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Prelievo forzoso: il piano del Fmi per prenderci tutto
Tu, Stato ex sovrano, hai ceduto il tuo debito pubblico alla speculazione finanziaria in cambio degli interessi sui bond, privandoti addirittura di moneta sovrana e accettando di denominare il debito in una moneta “straniera” come l’euro, sulla quale non hai più nessun controllo? Bene, anzi male. Malissimo, perché ora il Fmi propone di riscattare il debito pubblico facendolo pagare direttamente a cittadini, lavoratori, pensionati, risparmiatori. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden e Martin Armstrong lanciano l’allarme: non ne parla nessuno, e non a caso la “proposta” è stata fatta trapelare durante i Mondiali di calcio in mondo che l’opinione pubblica fosse distratta, ma la direzione di marcia indicata dal Fondo Monetario Internazionale è la pietra tombale, definitiva, su qualsiasi speranza di ripresa economica nell’Eurozona. In pratica, i tagli sul debito li pagherebbero i cittadini: se attuati, «potrebbero compromettere il futuro delle persone», facendo saltare anche assicurazioni, risparmio gestito e sistemi pensionistici.L’ultimo documento del Fmi, massima istituzione finanziaria dell’oligarchia neoliberista euroatlantica, «descrive in dettaglio come d’ora in poi si potrà autorizzare l’espropriazione dei beni del settore privato e di chi ha investito in titoli di Stato, per pagare i debiti nazionali». Quello del Fondo Monetario diretto dalla francese Christine Lagarde è «un progetto straordinario, che butta a mare qualsiasi congettura finora fatta sull’acquisto di titoli di Stato». Già nel 2013 il Fmi parlava di “repressione finanziaria”: «I governi possono spalmare il debito sui fondi pensione, fondi locali e compagnie di assicurazione, costringendoli per legge ad accettare tassi di rendimento molto più bassi». Il Fondo Monetario aveva consigliato di gestire la “crisi dell’euro” aumentando le tasse, chiedendo di imporre una tassa sulla proprietà anche nei paesi europei in cui quel tipo di tassazione non esiste ancora. Ora, il Fmi spinge per una “tassa sul debito” generalizzata, «per un importo del 10% per ogni famiglia dell’Eurozona, anche su quelle famiglie che dispongono solo di modesti risparmi».Per Durden e Armstrong, «la gente è cieca: crede che in questo modo si sia data l’autorizzazione ad andare a colpire i ricchi, e non capisce che invece si sta correndo dietro chiunque», perché alla fine i “ricchi” sono pochi, da soli non basterebbero neppure se li si spennasse: molto meglio tosare milioni di contribuenti ordinari. «Quelli del Fmi non hanno messo in discussione nessuna riforma del sistema: stanno semplicemente progettando un fallimento, da ripianare buttandolo sulle spalle dei risparmiatori espropriandoli dei loro risparmi, e continuando a far chiedere altri soldi in prestito, per sempre», osserva “Zero Hedge”. E il peggio è che «non c’è nessuno che si sta preoccupando». Il denaro risparmiato dalle persone, secondo il Fmi, «dovrebbe essere utilizzato obbligatoriamente al servizio del debito», quello che lo Stato sovrano – prima dell’euro – garantiva da solo, a costo zero, con emissione di moneta. Ora invece il debito dello Stato dovrebbero pagarlo i cittadini, secondo i tecnocrati neo-feudali del Fondo Monetario: «Sostengono che, per ridurre l’enorme debito nazionale, i governi abbiano il diritto di requisire direttamente i risparmi dei cittadini. Non importa che si tratti di risparmi, di assicurazioni o di immobili, almeno il 10% potrebbe essere espropriato».E dato che il debito pubblico dei paesi dell’Eurozona – impoverita disastrosamente dalla recessione economica indotta dalla moneta unica – è aumentato di più del 90% del Pil, tutta la popolazione dovrebbe sacrificare i propri risparmi, per “salvare” lo Stato lasciato in bolletta dall’euro. Come al solito, la cupola politico-finanziaria europea esegue: già a gennaio, la Bundesbank ha aderito al progetto del Fmi, concentrandosi su una “tassa sulla ricchezza”. «Nella situazione eccezionale di un imminente fallimento dello Stato – dichiara la banca centrale tedesca – un prelievo di capitale una tantum potrebbe rivelarsi un taglio più conveniente rispetto a qualsiasi altra opzione», nel caso in cui aumenti delle tasse o altre drastiche limitazioni della spesa pubblica non fossero sufficienti a soddisfare i bisogni. A giugno, il Fmi ha preparato un altro progetto, per estendere d’imperio la scadenza delle obbligazioni: cedole biennali potrebbero diventare ventennali. «Semplicemente, tu non puoi riscattare la tua obbligazione». I tuoi soldi se li tengono in ostaggio “loro”, naturalmente «con lo stesso tasso di interessi».Purtroppo, sottolinea “Zero Hedge”, «la stampa non spiegherà mai i rischi reali di certe notizie: sono troppo noiose». Quindi, nei paesi in cui ci sono delle pensioni da lavoro, «ci si potrebbe svegliare improvvisamente e venire a sapere che con quello che serve al proprio futuro si sta pagando un contributo al governo – che ringrazia per il patriottismo». Una cosa è certa: per anni, tutti i fondi pensione hanno comprato titoli di Stato perché erano considerati “tranquilli” e “senza rischi”. Non sarà più così. E il crollo dei debiti sovrani potrebbe «mandare in crash» anche i mercati finanziari che quei titoli acquistarono. Chi decide? Il Fondo Monetario, purtroppo. «Il Fmi è una dittatura non eletta da nessuno, che però può gestire la vita della gente», accusano Durden e Armstrong. E ora la Lagarde presenta il “nuovo profilo” della sua strategia: tutti i debiti pubblici – per la prima volta nella storia moderna – dovranno “trovare una copertura”, come se lo Stato fosse una famiglia o un’azienda, e non un’autonoma istituzione finanziaria pubblica.«Quest’ultimo documento non è altro che un ordine di liquidazione del debito pubblico, a spese degli obbligazionisti e a loro insaputa: azionisti che possono tranquillamente essere anche dei pensionati». Per salvarsi la poltrona, gli euro-leader stanno con gli oligarchi del Fondo Monetario, guardandosi bene dal tutelare l’interesse pubblico, cioè i cittadini. «Così, è probabile che presto l’Eurozona possa essere colpita direttamente dai piani del Fmi». Secondo gli analisti di “Zero Hedge”, la situazione è gravissima: la “soluzione finale” prospettata dalla Lagarde «potrebbe produrre anche dei disordini civili, ma solo dopo che il fatto sarà avvenuto». Questo “taglio corto” fatto ai creditori privati è una sorta di condizione preliminare che gli Stati in bancarotta devono rispettare prima di ottenere ulteriori prestiti. Prendere o lasciare: «E’ quanto il Fmi sta facendo in Ucraina, niente meno di quello che hanno fatto a Cipro». Se lo Stato non controlla più il debito, avendolo ceduto agli usurai della finanza privata, il carico fiscale è così opprimente che «ci stiamo rapidamente avvicinando al crollo della democrazia». Milioni di ignari pensionati saranno letteralmente rapinati dai dominus del Fmi. E il guaio è che «questi signori non si sentono minimamente in colpa per l’estorsione fatta ai governi».Tu, Stato ex sovrano, hai ceduto il tuo debito pubblico alla speculazione finanziaria in cambio degli interessi sui bond, privandoti addirittura di moneta sovrana e accettando di denominare il debito in una moneta “straniera” come l’euro, sulla quale non hai più nessun controllo? Bene, anzi male. Malissimo, perché ora il Fmi propone di riscattare il debito pubblico facendolo pagare direttamente a cittadini, lavoratori, pensionati, risparmiatori. Su “Zero Hedge”, Tyler Durden e Martin Armstrong lanciano l’allarme: non ne parla nessuno, e non a caso la “proposta” è stata fatta trapelare durante i Mondiali di calcio in mondo che l’opinione pubblica fosse distratta, ma la direzione di marcia indicata dal Fondo Monetario Internazionale è la pietra tombale, definitiva, su qualsiasi speranza di ripresa economica nell’Eurozona. In pratica, i tagli sul debito li pagherebbero i cittadini: se attuati, «potrebbero compromettere il futuro delle persone», facendo saltare anche assicurazioni, risparmio gestito e sistemi pensionistici.
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Renzi, il clown di Firenze che finge di sfidare la Germania
Renzi? L’uomo della provvidenza 2014, dotato di un unico ufficio efficiente: quello delle pubbliche relazioni. Il giovane premier è un fenomeno: è riuscito ad aumentare la sua popolarità nonostante non abbia rispettato nessuna delle scadenze sulle riforme annunciate. Un bluff anche l’aver vantato di ottenere più flessibilità da Bruxelles, mentre gli indicatori economici continuano a precipitare. «Per non dire della sua raggelante slealtà verso Letta, “Enrico, stai sereno”». La sua capacità comunicativa è più forte dei fatti, prende nota Marco Della Luna. In questo, Renzi batte Berlusconi. Marketing raffinato, capacità di schivare il colpo ed evitare «il confronto diretto, serio, approfondito sui risultati e sui programmi». Confronto «da cui spiccherebbe la sua inconsistenza», zero analisi economica, nessuna reale soluzione. Così, non è che altro che «illogicità infantile» la fiducia riposta in lui. Renzi è sempre di fretta: scusate, ora non ho tempo. Se la cava così, evitando qualsiasi domanda. E poi, si sa, le domande sono solo seccature che fanno perdere tempo prezioso.«L’uomo della provvidenza 2014 non ha mai tempo per i consuntivi», continua l’avvocato Della Luna sul suo blog. «Come i suoi due predecessori», Monti e Letta, di cui sta eseguendo più o meno alla lettera il programma, in realtà scritto tra Berlino e Bruxelles, Renzi «sa che quando arrivano i consuntivi la bolla delle speranze sfloppa». Problema, perché «la sua forza sta nel rilanciarle, le speranze: a 100 giorni dapprima, oggi a 1.000». Il momento della verifica? Può attendere, basta che nessuno se ne accorga. Stessa tattica della fretta anche a Strasburgo: prima del discorso ha evitato contatti persino coi suoi parlamentari, e al termine ha dribblato i giornalisti e le loro fastidiose domande, correndo al sicuro nel salotto di Vespa. Quanto all’imbarazzante discorso europeo, «Renzi ha esordito avvertendo che il programma operativo lo aveva depositato alla presidenza del Parlamento in forma scritta», quindi non ne avrebbe parlato in aula. «Il programma, cioè, è una conoscenza riservata ai livelli superiori; per il grande pubblico va bene lo show».Mentre perdura il mistero sul programma, resta solo l’aria fritta del discorso: zero contenuti, ovvero «enunciati ideologici, figure retoriche, evocazioni culturali di bassa qualità, affermazioni velleitarie» su misura per l’elettorato italiano, presso il quale «Renzi ha cercato di accreditarsi come difensore degli interessi nazionali (mentre non lo è come non lo erano Letta e Monti)». Ha anche cercato di guadagnarsi consenso e simpatia «esprimendo giudizi, proteste, accuse, sogni», proiezioni retoriche a buon mercato «in cui si può ritenere che si riconoscano molti strati popolari italiani: noi siamo bravi, noi facciamo riforme sostanziali, noi diamo più di quanto riceviamo, noi non accettiamo lezioni da nessuno, la colpa è degli altri, noi abbiamo una grande storia dietro le spalle, noi abbiamo diritto a reclamare flessibilità anche perché essa è condizione per il successo anziché insuccesso dell’Europa stessa». Parlando a braccio, Renzi «ha fatto il gigione, o il ganzo, come si dice in Toscana, ma con una caricatura della toscanità, uno stile che i miei amici toscani trovano forzato e grossolano», annota Della Luna.Insomma, di fronte «al grande dramma sociale, alla crescente diseguaglianza entro i paesi europei e di fronte al fatto che l’Eurozona cresce la metà dei paesi dell’Ocse», al cospetto di tutta l’Europa il premier italiano «parla di Ulisse e Telemaco, di orgoglio nazionale, di sentimenti e ideali, di accoglienza ai migranti, e non di cose concrete». In altre parole, «tratta il suo pubblico come un insieme di deficienti». E non a torto, purtroppo: «Molti, in effetti, lo applaudono». Per Della Luna, «è stato uno spettacolo disgustoso». Siccome le cose in Europa vanno palesemente male, molto male, e le tensioni continuano ad aumentare, «un approccio serio, professionalmente nonché politicamente onesto, sarebbe stato incentrato sull’analisi di questi mali e delle loro cause, per proseguire con una motivata proposta di soluzioni operative». Renzi, per esempio, «avrebbe dovuto rilevare che l’Ue ha applicato una teoria economica, con le sue ricette e le sue riforme – tra cui l’austerità – che da anni i fatti stanno smentendo, perché non produce risanamento del debito ma aggravamento, non produce stabilità ma instabilità, non produce sviluppo ma recessione». C’è divergenza là dove dovrebbe esserci convergenza tra diverse economie, perché il rigore «non produce occupazione ma precari, disoccupati e sottoccupati».Se i fatti smentiscono rovinosamente tutte le previsioni dell’élite eurocratica, «non si tratta di aumentare di qualche centesimo percentuale la flessibilità del meccanismo, ma di prendere atto che la teoria è falsa perché confutata dai fatti». Stesso discorso per l’euro e i suoi effetti reali. In quanto alle “riforme” neoliberiste continuamente evocate, riforme «che Renzi e i mass media presentano al popolo come contropartita per la “flessibilità”», Della Luna ricorda che quelle contro-riforme «vengono dalla medesima teoria confutata dai fatti, e fanno parte di quella linea di riforme del settore bancario e finanziario che hanno permesso, in Europa come in America, le maxi-bolle e le mega-truffe bancarie che, oltre alla crisi bancaria mondiale, con la loro ricaduta sulle finanze pubbliche, hanno prodotto la crisi dei debiti sovrani, dei debiti pubblici, in cui stiamo dibattendoci. E’ proprio il caso di continuare su quella linea?». Sappiamo qual è il risultato: «Precipitare le nazioni in condizioni di miseria e asservimento dal potere bancario».Renzi, continua Della Luna, avrebbe dovuto rilevare che quella teoria smentita dai fatti e quei principi di pareggio di bilancio e liberalizzazione finanziaria anch’essi smentiti dai fatti «ormai li difende solo la Germania assieme ai suoi satelliti, e li difende non per ragioni “scientifiche”, ma solo perché ne trae un vantaggio a spese degli altri paesi, in quanto ne assorbe capitali e altre risorse». Quindi, il vero problema «è un conflitto oggettivo di interessi». E la trattativa, da parte dei paesi svantaggiati come l’Italia, «può funzionare solo se prospetta alla Germania la scelta secca, con una rigida data di scadenza, tra un accordo per nuovo sistema finanziario e monetario da una parte, e dall’altra parte un piano-B, di rottura, in cui la Germania abbia da perdere seriamente». Altrimenti, «niente tutela degli interessi nazionali, ma solo fandonie». E la disputa coi “falchi” tedeschi «è solo una messa in scena per illudere il popolo degli sprovveduti», quello che applaude alle trovate del clown di Firenze mentre la nave affonda.Renzi? L’uomo della provvidenza 2014, dotato di un unico ufficio efficiente: quello delle pubbliche relazioni. Il giovane premier è un fenomeno: è riuscito ad aumentare la sua popolarità nonostante non abbia rispettato nessuna delle scadenze sulle riforme annunciate. Un bluff anche l’aver vantato di ottenere più flessibilità da Bruxelles, mentre gli indicatori economici continuano a precipitare. «Per non dire della sua raggelante slealtà verso Letta, “Enrico, stai sereno”». La sua capacità comunicativa è più forte dei fatti, prende nota Marco Della Luna. In questo, Renzi batte Berlusconi. Marketing raffinato, capacità di schivare il colpo ed evitare «il confronto diretto, serio, approfondito sui risultati e sui programmi». Confronto «da cui spiccherebbe la sua inconsistenza», zero analisi economica, nessuna reale soluzione. Così, non è altro che «illogicità infantile» la fiducia riposta in lui. Renzi è sempre di fretta: scusate, ora non ho tempo. Se la cava così, evitando qualsiasi domanda. Le interviste? Seccature, che fan perdere tempo prezioso.
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Renzi, atroce imbroglio: la faccia allegra della catastrofe
Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?E non si venga a dire che gli 80 euro sono una rottura di questa politica. Chi fa credere questo è in totale malafede. Quell’assegno è stato concordato tra Renzi e Merkel per indorare la pillola del rigore alla vigilia delle elezioni, e verrà restituito con gli interessi, con le tasse i ticket e i tagli ulteriori alla spesa sociale. Però bisogna ammettere che l’operazione gattopardesca per il momento è riuscita. Durante i governi Monti e Letta si parlava sempre più di vincoli europei e di austerità. Ora non se ne parla più, le questioni economiche e sociali vengono dopo il calcio. Si parla di legge elettorale e di abolizione del Senato elettivo, di riforme di tutti i tipi, ma di austerità non si parla più, la si attua e basta. Gli scandali delle grandi opere non provocano più nessuna pubblica discussione sulla loro necessità, ma solo uno stanco ritorno delle campagne di moralizzazione ipocrita e inconcludente, con Renzi naturalmente alla loro testa. Anche Grillo pare esserci cascato in pieno… la crisi economica si risolve con le riforme… Ma va, son venti anni che i liberisti fanno questa propaganda e attuano questa politica e la crisi si aggrava sempre di più.Comunque con ben maggiore efficacia rispetto al suo ammiratore invidioso e frustrato, Berlusconi, Renzi può compiere un’opera di distrazione di massa. Naturalmente non c’è la fa da solo, con lui stanno tutti i poteri forti nazionali e internazionali e un sistema informativo vergognoso, che è saltato sul suo carro come quei giornalisti “embedded” che stavano in Iraq sui carri armati di Bush e raccontavano quelle menzogne che han fatto danno sino ad oggi. Qualcuno parla ancora di Fiscal Compact? Nel nuovo Pd di Renzi che vuol battere i pugni in Europa, qualcuno propone forse di abolire quella mostruosità unica che è il pareggio di bilancio costituzionale? Cameron, quando quella riforma fu approvata, disse che Keynes, cioè lo stato sociale, erano stati messi fuori legge. Nelle elezioni locali qualche candidato del Pd si è forse impegnato a mettere in discussione il patto di stabilità? No di certo, perché Renzi spinge a fare i primi della classe in Europa. Forse anche per questo il vertice europeo torinese è stato rinviato: vuoi mai che per colpa delle parole di qualche sconsiderato burocrate i temi dell’austerità potessero tornare di pubblico confronto?Bisogna depistare e nascondere, noi siamo la seconda cavia di Europa dopo la Grecia. Si mette in atto la stessa politica, ma con un metodo diverso, quello di Renzi. Che si paragona a Obama ma in realtà è un epigono di Blair, che ha distrutto in Gran Bretagna tutto ciò che aveva resistito alla signora Thatcher. Compreso il suo partito. Attenti, sostenitori esultanti e anestetizzati del Pd: alla fine sarà proprio il vostro partito a pagare la politica del suo leader. Intanto però si festeggia e le fragili e tremebonde opposizioni ufficiali di destra e sinistra si inchinano al regime. Berlusconi e la Lega son sempre più parte del gioco. La Cgil ha adottato come massima forma di protesta il borbottio, anche se riceve uno schiaffone al giorno. Grillo dialoga sulle riforme e la lista Tsipras ha già le prime scissioni verso il Pd. Il presidente del consiglio sta sbancando.Eppure, nonostante i clamorosi successi attuali, il progetto di Renzi è destinato a fallire per due ragioni di fondo. La prima è che la crisi economica si trasforma in stagnazione e continuerà così, senza nessuna luce in fondo al tunnel. D’altra parte la politica di Renzi non serve ad uscire dalla crisi, ma solo ad abituarci a convivere con essa. Dobbiamo accettare la disoccupazione di massa e la distruzione dello stato sociale, e imparare a sopravvivere arrangiandoci. Ci dobbiamo rassegnare alla ingiustizia e alla diseguaglianza, questo insegnano il Jobs Act o il feroce articolo 5 del decreto Lupi, che colpisce con crudeltà da Ottocento vittoriano i senza casa. Il punto non è la soluzione della crisi, impossibile con l’austerità, ma la passività sociale. È su questa che contano Renzi e la signora Merkel per andare avanti. Ed è su questo che falliranno.Certo ora sfiducia e rassegnazione sono massimi, mai in Italia si è fatto così tanto danno alle persone con così poche reazioni. Ma questa situazione finirà, il conflitto ripartirà e Renzi rischierà allora di apparire per come lo dipinge il suo unico oppositore televisivo, il comico Maurizio Crozza. La seconda ragione è che l’Europa della signora Merkel che ha benedetto Renzi ha rivelato tutta la sua subalternità e fragilità mondiale. Il governo ucraino con i suoi ministri nazifascisti ha rotto il disegno della Germania di portare l’Europa da essa dominata alla intesa cordiale con Putin e ad una maggiore autonomia dagli Stati Uniti. La nuova guerra, anzi la guerra mai finita in Iraq, rafforza la stessa spinta di fondo. Gli Usa hanno ripreso il controllo del blocco occidentale con la vecchia Nato e ancor di più lo faranno con il Ttip, il patto liberista tra le due sponde dell’Atlantico che vuole trasformare la Ue in appendice di Usa e Canada, mentre di fronte si delinea la nuova alleanza globale di Russia e Cina.Forse non ce ne siamo accorti nel teatrino della nostra politica, ma la globalizzazione è morta, si torna ai grandi schieramenti di potenze e un’Europa indebolita da anni di austerità viene assorbita nel vecchio impero americano. Povero Renzi, che c’entra la sua politica con tutto questo? Nulla, e ancora una volta il conto di un potere politico gattopardesco, che sta indietro rispetto alla realtà del mondo, lo pagheremo tutti noi. Bisogna augurarsi allora che il regime di Renzi non ci metta i venti anni di quello berlusconiano per farci scoprire tutti i suoi danni. Bisogna augurarselo e bisogna agire perché questo regime fallisca il prima possibile. Solo con la sconfitta di Renzi e del renzismo si ridà un futuro a questo paese.(Giorgio Cremaschi, estratto dall’intervento “Facciamo fallire il regime renziano”, da “Micromega” del 20 giugno 2014).Quanti disoccupati produrrà la sciagurata privatizzazione della Fincantieri, che sinora proprio perché pubblica ha permesso all’Italia di essere competitiva nella costruzione delle grandi navi, assieme alla Germania? Vogliamo parlare della privatizzazione di Ilva, Telecom, Italtel e Alitalia, dei disastri che hanno prodotto in tutte le direzioni senza un centesimo di guadagno, anzi con gigantesche perdite, per lo Stato? Vogliamo parlare dello scandalo della Fiat delocalizzata e che fugge il fisco, con il governo muto e complice? Quanti nuovi disoccupati e precari produrrà la cosiddetta riforma della pubblica amministrazione che, dietro la misura demagogica del taglio dei permessi sindacali (che alla fine sarà un boomerang per i suoi autori perché rafforzerà chi lotta sul serio), dietro la propaganda attua il taglio lineare del personale e la deresponsabilizzazione pubblica nella catena degli appalti? E soprattutto quanti disoccupati produrrà la continuazione delle politiche di austerità che già ora hanno creato 7 milioni di senza lavoro?
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Ma questa Europa non è affatto annoiata: è disperata
«Se l’Europa facesse un selfie, mostrerebbe il volto della noia», dice Renzi al Parlamento Europeo. Noia? «No, il volto di paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Italia non è annoiato, è disperato», protesta il “Keynes Blog”. «L’Europa attuale non è un sogno, men che meno ha un’anima. E’ un insieme di regole – quelle che Renzi non vuole cambiare – basate su una teoria economica che si è dimostrata palesemente incapace non solo di prevedere, ma anche di guarire la crisi iniziata nel 2008». Il tutto – regole e istituzioni – è «orientato a garantire i paesi creditori e bastonare quelli debitori». Aggiunge il blog: non stiamo camminando lentamente, stiamo tornando indietro. «La “generazione Erasmus” (ora ribattezzata “generazione Telemaco”) di cui Renzi si sente parte, è la più colpita, con tassi di disoccupazione oltre ogni soglia di tollerabilità: stiamo distruggendo capitale fisico e umano, ponendo le basi perché la crescita non ritorni in tempo utile affinché questa generazione possa goderne».Si è antitaliani se si afferma che il discorso di Renzi al Parlamento Europeo è «una montata di fumo a manovella», fatta solo per cercare facile consenso? Anche la confusa metafora di Telemaco, dice Giorgio Cremaschi su “Micromega”, resta sospesa a mezz’aria. La storia del figlio di Ulisse che aiuta il padre a sterminare gli usurpatori di Itaca e liberare Penelope la sanno anche gli studenti delle medie, ma chi sono i Proci per Renzi? «Non lo sapremo mai, perché tutta la sua comunicazione politica si fonda sulla allusione», lasciando le conclusioni al pubblico, per tenersi le mani «libere di continuare a fare quel che si è sempre fatto». Renzi allude a un’Europa «diversa da quella che con le politiche di austerità ha prodotto 40 milioni di disoccupati», ma quando si va sul concreto «l’unica affermazione chiara è che l’Italia rispetterà tutti i micidiali vincoli del Fiscal Compact, dei patti di stabilità, del rigore», e andrà avanti con le micidiali “riforme strutturali” raccomandate dall’oligarchia neoliberista, ovvero «flessibilità del lavoro, bassi salari, privatizzazioni e mercato, mercato, mercato».È la ricetta che è stata definita come “precarietà espansiva”, ricorda Cremaschi. Puro ossimoro: l’austerity che produce crescita, secondo Mario Monti e colleghi. «Come disse Padoan prima di diventare ministro, dal dolore nasce lo sviluppo». Tutti i dati economici italiani e anche quelli dell’Eurozona «dimostrano che il dolore cresce, ma lo sviluppo no». Tuttavia, continua l’ex leader Fiom, Renzi rivendica per l’Italia il ruolo di primo della classe nell’applicazione di queste politiche, aggiungendo assieme a tutti i socialdemocratici europei che esse dovranno essere “accompagnate dalla crescita”. «Che vuol dire? Niente. Le politiche di austerità sono un sistema compiuto», che produce solo danni. «O si abbandona l’austerità – cioè pareggio di bilancio, vincolo del debito, divieto di intervento pubblico, bassi salari – oppure si rinuncia alla crescita o almeno a quella crescita che viene promessa da “Telemaco” Renzi». Domanda: ma se queste politiche non producono veri risultati, come mai tutti i governi, e il governo europeo delle larghe intese appena varato, continuano a portarle avanti?«Per due ragioni di fondo, di cui la seconda è inconfessabile», sostiene Cremaschi. La prima è che «le politiche di rigore e austerità europee sono figlie di più di trent’anni di politiche economiche liberiste». Oggi si teme la deflazione, cioè l’assenza di inflazione come ulteriore spinta alla stagnazione economica, ma «tutta la costruzione europea fino alla Bce ha come presupposto la lotta all’inflazione». La scala mobile che tutelava i salari italiani «è stata abolita nel nome della lotta all’inflazione». Il debito pubblico «si è gonfiato dei costi degli interessi pagati alla finanza perché si è rinunciato, ben prima dell’euro, a stampare moneta». La lotta all’inflazione, insiste Cremaschi, è il nocciolo materiale e ideologico delle politiche di austerità. E tutte le istituzioni, tutti i gruppi dirigenti, politici e sindacali «sono stati selezionati nel suo nome». Altro che la contestazione a qualche casta marginale: «Per cambiare politica bisognerebbe cambiare tutta una classe dirigente che non sa produrre altro se non austerità». E poi c’è la seconda ragione per cui si va avanti così, «quella inconfessabile». E cioè: «Purtroppo non è vero che il dolore non dia risultati: gli indici di Borsa da quasi tre anni sono in crescita. Chi ha investito nel momento più basso della crisi finanziaria oggi ha fatto un bel po’ di soldi. Per una parte delle imprese i profitti sono in ripresa, così pure i super-guadagni dei manager».Banche e finanza, continua Cremaschi, hanno ripreso a fare affari come prima. E anche i derivati e tutti i titoli-spazzatura son di nuovo in campo, come prima del crack. «Il punto inconfessabile è proprio che la crescita delle disuguaglianze e della povertà non sono un danno collaterale, ma parte integrante del modello economico che si vuole affermare». La creisi era parte del piano: nel fango il 99%, per far volare i maxi-proifitti dell’1%. «La Grecia, prima cavia dell’austerità, non ha più stato sociale, ha il 20% di disoccupazione e i salari calati del 30%. Socialmente e moralmente è una catastrofe, ma oggi in Grecia si fanno buoni affari. Certo il rischio è che la brutalità delle misure adottate faccia vincere alle elezioni Tsipras e le forze anti-austerità, per questo in Italia si è aggiustato il tiro». Se in Grecia il troppo bastone rischia di provocare una rottura, «in Italia per continuare con l’austerità si è usata più carota, e la carota si chiama Renzi».Ecco perché «le politiche di austerità non possono essere abbandonate se non si rovesciano i presupposti, gli interessi, le istituzioni che le impongono», conclude Cremaschi. «Io non credo che questa Unione Europea sia riformabile, ma anche chi ci crede ha oggi il dovere di respingere il gattopardismo di Renzi, Schultz, Juncker, Merkel e dei loro finti scontri», nell’ambito delle sostanziali larghe intese con cui i politici eletti fingono di governare, limitandosi in realtà a obbedire ai tecnocrati militarizzati dall’élite finanziaria, uomini-ombra potentissimi che impongono l’agenda, le leggi, le direttive europee attraverso le lobby insediate a Bruxelles in rappresentanza delle grandi multinazionali. Secondo Cremaschi «bisogna che il semestre italiano fallisca, cioè che fallisca la mistificazione politica che copre la continuazione del rigore liberista». Giù la maschera, Renzi: «Noi sappiamo bene chi sono i Proci della finanza, delle banche, delle multinazionali che ci saccheggiano».«Se l’Europa facesse un selfie, mostrerebbe il volto della noia», dice Renzi al Parlamento Europeo. Noia? «No, il volto di paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e la stessa Italia non è annoiato, è disperato», protesta il “Keynes Blog”. «L’Europa attuale non è un sogno, men che meno ha un’anima. E’ un insieme di regole – quelle che Renzi non vuole cambiare – basate su una teoria economica che si è dimostrata palesemente incapace non solo di prevedere, ma anche di guarire la crisi iniziata nel 2008». Il tutto – regole e istituzioni – è «orientato a garantire i paesi creditori e bastonare quelli debitori». Aggiunge il blog: non stiamo camminando lentamente, stiamo tornando indietro. «La “generazione Erasmus” (ora ribattezzata “generazione Telemaco”) di cui Renzi si sente parte, è la più colpita, con tassi di disoccupazione oltre ogni soglia di tollerabilità: stiamo distruggendo capitale fisico e umano, ponendo le basi perché la crescita non ritorni in tempo utile affinché questa generazione possa goderne».
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Pareggio di bilancio, tasse e crisi: Renzi si piega all’Ue
Più tasse, più crisi, meno lavoro: l’Italia dovrà affrontare nuovi “sacrifici umani” per piegarsi alla legge del pareggio di bilancio entro il 2015. Gli elettori che hanno votato il Pd di Renzi alle europee sono serviti: lo schermo della propaganda è crollato col verdetto dell’Ecofin, dopo l’inutile presenza del premier italiano all’ultimo vertice di Bruxelles. Almeno altri 2 miliardi di euro da trovare, a partire dalla finanziaria di ottobre. «Mentre il presidente del Consiglio era a Bruxelles per negoziare, a parole, maggiori margini di flessibilità all’interno del rispetto dei trattati esistenti – scrive “Libero” – contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei». Di fatto, sono state vanificate le richieste del ministro Padoan, che voleva far slittare dal 2015 al 2016 il pareggio di bilancio strutturale. Ora, con la bocciatura dell’Ue, l’Italia avrà un anno in meno per comprimere ulteriormente la spesa pubblica e mettere in croce famiglie e aziende.Per rispettare il trattato-capestro, continua il quotidiano milanese, servono coperture per il bonus Irpef, i famosi 80 euro. Soprattutto, al governo occorrono le risorse per rendere strutturale il bonus, ma all’appello mancano 20 miliardi. Il guaio è che il pareggio di bilancio, aberrazione tecnocratica che deprime l’economia devastando il tessuto produttivo del paese, è stato inserito nella Costituzione italiana già nel 2012 col voto unanime di Pd, Pdl e terzo polo: da quel momento, solo «eventi eccezionali» possono giustificare il «ricorso all’indebitamento», ricorda “Pagina 99”. La catastrofe discende dal Trattato di Maastricht, di impronta “feudale” e neoliberista, che mira ad azzerare la sovranità pubblica per sabotare la missione socio-economica dello Stato, storico garante del benessere diffuso, lasciando mano libera al super-potere dell’élite finanziaria e delle sue multinazionali. Determinante l’adozione della moneta unica, che sottrae allo Stato la capacità di far fronte alla spesa sociale e sostenere gli investimenti strategici – welfare, istruzione, sanità, infrastrutture – che hanno guidato lo sviluppo del dopoguerra in tutto l’Occidente grazie al ricorso al deficit positivo, la leva strategica e democratica del debito pubblico.A partire da Maastricht, l’oligarchia che condiziona i politici insediati a Bruxelles ha disposto la storica limitazione del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Cinque anni dopo, nel 1997, il tetto del 3% – che non corrisponde ad alcun criterio economico ma è solo un’indicazione politica per indebolire gli Stati, esponendoli allo strapotere delle corporation – è stato recepito nel Patto di Stabilità e Crescita. «Le cose sono cambiate con il grande crack del 2008», aggiunge “Pagina 99”. «Che la crisi dei debiti sovrani europea sia stata figlia di finanze pubbliche fuori controllo è una tesi più controversa di quanto possa sembrare ad un primo sguardo: può forse attagliarsi al caso della Grecia, ma assai meno – ad esempio – a quello dell’Irlanda, dove il debito pubblico è stato gonfiato proprio dagli interventi a soccorso del settore finanziario privato». In ogni caso, continua il giornale, i piani di salvataggio varati dall’Unione Europea per gli Stati maggiormente in difficoltà hanno determinato la richiesta di una contropartita da parte del paese che più ha contribuito, in termini finanziari, alla loro realizzazione: la Germania.Da qui, l’imposizione di regole sempre più stringenti sulla finanza pubblica: dal 13 dicembre 2011 è in vigore il cosiddetto Six-pack, un pacchetto di regolamenti ripresi successivamente anche dal Fiscal Compact, che punta ad azzerare il deficit. «Il disavanzo strutturale è differente dal semplice rapporto deficit-Pil», precisa “Pagina 99”, perché corretto dall’impatto del ciclo economico e delle misure una tantum e temporanee: «Ad esempio, nel caso dell’Italia, il Def appena approvato dal Parlamento riferisce che l’indebitamento netto strutturale sarà del -0,6% nel 2014, a fronte di un rapporto deficit-Pil del -2,6%». È la prima di queste due variabili che doveva essere azzerata entro il 2015, secondo quanto programmato dal governo Letta. Ed è a questo medesimo dato che ha fatto riferimento Padoan nella sua missiva indirizzata alla Commissione Europea, sonoramente bocciata. «Il Fiscal Compact ha ulteriormente irrigidito questo percorso, imponendo ai paesi sottoscrittori di inserire il pareggio di bilancio nei rispettivi ordinamenti nazionali, ad un livello costituzionale».Comunque, osserva Daniele Basciu sul blog “Economia Mmt”, era tutto già scritto nel Def varato da Renzi ad aprile 2014: nel documento, messo a punto da un ministro come Padoan (tecnocrate iper-liberista proveniente dall’Ocse, con alle spalle “ricette” per indebolire gli Stati a vantaggio dei colossi finanziari) il governo aveva già previsto, da qui al 2018, di aumentare le tasse e l’avanzo primario, «cioè preleverà più tasse di quanto spenderà». In presenza di risparmio sulla spesa pubblica, ricorda Basciu, è necessario che ci siano dei deficit a controbilanciare il risparmio stesso, perchè ci sia la piena occupazione. Viceversa, senza più deficit, la strada della disoccupazione è segnata. «Il governo Renzi aveva quindi già deciso di non fare deficit, cioè aveva deciso di impegnarsi ad aumentare i disoccupati e i fallimenti delle aziende, che chiuderanno per diminuzione di clienti in grado di spendere e fare acquisti». Con buona pace degli ingenui elettori di Renzi, che «sono completamente all’oscuro del funzionamento di un’economia moderna».Per Basciu, seguace della Modern Money Theory di Warren Mosler introdotta in Italia da Paolo Barnard, quella degli elettori Pd è «una specie di tribù convinta che, recitando certe litanie e formule su “Sky” e sul “Corriere della Sera”, l’economia magicamente si rimetta in moto: sono i flagellanti delle processioni sacre, che mentre il celebrante recita i riti si battono sulla schiena con dei giunchi per propiziarsi la divinità». Ma questa non è più economia, protesta il blogger: è antropologia. «Il Def è il testo sacro, subordinato a Trattato di Maastricht e al Fiscal Compact, testi sacri di ordine superiore in cui sono scritte le regole. Il ruolo dell’officiante è trovare le formule per rivolgersi alle masse». Così Renzi dichiara: «O l’Europa cambia direzione di marcia o non esiste possibilità di sviluppo e crescita», ma si contraddice nello stesso discorso, aggiungendo: «Noi non chiediamo di violare la regola del 3%». Ergo, «Renzi farà l’austerity, come i testi sacri prescrivono», e di fatto «promette meno deficit, quindi più disoccupati».Ma l’elettore di Renzi che ha in casa un figlio disoccupato o un parente artigiano che chiude perchè non ha più clienti? Niente paura, «assiste alla celebrazione del rito ed è felice, sta bene: “C’è qualcuno”, pensa, “che si prende cura di me”». Qualcuno della “scuola” di Padoan, beninteso, che tratta lo Stato come se fosse una famiglia o un’azienda, cioè un soggetto economico per il quale il risparmio è virtù, mentre il debito è un problema. Fingendo di non sapere che tra famiglie e aziende il denaro può solo passare di mano in mano, mentre lo Stato sovrano il denaro lo crea in quantità teoricamente illimitata, per far fronte ai bisogni della società, tenendo conto della salute del sistema produttivo. In teoria, la missione dello Stato democratico è la piena occupazione: quella che i neoliberisti vogliono cancellare dalla storia, inserendo anche nelle nostre Costituzioni il cancro del pareggio di bilancio, cui ora l’Unione Europea obbliga l’Italia di Renzi, senza sconti.Più tasse, più crisi, meno lavoro: l’Italia dovrà affrontare nuovi “sacrifici umani” per piegarsi alla legge del pareggio di bilancio entro il 2015. Gli elettori che hanno votato il Pd di Renzi alle europee sono serviti: lo schermo della propaganda è crollato col verdetto dell’Ecofin, dopo l’inutile presenza del premier italiano all’ultimo vertice di Bruxelles. Almeno altri 2 miliardi di euro da trovare, a partire dalla finanziaria di ottobre. «Mentre il presidente del Consiglio era a Bruxelles per negoziare, a parole, maggiori margini di flessibilità all’interno del rispetto dei trattati esistenti – scrive “Libero” – contemporaneamente lo stesso vertice sanciva nero su bianco la bocciatura alla prima e unica richiesta formale fatta dal governo di deroga ai patti europei». Di fatto, sono state vanificate le richieste del ministro Padoan, che voleva far slittare dal 2015 al 2016 il pareggio di bilancio strutturale. Ora, con la bocciatura dell’Ue, l’Italia avrà un anno in meno per comprimere ulteriormente la spesa pubblica e mettere in croce famiglie e aziende.
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Die Zeit: Obama non ci conviene, molto meglio la Russia
Non ci conviene seguire Obama nella sua sfida a Putin, molto meglio – per noi europei – cercare una partnership stabile con la Russia. Lo afferma, clamorosamente, il settimanale tedesco “Die Zeit”, di orientamento liberale. Il più autorevole giornale tedesco fa parlare Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del “Global Policy Institute” di Londra, che propone all’Ue di smetterla di sottomettersi alla strategia Usa e imparare piuttosto a difendere i propri interessi, specialità nella quale «l’Europa è stata debole da sempre». Luenen constata che l’Unione Europea segue la strategia unilaterale di Washington, trascurando i propri bisogni, che raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. Il giornale cita la dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, che già nel ‘97 definiva l’Europa «irrinunicabile testa di ponte geopolitica» degli Usa, spiegando: con il controllo sull’Ucraina – i suoi 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero – la Russia «otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica».Per Chris Luenen, «sarebbe abbastanza facile assicurare gli interessi occidentali in fatto di energia e sicurezza tramite la costruzione di un partenariato con la Russia (e con l’Iran), pittosto che che continuare a mirare a sottomettere la Russia agli interessi e alle strutture occidentali». Come riferisce il newmagazine “Sinistra.Ch”, espressione della sinistra svizzera ticinese, sullo “Zeit” l’editorialista sostiene che «la decisione di allargare la zona di influsso occidentale verso Est, tramite una progressiva espansione dell’Ue e della Nato» è praticamente «il più grave errore strategico dell’Occidente sin dalla fine della guerra fredda». Solitamente, aggiunge la rivista elvetica, “Die Zeit” «difende concetti e posizioni che sono rappresentati anche nell’establishment della politica tedesca». Finora, nel conflitto dell’Ucrania, il settimane si era allineato nel giustificare «il regime golpista di Kiev», attaccando la Russia di Putin e i russi d’Ucraina, definiti “separatisti”. Se oggi invece quel giornale ribalta la sua posizione, significa che «siamo di fronte senza dubbio a qualcosa di sensazionale».Niente però di così inatteso, in fondo, secondo “Sinistra.Ch”: «Importanti settori dell’industria tedesca, infatti, si sono nettamente opposti alla tendenza di seguire ciecamente il diktat di Obama, relativo alle sanzioni economiche contro la Russia». E il recente affare di spionaggio da parte della Nsa «si rivolge non a caso in prima linea contro la Germania», colpendo anche la sfera privata della cancelliera Merkel. Inoltre, in Germania, «la tendenza fortemente anti-russa dei media tedeschi viene fortemente contestata dai lettori: da mesi, i blogger si rivoltano in massa contro le direttive informative delle maggiori redazioni». La maggior parte dei commenti dei lettori contestano la politica occidentale. Per moltissimi di loro, quindi, l’apertura dello “Zeit” è «un vero raggio di luce nell’oscurità». Per Massimiliano Ay, segretario del partito comunista della Svizzera italiana, la crisi ucraina «si è scatenata per la esplicita volontà degli Usa di bloccare il rifornimento energetico russo all’Europa, inchiodando così in modo ancora più vincolante il vecchio continente al petrolio e al gas nordamericano: un passo necessario per evitare lo sviluppo dell’asse Berlino-Mosca-Pechino che potrebbe accerchiare Washington». Che ora lo sostenga anche “Die Zeit”, lascia sperare che Berlino potrebbe tentare di frenare la pericolosa guerra fredda di Obama.Non ci conviene seguire Obama nella sua sfida a Putin, molto meglio – per noi europei – cercare una partnership stabile con la Russia. Lo afferma, clamorosamente, il settimanale tedesco “Die Zeit”, di orientamento liberale. Il più autorevole giornale tedesco fa parlare Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del “Global Policy Institute” di Londra, che propone all’Ue di smetterla di sottomettersi alla strategia Usa e imparare piuttosto a difendere i propri interessi, specialità nella quale «l’Europa è stata debole da sempre». Luenen constata che l’Unione Europea segue la strategia unilaterale di Washington, trascurando i propri bisogni, che raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. Il giornale cita la dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, che già nel ‘97 definiva l’Europa «irrinunicabile testa di ponte geopolitica» degli Usa, spiegando: con il controllo sull’Ucraina – i suoi 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero – la Russia «otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica».
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Pritchard: Europa alla fame, se l’euro dura ancora 5 anni
Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.Questa strategia assurda non aiuterà nessuno. E la domanda che le leadership devono porsi è: quanto può durare questa situazione senza che ci sia una reazione politica? In Francia e in Italia sta prendendo sempre più piede l’idea che, per salvare il resto del progetto europeo, è necessario pensare ad uno smantellamento coordinato dell’euro. E’ su questo punto che la politica deve iniziare a ragionare in modo costruttivo per evitare future reazioni a catena fuori controllo. Al momento non è utile fare previsioni sul futuro della zona euro, e proverei a ribaltare la questione in questo modo: non bisogna più parlare di rischio di rottura, ma il rischio reale e drammatico è che l’euro possa sopravvivere per altri cinque anni, producendo danni inimmaginabili ai paesi del sud dell’Europa. Il “decennio perso” dell’Europa si concluderebbe poi con uno scenario economico mondiale molto diverso da come era iniziato e l’intero continente vivrebbe totalmente ai margini. Il rischio vero è che l’euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee.In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile è al 46% e questo in una fase di espansione globale. Riflettete su questo: a 5 anni dall’inizio della ripresa globale dopo la crisi Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E’ il tragico risultato delle scelte perseguite all’interno dell’Unione Europea e nella zona euro. Detto in altri termini è l’inevitabile suicidio di scegliere contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive. Questo, perlopiù, in una fase in cui le banche hanno ristretto l’accesso al credito all’economia reale per rispettare i nuovi regolamenti e la contrazione dei prestiti ha portato al fallimento di un numero incredibile di piccole imprese in Italia e in tutta l’Europa del sud. Anche nel Regno Unito abbiamo utilizzato misure di austerità fiscale, ma accompagnate da una grande spinta monetaria e lo stesso è accaduto negli Usa. In Europa si è scelto il suicidio economico di intere nazioni.L’economia italiana si è contratta nel primo trimestre dell’anno. E la ripresa, a differenza di quello che avevano annunciato, semplicemente non sta avvenendo. Lo stesso accade in Olanda, in Portogallo e in Spagna. La sola ragione per cui c’è un’apparente crescita in Spagna è il modo in cui viene ora calcolato il Pil. Un’analisi accurata mostra, tuttavia, come anche Madrid non sta crescendo. E tutti i paesi del sud, in ultima analisi, si stanno contraendo, con la Francia che è in stagnazione. Si tratta di una situazione paradossale, se si ragiona in un quadro di ripresa globale ormai consolidata: se a 5 anni dalla crisi Lehman Brothers, e con un contesto internazionale migliorato, l’economia dell’area euro non è ancora al sicuro e ha ancora una situazione di disoccupazione di massa drammatica e duratura, vuol dire che c’è qualcosa di profondo che non funziona.La contrazione del Pil nominale italiano negli ultimi due anni è un fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto accadere. La riduzione del debito pubblico e privato per i paesi del sud è praticamente impossibile in una situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l’ufficiale del Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno bisogno di un tasso d’inflazione della zona euro al 2% per oltre cinque anni consecutivi. E questo è confermato in una serie di paper del Fmi che hanno sottolineato come la traiettoria del debito sia fuori controllo in un contesto di bassissima inflazione. Se la periferia della zona euro ha “successo” nell’adempiere a quanto prescritto da Bruxelles-Berlino-Francoforte, crea una situazione di svalutazione interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in bancarotta. E’ la conseguenza del “successo”.Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro successo rende la situazione peggiore di quella precedente? Esiste una ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole raggiungere gli obiettivi di politica monetaria e per un periodo così lungo? No, non c’è. Un’inflazione prossima allo zero costa all’Italia il 2,6% del Pil per raggiungere lo stesso obiettivo che potrebbe essere raggiunto se solo la Bce rispettasse gli obiettivi imposti dai trattati. Questa situazione di bassissima inflazione è disastrosa per il futuro economico dell’Italia. Quando Mario Draghi ha lanciato il programma Omt – Outgriht Monetary Transactions – nell’agosto del 2012 è cambiato tutto. L’euro stava per fallire a luglio, con Italia e Spagna che erano in una grande crisi di finanziamento del proprio debito e la moneta unica era molto vicina al collasso. Angela Merkel stava pensando di espellere la Grecia dalla zona euro e solo quando ha accertato che ci sarebbero stati troppi pericoli per il contagio di Italia e Spagna, Berlino ha accettato il piano ideato dal ministero delle finanze tedesco, che si è trasformato poi nel programma Omt.Poche persone hanno compreso bene questa fase storica: non è la Bce, ma la Germania che ha cambiato politica, trasformando l’istituto di Draghi in una prestatore di ultima istanza. Da allora la crisi della zona euro è completamente diversa e non c’è più il rischio che l’euro possa esplodere per un fallimento bancario. Ma bisogna stare attenti perché la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che l’Omt di Draghi rappresenta una violazione dei trattati. Il pericolo sistemico esiste ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi forzare il cambiamento e modificare l’intero progetto.In Gran Bretagna, l’Ukip costringerà il partito conservatore di Cameron – che è personalmente pro-Europa rispetto ad un’ala sempre più influente di Tory che la pensa come l’Ukip – a cambiare posizione, perché il messaggio a Bruxelles nelle ultime elezioni è stato chiaro: il popolo britannico non tollera più una perdita di sovranità continua. Quando in Francia a vincere è un partito che, una volta al potere, vuole – come mi ha confermato Marine Le Pen in un’intervista – ordinare al Tesoro francese di attivarsi per il ritorno immediato al franco, la questione rimane centrale nel dibattito. Come reagiranno ora i gollisti e i conservatori moderati a questo messaggio del popolo francese alle elezioni europee e alla distruzione dell’industria storica francese? Se il Fronte Nazionale dovesse vincere le elezioni, la Francia non rispetterà il Fiscal Comapct e questa ridicola legislazione decisa da Bruxelles. Gli altri partiti non possono più ignorarlo.Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di uscirne; oppure, ad esempio insieme all’Olanda che è in una situazione similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che controllano la politica economica dell’Ue, imponendo il cambiamento in linea con le loro esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest’ultima alternativa, dato che questi paesi non hanno certo il coltello da parte del manico e già in passato Hollande ha fallito nel creare un consenso con i paesi mediterranei. Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio della zona euro sarebbe poi l’opposto, vale a dire un’uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.(Ambrose Evans-Pritchard, dichiarazioni rilasciate ad Alessandro Bianchi per l’intervista “Il vero rischio non è la sua fine, ma che l’euro sopravviva altri cinque anni: le conseguenze sarebbero drammatiche”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” il 4 giugno 2014).Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.
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Tribunale dei Popoli, la valle di Susa si appella al mondo
Sicuri che sia accettabile la legge imposta alla valle di Susa in nome dell’opaco business finanziario chiamato Tav? Sicuri che il trattamento inflitto alla popolazione sia conforme alle prescrizioni dei trattati internazionali? Nel silenzio delle autorità italiane – caduti nel vuoto tutti gli appelli alle istituzioni romane, da Palazzo Chigi al Quirinale – da oggi se ne occuperà il Tribunale Permanente dei Popoli, fondato nel 1979 su iniziativa del senatore Lelio Basso per tutelare i diritti delle genti calpestate dalla storia. L’appello degli amministratori valsusini, che si rivolge a questa prestigiosa tribuna internazionale di giuristi, è stato subito sottoscritto da personaggi mondiali di prima grandezza, da Dario Fo al brasiliano Leonardo Boff, fondatore della teologia della liberazione, dal profeta francese della decrescita Serge Latouche al regista cinematografico inglese Ken Loach, insieme a docenti universitari di tutto l’Occidente. Domanda: il mondo civile può accettare che una popolazione sia maltrattata per vent’anni e costretta a subire una maxi-opera completamente inutile, pericolosa e devastante per il territorio?A firmare l’esposto è Livio Pepino, già alto magistrato italiano, insieme a Sandro Plano, presidente della Comunità Montana, appena rieletto primo cittadino di Susa. Con loro i sindaci dei principali centri della valle, da Avigliana a Bussoleno. Tra i firmatari, celebrità internazionali come l’economista Riccardo Petrella e l’archeologo Salvatore Settis, combattenti per i diritti come Alex Zanotelli, grandi giornalisti del calibro di Paolo Rumiz. Insieme a nomi da sempre accanto alla battaglia civile della valle di Susa – dal professor Marco Revelli al climatologo Luca Mercalli – condividono l’appello al Tribunale dei Popoli la presidente di Emergency Cecilia Strada e popolari vignettisti come Ellekappa e Sergio Staino. Con la valle di Susa si schierano l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici (avvocato Roberto Lamacchia), l’omologa International Association of Democratic Lawyers e la European Association of Lawyers for Democracy & World Human Rights. Aderiscono autorevolissimi magistrati: Domenico Gallo, consigliere presso la Corte di Cassazione, e Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale. Firma anche il giurista Giovanni Palombarini, già procuratore generale aggiunto della Cassazione.Mentre il movimento No-Tav è alla sbarra in seguito agli scontri con la polizia susseguitisi a partire dal 2011 a Chiomonte, sito dell’unico mini-cantiere finora attivato (solo una galleria esplorativa, nulla a che vedere con l’ipotetico traforo ferroviario), i media mainstream e la politica al potere evitano accuratamente, da vent’anni, di accettare la sfida democratica ingaggiata dai valsusini. I tecnici universitari scesi in campo accanto al movimento – centinaia di professori e ingegneri – dimostrano che la grande opera in progettazione è un attentato alla salute (rischio tumori, a causa delle polveri di amianto e uranio), una garanzia di devastazione del territorio (catastrofe abitativa e idrogeologica), un bagno di sangue per il debito pubblico italiano (almeno 20 miliardi di euro, mentre l’Ue ha appena dimezzato il già irrisorio contributo europeo). Sacrifici ritenuti intollerabili, soprattutto per una ragione: la linea Tav italo-francese, destinata alle merci, sarebbe completamente inutile.Il traffico lungo l’asse est-ovest è infatti crollato, e l’attuale linea internazionale valsusina che già collega Torino a Lione è praticamente deserta, nonostante l’Italia abbia recentemente speso 400 milioni di euro per migliorare la capacità del traforo del Fréjus. Il tunnel, tra Bardonecchia e Modane, oggi è in grado di accogliere treni con a bordo Tir e grandi container navali. Secondo la Svizzera, cui Bruxelles ha affidato il monitoraggio dei trasporti alpini, oggi la valle di Susa potrebbe incrementare del 900% il trasporto Italia-Francia. Perché costruire un inutile doppione, costosissimo e da vent’anni avversato dalla popolazione? A rendere particolarmente odiosa la grande opera più contestata d’Italia, il sospetto che l’ombra della mafia si allunghi sulle operazioni di cantiere: i No-Tav hanno inutilmente sottoposto al tribunale di Torino il corposo dossier del Ros inerente l’indagine “Minotauro” sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Piemonte. In base al lavoro antimafia dei carabinieri, i militanti denunciano collegamenti pericolosi tra le cosche del Canavese e alcune imprese coinvolte nei lavori di movimento terra in valle di Susa.Molti aspetti della crisi scoppiata attorno alla Torino-Lione vanno ben oltre la valle di Susa, sostengono i firmatari, che denunciano «questioni di evidente rilevanza generale»: dalle crescenti devastazioni ambientali, «lesive dei diritti fondamentali dei cittadini attuali e delle generazioni future», fino alla «drastica estromissione dalle relative scelte delle popolazioni», anche in violazione di trrattati internazionali come la Convenzione di Aarhus del 1998. Ecco il punto: la valle di Susa è «espressione e simbolo» del grande male odierno, cioè l’esproprio antidemocratico del futuro, sotto forma di «trasferimento a poteri economici e finanziari nazionali e internazionali di decisioni di primaria importanza per la vita di intere popolazioni». I firmatari segnalano «situazioni in cui la violazione dei diritti fondamentali di persone e popolazioni avviene in modo meno brutale di quanto accaduto in altre vicende prese in esame dal Tribunale», che si è occupato delle maggiori tragedie umanitarie, da Timor Est all’Afghanistan. Ma la valle di Susa segna «la nuova frontiera dei diritti a fronte di attacchi che mettono in pericolo lo stesso equilibrio (ecologico e democratico) del pianeta».Ne sono convinti attivisti internazionali di prima grandezza: dal boliviano Oscar Olivera, paladino dell’acqua di Cochabamba, premio Goldman per l’ambiente, alla canadese Laura Westra, presidente dell’Ecological Integrity Group. Con la valle di Susa anche l’olandese Rembrandt Zegers di Greepeace International, lo statunitense David Bollier (Commons Strategy Group per i beni comuni) e il messicano Gustavo Esteva, economista, fondatore dell’Universidad de la Tierra a Oaxaca. Imponente il parterre universitario italiano: Marco Aime (Genova), Gaetano Azzariti, Piero Bevilacqua e Gianni Ferrara (Roma), Luciano Gallino e Angelo Tartaglia (Torino), Tomaso Montanari (Napoli) e Danilo Zolo (Firenze). E poi universitari di mezzo mondo, uniti per la causa valsusina: Weston Burns (Iowa, Usa), Fritjof Capra e Herbert Walther (Vienna), Vito De Lucia (Norvegia), Ugo Mattei (California), Laura Nader (Berkeley), Simon Read (Londra) e Anna Grear (Waikato, Nuova Zelanda). Fortissima anche la presenza dei cattolici latinoamericani, che come Leonardo Boff si sono riavvicinati al Vaticano con il pontificato di Papa Francesco: firmano per la valle di Susa il domenicano brasiliano Frei Betto, il connazionale benedettino Marcelo Barros, celebre biblista e scrittore, e il teologo Waldemar Boff che in Brasile dirige “Água Doce Serviços Populares”.Sicuri che sia accettabile la legge imposta alla valle di Susa in nome dell’opaco business finanziario chiamato Tav? Sicuri che il trattamento inflitto alla popolazione sia conforme alle prescrizioni dei trattati internazionali? Nel silenzio delle autorità italiane – caduti nel vuoto tutti gli appelli alle istituzioni romane, da Palazzo Chigi al Quirinale – da oggi se ne occuperà il Tribunale Permanente dei Popoli, fondato nel 1979 su iniziativa del senatore Lelio Basso per tutelare i diritti delle genti calpestate dalla storia. L’appello degli amministratori valsusini, che si rivolge a questa prestigiosa tribuna internazionale di giuristi, è stato subito sottoscritto da personaggi mondiali di prima grandezza, da Dario Fo al brasiliano Leonardo Boff, fondatore della teologia della liberazione, dal profeta francese della decrescita Serge Latouche al regista cinematografico inglese Ken Loach, insieme a docenti universitari di tutto l’Occidente. Domanda: il mondo civile può accettare che una popolazione sia maltrattata per vent’anni e costretta a subire una maxi-opera completamente inutile, pericolosa e devastante per il territorio?
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I leader Ue sono marci: tangenti da 120 miliardi l’anno
L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.Le forme di tale corruzione devono ancora trovare una tassonomia sistematica. C’è la corruzione pre-elettorale: il finanziamento di persone e partiti da fonti illegali – o legali – contro la promessa, esplicita o tacita, di futuri favori. C’è la corruzione post-elettorale: l’uso delle cariche per ottenere fondi mediante malversazioni sulle entrate o mazzette sui contratti. C’è l’acquisto di voci o voti nei parlamenti. C’è il furto puro e semplice dalle casse pubbliche. C’è la falsificazione di credenziali per vantaggi politici. C’è l’arricchimento dalla carica pubblica dopo l’evento, così come durante o prima di esso. Il panorama di questa malavita è impressionante. Un affresco di esso potrebbe cominciare con Helmut Kohl, governante della Germania per sedici anni, che accumulò due milioni di marchi di fondi neri da donatori illegali i cui nomi, quando fu denunciato, rifiutò di rivelare per timore che venissero alla luce i favori che aveva fatto loro. Oltre il Reno, Jacques Chirac, presidente della Repubblica Francese per dodici anni, fu condannato per appropriazione di fondi pubblici, abuso di ufficio e conflitti d’interesse, una volta caduta l’immunità. Nessuno dei due ha subito pene. Questi erano due dei più potenti politici dell’epoca in Europa.In Germania il governo di Gerhard Schroeder garantì un prestito da un miliardo di euro alla Gazprom per la costruzione di un gasdotto sul baltico poche settimane prima che egli si dimettesse da cancelliere e andasse a libro paga della Gazprom con uno stipendio maggiore di quello che aveva ricevuto governando il paese. Dopo la sua partenza, Angela Merkel ha visto due presidenti della repubblica, uno dietro l’altro, costretti a dimettersi da screditati: Horst Koehler, ex capo del Fmi, per aver spiegato che il contingente della Bundeswehr in Afghanistan stava proteggendo interessi commerciali tedeschi; e Christian Wulff, ex capo cristiano-democratico della Bassa Sassonia, per un prestito discutibile ricevuto da un affarista amico per la sua casa. Due ministri eminenti, uno della difesa e l’altro dell’istruzione, hanno dovuto andarsene quando sono stati privati dei loro dottorati – una credenziale importante per una carriera politica nella Repubblica Federale – per violazione dei diritti di proprietà intellettuale. Quando il secondo, Annette Schavan, un’intima amica della Merkel (che aveva manifestato piena fiducia in lei) era ancora in carica, il “Bild Zeitung” ha osservato che avere un ministro dell’istruzione che aveva falsificato le sue ricerche era come avere un ministro delle finanze con un conto segreto in Svizzera.In Francia il ministro socialista del bilancio, il chirurgo plastico Jérôme Cahuzac, la cui direttiva era di difendere la probità e l’equità fiscale, è stato scoperto detenere qualcosa tra i 600.000 e i 15 milioni di euro in depositi segreti in Svizzera e a Singapore. Nicolas Sarkozy, nel frattempo, è accusato da testimoni concordi di aver ricevuto circa 20 milioni di dollari da Gheddafi per la campagna elettorale che lo portò alla presidenza. Christine Lagarde, il suo ministro delle finanze, che oggi dirige il Fmi, è sotto inchiesta per il suo ruolo nella concessione di 420 milioni di dollari di ‘risarcimento’ a Bernard Tapie, un ben noto truffatore con un passato in carcere, negli ultimi tempi amico di Sarkozy. Contiguità disinvolta con la criminalità è bipartisan. François Hollande, attuale presidente della repubblica, usava come pied-à-terre per gli incontri con la sua amante un appartamento della donna di un gangster corso, ucciso l’anno scorso in una sparatoria sull’isola.In Gran Bretagna, circa nello stesso periodo, l’ex premier Blair consigliava a Rebekah Brooks, che rischiava il carcere per cinque accuse di cospirazione criminale («Sii forte e prendi pastiglie per dormire. Passerà») e la sollecitava a «pubblicare un rapporto in stile Hutton», come aveva fatto lui per sterilizzare qualsiasi parte il suo governo potesse aver avuto nella morte di una fonte interna che aveva fatto rivelazioni sulla sua guerra in Iraq: un’invasione dalla quale ha poi proseguito a raccogliere – naturalmente per la sua Fondazione Faith – mance e contratti assortiti in giro per il mondo, considerevoli fondi in contanti da una compagnia petrolifera della Corea del Sud gestita da un delinquente condannato con interessi in Iraq e presso la dinastia feudale del Kuwait. Quali ricompense possa essersi guadagnato più a est resta da vedere («I progressi del Kazakistan sono splendidi. Comunque, signor Presidente, lei ha toccato nuovi vertici nel suo messaggio alla nazione». Alla lettera.).In patria, in uno scambio di favori a proposito dei quali ha mentito compuntamente al Parlamento, le sue mani sono state unte da un milione di sterline versate alle casse del partito dal magnate delle corse automobilistiche Bernie Ecclestone, attualmente sotto giudizio in Baviera per tangenti al ritmo di 33 milioni di euro. Nella cultura del New Labour, figure di spicco della cerchia di Blair, ministri di gabinetto un tempo – Byers, Hoon, Hewitt – non sono stati in grado di offrirsi in vendita al successore. Negli stessi anni, indipendentemente dal partito, la Camera dei Comuni è stata denunciata come un pozzo nero di meschine malversazioni di denaro dei contribuenti. In Irlanda, contemporaneamente, il leader del Fianna Fàil, Bertie Ahern, avendo canalizzato più di 400.000 euro di pagamenti non spiegati prima di diventare “taioseach”, si è votato lo stipendio più elevato di qualsiasi premier in Europa – 310.000 euro, più persino del presidente degli Stati Uniti – un anno prima di doversene andare con disonore per assoluta disonestà.In Spagna l’attuale primo ministro, Mariano Rajoy, alla guida di un governo di destra, è stato colto con le mani nel sacco mentre riceveva mazzette per contratti di costruzione e di altro genere per un totale di un quarto di milione di euro nel giro di un decennio, passategli da Luis Bàrcenas. Tesoriere del suo partito per vent’anni, Bàrcenas è oggi sotto arresto per aver accumulato un tesoro di 48 milioni di euro in conti svizzeri non dichiarati. I libri mastri, compilati a mano, contenenti i dettagli dei suoi versamenti a Rajoy e ad altri notabili del Partito del Popolo – tra cui Rodrigo Rato, altro ex capo del Fmi – sono apparsi in facsimile in abbondanza sulla stampa spagnola. Una volta scoppiato lo scandalo Rajoy ha inviato a Bàrcenas un messaggio con parole virtualmente identiche a quelle di Blair alla Brooks: «Luis, io capisco. Resta forte. Ti chiamerò domani. Un abbraccio». Pur con uno scandalo in cui l’85% del pubblico spagnolo ritiene che egli menta, resta incollato alla poltrona nel Palazzo della Moncloa.In Grecia, Akis Thochatzopoulos, del Pasok – ministro, in successione, dell’interno, della difesa e dello sviluppo – in un’occasione arrivato a un soffio dalla guida della socialdemocrazia greca, è stato meno fortunato: condannato l’autunno scorso a vent’anni di carcere per una formidabile carriera di estorsioni e di riciclaggi di denaro sporco. Oltre il mare Tayyip Erdogan, a lungo celebrato dai media e dall’establishment intellettuale dell’Europa come il più grande statista democratico della Turchia, la cui condotta ha virtualmente dato al paese il titolo di membro onorario della Ue ante diem, ha dimostrato di essere meritevole di essere incluso nei ranghi della dirigenza europea in un altro modo: in una conversazione registrata in cui dava al figlio istruzioni su dove nascondere decine di milioni in contanti, in un’altra in cui alzava il prezzo di una robusta tangente su un contratto di costruzioni. Tre ministri del governo sono caduti dopo scoperte analoghe, prima che Erdogan purgasse le forze della polizia e della magistratura per assicurarsi che non si spingessero oltre.Mentre egli faceva questo la Commissione Europea ha pubblicato il suo primo rapporto ufficiale sulla corruzione nell’Unione, la cui dimensione il commissario autore del rapporto l’ha descritta come “mozzafiato”: secondo una stima prudente, costa alla Ue quanto l’intero bilancio dell’Unione, circa 120 miliardi l’anno, ma la cifra reale è «probabilmente molto più alta». Prudentemente il rapporto si è occupato solo degli stati membri. La stessa Ue, la cui intera Commissione fu costretta in tempi non lontani a dimettersi screditata, è stata esclusa (la Commissione Santer fu costretta a dimettersi nel 1999 per accuse di corruzione contro alcuni suoi membri). Diffuso in un’Unione che si presenta come tutore morale del mondo, l’inquinamento del potere ad opera del denaro e della frode deriva dallo svuotamento di sostanza o dalla caduta del coinvolgimento nella democrazia. Le élite, liberate sia da una reale divisione in alto sia da un significativo dovere di rispondere in basso, possono permettersi di arricchirsi alla follia e impunite. La denuncia cessa di contare molto, poiché l’impunità diviene la regola. Come i banchieri, i politici di spicco non finiscono in carcere.Ma la corruzione non è solo una funzione del declino dell’ordine politico. E’ anche, ovviamente, un sintomo del regime economico che si è impossessato dell’Europa a partire dagli anni ’80. In un universo neoliberista dove i mercati sono il metro del valore, il denaro diventa, più platealmente che mai, la misura di tutte le cose. Se ospedali, scuole e carceri possono essere privatizzati a fini di profitto delle imprese, perché non anche le cariche politiche? Oltre alla ricaduta culturale del neoliberismo, tuttavia, vi è l’impatto del sistema socio-economico, la terza e, nell’esperienza del popolo, di gran lunga più acuta delle malarie che affliggono l’Europa. Che la crisi economica scatenate in occidente nel 2008 sia stata il risultato di decenni di liberalizzazioni nel settore finanziario e di espansione del credito lo ammettono, più o meno, i loro stessi architetti; si veda Alan Greenspan. Collegate oltre Atlantico, le banche e le attività immobiliari europee erano già coinvolte nel disastro tanto quanto le loro omologhe statunitensi. Nella Ue, tuttavia, questa crisi generale è stata aggravata da un altro fattore peculiare dell’Unione, le distorsioni create dalla moneta unica imposta a economie nazionali molto diverse tra loro, spingendo le più vulnerabili di esse sull’orlo della bancarotta quando sono state colpite dalla crisi generale.(Perry Anderson, estratto dall’intervento “Il disastro italiano”, pubblicato da “Sinistra in rete” il 29 maggio 2014).L’Europa è malata. Quanto gravemente è questione non sempre facile da giudicare. Ma tra i sintomi ce ne sono tre di cospicui, e interrelati. Il primo, e più familiare, è la svolta degenerativa della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della Ue è a un tempo la causa e la conseguenza. Lo stampo oligarchico delle sue scelte costituzionali, a suo tempo concepite come impalcatura di una sovranità popolare a venire di scala sovranazionale, nel tempo si è costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente sovvertiti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le cui idee sono disdegnate dalle élite rigettano i governi che nominalmente li rappresentano, l’affluenza alle urne cala di elezione in elezione. Burocrati che non sono mai stati eletti controllano i bilanci dei parlamenti nazionali espropriati del potere di spesa. All’involuzione generalizzata si è accompagnata una corruzione pervasiva della classe politica, argomento su cui le scienze politiche, parecchio loquaci a proposito di quello che nel linguaggio dei contabili è definito il deficit democratico dell’Unione, solitamente tacciono.
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Farsi votare dalle proprie vittime: il capolavoro di Renzi
Le elezioni del 25 maggio sono state un mega-sondaggio sul rapporto che i cittadini d’Europa intrattengono con l’Unione Europea, lo Stato multinazionale in costruzione al di fuori di ogni loro possibile controllo: tutto infatti resta affidato alla concertazione intergovernativa, quindi dei paesi economicamente più forti, ma soprattutto alla pressione dei “mercati”. Il sondaggio, scrive Dante Barontini su “Contropiano”, ha mostrato un continente diviso in “nazioni”, preoccupato del futuro dipinto dai tecnocrati di Bruxelles e – per mancanza di alternative chiare – tentato dal semplice ritorno al nazionalismo. «Lo avevano in qualche modo dimostrato le campagne elettorali di tutti i partiti, in ogni paese, incentrate esclusivamente sui problemi e le dinamiche interne, anziché su quelle comunitarie. Gli unici paesi relativamente stabili sono la Germania, come ampiamente previsto, e l’Italia renziana (molto a sorpresa)». L’Europa non c’è come “spirito pubblico”: esiste solo una Unione Europea «arcigna custode di regole e conti che non tornano più».La retorica europeista degli spot istituzionali sulla libera circolazione delle persone (studenti, professionisti, imprese, turisti) dimenticava completamente i disastri materiali provocati sia dalla crisi. «Le preoccupazioni espresse immediatamente da Barroso (presidente uscente della Commissione) sono ben più realistiche dell’ottimismo di facciata sparso dai media mainstream italiani», scrive Barontini. «Con le politiche fin qui adottate, la “costruzione europea” è a rischio». Quella costruzione aveva due pilastri fondamentali, Francia e Germania. «La prima è in frantumi, avendo subito tutti gli svantaggi della costruzione comune; la seconda è relativamente stabile solo perché ha beneficiato in modo clamoroso della sua posizione “centrale” sul piano produttivo, manifatturiero, finanziario e monetario». Se a Berlino c’è solo qualche scricchiolio, il 7% dei centristi no-euro di Afd, Alternative fur Deutschland, dagli altri paesi – anche senza calcolare la evidente fuga transatlantica della Gran Bretagna – sono arrivati segnali univoci: così non si va avanti.Quasi ovunque, i governi in carica hanno pagato dazio alle misure di austerità «imposte a schiaffi, ricatti e manganellate in piazza». Le contromisure, da spacciare come “riforme” dei trattati europei, sono già in via di definizione. «È più che probabile un innalzamento di alcuni dei parametri di Maastricht (in primo luogo quel ridicolo 3% nel rapporto tra deficit e Pil)», aggiunge “Contropiano”, «ma intanto si è approvato un trucco statistico-contabile di immense proporzioni: da ottobre di quest’anno tra i fattori economici validi per il calcolo del Pil di un paese saranno compresi anche “attività economiche” come la prostituzione, lo spaccio di droga e il contrabbando». Una dose incredibile di droga “statistica”, dice Barontini, per un paese come l’Italia, dove queste voci sono stimate intorno al 27% del Pil (senza calcolare le ricadute da “indotto” su buona parte dell’economia sommersa). Truccati i conti, «resta il problema di far pagare le tasse alle varie mafie e ai “papponi”, ma basterà attingere alle legislazioni di altri paesi Ue per raccogliere qualche risultato “vendibile” al grande pubblico». L’alterazione contabile – che alleggerisce di colpo il rapporto deficit-Pil – è un “regalo” dell’Unione Europea che però a Bruxelles non costerà nulla, e serve ad evitare il costo (insostenibile) del “salvataggio” di paesi come l’Italia.Sul piano politico, da noi «è in corso un’operazione reazionaria assai più complessa, quasi da manuale». Il governo Renzi? «Era troppo recente per poter essere riconosciuto colpevole delle peggiorate condizioni di vita e lavoro». Così, «nonostante la sua perfetta continuità con i governi precedenti – sia “politici” che “tecnici” – ha giocato con spregiudicatezza la carta della “rottamazione” delle vecchie facce dell’establishment per mantenere al posto di comando esattamente gli stessi assetti di potere». Un’operazione di chirurgia estetica, continua Barontini, fondata su uno sforzo comunicativo eccezionale per dimensioni, intensità, capacità innovativa. «Sembra l’eterno ritorno del pessimo destino italiota: tutto deve cambiare perché tutto resti uguale». Una parte considerevole del blocco sociale ex berlusconiano «ha piantato le tende in campo renziano, dando dimensioni “eccezionali” a una vittoria giocata sullo stesso campo degli avversari più temuti, i grillini: stesso “tutti a casa”, stesso giovanilismo esteriore, stesse incompetenze messe davanti alle telecamere». Ma l’operazione-Renzi è stata gestita con «una regia ferrea, “rassicurante”, di potere e per il potere, con un progetto chiaro (le riforme anticostituzionali e la dissoluzione delle regole del mercato del lavoro, la blindatura della rappresentanza politica e sidacale)», mentre Grillo è apparso «ondivago e verboso», e così «ha conquistato meno cuori di quante menti è riuscito a inquietare», relegando nell’astensionismo molti ex supporter.Domanda: come mai, solo in Italia, il precipitare della crisi e l’esplosione del malessere non si traducono in una solenne bocciatura del governo e del regime Ue? Premesse: c’è da fare i conti con una struttura sociale opaca, incluso quel 27% di Pil-fantasma. Inoltre, «buona parte della popolazione mette ancora insieme redditi “spurii”, cioè provenienti da fonti diverse: case di proprietà, risparmio investito in titoli di Stato, lavoro nero che affianca quello ufficiale». C’è anche una notevole “flessibilità” comportamentale, che permette di adottare strategie di sopravvivenza articolate, dalla “riscoperta della coabitazione” all’utilizzo dei pensionati come ammortizzatore sociale familiare. «Di fatto – sottolinea Barontini – la crisi ha fin qui “asfaltato” in modo selettivo», colpendo soprattutto i percettori di un solo reddito. Persone che si sentono isolate, e faticano a coalizzarsi: «Una condizione che istiga al suicidio, più che alla lotta, mentre nella maggioranza della popolazione che stringe la cinghia prevale ancora un atteggiamento alla “io speriamo che me la cavo”, dove la riduzione delle entrate è affrontata con la contrazione dei consumi e l’erosione del “patrimonio”».Se così è, prosegue “Contropiano”, la stessa forza politica di Renzi è altamente volatile: «Regge sulla eventuale disponibilità tedesca ad allentare alcuni parametri e su questo fronte potrà farsi forte della debolezza francese (e spagnola). Si glorierà del miglioramento statistico dei conti truccati. Ma resta in balia di una crisi globale che non passa e che sta per celebrare l’ingresso nell’ottavo anno consecutivo». Di sicuro, il “nuovo” potere «andrà avanti come un treno inarrestabile, o almeno ci proverà: il “semestre europeo” a guida Renzi è da questo punto di vista sia un banco di prova sia un’assicurazione contro “nervosismi” interni al blocco dominante». Servirebbe un contro-semestre ispirato a un’opposizione radicale: «Un’epoca è definitivamente chiusa», conclude Barontini. «Siamo già in un contesto post-costituzionale e ben poco “democratico”». Per i movimenti sociali si avvicina la tolleranza zero, a meno che non sappiano – ora o mai più – costruire un’allenza capace di contrastare il disegno egemonico che si nasconde dietro la maschera di Renzi.Le elezioni del 25 maggio sono state un mega-sondaggio sul rapporto che i cittadini d’Europa intrattengono con l’Unione Europea, lo Stato multinazionale in costruzione al di fuori di ogni loro possibile controllo: tutto infatti resta affidato alla concertazione intergovernativa, quindi dei paesi economicamente più forti, ma soprattutto alla pressione dei “mercati”. Il sondaggio, scrive Dante Barontini su “Contropiano”, ha mostrato un continente diviso in “nazioni”, preoccupato del futuro dipinto dai tecnocrati di Bruxelles e – per mancanza di alternative chiare – tentato dal semplice ritorno al nazionalismo. «Lo avevano in qualche modo dimostrato le campagne elettorali di tutti i partiti, in ogni paese, incentrate esclusivamente sui problemi e le dinamiche interne, anziché su quelle comunitarie. Gli unici paesi relativamente stabili sono la Germania, come ampiamente previsto, e l’Italia renziana (molto a sorpresa)». L’Europa non c’è come “spirito pubblico”: esiste solo una Unione Europea «arcigna custode di regole e conti che non tornano più».
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Votiamo chi ci spolperà: siamo un paese di imbecilli?
«Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali». Così il Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Citazione perfetta, secondo Rosanna Spadini, per fotografare lo sconcertante voto italiano delle europee, che trasformano l’incolore Pd neoliberista nel primo partito europeo, ufficialmente ancora “di sinistra” benché renziano e ligio ai diktat della destra economica euro-atlantica, prontissimo anche ora alle larghe intese a Bruxelles coi popolari della Merkel e del navigato tecnocrate lussemburghese Juncker, ennesima controfigura del super-potere antidemocratico diretto dalla Troika.«Io però non credo all’esito di queste elezioni», protesta Spadini. «Non credo che gli italiani possano essere così imbecilli da rifiutare il cambiamento, o comunque barattarlo con un voto di scambio degli 80 euro. Non credo che siano state elezioni pienamente libere e democratiche, perché garantite da una casta politica che usa le garanzie solo per sé».La dissonanza dell’Italia è dolorosa, preoccupante. In Francia, il Front National di Marine Le Pen conquista il 25% e demolisce il socialista Hollande, in Spagna crollano i due grandi partiti del bipolarismo iberico, popolari e Psoe, che dimezzano la loro rappresentanza europea. E mentre in Gran Bretagna lo Ukip di Farage diventa primo partito stracciando il prenier Cameron relegato in terza posizione, in Grecia, con Syriza, Tispras arriva al 26,7%, staccando di quattro punti il partito del premier Antonis Samaras. «Che cos’ha l’Italia per essere diversa?». La mancanza di alternative credibili? Grillo ambiguo sull’euro? Non basta: con una posizione più netta sulla moneta unica, il M5S avrebbe recuperato «i 3 punti che sono andati alla Lega» e si sarebbe fermato a quota 24-25%, quella del febbraio 2013. Bravo Salvini, certo: ha «riesumato un partito-spazzatura», corresponsabile «di tutte le nefandezze euriste che hanno saccheggiato il paese», compresi «tutti i trattati-capestro europei che stanno trasformando l’Italia in economia da terzo mondo».«Oggi – continua Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’Italia ha perso tutte le proprie sovranità, quella monetaria con l’introduzione dell’euro, quella economica con la legge del divorzio tra il Tesoro e Bankitalia (Ciampi-Andreatta, 1981) e quella politica, da quando nel 2011 il governo Berlusconi è stato silurato dal “golpe bianco” dello spread e sostituito da “governi oligarchici” impostici da quei poteri finanziari che hanno commissariato l’Italia e la spolperanno fino all’osso. Io non credo – continua Spadini – che gli italiani abbiano capito cosa sta succedendo a loro e al loro paese, mentre il governo Renzi proseguirà nel progetto di svendita dei gioielli di Stato (Eni, Enel, Finmeccanica) alle lobby finanziarie straniere, e nella realizzazione del suo piano di lavoro Jobs Act, che precarizzerà a vita il lavoro delle giovani generazioni – se ne troveranno uno e retribuito decentemente». Gli italiani? «Non hanno capito la nuova proposta politica del M5S, un movimento di cittadini che si fanno Stato, cittadini comuni entrano nelle istituzioni, ma solo per due mandati».Una forma di democrazia diretta, quella dei 5 Stelle, che «risponde benissimo alle sfide del nostro tempo e si adatta perfettamente alla società dei consumatori, dove i grandi apparati politici si sono sgretolati sotto il crollo delle ideologie, dove le grandi fabbriche si stanno dissolvendo a vista d’occhio sotto i colpi della globalizzazione (vedi Fiat)». Il Movimento 5 Stelle non sparirà facilmente: «Si è confermato comunque come prima forza politica di opposizione e seconda forza in Italia», quindi «continuerà a restituire i soldi dello stipendio e a rifiutare i rimborsi elettorali, a difendere la Costituzione, i giovani dal precariato e gli imprenditori da Equitalia», mentre il Pd confluirà nel Partito Socialista Europeo che ha già annunciato che si alleerà con il Ppe della Merkel e di Berlusconi – possibile che gli elettori Pd non se ne siano “accorti”? Più facile, invece, che nel frattempo sparisca l’Italia, «condannata al declino inesorabile stabilito dagli oligarchi». E’ un destino di terzomondizzazione, «sancito da quelle lobby finanziarie che pilotano Renzi and company: l’Italia è destinata a diventare un’economia da terzo mondo – anzi, se vogliamo culturalmente lo è già, perché così ha stabilito il vero potere».«Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali». Così il Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Citazione perfetta, secondo Rosanna Spadini, per fotografare lo sconcertante voto italiano delle europee, che trasformano l’incolore Pd neoliberista nel primo partito europeo, ufficialmente ancora “di sinistra” benché renziano e ligio ai diktat della destra economica euro-atlantica, prontissimo anche ora alle larghe intese a Bruxelles coi popolari della Merkel e del navigato tecnocrate lussemburghese Juncker, ennesima controfigura del super-potere antidemocratico diretto dalla Troika.«Io però non credo all’esito di queste elezioni», protesta Spadini. «Non credo che gli italiani possano essere così imbecilli da rifiutare il cambiamento, o comunque barattarlo con un voto di scambio degli 80 euro. Non credo che siano state elezioni pienamente libere e democratiche, perché garantite da una casta politica che usa le garanzie solo per sé».
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De Iulio: e adesso i padroni di Renzi ci faranno a pezzi
«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».Campane a morto per la nostra democrazia in via di avanzata rottamazione, dall’abolizione del Senato al micidiale Italicum che impedisce agli elettori di selezionare i propri dirigenti. «Nessuna reale opposizione allo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali e allo strapotere delle lobby del petrolio e del carbone», continua De Iulio. «Nessuna reale possibilità si salvaguardare lo “stato sociale” a garanzia dei cittadini, destinato a soccombere definitivamente sotto i colpi di machete del (neo)liberismo. Niente. Niente di niente. Soltanto chiacchiere e distintivo». E’ il seppellimento di qualsiasi possibile alternativa democratica: con o senza «le stampelle offerte da Alfano, i baci di giuda di Berlusconi e l’appoggio “responsabile” di altri possibili compagni di merende», il Pd renziano ormai rappresenta «il tentativo riuscito di dare vita a una nuova grande forza di centrodestra, capace di mettere insieme i potentati e le tante forze conservatrici di questo nostro martoriato paese, con buona pace della vecchia Democrazia Cristiana».De Iulio è pessimista: non vede nessuna reale possibilità che la politica uscita dalle urne delle europee possa «anche soltanto lontanamente provare a cambiare veramente le cose, a invertire la rotta», per evitare «la catastrofe sociale che ci attende», e che è già abbondantemente cominciata. Gli ominicchi della politica italiana? «Riciclati, invece che rottamati: una palude nefasta». Frammentate le opposizioni, sotto il 4% “Fratelli d’Italia”, isolata la Lega di Salvini. Tsipras, comunque tiepido sull’euro, si è fermato sull’orlo dell’esclusione, mentre l’iper-favorito Grillo – nonostante il programma che prometteva un referendum sulla moneta unica e il rituale “no al Fiscal Compact” – ha preferito concentrarsi sui piccoli ladri dell’Expo di Milano, anziché sui grandi ladri della nostra democrazia, che siedono a Bruxelles e a Francoforte, a Washington e a Wall Street, senza peraltro proferire verbo sulla catastrofica crisi dell’Est Europa, che mette in pericolo il futuro di tutti. Onestamente: «Occasione persa? Sì».«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».