Archivio del Tag ‘dittatura’
-
Il vescovo di Tunisi: non gettate a mare la nostra speranza
State attenti: se la crisi in Libia non si risolve alla svelta, l’Italia sarà letteralmente invasa. Per questo, oltre a tifare per una rapida uscita di scena di Muhammar Gheddafi – contro cui il 29 marzo Usa, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato la possibilità di armare massicciamente i ribelli – è necessario che l’Italia rispetti i tunisini che si ammassano a Lampedusa: sono “profughi della fame”, spiazzati dal disordine esploso nel loro paese che ha comunque assistito alle frontiere 120.000 persone in fuga dalla Libia. A parlare è l’arcivescovo di Tunisi, portavoce dei 30.000 cattolici liberi di professare la loro fede in Tunisia: per favore, non rigettate a mare chi oggi chiede aiuto e ha bisogno di tempo per risollevarsi.
-
Lampedusa, gli impresari della paura rimpiangono i dittatori
Turbati da una rivoluzione araba che sovverte la loro visione del mondo, alcuni ministri italiani si sono trasformati in profeti di sventura. E subito i giornali governativi hanno cominciato a suonare le campane a morto. Mentre Frattini sparava cifre a casaccio su «un’invasione di 300 mila profughi», La Russa e Maroni abusavano dei sacri testi per evocare un “Esodo biblico”, giungendo martedì scorso a fantasticare di “Tsunami umano”. Rileggere in sequenza i titoloni di prima pagina de “La Padania” aiuta a comprendere lo stato d’animo di costernazione con cui i nostri governanti vivono questi cambiamenti storici, percepiti nel resto d’Europa come rischiosi, certo, ma potenzialmente benefici.
-
Fratelli d’Italia e di Gheddafi, il nostro eroe impresentabile
L’unica cosa che sappiamo è che non sappiamo niente, non possiamo prevedere niente, non possiamo prevedere innanzitutto quanto durerà e soprattutto non possiamo prevedere cosa succederà dopo: tanto più oggi, dove siamo di fronte a una strana faccenda che non si riesce bene a distinguere tra guerra civile, rivolta per la libertà, rivoluzione, non si sa neanche come chiamarla, visto che manca una leadership, manca un’analisi seria sulla natura, sui componenti di questa ribellione che è in parte tribale, in parte sicuramente aspira a più libertà, in parte è islamica, non sappiamo quanto fondamentalista islamica e soprattutto non sappiamo quali saranno le possibili ritorsioni che ha in animo Gheddafi e che può permettersi Gheddafi nei confronti di chi lo ha attaccato.
-
Guerra al boia di Tripoli, i pacifisti soffrono in silenzio
Magari è presto per dirlo, forse bisognerà aspettare che le bombe occidentali provochino morte e distruzione, ma certo finora c’è da segnalare l’assordante silenzio di chi contro la guerra “senza se e senza ma” si è sempre fatto sentire forte e chiaro. Da vent’anni, ossia dalla prima guerra all’Iraq nel ‘91, passando per quella nei Balcani nel ‘99, quella in Afghanistan nel 2001 (ancora in corso), la seconda contro l’Iraq nel 2003. Manifestazioni, cortei, appelli, convegni, proteste di ogni genere, marce per la pace una dietro l’altra, milioni di persone nelle piazze d’Italia. Oggi niente, ancora niente.
-
La Russia gela la riscossa travolgente di Gheddafi
Anche la Russia chiude le porte a Gheddafi: il presidente Medvedev annuncia che il Colonnello e i suoi familiari non potranno mettere più piede a Mosca e neppure condurvi operazioni finanziarie. L’annuncio del presidente russo arriva il 14 marzo, proprio mentre la travolgente controffensiva delle forze del raìs ha colto di sorpresa non solo gli insorti ma anche la diplomazia occidentale, che ancora si attarda a verificare la possibilià di una “no fly zone” che fra pochi giorni potrebbe rivelarsi ormai inutile, se gli insorti dovessero capitolare sul piano militare dopo l’ultima disperata resistenza che si va apprestando fra Brega e Bengasi, ad Adjabiya.
-
Che ipocriti, si svegliano solo adesso per liquidare Gheddafi
Non poteva mancare. Le pressioni erano troppo forti. E così il Tribunale penale internazionale è entrato prepotentemente sulla scena libica. Muammar Gheddafi e i suoi scherani ora sono sotto inchiesta per crimini contro l’umanità. Per l’amor del cielo, lungi da noi contestare le accuse che la Corte dell’Aia muove al Colonnello, solo vorremmo sapere quali siano i crimini commessi e quando. Eh sì, perché fino a poche settimane fa il leader libico appariva come uno stravagante ma rispettato uomo di Stato, mentre oggi è diventato un tiranno genocida.
-
Giovani arabi: rivoluzione Al Jazeera, l’Occidente balbetta
Non è quello del comunismo. E, per ora, non lo si può chiamare “fantasma della democrazia”. E’ una rivolta da fine dell’Impero. E’ uno dei sintomi della crisi globale del pianeta, che progressivamente sta sostituendo, e sostituirà completamente in pochi anni, tutte le agiografie adoranti della globalizzazione imperiale. E’ un figlio di molti fattori, che non possono essere ridotti a uno, come gran parte della stampa occidentale sta scribacchiando in questi giorni. Non è la rivoluzione dei “social network” americani, anche se vi hanno contribuito. Non è la rivoluzione democratica all’occidentale, anche se questo aspetto fa capolino, per esempio in Egitto.
-
Massacro in Libia, Gheddafi fa sparare sulla protesta
Cresce di ora in ora la tensione in Libia: almeno quattro persone sono rimaste uccise negli scontri scoppiati tra forze dell’ordine e manifestanti nella città orientale di Al-Bayda, nelle prime ore della cruciale “giornata della collera” proclamata dalle opposizioni il 17 febbraio per contrastare il regime di Gheddafi. Le notizie fluiscono frammentarie, attraverso siti di opposizione e Ong libiche. Gli scontri di Al-Bayda fanno seguito alla protesta di Bengasi, ferocemente repressa nella notte tra il 15 e il 16 febbraio. Il Colonnello teme che anche la Libia possa sollevarsi contro il regime: per questo, secondo i servizi segreti italiani, ha agevolato l’esodo verso Lampedusa attraverso la Tunisia facilitando l’espatrio di oppositori.
-
Gheddafi trema: scontri a Bengasi, s’incendia anche la Libia
Il contagio della rivolta nel mondo arabo e islamico è arrivato anche in Libia, paese che confina con sia con Egitto che con la Tunisia. È di almeno 38 feriti il bilancio degli scontri fra manifestanti e polizia appoggiata dai sostenitori del leader libico Muhammar Gheddafi, scoppiati a Bengasi nella notte fra il 15 e il 16 febbraio. Mentre a Lampedusa – dove è stato dichiarato lo stato d’emergenza – si ammassano migliaia di profughi tunisini, a tremare è ora il regime di Tripoli, al quale il governo Berlusconi ha affidato il controllo della frontiera mediterranea. Dopo aver fatto il tifo per Ben Alì e Mubarak – i presidenti-dittatori rovesciati dalla furia popolare tunisina ed egiziana – ora Gheddafi deve fare i conti con il popolo libico galvanizzato dall’ondata democratica maghrebina.
-
Contro Mubarak e gli altri dittatori che abbiamo allevato
Mubarak lascia sparare la sua polizia sulla folla e l’Onu avvia il ritiro dei suoi funzionari. Non è più tempo di esitare fra le incertezze di Obama e l’«avanti con il popolo egiziano» di Slavoj Zizek. Sto con Zizek. Non siamo di fronte a scelte tranquille e felici. Da un pezzo una cosiddetta laicità nel Maghreb e nel Medio Oriente è garantita soltanto da regimi dittatoriali. Da un pezzo lasciare libertà di voto può condurre a un’affermazione non solo islamica, ma islamista. Una democrazia in senso proprio, che non è soltanto fare le elezioni ma stabilire un’effettiva divisione dei poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – cioè una sicurezza di uguali diritti di fronte alla legge, non è garantita da nessuno.
-
Egitto, l’ipocrita Blair auspica un «cambiamento stabile»
Quel che salta subito all’occhio nelle rivolte di Tunisia e d’Egitto è la massiccia assenza del fondamentalismo islamico: secondo la migliore tradizione laica e democratica la gente si è limitata a rivoltarsi contro un regime oppressivo, la sua corruzione e la sua povertà, chiedendo libertà e speranza economica. La cinica convinzione occidentale secondo cui nei paesi arabi la coscienza genuinamente democratica si limiterebbe a piccole élite liberal, mentre le grandi masse possono essere mobilitate solo dal fondamentalismo religioso o dal nazionalismo si è dimostrata erronea. Il grosso interrogativo è naturalmente: che succederà il giorno dopo? Chi ne uscirà vincitore?
-
La Cia, il boia Suleiman e la spazzatura della storia
Quattro morti e 1.500 feriti, museo egizio in fiamme, giornalisti picchiati a sangue: a far precipitare nel caos la protesta rivoluzionaria del Cairo, la comparsa di miliziani pro-Mubarak ora condannata da Obama, che si affretta a chiedere una «transizione immediata» fra il regime assediato – che non si rassegna a cedere il potere – e la vasta ondata popolare che ha portato in piazza milioni di persone, in nome della svolta democratica promossa dalle opposizioni coordinate da Mohammed El Baradei. Una situazione esplosiva, che sembra fatta apposta per esasperare la folla e rianimare così il fantasma dell’estremismo islamico, finora assente dalla contesa egiziana. E mentre Washington getta l’ex alleato Mubarak nella spazzatura della storia, la stampa americana riscopre – in ritardo – il “passato nero” di Omar Suleiman, formidabile aguzzino per conto della Cia durante l’era Bush.