scritto “Alchimia selvatica. La via del riveglio attraverso le arti magiche del bosco”, Macro Edizioni, mentre con Uno Editori ha appena pubblicato “Imparare a parlare con gli alberi. Manuale pratico per comunicare, evolvere e guarire con il bosco”).Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.
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La stampa vile e bugiarda sulla vergogna di Israele a Gaza
«Ho appena sentito il Gr2 della Rai chiedere ad un “esperto” dell’università privata Luiss il suo autorevole parere sulla strage di palestinesi. Costui ha spiegato che i palestinesi, soprattutto quelli legati ad Hamas, fanno troppi figli e poi li mandano al massacro alle frontiere di Israele che, magari con qualche eccesso, si difende. Questo schifo è ciò che gran parte di stampa e Tv italiane dicono sulla strage». Così Giorgio Cremaschi commenta, su “Contropiano”, l’ultima mattanza commessa da Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, insorta dopo il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, neo-proclamata capitale dello Stato ebraico: 55 dimostranti uccisi e centinaia di feriti, abbattuti dai cecchini dell’esercito. «Se un massacro di ben lunga inferiore a questo ci fosse stato in uno dei paesi che l’Occidente considera nemici dei diritti e della democrazia – scrive Cremaschi, già leader sindacale Fiom e ora vicino a “Potere al Popolo” – noi saremmo bombardati da titoli di giornali e servizi tv di condanna. Invece Israele per la nostra stampa ha licenza di uccidere. Se uccide quotidianamente senza troppo clamore, allora si censura. Se il sangue deborda e la strage è colossale allora si mistifica».Per la stampa italiana, che Cremaschi definisce «vile e bugiarda», la colpa di tutto è la rabbia dei palestinesi, «naturalmente senza altre spiegazioni che la loro naturale cattiveria, fomentata dai terroristi di Hamas». Un orrore filmato, fotografato: «I soldati vili e criminali che dal sicuro dei loro nascondigli con fucili di precisione assassinano i manifestanti, adulti e bambini, non sono terroristi, ma “tutori dell’ordine”. Le bombe d’artiglieria e degli aerei, i gas, sì i gas sulla popolazione civile sono “legittima difesa”. I volti sorridenti nel mare di sangue della famiglia Trump e di Netanyahu non fanno orrore, essi sono “diplomazia amica”». Inutile sperare che un po’ di giustizia affiori, dal racconto mediatico quotidiano: «Tutto viene falsato, distorto, coperto. La stampa italiana diventa complice degli assassini di Israele nel modo più disgustoso. E tacciono i difensori di regime dei diritti umani, i Saviano e compagnia, che qui si tappano bocca, occhi, orecchie». Era già accaduto con la carneficina di “Cast Lead”, l’Operazione Piombo Fuso scatenata da Israele a cavallo tra 2008 e 2009, con bombe al fosforo bianco (armi illegali di distruzione di massa) lanciata sulla popolazione di Gaza: 1400 morti, secondo l’Onu, e settimane di inaudito silenzio da parte dei media mainstream.«Tutto questo a me provoca il vomito», protesta Cremaschi. «Per questo mi tappo la bocca, lo faccio contro la vergogna della stampa italiana e dei suoi maestri di pensiero». E aggiunge: «Nessuno che abbia coperto o attenuato i crimini di Israele ha più ragione morale di parlare di diritti e democrazia. Falsi e ipocriti, vergognatevi». Una condanna senza appello: «Mi tappo un attimo la bocca davanti al vostro schifo, ma poi riprenderò ad urlare: abbasso l’apartheid assassino di Israele, viva la Resistenza del popolo di Palestina». Artisti internazionali come Brian Eno e Roger Waters dei Pink Floyd hanno lanciato rumorose campagne civili contro “l’apartheid” israeliano che discrimina i palestinesi, ma nemmeno le rockstar sono riuscite a perforare il muro di omertà che protegge i crimini del governo di Tel Aviv, denunciati anche dall’isolato eroismo del movimento dei Refuseniks, gli obiettori militari israeliani (soldati che preferiscono il carcere alle missioni di bombardamento contro i quartieri della Striscia). Non c’è speranza che i Refuseniks – ultimo caso eclatante, quello del ventenne Udi Segal – possano “bucare” il piccolo schermo italiano, dominato da telegiornali-camomilla e talkshow occupati militarmente (quelli sì) dai cantori della nientologia politica corrente, asservita al regime che assegna ai banchieri della Bce l’unica sovranità rimasta all’ex Europa dei popoli, quella che esisteva prima dell’Unione Europea.«Ho appena sentito il Gr2 della Rai chiedere ad un “esperto” dell’università privata Luiss il suo autorevole parere sulla strage di palestinesi. Costui ha spiegato che i palestinesi, soprattutto quelli legati ad Hamas, fanno troppi figli e poi li mandano al massacro alle frontiere di Israele che, magari con qualche eccesso, si difende. Questo schifo è ciò che gran parte di stampa e Tv italiane dicono sulla strage». Così Giorgio Cremaschi commenta, su “Contropiano”, l’ultima mattanza commessa da Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, insorta dopo il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, neo-proclamata capitale dello Stato ebraico: 55 dimostranti uccisi e centinaia di feriti, abbattuti dai cecchini dell’esercito. «Se un massacro di ben lunga inferiore a questo ci fosse stato in uno dei paesi che l’Occidente considera nemici dei diritti e della democrazia – scrive Cremaschi, già leader sindacale Fiom e ora vicino a “Potere al Popolo” – noi saremmo bombardati da titoli di giornali e servizi tv di condanna. Invece Israele per la nostra stampa ha licenza di uccidere. Se uccide quotidianamente senza troppo clamore, allora si censura. Se il sangue deborda e la strage è colossale allora si mistifica».
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Della Luna: il ruolo del Colle nella colonia-Italia, non da oggi
L’operato degli ultimi inquilini del Quirinale «manifesta che il presidente della Repubblica non è un’istituzione italiana, è un organo dell’ordinamento sovranazionale preposto ad assicurare l’obbedienza dei governi italiani agli interessi stranieri egemoni, cioè al vero sovrano». Parola dell’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi”, “Cimiteuro” e “Oligarchia per popoli superflui”. Mattarella avverte Di Maio, ma soprattutto Salvini, che starà a lui – e non ai parlamentari eletti dal popolo – scegliere il nome del futuro premier, nonché di un ministro dell’economia “amico” di Bruxelles e di un ministro degli esteri “non amico” della Russia? Persino ovvio, per Della Luna, secondo cui ormai da molti anni il Quirinale – vedasi Ciampi e Napolitano – tutela soprattutto i grandi architetti del sistema eurocratico. Mattarella? Mette i bastoni tra le ruote ai 5 Stelle e alla Lega, che le elezioni le hanno vinte, ma è stato eletto dal Pd ora sconfitto, attraverso un Parlamento dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale di cui proprio Mattarella era autorevole esponente. Così adesso per Della Luna «abbiamo questa curiosa situazione, grottescamente anti-democratica, in cui i rappresentanti della maggioranza del popolo “sovrano” devono subire volere contrario del presidente scelto dalla controparte politica, nominato da una maggioranza illegittima e non più esistente».Un presidente, scrive Della Luna nel suo blog, il quale «si riserva di approvare, se non anche di designare (con operazioni a porte chiuse e su cui intervengono cancellerie straniere contrarie a una politica indipendente dell’Italia) il capo del governo, i ministri, le stesse linee politiche di fondo, imponendo in particolare l’adesione del progetto europeista e alle regole già prescritte dall’eurocrazia – ossia, compiendo una scelta politica autoritaria al fine di vincolare la maggioranza e il governo, contro la maggioranza parlamentare e del paese, che ha una posizione critica nei confronti di quel progetto e di quelle regole eurocratiche, che vuole rinegoziarle a fondo, alla luce dei loro accertati effetti sfavorevoli soprattutto sull’Italia». Rinegoziare le regole Ue? «Una volontà che il “sovrano” straniero non accetta e che contrasta attraverso il Colle – che non è Italia». Per questo, Mattarella ha ammonito «i rappresentati della maggioranza sovranista degli italiani: sbagliate ad essere euroscettici, dovete smetterla». E se l’Unione Europea si è consegnata alla finanza, divenendo «una centrale di controllo bancario sulle nazioni, di concentrazione del reddito e del potere nelle mani di un’élite finanziaria parassitaria e antisociale, che toglie diritti, lavoro, reddito e sicurezza alla gente», per Della Luna tutto questo avviene «per il tornaconto di una classe finanziaria globale detentrice del vero potere», ben decisa a «riformare la società e il diritto a proprio vantaggio».Un piano che, insiste Della Luna, «i presidenti italiani devono assecondare». Al di là della retorica europeista – alla quale gli elettori non credono più, come si è visto il 4 marzo – la verità è che «l’establishment del paese più forte, cioè della Germania, spalleggiato da qualche complice come la Francia, che riceve benefici, scarica i suoi costi del superamento delle difficoltà sui paesi più deboli». Questa è la realtà dell’Ue: «Certo, sarebbe bello essere uniti e solidali per affrontare le difficoltà, ma le cose non vanno a questo modo». Attenzione: «Ogni presidente lo sa perfettamente, ma deve fingere», sostiene Della Luna. «L’inesistente mondo della solidarietà nei rapporti internazionali e dell’unione che fa la forza è solo una dissimulazione del fatto che gli alti interventi dei presidenti sono atti di obbedienza a interessi di potenze straniere dominanti, come quando uno di essi, violando la Costituzione, ci mandò in guerra contro la Libia e a nostro danno, al servizio di interessi soprattutto francesi; o come quando ci impose Monti e le sue politiche a beneficio dei banchieri speculatori franco-tedeschi». Della Luna lo ripete da anni: «La funzione reale del presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale – è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive».Affinché possa svolgere quel ruolo, il Quirinale «è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche, analogamente a come, nelle monarchie, il re è protetto da esse, perché egli è la fonte ultima di legittimazione del potere costituito e degli interessi che esso serve», aggiunge Della Luna. «Solo che nelle vere monarchie il re era protetto nell’interesse del suo paese, mentre nel protettorato-Italia il presidente è protetto nell’interesse del sovrano straniero». Inoltre nelle monarchie contemporanee il sovrano non governa direttamente, e così salva sempre la faccia alla corona in caso di malgoverno. «Esistono persino norme che puniscono penalmente chi attribuisca al monarca la responsabilità politica di atti del governo», puntualizza Della Luna, sebbene il monarca «sovente scelga il primo ministro e indirizzi l’azione del governo mediante vari strumenti, a cominciare dai discorsi pubblici, dalla “moral suasion”, e passando attraverso i servizi segreti e la sua partecipazione al sistema bancario centrale». Nell’ordinamento repubblicano italiano, secondo l’analista, vi sono residui più o meno forti di questa dualità: da un lato istituzioni e poteri protetti, e dall’altro istituzioni e poteri logorabili. «Le istituzioni protette sono principalmente il Capo dello Stato, i magistrati, il sistema bancario; non più il Parlamento (che è composto perlopiù da nominati delle segreterie partitiche, privi di reale e autonomo potere, aventi funzione sostanzialmente di ratificatori e di figuranti)».Capo dello Stato e potere giudiziario sono detti “poteri neutri”, scrive Della Luna, «anche se palesemente non sono neutri né neutrali», mentre le istituzioni «esposte al logorio, al biasimo, alle responsabilità, all’insuccesso, alla verifica dell’efficacia-inefficacia del loro operato, sono invece quelle politiche: il Parlamento e, soprattutto, il governo». Proprio ora il tribunale di sorveglianza ha riabilitato Berlusconi con un mese di anticipo, «così che adesso Silvio può rientrare in Parlamento e scompigliare i giochi». C’è chi vede in questa mossa «un ulteriore intervento politico di un potere protetto e falsamente neutro – quello giudiziario – per boicottare un governo Lega-M5S pericoloso per gli interessi “europei” sull’Italia». Da noi, aggiunge Della Luna, il presidente della Repubblica esercita poteri anche di indirizzo governativo e legislativo, «ma non è esposto a logorio, a delegittimazione, a biasimo, al perdere la faccia, anche quando interviene su chi è esposto». Di fatto, «il presidente non ha mai torto, è sempre saggio: tutti elogiano le sue affermazioni, manifestando ammirazione e consenso per esse, anche quando sono banali o faziose o false». Per converso, «chi si oppone e le critica, appare come un estremista». Il presidente? «Non ha un passato rimproverabile, o lo ha ma non se ne deve parlare. I mass media lo rispettano».E’ un potere palesemente temuto, quello del Quirinale, «dotato di efficaci e poco regolamentati strumenti per delegittimare e mettere in crisi l’azione sia dei poteri politici che degli organi giudiziari», scrive Della Luna. «Strumenti che agiscono sottobanco, senza trasparenza. Strumenti per sostenere o attaccare e per bloccare attacchi e indagini». Il Quirinale «dispone di un numeroso personale (oltre 800 persone) e di molto denaro, che può usare senza specificare per che cosa». Tutti, quindi, si guardano dal criticare il presidente della Repubblica. «Al più si può fingere che le sue parole abbiano significati e implicazioni che non hanno, per tirare la sua autorevolezza dalla propria parte, o per fare apparire le sue esternazioni come meno critiche di quello che in realtà intendono essere». Per Della Luna, in ogni caso, si tratta di caratteristiche storiche: l’operato dei presidenti, sostiene, «non è libero, ma è conseguenza della posizione subordinata e servile che l’Italia ha e ha sempre avuto, sin dalla sua creazione come Stato unitario». Una posizione dalla quale l’Italia «ha ripetutamente e invano tentato di uscire, per elevarsi alla parità con le altre potenze, dapprima mediante le conquiste coloniali, poi mediante la partecipazione alla I Guerra Mondiale, indi alla II Guerra Mondiale».La capitolazione del 1943 «l’ha ridotta a un livello ancora più subordinato», e i successivi tentativi di praticare politiche di interesse nazionale, anche in settori limitati, «sono stati stroncati in vario modo: si pensi a Mattei, a Moro, a Craxi, per finire col “colpo di Stato” del 2011», attraverso il quale l’élite europea ha insediato Monti a Palazzi Chigi tramite Napolitano. Posto che un giorno l’Italia si liberi dall’egemonia straniera e che provi davvero a fare qualche riforma in senso democratico «per porre fine alle interferenze sottobanco di poteri non delimitati», secondo Della Luna «quel giorno l’istituto del presidente della Repubblica andrà sostanzialmente modificato: o ne si fa un capo politico, politicamente responsabile e criticabile, eletto dal popolo – cioè si fa una repubblica presidenziale o semi-presidenziale – oppure ne si fa un notaio senza poteri politici». Ma allora, conclude Della Luna, occorre un sistema elettorale che formi direttamente la maggioranza di governo attraverso un ballottaggio per assegnare il premio di maggioranza, e che elegga pure direttamente il primo ministro attraverso il suo abbinamento alla lista: un cancelliere con facoltà di nominare e revocare i ministri, dettare l’indirizzo di governo e persino sciogliere le Camere. Orizzonti oggi impensabili, in quest’Italia ancora al guinzaglio della concorrenza europea e anti-italiana, che si nasconde dietro l’alibi comunitario di Bruxelles.L’operato degli ultimi inquilini del Quirinale «manifesta che il presidente della Repubblica non è un’istituzione italiana, è un organo dell’ordinamento sovranazionale preposto ad assicurare l’obbedienza dei governi italiani agli interessi stranieri egemoni, cioè al vero sovrano». Parola dell’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi”, “Cimiteuro” e “Oligarchia per popoli superflui”. Mattarella avverte Di Maio, ma soprattutto Salvini, che starà a lui – e non ai parlamentari eletti dal popolo – scegliere il nome del futuro premier, nonché di un ministro dell’economia “amico” di Bruxelles e di un ministro degli esteri “non amico” della Russia? Persino ovvio, per Della Luna, secondo cui ormai da molti anni il Quirinale – vedasi Ciampi e Napolitano – tutela soprattutto i grandi architetti del sistema eurocratico. Mattarella? Mette i bastoni tra le ruote ai 5 Stelle e alla Lega, che le elezioni le hanno vinte, ma è stato eletto dal Pd ora sconfitto, attraverso un Parlamento dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale di cui proprio Mattarella era autorevole esponente. Così adesso per Della Luna «abbiamo questa curiosa situazione, grottescamente anti-democratica, in cui i rappresentanti della maggioranza del popolo “sovrano” devono subire volere contrario del presidente scelto dalla controparte politica, nominato da una maggioranza illegittima e non più esistente».
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Paolo Rumor: un potere segreto ci domina da 12.000 anni
Un’entità clandestina, sinistra perché invisibile. Segretamente dominante, e molto antica: vecchia di millenni, addirittura. «Mi addolora, aver scoperto l’esistenza di un’Europa nascosta e parallela: interviene nella politica e anche nella cultura, condizionando il nostro mondo». E’ qualcosa di proto-storico, quasi eterno: oggi, attraverso i suoi emissari, questa entità fantasma «agisce accorpando fattori monetari e produttivi, di cui paghiamo le conseguenze sulla nostra pelle», come si è visto nella débacle dell’ultimo decennio. «La distruzione dell’equilibrio monetario europeo è frutto di queste persone». Una cupola misteriosa di origine antichissima: addirittura 12.000 anni. Paolo Rumor la chiama, semplicemente, “la Struttura”. Risalirebbe alla notte dei tempi, nel territorio che vide fiorire la civiltà sumera e poi quella egizia. Ne parlò a suo padre, Giacomo Rumor, l’esoterista e politico francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo: gli rivelò, per iscritto, l’esistenza plurimillenaria della “Struttura”. Una conferma viene dal cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI e amico di Giacomo Rumor, coinvolto dal Vaticano nella gestazione dell’unità europea per bilanciarne l’esuberante componente massonica.Nomi che ricorrono: il padre di Paolo Rumor era cugino del più celebre Mariano Rumor, esponente della Dc e per 5 volte primo ministro italiano. Lo Schumann menzionato, invece, non ha nulla a che vedere con l’altro Schuman (sempre francese, ma con una sola “enne” nel cognome), cioè l’eurocrate Robert, considerato – insieme al connazionale Jean Monnet – tra i padri fondatori dell’Ue. La notizia? Questo potere oligarchico si considera discendente di una filiera ininterrotta di dominatori, lunga qualcosa come 12 millenni. E’ la verità, piuttosto scioccante, contenuta nel saggio “L’altra Europa”, edito da Panda. Libro che Paolo Rumor ha scritto con l’aiuto del politologo Giorgio Galli, grande conoscitore del ruolo occulto dell’esoterismo nella politica, e dell’architetto Loris Bagnara, studioso dell’archeo-astronomia egizia della piana di Giza. La tesi: un’unica piramide di potere si “passa il testimone” attraverso le epoche, all’insaputa dei popoli che governa – ieri per mezzo di sovrani e condottieri, oggi più prosaicamente attraverso i politici, il più delle volte inconsapevoli del “grande gioco”. Una visione che fa impallidire l’élite “feudale” denunciata da Paolo Barnard, risalente “soltanto” al medioevo, o l’intreccio delle potentissime Ur-Lodges messe clamorosamente in piazza da Gioele Magaldi.«Il progetto iniziale non era di unire l’Europa ma il bacino del Mediterraneo, dove allora si era sviluppata la civiltà», premette Paolo Rumor nella lunga intervista concessa a Fabio Frabetti ai microfoni di “Border Nights”. Tutto nasce dopo la morte del padre, Giacomo Rumor, nel 1981. Il figlio era al corrente del lavoro “diplomatico” condotto dal genitore quarant’anni prima. Brillante avvocato e fervente cattolico, impegnato nella Resistenza, Giacomo Rumor era stato coinvolto nel gruppo di studi promosso dallo stesso presidente americano Roosevelt per preparare l’Europa antifascista del dopoguerra. Erano incontri discreti, spesso clandestini: «Mio padre andava e veniva da Vienna o dal Sud della Francia viaggiando sotto falso nome. In tempo di guerra può sembrare pazzesco, eppure dovevano aver trovato un sistema per evitare controlli». Giacomo Rumor entra in stretto contatto con Maurice Schumann, futuro segretario di Stato francese, che lo mette a parte della verità indicibile. Rumor ne rimane scosso: «Mio padre era un cattolico convinto, e come tale provava fastidio per l’esoterismo», racconta il figlio. La componente esoterica era evidente in Schumann, e a Giacomo Rumor non piaceva. «In effetti dopo un po’ mio padre ha rinunciato all’incarico, rendendosi conto che l’Europa nasceva con un consistente lascito massonico».A Simone Leoni, della rivista “Fenix”, Paolo Rumor riassume l’origine (sconcerante) del libro. «Mio padre non aveva intenzione di pubblicare gli incartamenti in suo possesso, né di rendere noto ciò che aveva conosciuto», premette. «Riteneva che il pubblico non fosse in grado di accettare ciò che lui era venuto a sapere dai suoi privilegiati interlocutori francesi». In sostanza, Giacomo Rumor «pensava che il mondo non fosse ancora maturo per sostenere l’impatto emotivo che possono provocare gli eventi storici reali, quelli mai divulgati al pubblico». Poi, però, all’inizio deglo anni ‘90, Paolo Rumor si accorge che molti indizi stanno ormai venendo a galla, e quindi decide di pubblicare «gran parte di ciò che possedevo». E aggiunge: «Mi sono sentito liberato da un peso che mi gravava sulla coscienza: quello di trattenere notizie che in definitiva appartengono alla collettività e alla storia».Forme di unità continentale sono state l’Impero Romano e poi il Sacro Romano Impero. Ma, secondo Rumor (in base alle carte di suo padre, ottenute da Schumann) l’attuale Unione Europea sarebbe figlia di un progetto molto più antico: il primo disegno organico, scrive, è databile nel II secolo dopo Cristo. Ma risalirebbe in realtà a una determinazione stabilita addirittura attorno al 10.000 avanti Cristo. Ufficialmente, ricorda Rumor, il moderno progetto-Europa è nato dal Mouvement Européen francese, nei primi decenni del 1900. Ma è stato “incubato” da un cenacolo esclusivo del ‘700, l’Ordine delle Ardenne (o di Stenaj), a sua volta risalente al potere imperiale di Roma. La “Struttura” descritta nel libro «non risulta possedere un nome definito», spiega l’autore: «Si maschera dietro altre compagini associative, dinastiche e religiose». Nell’elenco custodito da suo padre, «figura risalire fino al 136 dopo Cristo, ma si parla di un’antecedenza molto maggiore». In altre parole: «Possiamo ritenere che essa esistesse anche durante il periodo romano e alessandrino, evidentemente con scopi diversi da quello prettamente ufficiale, cioè l’unificazione del bacino mediterraneo, in quanto a quel tempo era stata di fatto raggiunta tramite la dominazione romana».Nello scritto che Schumann consegnò a Giacomo Rumor verso la fine degli ani ‘40, «si enunciava un’antecedenza della cosiddetta “Struttura” al decimo millennio avanti Cristo». E’ precisa anche l’ubicazione dell’entità di potere, «centrata prevalentemente nel basso corso del Nilo, nel Golfo Persico (ma in aree oggi sommerse), nel Golfo di Cambaj, a Galonia Laeta, nel “continente di Colba” (non identificabile) e in altri siti di incerta collocazione». Sono dunque così remoti, gli antenati del grande potere oggi alle prese con il “nuovo ordine mondiale” globalista? L’idea di un “nuovo ciclo storico”, spiega Paolo Rumor, «trae origine da concezioni simili, proprie della religione e della visione cosmica dell’antico Egitto dinastico o di altre civiltà del Mediterraneo». L’autore ritiene che vi siano «reali e precise coincidenze tra la collocazione dei siti e la descrizione degli eventi di cui parlano gli incartamenti di monsieur Schumann». Coincidenze peraltro «avvalorate dalla ricerca paleografica avvenuta negli ultimi anni».Le cartografie conservate da Rumor «descrivono la derivazione della prima compagine organizzata in modo civile della storia». E’ la stessa dinamica illustrata nel saggio “Dominio” dall’intellettuale triestino Francesco Saba Sardi: la nascita dell’attuale modello di potere, con l’avvento del neolitico e la scoperta dell’agricoltura, da cui l’inedita necessità di controllare militarmente territori coltivabili. E’ allora che, insieme alla guerra, nasce la figura del re-sacerdote, il detentore di conoscenze supeirori su come ottenere i raccolti. Nascono anche altri soggetti sociali, assenti tra le popolazioni nomadi del paleolitico: i servi, contadini e soldati. I loro compiti: coltivare i campi, conquistarli, difenderli. Nasce, in altre parole, questo potere – configurato in forma di dominio, per la prima volta nella storia dell’umanità. Una dinamica che il libro di Paolo Rumor – inseguendo i primordi del supremo potere in forma di casta – mappa con precisione, «a partire dal noto sito di Menfi o dalla collina rocciosa ove è ubicata la Sfinge, alla periferia del Cairo odierno, fino alla sua precedente collocazione lungo gli originari siti fluviali del Tigri e dell’Eufrate, nell’Iraq meridionale, e all’interno di quello che adesso è il Golfo Persico e che, precedentemente, in un periodo che si aggira sull’8000 avanti Cristo, era ancora una pianura abitabile, non sommersa dal mare».In quest’ultima zona, tra le spiagge dell’Iraq e quelle dell’Iran, si sarebbe formato il primo nucleo che avrebbe fatto da culla alla società cui apparteneva la “Struttura” vera e propria, prima che il mare, invadendo le coste, costringesse i proto-Sumeri a spostarsi nella Mesopotamia interna e poi in Egitto. Ne parla anche Graham Hancock in “Civiltà sommerse”, edito da Corbaccio. «Ritengo che la storia dell’Egitto arcaico – dice Rumor – racconti, nella versione del mito, l’evoluzione della specie umana più di ogni altra civiltà antica». Il mito del “nuovo ciclo storico” si è poi “travasato” con mille affluenti nella cultura delle epoche posteriori, fino ai tempi moderni (dall’uomo nuovo del comunismo all’antropologia odierna della plebe globalizzata senza più diritti). «Non sarebbe la prima volta che, cercando il mito, si raggiunge la realtà», dice Paolo Rumor. Lo stesso Mauro Biglino, autore di una rilettura letterale della Bibbia, ricorda che solo grazie alla sua fede nelle pagine dell’Iliade il tedesco Heinrich Schliemann giunse a scoprire le rovine di Troia.Tornando al francese Schumann e alla storia della “Struttura”, Paolo Rumor tratteggia un network potentissimo e invisibile, fatto di uomini politici ed esponenti del mondo della cultura, ricercatori scientifici e archeologi, etnologi, antropologi. Ma anche uomini di Chiesa e personaggi delle più disparate etnie. Nel ‘900, la maggior parte dei leader del network-fantasma è di estrazione francese, inglese e germanica. «Mano a mano che si arretra nel tempo – spiega Rumor – l’elenco contempla una prevalenza francese», mentre, continuando a ritroso, «nel periodo greco-romano la componente etnica è quasi esclusivamente ebraica». L’elenco di Maurice Schumann termina all’inizio dell’era cristiana, ma attenzione: «Esiste un secondo elenco, solamente enunciato a mio padre e non consegnatogli – aggiunge Paolo Rumor – che contiene l’ascendenza dei nominativi fino all’epoca di inizio della “Struttura”», nel decimo millennio avanti Cristo. Diecimila anni dopo, nel libro di Paolo Rumor, compare il fatidico termine “Illuminati”. «E’ usato per descrivere un gruppo o categoria di persone di stirpe giudaica, vissute in Palestina in un periodo antecedente il 136 dopo Cristo». Lo stesso termine, aggiunge l’autore, indica persone vissute anche nel basso Nilo, nello stesso periodo. Coincidenze?Si chiamano infatti “illuminati” anche i re pre-dinastici, probabilmente capi tribù egizi risalenti a prima del regno di Menes, cioè il sovrano che unificò i diversi territori tribali intorno al 3100 avanti Cristo ed eresse la sua capitale, Menfi. Sempre intervistato da Leoni per “Fenix”, Rumor prova a spiegare i possibili, vertiginosi collegamenti tra la valle del Nilo e i palazzi di Bruxelles. L’ambiente esoterico-politico che si era occupato delle prime fasi dell’Europa unita, premette, condivideva «la particolare convinzione di far parte di una consorteria la cui linea ininterrotta affondava asseritamente le proprie origini nell’antichità più remota», quella del Mediterraneo del 10.000 avanti Cristo. Che intenzioni aveva, quell’élite-ombra, cent’anni fa? In teoria, diceva di voler creare «una sorta di umanità nuova, diversa da quella dei secoli precedenti», lontana dagli orrori bellici del ‘900. Sulla carta, un’umanità «ispirata a criteri di fratellanza e ad un’etica civica rinnovata», verso «un mondo migliore». In realtà, la “Struttura” si è nascosta molto bene nei gangli istituzionali: interferisce nei maggiori eventi economici scavalcando gli Stati, come sappiamo. Quello che sbalordisce è leggere che questa entità era presente già nell’antichità.Secondo i documenti presentati da Rumor, intorno ai due secoli posti a cavallo dell’era cristiana, l’oligarchia-fantasma costituiva “un diffuso movimento non conformista”, «fortemente orientato in termini religiosi» ma al tempo stesso «vocato ad azioni militari per la salvaguardia della propria identità». All’epoca, aggiunge l’autore, la centrale di potere era collocata nella Giudea sotto la dominazione romana. Ma attenzione: verso la metà del primo secolo, la “Struttura” «ha subito una violenta scissione al suo interno, ad opera di agenti infiltrati dagli occupanti militari». Una buona parte del movimento, continua l’autore, è andata a originare «quella che poi diventerà l’organizzazione cristiana delle origini». Il Cristianesimo, dunque, come “format” politico creato da metà dell’élite, inizialmente unita. «Invece, la parte rimasta fedele alle proprie origini ideologiche e storiche ha continuato ad operare come prima, mimetizzandosi in una proliferazione di fazioni e società segrete», fino ad assumere un indirizzo comune all’interno del continente europeo.Ricapitolando: «L’ambiente politico che ha dato impulso all’Unione Europea appartiene ad una “consorteria” che, asseritamente, fa risalire sé stessa alla prima organizzazione sociale nata nell’Egitto protostorico attorno al diecimila avanti Cristo. Ne esistono le prove, anche se io stesso – ammette Rumor – ho fatto fatica a prestar fede ad un tale enunciato, che cozza contro la maggior parte delle conoscenze scientifiche in materia». Ma la vera e propria novità, «che l’ambiente esoterico-politico dei costruttori dell’Europa nasconde», secondo Rumor «consiste nel fatto che quello che noi oggi conosciamo come Cristianesimo è nato in realtà come un’opera di dissimulazione, frutto del tentativo di reazione della Roma antica a quell’ambiente giudaico che si tramandava l’antichissima consorteria». Paolo Rumor invita i lettori a consultare libri come “Il mistero del Mar Morto”, di Michael Baigent (Feltrinelli), giusto per orientarsi meglio fra tornanti storici sfuggenti. Altro consiglio di lettura: le opere di Theodor Reik sull’interpretazione della Bibbia e dei miti antichi, compresa l’origine del Cristianesimo dall’Ebraismo. «Queste letture dovrebbero “corazzare” ciascuno dal non cadere nella trappola dei miti moderni e dalla superficiale interpretazione delle opere religiose in genere».Quanto alla spiazzante rivelazione de “L’altra Europa”, fino ai misfatti degli attuali oligarchi, Rumor si esprime con la massima franchezza anche a “Border Nights”: «Uno dei modi per dirigere la politica internazionale è proprio l’accentramento delle proprietà monetarie e della produzione. Oggi l’economia conta più della politica: ed è in questo modo che agisce questa organizzazione segreta, diffusa a livello mondiale». E’ lecito chiamarli Illuminati? «E’ uguale: possiamo usare sinonimi, ma la sostanza è la stessa». E il network non ha limiti, non conosce frontiere né bandiere: «Abbiamo trovato la presenza di questa “Struttura” nella Chiesa cattolica, in molte associazioni filantropiche. Soprattutto l’abbiamo trovata nella scienza, negli ambienti universitari, nella ricerca». Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, parla di due “piramidi oscure” e concorrenti, i cui vertici però si toccherebbero: uno è massonico, l’altro cattolico (ma discendente da culti preesistenti: «A Roma, il Pontifex Maximus contava più dell’imperatore»). Spiega Paolo Rumor che la “Struttura” «ha avuto modo di diffondersi nell’ultimo secolo attraverso un sistema “a cellule”; collegate tra loro, si scambiano messaggi, conoscenze, impulsi da dare all’esterno».Quello delle “cellule”, dice Rumor, è uno schema perfetto: ognuno conosce direttamente solo il proprio superiore e il diretto sottoposto. «E’ un modo molto efficace per nascondersi, per non essere identificati: ottimale, visti gli scopi prefissi». E’ la piramide degli Invisibili: «Sui politici influisce in maniera subdola, indirizzando le aspettative delle persone e promuovendo idee politiche distorte». Ha uomini ovunque. Montini, per esempio: «Telefonò a mio padre per tentare di salvare il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, dall’attentato che lo avrebbe ucciso. Il futuro Paolo Vi ne era al corrente, perché lavorava nel servizio segreto del Vaticano». Per l’unità europea, aggiunge Rumor, il vertice cattolico «è stato molto importante, un catalizzatore di rilievo». Era preoccupata, la Santa Sede, nell’immediato dopoguerra: vedeva nascere l’Europa unita sotto una forte egemonia massonica. L’esoterismo? E’ sempre stato «il linguaggio degli ambienti elitari», dice Rumor. «Cultura ed esoterismo in Europa sono sinonimi, perché hanno dovuto “sposarsi”, in un certo senso, per poter sopravvivere: per non essere fagocitati dalla Chiesa oppure dall’Islam».Fa impressione, comunque, “scoprire” che il potere di Bruxelles sia insediato da una “Struttura” che, a quanto pare, si considera erede dei sumeri e della Valle dei Re. Un filo segreto unisce l’unione bancaria europea di Mario Draghi al mitico Codice di Hammurabi? E Papa Francesco, oltre a essere il primo gesuita al Soglio di Pietro, è dunque anche l’ultimo discendente degli antichi “scissionisti” che, nella Giudea dell’Anno Zero, spaccarono in due la “Struttura” dando inizio a una feroce lotta, sommersa e plurisecolare? L’élite vaticana è stata infatti sfidata dalla corrente di formazione esoterica che, opponendosi all’assolutismo delle monarchie e all’oscurantismo teocratico, ha dato vita alle forme attuali della modernità democratica. Alla luce di queste rivelazioni si possono rileggere sotto altra luce vicende storiche drammatiche come quelle dei Catari e dei Templari? Singolari coincidenze: la primigenia “civiltà sommersa” cui allude Maurice Schumann sarebbe stata situata nel Golfo Persico, a due passi dal Gan Eden biblico da cui si propagò la stirpe di Caino, cacciata dal “paradiso terrestre”, per poi andare incontro al “diluvio”. La storia è interamente da riscrivere, ripetono ormai molti studiosi. E forse, aggiunge Biglino, vale la pena di prendere alla lettera i libri antichi, cosiddetti “sacri”. La stessa Bibbia racconta – testualmente – l’incontro coi misteriosi Elohim, potentissimi e in possesso di tecnologie fantascientifiche. Nessuno sa ancora spiegare l’improvvisa comparsa dell’avanzatissima civiltà dei sumeri. Ci nascondono qualcosa di fondamentale sulla nostra origine, gli intramontabili signori della “Struttura”?(Il libro: Paolo Rumor, Giorgio Galli, Loris Bagnara, “L’altra Europa. Miti, congiure ed enigmi all’ombra dell’unificazione europea”, Panda Edizioni, 370 pagine, euro 18,90).Un’entità clandestina, sinistra perché invisibile. Segretamente dominante, e molto antica: vecchia di millenni, addirittura. «Mi addolora, aver scoperto l’esistenza di un’Europa nascosta e parallela: interviene nella politica e anche nella cultura, condizionando il nostro mondo». E’ qualcosa di proto-storico, quasi eterno: oggi, attraverso i suoi emissari, questa entità fantasma «agisce accorpando fattori monetari e produttivi, di cui paghiamo le conseguenze sulla nostra pelle», come si è visto nella débacle dell’ultimo decennio. «La distruzione dell’equilibrio monetario europeo è frutto di queste persone». Una cupola misteriosa di origine antichissima: avrebbe addirittura 12.000 anni. Paolo Rumor la chiama, semplicemente, “la Struttura”. Risalirebbe alla notte dei tempi, nel territorio che vide fiorire la civiltà sumera e poi quella egizia. Ne parlò a suo padre, Giacomo Rumor, l’esoterista e politico francese Maurice Schumann, tra i fondatori del gollismo: gli rivelò, per iscritto, l’esistenza plurimillenaria della “Struttura”. Una conferma viene dal cardinale Montini, futuro Papa Paolo VI e amico di Giacomo Rumor, coinvolto dal Vaticano nella gestazione dell’unità europea per bilanciarne l’esuberante componente massonica.
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Tuis: il potere dei gesuiti, gli 007 del nuovo ordine mondiale
«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.«Anche tra i gesuiti si contano ovviamente molte ottime persone», ammette Tuis, intervistato a “Border Nights”, «ma la struttura ha avuto un ruolo essenzialmente negativo, nella storia: la congregazione resta un soggetto decisamente pericoloso, non a caso espulso per 70 volte da vari Stati». Rapporti difficili anche con il Vaticano: Papa Clemente XIV soppresse l’ordine religioso nel 1773. «I gesuiti erano nati come braccio speciale della Chiesa per sostituire i domenicani, politicamente poco duttili», spiega Gianfranco Carpeoro, autore di saggi che illuminano oscuri retroscena in cui convivono Chiesa e massoneria, come nel caso dell’origine del fascismo. «Poi però sempre i geusiti divennero anche scomodi, quando – dopo la conquista del Sudamerica – si accorsero che gli indigeni erano migliori, come uomini, dei “conquistadores” cristiani». Lo ricorda lo stesso Tuis, autore del libro “Gesuiti” appena pubblicato da Uno Editori: «In Paraguay i gesuiti si schierarono con il popolo anche pagando con la vita la loro scelta». E’ di ispirazione gesuitica la “teologia della liberazione”, per l’emancipazione popolare dell’America Latina. Era gesuita lo stesso cardinale Martini, in prima linea contro le guerre. Ma la Compagnia di Gesù resta ambivalente: Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice gesuita della storia, ha firmato il saggio “Questa economia uccide” ma in Argentina è stato accusato di complicità con i carnefici della dittatura militare, quella dei “desaparecidos”.Riccardo Tristano Tuis non crede a Papa Francesco: «Nonostante la parte che recita, fa il gioco del potere: il suo impegno a favore dei migranti fa parte del progetto globalista che prevede anche l’islamizzazione dell’Europa a spese della fede cristiana, verso un’ipotetica religione unica mondiale». Il suo libro è chiaro, negli intenti, fin dal sottotitolo: «L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale». Già autore de “L’aristocrazia nera”, ovvero «la storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia», Tuis racconta l’intreccio che – fin dall’origine – lega Ignazio di Loyola a potenti famiglie romane come quella dei Borgia. La missione dell’ordine: forgiare dei veri e propri 007, in grado di infiltrare qualsiasi ambiente politico e religioso, puntando al controllo del potere. Un progetto con un retroterra segreto, risalente ai Templari e da «ordini e consorzi di famiglie ancora più antiche». Nacquero così «agenti segreti con licenza di uccidere», pronti a operare clandestinamente sia nei paesi cristiani che in quelli protestanti o anglicani, «al punto che ai nostri giorni i servizi segreti deviati europei, nordamericani, del Commonwealth e d’Israele sono delle espressioni di un’unica regia: il Siv, cioè i servizi segreti del Vaticano», quelli irrintracciabili su Wikipedia.«L’alta finanza, le più grandi banche del mondo e il cartello bancario che ha dato vita al moderno signoraggio bancario – sostiene Tuis – sono il prodotto della millenaria opulenza e forza della Chiesa di Roma, che proprio grazie ai gesuiti dall’Ottocento in poi ha in mano l’economia globale attraverso le famiglie dei banchieri internazionali ai cui vertici ci sono i guardiani del tesoro papale: i Rothschild». Il libro di Tuis indaga «sull’oscuro mondo delle società segrete e dei circoli magici di matrice satanico-luciferina e cristiana», scoprendo «le loro reciproche e insospettate connessioni attraverso i gesuiti di alto livello, gli “incogniti superiori del 4° voto” che muovono anche le fila dei potenti e stratificati ordini cavallereschi», vale a dire i Cavalieri di Malta in Europa e i loro corrispettivi americani, i Cavalieri di Colombo. Insieme alla massoneria internazionale, questa galassia di poteri “invisibili” dà vita «all’esercito di grigi burocrati dell’Unione Europea e del Congresso americano, che promuovono la criminale operazione su vasta scala denominata Agenda 21».Il libro si addentra in specifici eventi storici: «Due più famosi dittatori europei, Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler, sono saliti al potere grazie ad operazioni clandestine dei gesuiti e degli Illuminati, che da secoli lavorano a fianco a fianco nell’instaurazione della secolare agenda mondialista “La Nuova Atlantide”, meglio conosciuta come Nuovo Ordine Mondiale». A un ex gesuita, racconta Tuis a “Border Nights” si deve l’invenzione della ghigliottina: atroce simbolo del Terrore francese, d’accordo, ma pur sempre «un modo per ridurre la sofferenza del condannato». Dai gesuiti sono nate eccellenze assolute in ogni campo, compreso quello scientifico: è la Compagnia di Gesù a gestire il potente osservatorio astronomico di Mount Graham, in Arizona. Alieni in arrivo? Meglio chiamarli “fratelli dello spazio”; nel caso un giorno atterrassero, disse il direttore del centro, perché non battezzarli? Conoscenza, segreti, informazioni riservate. «L’archivio dei gesuiti a La Spezia – dichiara Tuis – è vasto almeno quanto quello della Cia».Sanno tutto di tutti? Dossier, schedature minuziose? «Per quello nacquero: furono loro a fondare la prima intelligence della storia». Il libro di Tuis è un’indagine sul lato meno trasparente del potere, il più insospettabile: sul web circola liberamente il testo di un famigerato giuramento, in cui il novizio – nel ‘500 – si impegna anche ad uccidere, nel caso, e comunque a eseguire qualsiasi ordine senza discutere, “perinde ac cadaver”. Leggende? Purtroppo no, sostiene Tuis: «Oggi la vera battaglia è condotta nel campo dell’informazione: il mainstream deforma sistematicamente la verità. La controinformazione è fondamentale, e il potere la teme». Dietro allo speaker del telegiornale c’è spesso un politico, collegato a influenti soggetti economici. Quello che sfugge è che “tutte le strade”, o almeno molte, portino a Roma, dove il potere di quel network sarebbe esteso oltre l’immaginabile. «Non è un caso se l’aggettivo “gesuitico” ha assunto una connotazione negativa: indica qualcosa di falso e insincero, ipocrita, ma al tempo stesso raffinato e coltissimo. I gesuiti hanno una visione precisa del mondo, la loro. Arrivano dovunque, sono lì da mezzo millennio: non sarà facile fermarli».(Il libro: Riccardo Tristano Tuis, “I Gesuiti. L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle Banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale”, Uno Editori, 264 pagine, euro 14.90).«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni del Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.
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Euro e Russia: grillini beffati, Di Maio cambia il programma
Due cattivoni assoluti – la guerra e l’euro – sono letteralmente spariti dalla fiaba “flessibile” dei 5 Stelle: prima delle elezioni funzionavano per ottenere voti, ma ora sono stati “sbianchettati” in funzione governativa. Della serie: perché nulla cambi, delle cose che contano davvero. Nessuno tocchi l’egemonia corrente: a contrastare i bombardamenti Usa, le sanzioni alla Russia e il dominio oligarchico di Bruxelles resta solo Salvini, visto che Di Maio, con l’ovvio placet del padrone Casaleggio, ha sostituito il programma votato dagli iscritti con un altro, assai più morbido e sfuggente sui temi che dovrebbero impegnare il “governo del cambiamento” richiesto da almeno il 55% degli italiani votanti (senza contare il 27% rimasto a casa, forse temendo di assistere esattamente a questo tipo di spettacolo post-elettorale). Il classico imbroglio? Alla faccia del “primo e unico programma politico basato sulla partecipazione e sulla democrazia diretta online grazie al sistema operativo Rousseau”. «La versione del programma elettorale attualmente disponibile sul sito del movimento è completamente diversa da quella che c’era a febbraio», scrive Luciano Capone sul “Foglio”. «Una manipolazione della volontà degli iscritti, una presa in giro degli elettori, una violazione delle regole del partito (democrazia diretta e trasparenza), la negazione della retorica sul cittadino vero “sovrano” e il politico semplice “portavoce”».Per recuperare il vecchio programma, scrive il “Foglio”, basta andare su “Internet Archive” – la più grande biblioteca della rete – e utilizzare la funzione “Wayback Machine”, che consente di risalire alle pagine web modificate o cancellate. Fino al 2 febbraio sul sito del M5S c’era un programma, ma il 7 marzo – tre giorni dopo le elezioni – ce n’era già un altro, «totalmente diverso e spesso diametralmente opposto». E’ il caso del “programma Esteri”, di stringente attualità vista la crisi in Siria. «Gli iscritti avevano votato per un’impostazione radicale, terzomondista, filo-russa e anti-atlantica. Il nuovo “programma Esteri” è stato bonificato: tolte le contestazioni alla Nato e agli Stati Uniti, addolcite le critiche all’euro e all’Ue, smussati gli elogi alla Russia». Il capitolo su “Sovranità e indipendenza” si apriva così: “Il caos che regna in Libia dimostra che l’unilateralismo dell’intervento umanitario è fallito”. E ancora: “Ripudiamo ogni forma di colonialismo, neocolonialismo e ingerenza straniera”. Tutto sparito, rileva il “Foglio”. «Nella nuova versione si parla di “affrontare insieme in Europa” le sfide del domani “come Stati sovrani liberi e indipendenti” nel mondo multipolare. Un’altra musica, più soft».Il capitolo sul “Ripudio della guerra” partiva secco: “Iraq, Somalia, ex Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Ucraina, Siria. L’elenco dei paesi distrutti dall’unilateralismo occidentale potrebbe essere molto più lungo”. E proseguiva catastrofico: “Le guerre di conquista dell’ultimo periodo hanno portato il mondo a un passo dall’Apocalisse e hanno prodotto centinaia di migliaia di morti, feriti, mutilati e sfollati. Territori devastati, smembrati, economie fallite, destabilizzazioni estese a intere regioni e milioni di persone”. Tutto cancellato, osserva Capone sul “Foglio”: «Ora il tono è più posato e burocratico, si parla di “ricerca del multilateralismo, della cooperazione e del dialogo tra le popolazioni” e si ribadisce che “le operazioni per il mantenimento della pace debbano svolgersi in stretta ottemperanza ai principi della Carta dell’Onu”». Ma il passaggio dall’“Apocalisse” alla “stretta ottemperanza” è niente, rispetto alla metamorfosi della posizione sulla Nato: “Il ‘sistema di sicurezza occidentale’ non solo non ci ha reso più sicuri, ma è il primo responsabile del caos odierno. Dall’invasione della Libia fino alla distruzione pianificata della Siria – c’era scritto – il sistema di sicurezza occidentale ha registrato una serie di fallimenti che hanno portato alle popolazioni dei paesi membri, miliardi di euro di perdite, immigrazione fuori controllo e destabilizzazione di aree fondamentali per la sicurezza e l’economia dell’Europa”.L’alleanza atlantica veniva descritta come la causa principale dell’instabilità globale, arrivando a vagheggiare una rottura del patto: ci sarebbe ormai “una discordanza tra l’interesse della sicurezza nazionale italiana con le strategie messe in atto dalla Nato”. Per questo il M5S proponeva un “disimpegno da tutte le missioni militari della Nato in aperto contrasto con la Costituzione”. Tutti gli attacchi alla Nato sono stati eliminati, prende nota il “Foglio”. «Nella nuova versione, cambiata poco prima o poco dopo le elezioni, il passaggio più duro parla dell’“esigenza di aprire un tavolo di confronto in seno alla Nato”». Anche la parte sul Medio Oriente era una dura accusa all’Occidente: “I nostri governi hanno distrutto intere popolazioni, come quella siriana, seguendo l’interventismo occidentale della Nato, cui l’Italia ha colpevolmente prestato il fianco rompendo le relazioni diplomatiche con Damasco”. Ora è stato tolto ogni riferimento al regime di Assad e compaiono le responsabilità dei paesi arabi, che hanno “un sistema di governo a dir poco inadeguato agli standard universali”. Il capitolo sulla Russia? E’ stato emendato da alcune critiche sulle sanzioni. “L’Ue, adeguandosi agli Usa – c’era scritto – ha gradualmente imposto misure restrittive nei confronti della Russia”. Le “azioni di Mosca” in Crimea e Ucraina? Erano “volte al mantenimento della sua sfera di influenza nello spazio ex sovietico a fronte del progressivo allargamento della Nato”. Tutto sparito.Analogamente, aggiunge il “Foglio”, sono state riviste le critiche all’euro: dal passaggio-chiave iniziale (“La situazione italiana nella zona euro è insostenibile, siamo succubi della moneta unica”), il neo-programma di Di Maio approda a lidi più rassicuranti per l’establishment: “Questo non significa abbandonare perentoriamente la moneta unica”. Non che i 5 Stelle siano mai stati chiari, in materia: hanno persino cercato di approdare al gruppo iper-eurista dell’Alde a Strasburgo, senz’altro proporre – in Italia – che la vaghezza di un ipotetico referendum consultivo sulla moneta unica. Hanno sparato volentieri sull’euro, a parole, ma senza mai impegnarsi in una posizione politica ufficiale (come ad esempio quella espressa da Borghi e Bagnai, in quota Lega). Ora la retromarcia di Di Maio conferma agli elettori no-euro che sì, hanno proprio sbagliato a votare 5 Stelle. «Questi esempi – scrive il “Foglio” – riguardano solo le dieci paginette del “programma esteri”, ma vanno moltiplicati per le altre diciannove aree tematiche, più le quattro aggiunte senza alcuna votazione». Nel “programma Banche” sono state inserite proposte mai votate, dal “programma Lavoro” è stato rimosso il capitolo sui “Sindacati senza privilegi”.Ci sono programmi stravolti come quello sullo “Sviluppo economico”, sceso da 92 a 9 pagine, e altri rielaborati da capo a piedi come quello sull’agricoltura. Chi ha scritto il nuovo programma e deciso di sostituirlo a quello votato dagli iscritti? «Probabilmente Di Maio e la sua cerchia ristretta», scrive Capone. «Ma di certo il ruolo di Davide Casaleggio, che materialmente attraverso Rousseau ha cambiato i documenti, mostra come chi si è posto al di sopra di tutti non sia il “garante” della democrazia diretta ma il suo “manipolatore”». Questa manovra, che per il “Foglio” riguarda il principio più sacro (la democrazia diretta) nonché lo strumento più importante (il programma) della vita politica del partito, «svela la grande finzione del M5S e la potenza totalitaria del suo meccanismo». Aggiunge Capone: «La storia è piena di partiti che hanno tradito il programma elettorale, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Ma qui si fa un passo ulteriore: il programma viene stravolto in segreto per far credere a militanti ed elettori che è quello che loro hanno sempre voluto e consacrato con il voto. Più che la volontà generale di Rousseau, è un sistema che ricorda la fattoria degli animali di Orwell».Due cattivoni assoluti – la guerra e l’euro – sono letteralmente spariti dalla fiaba “flessibile” dei 5 Stelle: prima delle elezioni funzionavano per ottenere voti, ma ora sono stati “sbianchettati” in funzione governativa. Della serie: perché nulla cambi, delle cose che contano davvero. Nessuno tocchi l’egemonia corrente: a contrastare i bombardamenti Usa, le sanzioni alla Russia e il dominio oligarchico di Bruxelles resta solo Salvini, visto che Di Maio, con l’ovvio placet del padrone Casaleggio, ha sostituito il programma votato dagli iscritti con un altro, assai più morbido e sfuggente sui temi che dovrebbero impegnare il “governo del cambiamento” richiesto da almeno il 55% degli italiani votanti (senza contare il 27% rimasto a casa, forse temendo di assistere esattamente a questo tipo di spettacolo post-elettorale). Il classico imbroglio? Alla faccia del “primo e unico programma politico basato sulla partecipazione e sulla democrazia diretta online grazie al sistema operativo Rousseau”. «La versione del programma elettorale attualmente disponibile sul sito del movimento è completamente diversa da quella che c’era a febbraio», scrive Luciano Capone sul “Foglio”. «Una manipolazione della volontà degli iscritti, una presa in giro degli elettori, una violazione delle regole del partito (democrazia diretta e trasparenza), la negazione della retorica sul cittadino vero “sovrano” e il politico semplice “portavoce”».
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Reddito di cittadinanza: è il piano (infernale) degli oligarchi
Mark Zuckerberg non ha bisogno di presentazioni: mister Facebook vale 64 miliardi di dollari. Altro paperone-prodigio: il sudafricano Elon Musk, patron di Tesla e Space-X. Cos’hanno in comune, a parte i giacimenti aurei? La fede nel reddito di cittadinanza. La pensano così anche l’americano Richard Branson della Virgin e il canadese Stewart Butterfield, l’inventore della banca-immagini Flickr e di Slack, applicazioni per messaggerie. Uomini d’oro e potenti oligarchi, improvvisamente anche umanitari: si stanno battendo a favore del reddito di base garantito, osserva Chris Hedges, a lungo corrispondente estero del “New York Times”. «Sembra che siano dei progressisti e che esprimano queste loro proposte con parole che parlano di morale, prendendosi cura degli indigenti e dei meno fortunati». Ma dietro questa facciata, scrive Hedges, c’è una cruda consapevolezza: soprattutto la Silicon Valley «vede un mondo – quello che questi oligarchi hanno contribuito a creare – tanto iniquo che i consumatori di domani, che dovranno sopportare la precarietà del lavoro, salari sotto i minimi, l’automazione e la schiavitù di un debito che blocca tutto, non saranno in condizione di spendere abbastanza per comprare i prodotti e i servizi offerti dalle grandi corporations».
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Cabras: Siria, solo bugie. Per annullare le elezioni italiane?
Usare l’intervento occidentale nella crisi siriana per giustificare in Italia un governo che annacqui i risultati del 4 marzo? «Nulla è come appare nel grande groviglio siriano», premette Pino Cabras, coordinatore del blog “Megachip” e ora neoeletto parlamentare 5 Stelle. La Siria? E’ l’ombelico di un intrico ancora più grande, che si propaga sul mondo. Primo guaio: la narrazione dei mass media dominanti. «E’ la risultante di infinite manipolazioni», al punto che «per chi la accetta passivamente è impossibile capire la realtà». Quella narrazione, poi, in Italia «si intreccia con le eterne pressioni che si scaricano da sempre sulla politica italiana». Cabras segue da molti anni la crisi siriana, che il riflesso di una crisi più vasta, in cui «certi equilibri cambiano ogni giorno, mentre certi cliché non cambiano mai». Prima notizia: il bombardamento della notte del 14 aprile tecnicamente non ha avuto nessun impatto strategico-militare reale. «Del centinaio di missili lanciati il 70% è stato abbattuto dall’antiaerea siriana che usa vecchi sistemi sovietici. Il rimanente 30% ha colpito perlopiù edifici abbandonati privi di qualsiasi interesse strategico e un laboratorio dove si producevano farmaci». Il raid missilistico avrebbe colpito una fabbrica di armi chimiche? Notizia ridicola, interamente falsa.Molti missili, spiega Cabras, sono stati lanciati contro il centro di ricerca e sviluppo di Barzah, ritenuto colpevole, secondo le dichiarazioni ufficiali, di “produrre clorina e Sarin”. Solo che il 22 novembre scorso, aggiunge, l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opcw) aveva ispezionato proprio il centro di Barzah e aveva escluso che producesse armi chimiche. I risultati sono stati riconfermati il 23 e il 28 febbraio di quest’anno, come documentato da un report del 13 marzo. «In pochi minuti – scruve Cabras su “Megachip” – le forze armate statunitensi hanno mandato in fumo proprie dotazioni per un valore di duecento milioni di dollari e i fornitori di missili si sono sfregati le mani perché saranno loro a ricostituire le scorte. Mi pare chiaro – aggiunge – che a Washington non abbiano nemmeno lontanamente voluto sfidare la vera capacità di risposta dell’alleato di Damasco, la Russia, che disponeva sia di sistemi antimissile di trent’anni più avanzati rispetto a quelli delle forze armate siriane, sia di capacità di rappresaglia in grado di annichilire tutti i punti di lancio dei missili (navi o altro)». Questo, secondo Cabras, significa che all’interno dell’amministrazione Trump «quelli che volevano una guerra di grandi proporzioni sono stati gentilmente accompagnati a un vicolo cieco, almeno per ora».Altra deduzione: «C’erano canali di comunicazione fra le capitali occidentali e Mosca per assicurarsi che la costosissima e rischiosissima rappresentazione teatrale non generasse equivoci ed escalation». Risultato: «Alla fine tutti salvavano la faccia». Nondimeno, «fa impressione che dentro questa consapevolezza in qualche misura “collaborativa” sul limite da non oltrepassare (dove comunque i russi erano in massima allerta), la pièce dovesse comunque svolgersi con tutti i suoi sviluppi obbligati, dalle esplosioni alle indignazioni ai titoloni alle riunioni Onu. Tutto dannatamente teatrale, eppure autentico». Le armi di distruzione di massa? Fantasma evocato poche settimane prima a Londra, con il presunto “gas” impiegato contro l’ex spia in pensione Sergeij Skripal. «Vengono richiamate come un feticcio, un’allusione a un tabù storico che fa oltrepassare una “linea rossa”: laddove si allude a un gas si allude a un qualche nuovo Hitler da strapazzare. Per chi spinge alla guerra, le prove non contano più nulla: conta solo un’opinione sul gas, non importa se sia cloro, Sarin, o il misteriosissimo gas “di consistenza gelatinosa” di cui parla l’imprenditore mediatico Roberto Saviano», unitosi al coro russofobo (non si sa in basi a quali informazioni e competenze).«Si prendono per oro colato notizie inverificabili provenienti da ambienti compromessi con l’oscurantismo jihadista e le si usa per una rapida hitlerizzazione di un qualche governante da abbattere con i mezzi della guerra totale in un contesto alle soglie della guerra atomica, come se i disastri e le menzogne delle aggressioni all’Iraq e alla Libia non avessero insegnato nulla», sottolinea Cabras. «Di fronte a rischi così forti risulta essere un gravissimo errore intellettuale e politico (purché non si tratti di malafede) il sollecitare nel pubblico reazioni emotive incontrollate ed esasperate, basate su dicerie rilanciate da un circuito politico-mediatico gravato da pessimi precedenti che lo rendono inattendibile». Se non alro, aggiunge il neo-parlamentare, è confortante notare che in questo contesto difficoltoso, in cui le pressioni sono molto intransigenti, emergano prese di coscienza ragionate come quella dell’ex ambasciatore britannico in Siria, Peter Ford, che punta il dito sull’ultimo “caso gas” in Siria, da lui visto come «l’ennesima creazione della premiata ditta jihadista per giustificare il pretesto per una guerra totale». E comunque, per quanto il bombardamento del 15 aprile fosse sostanzialmente “contraffatto”, gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia hanno violato in modo “vero” la legalità internazionale, eccome.«Si è trattato di un’aggressione – l’ennesima – a carico di un paese sovrano che fa parte dell’Onu, con effetti indiretti in grado di generare comunque pericolose ripercussioni». Ad esempio, aggiunge Cabras, non è la prima volta che in occasione di aggressioni dirette delle potenze occidentali a danno delle forze armate siriane, i tagliagole dell’Isis lancino delle offensive con qualche successo: anche in questa circostanza, infatti, l’esercito siriano – in vista dell’attacco annunciato – ha dovuto lasciare sguarnite certe aree contese con l’Isis, che ne ha approfittato all’istante. «Non va mai dimenticato che chi ha retto l’urto dell’Isis fino a infliggergli sconfitte decisive è stata la Siria, con l’aiuto decisivo della Russia. È imperdonabile oggi voler offrire altre chances all’Isis». Usa, Gran Bretagna e Francia sono, al tempo stesso, membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto e membri del “club nucleare”: «In questa veste si sono ripreso ancora una volta il ruolo abusivo di potenze sciolte dal vincolo di dover sottostare a importantissime norme internazionali». Con queste azioni, «fanno valere un peso speciale che comprime le alleanze sovranazionali di cui fanno parte, soggette costantemente a subire la loro preponderanza».Nella Nato e nella Ue, questi paesi sono “animali più uguali degli altri”, per usare la metafora orwelliana. «Dispongono di mezzi diplomatici fortemente orientati a far valere questa preponderanza», e quindi «presidiano abilmente l’ordine del giorno dei principali media per stabilire l’agenda delle notizie e condizionare le mosse degli attori internazionali nonché il sentimento medio dell’opinione pubblica». E così facendo «zavorrano gli spazi di manovra delle personalità politiche nazionali con lacci e lacciuoli». In Italia, nella scorsa legislatura, la commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro «ha messo agli atti alcune importanti scoperte sulle dinamiche che hanno condizionato nel corso dei decenni la sovranità italiana per via del peso di alleati che da un lato ci sono amici, dall’altro ci investono con mille pressioni e azioni ostili e perfino golpiste», ricorda Cabras. «Non è solo materia sanguinosa di una storia passata, è ancora carne viva e dolente della politica italiana attuale: vi saremo ancora dentro finché non rinunceremo ad esercitare un ruolo nel Mediterraneo e nel Medio Oriente». Per uscirne, dovremmo smettere di «appaltare tutta la nostra politica estera a potenze straniere», e cessare di concepire le alleanze «come meri vassallaggi, anziché come partecipazioni più equilibrate».Ognuno degli attori politici attuali, aggiungeil neo-deputato Cabras, sa perfettamente di affrontare «una perenne corrente di influenze esterne profondamente radicate nel sistema», influenze «a cui non par vero di sfruttare ogni spiraglio generato da una crisi di governo difficilissima come quella di oggi». Per cuio, se “nulla è come appare”, ogni parola spesa per risolvere la crisi di governo «nasce in un contesto che non ammette semplificazioni». Il quadro degli accordi di governo possibili in Italia, ammette Cabras, «è gravemente condizionato dal fatto che pezzi significativi del sistema politico (e molti apparati) hanno un’abitudine ormai rodata a sottomettersi a coloro che dicono “fate presto”». Lo spiega bene Debora Billi su “ByoBlu”: «I media come sempre fanno la loro parte, che è poi quella del leone. Remano con forza nella direzione del governo “responsabile”, con la speranza che le leve del comando siano riconsegnate a chi le ha tenute saldamente finora, tradendo così la volontà popolare del 4 marzo. Ma anche molti media alternativi sul web – forse non volontariamente – contribuiscono allo stesso “frame”, pretendendo a gran voce dai politici più in vista dichiarazioni adamantine contro la guerra, contro la Nato, contro gli alleati, e stigmatizzando come servo e zerbino chi non ottempera all’istante».I social fanno il resto – aggiunge la Billi – alimentando tra gli stessi cittadini quella battaglia ideologica, «e chiudendo così il cerchio destinato a legare inestricabilmente il futuro governo agli eventi di questi giorni in Siria». Molti stanno inconsapevolmente lavorando, come si usa dire, per il Re di Prussia. E rischiano di far sì che si abbiano «i missili sulla Siria come movente perfetto per cancellare con un colpo di spugna la scomoda volontà popolare: sta quindi a noi non cadere nella trappola, e continuare a reclamare un governo che rispecchi ciò che è accaduto il 4 marzo e non ciò che è accaduto il 14 aprile». Per Cabras, è importante risolvere la partita del governo senza farsi vincere dalla fretta, anche in materia di politica estera. Il programma esteri con cui il Movimento 5 Stelle si è presentato alle elezioni – sostiene Cabras – offre spunti «decisivi» per costruire assieme ad altre forze parlamentari «un accordo di governo grazie al quale la Repubblica Italiana possa recuperare il proprio importante ruolo di grande mediatore del Mediterraneo, con un governo in grado di vantare un approccio profondamente iscritto nella vocazione storica dell’Italia democratica». Un approccio «molto più equilibrato rispetto a quello imposto da chi in questi anni ha usato la guerra per nuove avventure neocoloniali, tutte dannose anche per la nostra repubblica».Usare l’intervento occidentale nella crisi siriana per giustificare in Italia un governo che annacqui i risultati del 4 marzo? «Nulla è come appare nel grande groviglio siriano», premette Pino Cabras, coordinatore del blog “Megachip” e ora neoeletto parlamentare 5 Stelle. La Siria? E’ l’ombelico di un intrico ancora più grande, che si propaga sul mondo. Primo guaio: la narrazione dei mass media dominanti. «E’ la risultante di infinite manipolazioni», al punto che «per chi la accetta passivamente è impossibile capire la realtà». Quella narrazione, poi, in Italia «si intreccia con le eterne pressioni che si scaricano da sempre sulla politica italiana». Cabras segue da molti anni la crisi siriana, che il riflesso di una crisi più vasta, in cui «certi equilibri cambiano ogni giorno, mentre certi cliché non cambiano mai». Prima notizia: il bombardamento della notte del 14 aprile tecnicamente non ha avuto nessun impatto strategico-militare reale. «Del centinaio di missili lanciati il 70% è stato abbattuto dall’antiaerea siriana che usa vecchi sistemi sovietici. Il rimanente 30% ha colpito perlopiù edifici abbandonati privi di qualsiasi interesse strategico e un laboratorio dove si producevano farmaci». Il raid missilistico avrebbe colpito una fabbrica di armi chimiche? Notizia ridicola, interamente falsa.
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Konrad Lorenz: solo la bellezza può fermare il nostro declino
Quando nel 1973 venne attribuito il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia a Konrad Lorenz, “padre” dell’etologia, vi fu una sorta di sollevazione negli ambienti scientifici che non mancò di contagiare anche quelli politici. Il ricercatore austriaco, noto per le sue indagini del comportamento umano attraverso lo studio dell’istinto animale e dell’adattamento ambientale, era ritenuto un fautore dell’antiegualitarismo. Non gli vennero risparmiate accuse anche infamanti, ma nel contempo i suoi saggi di carattere antropologico oltre che quelli strettamente connessi alla sua materia venivano sempre più studiati al fine di comprendere la decadenza che Lorenz denunciava tanto nella sfera intima dell’uomo quanto nel mondo circostante. Al di là della “demonizzazione”, le opere di Lorenz s’imposero anche in ambito a lui non proprio favorevole soprattutto per merito di editori liberi come Adelphi, in Italia, che l’anno successivo pubblicò il libro di Lorenz di maggior successo, “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, seguito da “L’altra faccia dello specchio”. In entrambi lo scienziato metteva l’umanità davanti dal suo non proprio luminoso destino determinato dagli squilibri demografici, dall’inquinamento atmosferico, dal depauperamento delle risorse naturali, dalla massificazione del consumi, dall’invadenza della tecnologia, fino a criticare appunto l’egualitarismo pervasivo del quale la struttura stessa delle megalopoli era lo specchio più evidente…Lorenz, dopo i primi “affondi” critici che arrivarono a colpirlo come “nemico della democrazia”, ha conosciuto una lenta ma inarrestabile rivalutazione, al punto che quando di recente qualcuno (com’è costume di questi tempi) ha provato ha scavare nel suo lontanissimo passato, scoprendo che aveva simpatizzato in gioventù, come molti altri intellettuali e non solo, per la parte sbagliata (operazione non dissimile da quella che è stata messa in atto contro Martin Heidegger), non è sembrato opportuno neppure ai più critici di affondare eccessivamente il bisturi in una materia controversa e sostanzialmente poco interessante. Il suo pensiero è certamente più “lungo” delle polemiche postume, soprattutto se effettuate contro uno scienziato che non può replicare, essendo scomparso nel 1989. L’etologia, soprattutto grazie a Lorenz, ha dimostrato che le derivazioni della cultura freudo-marxista nel campo dell’antropologia sono state a dir poco fallaci e menzognere. Studiosi come Robert Ardrey, Eibl-Eibsfeldt, Eric von Holst, Karl von Frisch hanno applicato, come lo scienziato austriaco, il metodo naturalistico desunto dall’osservazione del comportamento animale e dei gruppi sociali primitivi o organizzati, per asseverare che le comunità tendono a conservarsi secondo schemi certo non collimanti con la visione del “buon selvaggio” di Rousseau.Il realismo dovrebbe far riconoscere che il principio di conservazione è strettamente legato a quello di aggressività, e tenendo conto di questo dato naturalistico è possibile costruire aggregati tendenzialmente solidi e ordinati da un principio politico fondato sull’autorità. Una sintesi di queste idee è racchiusa nella penetrante e brillante “Intervista sull’etologia” realizzata da Alain de Benoist con Konrad Lorenz alla fine degli anni Settanta e pubblicata per la prima volta in Italia nel 1980, che oggi rivede la luce preceduta da una prefazione di Mario Bozzi Sentieri, che situa il pensiero del grande etologo nell’ambito di una concezione organicistica della società. Il libro è qualcosa di più di un’intervista pura e semplice. Esso consta di tre parti: la prima è un saggio di de Benoist sull’etologia dalle origini ai giorni nostri, incentrato soprattutto sulla polemica tra gli ambientalisti e gli innatisti; la seconda parte è il colloquio vero e proprio tra l’allora giovane intellettuale francese e lo scienziato; l’ultima è uno scritto di Lorenz significativamente intitolato “Patologia della civiltà e libertà della cultura”.Molto opportunamente, riassumendo il pensiero di Lorenz, de Benoist rileva che mentre i fautori del materialismo pratico vedono nell’uomo soltanto la dimensione biologica e gli spiritualisti lo riducono alla sua dimensione spirituale, per gli etologi egli non è assolutamente unidimensionale, ma è il prodotto di tutte le dimensioni possibili e quindi la creatura più complessa che esista. Da qui alla polemica antiegualitaria il passo è breve. Posto che esistono indubbie differenziazioni nell’uomo e tra gli uomini, Lorenz così si esprime: «L’ineguaglianza dell’uomo è uno dei fondamenti ed una delle condizioni di ogni cultura, perché è essa che introduce la diversità nella cultura. Nella società umana, la divisione del lavoro è fondata su una differenza, un’ineguaglianza dei membri della società. Alla base di questa ineguaglianza vi è una differenza di capacità… Il fatto che siamo diversi è capitale, dal punto di vista dei valori. Sebbene si sia diversi, abbiamo gli stessi diritti fondamentali. Oggi uomo ha il diritto di sviluppare le facoltà che sono in lui… Il punto di vista egualitario è completamente antibiologico: gli uomini sono diversi dal momento del loro concepimento».È naturale che questa visione si scontri con gli apologeti del pensiero tecnomorfico e pseudo-democratico, che ripongono le loro aspettative nel salvifico avvento della tecnocrazia e della massificazione, i pilastri del “pensiero unico”. Lorenz invita a riscoprire il principio della selettività e della meritocrazia contro il riduzionismo egualitario, l’appiattimento delle personalità, il depotenziamento delle energie vitali. Le civiltà muoiono, dice Lorenz, quando i processo di parassitismo e di degenerescenza impoveriscono la forza di conservazione e di aggressività insite nell’uomo. Restare fedeli alla propria natura è la sola possibilità che l’uomo ha di sottrarsi all’imbarbarimento e alla soggezione alla costruzione di destini che contrastano con la sua natura. Ancora più esplicito Lorenz è nel saggio “Il declino dell’uomo”, opportunamente edito da Piano B, nel quale sostiene che la tecnocrazia crea una società iperorganizzata allo scopo di deresponsabilizzare la persona. Sul piano culturale, sostiene, viene a mancare la pluralità di opinioni e scambi reciproci che sono i fondamenti di qualsiasi processo creativo.Sicché la nostra epoca è assolutamente povera di creatività, se non vogliamo considerare questa nelle espressioni culturali, letterarie e artistiche dominanti, le cui scialbe prove – a parte qualcuna, ovviamente – sono destinate a individui che recepiscono la semplicità e l’ovvietà rifiutando ciò che è intrinsecamente complesso. È la civiltà che è minacciata, dice Lorenz, che approfondisce questa sua affermazione formulando una diagnosi assolutamente pertinente, avendo di vista la minaccia delle forme che minano le qualità e lo doti che «fanno dell’uomo un essere umano». Pochi, aggiunge, considerano come una malattia il declino del quale parla nel libro, e non si propongono di individuarne le cause. Accontentandosi dello sviluppo tecnico ed economico, l’uomo accetta passivamente di essere dominato da forze incontrollabili. E ciò è ancor più pernicioso per le generazioni future. «La gioventù di oggi – scrive – si trova in una situazione particolarmente critica. Se vogliamo stornare l’apocalisse che ci minaccia, dobbiamo risvegliare, soprattutto nei giovani, la sensibilità per i valori, per la bontà, per la bellezza: una sensibilità che è stata calpestata dalla mentalità scientista e dal pensiero tecnomorfo».Come se ne esce? Riprendendo il contatto più stretto con la natura, ricoprendo l’armonia del creato, praticando il culto delle differenze che solo può metterci al riparo dall’omologazione e dalla tirannia – diremmo oggi – del “pensiero unico”. Konrad Lorenz nella citata “Intervista” offre un esempio che può sembrare banale, ma non lo è, per recuperare una dimensione davvero umana: «Bisogna imitare i contadini, presso i quali tutto avviene in modo naturale: il bambino gioca ad imitare i suoi genitori e in questo modo si forma. Ho un amico contadino che è notevolmente rispettato dai suoi figli. Per una semplice ragione: fa le cose meglio di loro, e i figli cercano di farle bene quanto lui». Saggezza antica, saggezza di sempre. Il fondamento dell’autorità è nell’esempio. L’educazione a seguirlo è il metodo. L’oca Martina non seguiva Lorenz nello stagno di Altenberg insieme con la sua prole in fila ordinata? Il principio e il senso dell’umanità in un quadro idilliaco, fiabesco, che l’etologo ha proposto con la semplicità di un contadino austriaco a un’umanità frastornata da disumani meccanismi che la stanno risucchiando nel nulla.(“Il declino dell’uomo secondo il Premio Nobel Konrad Lorenz”, dal blog “La Crepa nel Muro” del 5 aprile 2018. I libri: Alain de Benoist, “Intervista sull’etologia”, Oaks editrice, 156 pagine, 14 euro; Konrad Lorenz, “Il declino dell’uomo”, Piano B, 232 pagine, 16 euro).Quando nel 1973 venne attribuito il Premio Nobel per la medicina e la fisiologia a Konrad Lorenz, “padre” dell’etologia, vi fu una sorta di sollevazione negli ambienti scientifici che non mancò di contagiare anche quelli politici. Il ricercatore austriaco, noto per le sue indagini del comportamento umano attraverso lo studio dell’istinto animale e dell’adattamento ambientale, era ritenuto un fautore dell’antiegualitarismo. Non gli vennero risparmiate accuse anche infamanti, ma nel contempo i suoi saggi di carattere antropologico oltre che quelli strettamente connessi alla sua materia venivano sempre più studiati al fine di comprendere la decadenza che Lorenz denunciava tanto nella sfera intima dell’uomo quanto nel mondo circostante. Al di là della “demonizzazione”, le opere di Lorenz s’imposero anche in ambito a lui non proprio favorevole soprattutto per merito di editori liberi come Adelphi, in Italia, che l’anno successivo pubblicò il libro di Lorenz di maggior successo, “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, seguito da “L’altra faccia dello specchio”. In entrambi lo scienziato metteva l’umanità davanti dal suo non proprio luminoso destino determinato dagli squilibri demografici, dall’inquinamento atmosferico, dal depauperamento delle risorse naturali, dalla massificazione del consumi, dall’invadenza della tecnologia, fino a criticare appunto l’egualitarismo pervasivo del quale la struttura stessa delle megalopoli era lo specchio più evidente…