Archivio del Tag ‘diritti’
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Pane e Internet, Davos: aspettiamoci altre 100 rivolte
Da dove ci piomberà addosso il prossimo cigno nero? No, questo “Black Swan” non è il thriller con Natalie Portman nella parte della ballerina, candidata all’Oscar. Il cigno nero è una metafora statistica entrata nel gergo della finanza, si definisce come “un evento ad alto impatto, bassa probabilità, bassissima prevedibilità”. Esempio classico: la crisi dei mutui subprime del 2007. L’interrogativo sui cigni neri appassiona davvero il World Economic Forum. Chi riuscisse a prevedere il prossimo choc planetario, che si tratti di un leader politico o di un grande capitalista, avrà un vantaggio su tutti. Potrà usarlo bene – predisporre antidoti, limitare i danni – o semplicemente arricchirsi speculando nella direzione giusta.
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Padrone debole, vassalli morti: l’Impero sta franando
L’Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c’è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L’impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza – stia volando sull’intera area. Questa impressione potrebbe avere un’origine non immediatamente visibile, ma unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell’un tempo solida muraglia egemonica dell’Impero.
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Noi, la speranza dell’Egitto contro la violenza di Mubarak
Mi chiamo Rania Aala, ho trent’anni, e da quando sono nata ho sempre visto Mubarak al governo, sempre. E’ frustrante per la mia generazione. Il partito al governo, l’Npd, pensa che siccome ci sono quaranta milioni di poveri in questo Paese, allora siamo tutti ignoranti, politicamente incompetenti, senza leadership. Anche i capi della cosiddetta ‘opposizione’ si sono comportati come se noi non esistessimo. Ci hanno lasciato fuori dall’equazione e sono diventati tristi, ridicolmente oppressivi. Il picco della nostra frustrazione si è verificato in occasione di due fatti: le dichiarazioni di Gamal Mubarak, che vuol correre per la presidenza dopo il padre, uccidendo così tutte le nostre speranze
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Risorgimento senza popolo, mediocre mitologia italiana
Il Risorgimento era compiuto, e mentre scontentava ogni uomo, tanto chi l’aveva voluto quanto chi l’aveva subìto, non poteva essere ammesso come cosa compiuta e finita dagli eredi né dai diseredati, dagli investiti né dagli spossessati. Natura e storia vogliono che nessuna novità possa tornare allo stato di prima, ma che nessuna opera sia chiusa da chi l’ha impresa. Speranza di martiri e capolavoro d’arte diplomatica, studio di addottrinati e conquista di soldati, il Risorgimento s’era compiuto perché col venir meno della maestà del diritto divino, che aveva reso possibile la libera federazione dei principati italiani, col sorgere delle democrazie europee aggressive e attrezzate, era divenuta indispensabile all’Italia la unità e l’indipendena territoriale.
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Tassare i ricchi, per disarmare il regime dei padroni
Mentre Berlusconi è invischiato nei suoi scandali finanziari e sessuali, Marchionne sta conducendo un attacco che è anche più brutale di quello di Berlusconi ai diritti sociali e ai diritti dei lavoratori. Diciamo che c’è una specie di passaggio di testimone: Berlusconi può essere nei guai ma Marchionne continua una politica che è anche più aggressiva che portò qualche anno fa all’attacco articolo 18 dello statuto dei lavoratori. In fondo Marchionne che cosa dice? O mangiate questa minestra o saltate dalla finestra. O rinunciate al contratto nazionale, al diritto di sciopero, alle libertà sindacali, al diritto di scegliere il sindacato che volete – quindi, o rinunciate a tutto, oppure io vado da un’altra parte.
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Reportage sgraditi alla Fiat: via De Bortoli dal Corriere?
A John Elkann, presidente della Fiat e secondo azionista del “Corriere della Sera”, non sono piaciuti i servizi sul caso Mirafiori e in particolare le analisi di Massimo Mucchetti. Il direttore, Ferruccio De Bortoli, reagisce in modo esplicito: parla di un «establishment economico e finanziario» che «mostra di gradire poco le voci libere e le critiche: preferisce gli amici e i maggiordomi». Lo stesso Elkann ha visitato la redazione dopo aver firmato una lettera di protesta contro la direzione politica del giornale. Ma non c’è solo Fiat: nel Cda di Rcs Quotidiani siedono anche Cesare Geronzi, Giovanni Bazoli, Diego Della Valle e Marco Tronchetti Provera.
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Fortini: come sottrarsi allo scempio che ci assedia
Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non invisibili agenti e spie; non chiari ma visibili nemici. Sapete chi sono. Non sono mai stato né volteriano né liberista di fresca convinzione. Spero di non dover mai stringere la mano né a Sgarbi né a Ferrara né ai loro equivalenti oggi esistenti anche nelle file dei “progressisti”. Non l’ ho fatto per mezzo secolo. Perché dovrei farlo ora? Nessuna “unità” anni Trenta. Meglio la destra della Pivetti. Ognuno preghi i propri santi e dibatta con gli altrui. Tommaso d’Aquino, Marx, Pareto, Weber, Croce e Gramsci mi hanno insegnato che la libertà di espressione del pensiero, sempre politica, è sempre stata all’interno della cultura dominante anche quando la combatteva.
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Futuro e dignità: Torino merita un sindaco targato Fiom
La ribellione della dignità. Così viene letta, da ampi strati dell’opinione pubblica, l’orgogliosa e temeraria reazione degli operai di Mirafiori che nonostante l’aperto ricatto di Marchionne (o si lavora alle mie condizioni, o si chiude) hanno osato dire no al nuovo modello imposto dall’azienda: meno diritti per chi è alla catena di montaggio, vietato protestare. Come minimo, vista l’inattesa risposta degli operai – la Fiat e i fautori del “sì” si aspettavano un plebiscito, almeno l’80% dei consensi – ora sarebbe interessante valutare il peso elettorale, per il Comune di Torino, di un leader della Fiom. Cosa accadrebbe se alle primarie scendesse in campo un sindacalista del peso di Giorgio Airaudo?
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La legge del più forte: il vuoto di Mirafiori fa paura
Impiegati da una parte, operai dall’altra. Il referendum della Fiat è passato per pochi voti e ha spaccato in due i lavoratori. Ha creato un vuoto pericoloso che sarà in qualche modo riempito. I lavoratori che si sono opposti al piano (misterioso) di Marchionne sono senza rappresentanza politica, senza riferimenti. In questo sabato mattina Torino, con il suo cielo grigio e nuovi spartacus per le strade, persone che hanno messo in gioco la loro dignità e hanno perso, è un inizio di qualcosa che ci è ignoto.
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Mirafiori, no a Marchionne: il futuro non sarà neo-feudale
L’immensa saggezza dei lavoratori della Fiat ha consegnato al dibattito pubblico un risultato del referendum praticamente perfetto. La risicata vittoria del “sì”, ottenuta grazie al plebiscito pro-Marchionne degli impiegati, impedisce la fuga dall’Italia della produzione dell’auto e al tempo stesso impone all’azienda la necessità di riaprire il confronto con la Fiom. Il risultato parla con chiarezza. Il voto di una impressionante minoranza ha sbarrato la strada alla pretesa di Marchionne di avere una piena disponibilità della forza lavoro attraverso la cancellazione dal panorama della fabbrica di uno dei sindacati più rappresentativi: impossibile escludere la Fiom, ma neppure ignorare la straordinaria partecipazione al voto.
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Mirafiori, operai con la Fiom: vince il Sì degli impiegati
«La maggioranza degli operai ha detto “no”: è un atto di coraggio eccezionale e una colossale sconfitta politica e morale per Marchionne e i suoi sostenitori». Così Giorgio Cremaschi della Fiom commenta l’esito del voto a Mirafiori, maturato solo all’alba del 15 gennaio dopo una intera notte di scrutinio: ha vinto il “sì” con un margine sottolissimo (54,05%) e solo grazie al quinto seggio, quello degli impiegati, che ha ribaltato il verdetto degli operai, in maggioranza contrari all’accordo firmato il 23 dicembre da Film e Uilm insieme a Fismic, Ugl e associazione quadri. A votare “sì” sono stati 2.735 dipendenti, mentre il “no” si è fermato a 2.325 schede, pari al 45,95%.
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Il Pd si decida: senza Marchionne non ci sarebbe più la Fiat
Se malauguratamente a Mirafiori vincesse il no, il governo dovrebbe convocare un tavolo per trovare un rimedio. Anche se sarebbe molto difficile farlo. Come ha ben spiegato Marchionne, le auto che vanno vendute sulla “piazza” internazionale hanno bisogno di essere prodotte con modalità e tempi coerenti con la domanda dei mercati. A Torino la gente è infastidita dal tentativo di politicizzare una questione sindacale, economica e sociale. E soprattutto la città sa che Marchionne è stato l’uomo che ha salvato il Gruppo Fiat e che, insieme agli enti locali, ha impedito la chiusura di Mirafiori. Nel 2003-2004 Mirafiori era praticamente chiusa. Al punto che c’erano già alcune proposte per riconvertire quell’area persino in un mastodontico parco divertimenti. Una specie di Gardaland di Torino, non so se mi spiego. Quanto a Marchionne, rimane l’uomo che ha preso quella macchina ingrippata che era diventata la Fiat e l’ha salvata.