Archivio del Tag ‘dittatura’
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Occhio ai “custodi” della democrazia non eletti da nessuno
Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”. «E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».Salvini e Orbán, nondimeno, hanno dato ennesima sintesi alla loro polemica sull’Europa, incarnandola in un “barbaro” da combattere, anzi da espellere: si tratta del supermassone neo-aristocratico George Soros, finanziere di origine ungherese, noto fra l’altro per il devastante attacco speculativo alla lira italiana del 1992. E’ lui, scrive Berti, ad apparire un attendibile “cosmocrate” dei nostri tempi: un europeo trapiantato a Wall Street per lanciare dalla trincea americana la “guerra mondiale” della globalizzazione finanziaria, «quella che avrebbe brutalmente sostituito – principalmente in Europa – la politica con la tecnocrazia, finendo con l’assegnare all’oligopolio bancario apolide (travestito da “libero mercato”) le leve ultime sui destini degli ex Stati nazionali». Gestore di mega-hedge fund, nonché filosofo e mecenate di fondazioni politico-culturali mondialuste, rivestirebbe dunque con speciale verosimiglianza i panni del “dittatore” contemporaneo: il Grande Fratello di un capitalismo finanziario globalizzato «che non avrebbe più bisogno, come cent’anni fa, di un Hitler o di un Mussolini», dal momento che gli bastano un Obama truccato da progressista e l’ideologia politically correct «per preservare la propria egemonia dopo “l’incidente” del 2008 sui mercati finanziari».Chi è il vero barbaro? E chi può dare veramente del “barbaro” a chi? «Nell’Italia, nell’Europa, negli Usa del 2018 – scrive Berti – il solo porre la questione offre ormai il fianco ad accuse di connivenza con la “barbarie”». Ma la questione sostanziale, aggiunge l’analista, è questa: se il richiamo al primo dopoguerra mondiale è lecito, il rischio massimo risiede nel rifiuto di affrontare i nodi reali posti dalla storia. «Esattamente cent’anni fa l’Europa – dopo che tutti i contendenti continentali avevano più o meno perso la guerra – perse anche la pace, e in molti paesi la libertà, preparando un nuovo e più distruttivo conflitto. Questo – aggiunge Berti – avvenne perché governi ed establishment nazionali gestirono con categorie ottocentesche il dopoguerra, che segnava invece l’inizio del Novecento: sia all’interno dei sistemi-paese che nelle relazioni internazionali». Solo gli Stati Uniti, rileva l’analista, riuscirono ad attraversare il vero momento di passaggio, cioè la Grande Depressione del 1929, «senza stravolgere il loro sistema, e ridisegnando un archetipo di successo della democrazia mista di mercato».Il cambio di paradigma politico-economico del New Deal, sottolinea sempre Berti nella sua analisi, fu comunque drastico almeno quanto brutale fu la Grande Recessione: e sarebbe interessante rivedere chi, in quegli anni, dava del “barbaro” a chi, in America (al Congresso, sui media e nelle università). «Quarant’anni dopo, comunque, il paradigma fu di nuovo rovesciato su scala globale dal thatcherismo-reaganismo: e molti difensori odierni del “legittimismo democratico-liberista” erano fra i supporter del “sano sovversivismo” portato dalla nascente finanza di mercato (l’etichetta mediatica “barbarian at the gates” fu coniata in occasione dell’Opa Nabisco, il primo assalto riuscito da parte di hedge fund e junk bond all’industria tradizionale, alla fine degli anni Ottanta)». E’ in quella transizione “magnifica e progressiva”, continua Berti, che, fra l’altro, tre piccole agenzie private si affermano come decisori sovranazionali del rating, del merito finanziario di chiunque sul pianeta. «Dieci anni dopo il crack Lehman – il suo più clamoroso fallimento tecnico-politico – il rating detta ancora letteralmente legge: i voti delle tre agenzie di Wall Street, le stesse di allora, rimangono parte integrante della regolamentazione bancaria nell’Eurozona». Ma sono sempre più numerosi coloro che, per usare la terminologia di Cassese, denunciano come “mercato illiberale” quello creato dalla globalizzazione e oggi tenacemente difeso dai istituzioni finanziarie “too big” per essere controllabili dalle democrazie.«Roosevelt, il salvatore dell’Europa democratica – ricorda Berti – è stato l’unico presidente Usa ad essere stato eletto quattro volte: una “dittatura democratica” lunga 13 anni, successivamente vietata dalla legge». Gli succedette Eisenhower, che da militare aveva condotto la guerra di liberazione in Europa, e da presidente «governò con la guerra fredda e il terrore nucleare, tollerando inizialmente una “caccia alle streghe” nella politica interna». Kennedy? «Fu assassinato perché lottava per i diritti civili e l’integrazione razziale, ma aveva deciso anche la guerra in Vietnam». La “democrazia (sociale) di mercato” non è mai stata un “tipo ideale” neppure in quella che è considerata la sua patria, dice Berti. «E se deve guardarsi da scivolamenti e corruzioni non può neppure trasformarsi in ideologia né essere tutelata nella presunta ortodossia da custodi autonominati, né divenire arma di scontro politico». Ineccepibile, il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, nel ricordare – al meeting di Rimini – che l’Italia deve rispettare lo “Stato di diritto europeo”, partecipando al bilancio Ue. Gli fa eco il ministro dell’economia Giovanni Tria, sul rispetto dei parametri Ue per l’adesione all’Eurozona. Ma, aggiunge Berti, «non ha torto neppure chi sostiene che – proprio in democrazia – ogni norma è riformabile, anzi: è fatta per essere riformata. E non può essere imposto, dogmaticamente, un coefficiente numerico fissato un quarto di secolo prima». Il rapporto al 3% fra deficit e Pil? «Non è equivalente al 51% del principio democratico universale scolpito ad Atene 2.500 anni fa». Conmclude Berti: «La democrazia, fortunatamente, è antichissima. E, come sosteneva il “dittatore” britannico Winston Churchill, resta “il peggiore sistema politico, salvo tutti gli altri”».Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”. «E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».
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Migranti? Salvini ci distrae dal Mostro: il pareggio di bilancio
Se c’è qualcosa di “vomitevole”, nella politica italiana – per usare un’espressione cara al soave Macron – è l’ipocrita cinismo con cui la sinistra (politica, stampa, establishment) azzanna Salvini in materia di migranti. L’altro problema? Enorme: facendo tutto quel rumore solo sul problema degli sbarchi, non così importante nei numeri, il leader della Lega – messi da parte gli economisti sovranisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai – sta letteralmente oscurando il vero dramma nel quale si dibatte il paese. Ovvero: il rigore finanziario imposto da Bruxelles fino al pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione dal governo Monti con la complicità di Berlusconi e Bersani. Lo afferma Paolo Barnard, giornalista scomodo e acuminato polemista, il primo a denunciare “l’economicidio” del paese pianificato dalle élite europee neo-aristocratiche. Oligarchi, padroni della finanza e delle multinazionali: sono stati loro a progettare la catastrofe di questa Eurozona, allo scopo di amputare la spesa pubblica per privatizzare tutto e far crollare il sistema economico delle piccole e medie imprese, soffocate dalle tasse. Sempre meno, per tutti noi: “pareggio di bilancio” significa che lo Stato recupera, sotto forma di imposte, tutto quello che ha speso per i cittadini. Peggio ancora, il “surplus di bilancio”: lo Stato anticipa 100, ma poi riscuote 120 (non solo non lascia nulla, ma addirittura impoverisce attivamente il paese). Riuscirà a parlarne, Salvini, quando avrà finito di sbraitare a reti unificare contro “l’invasione” degli africani?Senza una drastica inversione di tendenza, scrive Barnard nel suo blog, l’Italia farà la fine della Svezia: pur essendo dotato di moneta sovrana, il paese scandinavo (patria storica del welfare avanzato) per reggere l’accoglienza dei migranti – tantissimi, 600.000 negli ultimi 5 anni, in un paese di 10 milioni di abitanti, «che in proporzione è come se l’Italia ne avesse avuti 3.600.000» – il governo di Stoccolma, socialdemocratico ma plagiato dal dogma neoliberista dell’Ue, ha letteralmente massacrando la popolazione svedese a suon di tasse. Risultato: le imminenti elezioni rischiano di vincerle a mani basse i populisti Democratici Svedesi, feroci sui migranti ma letteralmente muti sul vero dramma, il pareggio di bilancio. Proprio come Salvini, accusa Barnard, che di fronte all’esodo africano sembra «il vigile tonto che con la paletta pensa di fermare lo tsunami in spiaggia». La sinistra? «Fa venir da vomitare, usa i neri con un cinismo da impiccagione sul posto: non sanno proporre una soluzione sistemica al motivo per cui migrano, e predicano invece la loro accoglienza (a casa e a spese degli italiani sfigati, non certo a casa loro). Questo insulto alla geopolitica gli lava l’anima, ma poi lascia 389 milioni di africani nella disperazione e non risolve un cazzo da 26 anni». Sono almeno 500 milioni, scrive Barnard, gli esseri umani a rischio di migrazione: per ogni sorta di motivo, dal neo-colonialismo europeo all’emergenza climatica, «e non li fermerai mai coi divieti di Salvini». La soluzione? «Deve essere un accordo economico sistemico internazionale».In ogni caso, sottolinea Barnard, i migranti sono il problema numero 300 del nostro “portafoglio”: prima vengono sanità, pensioni, scuola e lavoro. Ben prima dei migranti ci cadono addosso le “chemiotasse” imposte dall’euro, il credito che le banche non concedono, l’Italia che non cresce più da vent’anni. Il problema numero uno è lui: il pareggio di bilancio, «cioè la dittatura Ue che dice che lo Stato deve darti 100 e poi tassarteli tutti e 100, cioè lasciarti nulla nel portafoglio – sanità, pensione, scuola, crescita». Eppure, fateci caso: «La lotta della Lega al nero che sbarca è diventata una tempesta solare», mentre l’opposizione leghista al vero nemico – il pareggio di bilancio – ormai «assomiglia sempre più a un petardo». Salvini? «Sta facendo sbiadire la mostruosità del pareggio di bilancio, che è la prima causa delle pene degli italiani, e li incoraggia a cercare da un’altra parte un capro espiatorio per la loro rabbia da crescente povertà e insicurezza: nell’immigrazione». Per Barnard «è un bypass velenoso, che Salvini alimenta ogni minuto». Il meccanismo «ha una presa micidiale sulla gente» ma è anche «distruttivo», come sta accadendo in Svezia, cioè il paese in crisi verso cui ci starebbe spingendo la Lega, con la sua miopia. Il paradosso, aggiunge Barnard, è che la Lega sulla carta doveva fare l’esatto contrario: mantenerci tutti concentrati sul pericolo numero 1, il pareggio appunto, non distrarci da esso con l’ossessione del pericolo numero 300, cioè gli sbarchi dei migranti.In Svezia ne hanno accolti una quota enorme, sopra il 5% della popolazione nazionale. Tutti assorbiti nel sistema produttivo: industria, sanità, servizi sociali. Economia in crescita, quindi: il Pil è salito del 3,3%, contro la media europea del 2%. Ottimo? No, niente affatto, spiega Barnard: perché poi, dati alla mano, nelle zone meno popolate (il 90% del paese) stanno chiudendo ospedali e consultori. «Ne soffrono le donne, a cui ora le autorità stanno insegnando come partorire in auto perché spesso la maternità più vicina è a oltre 100 km di distanza. Non solo: a volte le partorienti svedesi vengono respinte dai consultori perché sono stipati di pazienti, fra cui anche migranti». Le liste d’attesa in sanità sono letteralmente esplose: non per colpa dei migranti, però, ma per via dei tagli decisi – a monte – dal governo, preoccupato in modo demenziale di raggiungere ogni anno il pareggio di bilancio imposto dall’Ue. Ormai, «quello che viene vantato nel mondo come un sistema di welfare che assiste “dalla culla alla tomba” e che mantiene chi perde il lavoro in relativo agio, oggi fa acqua da tutte le parti». Idem il lavoro: «La disoccupazione svedese, che dovrebbe essere inesistente, è al 7%, e questo nonostante la già citata crescita». Un dato che «fa vergognare la nazione scandinava a confronto con la spietata America, dove i disoccupati sono al 3,9%».Crisi da rigore di bilancio, in salsa nordica: «Gli svedesi non trovano abbastanza case, e se le trovano costano una fortuna. In parte il problema è dovuto al fatto che i 600.000 migranti hanno assorbito alloggi, ma molto di più è dovuto a un mercato immobiliare selvaggio causato da politiche di governo e banca centrale che hanno permesso liquidità a costo quasi zero, quindi incentivato acquisti sempre più frenetici che hanno alzato i prezzi alle stelle, che a loro volta hanno costretto gli svedesi a indebitarsi con le banche da pazzi per avere una casa. Nel frattempo lo Stato non è affatto intervenuto con edilizia popolare per aiutare gli esclusi». Ecco allora il vero motivo del disastro che sta esasperando gli svedesi: e cioè «l’ossessione da parte del governo, persino in una nazione sovrana nella moneta, di pareggiare i bilanci, e addirittura di fare il surplus di bilancio». Per cosa, poi? «Solo poter vantare nelle casse dello Stato un assurdo bottino che contabilmente non ha senso, ma soddisfa i “numerini degli economisti europei”. Ecco come agiscono i pareggi e surplus di bilanci, cioè la macchina d’impoverimento peggiore della storia, in Svezia». E questa, aggiunge Barnard, è «la vera fucina dell’esasperazione dei cittadini, che poi sbagliano clamorosamente target e se la prendono coi migranti (come da noi)».Follia: il governo svedese «non solo pareggia i bilanci da anni, ma ora addirittura fa surplus di bilancio da 4 anni, e intende insistere in questa strage delle tasche dei cittadini fino al 2021 almeno». Questo, sottolinea Barnard, «è il motivo dei drastici tagli governativi a sanità, alloggi pubblici per gli ultra-indebitati, sicurezza e persino welfare. I fondi ai migranti, qui, sono irrilevanti». Altra follia: «Mentre il governo spende 100 per gli svedesi e li tassa 120, ha avuto la buona idea di aumentare le tasse, con l’aliquota massima oltre il 70%, e di tagliare a raffica una serie di sconti fiscali». Chi sta quindi sta assassinando i redditi svedesi? «Risposta: svedesi con pelle bianchissima seduti a Stoccolma, non stranieri di pelle scura (per noi italiani invece è il contrario: gli assassini economici sono in effetti stranieri, ma sempre di pelle bianca, e stanno a Bruxelles)». Terza follia: «Questa idrovora di tassazione e tagli di spesa pubblica nel portafoglio di aziende e famiglie svedesi accade mentre, secondo i dati del ministero delle finanze, il costo per ogni nativo svedese per l’accoglienza dei migranti è di 6.800 euro all’anno in ulteriori tasse. E questo grida vendetta, perché la Svezia è paese a moneta sovrana, e per definizione non necessita di tasse per spendere per qualsiasi cosa, inclusi i migranti. Quindi, se i migranti pesano in parte sui portafogli degli svedesi, la colpa è tutta e solo della scelta di governo di ubbidire ai diktat imperanti in Europa».Ed ecco che scatta il micidiale bypass delle colpe, conclude Barnard: un numero sempre maggiore di svedesi «mica se la prendono col loro demenziale governo e con le sue devastanti politiche fiscali». Al contrario, «se la prendono coi migranti». In pole position, nei sondaggi per le vicinissime elezioni, c’è il partito «di estrema desta e rabbiosamente anti-immigrazione», i Democratici Svedesi, dato addirittura vincente. E qui sta il dramma: se si osserva la piattaforma politica dei Democratici Svedesi, si scopre che il nazionalismo, la patria, l’identità e la xenofobia sono il 98%, mentre il resto «è un’accozzaglia di belle intenzioni su lavoro, anziani, sanità, commercio, ma nulla di specifico sulla vitale necessità di demolire ciò che davvero sta devastando famiglie e aziende svedesi, che è il pareggio (o surplus) di bilancio». Nel loro programma non esiste la voce “abolizione pareggi e surplus di bilancio”. «Strombazzano solo contro le politiche troppo generose sui migranti». Risultato? «Il dramma nordico rimarrà inalterato, esattamente come rimarrà inalterato il dramma italiano se Matteo Salvini, come i Democratici Svedesi, continua a gonfiare l’ipertrofica bolla delle navi nei porti, mentre pacatamente sta costruendo un nulla di fatto su “no euro”, “no pareggio di bilancio”, e su Italexit». E siatene certi, chiosa Barnard: «Dopo le roboanti boutade “macho” dell’uomo forte italiano, nel vostro portafoglio, nella sanità, nelle pensioni, nelle scuole, nel lavoro tuo e dei figli, nelle ‘chemiotasse’, nei crediti che non ti danno, e nell’Italia che non cresce da 20 anni non ci sarà un nero. Ci sarà Salvini».Se c’è qualcosa di “vomitevole”, nella politica italiana – per usare un’espressione cara al soave Macron – è l’ipocrita cinismo con cui la sinistra (politica, stampa, establishment) azzanna Salvini in materia di migranti. L’altro problema? Enorme: facendo tutto quel rumore solo sul problema degli sbarchi, non così importante nei numeri, il leader della Lega – messi da parte gli economisti sovranisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai – sta letteralmente oscurando il vero dramma nel quale si dibatte il paese. Ovvero: il rigore finanziario imposto da Bruxelles fino al pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione dal governo Monti con la complicità di Berlusconi e Bersani. Lo afferma Paolo Barnard, giornalista scomodo e acuminato polemista, il primo a denunciare “l’economicidio” del paese pianificato dalle élite europee neo-aristocratiche. Oligarchi, padroni della finanza e delle multinazionali: sono stati loro a progettare la catastrofe di questa Eurozona, allo scopo di amputare la spesa pubblica per privatizzare tutto e far crollare il sistema economico delle piccole e medie imprese, soffocate dalle tasse. Sempre meno, per tutti noi: “pareggio di bilancio” significa che lo Stato recupera, sotto forma di imposte, tutto quello che ha speso per i cittadini. Peggio ancora, il “surplus di bilancio”: lo Stato anticipa 100, ma poi riscuote 120 (non solo non lascia nulla, ma addirittura impoverisce attivamente il paese). Riuscirà a parlarne, Salvini, quando avrà finito di sbraitare a reti unificare contro “l’invasione” degli africani?
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Mafia, Wall Street e traditori: così è stata svenduta l’Italia
Falcone e Borsellino? Eliminati per un motivo più che strategico. Braccando la mafia, erano risaliti – tramite la pista massonica – ai legami finanziari tra l’élite Usa e la manovalanza italiana della grande operazione che si stava preparando, e che avrebbe devastato la storia del nostro paese: la svendita dell’Italia all’élite finanziaria globalista, che si servì di collaborazionisti di primissimo piano. Obiettivo: mettere le mani sullo Stato, razziando risorse e togliendo servizi vitali ai cittadini. All’indomani della catastrofe di Genova, coi riflettori puntati sullo strano caso delle autostrade “regalate” ai Benetton (e ai loro potenti soci d’oltreoceano), è illuminante rileggere oggi la paziente ricostruzione realizzata già nel 2007 da Antonella Randazzo. Mentre i giudici di Mani Pulite davano agli italiani l’illusione di un cambiamento nel segno della trasparenza, mettendo fine alla corruzione della Prima Repubblica, la finanza aglosassone convocava a bordo del Britannia gli uomini-chiave della futura Italia, assoldati per sabotare il proprio paese. Sarebbero stati agevolati dalla super-speculazione di George Soros sulla lira, che tolse all’Italia il 30% del suo valore, favorendone la svendita a prezzi stracciati. Da allora, un copione invariabile: aziende pubbliche rilevate da imprenditori italiani finanziati dalle stesse banche anglosassoni che avevano progettato il “golpe”. Il grande complotto contro l’Italia che – per primo – proprio Giovanni Falcone aveva fiutato.Era il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava. Cos’era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali? Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. Con l’uragano di Tangentopoli gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”.Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L’allora ministro degli interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l’uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal ministro degli interni. L’attacco alla democrazia fu assai più nascosto e destabilizzante. Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: «Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi». Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il “nuovo corso” degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993. Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della “strategia della tensione”, e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un’autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un’altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un’autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone.I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse “colpire le opere d’arte nazionali”, ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle «menti più fini dei mafiosi» (da “reti-invisibili.net”). Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull’economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria. Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia («la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo Stato e piegarlo ai propri voleri»), Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: «Non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti a un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste» (“La Repubblica” , 27 maggio 1992).I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: «Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm» (“La Repubblica”, 28 maggio 1992). Anche il pubblico ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: «Su un piatto della bilancia c’è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti» (“La Repubblica”, 10 giugno 1992). Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo (“La Repubblica”, 23 giugno 1992).Che gli assassini di Capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano. Il ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: «Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana» (“La Repubblica”, 23 giugno 1992). Lo stesso presidente del Consiglio, Amato, durante una visita a Monaco, disse: «Falcone è stato ucciso a Palermo, ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove». Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell’onestà e dell’assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale “La Repubblica”, il 25 giugno 1992: «Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato».L’omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: «Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove» (“La Repubblica”, 27 maggio 1992). Infatti, quell’anno gli italiani capirono che c’era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all’élite che coordina le mafie internazionali. Quell’anno l’élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c’era in atto un’operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: «Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo Stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso: delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona» (“La Repubblica”, 11 agosto 1992). Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: «Bisogna stare attenti, molto attenti… Ho parlato del vecchio “piano di rinascita democratica” di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione… Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale».«Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est… Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche» (“L’Unità”, 12 agosto 1992). Anni dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: «Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leader dei partiti di governo».Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sul Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani. La stampa martellava su Mani Pulite, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli enti statali in società per azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli “hedge funds” per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il Sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul “Financial Times”, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: «Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico» (da “Solidarietà”, febbraio 1996).Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo aveva permesso a Soros di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.Spiegano il presidente e il segretario generale del Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà, durante l’esposto contro Soros: «È stata annotata nel 1991 l’esistenza di un contatto molto stretto e particolare del signor Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria Goldman Sachs & co. come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il signor Soros conta sulla strettissima collaborazione del signor Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della Albertini e co. Sim di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del Quantum Fund di Soros».«L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht Britannia della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di Stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa “Eir” (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione» (dall’esposto della magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995).I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al direttore generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la «necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo», pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni. Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico-finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: «I mercati valutari e le Borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell’unificazione monetaria» (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, Rivista N. 4, gennaio-aprile 1996).Il giorno dopo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché «se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco». Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana. Il Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato (“Solidarietà”, ottobre 1993). Il 6 novembre 1993, l’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare «le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute».Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende. Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia. Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una Spa. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio. Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva «risanare il bilancio pubblico», ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani. Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche, e al ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del gruppo bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank. Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell’élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers, si fecero avanti per attuare un’Opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Il titolo, che durante l’Opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla Jp Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit). Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti. La Telecom, come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema. Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni. Anche per le altre privatizzazioni – Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia – si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere. La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti. I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del presidente del Consiglio.Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati. La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione lavori pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell’ottobre del 2006, il ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E’ simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: «Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom» (“La Repubblica”, 5 settembre 1999). Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (bond) con un alto margine di rischio. La Parmalat emise bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating “Standard & Poor’s” si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale Spa (società della famiglia Tanzi), Citigroup Inc. (società finanziaria americana), Buconero Llc (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche Spa (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton Spa (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat Spa). La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise bond per circa 1.125 milioni di euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. Agli italiani venne dato il contentino di Mani Pulite, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere. A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia. Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.(Antonella Randazzo, “Come è stata svenduta l’Italia”, da “Disinformazione.it del 12 marzo 2007. La Randazzo ha scritto libri come “Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa”, edito da Kaos nel 2006, “La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell’era dell’egemonia Usa” edito nel 2007 da Zambon e “Dittature. La storia occulta”, pubblicata da “Il Nuovo Mondo”, nel 2007).Falcone e Borsellino? Eliminati per un motivo più che strategico. Braccando la mafia, erano risaliti – tramite la pista massonica – ai legami finanziari tra l’élite Usa e la manovalanza italiana della grande operazione che si stava preparando, e che avrebbe devastato la storia del nostro paese: la svendita dell’Italia all’élite finanziaria globalista, che si servì di collaborazionisti di primissimo piano. Obiettivo: mettere le mani sullo Stato, razziando risorse e togliendo servizi vitali ai cittadini. All’indomani della catastrofe di Genova, coi riflettori puntati sullo strano caso delle autostrade “regalate” ai Benetton (e ai loro potenti soci d’oltreoceano), è illuminante rileggere oggi la paziente ricostruzione realizzata già nel 2007 da Antonella Randazzo. Mentre i giudici di Mani Pulite davano agli italiani l’illusione di un cambiamento nel segno della trasparenza, mettendo fine alla corruzione della Prima Repubblica, la finanza anglosassone convocava a bordo del Britannia gli uomini-chiave della futura Italia, assoldati per sabotare il proprio paese. Sarebbero stati agevolati dalla super-speculazione di George Soros sulla lira, che tolse all’Italia il 30% del suo valore, favorendone la svendita a prezzi stracciati. Da allora, un copione invariabile: aziende pubbliche rilevate da imprenditori italiani finanziati dalle stesse banche anglosassoni che avevano progettato il “golpe”. Il grande complotto contro l’Italia che – per primo – proprio Giovanni Falcone aveva fiutato.
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Pezzi di merda: fenomenologia dell’odio nell’Italia di Salvini
Succede questo: a proclamarsi paladini dell’uomo dalla pelle scura, oggi, sono i killer politici dell’uomo dalla pelle chiara – quelli che gli hanno tolto tutto, in Europa, dopo aver abbondantemente depredato anche l’Africa, trasformandola in una terra desolata da cui scappare. Così i naufraghi salvati in mare da una nave della Guardia Costiera diventano prigionieri, letteralmente torturati dal vero Uomo Nero, il Ministro della Paura che usurpa la poltrona del Viminale. Ha un problema, l’Uomo Nero, anzi due: non può fare quello che vorrebbe, e che ha promesso agli elettori – tagliare le tasse – e in più deve rispondere di un risarcimento colossale imposto al suo partito dal potere giudiziario. Un risarcimento così anomalo, e così enorme, da ridurre praticamente a zero la possibilità di sostenere qualsiasi attività politica, e quindi di continuare a esistere, come partito. Chi ha paura dell’Uomo Nero? La cosiddetta Europa: quella che impedisce che le tasse vengano abbattute, che le pensioni italiane siano dignitosamente rimpinguate, che giunga un reddito provvisorio ai senza-lavoro. Di questo sono ostaggi, i naufraghi della nave Diciotti: di un’ingiustizia infame, compiuta da Bruxelles.Negli ultimi tre anni, si apprende, l’Italia ha accolto la quasi totalità dei 700.000 migranti sbarcati sulle sue coste. Il resto d’Europa non li vuole. Deve tenerseli, per forza, l’Uomo Nero. Al quale però non si concede – in cambio – di abbassare le imposte, alzare le pensioni, distribuire un reddito di cittadinanza. “Pezzi di merda”, li qualifica senza giri di parole il filosofo televisivo Massimo Cacciari – ma attenzione: l’insulto non è affatto rivolto ai mostri dell’Unione Europea, i fanatici del rigore, gli affamatori della Grecia, i devastatori dell’Italia, i predoni delle autostrade che poi crollano. Su quelli, tuttalpiù, sono piovute fumose analisi, formulate in italiano forbito. L’espressione brutalmente gergale è invece indirizzata agli insensibili criminali che osano trattenere un centinaio di africani, giovani adulti, a bordo di un natante della Guardia Costiera ormeggiato in un porto siciliano. Tra i “pezzi di merda” più autorevoli, se non altro per il ruolo istituzionale che riveste, è il vicepremier Di Maio, il primo a esprimere – sotto forma di minaccia aperta, alla buon’ora – la possibilità di sospendere i finanziamenti miliardari che l’Italia è tenuta, dai trattati, a versare alla burocrazia Ue.Mentre i filosofi incendiano le strade, già lastricate di furore e di violenza, di odio squadristico e mediatico contro l’insolente governo che gli italiani – quei farabutti – hanno osato votare e ora sostanzialmente approvano, maledetti loro, uno dei due consoli che reggono l’esecutivo Conte arriva dunque ad avvertire i cosiddetti partner europei: attenzione, la corda potrebbe spezzarsi. Si comincia ventilando l’indicibile – la renitenza contributiva – e così ci si infila su un sentiero che potrebbe portare addirittura là dove fino a ieri sarebbe stato impensabile: lo spettro dell’uscita dell’Italia dall’Unione Europea, finalmente presentata per quello che è – una cricca di tecnocrati imbroglioni, al soldo della peggiore oligarchia speculativa. Questo è un paese in cui il presidente della Repubblica, parlando con l’allora premier incaricato, lo ha cortesemente (ma irritualmente) invitato a passare a salutare il governatore della Banca d’Italia, l’esimio Ignazio Visco, super-banchiere convinto – al pari del tedesco Günther Oettinger, o del connazionale Carlo Cottarelli – che saranno “i mercati”, in futuro, a “insegnare” agli italiani come votare, pena la scure dello spread, nel caso ripetessero l’errore imperdonabile di premiare gli sciamannati 5 Stelle o, peggio, l’Uomo Nero, cioè l’illuso che voleva il professor Paolo Savona al ministero dell’economia e un principe del giornalismo indipendente come Marcello Foa alla presidenza della Rai.Scherziamo? Siamo impazziti? L’ultima presidente della Rai, Monica Maggioni, è ora presidente della sezione italiana della Commissione Trilaterale, mentre la collega Gruber – quella che ospita frequentemente il noto filosofo, talora affetto da coprolalia – è saldamente ospite dei gagliardi passacarte messi assieme dal conte Étienne Davignon e dall’imperatore David Rockefeller, riuniti per la prima volta nel lontano 1954 all’hotel de Bilderberg a Oosterbeek, in Olanda. Lo stesso Visco, che governa Bankitalia (di proprietà di banche private) è il pupillo di Mario Draghi, che nel 1992 salì a bordo del panfilo Britannia e oggi governa la Bce (di proprietà di banche private). Draghi risulta essere un membro autorevolissimo dello stesso club che annovera tra i suoi eletti il presidente emerito Napolitano e il francese Jacques Attali, l’uomo-ombra di Macron: prontissimo, tramite l’obbediente Tajani, ad attivare il network sotterraneo dimostratosi capace di indurre Berlusconi a venir meno alla parola data a Salvini, sulla nomina di Foa. Tutto è partito dall’Eliseo, cioè dal vertice politico del paese che, oggi anno, depreda 14 Stati africani portandogli via l’equivalente di 500 miliardi di euro, costringendo i loro giovani a imbarcarsi verso le nostre coste.Qualcuno spieghi, ai migranti soccorsi dalla Diciotti, che non possono fidarsi dell’uomo bianco che si finge loro amico. “Timeo Danaos et dona ferentes”: i greci mi fanno paura anche quando portano doni, dice Laocoonte, nell’Eneide, di fronte al Cavallo di Troia appena giunto davanti alle mura della città assediata. Se solo i giornalisti avessero fatto il loro dovere, accusa il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh, in questi anni avremmo avuto meno guerre, meno stragi, meno vittime, perché quasi tutte le guerre, così come l’opaco terrorismo stragista, sono state organizzate a tavolino, dalla stessa élite bugiarda, agitando false prove per demonizzare leader che riteneva scomodi. L’hanno potuto fare, sempre, grazie alla connivente reticenza dei giornali, delle televisioni. Lo stesso si può dire dell’intellighenzia nazionale “embedded”, quella che oggi – tra appelli rabbiosi (e schizzi di sterco) – si permette il lusso di criminalizzare l’Uomo Nero, ignorando deliberatamente i crimini mostruosi dell’oligarchia-fantasma che ha declassato il paese, condannandolo al declino dopo averlo svenduto, pezzo su pezzo, fino a farlo crollare come il ponte di Genova. Un’Italia alla frusta, amputata della sua sovranità e taglieggiata dai finti ragionieri di Bruxelles. Eppure, nel paese a cui la Francia impedisce di eleggere il presidente della televisione di Stato, ci si scaglia selvaggiamente contro il ministro che “sequestra” i migranti su una nave.Il crollo delle dittature è spesso preceduto da violenze inconsulte. In Romania, Nicolae Ceaucescu ordinò alla Securitate di sparare nel mucchio, al primo accenno di ribellione popolare. E il satrapo Siad Barre, a lungo padrone della Somalia grazie anche al provvido sostegno post-coloniale italiano, non esitò a ordinare alla polizia di mitragliare il pubblico dello stadio che aveva osato contestarlo. Si dirà che siamo in Italia, dove vige la legge semiseria della “bolla di componenda”, sintetizzata dal genio letterario di Camilleri: ogni conflitto si trasforma in una tempesta in un bicchier d’acqua, se alla fine tutti si portano a casa la loro fetta di torta. Si dirà che il cosiddetto governo gialloverde, quello dell’Uomo Nero, sta esasperando la crisi dei migranti solo per aprire un fronte alternativo da cui attaccare Bruxelles, cioè il super-potere che gli vieterà di mantenere le promesse fatte agli elettori il 4 marzo, pena il ricatto dell’incursione finanziaria sul costo del debito pubblico di un paese reso vulnerabilissimo, come gli altri dell’Eurozona, dall’assenza di una moneta sovrana con la quale difendersi dal racket della Borsa. Sia come sia, lo spettacolo cui si è costretti ad assistere rivela qualcosa di estremamente inedito: mentre giornali e intellettuali lanciano palle di letame, gli elettori osservano con attenzione le mosse del loro governo, il primo esecutivo – nella storia ingloriosa dell’Ue – completamente sgradito da Bruxelles.Succede questo: a proclamarsi paladini dell’uomo dalla pelle scura, oggi, sono i killer politici dell’uomo dalla pelle chiara – quelli che gli hanno tolto tutto, in Europa, dopo aver abbondantemente depredato anche l’Africa, trasformandola in una terra desolata da cui scappare. Così i naufraghi salvati in mare da una nave della Guardia Costiera italiana diventano prigionieri, letteralmente torturati dal vero Uomo Nero, il Ministro della Paura che usurpa la poltrona del Viminale. Ha un problema, l’Uomo Nero, anzi due: non può fare quello che vorrebbe, e che ha promesso agli elettori – tagliare le tasse – e in più deve rispondere di un risarcimento colossale imposto al suo partito dal potere giudiziario. Un risarcimento così anomalo, e così enorme, da ridurre praticamente a zero la possibilità di sostenere qualsiasi attività politica, e quindi di continuare a esistere, come partito. Chi ha paura dell’Uomo Nero? La cosiddetta Europa: quella che impedisce che le tasse vengano abbattute, che le pensioni italiane siano dignitosamente rimpinguate, che giunga un reddito provvisorio ai senza-lavoro. Di questo sono ostaggi, i naufraghi della nave Diciotti: di un’ingiustizia infame, compiuta da Bruxelles.
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Progressisti, smettete di votare il fascismo bianco del Pd
Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.Questa Unione Europea è un fulgido esempio di come il Fascismo Bianco – l’Econocrazia – possa mantenere le apparenze di una democrazia liberale nonostante le istituzioni democratiche ne vengano quotidianamente svuotate. L’Europa unita – che doveva essere l’Europa dei Popoli – è un infatti esempio di come le istituzioni democratiche possano essere controllate ed usate per perseguire interessi finanziari particolari piuttosto che il volere ed il benessere della collettivitá; non a caso il Parlamento Europeo è l’unico Parlamento al mondo a non avere il potere legislativo. La condizione politica in cui viviamo si concretizza in un paradosso che è ancora difficile da affrontare e capire per molti: chi si definisce progressista non può che combattere i partiti della sedicente sinistra; chi si dice sinceramente europeista non può non criticare queste istituzioni europee… Per ritornare a lottare per la realizzazione di un modello di società basato su libertà, pari opportunità e giustizia sociale, bisogna combattere una dittatura che usa l’economia, e gli indicatori economici, per svuotare di democrazia sostanziale le democrazie liberali.Noi europei non siamo più abituati alla dittatura e, al momento, i nostri bisogni primari (sicurezza, cibo) ci sono garantiti (il diritto alla salute e quello all’istruzione sono i primi ad essere sotto attacco). Ma c’è chi, essendo abituato alla dittatura, aveva uno sguardo più smaliziato e attento alla sostanza delle cose, e capì benissimo che ruolo aveva il cosiddetto “debito pubblico” (che altri chiamano “ricchezza pubblica”) nel limitare il potere delle democrazie. Sankara, personaggio politico sconosciuto a molti (non era un fulgido liberale, come avrei preferito io, ma piuttosto aveva tendenze marxiste), è morto per difendere il proprio popolo dallo strumento principe di controllo della dittatura bianca: il debito. A coloro che si considerano europeisti, democratici, e liberali, consiglio vivamente di vedere questo video del discorso di Sankara alle Nazioni Unite. Oggi, la strategia del debito che veniva usata per controllare l’Africa, viene usata per controllare le democrazie europee. A tutti coloro che sono animati da sentimenti davvero progressisti, umanitari, libertari e sociali, consiglio davvero di considerare cosa si cela dietro la narrativa che compara il debito pubblico al debito privato.A tutti coloro che continuano a votare la sedicente sinistra consiglio di chiedersi se le persone cui fanno riferimento, esperti di politica da anni, davvero non siano consapevoli di come le attuali (mancate) politiche economiche siano strumentali a guidare una involuzione antidemocratica. Anche nel ‘32, quando Roosevelt vinse le elezioni, il mondo della finanza premeva affinché “il popolo” pensasse al benessere delle generazioni future, evitando politiche di carattere espansivo. Roosevelt vinse le elezioni e, attraverso politiche economiche liberali di carattere fortemente espansivo (la celebre frase «dobbiamo solo avere paura della paura stessa», si riferiva proprio al debito) rilanciò l’economia americana. Quanta confusione c’è tra i sostenitori di +Europa tra liberalismo e neoliberismo… Anche l’Europa che conosciamo e tanto vogliamo difendere – quella liberale, dello stato sociale e delle pari opportunitá – è stata costruita su politiche economiche di carattere espansivo: si chiamava Piano Marshall. Nella storia recente, tutte le “crisi” economiche si sono superate con politiche economiche di carattere espansivo (o invasioni militari), non certo con misure di austerità volte a permettere il drenaggio di capitali e la conservazione del loro valore assoluto.Coloro che oggi sostengono questa Unione Europea, le sue istituzioni e le sue politiche economiche – considerando l’Ue come un fine e non come un mezzo per la difesa e la diffusione di libertà, giustizia sociale e democrazia – non sono europeisti, non sono liberali e non sono progressisti. Sono piuttosto persone manipolate dalla narrativa del mondo della finanza che mette Cbas (cost benefit analysis) davanti al benessere della collettività. Sono la finta intelligentija del fascismo bianco, usata dall’Econocrazia per fare propaganda. Pensando alle molte persone che ancora supportano i partiti della sedicente sinistra, mi domando come mai non riescano più a distinguere la narrativa dai fatti e a capire che sono stati raggirati: su tutti i temi politici sostanziali. È davvero incredibile come gli elettori del Pd e di +Europa, persone spesso di grande sensibilità social-liberale e progressista, siano completamente confuse. Anche quando si parla di immigrazione, oramai queste persone sembrano solo abituate a reagire con il loro grande cuore, senza però ricorrere alla mente e alla strategia.Certo, il cuore ci dice che bisogna aiutare e accogliere chi proviene da territori di guerra (anche se Roosevelt insegna che per aiutate gli altri bisogna prima combattere gli oppressori “interni”: povertà e mancanza di democrazia). Non potrei mai chiudere le porte a coloro che scappano da guerra e morte. Ma non si può aiutare il viandante che chiede copertura dal freddo se questo è l’unico, nel suo villaggio, ad essere riuscito a raggiungerci. Bisogna piuttosto dargli ago e filo e insegnarli a cucire, di modo che questo possa insegnare a cucire coperte a tutto il suo villaggio. Invece di coprire un uomo solo, un fortunato, avremo coperto tutti coloro che avevano freddo, ed avranno deciso di rimboccarsi le maniche. Spesso, i cosiddetti immigrati “economici” (definizione che odio, ma che userò) sono le persone piú avvantaggiate, colte e indignate; sono coloro che piú potrebbero aiutare il loro paese a rialzarsi. Invece di fare loro l’elemosina (con il solito senso di superiorità che caratterizza il “buonismo”) sarebbe meglio considerare quelle persone capaci di guidare una rivoluzione democratica e armarle di danaro, risorse e sponde politiche.Guardo oggi con simpatia e amarezza a coloro che, animati da un sentire progressista, social-liberale e democratico, votano partiti che di progressista non hanno nulla, e che criticano persino il principio della sovranità del popolo – cosí bene espresso nella nostra Costituzione. Guardo con simpatia e amarezza quegli amici che continuano a votare i partiti della sedicente sinistra. In fondo, anche loro come gli “immigrati economici”, preferiscono avere “fede” e chiedere aiuto all’alto (politica, religione) piuttosto che usare il loro senso critico e la loro iniziativa per rimboccarsi le maniche e combattere coloro che li raggirano quotidianamente, sfruttando la loro moralità e “insegnando” loro che bisogna obbedire al debito… Cari amici, usate il vostro senso critico; distinguete la narrativa dai fatti e mettetevi in gioco in prima persona. Decidete di tornare a lottare per democrazia, libertà e giustizia sociale – questo sì, per le generazioni future.(Marco Moiso, “Un pensiero per gli amici di Pd, +Europa e LeU”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2018. Già coordinatore nazionale del movimento, Moiso è supervisore MR per il Regno Unito).Conosco molte persone che votano Pd, +Europa e LeU. Conosco ancora piú persone che questi partiti hanno smesso di votarli. Quello che quasi tutti questi amici hanno in comune è che sono mossi da valori sinceramente progressisti; valori di libertà, giustizia sociale e democrazia. La differenza tra coloro che votano ancora i partiti della sedicente sinistra e coloro che hanno deciso di non votarli, è che questi ultimi si sono resi conto che i partiti della sedicente sinistra non perseguono più, nei fatti, quei valori di cui continuano a pretendere di essere i portavoce. I partiti della sedicente sinistra continuano a sostenere di volere fare l’interesse del popolo ma, al di là della narrativa e dei discorsi, si sono piegati ad una visione dell’economia (quella neoliberista) che è sostanzialmente incompatibile con la democrazia liberale in quanto mette gli interessi di poche corporazioni private davanti all’interesse ed al volere della collettività. La dittatura, nel mondo occidentale, esiste: è la dittatura del capitale finanziario. Il “fascismo bianco” (come lo chiama Tremonti – il fascismo perpetuato tramite debito pubblico, spread, rapporto deficit-Pil, etc…) limita libertà e diritti e sovverte il volere popolare, svuotando le istituzioni di democrazia quanto una qualunque dittatura militare – per quando certamente in modo diverso.
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Sperano in Mattarella per fabbricare il nuovo Renzusconi?
Insieme al picco dei calori estivi, in questi giorni sembra si sia arrivati anche al picco di confusione politica: dopo l’ondata di entusiasmi in primavera, con l’avvicinarsi dell’autunno pochi ormai scommettono che il governo supererà la soglia delle elezioni europee l’anno prossimo. Lo scrive Lao Xi, dalla Cina, sul “Sussidiario”: sempre più gente crede che il governo si scioglierà e si arriverà a un redde rationem tra le varie forze politiche. Vero, il clima resta volatile e tutto potrebbe sempre cambiare: in questa altalena di tensioni magari il governo durerà per cinque anni, superato il giro di boa della legge di bilancio in autunno. Se non altro, ammette l’analista, oggi «non ci sono alternative vincenti», e quindi «si passerebbe da confusione in confusione». E se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – storico esponente del Pd insediato al Quirinale da Renzi – lavorasse a un partito nuovo, in grado si archiviare il patto tra Salvini e Di Maio? Conclusione ipotetica, a cui Lao Xi perviene esaminando lo scenario attuale, che vede la Lega come primo partito, nettamente in vantaggio: «Potrebbe arrivare alla soglia del 40% dei voti e prendersi quindi più del 51% dei seggi in Parlamento». Prospettiva che inquieta i detentori del potere europeo, gli artefici della sciagurata austerity in nome della quale – evocando il fantasma dello spread – lo stesso Mattarella sbarrò la strada a Paolo Savona come ministro dell’economia.La propaganda di Salvini è efficiente, riconosce Lao Xi: il leader leghista «batte su paure a basso costo: gli emigranti che scombussolano la nostra società e la sicurezza personale e della propria casa». Grandi incertezze, letteralmente esplose «con la decadenza della classe media», insieme all’aumento della povertà e dell’insicurezza «percepita nelle periferie e nelle piccole città». Ma anche con il 40% dei voti e il 51% dei seggi, continua l’analista, nessun paese si governa facilmente con il 60% della gente contro e senza una vera e propria egemonia culturale: «Con la Chiesa contro e i vecchi apparati intellettuali ostili, la Lega ha bisogno di spostarsi al centro e parlare a queste due istituzioni con profondità e spessore, al di là dei tweet». Operazione tutt’altro che facile. Quanto ai 5 Stelle, per loro le difficoltà sono maggiori: il movimento «ha vinto promettendo il bengodi», cioè il reddito di cittadinanza – ma senza spiegare come finanziario, cosa che in questi termini equivale a promettere «la botte piena e la moglie ubriaca, senza avere né la moglie né la botte». Lao Xi paragona i pentastellati addirittura ai giovanissimi dirigenti della disastrosa Rivoluzione Culturale di Mao, che spedì «i contadini all’università e i liceali nei campi». I grillini? «Paiono volenterosi, ma sembrano altrettanto incapaci di capire cosa stiano facendo: da questa confusione probabilmente deriva anche il loro calo nei sondaggi».Parte del Vaticano «sembra voglia adottarli come argine realistico alla brutalità di certi slogan leghisti: in fondo è quello che fece la Chiesa con i barbari». Ma allora, aggiunge Lao Xi, ci vollero secoli per civilizzare germani, slavi e unni: «Oggi non ci sono nemmeno anni, ma solo mesi: riusciranno?», si domanda l’analista, dando per scontato che la “civilizzazione” dei “barbari” sia stata un affare, per l’Europa delle Crociate e delle guerre di religione, delle persecuzioni degli ebrei e dei eretici, del totalitarismo oscurantista che mandò in carcere Galileo e sul rogo Giordano Bruno, prima di cedere Roma alla nuova Italia solo grazie alle cannonate dei bersaglieri, per poi benedire l’ultimo “barbaro” italico proposto dalla storia, Benito Mussolini. Tornando all’oggi e tralasciando i presunti barbari – Salvini sembra un pargoletto, a confronto con gli squali-tigre come Draghi, Monti e Merkel – Lao Xi cita il politologo Claudio Landi, intervistato da “Radio Radicale”: se l’alleanza gialloverde vale il 60% del consenso, l’orrendo Renzusconi (l’inciucio per il quale fu appositamente progettato il Rosatellum) potrebbe non arrivare neppure al 20%. Un’alleanza aperta tra Renzi e Berlusconi migliorerebbe i valori elettorali del Pd e di Forza Italia? «Forse li peggiorerebbe. Due debolezze insieme non fanno una forza, fanno una debolezza ancora maggiore».Questo, aggiunge Lao Xi, a meno che il calcolo non sia un altro: «Ottenere un manipolo di voti in base al quale sedersi al tavolo delle trattative parlamentari. In fondo la bocciatura di Foa presidente della Rai dimostra che il duo conta ancora», almeno oggi. Ma in un nuovo Parlamento come andrebbero le cose? E’ lecito, per loro, sperare in un’inversione di tendenza? Lo stesso Lao Xi invita a non escludere l’ipotesi teorica del “jolly”, ovvero «la fisica, cioè le grandi leggi della politica». Tradotto: «Quando nessun partito gira, qualcosa nascerà: questo sperano gli illuminati romani e certi ambienti che vantano legami con il Quirinale». Obiettivo: un partito “nuovo”, che l’anno prossimo si accaparri quel 20%, puntando anche al 30% di indecisi. Certo, resta «un pensiero da laboratorio», visto che «non si sa che cosa dirà il nuovo partito, dove si inserirà, chi proporrà». In realtà, il bivio è obbligatorio: o ci si piega all’Europa del rigore, o – come si spera farà il governo gialloverde – la si sfiderà, cercando di ampliare il deficit. Non esiste terza via, nella realtà. Quanta parte della popolazione lo comprende? Questo è il punto: c’è grande insoddisfazione, in parte dell’elettorato. Milioni di voti, forse, attendono ancora una proposta convincente: una narrazione efficace. Magari l’ennesima truffa, come quelle rifilate agli italiani prima da Berlusconi e poi da Prodi, e infine da Monti e Letta, Renzi e Gentiloni. Ci cascheranno ancora, gli italiani? L’establishment, intanto – intellettuali in testa – spara ogni giorno sulla Lega, cioè il partito che ha promesso di ribellarsi alla “dittatura” dell’Ue. Non uno di loro fiatò, quando Monti – con Berlusconi e Bersani – impose il pareggio di bilancio in Costituzione, cioè la morte civile del paese per strangolamento finanziario.Insieme al picco dei calori estivi, in questi giorni sembra si sia arrivati anche al picco di confusione politica: dopo l’ondata di entusiasmi in primavera, con l’avvicinarsi dell’autunno pochi ormai scommettono che il governo supererà la soglia delle elezioni europee l’anno prossimo. Lo scrive Lao Xi, dalla Cina, sul “Sussidiario”: sempre più gente crede che il governo si scioglierà e si arriverà a un redde rationem tra le varie forze politiche. Vero, il clima resta volatile e tutto potrebbe sempre cambiare: in questa altalena di tensioni magari il governo durerà per cinque anni, superato il giro di boa della legge di bilancio in autunno. Se non altro, ammette l’analista, oggi «non ci sono alternative vincenti», e quindi «si passerebbe da confusione in confusione». E se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – storico esponente del Pd insediato al Quirinale da Renzi – lavorasse a un partito nuovo, in grado si archiviare il patto tra Salvini e Di Maio? Conclusione ipotetica, a cui Lao Xi perviene esaminando lo scenario attuale, che vede la Lega come primo partito, nettamente in vantaggio: «Potrebbe arrivare alla soglia del 40% dei voti e prendersi quindi più del 51% dei seggi in Parlamento». Prospettiva che inquieta i detentori del potere europeo, gli artefici della sciagurata austerity in nome della quale – evocando il fantasma dello spread – lo stesso Mattarella sbarrò la strada a Paolo Savona come ministro dell’economia.
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Disastro privatizzato: così il neoliberismo ci crolla addosso
A poche ore dalla tragedia del crollo del viadotto Morandi a Genova, la prima riflessione di molti cittadini italiani sta andando alla questione tutt’altro che secondaria della privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici. I numerosi crolli di viadotti, strade, scuole, infrastrutture del paese, da sempre giustificata con i vincoli di bilancio, con il debito pubblico, con le richieste di austerity da parte dell’Europa, ci sta mostrando due fatti evidenti: che se non si spende in infrastrutture e manutenzione si mette in pericolo la vita delle persone, il turismo e l’economia di intere zone; e poi che la semplice privatizzazione di infrastrutture lucrose come le autostrade non porta con sé i meravigliosi benefici promessi dalla propaganda neoliberista degli anni ‘80 e ‘90, con la sua retorica del “privato è bello”, della maggiore efficienza del privato rispetto al pubblico, dei vantaggi per gli utenti. La verità è che con le privatizzazioni si sono spesso creati monopoli, posizioni di rendita di tipo feudale e ingiustificati guadagni per poche famiglie ricche e strettamente legate con i vertici della politica nazionale e internazionale, a danno dei cittadini, che pagano pedaggi assurdamente costosi a fronte di un servizio tutt’altro che ineccepibile.In Italia i principali gruppi privati concessionari delle autostrade sono il Gruppo Gavio (che è il quarto operatore al mondo nella gestione di autostrade a pedaggio con un network di circa 4.156 km di rete e che in Italia, attraverso la società Sias, gestisce circa 1.423 km di rete, fra i quali l’autostrada Genova-Ventimiglia), e il gruppo Atlantia, di proprietà dei Benetton. Un articolo de “Il Fatto Quotidiano” di qualche mese fa, a firma di Fabio Pavesi, metteva in evidenza gli enormi profitti del gruppo Atlantia (le autostrade italiane fino al 1999 furono di proprietà pubblica, del gruppo Iri, con il nome di Società Autostrade, diventata poi nel 2003 Autostrade per l’Italia S.p.A, 100% di proprietà del gruppo Atlantia, che gestisce autostrade a pedaggio anche in altri paesi). Per essere precisi, 1,9 miliardi di utile operativo solo nel 2017 e solo per Autostrade per l’Italia S.p.A e un utile netto di 972 milioni in crescita del 19% sul 2016. Quale vantaggio ne viene ai cittadini italiani? Ovviamente nessuno. La autostrade a pedaggio sono una gallina dalle uova d’oro ad esclusivo appannaggio di potenti gruppi industriali, in assenza di qualsivoglia criterio di efficienza (come periodicamente si legge nelle riflessioni degli economisti più attenti, per esempio in questo articolo de “Il Sole 24 Ore”).Molti ormai cominciano a rimpiangere i tempi dell’Iri, quando era lo Stato a gestire l’immenso patrimonio delle grandi infrastrutture del paese. E molti si chiedono per quale ragione si dovrebbe continuare così. Riflettendo in questi giorni sulle profetiche analisi del sociologo ungherese Karl Polanyi, scritte nel 1944 e pubblicate nel volume “La grande trasformazione”, mi chiedo se il neoliberismo, con i suoi miti di libertà d’impresa, competizione, privatizzazione, deregolamentazione, sia compatibile con la democrazia in generale e con la Costituzione italiana in particolare. La domanda non è originale e la risposta in certa misura è scontata, per chi frequenta la ricca letteratura al riguardo, ma non credo sia inutile ripercorrere le ragioni per le quali la risposta non può che essere negativa. Da queste ragioni deve derivare infatti un giudizio storico e politico nettissimo sulla classe dirigente che ci ha governato dagli anni ‘80 in poi e la motivazione chiara a ribellarci ad uno stato di cose non più tollerabile. Il neoliberismo ha fatto fortuna, anche nelle masse, equivocando sulla parola “libertà”. Chi non è sensibile alle infinite promesse di una parola tanto pregnante? Chi non vorrebbe essere libero? Il problema è però è duplice: quale libertà? E la libertà di chi?La visione liberale dello Stato si fonda sulla difesa delle libertà civili e politiche: libertà di coscienza, di riunione, di associazione, di espressione, eccetera. Esistono però, osserva Polanyi, anche le libertà negative: la libertà di sfruttare i propri simili, di sottrarre all’utilizzo comune scoperte tecnico-scientifiche per proteggere interessi privati, di trarre profitti da calamità collettive, di inquinare l’ambiente. Nell’economia capitalista, queste due forme di libertà sono i due lati della stessa medaglia. Si potrebbe ipotizzare, continua Polanyi, una società futura nella quale le libertà “positive”, accompagnate da una regolamentazione adeguata, possano essere estese a tutti i cittadini. “Regolamentare” vuol dire porre limiti ai privilegi di una minoranza, proteggere i più deboli dal potere soverchiante di chi detiene la proprietà, correggere gli squilibri economici e sociali, controllare e sanzionare i comportamenti dannosi alla collettività, permettere a tutti i cittadini, anche a quelli svantaggiati, di esercitare le libertà “positive”. Questa società futura sarebbe libera e giusta insieme.Ma ad impedire questo esito (la diffusione della libertà) è proprio l’“ostacolo morale” dell’utopismo liberale (quello che chiamiamo “neoliberismo”), di cui lui riconosceva il massimo esponente nell’economista Von Hayek. La visione neoliberista è utopica perché predica l’assenza del controllo e dell’intervento dello Stato in ambito economico e sociale, proprio mentre invoca l’esercizio della forza e anche della violenza dello Stato a difesa della proprietà. Detto in parole povere, per il neoliberismo lo Stato è al servizio della proprietà individuale e della libera impresa, cioè di quei pochi che non hanno bisogno di incrementare il proprio reddito, il proprio tempo libero e la propria sicurezza, e agisce a svantaggio delle libertà di tutti gli altri. La libertà neoliberista è solo prerogativa dei ricchi (anche se a parole è disponibile a tutti) e non può essere estesa a tutti, perché questo minaccerebbe la proprietà. Chi è povero lo è per colpa sua ed è solo un perdente nella competizione per la ricchezza. La libertà è in sostanza la libertà di arricchirsi senza vincoli né regole. Il neoliberismo (l’utopismo liberale), concludeva Polanyi, è intrinsecamente e incorreggibilmente antidemocratico e autoritario, perché piega lo Stato a difendere gli interessi di una minoranza a danno della maggioranza.Non per nulla il primo esperimento di Stato neoliberista fu il Cile di Augusto Pinochet, dove “libertà” significava azzeramento dei sindacati e dei diritti delle comunità, privatizzazioni selvagge, liberalizzazioni finanziarie e repressione delle libertà civili. Qui il neoliberismo si sposa con il fascismo. Ma c’è anche un modo meno cruento per effettuare un colpo di Stato: corrodere un giorno dopo l’altro, per decenni, i diritti e i redditi dei cittadini, asservirli al potere finanziario, vincolarli a norme-capestro che li rendano schiavi di interessi estranei, modificare la Costituzione a danno della sovranità popolare, indebolire i lavoratori e i sindacati, assecondare gli interessi dei più forti, non intervenire a ridurre le disuguaglianze, privatizzare i beni pubblici, ridurre la spesa sociale, distrarre continuamente l’attenzione pubblica con falsi problemi e individuare sempre nuovi bersagli per la rabbia popolare, colpevolizzare i cittadini per la loro condizione e controllare i mass-media, in modo che veicolino continuamente la visione che più fa comodo ai manovratori (quella che Marcello Foa ha chiamato “il frame”, la cornice), martellare per anni e decenni i cittadini con un linguaggio economicista pieno di concetti come imprenditorialità, libertà d’impresa, debiti e crediti, competizione, eccetera – insomma costruendo un’ideologia che giustifichi e renda accettabile la progressiva riduzione in schiavitù di interi popoli, tenendone a bada l’inevitabile scontento con il senso di colpa, la paura e la menzogna.Questo è ciò che è successo da noi in questi ultimi decenni. Questo è l’imperdonabile tradimento della Costituzione e dei suoi valori realizzato da una classe politica avida e asservita a gruppi di potere nazionali e sovranazionali che l’hanno telecomandata a danno nostro. Il neoliberismo non è solo di una teoria economica, ma di un modello complessivo di società, sorretto da un poderoso e contraddittorio apparato ideologico, incompatibile con la democrazia, come sono incompatibili con la democrazia i monopoli privati di beni collettivi. Il viadotto di Genova è un simbolo di ciò che deve finire in Italia e nel mondo se vogliamo avere un futuro democratico. La globalizzazione neoliberista, che esalta il libero mercato, mentre mira a costituire monopoli e posizioni di forza, sta mettendo in ginocchio interi popoli. Povertà e disuguaglianza aumentano di giorno in giorno a livello globale. Non è più accettabile mantenere in piedi privilegi feudali, massacrando sogni e speranze di miliardi di persone.Il filosofo John Rawls sosteneva che una disuguaglianza è accettabile solo se migliora anche le condizioni di chi ha di meno. La ricchezza non è un male, ma lo è l’ingiusta distribuzione di essa. La libertà senza giustizia sociale è solo un guscio vuoto e uno specchio per le allodole. Questo dice in sostanza la nostra Costituzione. Se la vogliamo difendere, dobbiamo consegnare al passato il neoliberismo, memori della sofferenza e dei disastri che ha provocato. Non vedo altra via d’uscita dal tunnel nel quale ci troviamo. Deve essere lo Stato a regolare l’economia e il fine dell’economia deve essere il benessere dei cittadini. Il mercato non è in grado di autoregolarsi affatto e laddove i governi sono collusi con i potentati economici stanno tradendo la sovranità popolare. Non dimentichiamoci la frase pronunciata dal miliardario Warren Buffett (il terzo uomo più ricco al mondo) a proposito della diminuzione delle tasse per i ricchi: «La lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi». Tanto per ricordarci di che cosa c’è in gioco: non la lotta contro la ricchezza, ma la lotta contro una visione predatoria della ricchezza e contro la menzogna che ci rende schiavi da troppo tempo di un’élite che ha consapevolmente e pazientemente costruito il mondo squilibrato nel quale ci troviamo – di cui troviamo il ritratto nel libro di Gioele Magaldi, “Massoni: società a responsabilità illimitata”, editore Chiarelettere.(Patrizia Scanu, “Il neoliberismo è compatibile con la democrazia?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 15 agosto 2018).A poche ore dalla tragedia del crollo del viadotto Morandi a Genova, la prima riflessione di molti cittadini italiani sta andando alla questione tutt’altro che secondaria della privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici. I numerosi crolli di viadotti, strade, scuole, infrastrutture del paese, da sempre giustificata con i vincoli di bilancio, con il debito pubblico, con le richieste di austerity da parte dell’Europa, ci sta mostrando due fatti evidenti: che se non si spende in infrastrutture e manutenzione si mette in pericolo la vita delle persone, il turismo e l’economia di intere zone; e poi che la semplice privatizzazione di infrastrutture lucrose come le autostrade non porta con sé i meravigliosi benefici promessi dalla propaganda neoliberista degli anni ‘80 e ‘90, con la sua retorica del “privato è bello”, della maggiore efficienza del privato rispetto al pubblico, dei vantaggi per gli utenti. La verità è che con le privatizzazioni si sono spesso creati monopoli, posizioni di rendita di tipo feudale e ingiustificati guadagni per poche famiglie ricche e strettamente legate con i vertici della politica nazionale e internazionale, a danno dei cittadini, che pagano pedaggi assurdamente costosi a fronte di un servizio tutt’altro che ineccepibile.
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Francia cannibale, si mangia l’Africa: il bilancio dell’orrore
Sapevate che molti paesi africani continuano a pagare una tassa coloniale alla Francia dalla loro indipendenza fino ad oggi? Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’élite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese. Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate. L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie: il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto. Lentamente la paura serpeggiò tra le élite africane e nessuno, dopo gli eventi della Guinea, trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù”.Sylvanus Olympio, il primo presidente della Repubblica del Togo, un piccolo paese in Africa occidentale, trovò una soluzione a metà strada con i francesi. Non voleva che il suo paese continuasse ad essere un dominio francese, perciò rifiutò di siglare il patto di continuazione della colonizzazione proposto da de Gaulle, tuttavia si accordò per pagare un debito annuale alla Francia per i cosiddetti benefici ottenuti dal Togo grazie alla colonizzazione francese. Era l’unica condizione affinché i francesi non distruggessero tutto prima di lasciare il paese. Tuttavia, l’ammontare chiesto dalla Francia era talmente elevato che il rimborso del cosiddetto “debito coloniale” si aggirava al 40% del debito del paese nel 1963. La situazione finanziaria del neo-indipendente Togo era veramente instabile; così, per risolvere la situazione, Olympio decise di uscire dalla moneta coloniale francese Fcfa (il Franco Cfa delle colonie africane francesi), e coniò la moneta del suo paese. Il 13 gennaio 1963, tre giorni dopo aver iniziato a stampare la moneta del suo paese, uno squadrone di soldati analfabeti appoggiati dalla Francia uccise il primo presidente eletto della neo- indipendente Africa.Olympio fu ucciso da un ex sergente della Legione Straniera di nome Etienne Gnassingbe, che si suppone ricevette un compenso di 612 dollari dalla locale ambasciata francese per il lavoro di assassino. Il sogno di Olympio era quello di costruire un paese indipendente e autosufficiente. Tuttavia ai francesi non piaceva l’idea. Il 30 giugno 1962, Modiba Keita, il primo presidente della Repubblica del Mali, decise di uscire dalla moneta coloniale francese Fcfa imposta a 12 neo-indipendenti paesi africani. Per il presidente maliano, che era più incline ad un’economia socialista, era chiaro che il patto di continuazione della colonizzazione con la Francia era una trappola, un fardello per lo sviluppo del paese. Il 19 novembre 1968, proprio come Olympio, Keita fu vittima di un colpo di stato guidato da un altro ex soldato della Legione Straniera francese, il luogotenente Moussa Traoré. Infatti durante quel turbolento periodo in cui gli africani lottavano per liberarsi dalla colonizzazione europea, la Francia usò ripetutamente molti ex legionari stranieri per guidare colpi di stato contro i presidente eletti.Il 1° gennaio 1966, Jean-Bédel Bokassa, un ex soldato francese della Legione Straniera, guidò un colpo di stato contro David Dacko, il primo presidente della Repubblica Centrafricana. Il 3 gennaio 1966, Maurice Yaméogo, il primo presidente della Repubblica dell’Alto Volta, oggi Burkina Faso, fu vittima di un colpo di stato condotto da Aboubacar Sangoulé Lamizana, un ex legionario francese che combatté con i francesi in Indonesia e Algeria contro le indipendenze di quei paesi. Il 26 ottobre 1972, Mathieu Kérékou (che era una guardia del corpo del presidente Hubert Maga, il primo presidente della Repubblica del Benin) guidò un colpo di Stato contro il presidente, dopo aver frequentato le scuole militari francesi dal 1968 al 1970. Negli ultimi 50 anni, un totale di 67 colpi di Stato si sono susseguiti in 26 paesi africani; 16 di quest’ultimi sono ex colonie francesi, il che significa che il 61% dei colpi di Stato si sono verificati nell’Africa francofona.Cinque i golpe subiti dal Burkina Faso e dalle Comore, quattro i colpi di Stato attuati in Burundi, Repubblica Centrafricana, Niger e Mauritania. Sempre tra le ex colonie francesi, hanno vissuto almeno tre colpi di Stato il Congo e il Ciad – due, invece, l’Algeria e il Mali, la Guinea Konakry e la Repubblica Democratica del Congo. Almeno un violento “regime change” ha poi investito Togo, Tunisia, Costa d’Avorio, Magagascar e Rwanda. Altri paesi africani sottoposti a colpi di Stato sono Egitto, Libia e Guinea Equatoriale (un golpe ciascuno), Guinea Bissau e Liberia (due golpe), Nigeria ed Etiopia (tre colpi di Stato), Uganda (quattro) e Sudan (cinque). In totale 45 golpe nell’Africa ex francese, più 22 in altri paesi africani. Come dimostrano questi numeri, la Francia è abbastanza disperata ma attiva nel tenere sotto controllo le sue colonie, a qualsiasi prezzo, a qualsiasi condizione. Nel marzo del 2008, l’ex presidente francese Jacques Chirac disse: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». Il predecessore di Chirac, François Mitterand, già nel 1957 profetizzava che «senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21° secolo».Proprio in questo momento, 14 paesi africani sono costretti dalla Francia, attraverso un patto coloniale, a depositare l’85% delle loro riserve di valute estere nella Banca Centrale Francese controllata dal ministero delle finanze di Parigi. Finora, il Togo e altri 13 paesi africani dovranno pagare un debito coloniale alla Francia. I leader africani che rifiutano vengono uccisi o restano vittime di colpi di Stato. Coloro che obbediscono sono sostenuti e ricompensati dalla Francia con stili di vita faraonici, mentre le loro popolazioni vivono in estrema povertà e disperazione. E’ un sistema malvagio, denunciato dall’Unione Europea; ma la Francia non è pronta a spostarsi da quel sistema coloniale che muove 500 miliardi di dollari dall’Africa al suo ministero del Tesoro ogni anno. Spesso accusiamo i leader africani di corruzione e di servire gli interessi delle nazioni occidentali, ma c’è una chiara spiegazione per questo comportamento. Si comportano così perché hanno paura di essere uccisi o di restare vittime di un colpo di Stato. Vogliono una nazione potente che li difenda in caso di aggressione o di tumulti. Ma, contrariamente alla protezione di una nazione amica, la protezione dell’Occidente spesso viene offerta in cambio della rinuncia, da parte di quei leader, di servire il loro stesso popolo e i suoi interessi.I leader africani lavorerebbero nell’interesse dei loro popoli se non fossero continuamente inseguiti e provocati dai paesi colonialisti. Nel 1958, spaventato dalle conseguenze di scegliere l’indipendenza dalla Francia, Leopold Sédar Senghor dichiarò: «La scelta del popolo senegalese è l’indipendenza; vogliono che ciò accada in amicizia con la Francia, non in disaccordo». Da quel momento in poi la Francia accettò soltanto un’ “indipendenza sulla carta” per le sue colonie, siglando “Accordi di Cooperazione”, specificando la natura delle loro relazioni con la Francia, in particolare i legami con la moneta coloniale francese (il franco), il sistema educativo francese, le preferenze militari e commerciali. Qui sotto ci sono le 11 principali componenti del patto di continuazione della colonizzazione dagli anni ‘50.#1. Debito coloniale a vantaggio della colonizzazione francese. I neo “indipendenti” paesi dovrebbero pagare per l’infrastruttura costruita dalla Francia nel paese durante la colonizzazione. #2. Confisca automatica delle riserve nazionali. I paesi africani devono depositare le loro riserve monetarie nazionali nella banca centrale francese. La Francia detiene le riserve nazionali di 14 paesi africani dal 1961: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon. La politica monetaria che governa un gruppo di paesi così diversi non è complicato perché, di fatto, è decisa dal ministero del Tesoro francese senza rendere conto a nessuna autorità fiscale di qualsiasi paese che sia della Cedeao (la Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale) o del Cemac (Comunità degli Stati dell’Africa Centrale). In base alle clausole dell’accordo che ha fondato queste banche e il Cfa, la banca centrale di ogni paese africano è obbligata a detenere almeno il 65% delle proprie riserve valutarie estere in un “operations account” registrato presso il ministero del Tesoro francese, più un altro 20% per coprire le passività finanziarie.Le banche centrali del Cfa impongono anche un tappo sul credito esteso ad ogni paese membro equivalente al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Anche se la Beac e la Bceao hanno un fido bancario col Tesoro francese, i prelievi da quel fido sono soggetti al consenso dello stesso ministero del Tesoro. L’ultima parola spetta al Tesoro francese, che ha investito le riserve estere degli Stati africani alla Borsa di Parigi a proprio nome. In breve, più dell’ 80% delle riserve valutarie straniere di questi paesi africani sono depositate in “operations accounts” controllati dal Tesoro francese. Le due banche Cfa sono africane di nome, ma non hanno una politica monetaria propria. Gli stessi paesi non sanno, né viene detto loro, quanto del bacino delle riserve valutarie estere detenute presso il ministero del Tesoro a Parigi appartiene a loro come gruppo o individualmente. Gli introiti degli investimenti di questi fondi presso il Tesoro francese dovrebbero essere aggiunti al conteggio, ma non c’è nessuna notizia che venga fornita al riguardo né alle banche né ai paesi circa i dettagli di questi scambi. Al ristretto gruppo di alti ufficiali del ministero del Tesoro francese che conoscono le cifre detenute negli “operations accounts”, sanno dove vengono investiti questi fondi e se esiste un profitto a partire da quegli investimenti, viene impedito di parlare per comunicare queste informazioni alle banche Cfa o alle banche centrali degli stati africani, scrive il dottor Gary K. Busch (economista, docente universitario a Londra).Si stima che la Francia detenga all’incirca 500 miliardi di monete provenienti dagli Stati africani, e farebbe qualsiasi cosa per combattere chiunque voglia fare luce su questo lato oscuro del vecchio impero. Gli stati africani non hanno accesso a quel denaro. La Francia permette loro di accedere soltanto al 15% di quel denaro all’anno. Se avessero bisogno di più, dovrebbero chiedere in prestito una cifra extra dal loro stesso 65% da Tesoro francese a tariffe commerciali. Per rendere le cose ancora peggiori, la Francia impone un cappio sull’ammontare di denaro che i paesi possono chiedere in prestito da quella riserva. Il cappio è fissato al 20% delle entrate pubbliche dell’anno precedente. Se i paesi volessero prestare più del 20% dei loro stessi soldi, la Francia ha diritto di veto. L’ex presidente francese Jacques Chirac ha detto recentemente qualcosa circa i soldi delle nazioni africane detenuti nelle banche francesi. In un VIDEO parla dello schema di sfruttamento francese. Parla in francese, ma questo è un piccolo sunto: «Dobbiamo essere onesti e riconoscere che una gran parte dei soldi nelle nostre banche provengono dallo sfruttamento del continente africano».#3. Diritto di primo rifiuto su qualsiasi materia prima o risorsa naturale scoperta nel paese. La Francia ha il primo diritto di comprare qualsiasi risorsa naturale trovate nella terra delle sue ex colonie. Solo dopo un “Non sono interessata” della Francia, i paesi africani hanno il permesso di cercare altri partners. #4. Priorità agli interessi francesi e alle società negli appalti pubblici. Nei contratti governativi, le società francesi devono essere prese in considerazione per prime e, solo dopo, questi paesi possono guardare altrove. Non importa se i paesi africani possono ottenere un miglior servizio ad un prezzo migliore altrove. Di conseguenza, in molte delle ex colonie francesi, tutti i maggiori asset economici dei paesi sono nelle mani degli espatriati francesi. In Costa d’Avorio, per esempio, le società francesi possiedono e controllano le più importanti utilities – acqua, elettricità, telefoni, trasporti, porti e le più importanti banche. Lo stesso nel commercio, nelle costruzioni e in agricoltura. Infine, come ho scritto in un precedente articolo, “gli africani ora vivono in un continente di proprietà degli europei”.#5. Diritto esclusivo a fornire equipaggiamento militare e formazione ai quadri militari del paese. Attraverso un sofisticato schema di borse di studio e “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, gli africani devono inviare i loro quadri militari per la formazione in Francia o in strutture gestite dai francesi. La situazione nel continente adesso è che la Francia ha formato centinaia, anche migliaia di traditori e li foraggia. Restano dormienti quando non c’è bisogno di loro, e vengono riattivati quando è necessario un colpo di Stato o per qualsiasi altro scopo! #6. Diritto della Francia di inviare le proprie truppe e intervenire militarmente nel paese per difendere i propri interessi. In base a qualcosa chiamato “Accordi di Difesa” allegati al Patto Coloniale, la Francia ha il diritto di intervenire militarmente negli Stati africani e anche di stazionare truppe permanentemente nelle basi e nei presidi militari in quei paesi, gestiti interamente dai francesi.Poi ci sono le basi militari francesi in Africa. Quando il presidente Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio cercò di porre fine allo sfruttamento francese del paese, la Francia organizzò un colpo di Stato. Durante il lungo processo per estromettere Gbagbo, i carri armati francesi, gli elicotteri d’attacco e le forze speciali intervennero direttamente nel conflitto sparando sui civili e uccidendone molti. Per aggiungere gli insulti alle ingiurie, la Francia stima che la “business community” francese abbia perso diversi milioni di dollari quando, nella fretta di abbandonare Abidjan nel 2006, l’esercito francese massacrò 65 civili disarmati, ferendone altri 1.200. Dopo il successo della Francia con il colpo di Stato, e il trasferimento di poteri ad Alassane Outtara, la Francia ha chiesto al governo Ouattara di pagare un compenso alla “business community” francese per le perdite durante la guerra civile. Il governo Ouattara, infatti, pagò il doppio delle perdite dichiarate mentre scappavano.#7. Obbligo di dichiarare il francese lingua ufficiale del paese e lingua del sistema educativo. “Oui, Monsieur. Vous devez parlez français, la langue de Molière!” (sì, signore. Dovete parlare francese, la lingua di Molière!). Un’organizzazione per la diffusione della lingua e della cultura francese chiamata “Francophonie” è stata creata con diverse organizzazioni satellite e affiliati supervisionati dal ministero degli esteri francese. Come dimostrato in quest’articolo, se il francese è l’unica lingua che parli, hai accesso al solo 4% dell’umanità, del sapere e delle idee. Molto limitante.#8. Obbligo di usare la moneta coloniale francese Fcfa. Questa è la vera mucca d’oro della Francia, tuttavia è un sistema talmente malefico che finanche l’Unione Europea lo ha denunciato. La Francia però non è pronta a lasciar perdere il sistema coloniale che inietta all’incirca 500 miliardi di dollari africani nelle sue casse. Durante l’introduzione dell’euro in Europa, altri paesi europei scoprirono il sistema di sfruttamento francese. Molti, soprattutto i paesi nordici, furono disgustati e suggerirono che la Francia abbandonasse quel sistema. Senza successo. #9. Obbligo di inviare in Francia il budget annuale e il report sulle riserve. Senza report, niente soldi. In ogni caso il ministero delle banche centrali delle ex colonie, e il ministero dell’incontro biennale dei ministri delle finanze delle ex colonie è controllato dalla banca centrale francese e dal ministero del Tesoro.#10. Rinuncia a siglare alleanze militari con qualsiasi paese se non autorizzati dalla Francia. I paesi africani in genere sono quelli che hanno il minor numero di alleanze militari regionali. La maggior parte dei paesi ha solo alleanze militari con gli ex colonizzatori (divertente, ma si può fare di meglio!). Nel caso delle ex colonie francesi, la Francia proibisce loro di cercare altre alleanze militari eccetto quelle che vengono offerte loro. #11. Obbligo di allearsi con la Francia in caso di guerre o crisi globali. Più di un milione di soldati africani hanno combattuto per sconfiggere il nazismo e il fascismo durante la Seconda Guerra Mondiale. Il loro contributo è spesso ignorato o minimizzato, ma se si pensa che alla Germania furono sufficienti solo 6 settimane per sconfiggere la Francia nel 1940, quest’ultima sa che gli africani potrebbero essere utili per combattere per la “Grandeur de la France” in futuro.C’è qualcosa di psicopatico nel rapporto che la Francia ha con l’Africa. Primo, la Francia è molto dedita al saccheggio e allo sfruttamento dell’Africa sin dai tempi della schiavitù. Poi c’è questa mancanza di creatività e di immaginazione dell’élite francese a pensare oltre i confini del passato e della tradizione. Infine, la Francia ha due istituzioni che sono completamente congelate nel passato, abitate da “haut fonctionnaires” paranoici e psicopatici che diffondono la paura dell’apocalisse se la Francia cambiasse, e il cui riferimento ideologico deriva dal romanticismo del 19° secolo: sono il ministero delle finanze e del bilancio e il ministero degli affari esteri. Queste due istituzioni non solo sono una minaccia per l’Africa ma anche per gli stessi francesi. Tocca a noi africani liberarci, senza chiedere permesso, perché ancora non riesco a capire, per esempio, come possano 450 soldati francesi in Costa d’Avorio controllare una popolazione di 20 milioni di persone. La prima reazione della gente, subito dopo aver saputo della tassa coloniale francese, consiste in una domanda: “Fino a quando?”. Per paragone storico, la Francia ha costretto Haiti a pagare l’equivalente odierno di 21 miliardi di dollari dal 1804 al 1947 (quasi un secolo e mezzo) per le perdite subite dai commercianti di schiavi francesi dall’abolizione della schiavitù e la liberazione degli schiavi haitiani. I paesi africani stanno pagando la tassa coloniale solo negli ultimi 50 anni, perciò penso che manchi ancora un secolo di pagamenti!(Mawuna Remarque Koutonin, “Quattordici paesi africani costretti a pagare la tassa coloniale francese”, da “Africa News” dell’8 febbraio 2014).Sapevate che molti paesi africani continuano a pagare una tassa coloniale alla Francia dalla loro indipendenza fino ad oggi? Quando Sékou Touré della Guinea decise nel 1958 di uscire dall’impero coloniale francese, e optò per l’indipendenza del paese, l’élite coloniale francese a Parigi andò su tutte le furie e, con uno storico gesto, l’amministrazione francese della Guinea distrusse qualsiasi cosa che nel paese rappresentasse quelli che definivano i vantaggi della colonizzazione francese. Tremila francesi lasciarono il paese, prendendo tutte le proprietà e distruggendo qualsiasi cosa che non si muovesse: scuole, ambulatori, immobili dell’amministrazione pubblica furono distrutti; macchine, libri, strumenti degli istituti di ricerca, trattori furono sabotati; i cavalli e le mucche nelle fattorie furono uccisi, e le derrate alimentari nei magazzini furono bruciate o avvelenate. L’obiettivo di questo gesto indegno era quello di mandare un messaggio chiaro a tutte le altre colonie: il costo di rigettare la Francia sarebbe stato molto alto. Lentamente la paura serpeggiò tra le élite africane e nessuno, dopo gli eventi della Guinea, trovò mai il coraggio di seguire l’esempio di Sékou Touré, il cui slogan fu “Preferiamo la libertà in povertà all’opulenza nella schiavitù”.
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Konare: è la Francia a depredare l’Africa, ditele di smettere
Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cefa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.«Dobbiamo “assediare” pacificamente tutte le ambasciate francesi in Africa, per smuovere l’opinione pubblica internazionale. Ci stiamo preparando: lo faremo». Mohamed Konare è consapevole di quanto sia pericolosa la sua posizione: nel solo dopoguerra, l’Africa ha subito 45 golpe orchestrati da Parigi. La potenza coloniale non ha esitato a far uccidere chiunque abbia osato ribellarsi: le vittime sono decine, dal leader congolese Patrice Lumumba al rivoluzionario sovranista Thomas Sankara, che dal Burkina Faso osò chiedere l’annullamento del debito africano e la fine degli “aiuti” (usurai) della finanza internazionale: miliardi offerti dal Fmi e dalla Banca Mondiale, per vincolare l’economia africana alla schiavitù del debito e imporre la rapina neoliberista delle risorse, affidate alle multinazionali con la complicità dei governanti africani corrotti. Uno schema che è all’origine dell’attuale disastro che investe l’Africa, come spiega l’economista Ilaria Bifarini: il Pil africano sta crescendo ma resta in mano a pochissimi, la popolazione del continente nero sta letteralmente esplodendo ma vive in condizioni economiche molto peggiori, rispetto a trent’anni fa. Nel frattempo è cambiato tutto, nel mondo globalizzato, tranne un aspetto che non è esagerato definire mostruoso: l’arcaico sfruttamento coloniale da parte della Francia, di cui Konare fornisce un quadro semplicemente sconcertante.Il 50% della produzione delle ex colonie francesi finisce subito a Parigi: un furto sistematico, legalizzato dagli accordi della decolonizzazione, le “false indipendenze” concesse da Charles de Gaulle per continuare la razzia dietro il paravento dell’autonomia solo formale dell’Africa Francese. L’altro 50% del Pil viene comunque sottratto alla popolazione, grazie alla complicità dei regimi africani. Un sistema criminale, la cui regia – accusa Konare – è interamente francese: resta di proprietà della Francia il Franco Cefa, su cui Parigi esercita uno smisurato signoraggio. I paesi africani, obbligati a usare la moneta coloniale francese, non possono sviluppare liberamente la loro economia, né vendere a chi vogliono i loro prodotti. Il gas algerino finisce a Parigi insieme al petrolio. Stessa sorte per le merci di paesi importanti come il Senegal e il Camerun, la Costa d’Avorio, il Mali, il Togo, il Niger. Caffè e cacao, diamanti, oro, rame, uranio, coltan: il continente più ricco del pianeta sopravvive in miseria, sfruttato a sangue dai signori di Parigi, che oggi esibiscono l’ipocrita cinismo di Macron (ospite d’onore di Papa Francesco) ma ieri, almeno, erano capaci di franchezza: «Senza l’Africa – ammise François Mitterrand nel 1975 – la Francia non avrà storia nel 21mo secolo». Profezia confermata dal suo successore, Jacques Chirac, nel 2008: «Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo». E l’orrore continua: i paesi dell’Africa ex francese devono far approvare a Parigi i loro bilanci.Tutto questo deve finire, annuncia Konare: bisogna porre fine all’esodo dei giovani, e iniziare la lotta di liberazione dell’Africa. Come? Svelando, all’opinione pubblica, lo spaventoso vampirismo della Francia: beninteso, i cittadini francesi non ne sono nemmeno consapevoli. Piuttosto, sono potenziali alleati: lo diventeranno, dice Konare, quando prenderanno coscienza di questo orrore, perpetrato dalle stesse élite che, in Europa, organizzano le crisi e l’austerity per gli europei. Carte truccate: come farebbe, la Francia, a mantenere il bilancio in ordine secondo i vincoli Ue, se non avesse dalla sua – ogni anno – quei 500 miliardi “rubati” all’Africa occidentale? E con che coraggio l’ometto dell’Eliseo (sostenuto dal Vaticano) dà lezioni all’Italia sui migranti, visto è proprio Parigi la maggiore responsabile dell’esodo biblico che stiamo vivendo? L’Africa deve svegliarsi, ora o mai più: l’appello di Konare è intensamente drammatico. Missione: salvare gli africani, restituendo loro la sovranità economica. «L’Africa è ricca: se si smette di depredarla, fiorirà. Verremo ancora in Italia, ma come turisti, a visitare Venezia e Firenze».Patti chiari, dice Konare, e diventeremo amici. Ma di mezzo c’è una rivoluzione, da fare. «Un’alleanza tra popoli, africani ed europei, contro le élite che li sfruttano entrambi». Le armi? Una: l’informazione. «Tutti dovranno sapere. A quel punto, il dominio crollerà. Perché, se l’Africa ridiventerà sovrana, smetterà di esportare migranti». L’Italia? «Bene ha fatto a chiudere i porti: i nostri giovani che partono vengono ingannati dai trafficanti. L’emigrazione va scoraggiata in ogni modo, e l’Italia dovrebbe proprio chiudere le sue frontiere», sottolinea Konare, che si appella al governo gialloverde per ottenere una sponda nella grande battaglia, storica, per la resurrezione del continente nero. Italia cruciale: «Proprio a Roma, a settembre, faremo una grande manifestazione», annuncia Konare, al termine della lunga intervista sul video-blog di Claudio Messora. Una testimonianza, la sua, che vale più di una lezione universitaria: racconta di come l’ignoranza nasconda il peggior abominio, consumato sotto i nostri occhi. Un incubo, e una speranza: riconquistare un futuro. «Non avete idea di quanto siete buoni e di quanto siamo cattivi noi, in Occidente», dice Muhammad Alì ai bambini di Kinshasa, al termine dello storico match di boxe con Foreman, nel 1974. La cinepresa di Leon Gast immortalò un evento politico di portata storica: l’ultima voce africana capace di raggiungere, ed entusiasmare, il pubblico occidentale. Riuscirà nella stessa impresa l’altrettanto coraggioso e commovente Mohamed Konare?Ma la Francia non era il paese dei Lumi, patria della libertà già nel Settecento? Sì, ma solo in Europa: certo non in Africa, dove 14 paesi vivono tuttora sotto il giogo di una dominazione coloniale feroce e parassitaria, che sta facendo esplodere la crisi dei migranti. Lo afferma, in una drammatica video-testimonianza su “ByoBlu”, il leader panafricano Mohamed Konare, originario della Costa d’Avorio. “Libertè, egalitè, fraternitè”: valori che magari hanno ancora un peso in Francia, mentre nel continente nero – schiavizzato dal governo di Parigi – si sopravvive senza libertà e senza nessuna uguaglianza, mentre l’unica fraternità (criminale) è quella che lega alla potenza sfruttatrice i tanti dittatori africani, insediati dalla Francia a suon di sanguinosi colpi di Stato. A milioni, oggi, gli schiavi dell’Africa “francese” si riversano sulle coste italiane? Ovvio: a casa loro non hanno speranze, per colpa della piovra rappresentata dal sistema coloniale, che ancora oggi depreda i paesi sub-sahariani. Non hanno scampo, gli africani: sono vittime del più subdolo dei ricatti, cioè l’imposizione del Franco Cfa, moneta coloniale imposta all’Africa e tuttora di proprietà francese. Un controllo ferreo, per uno smisurato trasferimento di ricchezza: non meno di 500 miliardi di dollari all’anno, secondo stime ufficiali. Ora basta, però: bisogna che i giovani smettano di emigrare, dice Konare. Devono restare a casa, a lottare, perché l’Africa abbia finalmente un futuro.
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Tecno-vaccini per annientarci, se la scienza “impazzisse”
Hai bisogno di un cuore o un polmone di ricambio? Nessun problema: la Monsanto te ne crea uno nuovo di zecca, utilizzando una specie di maiali trans-genici alimentati da mangimi Ogm e sottoposti con regolarità ad espianto di organi mentre sono ancora in vita, per mantenere “freschi” gli organi espiantati. Avvertenza: il tuo governo ha già approvato simili pratiche. Possibile? No, ovviamente. Sono soltanto fantasie decisamente horror, sulle quali si interroga il blog “La Crepa nel Muro”. Ai confini della realtà, si esplorano aberrazioni a 360 gradi: come i vaccini “comportamentali” per rendere docili i cittadini e reprimere il dissenso, il monitoraggio “da remoto” del nostro stato di salute, la totale segretezza sull’origine degli alimenti. Un mondo da incubo: pandemie globali scatenate da armi biologiche, controllo a distanza sul codice genetico della prole, ingegneria genetica per tranquillizzare le folle o, al contrario, “fabbricare” soldati spietati. E scie in cielo, naturalmente, per “attivare metalli e nano-cristalli iniettati attraverso i vaccini”. Un film spaventoso, che comincia con l’espianto “brevettato” di organi di maiali geneticamente modificati. Ha senso, questa fantascienza abominevole? Impossibile escluderla a priori, secondo “La Crepa nel Muro”, visto che la scienza ormai assoggettata all’industria «ha in mente per noi un futuro molto diverso dai paradisi utopistici previsti dai media mainstream».Secondo l’ufficialità, come sappiamo, la scienza sarebbe sempre e comunque benigna per l’umanità: «Ogni conseguimento scientifico è sempre stato dipinto come “progresso”, anche se molti di essi alla lunga si sono rivelati disastrosi (le bombe atomiche, ad esempio, oppure gli Ogm)». E mentre la scienza pura «risulta essere una componente necessaria di qualsiasi civiltà che cerchi di espandere la propria comprensione dell’universo», il tipo di scienza che oggi domina il paesaggio «è industriale, quindi al servizio dei profitti aziendali più che della umana comprensione». E’ la scienza-business, quella che «sta per partorire una nuova nidiata di tecnologie proprio terrificanti, le quali potrebbero trasformare il mondo». Tecnologie in vitro, che di umano non hanno più niente? Il blog ne propone un intero campionario, francamente agghiacciante. Come i “vaccini comportamentali”, che potrebbero essere sviluppanti, orwellianamente, per “reprimere il dissenso”, da chi considerasse la disobbedienza una patologia, una vera e propria malattia. La “cura per la disobbedienza” (o “disturbo oppositivo”) potrebbe essere nuovo vaccino che «rimodellerà biologicamente il cervello per renderlo più socialmente mansueto e controllabile». Una sorta di lobotomia chimica: sarebbe «la pietra di fondazione dello stato di polizia globale, che non avrà tolleranza per il pensiero indipendente e il pensiero critico di qualsiasi tipo».E che dire del “monitoraggio da remoto di tutti i valori sanitari e impulsi vitali”? «Pensate che le cartelle cliniche siano davvero riservate? Pensateci bene: già attualmente il governo degli Stati Uniti detiene un database centralizzato dei campioni di sangue prelevati a tutti i neonati». E’ pensabile che nel prossimo futuro, ai cittadini, possa essere «impiantato un chip diagnostico»? In tempo reale, il dispositivo potrebbe trasmettere al governo «una serie di informazioni circa il polso, la respirazione, la presenza di droghe illegali o legali (le quali sono spesso le stesse sostanze chimiche contenute nelle droghe illegali, ripresentate sotto forma di farmaco)». Funzione: «Controllare che ogni ammalato assuma regolarmente i propri farmaci», ma anche «individuare e arrestare coloro che assumano sostanze stupefacenti senza prescrizione medica». Nella versione horror, il chip potrebbe «monitorare i livelli nutrizionali», magari elininando la vitamina D – dichiarata pericolosa, in un futuro da incubo – per fissare «soglie di tolleranza ben distanti da quella del risveglio cognitivo, facendo in modo che tutti restino prigionieri di uno stato di torpore mentale». Alla stessa strategia (perversa, demoniaca) potrebbe corrispondere anche la “totale segretezza circa qualsiasi ingrediente alimentare e luoghi di origine dei prodotti”, con un doppio risultato: spacciare alimenti-spazzatura molto redditizi e, fatalmente, pericolosi per la salute.Anche per questo, aggiunge “La Crepa nel Muro”, nel peggior futuro possibile potrebbe scattare anche la “assoluta criminalizzazione di alimenti e farmaci di produzione locale”, con “obbligo di affidarsi esclusivamente ai grandi gruppi industriali alimentari e farmaceutici”. A proposito di cibo, scrive il blog, “scienziati” corrotti potrebbero affermare che la coltivazione autonoma di un orto nel proprio giardino sia estremamente pericolosa, perché causa il diffondersi di batteri. Basterebbe a mettere al bando il giardinaggio domestico: vietato mettersi a coltivare pomodori sul balcone. «Il fine ultimo di tutto ciò è rendere la popolazione completamente dipendente dalle grandi industrie alimentari centralizzate». I soliti “scienziati” potrebbero sostenere che solo le grandi industrie alimentari producono cibo sicuro, «in quanto completamente pastorizzato, irradiato e sottoposto a fumigazione». Senza contare, poi, gli scenari di guerra. Esempio: “Scatenamento di una pandemia globale a colpi di armi biologiche aggregate ai vaccini”.«L’intero sistema dei vaccini – si legge nel fanta-post della “Crepa nel Muro” – fa ovviamente capo ad una politica di eugenetica su larga scala». Ovvero: «Qualcuno ha progettato di eliminare tutti i quozienti intellettivi più bassi del pianeta, persone così stupide da lasciarsi iniettare qualsiasi cosa sia spacciata per un vaccino», comprese le inutili vaccinazioni antinfluenzali. «E’ realmente un programma di eugenetica, con cui i globalisti sono convinti di poter estirpare la stupidità dal genere umano, non importa quale sia il costo in termini di sofferenza». Per questa via completamente folle, si potrebbe arrivare un giorno anche al “totale controllo del governo sulla riproduzione e sul codice genetico della prole”. «Copulare con una persona di vostra scelta e produrre la vostra discendenza a vostro piacimento non sarà più permesso, nello stato di polizia scientifica», si sbilancia “La Crepa nel Muro”. «La riproduzione sarà attentamente controllata tramite la concessione di licenze per assicurarsi che non vi siano risultati imprevisti». Orrore: «Prima di avere figli, i genitori dovranno chiedere al governo il permesso di riprodursi». A quel punto «saranno analizzati geneticamente e psicologicamente, dopodiché sarà loro concesso un permesso di riproduzione controllata il cui iter dovrà essere rigorosamente seguito per evitare il carcere».«Alle persone che mostrino tendenze ribelli e atteggiamenti anti-statali – va da sé – sarà negato il privilegio della riproduzione». E quindi, «solo agli schiavi più obbedienti e bianchi saranno concessi i privilegi di riproduzione, di cui gli schiavi andranno orgogliosi, data la responsabilità di mettere al mondo le successive generazioni di schiavi». Paranoia letteraria? Universi paralleli? Quanto può esservi, di verosimile, nella dilatazione – volutamente provocatoria e spettacolare – delle più recenti mostruosità (tragicamente autentiche) di alcune sperimentazioni tecno-scientifiche? Un abisso, nel quale “La Crepa nel Muro” arriva a ipotizzare “impianti cerebrali attivabili da remoto per la sedazione delle folle”. E’ un fatto: il futuro ormai coinvolge tutti i tipi di apparecchiature elettroniche impiantabili nel corpo umano. Una di quelle più convenienti potrebbe essere il “chip pacificazione”, addirittura «imposto ai cittadini in cambio di una somma di crediti virtuali». Un dispositivo subdolo, «attivato in modalità remota da parte del governo attraverso flussi cellulari, o attraverso impulsi locali emessi dalle forze di polizia, per placare immediatamente qualsiasi grande folla di manifestanti e rivoltosi». Gli studenti stanno protestando in favore della libertà di parola? «Basterà attivare il “chip pacificazione”, e tutti si sdraieranno sul prato e per qualche minuto faranno qualche sogno ad occhi aperti».Al bisogno, un simile chip potrebbe essere usato anche per “eccitare” il cervello in frangenti politicamente convenienti: «Per esempio, se un altro attacco terroristico dovesse compiersi sul territorio americano, il chip potrà essere d’aiuto per stimolare il sostegno della gente ad una ritorsione bellica». Ed ecco quindi il passo successivo, “ingegneria genetica e allevamento di super-soldati obbedienti”. «In un lontano futuro – ipotizza il blog – i soldati sul campo di battaglia saranno effettivamente degli umanoidi dotati di armi da fuoco e armature. Pensate al modello Terminator T-1000. Tutto ciò al momento resta abbastanza fuori portata, data la incredibile complessità di una simile tecnologia. Nel frattempo le nazioni più potenti investono denaro nella tecnologia dei super-soldati geneticamente modificati, i quali sono concepiti, allevati e addestrati per pensare ed agire come automi». Potrebbero essere “fabbricati” nuovissimi soldati-Ogm, dotati di elevati valori biologici (alta ossigenazione del sangue, cornice corporea di grandi dimensioni) in combinazione con piccoli cervelli, «in grado di elaborare solo le informazioni sufficienti per eseguire gli ordini ricevuti senza metterli in discussione». Invitabilmente, «saranno anche dotati di numerosi impianti elettronici che li renderanno più simili a cyborg che ad esseri umani». E quindi, «potenziamenti ottici applicati alle retine, chip Gps connessi al cervello, cablaggi nelle orecchie».Dulcis in fondo, ecco “l’attivazione di metalli e nano-cristalli iniettati attraverso i vaccini”. «Oltre che per la diffusione di malattie infettive – scrive il blog, nella sua “profezia” da incubo – i vaccini potranno essere utilizzati per iniettare nano-cristalli sintonizzati per risuonare a determinate frequenze». Nano-cristalli? «Sono stati rinvenuti anche nelle scie chimiche». Potrebbero rimanere inerti in un organismo anche per decenni, per poi essere di colpo “attivati” con l’emissione di specifiche frequenze. «Le applicazioni pratiche sarebbero infinite; dalla follia collettiva ai focolai di violenza di massa (tumulti, ecc) o a poche decine di milioni di persone che di colpo muoiono contemporaneamente. Una qualsiasi di tali applicazioni potrebbe essere sfruttata dal governo per vendere la versione ufficiale di un “attacco terroristico”. E tutto ciò potrebbe essere fatto in nome della “scienza”». Per “La Crepa nel Muro”, si tratta di «possibili tecnologie future» con cui la “scienza abusiva” potrebbe «supportare futuri governi tirannici e industrie corrotte». Nulla di tutto ciò è ancora in agenda, per fortuna, ma alcune idee aberranti «sono sulla buona strada per diventare realtà già nei prossimi anni». Fantascienza a parte, il problema sull’impiego della scienza è ovviamente serissimo: guai, se viene utilizzata «per dominare e ridurre in schiavitù le persone». Troppo spesso si è rivelata il grande alibi per operazioni “sporche”, progettate sulla pelle di tutti.Hai bisogno di un cuore o un polmone di ricambio? Nessun problema: la Monsanto te ne crea uno nuovo di zecca, utilizzando una specie di maiali trans-genici alimentati da mangimi Ogm e sottoposti con regolarità ad espianto di organi mentre sono ancora in vita, per mantenere “freschi” gli organi espiantati. Avvertenza: il tuo governo ha già approvato simili pratiche. Possibile? No, ovviamente. Sono soltanto fantasie decisamente horror, sulle quali si interroga il blog “La Crepa nel Muro”. Ai confini della realtà, si esplorano aberrazioni a 360 gradi: come i vaccini “comportamentali” per rendere docili i cittadini e reprimere il dissenso, il monitoraggio “da remoto” del nostro stato di salute, la totale segretezza sull’origine degli alimenti. Un mondo da incubo: pandemie globali scatenate da armi biologiche, controllo a distanza sul codice genetico della prole, ingegneria genetica per tranquillizzare le folle o, al contrario, “fabbricare” soldati spietati. E scie in cielo, naturalmente, per “attivare metalli e nano-cristalli iniettati attraverso i vaccini”. Un film spaventoso, che comincia con l’espianto “brevettato” di organi di maiali geneticamente modificati. Ha senso, questa fantascienza abominevole? Impossibile escluderla a priori, secondo “La Crepa nel Muro”, visto che la scienza ormai assoggettata all’industria «ha in mente per noi un futuro molto diverso dai paradisi utopistici previsti dai media mainstream».
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Barnard: la Chiesa è marcia, con che faccia accusa Salvini?
La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti. E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista”, il “sorridente sui cadaveri color scuro”, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia. Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.Nel 2014 il ministro delle finanze vaticane, cardinale George Pell, disse che «abbiamo scoperto centinaia di milioni di euro nascosti in conti dimenticati di cui non avevamo rendicontazione». E questi sono solo gli spiccioli di Papa Bergoglio. Secondo l’“International Business Times”, il Vaticano gestisce strumenti d’investimento per 6 miliardi di euro; ha 700 milioni investiti sulle Borse; tiene 20 milioni di dollari in oro alla Federal Reserve in Usa. Il gioielliere Bulgari a Londra paga l’affitto alla Chiesa di Roma in uno dei palazzi meglio prezzati del mondo a New Bond Street. L’investment bank Altium Capital idem, nella prestigiosa St James’s Square. Secondo il Consiglio d’Europa il merchant banker dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Aps), Paolo Mennini, nel 2012 da solo gestiva 680 milioni di euro per i cardinali, i quali solamente dallo Ior ricevono dividendi per 60 milioni annui. I valori delle proprietà immobiliari usate per profitto commerciale e speculativo dalla Santa Sede sono impossibili da calcolare, ma ecco un’idea: il “Sole 24 Ore” ha stimato che la sola ‘agenzia immobiliare’ vaticana chiamata Apsa, diretta fino al 2016 dal cardinale Domenico Calcagno, gestisce 10 miliardi di euro in immobili commerciali (esclusi quindi chiese, canoniche, seminari, ecc.) che, si ribadisce, è solo una vaga idea del totale in mano alla Santa Sede nel mondo.Allora, è accettabile che le “belle anime” cattoliche italiane, di cui l’innominabile catto-sinistra è pregna, si permettano di tuonare dalle pagine ad esempio di “Famiglia Cristiana” contro Salvini perché «ha mosso critiche al mondo cattolico che accoglie i migranti»? Accoglie i migranti? Ah, davvero? E come li accoglie? Con quanti denari concretamente sborsati fra i sopraccitati miliardi che tengono in speculazioni finanziarie e di Borsa? Può la Santa Sede mostrarci le cifre? In quanti immobili milionari che posseggono li hanno accolti, quanti sono stati allestiti per loro? Può la Santa Sede, che millanta di “accogliere”, fornirci le mappe? Ma con che inguardabile faccia questi ipocriti intimidiscono con l’abietta superstizione del senso di colpa il Salvini e i suoi elettori? Allora, Papa Bergoglio, prima di condannare i peccatori, veda di mettere le gabbane dei suoi preti, i miliardi delle vostre speculazioni e le migliaia di proprietà dove stanno le vostre parole. E se proprio dovete sdoganare la politica leghista sulla tragedia dei migranti come politica criminale contro gli innocenti – c he non è, perché al peggio è gretta insensibilità dettata da meschina ignoranza personale o da vere difficoltà economiche – ecco chi davvero ha fatto in epoca contemporanea una politica criminale di massa contro gli innocenti, col crocifisso al collo.Da un mio articolo di 2 anni fa: “Nel 2012 persino Jp Morgan ha dovuto prendere le distanze dallo Ior per sospetti di riciclaggio in armi. “Vatileaks”, scatenato da Gianluigi Nuzzi, già 3 anni fa rivelava il marciume criminale delle finanza vaticana. Mentre l’adorato Papa Francesco scalava in diligente silenzio i ranghi della Chiesa in Argentina, la P2 con lo Ior e Calvi erano i maggiori canali di forniture di missili Exocet proprio alla Giunta di Buenos Aires (30.000 morti), oltre ad armare criminali di massa e torturatori in Guatemala, Perù, Ecuador e Nicaragua. E scrive Vittorio Cotesta nel libro “Global Society, Cosmopolitanism and Human Rights”: «Uno dei maggiori obiettivi di questo network (Ior ecc.)… è di sostenere i golpisti che gli Stati Uniti e il Vaticano usano per schiacciare la Teologia della Liberazione». Papa Francesco ne fu complice ideologico e, in due casi, anche fisico fino al 2013”. Sono l’ultimo a sostenere Matteo Salvini in Italia, ma odio gli ipocriti. Creano molta più sofferenza dei razzisti, perché sono loro che al temine di epoche di disgustoso finto buonismo (vero, Pd?) tradiscono i popoli sui diritti fondamentali e li spingono all’aspetto più deteriore del populismo, quello di rabbia cieca e poi infine anche disumana.(Paolo Barnard, “La Chiesa condanna Salvini, ma con che faccia?”, dal blog di Barnard del 20 luglio 2018).La Chiesa di Bergoglio si cucia la bocca prima di condannare Salvini, ipocriti. E’ facile sparare su Matteo Salvini il “razzista”, il “sorridente sui cadaveri color scuro”, perché Matteo Salvini è in effetti colpevole di ambiguità umanitaria. Primo, non ha mai preso chiare distanze dal razzismo becero e disumano a cui il suo trionfo ha dato la stura in Italia. Chi non vive sui social non immagina l’orda di bruti e soprattutto brute fasci-nazi-razzisti che dilaga là fuori al grido “Non toccate Salvini” e il porcile agghiacciante che arrivano a pronunciare su quella che è una tragedia storica. Secondo, il leader leghista si contenta di risbattere il problema là dove si è originato, e non ha neppure l’ombra di un disegno politico sistemico di cui l’Italia si faccia portavoce nel G7 per fermare gli immensi flussi (fra 12 anni 1,3 miliardi d’indiani avranno la metà dell’acqua per vivere, e dove vanno?). Questo è meno che umano nel momento in cui Salvini non dice che i migranti, soprattutto quelli economici, hanno crediti di trilioni di dollari e di centinaia di milioni di vittime verso le nostre società, perché sulle loro risorse è stato creato tutto ciò che abbiamo, e ancora accade. Sarebbe gradito che un Paolo Becchi suggerisse a Matteo Salvini di rimediare con urgenza a entrambi i punti, mentre giustamente ferma gli arrivi caotici in Italia. Ma che a crocifiggere il leghista sia la Chiesa è molto oltre l’inaccettabile.
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Magaldi: ma non ha vinto Macron, e il mondo sta rinascendo
Neppure la vittoria ai mondiali di calcio salverà il povero Macron? «Non scherziamo: nella finale di Mosca non ha vinto Macron, ma la Francia del 14 luglio: per questo ho festeggiato, cantando la Marsigliese». Gioele Magaldi, ovvero: l’ottimismo della volontà, persino in salsa calcistica. “The times they are a-changing”, cantava Bob Dylan. Era il 1964 e alla Casa Bianca sedeva Lyndon Johnson, fautore della Great Society di ispirazione kennediana, aperta alle minoranze e improntata all’estensione dei diritti. Poi è scesa la grande notte del neoliberismo, che ha deturpato il “nuovo mondo” che sarebbe potuto fiorire dopo il crollo dell’Urss, fino a proporre gli orrori di Bush e la nuova guerra fredda di Obama contro Putin. Ma ora le cose – di nuovo – stanno per cambiare, a quanto pare, su tutti i fronti: basta vedere il feeling che avvicina, a Helsinki, il presidente russo (fresco di Mondiali) e il collega americano Trump, reduce dalla storica pace con la Corea del Nord. Gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” che mette in piazza le malefatte dell’oligarchia supermassonica reazionaria, il progressista Magaldi esulta per il trionfo dei “bleus” allo stadio di Mosca, nonostante gli italiani tifassero Croazia. E spiega: «A Parigi come a Washington c’è un humus, un’ideologia che ha dato al mondo democrazia, diritti e libertà, incluso il diritto alla felicità. Sono valori che trasformeranno il pianeta, rendendolo migliore e più giusto».“The times they are a-changing”, sostiene Magaldi nella sua narrazione a puntate, ogni lunedì ai microfoni di “Colors Radio”. Trump e Putin? Appunto: come ampiamente previsto dal presidente del Movimento Roosevelt, l’istrionico Maverick della Casa Bianca sta facendo piazza pulita degli antichi pregiudizi su cui si è fondato il “partito della guerra”, più mercenario che patriottico. Lo Zar del Cremlino? «Non privo di una sua grandezza», riconobbe Magaldi, quando Putin rifiutò di espellere diplomatici americani dopo la cacciata dei funzionari dell’ambasciata russa disposta da Obama. Tutto sta davvero cambiando, giorno per giorno: e infatti ad essere “en marche”, oggi, non è la Francia imbrigliata da Macron, ma l’Italia di Conte: «Il nostro paese – dice Magaldi – potrà tornare a rivestire il suo storico ruolo di “ponte”, con la Russia ma anche con l’Africa e il Medio Oriente: è tempo infatti che vengano archiviate le storiche clausole segrete, connesse a Yalta e ad altri trattati del dopoguerra, che limitavano la nostra libertà d’azione – trattati comunque aggirati, a suo tempo, dalla politica mediterranea dei Mattei e dei Moro».Lo ricorda Giovanni Fasanella in “Colonia Italia”: le superpotenze ci “affidarono” al controllo britannico, a limitare la nostra sovranità. Ora basta, però: «E’ è venuto il tempo di dare all’Italia piena indipendenza e autonomia politica, consentendole di recitare un ruolo di “cerniera di pace” e prima promotrice di un Piano Marshall per l’Africa», dice Magaldi, che – insieme a Patrizia Scanu, neo-segretaria del Movimento Roosevelt – ne riparlerà in autunno a Milano, in un evento dedicato anche all’eredità politica del leader sovranista africano Thomas Sankara. Grande la confusione, intanto, sotto le stelle: restano le sanzioni contro Mosca innescate dalla crisi ucraina, mentre l’Europa «non si capisce cosa voglia e non esiste come soggetto geopolitico». Iperboli: «Trump accusato in casa di “intelligenza col nemico russo” poi rimprovera la Merkel di eccessiva familiarità e connivenza con alcuni interessi russi». E non mancano intrecci personali: «Il “fratello” Putin e la “sorella” Merkel – ricorda Magaldi – furono iniziati già molti anni fa nella stessa Ur-Lodge», la Golden Eurasia. Massoni, appunto: il problema, insiste Magaldi, non è il grembiulino che indossano, ma l’orientamento politico che promuovono.L’ipocrita massonofobia di Di Maio, estesa alla Lega nel “contratto” di governo? I vertici “gialloverdi”, dice Magaldi, temono che i loro elettori (non informati sulla storia patria) scambino la massoneria per un’associazione a delinquere. Magaldi punta il dito contro Elio Lannutti, esponente 5 Stelle, «in passato protagonista di battaglie meritorie». Ora vorrebbe una legge che vietasse ai massoni l’accesso alle cariche statali, sbarrando loro le porte di polizia e magistratura: «Siamo alla follia liberticida, queste cose le hanno fatte i regimi comunisti e fascisti», protesta Magaldi. E attenzione: il tema massoneria (compresa l’avversione ai “grembiulini”) va maneggiato con cura: «Nel 1800 negli Usa sorse un Anti-Masonic Party fondato però da massoni: spesso le campagne antimassoniche, nella storia, sono state progettate da massoni di altro segno, per colpire circuiti massonici opposti ai loro». Non è il caso dell’Italia, dove secondo Magaldi si sconta una semplice ignoranza della materia: si confonde la libera muratoria democratica degli eredi di Garibaldi, Mazzini e Cavour con la P2 di Gelli, braccio operativo della superloggia sovranazionale “Three Eyes”, di natura pericolosamente oligarchica e spesso eversiva. In massoneria, ricorda Magaldi, non possono entrare pregiudicati né possono restarvi soggetti che non rispettino la Costituzione e le leggi. «Aiuteremo gli amici “gialloverdi” a chiarirsi le idee, ma se il pregiudizio antimassonico perdurerà – avverte il gran maestro – faremo i nomi dei massoni progressisti, leghisti e penstastellati, che siedono nel governo Conte e nelle altre istituzioni».Comunque, a parte gli ultimi «untori del culturame antimassonico», nella narrazione magaldiana – massonico-progressista, avversa al lungo dominio della supermassoneria neo-aristocratica – all’indomani dei Mondiali di calcio (e del vertice di Helsinki) c’è posto solo per un cauto ma tenace ottimismo nella riscossa democratica di un mondo globalizzato in modo autoritario. Lo si può vedere, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, a partire dalla cruciale trincea italiana. Al netto delle pretattiche, dice Magaldi, vedrete che arriveranno cambiamenti sostanziali: «E’ vero, in molti sono allarmati perché il ministro Tria insiste troppo sul contenimento del debito pubblico, sul rigore dei conti e sulla rassicurazione dei mercati. Ma si tratta di non fare il gioco degli strumentalizzatori, che a suo tempo hanno infierito su Savona per cercare di impedire la nascita del governo “gialloverde”. Quando però arriveranno misure importanti – pronostica Magaldi – allora sarà chiaro quale paradigma economico si adotterà, rispetto all’Europa e alle voci di spesa. Il povero Tria? E’ stato chiamato per un ruolo in copione che è quello del rassicuratore, ma poi le decisioni non saranno nel senso della continuità. Tant’è che proprio alcune esternazioni di Savona fanno capire qual è la vera sceneggiatura», con un’Italia non più prona ai diktat di Bruxelles.Idem sul capitolo vaccini: non brilla per chiarezza, Giulia Grillo, che infatti non ha sconfessato la legge Lorenzin. «E’ però un passo avanti notevolissimo l’aver eliminato l’odiosa costrizione in stile Gestapo che privava i bambini non vaccinati del diritto all’istruzione». Insomma, si respira un’altra aria, pur in un terreno minato da troppi dogmi – che non la scienza non dovrebbero aver nulla a che fare. Può anche funzionare il concetto dell’immunità di gregge (più vaccinati, meno possibilità di contrarre malattie) ma occorrerebbe un’indagine scientifica molto seria su quanti e quali vaccini vadano somministrati, e se l’eccesso di vaccini non produca effetti controproducenti, come nel caso dei vaccini militari cui il Movimento Roosevelt ha dedicato un convegno a Torino con il vicepresidente della commissione difesa. Non possono mancare libertà e confronto critico, aggiunge Magaldi: «Bisogna denunciare ad alta voce, anzitutto sul piano metodologico, che in Italia – durante il clima plumbeo del governo Gentiloni – chiunque della comunuità scientifica osasse discutere l’idea che andassero propinati 12 vaccini veniva escluso, ghettizzato, calunniato e demonizzato (e parlo di medici anche di grande spessore). Chi osava contrapporsi a quel clima veniva emarginato, se non sanzionato. Sono cose da paese del quarto mondo».Libertà scientifica: chi sostiene la bontà dell’attuale sistema vaccinale, insiste Magaldi, abbia il coraggio e l’onestà di confrontarsi con chi è scettico. «E c’è un problema di mancata sperimentazione: di troppi vaccini non si conoscono gli effetti. Sono tanti gli interrogativi, e solo nell’orizzonte del dubbio (in cui dovrebbe essere connaturata la scienza) il problema si può risolvere». Invece, scontiamo «l’indottrinamento disdicevole da parte di divulgatori come Piero Angela, secondo cui la scienza non è democratica e ha sempre ragione». Per Magaldi, sono «vistosi casi di insipienza storica e ignoranza profonda sulla genesi del metodo scientifico, fondato proprio sul dubbio: la scienza moderna, da cui nasce la nostra tecnologia, è fondata sulla messa in discussione del principio di autorità – che appartiene invece al mondo pre-moderno». Una cosa è vera solo perché lo dicono i detentori di quel sapere? Concezione antica: «Nella comunità scientifica moderna ci devono essere posizioni dissonanti: nessuna ipotesi può essere vera a prescindere». Il nostro paese, aggiunge Magaldi, «è ostaggio anche di cattivi divulgatori di un’idea della scienza che è inconsistente e contraria ai principi della contemporaneità». Ma attenzione: neppure questo “muro” dogmatico resisterà per sempre. Verrà il giorno in cui avremo finalmente «un confronto pacato», che riconosca il ruolo storico di alcuni vaccini per la nostra salute ma, al tempo stesso, valuti – seriamente – l’opportunità e la sicurezza di altri vaccini, nient’affatto scontate.«L’affermazione della democrazia – ricorda Magaldi – è coeva dell’affermazione della scienza moderna: è essenziale la libertà nel valutare le opzioni terapeutiche». Vale per tutto: se si applica il “filtro” della democrazia anche al contesto scientifico, finiscono per crollare miti e verità di fede. Lo stesso principio funziona ovunque si guardi, persino nella polveriera del Medio Oriente: «Credo che verrà il tempo per una pacifica soluzione del conflitto israelo-palestinese», auspica Magaldi, osservando la scena con lucidità: «In fondo l’estremismo di Hamas e quello di Netanyahu si sostengono a vicenda, sono due facce della stessa medaglia: si reggono sull’ostilità reciproca e quindi hanno bisogno l’uno dell’altro. Non a caso ad essere assassinato fu Yitzhak Rabin, il massone progressista che voleva davvero la pace e quindi uno Stato palestinese». Se la ride, Magaldi, pendando agli amici che il 15 luglio davanti al televisore hanno trepidato per la Croazia per avversione nei confronti di Macron. Il capo dell’Eliseo? «Si è reso odioso: è un cicisbeo politico, continuatore delle politiche di Hollande e rappresentante di questo establishment puzzolente dell’attuale Disunione Europea. Con rara ipocrisia e faccia di bronzo ha detto parole inammissibili nei confronti del governo italiano e dell’Italia, nel corso di questa crisi sui migranti». Ma Macron non è la Francia, così come Bush non era l’America: «Guardiamo con amore a questi paesi – chiosa Magaldi – perché tantissimi francesi (come tantissimi statunitensi) insieme a noi cittadini del mondo – italiani, europei, cinesi, giapponesi – dovranno costruire un pianeta più equo, che abbia come faro la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: diritti non solo civili ma, finalmente, anche economici e sociali».Neppure la vittoria ai mondiali di calcio salverà il povero Macron? «Non scherziamo: nella finale di Mosca non ha vinto Macron, ma la Francia del 14 luglio: per questo ho festeggiato, cantando la Marsigliese». Gioele Magaldi, ovvero: l’ottimismo della volontà, persino in salsa calcistica. “The times they are a-changing”, cantava Bob Dylan. Era il 1964 e alla Casa Bianca sedeva Lyndon Johnson, fautore della Great Society di ispirazione kennediana, aperta alle minoranze e improntata all’estensione dei diritti. Poi è scesa la grande notte del neoliberismo, che ha deturpato il “nuovo mondo” che sarebbe potuto fiorire dopo il crollo dell’Urss, fino a proporre gli orrori di Bush e la nuova guerra fredda di Obama contro Putin. Ma ora le cose – di nuovo – stanno per cambiare, a quanto pare, su tutti i fronti: basta vedere il feeling che avvicina, a Helsinki, il presidente russo (fresco di Mondiali) e il collega americano Trump, reduce dalla storica pace con la Corea del Nord. Gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” che mette in piazza le malefatte dell’oligarchia supermassonica reazionaria, il progressista Magaldi esulta per il trionfo dei “bleus” allo stadio moscovita, nonostante gli italiani tifassero Croazia. E spiega: «A Parigi come a Washington c’è un humus, un’ideologia che ha dato al mondo democrazia, diritti e libertà, incluso il diritto alla felicità. Sono valori che trasformeranno il pianeta, rendendolo migliore e più giusto».