Archivio del Tag ‘dittatura’
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Terremoto elezioni, frana mezzo secolo di pace e fiducia
Bisogna capire cosa sono i terremoti elettorali in Francia, Grecia, Germania, Italia. Anche perché è solo un inizio, e sbagliare giudizio sarà pericoloso. Io credo che abbiano un epicentro comune: si chiama rottura del patto sociale europeo. Chi l’ha prodotta? Una rivoluzione, quella dei banchieri, cioè il passaggio finale, formale, della politica nelle mani della finanza internazionale, di quelli che Luciano Gallino chiama i “proprietari universali”. I popoli europei, raggirati prima e adesso bastonati senza pietà, cominciano a reagire. Per ora confusamente. Ma cominciano a capire. E cosa vedono? Vedono che i partiti tradizionali, tutti, destra e sinistra, cui avevano fatto riferimento negli ultimi cinquant’anni, mancano all’appello. Perché hanno tenuto bordone, hanno taciuto, sono complici. Per questo gli elettori li abbandonano (cominciano ad abbandonarli).
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No-Imu, rivolta fiscale contro la “patrimoniale dei poveri”
Primi segnali di rivolta nell’Italia ricattata dai poteri forti della finanza mondiale, che hanno imposto il governo Monti per tagliare la spesa sociale fino a pretendere la follia del pareggio di bilancio: lo Stato non più sovrano e ridotto a campare di tasse, senza poter più investire un solo euro sui cittadini. Il primo a sollevarsi è stato Paolo Barnard: «Sbagliato pagare le tasse per un totale che superi il 40% del Pil, il saldo deve restare attivo a favore della popolazione», tenendo conto che oggi la spesa pubblica sfiora il 50% del prodotto interno lordo. Se Barnard propone una “autoriduzione” orizzontale dei tributi, la battaglia politica si concentra sull’Imu, l’imposta sulla casa che resuscita l’Ici: abolirla fu un errore, dice Monti, rimproverando Berlusconi. Proprio la rivolta contro l’Imu viene ora agitata da Roberto Maroni, che spera di far dimenticare gli scandali della Lega. E il Piemonte di Roberto Cota sarà la prima Regione italiana a “licenziare” Equitalia. Concorde persino il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.
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Barnard: stop tasse a Monti, in nome del popolo italiano
Perché pagare le “nuove tasse di Monti”, se il governo tecnico è stato imposto forzando la Costituzione, per ordine dell’élite finanziaria mondiale che sta piegando ai suoi voleri l’intera Europa? Se l’obiettivo finale è il pareggio di bilancio, ovvero la certificazione della morte clinica dello Stato come “sindacato dei cittadini”, l’unica strada è sabotare il governo “golpista”, usando la sua stessa arma: il denaro. Dopo aver denunciato il premier e il capo dello Stato per il “golpe finanziario” che sta mettendo in ginocchio l’Italia, Paolo Barnard lancia un appello esplicito all’obiezione fiscale verso la tassazione speciale dell’austerity: il giornalista propone una sorta di “autoriduzione” delle imposte, in modo che il prelievo tributario non superi il 40% del Pil. Violare apertamente la normativa? Per Barnard, sarebbe una “risposta” perfettamente democratica al carattere «illegittimo» del governo che la impone.
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No ai banchieri: nonostante l’Italia, l’Europa s’è desta?
Nonostante il tragicomico Bersani, che tenta di festeggiare Hollande quando i socialisti in Francia propongono l’esatto contrario della politica del Pd in Italia – cioè il “no” all’Europa del rigore, che impoverisce tutti tranne i ricchi e i banchieri – proprio il fronte “no-euro” potrebbe presto diventare il primo “partito”, nell’Europa piegata dalla crisi. A partire dai francesi, gli elettori si schierano contro le politiche dell’Unione Europea, la moneta unica e le ricette della banca centrale. Mentre in Italia i vecchi partiti sigillano il “grande sonno” nella cassaforte politica di Mario Monti, il resto dell’Europa sembra finalmente svegliarsi: in Olanda e Repubblica Ceca il governo è caduto in mancanza di un accordo “lacrime e sangue” come quello italiano, la Polonia in fase di crescita si guarda bene dall’adottare l’euro e persino nel Regno Unito, che non ha mai rinunciato alla sterlina, vola nei sondaggi il partito che chiede l’uscita dall’Unione Europea, mentre l’austerità fa crollare i consensi del governo Cameron.
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La guerra democratica: noi ipocriti, i peggiori assassini
Con un profetico bestseller, Giulietto Chiesa la battezzò “la guerra infinita”: era l’incubo che doveva metter fine al breve sogno della pacificazione globale, dopo il lungo inverno della guerra fredda. I Grandi si promisero una pace duratura, ma mentivano: appena l’Urss abbassò le armi, l’America ne approfittò per assediarla e conquistare posizioni in tutto il mondo. «Da quando è crollato il contraltare sovietico – dice oggi Massimo Fini – le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in vent’anni». Così, la “guerra asimmetrica” di cui parlava Giulietto Chiesa – potenti eserciti super-tecnologici contro sparute armate di miliziani irregolari e vaste stragi di civili – è ora la “guerra democratica”, nella traduzione di Massimo Fini: oggi il boia siamo noi, l’Occidente “umanitario” e ipocrita, che uccide a distanza, rifiutandosi di guardare in faccia le vittime dilaniate, a migliaia, da missili-killer che cadono lontano dalle nostre case.
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Avviso a Monti e Bersani: la Francia boccia la loro Europa
L’Europa è stanca: di “rigore” si può morire, e non se ne vede il motivo. Mentre l’Olanda andrà ad elezioni anticipate, in mancanza di un accordo politico “lacrime e sangue” per rispettare i diktat di bilancio del Fiscal Compact – lo Stato obbligato a ridurre ulteriormente la spesa sociale per contenere il debito – il primo turno delle presidenziali francesi punisce “Merkozy” e premia sia la sinistra di François Hollande che l’estrema destra di Marine Le Pen, entrambe contrarie alla “dittatura della Bce”. A differenza dell’Italia, dove Pd e Pdl al riparo di Mario Monti eseguono alla lettera il programma di austerity imposto da Bruxelles, o della Spagna, dove il neopremier Mariano Rajoy applica le durissime direttive di Francoforte, da Parigi ad Amsterdam la scure tecnocratica dell’eurocrisi sembra destinata ad incontrare un ostacolo imprevisto: la politica.
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Diaz-choc, l’agente: la polizia si decida a chiedere scusa
Grazie a “Paese Sera” ho avuto modo di assistere alla proiezione per la stampa del film “Diaz”; sono entrato in sala con la certezza, maturata in questi anni, di aver sviluppato i necessari anticorpi per una “serena e matura” visione grazie a un percorso professionale e sindacale che fin da subito mi aveva posto in antitesi con quanto avvenuto, e non senza problemi e difficoltà. Mi sbagliavo profondamente. Le immagini proiettate superano tutte le ricostruzioni mentali che avevo fatto su quanto accaduto. La ricostruzione cinematografica della “più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” (Amnesty International) ti tocca nel profondo e ti fa provare un senso di vergogna facendoti sentire il bisogno di chiedere scusa al mondo intero.
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La casta che ha ucciso la politica ora la chiama antipolitica
Allarme “antipolitica”: di fronte al verdetto dei sondaggi, ora la casta ha paura. Bersani, alleato di Berlusconi nel sostegno al governo Monti, finge di stupirsi del successo annunciato per il movimento di Beppe Grillo. E persino Vendola, a metà del guado – tra la foto-ricordo del summit di Vasto e la tentazione di smarcarsi dal vecchio centrosinistra – oggi taccia di “populismo” l’ex comico genovese. Il momento è cruciale: Monti sta smantellando quel che resta del nostro Stato sociale, inaugurando una restaurazione autoritaria epocale. E alla disaffezione degli italiani – solo uno su due alle urne, stando alle intenzioni di voto – si aggiunge anche il disgusto per la tangentopoli leghista, mentre chi ieri strillava contro le cricche e le caste oggi sostiene il “governo dei banchieri” insieme a Silvio Berlusconi.
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Vik, vincitore anche da morto: non ho mai smesso di sognare
«Non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera, semmai voglio essere ricordato per i miei sogni. Dovessi morire, tra cento anni, vorrei che sulla mia lapide fosse scritto ciò che diceva Nelson Mandela: un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare. Vittorio Arrigoni, un vincitore». Vittorio si accompagnava con docilità alla grandezza reale dei suoi sogni, ma alludeva inevitabilmente alla nera ombra che si abbinava al suo raro coraggio fisico, un’ombra che lo ha raggiunto prima di quei cent’anni, proprio un anno fa. Un anno dopo la morte di Vittorio Arrigoni siamo interrogati in profondità dal “vincitore”, anche quando scontiamo la sconfitta profanatrice che ha spezzato la sua vita.
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Chomsky: il mondo ha paura di Israele, non dell’Iran
Nel numero di gennaio-febbraio della rivista “Foreign Affairs” un articolo di Matthew Kroenig intitolato “È il momento di attaccare l’Iran” spiega perché un attacco è l’opzione meno peggiore. Sui media si fa un gran parlare di un possibile attacco israeliano contro l’Iran, mentre gli Stati Uniti traccheggiano tenendo aperta l’opzione dell’aggressione, ciò che configura la sistematica violazione della carta delle Nazioni Unite, fondamento del diritto internazionale. Mano a mano che aumentano le tensioni, nell’aria aleggiano i fremiti delle guerre in Afghanistan e Iraq. La febbrile retorica della campagna per le primarie negli Usa rinforza il suono dei tamburi di guerra. Si suole attribuire alla “comunità internazionale” – nome in codice per definire gli alleati degli Stati Uniti – le preoccupazioni per l’imminente minaccia iraniana. I popoli del mondo, però, tendono a vedere le cose in modo diverso.
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Monti, lo stalinista americano che devasterà gli italiani
I colpi di Stato? Oggi non si fanno più coi carri armati, ma con un’abile gestione extraparlamentare di magistrati, giornalisti ed economisti. «È il post-moderno, bellezza!», ironizza il filosofo Costanzo Preve, che denuncia due golpe: «Quello di Monti del 2011 non è il primo ma il secondo, dopo quello di Mani Pulite del 1992», un “colpo di stato giudiziario” per abbattere il sistema partitico della Prima Repubblica, «non certo più corrotto di quello venuto dopo, ma pur sempre garante di un certo assistenzialismo sociale e di una sovranità monetaria dello Stato nazionale, sia pure all’interno dello schieramento post-bellico americano». Stavolta non c’è stato neppure bisogno di manette: «Sono bastati i mercati internazionali e soprattutto la regia di Napolitano, il rinnegato ex-comunista passato al servizio degli americani».
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La domenica delle salme: e noi non decidiamo più niente
“Il ministro dei temporali, in un tripudio di tromboni, auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni”. E’ la nostra eterna “domenica delle salme”: cambiano solo le Repubbliche e i nomi dei ministri, ma i temporali evocano lo stesso suono di campane a morto. L’unica differenza percepibile è il peggioramento costante, e senza più neppure la consolazione civile di cantori come Fabrizio De André, che sapevano – loro sì – maneggiare parole difficili come verità, libertà, dignità. Il Brasile non consegna all’Italia l’ex terrorista Battisti perché il nano-premier è il primo a sparare sulla giustizia italiana, scriveva il coro del mainstream, affollato di “regine del tua culpa”. Oggi Berlusconi non c’è più, eppure gli inglesi fanno scorrere sangue italiano in Nigeria senza neppure avvertire Roma, messa alla gogna mondiale con l’arresto di due marò in India.