Archivio del Tag ‘diritti’
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Prima rubano, poi chiedono il conto: l’Islanda non ci sta
«Mi chiamo Hordur Torfason, sono un artista indipendente islandese. Penso che parte del mio lavoro di artista sia anche combattere il cattivo uso del potere». A 66 anni, Hordur Torfason è diventato il leader della rivoluzione silenziosa contro la finanza globale. E’ successo in Islanda: 320.000 abitanti su una superficie grande un terzo dell’Italia. Nell’ottobre del 2008, falliscono le tre maggiori banche del paese: travolte dalla crisi dei subprime, non riescono a ripagare i creditori stranieri e vengono nazionalizzate dal governo del conservatore Geir Harde. Come da prassi, il governo in bancarotta accetta gli aiuti del Fondo Monetario Internazionale e dell’Unione Europea per far fronte ai debiti: 3,5 miliardi di euro che intende chiedere agli islandesi con una manovra fiscale da 100 euro al mese a famiglia per 15 anni. Ma alla socializzazione del debito, l’Islanda risponde di no.
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Autunno caldo, siamo sotto attacco: difendiamoci
Questo agosto ci ha riservato una serie di sorprese – relative, ma sorprese – la più importante delle quali è la conquista di Tripoli e il crollo della Libia. Noi occidentali, quasi tutti insieme, abbiamo realizzato una delle più invereconde operazioni militari, politiche e psicologiche mai tentate, paragonabile soltanto all’Iraq. Adesso la Libia diventerà un protettorato, l’Occidente sta digerendo questo nuovo pasto. Manca soltanto il ruttino finale dell’assassinio di Gheddafi, poi verrà il turno della Siria: perché gli Stati Uniti hanno problemi importanti da risolvere, una crisi che arriva e sarà molto grande, quindi un’altra guerra farà comodo e servirà a stabilire chi ha il potere nel mondo in una situazione così critica.
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Guerra civile europea: dalla cura Bce aspettiamoci il peggio
«L’operaio tedesco non vuol pagare il conto del pescatore greco», dicono i pasdaran dell’integralismo economicista. Mettendo lavoratori contro lavoratori, la classe dirigente finanziaria ha portato l’Europa sull’orlo della guerra civile. Le dimissioni di Stark segnano un punto di svolta: un alto funzionario dello Stato tedesco alimenta l’idea (falsa) che i laboriosi nordici stiano sostenendo i pigri mediterranei, mentre la verità è che le banche hanno favorito l’indebitamento per sostenere le esportazioni tedesche. Per spostare risorse e reddito dalla società verso le casse del grande capitale, gli ideologi neoliberisti hanno ripetuto un milione di volte una serie di panzane, che grazie al bombardamento mediatico e alla subalternità culturale della sinistra sono diventati luoghi comuni, ovvietà indiscutibili, anche se sono pure e semplici contraffazioni.
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Debito? Falso problema. Krugman: l’incubo sono i disoccupati
Nei giorni scorsi sono stati resi noti due numeri che a Washington dovrebbero indurre tutti a esclamare: «Mio Dio, che cosa abbiamo combinato?». Il primo di questi numeri è zero, corrispondente ai posti di lavoro creati ad agosto. Il secondo numero è due, corrispondente al tasso di interesse sui bond decennali statunitensi, il più basso che si sia mai registrato. Presi insieme, si può dire che i due numeri stiano gridando a squarciagola una cosa sola: la massa di persone all’interno della Beltway (l’establishment di Washington) si sta preoccupando per le cose sbagliate e di conseguenza sta infliggendo al paese danni devastanti.
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Né manovra, né Tav: se i valsusini rubano la scena alla Cgil
Uno spintone alla crisi: «Ormai le recinzioni ci hanno stufato: così, quando abbiamo visto quelle transenne, le abbiamo superate di slancio». Torino, 6 settembre 2011: il giorno in cui i No-Tav, respinti dalla Cgil, si presero il palco senza troppi complimenti, dopo qualche spallata in piazza San Carlo, prima col servizio d’ordine del sindacato e poi con gli agenti antisommossa. Lieto fine: «Sappiate che gran parte del sindacato è con voi», dice al microfono un esponente torinese della Cgil, tra le bandiere No-Tav e la bancarella con i “prodotti tipici della val Susa”, una cesta ricolma di lacrimogeni. «Non si può contestare la manovra di Tremonti e poi approvare la Tav: non è una questione valsusina, ma un banco di prova per l’Italia». Ovazione popolare per la valle ribelle, tributata da migliaia di torinesi in piazza.
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Siamo indignati, e ora ci riprendiamo il futuro che ci spetta
Noi siamo indignati. Siamo indignati contro i governi europei, che stretti tra la crisi e le politiche liberiste e monetariste imposte dalla Bce e dall’Fmi, accettano di essere esautorati delle funzioni democratiche per diventare semplici amministratori dei tagli della spesa sociale, delle privatizzazioni, della precarizzazione del mondo del lavoro e della costruzione di opere faraoniche, incuranti dell’ambiente e delle popolazioni. Siamo indignati perché le classi dirigenti continuano a proporci l’austerity per le popolazioni, mentre le rendite e i privilegi della finanza, dei grandi possidenti e della politica rimangono intonse, quando non crescono.
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Don Gallo: liberiamo l’Italia dalla casta dei cialtroni
La manovra non fa altro che confermare la strenua difesa della ricchezza senza equità. Ma chi governa non è in grado di trovare un’intesa, ognuno bada a sé, mi risulta che ci siano circa 500 emendamenti proposti dalla maggioranza, roba da denuncia penale. Si vuole distruggere il Paese. E’ il risultato di 20 anni di berlusconismo, menefreghismo, arroganza, fascismo in libera uscita, distruzione della Costituzione. In fondo Berlusconi ha ragione quando dice “non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”: in quelle dei ricchi, ovviamente. Come si fa a non ribellarsi di fronte ai 120 miliardi di evasione, a quelli derivanti dai crack finanziari che hanno arricchito i soliti, al lavoro nero che ingoia le zone più depresse, al fatturato delle mafie?
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Debito? No, grazie: non paghiamo il piano Marchionne-Bce
«Non paghiamo il loro debito e mandiamo a casa l’intero ceto politico italiano». “Alternativa”, il movimento diretto da Marino Badiale e fondato da Giulietto Chiesa, in vista dello sciopero generale del 6 settembre avverte la Cgil: fermare la manovra “lacrime e sangue” ora al vaglio del Parlamento non basta, perché dopo questa ne verranno altre, anche peggiori. Diretto l’appello al sindacato di Susanna Camusso: se non si straccia il “patto scellerato” del 28 giugno che toglie peso allo Statuto dei Lavori consentendo alle aziende libertà di licenziamento, il “piano Marchionne” concepito per la Fiat finirà per essere esteso a tutta l’Italia – esattamente come chiede la Bce – magari col consenso del Pd.
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Airaudo: assediamo le piazze, vogliono rubarci il futuro
«Indignarsi non basta ma cominciamo a farlo». Parola di Giorgio Airaudo, che annuncia l’avvio della “campagna d’autunno” firmata Fiom per valorizzare il protagonismo degli “indignados” italiani: l’attivismo del “popolo dei referendum” sui beni comuni, cresciuto abche durante l’estate tra mille dibattiti, «può e deve farsi pratica sociale e soggettività politica, supplire alla fragilità dell’opposizione, ridare linfa all’esausta nostra democrazia». Obiettivo, fermare la manovra “lacrime e sangue”: che è «inutile, ingiusta e vendicativa» perché non contempla investimenti per rilanciare l’economia, fa pagare il conto della crisi soltanto ai soliti noti e inoltre prende di mira i giovani, negando loro una speranza di futuro.
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Antipolitica? No, ribellione: l’Italia non ne può più
In principio c’è un artificio semantico, una truffa verbale. “Antipolitica”, l’epiteto con cui la politica ufficiale designa questa nuova cosa. Marchio di successo, tant’è che digitandolo su Google si contano 780 mila risultati. Ma che cos’è l’antipolitica? Un sentimento becero, un vomito plebeo? No, un inganno. L’ennesimo inganno tessuto dal sistema dei partiti. Perché mescola in un solo calderone il popolo di Grillo e il think tank di Montezemolo, le signore della borghesia milanese che hanno votato Pisapia e gli studenti in piazza contro la Gelmini, i dipendenti pubblici bastonati da Brunetta e gli imprenditori taglieggiati dall’assessore di passaggio. E perché con questa parola i politici definiscono l’identità altrui a partire dalla propria. Come facciamo ormai un po’ tutti, definendo extracomunitario il filippino o l’egiziano.
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E se a riscrivere la Finanziaria fosse la valle di Susa?
Ho appena letto il messaggio di Claudio Giorno a proposito della battaglia che in India sta mobilitando decine di migliaia di persone contro la corruzione diffusa in tutte le pubbliche istituzioni e nei partiti politici di quel paese. Anche io tendo ad osservare attentamente gli eventi internazionali degli ultimi mesi e a considerarli come sintomi di un malcontento ormai mondiale contro questo modello economico (finanz-capitalista e ultramonopolista) globalizzato che sta distruggendo le basi stesse della convivenza civile, della democrazia e addirittura del capitalismo e che i partiti politici (tutti, per lo meno in Italia) si sono rivelati incapaci di governare e regolamentare.
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Botte a chi protesta, sempre impuniti i sovrani della crisi
Attenti: stiamo per perdere la nostra democrazia, perché oggi a governare le nostre esistenze non c’è la politica. «Sovrani sono poteri non eletti, come gli speculatori di borsa o le agenzie di rating che storcono le nostre vite e sono i nuovi tribunali delle democrazie». In mano ai cittadini sembra rimanere solo il plebiscito dei tumulti urbani, ma neanche un attimo la politica è sfiorata dal dubbio che i giovani delle sommosse siano figli dei suoi errori, della sua latitanza. Barbara Spinelli non ha dubbi: se Napolitano grida che siamo «immersi in un angoscioso presente», è anche perché la destra ha minimizzato la crisi, ma pure la sinistra – concentrata solo sulla conquista del potere – ha perso di vista l’obiettivo: «Un popolo tenuto nel buio non vede che buio», è stata «spezzata la capacità» di capire perché un paese come l’Italia sia ridotto così male.