Archivio del Tag ‘diritti’
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Dugin: Italia, l’inizio della rivoluzione che cambierà il mondo
Oggi la democrazia liberale si definisce come il potere delle minoranze non elette sulla maggioranza dei cittadini. Quelle fanno i colpi di Stato contro la Costituzione, le maggioranze reagiscono allora votando i Salvini, i Di Maio, le Marine Le Pen, o i Kurz. Destra o sinistra, non conta più. È una rivolta di popolo contro le élite, cioè contro le minoranze che vogliono difendere apertamente gli interessi delle minoranze. Se questa è la nuova forma della democrazia, ecco, al popolo non piace. In tutto questo però ci sono anche i migranti, spesso al centro di questo scontro. È il punto simbolico più grande. I migranti sono il caso in cui una questione tecnica e marginale, cioè la gestione dell’immigrazione, rivela un contrasto ideologico insanabile: l’ideologia liberale dominante si fonda sull’assimilazione dell’uomo con il cittadino. È, in altre parole, l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo questa visione, ogni essere umano gode di particolari diritti universali. Questa posizione ideologica ha come conseguenza che gli Stati siano obbligati a trattare tutti, anche gli stranieri e gli immigrati, come se fossero loro cittadini. Ma questa è solo l’applicazione pratica di un’ideologia più ampia, che invece vuole distruggere e assimilare le tradizioni, le culture e le storie dei popoli.E allora il popolo ha una reazione: sarà pure viscerale, sarà organica, ma va al punto perché ha una sua origine politica, ideologica, metafisica. Resiste, anzi combatte questa ideologia. E allora succede che il semplice migrante, la semplice nave che li trasporta – elementi che di per sé non avrebbero alcun interesse sociale – diventano in questo campo di battaglia qualcosa di più grande: il segno della grande scelta di radicalità di questa civiltà. I liberali insistono in questa ideologia di forte ostilità al popolo. Per loro il popolo è una cosa negativa, perché è rischioso e incontrollabile e, se male indirizzato, potrebbe portare all’instaurarsi della dittatura o al governo di un leader forte. Allora la lotta che oggi viene fatta dalle élite contro Salvini, Di Maio e Orban altro non è che la lotta contro l’idea che l’identità sia una cosa positiva. Per i liberali difendere il valore dell’identità di un cittadino o difendere l’identità nazionale costituisce il peggior male possibile, una cosa da distruggere. Ma distruggere l’identità significa distruggere il popolo: e da qui nasce il populismo, che altro non è che l’accusa fatta al popolo di essere popolo.Noi stiamo vedendo, di fronte a questa repressione, la reazione dei sovranisti: ebbene, questo è l’inizio della grande rivoluzione anti-liberale. Non è una correzione del liberalismo, no: è l’inizio della grande lotta sistematica dei popoli contro le élite liberali, contro le ideologie portate avanti dai Clinton, da Obama, da Soros, contro la promozione della globalizzazione sociale e politica. Non – e sia chiaro – non contro il controllo dell’immigrazione. E’ il popolo o è l’élite a governare? Si può dire che ci siano, in realtà, due governi: quello del popolo, rappresentato legittimamente in Italia, in Ungheria e in Austria, e quello europeo, che decide ogni volta in senso opposto. Questo è interessante. È l’inizio della lotta politica della nuova generazione, anzi della politica stessa della nuova generazione che – secondo me – dovrà portare alla creazione del populismo integrale. Un populismo che non sia né di destra né di sinistra, ma rappresentativo del popolo.Oggi in Italia assistiamo a una novità politica importante, un primo passo, cioè un’alleanza tra destra e sinistra. Già questo è notevole: cosa sarebbe successo se Marine Le Pen si fosse alleata con Jean-Luc Mélénchon? Il caos. O Donald Trump con Bernie Sanders? Sarebbe scoppiato tutto il sistema. O se Syriza si fosse unita ad Alba Dorata? Avrebbero cacciato la Grecia da tutto, sia dall’euro che dall’Unione Europea. E invece, ecco: in Italia è successo. Per la prima volta si supera la divisione destra-sinistra. Ha vinto Salvini, che con le sue felpe e le sue magliette ha contribuito a far smetter di demonizzare il populismo, e anche Di Maio. Insieme a loro ha vinto anche il popolo, in questa nuova lotta contro le élite per ritrovare la propria identità. Ma dove si trova l’identità di un popolo? Nella sua cultura. È una questione aperta. Per me il Rinascimento italiano è la forma culturale assoluta. Ha avuto effetti grandissimi su tutti gli altri popoli, anche su noi russi. Io adoro il Rinascimento e credo che l’identità italiana (poi magari mi sbaglio) sia nella sua radice un’identità rinascimentale, non medievale. Credo anche che il Risorgimento sia la continuazione del Rinascimento in un altro ciclo storico.(Alexander Dugin, dichiarazioni rilasciate a Dario Ronzoni per l’intervista “L’Italia è l’inizio della grande rivoluzione populista che cambierà il mondo”, pubblicata da “Linkiesta” il 23 giugno 2018. Filosofo, Dugin è presentato come “controverso ma notevole personaggio dell’estrema destra russa”).Oggi la democrazia liberale si definisce come il potere delle minoranze non elette sulla maggioranza dei cittadini. Quelle fanno i colpi di Stato contro la Costituzione, le maggioranze reagiscono allora votando i Salvini, i Di Maio, le Marine Le Pen, o i Kurz. Destra o sinistra, non conta più. È una rivolta di popolo contro le élite, cioè contro le minoranze che vogliono difendere apertamente gli interessi delle minoranze. Se questa è la nuova forma della democrazia, ecco, al popolo non piace. In tutto questo però ci sono anche i migranti, spesso al centro di questo scontro. È il punto simbolico più grande. I migranti sono il caso in cui una questione tecnica e marginale, cioè la gestione dell’immigrazione, rivela un contrasto ideologico insanabile: l’ideologia liberale dominante si fonda sull’assimilazione dell’uomo con il cittadino. È, in altre parole, l’effetto dell’ideologia dei diritti dell’uomo. Secondo questa visione, ogni essere umano gode di particolari diritti universali. Questa posizione ideologica ha come conseguenza che gli Stati siano obbligati a trattare tutti, anche gli stranieri e gli immigrati, come se fossero loro cittadini. Ma questa è solo l’applicazione pratica di un’ideologia più ampia, che invece vuole distruggere e assimilare le tradizioni, le culture e le storie dei popoli.
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Petizione a valanga: no al bavaglio al web imposto dall’Ue
Ferma lo strumento della censura – #SalvaInternet. Internet, come sapete, è in pericolo! Il Parlamento Europeo sta attualmente progettando di rendere più severa la legge sul diritto d’autore, che limiterebbe in modo massiccio la vostra libertà su Internet. Cosa ci si può aspettare? Tra luglio e settembre il Parlamento Europeo deciderà in merito a una nuova riforma del diritto d’autore. Ciò potrebbe modificare radicalmente le leggi sul diritto d’autore in tutta l’Ue. Invece di sostenere gli autori come originariamente previsto, tale riforma potrebbe alla fine ritorcersi contro e imporre loro un onere. In particolare, gli articoli 11 e 13 della riforma comporterebbero enormi restrizioni, non solo per i consumatori. Anche gli autori stessi ne risentirebbero in virtù di questi nuovi regolamenti. Copyright Aggiuntivo: l’articolo 11 della proposta della Commissione Europea si concentra principalmente sul diritto d’autore accessorio dei fornitori di informazioni. Diritti di stampa più specifici proteggeranno i contenuti di questi fornitori e richiederanno una licenza acquistata per poter essere utilizzata da altri. Sono interessati soprattutto i grandi portali di notizie e le pagine degli aggregatori, poiché i testi citati potrebbero essere visti come una violazione del diritto d’autore ai sensi di queste nuove leggi.Il problema è semplice: una gran parte dei fornitori di notizie su Internet sono finanziati attraverso le visualizzazioni che ricevono sulle pagine e dal guadagno pubblicitario conseguente, un guadagno generato dagli utenti che visitano il loro sito tramite link esterni. Se una piattaforma non è disposta o in grado di pagare queste tasse di licenza, perderebbe quelle visualizzazioni di pagina. La legge proposta, originariamente pensata per supportare questi fornitori, ora toglierà i loro mezzi di esistenza. Il filtro usato: l’attuazione dell’articolo 13 comporta un filtraggio totale in tempo reale di tutti i contenuti che saranno caricati su Internet: ogni pacchetto di dati caricato su internet viene scansionato automaticamente da un algoritmo potenzialmente soggetto a errori. Questo è paragonabile all’algoritmo implementato da YouTube, che spesso cancella erroneamente contenuti non protetti dalle leggi sul copyright.Se si pensa alla prospettiva di un algoritmo che preanalizzi tutti i contenuti che vengono caricati su Internet, si compie un ulteriore passo verso la distopia orwelliana del “1984″. Siamo sull’orlo di una riforma drastica che potrebbe cambiare la cultura di Internet per sempre. La nostra richiesta all’Ue: chiediamo che il Parlamento Europeo non compia lo stesso errore compiuto dalla Commissione giuridica il 20 giugno 2018. Chiediamo che il Parlamento Europeo voti contro la riforma della legge sul diritto d’autore nel mercato interno digitale, in particolare gli articoli 11 e 13. Chiediamo di rappresentare le opinioni e i valori dei cittadini e di difenderne la libertà. Unisciti a noi, restiamo uniti per un Internet libero.(Change.org, testo della petizione contro il “bavaglio” che l’Ue apporrebbe al web, su proposta del tedesco Günther Oettinger, noto per aver minacciato gli italiani, a cui “i mercati” avrebbero insegnato come votare).Ferma lo strumento della censura – #SalvaInternet. Internet, come sapete, è in pericolo! Il Parlamento Europeo sta attualmente progettando di rendere più severa la legge sul diritto d’autore, che limiterebbe in modo massiccio la vostra libertà su Internet. Cosa ci si può aspettare? Tra luglio e settembre il Parlamento Europeo deciderà in merito a una nuova riforma del diritto d’autore. Ciò potrebbe modificare radicalmente le leggi sul diritto d’autore in tutta l’Ue. Invece di sostenere gli autori come originariamente previsto, tale riforma potrebbe alla fine ritorcersi contro e imporre loro un onere. In particolare, gli articoli 11 e 13 della riforma comporterebbero enormi restrizioni, non solo per i consumatori. Anche gli autori stessi ne risentirebbero in virtù di questi nuovi regolamenti. Copyright Aggiuntivo: l’articolo 11 della proposta della Commissione Europea si concentra principalmente sul diritto d’autore accessorio dei fornitori di informazioni. Diritti di stampa più specifici proteggeranno i contenuti di questi fornitori e richiederanno una licenza acquistata per poter essere utilizzata da altri. Sono interessati soprattutto i grandi portali di notizie e le pagine degli aggregatori, poiché i testi citati potrebbero essere visti come una violazione del diritto d’autore ai sensi di queste nuove leggi.
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Magaldi: Renzi riposi in pace, il progressista oggi è Salvini
«I progressisti devono capire la gente: il mondo va verso situazioni molto dure e le persone chiedono, giustamente, protezione. Invece, sino ad oggi, il Pd ha trattato le persone che hanno paura come se fossero imbecilli». Viva la sincerità, anche se fuori tempo massimo. Suonano comunque lucide, finalmente, le parole dell’ex manager Ferrari e poi ministro post-renziano Carlo Calenda, nipote di Luigi Comencini, approdato al Pd dopo l’esordio politico prima con Montezemolo e poi con Monti. «Dobbiamo dar vita ad un progetto con nuove parole», dice Calenda a “Otto e mezzo”: «Ma pretendere questo dal Pd – ammette – non è possibile». Tra le macerie elettorali dell’ex centrosinistra, forse anche Calenda pensa al “partito che serve all’Italia”, su cui il Movimento Roosevelt si confronterà il 14 luglio a Roma con politologi e sociologi. Tra gli invitati anche il sindaco milanese Beppe Sala e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. A Matteo Renzi, che in un tweet dopo il disastro dei ballottaggi alle amministrative prova a gettare la croce sul povero Martina («con tutto il rispetto, nel Pd manca una leadership: per questo mi riprendo la guida del partito»), Zingaretti risponde a stretto giro: troppo tardi, «un ciclo storico si è chiuso». Tradotto: abbiamo sbagliato tutto, Renzi in primis. Primo errore, capitale: il Pd ha preso per cretini gli italiani spaventati dalla crisi. «Salvini invece li ha saputi ascoltare», dice Calenda, «e questo è il suo grande merito». Infatti, per Gioele Magaldi, il vero progressista sulla scena, oggi, è proprio il leader della Lega.
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Così l’Ue prepara il bavaglio al web: fine dei link e dei social
Vietato postare contenuti altrui, vietato far circolare link e idee. In altre parole: sarà svuotato e sterilizzato il web, stando ai “muggiti” che salgono dall’Unione Europea, cioè dalla roccaforte burocratica dove i governi – ridotti a passacarte delle grandi lobby – assistono con terrore all’insorgenza democratica che, in tutta Europa, i media mainstream chiamano “populismo”. «Addio meme, addio upload libero di foto e filmini sul web», scrive Emanuele Bonini sulla “Stampa”. «Il Parlamento Europeo è pronto alla stretta su Internet in nome dei diritti d’autore». La commissione giuridica, infatti, ha appena approvato le proposte di modifica della legislazione comunitaria sui copyright, «dando il proprio benestare a norme che aprono la strada a possibili future tasse per la pubblicazione di link di articoli di giornale e a filtri che blocchino, sulle grandi piattaforme, contenuti audio-visivi in tutto o in parte protetti da diritti». Sarebbe, tecnicamente, la fine del web come lo consciamo oggi, fondato sulla circolazione illimitata di notizie, analisi e idee. La questione è controversa, scrive la “Stampa”: per il legislatore europeo c’è «l’esigenza di tutelare i diritti intellettuali», mentre per l’internauta «una mossa di questo tipo rappresenta un restringimento delle maglie della rete». Un vero e proprio bavaglio.Le nuove norme, di fatto, «impongono a tutti di pagare per ogni contenuto protetto», aggiunge Bonini. «Con la riscrittura delle regole così come proposta – spiega – tutti i grandi operatori dovranno sviluppare un sistema per controllare cosa si intende caricare». Attenzione dunque a YouTube, Instagram, eBay, Facebook. «Un video con immagini o brani tutelati da licenze non potrà essere condiviso, così come una foto, anche quella da usare eventualmente per i meme». Non ci saranno grandi alternative, avverte la “Stampa”: o si impedirà la pubblicazione del contenuto, o si dovrà far pagare per consultarlo. E non è tutto: sempre in nome della tutela dei diritti intellettuali e del loro rispetto, «ci saranno limitazioni alle notizie e agli articoli che gli aggregatori di notizie possono mostrare». La Commissione Europea chiedeva una “link tax”, cioè una vera e propria tassa sui collegamenti ipertestuali, in base al principio per cui “chi clicca, paga”, se vuole tenersi informato. L’esecutivo comunitario «prevedeva nello specifico che chiunque usi “snippet” di contenuti giornalistici on-line debba prima ottenere una licenza dall’editore, diritto valido per vent’anni a partire dalla pubblicazione».La commissione giuridica del Parlamento Europeo ha trovato una sorta di compromesso, secondo Bonini, nella limitazione degli elementi di un articolo che gli aggregatori possono mostrare e condividere senza far scattare il pagamento automatico del copyright. Cioè: se un indirizzo web incorpora un estratto breve (o solo il titolo di un articolo), non scatta la tassa. Secondo il tedesco Axel Voss, esponente del partito della Merkel, si tratta di innovazioni doverose. «Creatori e editori di notizie devono adattarsi al nuovo mondo di Internet come funziona oggi», dice Voss, relatore del provvedimento in commissione giuridica. L’europarlamentare ricorda che artisti ed editori di notizie, «specialmente quelli più piccoli», non vengono pagati «a causa delle pratiche di potenti piattaforme di condivisione dei contenuti online e aggregatori di notizie». Un modo di fare «sbagliato, che intendiamo correggere», dice, perché il principio di un’equa retribuzione il lavoro svolto «dovrebbe applicarsi a tutti, ovunque, sia nel mondo fisico che on-line». Agendo sul copyright, Strasburgo sostiene di proporre un equilibrio tra le esigenze dei proprietari dei diritti d’autore e quelle dei consumatori: se da una parte si introducono limiti all’uso di prodotti sotto licenza, dall’altra si abbassa da 20 a 5 anni il periodo di protezione sulla Rete. Se la riforma passa, addio web: il successo della Rete si basa infatti sulla circolazione, libera e istantanea, di contenuti gratuti.Vietato postare contenuti altrui, vietato far circolare link e idee. In altre parole: sarà svuotato e sterilizzato il web, stando ai “muggiti” che salgono dall’Unione Europea, cioè dalla roccaforte burocratica dove i governi – ridotti a passacarte delle grandi lobby – assistono con terrore all’insorgenza democratica che, in tutta Europa, i media mainstream chiamano “populismo”. «Addio meme, addio upload libero di foto e filmini sul web», scrive Emanuele Bonini sulla “Stampa”. «Il Parlamento Europeo è pronto alla stretta su Internet in nome dei diritti d’autore». La commissione giuridica, infatti, ha appena approvato le proposte di modifica della legislazione comunitaria sui copyright, «dando il proprio benestare a norme che aprono la strada a possibili future tasse per la pubblicazione di link di articoli di giornale e a filtri che blocchino, sulle grandi piattaforme, contenuti audio-visivi in tutto o in parte protetti da diritti». Sarebbe, tecnicamente, la fine del web come lo consciamo oggi, fondato sulla circolazione illimitata di notizie, analisi e idee. La questione è controversa, scrive la “Stampa”: per il legislatore europeo c’è «l’esigenza di tutelare i diritti intellettuali», mentre per l’internauta «una mossa di questo tipo rappresenta un restringimento delle maglie della rete». Un vero e proprio bavaglio.
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Magaldi: guerra ai massoni che hanno ucciso la democrazia
«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».C’è stato un tempo, invece, in cui uomini decisivi come Mohandas Karamchand Gandhi, Enrico Mattei, John Fitzgerald e Robert Kennedy, Martin Luther King e Salvador Allende, insieme ad Aldo Moro, Olof Palme, Thomas Sankara, Yithzak Rabin ed altri «poterono essere assassinati senza ritegno, vergogna e giusta vendetta per i loro aguzzini», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt, mettendo in fila i maggiori omicidi politici del ‘900 (più quello di Rabin) per accusare la regia “controiniziatica” di quelle uccisioni, orchestrate da elementi della supermassoneria reazionaria ai vertici del potere. «Ora è giunto il tempo della memoria celebrativa per questi eroi della massoneria progressista brutalmente eliminati e sottratti all’affetto di chi li amava, ammirava e seguiva», scrive Magaldi, rivelando in tal modo la cifra massonica dei leader citati. «Ora – aggiunge – è arrivato il tempo di una condanna storica e morale severissima per quegli assassini controiniziati che violarono tanto i propri giuramenti massonici quanto ogni legge ed etica umana». A partire dalla lettura di “Massoni”, cui seguirà il secondo volume – in uscita nella primavera 2019 – l’autore ha fornito «nomi e cognomi di certi personaggi e spiegazioni esaurienti e circostanziate dei loro misfatti», portando il caso all’attenzione della pubblica opinione.Nel libro, Magaldi ha descritto chiaramente «le gesta eroiche di quelle avanguardie massoniche progressiste che hanno rivoluzionato il mondo sin dal XVIII secolo e dato vita a società libere, aperte, democratiche, laiche, tolleranti, ecumeniche, parlamentarizzate, costituzionali e fondate sullo Stato di diritto, sull’uguaglianza delle opportunità, sulla giustizia e mobilità sociale». Avverte Magaldi: «Adesso e in futuro, comunque, nessuno potrà più perpetrare crimini come quelli segnalati sopra, per miriadi di ragioni». E’ in corso, spiega, una «guerra globale (e anti-convenzionale) infra-massonica». Una lotta che si annuncia «dura e titanica», ma in cui «tutti saranno costretti a “giocare” in modo relativamente “pulito” e con il giusto fair-play». Soprattutto, conclude Magaldi, «questa guerra contro l’incubo neoaristocratico e neoliberista la vincerà l’alleanza tra massoni progressisti e popolo», ovvero «cittadini comuni consapevoli, oltre che fieri, del proprio diritto-dovere alla sovranità». In altre parole: il tempo del ritorno della democrazia sostanziale è giunto, assicura Magaldi, impegnato – a partire dall’Italia – a contrastare la “teologia” neoliberista che ha impoverito i popoli, svuotando gradualmente la democrazia.«Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».
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Magaldi: l’ottimo Salvini e gli ipocriti che uccisero Sankara
Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.Sembrano storie lontane, ma sono vicinissime: probabilmente non sarebbe mai neppure esistita, una nave Aquarius carica di profughi, se il leader rivoluzionario del Burkina Faso non fosse stato assassinato nel 1987, dopo aver chiesto ad alta voce la cancellazione del debito per l’Africa e, al tempo stesso, la fine degli “aiuti” della Banca Mondiale e del Fmi. «I vostri prestiti diventano la nostra schiavitù», ripeteva. «L’Africa ha tutto, per farcela benissimo da sola; basta che ci lasciate in pace, liberi di svilupparci senza più il peso del debito, e delle multinazionali che portano via le nostre risorse». Il prestigio di Sankara stava infiammando paesi decisivi come il Senegal e la Costa d’Avorio, il Kenya, il Camerun. Che Africa avremmo, oggi, se in quei paesi fosse cresciuta una generazione di politici come Sankara? Certo non se lo domandano i buonisti della domenica stile Roberto Saviano, prontissimi ad aprire il fuoco contro i partiti del governo gialloverde, a cui la ex sinistra italiana (insieme ai media mainstream) non perdona di aver vinto le elezioni, il 4 marzo. Ragione in più per smascherare l’impostura dei finti amici dei migranti, che utilizzano la disperazione dei profughi solo per gettare fango sul neonato esecutivo.Finalmente abbiamo un governo all’altezza della situazione, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «dopo tanti anni di premier imbelli e ministri imbelli, figure veramente mediocri che si sono succedute sulle poltrone ministeriali». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «Salvini ha mostrato il minimo sindacale di carattere e di fermezza – e con lui Conte, che è un signore dai modi aristocratici ma che ha avuto posizioni ferme. E anche nel Movimento 5 Stelle c’è stata perfetta solidarietà rispetto alle posizioni di Salvini». Tra parentesi: gli italiani apprezzano. Sondaggi alla mano, in 7 su 10 approvano senza riserve l’operato del leader leghista. Certo, si registra anche l’inevitabile strascico polemico di apparati politici ormai alla deriva, completamente spiazzati dalla svolta italiana: «Rimangono ovviamente i latrati di alcune testate giornalistiche e di alcuni ambienti politici che giocano a mistificare la questione gridando al razzismo, al fascismo, alla xenofobia», dice Magaldi. «Peccato che poi scopriamo (con piacere) che anche in casa Pd e in alcuni ambienti della cosiddetta sinistra qualcuno ha detto: intanto Salvini ha fatto quello che Minniti avrebbe voluto fare e non ha potuto fare per via di quel baciapile un po’ ipocrita di Del Rio, che all’epoca – come ministro delle infrastrutture – impedì cose analoghe».Perfettamente allineato a Salvini, invece, il neo-ministro Danilo Toninelli, che ha competenza sui porti e sulla Guardia Costiera. In sintesi: «Il governo Conte e il ministro Salvini hanno agito benissimo», scandisce Magaldi. «Hanno messo un freno a quella che è una modalità inaccettabile di gestione del problema immigrazione nel Mediterraneo». Attenzione: è un problema italiano, ma anche europeo e globale: «Dovrebbe farsene carico la Nato e magari anche l’Onu, se esistesse ancora e avesse una capacità di intervento». Già, appunto: dove sono, le Nazioni Unite? Non fanno altro che «promuovere le proprie agenzie – accusa Magaldi – ingrassando funzionari che spesso di tutto si occupano, tranne che di diffondere i principi di quella dichiarazione universale dei diritti umani che proprio all’Onu era stata approvata settant’anni fa». Brutto spettacolo: «Una struttura super-burocratica, l’Onu, che al pari dell’Europa è molto al di sotto delle sue potenzialità e anche delle sue retoriche». L’Aquarius? Siamo seri: «Non era una zattera alla deriva, ma una nave perfettamente funzionante. Ed è stata accompagnata, scortata, assistita con opportuni soccorsi sanitari». Parliamoci chiaro: «Ci sono Ong che lucrano sulla tratta di migranti, spesso poi utilizzati anche da associazioni criminali».Molti, una volta sbarcati, vivono “fuorilegge”, non avendo titolo per essere accolti come rifiugiati. Beninteso: «Hanno titolo, giustamente, per sognare una vita migliore in un nuovo paese: ma allora dovrebbero essere inquadrati in un progetto», sostiene Magaldi, che si dichiara «a favore dell’accoglienza a prescindere, e anche della libertà di emigrare». Ma qui non si tratta di scelte libere: è un esodo di disperati in fuga, di fronte al quale trionfa l’ipocrisia. «Nessuno si fa carico di andare a risanare i paesi di provienienza dei migranti, in mano a dittature sanguinose, con popolazioni tenute in condizioni di vita non dignitose. Si preferisce invece farsi carico di trasportare questi poveretti nelle nostre società, dove già sono compressi i diritti, non c’è un clima di socio-economico espansione. E così si fomenta una guerra al ribasso: perché i poveri migranti lavorano spesso in nero, peggiorando ulteriormente le condizioni dei lavoratori italiani: diventano una concorrenza semi-schiavile al ribasso rispetto ai ceti meno abbienti occidentali». E poi, sinceramente: «Quanti di loro sono utilizzati dalla criminalità organizzata?». E ancora: «Che senso ha che vi siano addirittura navi che, per mestiere e per lucro, vanno a prendere i migranti e li scaricano in Italia, anziché in Spagna o in Francia?».Quindi, ribadisce Magaldi, quella di Salvini è stata «un’ottima mossa», che infatti «ha indotto subito a più miti consigli quelli che in Europa avevano sempre ignorato le nostre richieste, reiterate ma velleitarie, da parte di altri governi, di guardare in modo collegiale al problema migrazioni». Nessuno – a Parigi o Madrid – può dare lezioni all’Italia. Al contrario, è ora che Bruxelles prenda nota: la pacchia è finita, per gli eurocrati che giocano allo scaricabarile, travestiti da crocerossine. E anche qui, buone notizie: «In molti hanno riveduto e corretto il giudizio sull’azione di Salvini, dopo aver visto le reazioni scomposte, ipocrite e pretestuose di alcuni governi europei, decisi a non accogliere i migranti a casa loro ma desiderosi di vedere l’Italia nel caos, lasciata sola di fronte a questo problema». La storia è feroce, quando diventa farsa: gli sponsor delle Ong sono gli stessi oligarchi che hanno distrutto il lavoro in Europa e fatto esplodere la fame in Africa. Ecco perché diventa emblematico, oggi, il nome del compianto presidente del Burkina Faso, marxista e massone, protagonista di una rivoluzione esemplare e nonviolenta in nome del popolo sovrano: l’ex Alto Volta come modello per un’Africa dignitosa e prospera, libera e decolonizzata. L’Africa per la quale Thomas Sankara perse la vita: un’Africa che, se oggi esistesse, di certo non esporterebbe disperazione.Oggi, sottolinea Malaldi, proprio Sankara «potrebbe diventare il vessillo di un ripensamento delle politiche sull’Africa», aprendo la strada all’idea – formulata da Craxi nel 1990 – di andare finalmente ad “aiutare a casa loro” quei poveretti derubati dall’Occidente, in fuga da un continente abbandonato alla dittatura delle multinazionali e privo di investimenti in strutture politiche, economiche e sociali. «Proprio l’aver ucciso personaggi come Sankara – insiste Magaldi – è stato un modo, da parte di coloro che negli anni ‘80 stavano costruendo questa cattiva globalizzazione, per arrestare uno sviluppo autonomo e dignitoso dell’Africa. Un modo per continuare a depredarla, per poi determinare questi esodi biblici di disperati». Mano tesa all’Africa dei Sankara di domani? Se l’Italia è il primo paese europeo a fermare la tratta degli schiavi, potrebbe essere – nel prossimo futuro – anche il primo a rilanciare una nuova politica euro-mediterranea, come quella già perseguita dai vari Mattei e Moro? «Come annunciato, oggi l’Italia è finalmente al centro di una guerra tra democrazia e oligarchia: e se si vince la battaglia in Italia – dice Magaldi – forse si può cambiare molto, a livello globale».Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.
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Macron insulta l’Italia. E’ una minaccia: rischio terrorismo
Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.In altre parole: è il panico, non appena l’Italia esce dal letargo nel quale era sprofondata, rinunciando alla politica estera. «La sfrontatezza di Macron è un segnale pericoloso», rileva Maurizio Blondet. A inquietare Parigi sul caso Aquarius, anche la mossa della “ribelle” Corsica: l’isola, da sempre indipendentista, ha sfidato Parigi candidandosi ad affiancare l’Italia nell’accoglienza in mare, attraverso i propri porti. Da qui, probabilmente, anche l’inaudita reazione di Macron, apparentemente scomposta. In realtà, secondo Dolcino, si sta palesando un disegno eversivo: «L’Italia oggi diventa ad altissimo rischio attentati, probabilmente per colpire Salvini e il governo». Il motivo? Sintetizzato in una foto: la bandiera italiana data alle fiamme insieme a quella americana, in una dimostrazione a margine del G7. «Salvini deve fare estrema attenzione», scrive Dolcino su “Scenari Economici”: il nuovo governo «verrà presto messo in discussione, probabilmente anche mettendo sotto attacco l’Italia con accuse al ministero degli interni». In che modo? «Con il terrorismo (esterno), leggasi attentati in Italia».Dolcino propone una lettura geopolitica: ai francesi risulta indigesto l’allineamento strategico dell’Italia con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna anche in tema economico, sulla «cancellazione dei dazi per tutti». Una proposta trumpiana che Dolcino definisce «geniale e pacificatoria», ma chiaramente contraria agli interessi di Cina, Francia e Germania, «che invece prosperano ad esempio coi loro prodotti sui mercati Usa anche grazie a tariffe e dazi contro le importazioni Usa 4 o 10 volte superiori a quelli statunitensi per gli omologhi prodotti, come le automobili». Dunque, «con un tempismo incredibile», ecco che «vediamo bruciare la bandiera americana, italiana e inglese in piazza da parte dei dimostranti, addirittura durante lo svolgimento dello stesso G7». Dolcino insiste: «Salvini deve fare molta attenzione, perché quella bandiera italiana in fiamme rappresenta molto più di quanto può apparire: l’Italia diventa ufficialmente un problema di grado superiore, da risolvere da parte di coloro che volevano un fronte comune anti-Usa, fronte che può essere sommariamente condensato nei poteri che mirano a sostituirsi agli Usa al comando del Vecchio Continente».Terrorismo, dunque? Segnalando le recenti intercettazioni di armi alle frontiere terrestri del Belpaese, Dolcino ritiene che, da oggi, l’Italia sia a massimo rischio attentati sul proprio suolo. «Immagino che le forze dell’ordine sappiano bene di cosa sto parlando», aggiunge. «Faccio presente che, a prescindere dall’etichetta che potrebbe essere data a tali ipotetici – e speriamo mai attuati – attacchi (Isis, anarchici, immigrati) nel caso dovessero essere perpetrati molto probabilmente non bisognerebbe guardare molto lontano, ad est o in Medio Oriente, ma vicino, a nord e a nord-ovest». Impossibile dimenticare chi è Emmanuel Macron, incredibilmente presentato dai media come outsider della politica transalpina. Già dirigente della Banca Rothschild, Macron ha collaborato con i vari governi della presidenza Hollande, arrivando a fare il ministro dell’economia nella peggior stagione democratica della Francia, con il paese scosso dal terrorismo targato Isis. Stragi e attentati “false flag”, secondo la logica criminale della strategia della tensione: le indagini sul massacro di Charlie Hebdo, ad esempio, sono state bloccate dal segreto di Stato (segreto militare) dopo che la magistratura aveva scoperto un imbarazzante legame tra le armi del commando terrorista e un dirigente dei servizi segreti francesi, che le aveva acquistate in Belgio.Definendo “vomitevole” la nuova politica italiana – promossa a furor di popolo il 4 marzo dal 55% degli elettori – Macron svela il suo vero volto di pericoloso oligarca: è il pupillo di Jacques Attali, il supermassone reazionario che irrise la «plebaglia europa», testualmente, per essersi illusa sull’euro, credendo davvero che la moneta unica fosse stata creata per la «felicità» del popolo. Proprio Attali è uno dei maggiori architetti dell’Europa del rigore, ben incarnata dall’allievo Macron: l’attuale presidente francese, altissimo esponente dell’élite finanziaria che ha fatto praticamente sparire la democrazia in Europa insieme ai diritti del lavoro, ha infatti annunciato tagli colossali nel welfare transalpino e la riduzione drastica del pubblico impiego. Più ancora della Merkel, il supermassone neo-aristocratico Macron è il vero campione dell’eurocrazia banditesca contro la quale gli italiani hanno appena votato. Peggio: è il capo politico di un paese devastato da attentati attribuiti alla manovalanza islamista, ma tutti sinistramente contrassegnati da eloquenti simbologie massoniche, dall’epopea dei Templari sanguinosamente riproposta – in codice – nella mattanza del Bataclan, fino alla strage di Nizza del 2016 attuata il 14 luglio, data “sacra” per la massoneria progressista che – anche dalla nuova trincea italiana – sarebbe impegnata a contrastare la cupola del potere “nero” che si è impadronito dell’Europa, schiacciando i popoli nella morsa dell’austerity.Italiani «vomitevoli». Getta la maschera, Emmanuel Macron: il finto amico del Balpaese ora accusa il ministro Salvini (e il governo Conte) di inferiorità etnico-politica. Che gli italiani fossero i nuovi “untermenschen”, per l’Eliseo, lo si era intuito il 30 marzo, quando i gendarmi francesi braccarono illegalmente a Bardonecchia, in territorio italiano, proprio un migrante africano, sorpreso su un treno e trattato come un animale. Gentiloni pigolò debolmente la sua non-protesta, dopo aver promesso di inviare soldati italiani in Niger a fare la guardia ai giacimenti di uranio per conto dei francesi, chiedendo in cambio a Parigi un aiuto per rimettere ordine nel paese che proprio la Francia ha terremotato, a danno dell’Italia: la Libia del post-Gheddafi. Ora, dopo l’esordio del governo “gialloverde” schieratosi con Trump al G7 canadese, siamo già agli insulti. Casus belli: il divieto di sbarco imposto alla nave Aquarius, carica di profughi. La situazione è pericolosa, avverte Mitt Dolcino su “Scenari Economici”: l’inaudita violenza verbale di Macron suona come una minaccia di stampo mafioso. E lascia presagire il rischio di attentati terroristici contro l’Italia proprio per colpire Salvini, vicino a Marine Le Pen e alla Russia di Putin, paese rispetto al quale il governo Conte vorrebbe revocare le sanzioni economiche varate dall’Ue.
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Aiutarli a casa loro, per la prima volta nella storia dell’Ue
Hanno trasformato l’Italia nella frontiera-sud dell’Unione Europea, ma si sono dimenticati di dircelo. Parola d’ordine: arrangiatevi. «Per questo apprezzo la fermezza di Salvini», dice Gioele Magaldi a “Colors Radio”: la decisione di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della Ong “Sos Mediterranée” «rompe l’insopportabile ipocrisia dei finti progressisti di Roma e di Bruxelles, che sono anche finti europeisti e in realtà distruttori dell’idea stessa di unità europea». Non a caso, gli stessi euro-buonisti sono in imbarazzo di fronte alla prima uscita internazionale di Giuseppe Conte, brillantemente impegnato al G7 canadese a giocare di sponda – sulla Russia – con un Trump che finalmente si sta dimostrando tutt’altra cosa, rispetto all’evanescente Obama. «Il presidente americano sa benissimo di esser stato appoggiato in modo determinante dai circuiti massonici progressisti», ricorda Magaldi: per questo non è strano che riapra verso Mosca e si schieri con l’Italia che chiede la revoca delle sanzioni, mentre nel frattempo – con la stretta sui dazi – avverte la Germania che il tempo dell’ordoliberismo mercantilista è finito, insieme a quello del rigore per l’Europa. Tutto va rimesso in discussione: anche le frontiere? Senz’altro, secondo il Movimento Roosevelt, che – con Paolo Mosca – propone un’agenzia Ue che finalmente si decida a gestire i migranti in modo civile e responsabile. Come? Filtrandoli alla partenza e trovando vere soluzioni, per la loro vita, finanziate dall’Ue.Premessa: per affrontare in modo dignitoso i drammi del nostro tempo, dice Magaldi, è indispensabile sgombrare il campo dall’equivoco umanitario della cultura politica del centrosinistra, che “santifica” il migrante africano dopo aver umiliato il pensionato italiano con la legge Fornero, esasperando gli animi di un paese storicamente tollerante, costretto a subire un’immigrazione incontrollata (a volte anche criminale) che alimenta un business opaco. L’accoglienza diventa un dogma, senza la minima sincerità: non una parola sulle vere cause dell’esodo, cioè il neoliberismo imposto a mano armata a intere regioni del pianeta, devastate anche dalle guerre neo-coloniali europee come quella condotta in Libia. E’ comodo ergersi a paladini delle famiglie africane ridotte alla disperazione, sottolinea Magaldi, per un centrosinistra moralista che ha demolito il welfare e precipitato l’Italia nella disoccupazione di massa, pur di obbedire servilmente ai diktat dei grandi gruppi (privati) che dirigono l’Unione Europea come fosse “cosa loro”. Bene ha fatto, Salvini, a inviare a Bruxelles un messaggio chiarissimo: scordatevi che l’Italia continui da sola a spendere miliardi per il controllo del Mediterrano, per poi subire tagli continui a un bilancio che deve necessariamente essere espanso, per finanziare gli investimenti strategici di cui il paese ha assoluto bisogno.Se c’è qualcosa di scandaloso, infatti, è proprio il menefreghismo dell’Ue di fronte alla marea umana in fuga dalla guerra e dalla fame. Sottolinea Gianfranco Carpeoro, altro esponente del Movimento Roosevelt: «E’ indecente che la morale corrente ormai distingua chi muore di guerra da chi muore di fame, come se il migrante economico avesse meno diritti e appartenesse a un altro tipo di umanità. Ed è altrettanto inaccettabile l’idea che l’emigrazione sia fisiologica, alla stregua di un fenomeno naturale: c’è qualcuno, su quei barconi, che – se potesse – non se ne starebbe volentieri a casa sua? Perché non ci chiediamo mai che colpa abbiamo noi, nel loro esodo? Siamo stati noi ipocriti a razziare i paesi da cui provengono i migranti. Troppo comodo, dopo, limitarsi a dire che bisogna accoglierli». Ragionamenti che Paolo Mosca traduce in precisi punti programmatici. Primo: radunare tutti i migranti sbarcati o raccolti in mare, e identificarli. Poi: rilasciare a tutti un documento provvisorio di identità, non valevole per l’accoglienza in uno Stato europeo. Terza mossa: rilasciare un documento definitivo solo ai migranti in possesso dei requisiti per l’accoglienza, da smistare in Europa sulla base di quote prestabilite. E i migranti senza requisiti? Vanno ricollocati in paesi non europei, secondo progetti industriali condivisi (coi paesi che ospitano i centri, o anche con altri disponibili ad accoglierli).Visione strategica: la creazione, finalmente, di una agenzia europea per l’immigrazione, capace di filtrare l’esodo e smistare forza lavoro in modo intelligente, su aree prestabilite. «L’obiettivo oltre frontiera – dice Mosca – deve essere il medesimo entro frontiera: garantire a tutti casa e lavoro. E ciò è possibile solo sviluppando risorse in modo coordinato secondo strategie innovative e sinergie finora non praticate». Per varare l’agenzia basterebbero sei mesi. E il piano, di concerto con le Ong, potrebbe entrare in funzione nel giro di due anni. Con quali soldi? Tutti i fondi Ue oggi destinati alla gestione dell’immigrazione, inclusi i fondi dei singoli paesi. E poi: una quota specifica dei fondi strutturali Ue per lo sviluppo economico. Vogliamo cominciare a parlarne? «L’errore atavico dei nostri governi – affermano Mosca e Carpeoro – è stato quello di non porre in discussione il problema della frontiera, nel caso specifico dell’Italia di accettare di essere frontiera. La nuova logica può essere quella di spostare la frontiera stipulando accordi con Stati, ad esempio nordafricani, che accettino di avere sul loro territorio, debitamente supportati economicamente a livello europeo, dei centri di raccolta per il controllo dell’immigrazione gestiti direttamente da una istituzione europea».Hanno trasformato l’Italia nella frontiera-sud dell’Unione Europea, ma si sono dimenticati di dircelo. Parola d’ordine: arrangiatevi. «Per questo apprezzo la fermezza di Salvini», dice Gioele Magaldi a “Colors Radio”: la decisione di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della Ong “Sos Mediterranée” «rompe l’insopportabile ipocrisia dei finti progressisti di Roma e di Bruxelles, che sono anche finti europeisti e in realtà distruttori dell’idea stessa di unità europea». Non a caso, gli stessi euro-buonisti sono in imbarazzo di fronte alla prima uscita internazionale di Giuseppe Conte, brillantemente impegnato al G7 canadese a giocare di sponda – sulla Russia – con un Trump che finalmente si sta dimostrando tutt’altra cosa, rispetto all’evanescente Obama. «Il presidente americano sa benissimo di esser stato appoggiato in modo determinante dai circuiti massonici progressisti», ricorda Magaldi: per questo non è strano che riapra verso Mosca e si schieri con l’Italia che chiede la revoca delle sanzioni, mentre nel frattempo – con la stretta sui dazi – avverte la Germania che il tempo dell’ordoliberismo mercantilista è finito, insieme a quello del rigore per l’Europa. Tutto va rimesso in discussione: anche le frontiere? Senz’altro, secondo il Movimento Roosevelt, che – con Paolo Mosca – propone un’agenzia Ue che finalmente si decida a gestire i migranti in modo civile e responsabile. Come? Filtrandoli alla partenza e trovando vere soluzioni, per la loro vita, finanziate dall’Ue.
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Cabras: l’Era dell’Aquarius e l’ipocrisia dei Buonisti Mannari
È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.Quel che è in atto è “solo” un braccio di ferro politico sulla destinazione di questo segmento del viaggio. Come ogni questione politica, la decisione è da ritenersi un argomento controverso, ma quel che è certo è che non sussiste una minaccia diretta e grave all’esistenza delle persone che stanno dentro l’Aquarius. Chi definisce la decisione del governo (che nega l’approdo in porti italiani della nave proveniente dalle acque libiche) come un’operazione spietata di gente “senza cuore”, e invita nel frattempo a guardare in faccia “gli occhi dei bambini”, punta a un importante lato emotivo che tuttavia è fuorviante se si considera che non è affatto in questione il loro salvataggio, bensì la forma che assumerà la loro accoglienza e le decisioni su chi abbia diritto a restare. Le forze politiche che hanno composto la maggioranza parlamentare e firmato il “Contratto di governo” condividono questi elementi essenziali in materia di migrazioni: il sistema di accoglienza deve essere autenticamente europeo, non nazionale; chi richiede asilo deve farlo direttamente dai paesi di provenienza o transito e chi ne ha diritto, direttamente da lì, deve essere già ripartito obbligatoriamente presso i 27 Stati membri dell’Unione europea e quindi integrato negli stessi.Un problema gigantesco come le migrazioni contemporanee, in particolare nelle sue forme irregolari e illegali, non deve essere gestito solo dalla Repubblica Italiana intanto che gli altri membri della Ue blindano da decenni le frontiere e i porti, inclusi quelli retti da governi sedicenti “progressisti”. Veltroni in questi giorni ha paventato un ritorno agli anni trenta, ma ha dimenticato cosa faceva il suo governo negli anni novanta. Proprio mentre dal centrosinistra si urla alla disumanità del caso Aquarius, possiamo compulsare pagine ancora non sbiadite delle azioni di governo di quella parte, come il blocco navale anti immigrazione deciso dal governo Prodi, con “disposizioni rigide sul respingimento” in mare degli albanesi. Nell’album di famiglia della sinistra italiana c’è un’iniziativa molto più drastica di quel che accade oggi. Certo, non lo ricorda il solito Roberto Saviano, quando intima al ministro dei trasporti di aprire i porti e twitta: «#umanitàperta #apriteiporti #Aquarius». È lo stesso Saviano che non fa una piega su come Israele gestisce le questioni di #umanitàaperta alle sue frontiere e su come bombarda i porticcioli dei pescatori palestinesi. Omissioni umanitarie.In questo quadro mi colpisce un’osservazione del giornalista Sebastiano Caputo, che chiama in causa una delle critiche rivolte alla chiusura dei porti, ossia il fatto che si concentri sui soggetti più deboli. Dice Caputo che chiudere i porti «è un atto politico, non razzista, che mira a fermare questa orrenda tratta di esseri umani. Ora però aspettiamo da Matteo Salvini, e dai suoi colleghi al governo, un gesto altrettanto forte quando i vertici della Nato ci chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare paesi sovrani e appoggiare guerre “umanitarie” che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. Forti coi forti, senza doppi standard». Le risposte sono scritte nel futuro, e dovranno contrastare le pressioni di quelle stesse parti politiche che oggi ci accusano di razzismo ma si sono schierate con tutte le guerre imperialistiche che hanno devastato Africa e Asia negli ultimi venticinque anni. Non mi è congeniale la postura mediatica di Salvini su questa materia, troppo attenta al possibile risvolto elettorale, come d’altro canto, sul fronte opposto, lo è quella del sindaco di Napoli De Magistris. Tuttavia le cose vanno viste nell’insieme, senza pregiudizi, e senza sconti per i signori delle pagliuzze e delle travi.Faccio un esempio che sconcerterà qualche lettore. Ricordo di aver assistito a un dibattito in Tv del 2011, quando si stava per fare la guerra alla Libia. Sino a quel giorno Salvini lo conoscevo solo di viso, non lo avevo mai seguito in un confronto. Praticamente vinse a mani basse su esponenti della sinistra che si spendevano per la guerra a Gheddafi, ai quali diceva in sostanza: “Ma vi rendete conto che, devastando questo paese, oltre a fare decine di migliaia di morti, causerete una catastrofe migratoria dai costi umani esagerati?”. E concluse con “Povera sinistra, come si è ridotta, povera sinistra”. Mi colpì moltissimo perché aveva ragionato e concluso con lucidità prevedendo gli esiti di quel disastro criminale, al quale la sinistra si consegnò totalmente, in parte complicemente e in parte stupidamente. Ricordo l’odio sparso dagli organi di informazione vicini alla sinistra: una totale demonizzazione di Gheddafi, una campagna isterica e guerrafondaia, un delirio che accompagnava le stragi, lo sterminio dei dirigenti dello Stato libico, la distruzione dei potabilizzatori e delle infrastrutture, e infine l’espulsione di due milioni di africani che lavoravano in Libia. Non mi piace il frasario del Salvini di oggi, lo ribadisco, ma la sinistra è ancora incapace di un’autocritica sulle sue grandi colpe storiche di anni recenti, non imputabili a Salvini.Le classi dirigenti francesi e britanniche negli ultimi sette anni hanno scatenato guerre che oltre ai lutti e oltre alla distruzione di interi Stati con cui noi avevamo relazioni convenienti, hanno provocato un drastico peggioramento nella gestione dei flussi migratori, e ora dicono che gestirli non è affar loro ma solo affar nostro. Non siamo di fronte a casuale o banale egoismo. Stanno invece ridisegnando la gerarchia europea, trasformando il fianco sud dell’Europa in un mondo troppo debole per farsi valere, troppo ripiegato sui suoi problemi per esigere che più a nord si paghi il prezzo delle spietate politiche di potenza. Le classi dirigenti di Parigi e Londra hanno scelto cosa voler fare dell’Italia: il paraurti per le tragedie della globalizzazione; così come a Francoforte, Bruxelles e Berlino avevano deciso cosa fare della Grecia: il laboratorio dove sperimentare la futura ‘mezzogiornificazione’ di mezza Europa. È l’autodemolizione del sogno europeo in vista di un ordine che toglie già, ancora una volta, il velo che nascondeva ciò che non è mai venuto meno: i soliti brutali rapporti di forza guidati dalle grandi capitali dei grandi capitali. In questa particolare congiuntura è giusto richiamare l’Europa ai suoi doveri, in tempi rapidi. L’estate è lunga.(Pino Cabras, “L’era dell’Aquarius”, dal blog “Vietato Parlare” dell’11 giugno 2018. L’intervento è ripreso dalla pagina Facebook di Cabras, neo-deputato 5 Stelle).È già evidente come la vicenda dell’Aquarius, la nave attrezzata con 629 migranti soccorsi in mare e in attesa di un approdo certo, rappresenti il primo episodio di una nuova importante fase politica in materia di gestione dei flussi migratori. Il caso Aquarius sta spingendo tutti a posizionarsi e a dipingere lo scenario con toni molto forti, accuse durissime, appelli perentori su fronti opposti. Per parte mia so che dietro al caso Aquarius ci sono sì quelle 629 vite in viaggio e in ansia, ma c’è anche una questione enorme, complessa, di fronte alla quale non ci sono soluzioni semplici. Non si mettono le brache al mondo, neanche in questa materia. Però si possono costruire punti di riferimento molto laici e ridurre i decibel delle grida, guardando avanti e calcolando il tempo che abbiamo per fare qualcosa. Partiamo ad esempio dalla cosa più urgente, la vita delle persone coinvolte in questo specifico caso. Se ne parla con i toni del pericolo imminente, come se si trattasse di una carretta del mare pronta a rovesciarsi dopo un Sos, mentre invece si tratta di un mezzo sicuro, con viveri e medicinali, in costante contatto con le autorità e con gli operatori sanitari per urgenti rifornimenti. Non è sicuramente un posto invidiabile dove trascorrere l’esistenza, ma non è peggiore di un centro di prima accoglienza sulla terraferma.
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Morto che parla: le bugie di Prodi e la Repubblica senza idee
Romano Prodi, ancora lui. «Due volte presidente del Consiglio», lo presenta Simona Casalini su “Repubblica”, evitando di evidenziare le funzioni rivelatrici che ne illumiano il curriculum: privatizzatore dell’Iri, presidente della Commissione Europea e advisor europeo della Goldman Sachs, la cupola di “bankster” che ha infiltrato le economie nazionali per saccheggiarle crocifiggendole al debito, come la Grecia a cui lavorò Mario Draghi. Ma, per “Repubblica”, nel giugno 2018 – con Di Maio e Salvini e al governo – Romano Prodi è ancora il “due volte presidente del Consiglio”, l’autorevole “professore” interpellato sull’Italia come fosse un economista di Sydney, un osservatore neutrale e nobilmente estraneo al disastro italiano. Al forum “La Repubblica delle Idee”, Prodi risponde alle affabili domandine del direttore del quotidiano di De Benedetti, Mario Calabresi, affiancato dal collega de “L’Espresso”, Marco Damilano. «La gente non ha più fiducia nelle democrazie», proclama soavemente Prodi, fingendo di non sapere che in quest’Europa è stata proprio la democrazia a trionfare in Gran Bretagna addirittura con un referendum, mentre ora in Italia – sempre a suon di voti – ha mandato a casa l’ex inaffondabile euro-Pd. Se c’è una notizia è proprio la riscoperta della democrazia come possibilità. E i direttori del gruppo Espresso lasciano che il super-tecnocrate italiano dica il contrario esatto della verità.Il crollo generale di fiducia – non “nelle democrazie”, com’è evidente, ma negli euro-governi non democratici – secondo Prodi nasce da «un problema di diritti», palesemente conculcati. E ammette: «Bisogna cambiare registro. La disparità è aumentata in quasi tutti i paesi del mondo proprio perché i governi democratici hanno adottato modelli fiscali e di welfare che hanno aumentato la disparità». Dov’era, il “professore”, mentre tutto ciò accadeva? Su Marte, potrebbe pensare il lettore, se non sapesse che Prodi era prima all’Iri, impegnato a tagliare le gambe all’Italia, per poi “finire il lavoro” tra Bruxelles e Palazzo Chigi, lautamente ricompensato da Wall Street. “Chi sei e da dove vieni” dovrebbero essere l’abc del giornalismo? Nei film, forse. Nella realtà, Mario Calabresi “incalza” Prodi chiedendogli di esercitare il suo apollineo intelletto misurandosi su giudizi temerari, come quello concernente la vera natura del neonato governo gialloverde. Per la precisione: l’orientamento del neo-premier. «Conte? E’ di destra», sentenzia il “professore”, per quarant’anni al servizio della destra economica neoliberista. Ormai l’Italia è spacciata, ripeteva, da Palazzo Chigi: l’economia del mondo è in mano a grandi “cluster” industriali, di fronte ai quali il made in Italy – piccola e media impresa – può solo estinguersi.Ambasciatore prescelto dall’Impero globalista per piegare le ultime resistenze della sinistra sociale, l’ipocrita Prodi – travestito da cattolico “di sinistra” – tiene ancora banco, tra gli addetti alla non-informazione quotidiana. «Quando si governa ci sono decisioni che sono di sinistra e altre di destra», pontifica il grande rottamatore dell’Italia, sfoggiando il suo cinico pragmatismo (così apprezzato, da Bruxelles a Washington). «Serve un progetto politico», brontola, pensando all’ex finta sinistra da lui un tempo guidata. Auspica «un ampio, largo dibattito collettivo nel paese». Velenose falsità, come sempre, anche sull’euro-mostro chiamato Unione Europea: «Se qualcuno si vuole male esce dall’Europa». L’euro? «L’introduzione della moneta unica doveva essere accompagnata da molte altre decisioni e invece siamo rimasti a metà». Che peccato. Ma vorrebbe suscitare tenerezza l’amarcord da coccodrillo in lacrime che riserva all’ingenua platea della “Repubblica delle Idee”: «Kohl mi disse che i tedeschi erano contro la sua introduzione ma lui lo volle a tutti i costi perchè era anche un forte simbolo di pace, raccontandomi che suo fratello era morto in guerra».Kohl, sì: il cancelliere che telefonava a Roma, dando ordini – da Berlino – al governo italiano. Per la precisione, pretendeva l’allontanamento dell’economista keynesiano e progressista Nino Galloni, il funzionario strategico che lavorava (con Andreotti) per parare i colpi mortali di Maastricht. E sua eccellenza Prodi, il “professore”? Era impegnato a smontare l’Iri, per poi prepararsi a spiegare – all’Italia ormai declassata – che avrebbe dovuto subire 25 anni di disgrazie, presentate come “sacrifici” purtroppo inevitabili, nel mondo-cluster visto come l’unico possibile dal globalizzatore fatalista e reazionario Romano Prodi, massimo architetto della “democratura” italiana sottomessa a poteri privati e famelici. Il ruolo di quei poteri, i soli e veri decisori, non è neppure lontanamente evocabile – né ora né mai – nelle sacrestie provinciali del nuovo feudalesimo imperiale e nei servili retrobottega della macchina che fabbrica notizie false e pensieri deprimenti. Il paese è in rivolta a causa del declino nel quale è stato precitato? Ovvio, per “Repubblica” ed “Espresso”, chiedere lumi proprio all’uomo che, più di ogni altro, quel declino ha organizzato, prima come privatizzatore e poi come liquidatore fallimentare del paese. Bel tipo, il “professore”: pagato dai banchieri, s’intende, ma pur sempre “di sinistra”.Romano Prodi, ancora lui. «Due volte presidente del Consiglio», lo presenta Simona Casalini su “Repubblica”, evitando di evidenziare le funzioni rivelatrici che ne illumiano il curriculum: privatizzatore dell’Iri, presidente della Commissione Europea e advisor europeo della Goldman Sachs, la cupola di “bankster” che ha infiltrato le economie nazionali per saccheggiarle crocifiggendole al debito, come la Grecia a cui lavorò Mario Draghi. Ma, per “Repubblica”, nel giugno 2018 – con Di Maio e Salvini e al governo – Romano Prodi è ancora il “due volte presidente del Consiglio”, l’autorevole “professore” interpellato sull’Italia come fosse un economista di Sydney, un osservatore neutrale e nobilmente estraneo al disastro italiano. Al forum “La Repubblica delle Idee”, Prodi risponde alle affabili domandine del direttore del quotidiano di De Benedetti, Mario Calabresi, affiancato dal collega de “L’Espresso”, Marco Damilano. «La gente non ha più fiducia nelle democrazie», proclama soavemente Prodi, fingendo di non sapere che in quest’Europa è stata proprio la democrazia a trionfare in Gran Bretagna addirittura con un referendum, mentre ora in Italia – sempre a suon di voti – ha mandato a casa l’ex inaffondabile euro-Pd. Se c’è una notizia è proprio la riscoperta della democrazia come possibilità. E i direttori del gruppo Espresso lasciano che il super-tecnocrate italiano dica il contrario esatto della verità.
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Rifkin: potere al popolo, così l’Italia cambierà quest’Europa
Il nuovo governo rappresenta una opportunità. Non quella di formare semplicemente un nuovo esecutivo, bensì quella di preparare un piano di lungo termine per trasformare l’economia delle comunità locali, dando più potere al popolo e facendo così dell’Italia, che ha una creatività pro capite straordinaria, il “faro” della trasformazione dell’Ue, per entrare nella nuova fase del “sogno europeo”, in nome del principio di sussidiarietà, che è scritto nei trattati ma viene poco applicato. E’ il momento per tutta Italia di fare un grosso respiro, di fare un passo indietro e di chiedersi: chi siamo noi come popolo? Ho passato trent’anni in Italia, sono stato in ogni comunità locale: la creatività pro capite in Italia è semplicemente straordinaria, perché c’è un’enorme diversità culturale, che è una ricchezza. Oggi ogni regione d’Italia dovrebbe sfruttare il proprio patrimonio culturale, al di là dei confini, iniziando a mostrare l’Italia come il faro della prossima fase del “sogno europeo”. Ricordatevi che sono stati gli italiani, con Altiero Spinelli, a portare l’Europa nel “sogno europeo”. Ora è un nuovo inizio: non penso che nessuno dica di no all’Europa. Ma è tempo di riflettere, a livello italiano ed europeo, su come passare meglio alla prossima fase del sogno europeo. E di fare le trasformazioni necessarie per rendere l’Europa più collaborativa e più forte, più adatta agli interessi delle comunità locali d’Europa: questa è la chiave.Dal voto è emersa volontà della gente di contare di più. Quello attuale è un momento di opportunità per due partiti politici, il Movimento 5 Stelle e la Lega, che hanno passato molto tempo organizzando i rispettivi elettorati, per fare una grossa differenza. Non solamente per avere un altro governo in carica: questa è un’opportunità, non va sprecata. Bisogna creare una road map economica, muovendo verso la Terza Rivoluzione Industriale, portando l’Italia su una strada che può essere il faro per la prossima fase, per quello che vogliamo dappertutto, in Europa e nel mondo: più potere al popolo, più potere distribuito, in modo che le persone possano avere un maggior diritto di parola sul loro destino economico. C’è un principio, nel Trattato di Roma, il principio di sussidiarietà, che dice che il potere deve iniziare nelle comunità locali, dove le persone vivono la loro vita. Il potere deve essere laterale, non verticale. C’è una legittima constatazione che il mondo, per come è governato ora, si sta muovendo troppo verso le élite, e penso che sia una constatazione giustificata, in tutto il pianeta. E ora penso che in posti come l’Italia, ma anche in giro per il mondo, le persone dicano “vogliamo avere più controllo sulla nostra economia e sulle nostre vite”.Questa è una cosa positiva. Non credo che nessuno in Italia dirà che vuole uscire dall’Europa. Ma credo che sia legittimo pensare che ora, dopo cinquant’anni di Ue, ci sono altri cinquant’anni davanti a noi e, quindi, sarebbe bene fare proposte in modo che ogni livello di governance sia più in sintonia con quello che succede tra i 500 milioni di persone che vivono nelle comunità locali. Credo fermamente nel principio di sussidiarietà, che è la rivoluzione che non è ancora accaduta. Il principio di solidarietà è nei trattati e sospetto che molte persone in Europa non sappiano neppure che esiste. Il potere, secondo i trattati, nasce nelle comunità locali e nelle Regioni. Tutto quello che dobbiamo fare è prendere sul serio questo principio e sviluppare un piano per la Terza Rivoluzione Industriale in Italia e in Europa. Questo è il principio basilare della governance europea – in teoria, ma non in pratica. Ora in Europa è un momento in cui gli elettori votano e quello che sento dire loro, al di là della retorica, è “dobbiamo avere un maggior diritto di parola sul nostro destino economico nelle comunità in cui viviamo”.Questo non preclude la globalizzazione, ma diventa glocalizzazione. Ogni comunità locale, grazie alle tecnologie, può impegnarsi con Regioni in tutto il mondo e cercare nuove opportunità economiche: non è teoria, ma pratica, sta già succedendo. Quello di cui abbiamo bisogno ora è una visione di governo che sia commisurata alla piattaforma trasparente e digitale laterale che stiamo creando: e quella visione è il principio di sussidiarietà. Che non preclude l’esistenza degli Stati-nazione, né dell’Ue, ma significa che tutto il potere decisionale deve partire dai luoghi in cui le persone vivono e lavorano. Bisogna creare una road map economica, muovendo verso la Terza Rivoluzione Industriale, portando l’Italia su una strada che può essere il faro per la prossima fase, per quello che vogliamo dappertutto, in Europa e nel mondo: più potere al popolo, più potere distribuito, in modo che le persone possano avere un maggior diritto di parola sul loro destino economico.(Jeremy Rifkin, “Con il governo del cambiamento più potere al popolo e alle comunità locali”, riflessione a margine del Brussels Economic Forum 2018, pubblicata dal “Blog delle Stelle” sulla base della ricostruzione offerta dell’agenzia Adnkronos. Economista, sociologo e ambientalista statunitense, Rifkin è il teorico della Terza Rivoluzione Industriale. Autore di saggi tradotti in tutto il mondo, collabora con alcune tra le più importanti testate giornalitiche europee, come il “Guardian”, “El Pais”, “L’Espresso” e la “Suddeutsche Zeitung”).Il nuovo governo rappresenta una opportunità. Non quella di formare semplicemente un nuovo esecutivo, bensì quella di preparare un piano di lungo termine per trasformare l’economia delle comunità locali, dando più potere al popolo e facendo così dell’Italia, che ha una creatività pro capite straordinaria, il “faro” della trasformazione dell’Ue, per entrare nella nuova fase del “sogno europeo”, in nome del principio di sussidiarietà, che è scritto nei trattati ma viene poco applicato. E’ il momento per tutta Italia di fare un grosso respiro, di fare un passo indietro e di chiedersi: chi siamo noi come popolo? Ho passato trent’anni in Italia, sono stato in ogni comunità locale: la creatività pro capite in Italia è semplicemente straordinaria, perché c’è un’enorme diversità culturale, che è una ricchezza. Oggi ogni regione d’Italia dovrebbe sfruttare il proprio patrimonio culturale, al di là dei confini, iniziando a mostrare l’Italia come il faro della prossima fase del “sogno europeo”. Ricordatevi che sono stati gli italiani, con Altiero Spinelli, a portare l’Europa nel “sogno europeo”. Ora è un nuovo inizio: non penso che nessuno dica di no all’Europa. Ma è tempo di riflettere, a livello italiano ed europeo, su come passare meglio alla prossima fase del sogno europeo. E di fare le trasformazioni necessarie per rendere l’Europa più collaborativa e più forte, più adatta agli interessi delle comunità locali d’Europa: questa è la chiave.
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Il fantasma di Monti incombe sulla democrazia gialloverde
L’Italia è quel paese in cui l’austero professor Mario Monti è senatore a vita. E dal suo scranno, può permettersi di ammonire – retroattivamente – il popolo italiano che già stritolò nel 2011: ricordavi, avverte, di quello che potrebbe capitarvi anche nel 2018, se non righerete dritti. Nella sua visione grottesca della politica, Monti arriva a fregiarsi dell’infima gloria sinistra del gauleiter, il grigio reggente regionale che si presenta come il male minore rispetto truce Führer: senza la mia purga sanguinosa, allora, vi sarebbe toccata quella della Troika, il nuovo potere imperiale che regna sull’Europa senza alcun mandato e dispone della vita e della morte delle economie, delle società, delle democrazie. E’ come se dicesse: io sono lo spread, la punizione biblica per voi miscredenti, non abbastanza timorati della vendetta degli déi. Un lessico che ricorda quello, altrettanto cupo, maneggiato dal presidente della Repubblica nel vietare a Paolo Savona l’ingresso al ministero dell’economia: guai a chi osa sfidare il potere supremo della divinità che è l’unico arbitro del nostro destino, ben al di sopra della sciocca e pericolosa presunzione degli elettori, che si credono sovrani. Non sanno, gli stolti, che ben altri poteri sovrastano la risibile finzione confederale chiamata Unione Europea, con i suoi Parlamenti nazionali ormai solo decorativi?Si è ribaltato l’universo, nella percezione della maggioranza degli elettori italiani – ai quali, incredibilmente, è ancora concesso il diritto formale di voto. Si è capovolto il pianeta, nella testa di milioni di cittadini (la maggioranza), se è vero che sono stati capaci di mandare a casa gli storici camerieri del regime, travestiti da politici. Eppure, Mario Monti si offre al pubblico nella sua invariata fissità statuaria, con il suo identico verbo altrettanto mortuario: crisi e rigore, senza alternative. E il suo alter ego al femminile, Elsa Fornero, autrice della più famigerata riforma degli ultimi anni, ha facoltà di parola – ogni settimana – nei salotti televisivi, dove viene regolarmente interpellata come una sorta di nume della saggezza, insieme agli altri professori della sciagura nazionale fondata sui tagli al bilancio in nome dei conti del salumiere europeo, la premiata macelleria di Bruxelles. Uno spettacolo, quello delle figure marmoree detronizzate, che gli addetti al culto mediatico non riescono ad accettare: smarriti, si rifugiano nella pretesa sapienza di colleghi e sacerdoti di rito ortodosso, sedicenti giornalisti e pomposi analisti – gli stessi che applaudirono il pontefice Monti, l’inviato speciale degli Inferi, e poi la sue versioni annacquate e letargiche, il mite Letta e il torpido Gentiloni, passando per l’imbarazzante fanfarone di Rignano sull’Arno, spacciato per rigeneratore libertario della provincia italiana dell’impero medievale.E mentre il Parlamento incorona i nuovi governanti, insieme alla loro spericolata ipotesi di riforma radicale del sistema, le parrocchie televisive – per reagire all’affronto – affollano gli studi di politici di ieri, mesti cantori del “tua culpa” e supporter del passato, infidi scrutatori mai imparziali di un mondo che non esiste più. E’ il lutto a reti unificate a dominare il cosiddetto mainstream, tramortito dall’insolenza inconcepibile dell’elettore medio, che ai faccendieri dell’impero stavolta ha preferito i masanielli del nord e del sud, isole comprese. E’ elusa, come sempre, la domanda madre: perché accade tutto questo? Perché hanno tradito la casalinga e l’operaio, l’imprenditore e lo studente, il precario e il disoccupato? Perché hanno smesso, riprovevolmente, di riporre la loro fede nei disciplinati ed eleganti maggiordomi dell’ineffabile zarismo di Bruxelles? Temendo la risposta, gli uscieri del mainstream trovano facile accanirsi, fin da subito, sulle presunte incongruenze dei neo-eletti, la loro scarsa dimestichezza con i sacramenti dell’ufficialità. E lasciano l’Italia a fari spenti, in una notte in cui riappare l’ectoplasma del disastro, Mario Monti. Il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio, con annessa maledizione egizia per i profanatori del santuario del rigore.L’impero regna ancora: ha perso il Parlamento, non la banca. Né le parole – false – che ha forgiato nei decenni, raccontando che al declino non si sfugge: lo schiavo non può mai cambiare il suo destino. Era una fiaba nera, che lentamente è diventata verità di piombo. Sanno, gli incantatori, che le parole hanno un potere fondativo. Sanno benissimo, i fabbricanti di “fake news”, quanto determinante sia la narrazione degli eventi. Sono perfettamente consapevoli che basterebbe poco, un niente, per invertire il corso delle cose, il sentimento del presente. Pace e fiducia basterebbero a sfrattare la paura, la principale leva su cui fonda il suo potere il verbo eternamente minaccioso di un impero che ha ridotto il vecchio continente a una congrega di impostori e di meschini, così codardi da tremare al semplice sussulto di un paese che si affida a portavoce per una volta alieni, non mafiosi e non ancora compromessi, non partoriti dalla filiera dell’oligarchia che ha preso il posto, ovunque, della democrazia dei tempi andati, il cui fantasma turba il sonno dei gerarchi e dei loro datori di lavoro. Piramidi nefaste, di un business che si avventa sugli Stati per spolparli, invocando la norma religiosa della privazione come dogma. E si prepara a dispiegare tutta la potenza che gli resta per minacciare e scoraggiare, spaventare la popolazione insorta. Nella pericolosa guerra che si annuncia, par di capire che saranno proprio le parole – ancora – a disputare una battaglia decisiva, in nome della verità che questa pseudo-Europa ha costretto alla più dura clandestinità.L’Italia è quel paese in cui l’austero professor Mario Monti è senatore a vita. E dal suo scranno, può permettersi di ammonire – retroattivamente – il popolo italiano che già stritolò nel 2011: ricordavi, avverte, di quello che potrebbe capitarvi anche nel 2018, se non righerete dritti. Nella sua visione grottesca della politica, Monti arriva a fregiarsi dell’infima gloria sinistra del gauleiter, il grigio reggente regionale che si presenta come il male minore rispetto truce Führer: senza la mia purga sanguinosa, allora, vi sarebbe toccata quella della Troika, il nuovo potere imperiale che regna sull’Europa senza alcun mandato e che dispone della vita e della morte delle economie, delle società, delle democrazie. E’ come se dicesse: io sono lo spread, la punizione biblica per voi miscredenti, non abbastanza timorati della vendetta degli déi. Un lessico che ricorda quello, altrettanto cupo, maneggiato dal presidente della Repubblica nel vietare a Paolo Savona l’ingresso al ministero dell’economia: guai a chi osa sfidare il potere supremo della divinità che è l’unico arbitro del nostro destino, ben al di sopra della sciocca e pericolosa presunzione degli elettori, che si credono sovrani. Non sanno, gli stolti, che ben altri poteri sovrastano la risibile finzione confederale chiamata Unione Europea, con i suoi Parlamenti nazionali ormai solo decorativi?