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La vera storia della fine di Craxi e l’euro-rovina dell’Italia
L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino. Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco. Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pernsate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.Tutto questo costo dove viene trasferito? Nel finanziamento illecito. Che invece di essere un fenomeno sopportabile perché residuale al grosso del finanziamento della politica, diventa un dramma, perché tutto costa il triplo. E come reagisce il sistema italiano a tutto questo? Non reagendo. Cioè, invece di capire che deve correre ai ripari, si fa cogliere di sorpresa. Da che cosa? Da una casta, che era stata toccata nei suoi interessi, e reagiva: era la casta dei magistrati. Dopo il caso Tortora, e dopo aver cercato più volte di prendere il sopravvento sulla politica – ma non ci riusciva, perché allora c’erano delle garanzie come l’immuità parlamentare, dei limiti al suo potere – i magistrati sferrano l’attacco di Tangentopoli avendo diversi obiettivi. Il primo, la reazione di casta al referendum che Craxi gli aveva fatto, sulla responsabilità dei magistrati – referendum vinto ma non eseguito, perché in quel rederendum si aboliva il fatto che i magistrati non rispondessero nei loro errori. E i magistrati allora hanno preteso, tramite i due maggiori partiti e mettendo in minoranza Craxi, che invece, pur riconosciuti responsabili dei loro errori, non li pagassero – né sul piano della carriera, né sul piano economico.L’attacco sferrato con Tangentopoli aveva un primo obiettivo: far cadere l’immunità parlamentare, che aveva sempre frenato l’attacco della magistratura. Bisognava poterli arrestare, i politici. Bisognava poter adoperare la carcerazione preventiva, in quella maniera, per poi stabilire il predominio, l’abuso. La carcerazione preventiva (obbligatoria per reati come omicidio e rapina) è prevista se c’è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Viceversa, la carcerazione preventiva non si può applicare, perché “nulla pena sine condanna”, niente pena senza prima una condanna, non del pubblico ministero ma del giudice. Pensate che nel 1994 la Cassazione, per salvare tre mandati di cattura assolutamente illegittimi di Di Pietro, fece una sentenza di questo tipo, a sezioni unite: la custodia cautelare è sempre giustificata se l’imputato non confessa. E’ come il famoso comma 22 del codice militare tedesco nazista, che diceva: chi è pazzo può chiedere di essere esentato dal servizio militare, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo. E’ la legge perfetta, perché il cerchio si deve chiudere.La custodia cautelare sempre giustificata se l’imputato non confessa? Di fronte a una sentenza di questo tipo, uno si deve chiedere qual è l’utilità del processo. In Italia, la custodia cautelare viene adoperata per scopi istruttori o per anticipare la pena. Ormai, il reato del politico che ruba è diventato odioso, agli italiani. Tant’è vero che gli italiani, da decenni, accettano dei politici incapaci, purché non rubino. Pensate a quanto stareste meglio se aveste dei politici capaci, che rubano. Il problema di uno che fa un lavoro è che sia bravo, non che sia onesto. Onesto è una conseguenza dell’essere bravo. Scipione l’Africano fu condannato per corruzione. In ogni posto del mondo vedo politici che vanno sotto processo: è giusto che vengano condannati, è giusto che vadano in galera. Quello che non è giusto è che vengano utilizzati dalla comunicazione per far passare sotto silenzio delle altre cose. Il problema di uno Stato che non funziona non è la corruzione. Non è il politico disonesto: è l’incapacità. Perché una persona anche onesta, ma incapace, lo Stato lo fa andare a rotoli lo stesso. Oggi pretendono che non ci siano pregiudicati. Io la metterei in altri termini: non devono esserci persone condannate che non hanno scontato la pena.In uno Stato laico, una volta che hai scontato la pena, tu il debito con la società l’hai pagato. Devi scindere il piano etico, pure importante, dal piano pratico: la giustizia deve funzionare. E la giustizia non va avanti sulla verità, va avanti su un fatto convenzionale che si chiama verità processuale, che non è necessariamente la verità. Ma l’azione di Mani Pulite aveva un bersaglio principale, che era Craxi, perché Craxi aveva detto di voler fare parecchie cose. Per esempio, nazionalizzare la Banca d’Italia. E di chi è la Banca d’Italia? E’ delle banche. E le banche di chi sono? Finanza massonica e finanza cattolica. Ma c’è un altro problema: la Banca d’Italia, all’epoca, era il controllore delle porcate che facevano questi, che erano controllati e controllori: erano i proprietari della Banca d’Italia, che avrebbe dovuto controllarli. Quindi, Craxi si mette contro un bel po’ di nemici. Si mette contro il potere bancario, forse il potere tout-court. Si mette contro i preti, perché vuole riformare pure i Patti Lateranensi – sapete come sono i preti: finché uno gli bestemmia davanti, gli danno 25.000 pater noster, ma gli vuoi far pagare le tasse s’incazzano.Dopodiché si scopre, tramite il caso Gelli, che Craxi finanziava Arafat. Perché i famosi 2 miliardi che Craxi dice a Martelli di prendere da Gelli e di versare sul “Conto Protezione”, cosa che non vi dicono, un minuto dopo sono stati presi da Craxi per darli ad Arafat, cioè ai palestinesi. E’ sottile il confine tra terrorismo e insurrezione: Pietro Micca che fa saltare mezza Torino mettendo le bombe nei sotterranei per noi è un patriota, mentre un terrorista palestinese è un terrorista. Pietro Micca lottava per la sua terra, perché l’Italia fosse unita; i palestinesi perché esista una Palestina: uno ha messo le bombe ed è un eroe, quegli altri mettono le bombe e per noi sono dei mascalzoni. Ricordiamoci dell’Achille Lauro, e qui c’è un’altra cosa che non vi dicono: l’operazione Achille Lauro era mirata a colpire il Mossad decapitando il “B’nai Brit”, la massoneria ebraica, che ha le caratteristiche di tutte le massonerie: come la massoneria americana funziona in stretta alleanza con la Cia, il “B’nai Brit” è la parte segreta dei servizi israeliani, cioè del Mossad. Il capo dei “B’nai Brit” – e questo è quello che non vi dicono – era quel signore sulla sedia a rotelle che i palestinesi buttarono giù dalla nave. Si chiamava Leon Klinghoffer. I giornali scrissero che la vittima era un povero paralitico, ma non dissero chi era veramente.Tornando a Craxi: fin qui si è inimicato le banche, i cattolici, gli ebrei; poi dà parere negativo al riconoscimento dei comunisti nell’Internazionale Socialista; poi Reagan gliela giura, perché a Sigonella ha mandato i carabinieri a puntare le armi sui marines (per proteggere il commando palestinese dell’Achille Lauro), quindi ha contro anche gli americani, e parte della massoneria: perché Spadolini, che era uno dei capi della massoneria italiana, era dell’opinione che bisognasse aiutare Reagan, e quando chiese alla massoneria ufficiale di prendere posizione, e la massoneria non lo fece, Spadolini si mise “in sonno”, e trasformò Craxi in un problema anche per la massoneria. A quel punto, Craxi era uno che non poteva attraversare la strada neanche sulle strisce pedonali. Per cui, nel momento in cui la magistratura fa sapere che sta per fottere Craxi – e qui trovate traccia di quei famosi incontri dei servizi segreti con Di Pietro e gli americani – ognuno ci mette del suo per darle una mano. Così, Craxi finisce ad Hammamet.Ad Hammamet, Craxi ci finisce anche per un uleriore motivo: era antipatico. La sua principale sconfitta? Non essere riuscito a superare il 15%. Alla gente stava sulle palle. Qui non c’erano complotti: Craxi non sfondava sul piano del consenso popolare – poi bisognerebbe interrogarsi sulla qualità di un popolo che vota Berlusconi e non Craxi. In ogni caso, visto che più del 12-13% non otteneva, Craxi ha perso anche per colpa sua: se fosse stato più forte, questa facilità nel farlo fuori non ci sarebbe stata. Resta però un fatto: c’era stata una riunione su una bellissima barca inglese parcheggiata vicino a Roma, ad Anzio, in cui si erano incontrate dieci, quindici, venti persone, e avevano deciso che l’Italia stava diventando troppo forte, con Craxi. L’Italia era arrivata tra i primi 5 soggetti economici del mondo. Aveva fatto la richiesta ufficiale per fare il G5; esisteva il G7 e adesso c’è il G4, fatto apposta per escludere l’Italia che voleva il G5. Soprattutto, siccome era stata decisa dalla finanza internazionale l’operazione euro, in Italia serviva una persona che avesse un’ampia disponibilità a “mettersi a 90 gradi”, e questa persona non era Craxi.Un minuto dopo che hanno fatto l’euro, Craxi ha dichiarato alle telecamere che l’euro sarebbe stato una sciagura. Lo sapeva anche prima. Ma lo sapevano anche loro, che se andava Craxi – e non Prodi – a rappresentare l’Italia, non sarebbe mai passato quel tasso di cambio euro-lira. Non ce l’avrebbero mai fatta, a imporcelo. Mai. Dunque il problema era questo, e l’operazione è andata a buon fine. E, facendo l’operazione Craxi, sono stati regolati anche altri conti: i vecchi conti Sindona, Gelli, Calvi. Soprattutto, tutti quei paraculi della Dc che pensavano che facessero fuori solo Craxi e non anche loro, hanno dovuto pagare dazio. Chi non ha pagato? I comunisti, che hanno fatto passare la teoria che Greganti fosse un ladro, e loro non c’entrassero niente. Sapete chi l’ha fatta, quell’operazione? Un magistrato che è morto, Gerardo D’Ambrosio, che poi è diventato senatore dell’ex Pci. Siccome un altro giudice, Tiziana Parenti, voleva mettere in galera mezzo Partito Comunista, come vice-procuratore generale D’Ambrosio ha avocato a sé l’indagine e l’ha chiusa così, con Greganti unico colpevole. Poi è diventato senatore del Pd.Perché Craxi si è lasciato distruggere senza difendersi, cioè senza svelare all’opinione pubblica italiana tutti questi retroscena? All’inizio a dire il vero ha provato a difendersi, in Parlamento. Disse: «Chi di voi può dire di non aver fatto tutto quello che ho fatto io, si alzi in piedi». E non si è alzato nessuno, neanche i leghisti. Poi, però, a Craxi sono stati minacciati i figli. Craxi aveva già deciso di andare in televisione e di tirar fuori tutta una serie di carte. Tra queste c’era un famoso “Dossier Di Pietro”, che riteneva la carta vincente finale, perché dimostrava che Di Pietro era il prodotto di quel tipo di organizzazione. Per fare questa operazione chiamò Mentana, al Tg5, ma lo chiamò direttamente, senza passare per Berlusconi, perché Mentana tempo prima era stato collocato a Rai2 da Craxi. Poi chiamò Paolo Mieli per fare un’intervista di due pagine sul “Corriere della Sera”. Dopodiché chiamò la Rai per un’intervista che avrebbe dovuto fare prima con Giancarlo Santalmassi, poi con Minoli, e che poi invece non fece. Perché quella notte successero tre cose.A casa della figlia Stefania si introdussero delle persone che bruciarono tutti i suoi vestiti. A casa di suo figlio Bobo si recarono delle persone che razziarono tutto quello che c’era. E nella sua casella della posta trovò un messaggio con scritto che, se avesse fatto quelle interviste, avrebbero pagato i suoi figli. Una delle cose che nessuno vi dice, che non sono mai state pubblicate e che vi dico io, è che era lo stesso messaggio che avevano ricevuto altri personaggi di Tangentopoli, che avevano deciso di parlare e si sono suicidati. A quel punto, Craxi decise di telefonare a Cossiga, il quale aveva un grosso complesso di colpa nei suoi confronti, perché sapeva cosa stava accadendo, tant’è vero che si era precipitato a fare senatori a vita Giulio Andreotti e Gianni Agnelli, per evitare che in Tangentopoli ci finissero dentro anche loro, ma non si era premurato di avvisare Craxi. Cossiga a sua volta contattò il capo della polizia dell’epoca, che si chiamava Vincenzo Parisi, il quale fece un’abile opera di mediazione tra Di Pietro, il pool di Mani Pulite e Craxi, per concordare la latitanza: Craxi se ne sarebbe andato ad Hammamet normalmente, non avrebbe parlato, e solo tre mesi dopo ci sarebbe stato l’ordine di carcerazione.I magistrati sapevano benissimo che Craxi sarebbe andato ad Hammamet col suo passaporto, e il ministero degli esteri concordò con Ben Alì – che era il dittatore della Tunisia – che l’Italia non avrebbe mai avviato una richiestra di estradizione. Craxi si tenne la libertà di parlare una volta ad Hammamet, ma in Italia no: la minaccia verso i figli l’aveva ritenuta concreta. Molta gente si era ammazzata, attorno a Mani Pulite. O forse era stata ammazzata. Io ero coinvolto nel processo a Raul Gardini e, come avvocato, avevo accesso a documenti non pubblicati. Era la prima volta che vedevo qualcuno che si suicida sparandosi due proiettili mortali alla tempia. Due, capite? Non possono essere entrambi mortali. Se uno si spara un colpo in testa, come può spararsi anche un secondo colpo? Forse Gardini stava per rivelare il nome di chi portò il famoso miliardo a Botteghe Oscure? Chi lo sa.Il potere è astratto, è automatico. Ci sono meccanismi nei quali entri e magari ti ammazza il nemico che meno ti aspetti: tu non sai che calli stai pestando, di chi sono, perché, da dove vengono quei soldi, chi è in affari con chi. Magari pensi di fare uno sgarbo a Tizio, e s’incazza Caio, che non sapevi fosse in affari con quello. I meccanismi del potere sono di una complessità inaudita. Non è una vita facile, quella di chi sceglie di stare nel potere. Certo, sai sempre come pagare le bollette, però non sai mai da dove ti arrivano le coltellate. Quando Craxi ha accettato di deporre al processo Cusani, quando già l’accordo l’avevano fatto, Di Pietro è stato criticato perché l’interrogatorio era mite, era troppo rispettoso. In realtà era il segnale che aveva chiesto Craxi a Parisi per non fare le interviste. Disse: «Io le interviste non le faccio. Ma, a parte il fatto che lasciate in pace i miei figli, non voglio finire in galera. Perché se finisco in galera, e so come sono fatto, poi m’incazzo, parlo, e m’ammazzano i figli. O ammazzano me». Una tazzina di caffè: com’è morto Sindona? Com’è morto Papa Giovanni Paolo I? Ti portano una camomilla le monache: è perfetto.Con Craxi, è stato eliminato chi era capace. La disonestà? Bettino Craxi non era ricco. Il famoso tesoro di Craxi non l’hanno trovato perché non è mai esistito. I 13 miliardi che gli hanno trovato sul famoso conto svizzero erano i soldi del partito. Mentre i grandi partiti i conti del finanziamento illecito li intestavano ai segretari amministrativi, i piccoli partiti li intestavano ai segretari politici – il conto del Pri era intestato a Giorgio La Malfa, che ha avuto i suoi guai, come Renato Altissimo del Pli. Craxi, quando passò le consegne a Del Turco, cercò di passargli anche i conti; ma Del Turco, che era un po’ fifone, disse “no, non li voglio”, non scordandosi che un conto simile l’aveva quand’era segretario generale della Uil, perché anche i sindacati facevano i finanziamenti illeciti.Siamo un paese strano: ci colpevolizzano col debito pubblico, senza tenere conto del fatto che abbiamo il massimo risparmio privato europeo e il più alto numero di proprietari di case. Questo dovrebbe contare, per la solidità del sistema, e invece quando vanno a trattare in sede Ue si calano le brache, compreso l’ultimo, Renzi, che sembra un pretino, un seminarista di trent’anni fa. Un leader forte, l’Italia non se lo può permettere, perché una delle caste italiane se lo sbrana. Questi pretini spretati hanno paura di fare la fine dei Craxi. Meglio calarsi le brache e tirare a campare, poi si vedrà. C’è questo cortocircuito, in cui il nostro sistema non difende più l’istituzione. Quando hanno scoperto un sacco di magagne su Kohl, i tedeschi l’hanno mandato a casa, non in galera: perché era Kohl. E quando sono state scoperte un sacco di magagne su Mitterrand, i francesi – compresa l’opposizione – non l’hanno mandato in galera, l’hanno mandato a casa.Da noi, Craxi è stato mandato ad Hammamet, senza tener conto che aveva rappresentato un’istituzione. E lo stesso sta succedendo a Berlusconi – che a me non è simpatico, non l’ho mai votato, però non posso immaginare che uno, quando fa il presidente del Consiglio, abbia i carabinieri appostati alla porta per vedere con chi scopa, perché non c’è rispetto – non verso ciò che uno è, che sono fatti suoi – ma ciò che uno rappresenta, che sono anche fatti miei. E se uno mi rappresenta indegnamente io lo mando a casa, non in galera, perché mandandolo in galera sputtano anche me, indebolisco la mia economia, il mio sistema. Invece qui, pur di prenderne il posto e farsi la guerra (non vale solo per Berlusconi, l’ha fatto anche lui agli altri) vige questa mentalità, per cui oggi magari l’idea è quella di fottere Renzi per mettersi al posto suo, e per fottere Renzi o Berlusconi o D’Alema ci si allea con i nemici dell’Italia, con la stampa estera per sputtanarli, con i parlamentari europei per attaccarli. Ma che logica è? Che popolo siamo?(Gianfranco Carperoro, estratti delle dichiarazioni rese il 13 maggio 2014 alla conferenza pubblica dell’associazione “Salusbellatrix” a Vittorio Veneto, ripresa integralmente su YouTube. Studioso di simbologia, esoterista, già avvocato e magistrato tributario, giornalista e pubblicitario, Carpeoro è autore di svariati romanzi ed è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù).L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino. Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco. Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pernsate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.
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Kapò tedeschi e pagliacci europei? Usciamo dalla barbarie
L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico.I tedeschi quindi stanno palesemente violando la sovranità di nazioni ancora oggi formalmente libere e indipendenti. L’Europa ha imboccato una deriva terribile, tenuta brutalmente al laccio da un manipolo di fanatici che dimostrano di non tenere la democrazia in nessun conto. I vari Renzi, Hollande e Rajoy sono poco più che valletti nelle mani del feroce gabinetto germanico, burattini che tradiscono il mandato ricevuto per guadagnare sul campo la benevolenza dei conquistatori. E’ perciò inutile sperare in un sussulto d’orgoglio da parte di simili soggetti, anime nere che mentono continuamente sapendo di mentire. L’unica prospettiva possibile è quella che punta a creare e sedimentare una solidarietà pan-europea organizzata dal basso. C’è bisogno cioè di un nuovo movimento trans-nazionale che raccolga all’interno di un unico contenitore tutti i sinceri democratici ovunque dislocati. Un contenitore libero e plurale, cementato però dalla radicale avversione nei confronti del totalitarismo finanziario e tecno-fascista oggi incarnato da un triumvirato famelico composto da Angela Merkel, Wolfang Schaeuble e Mario Draghi.Questa è la strada giusta. E’ sbagliato invece fomentare contrapposizioni di tipo prettamente nazionalistico. L’élite che oggi sovraintende lo svuotamento della democrazia sostanziale in Europa è apolide. I tedeschi, per indole e costituzione, si limitano soltanto a recitare meglio degli altri la parte dei kapò. Ma Hollande e Renzi, pavidi comprimari, non sono migliori di Angela Merkel, aggiungendo un pizzico di ignavia condita di ipocrisia alla conclamata e unanime predisposizione al sopruso e al raggiro. Nel frattempo in Italia come in Francia proseguono le controriforme di stampo neoliberista approvate da governi formalmente progressisti e di sinistra. Rileggendo i punti della lettera scritta nell’agosto del 2011 dalla Bce di Trichet e Draghi c’è da restare sbalorditi. I governi Monti, Letta e Renzi hanno palesemente applicato l’indirizzo politico deciso d’imperio da un istituto sprovvisto di mandato democratico.Siamo tornati al Medioevo, quando il potere promanava da Dio e i sudditi erano chiamati a non turbare un immutabile ordine costituito. Il nuovo Dio si chiama mercato finanziario e Mario Draghi è il suo profeta. Gli uomini liberi che non intendono arrendersi all’oscurantismo di ritorno si preparino a combattere un battaglia decisiva in difesa del progresso e contro la barbarie. Noi non permetteremo a nessuno di fondare sulla nostra pelle una nuova aristocrazia dello spirito desiderosa di dominare masse informi e abbrutite. Noi combatteremo a viso aperto, con coraggio e spirito di servizio, orgogliosi di stare senza dubbio dalla parte giusta della Storia. Alla lunga, trionferemo!(Francesco Maria Toscano, “Uniti sconfiggeremo il rigurgito nazista che opprime l’Europa”, dal blog “Il Moralista” del 20 febbraio 2015. Insieme a Gioele Magaldi, fondatore del Grande Oriente Democratico e autore del libro “Massoni”, Toscano è tra i promotori dell’assemblea costitutiva del “Movimento Roosevelt”, in programma a Perugia il 21 marzo 2015, per dare impulso a una riconversione democratica dell’assetto europeo).L’Europa si è bruscamente risvegliata sotto il tallone della Germania. Oramai i nazisti che guidano il governo tedesco, Merkel e Schaeuble su tutti, non rispettano più neppure le forme. La Commissione Europea così come l’Eurogruppo o la Bce appaiono finalmente per quello che in realtà sono: paraventi buoni per mascherare l’assoluto dominio teutonico su tutti i popoli del Vecchio Continente. L’antico sogno hitleriano si è realizzato in pieno senza neppure dover ricorrere all’utilizzo di fucili e carri armati. Come abbia potuto la signora Merkel uccidere impunemente la democrazia in Europa resta un mistero. Una nazione sconfitta e umiliata, messa nelle condizioni di non nuocere all’indomani della seconda guerra mondiale, decide oggi per tutti, scegliendo di fatto arbitrariamente chi è degno di ricevere i fondi e chi no. Siamo all’assurdo. Il neoeletto premier greco Tsipras è costretto ad andare a Berlino con il cappello in mano nella speranza di ammorbidire la posizione dell’arcigna Germania. Ma chi ha deciso che la Germania è il nostro indiscusso nume tutelare? Nessun cittadino europeo ha mai conferito alla signora Merkel un mandato democratico.
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Europa, la democrazia è finita: Draghi lo ricorda a Tsipras
Non chiamatele pressioni, sono ricatti. Non parlate di separazione di poteri, al vertice dell’Unione Europea non esistono. Sto parlando, ovviamente, del trattamento che “l’Europa” sta riservando alla Grecia. Quando la Banca centrale europea annuncia che non accetterà più i titoli pubblici greci a garanzia dei prestiti bancari, compie un gesto politico, dalla forza dirompente, paragonabile a un atto militare. Di fatto priva le banche di liquidità, ed è come se si riducesse l’ossigeno a un paziente reduce da una lunga malattia. Gli spin doctor della Bce hanno presentato la decisione alla stregua di “pressioni” sul governo greco; in realtà è una forma di ricatto, che dimostra, ancora una volta, come in questa Europa la democrazia sia più formale che sostanziale e come la volontà popolare non abbia possibilità di affermazione non appena contrasta con gli interessi e i piani delle élite europee. Fuor di metafora: Draghi ha messo Tsipras con le spalle al muro: se persiste sulla strada della rinegoziazione del debito, le banche greche, nel giro di poche settimane o forse di pochi giorni, si troveranno senza fondi, alcune chiuderanno, la gente assalirà, inutilmente, bancomat e sportelli, l’economia si fermerà.A quel punto Tsipras avrà di fronte a sé due alternative: rompere definitivamente e uscire dall’euro o chinare la testa. Secondo voi come finirà? L’effetto, se questo scenario dovesse realizzarsi, sarebbe disastroso per la nostra democrazia: dimostrerebbe che i vari Syriza, Podemos, eccetera non hanno alcuna possibilità di realizzare le proprie promesse elettorali e che ai popoli europei non resta in realtà che una scelta: applicare i diktat della Troika con un premier di centrosinistra o applicare i diktat della Troika con un premier di centrodestra. Cambia l’etichetta, non la sostanza. Nell’Europa di oggi, chi controlla la moneta, ovvero l’euro, di fatto rappresenta il potere più forte, condizionante in quanto ostativo, di tutte le istituzioni nazionali ed europee. Un potere che è assoluto. A chi risponde la Bce? A nessuno. Qual è il contropotere della Bce? Non esiste. Chi può giudicare la Bce? Nessun tribunale, la Banca centrale beneficia di fatto di un’immunità assoluta. Ma, vien da pensare, concetti che pensavamo sacri come la tripartizione dei poteri, la sovranità popolare? Spariti in un colpo.Non contano più, perché con la pretesa di proteggere la banca dalle interferenze dei politici, si è di fatto creato un feudo senza precedenti che ha potere di vita, di sofferenza (tanta sofferenza) e di morte su tutti i cittadini europei. Con la consueta dose di ipocrisia: all’indomani del voto in Grecia il presidente della Bce Mario Draghi, della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, del Consiglio Donald Tusk e dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem si sono riuniti per esaminare la situazione e coordinare la risposta. Scusate, sarò un po’ tonto: ma se la Banca centrale europea deve essere immune dall’influenza dei politici, perché deve coordinarsi con istituzioni politiche? Draghi non dovrebbe immischiarsi di questioni politiche e men che meno partecipare a decisioni che, in una vera democrazia, spetterebbero ai rappresentanti del popolo. E invece l’indipendenza vale solo verso i politici nazionali, non ai vertici dell’Unione Europea e non solo perché essi non hanno piena legittimità popolare. I leader politici, economici, monetari dell’Unione Europea condividono un disegno, un progetto, un metodo di gestione del potere. A quei livelli le barriere non contano. Bisogna mantenere la rotta. E dimostrare a tutti i cittadini europei che il destino è segnato.(Marcello Foa, “Grecia e Bce, avete capito o no chi governa davvero?”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 febbraio 2015).Non chiamatele pressioni, sono ricatti. Non parlate di separazione di poteri, al vertice dell’Unione Europea non esistono. Sto parlando, ovviamente, del trattamento che “l’Europa” sta riservando alla Grecia. Quando la Banca centrale europea annuncia che non accetterà più i titoli pubblici greci a garanzia dei prestiti bancari, compie un gesto politico, dalla forza dirompente, paragonabile a un atto militare. Di fatto priva le banche di liquidità, ed è come se si riducesse l’ossigeno a un paziente reduce da una lunga malattia. Gli spin doctor della Bce hanno presentato la decisione alla stregua di “pressioni” sul governo greco; in realtà è una forma di ricatto, che dimostra, ancora una volta, come in questa Europa la democrazia sia più formale che sostanziale e come la volontà popolare non abbia possibilità di affermazione non appena contrasta con gli interessi e i piani delle élite europee. Fuor di metafora: Draghi ha messo Tsipras con le spalle al muro: se persiste sulla strada della rinegoziazione del debito, le banche greche, nel giro di poche settimane o forse di pochi giorni, si troveranno senza fondi, alcune chiuderanno, la gente assalirà, inutilmente, bancomat e sportelli, l’economia si fermerà.
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I nostri Tsipras alle vongole e gli orrori del centrosinistra
Se il nuovo governo greco comincerà subito a tenere fede al suo programma elettorale stabilendo il salario minimo a 750 euro mensili, la Germania del governo Merkel-Spd chiuderà la porta ad ogni trattativa sul debito. Infatti con le “riforme” tedesche che han fatto da modello a tutto il continente, i milioni di lavoratori precari impegnati nei minijobs prenderebbero di meno di un lavoratore greco. È vero che ci sono le integrazioni dello stato sociale, ma è altrettanto vero che la coerenza del nuovo governo greco aprirebbe un fronte con una Germania anche sui tagli al welfare. Insomma la coerenza di Tsipras sarebbe insostenibile per una classe dirigente tedesca che da anni impone terribili sacrifici al proprio mondo del lavoro spiegando che gli altri stanno tutti peggio. Gli operai tedeschi, che hanno subìto una delle peggiori compressioni salariali d’Europa, si chiederebbero a che pro, visto che le cicale greche ricominciano a frinire. È per il timore del contagio sociale, della ripresa, magari persino conflittuale, dei salari e della richiesta di welfare che si dirà no alla Grecia e non per la questione debito.Il debito pubblico della Grecia ruota attorno a 350 miliardi di euro, quello interno alla Ue dovrebbe essere circa attorno ai due terzi di quella cifra. Abbuonarne la metà significherebbe per la Ue rinunciare a poco più di 100 miliardi. È una cifra enorme naturalmente, ma dal 2008 governi europei, Bce e sistema finanziario hanno speso 3000 miliardi per sostenere le banche. E altri 1.000 verranno spesi nel Quantitative Easing, presentato come un sostegno agli Stati che in realtà finanzia ancora gli istituti bancari acquirenti di titoli di Stato. Cosa sono allora 100 miliardi di abbuono del debito ad una Grecia che comunque non potrebbe pagarli, di fronte ai 4.000 miliardi concessi al sistema bancario e finanziario? Niente sul piano delle dimensioni della cifra, tutto sul piano del suo significato. Come dicono accreditate indiscrezioni, una dilazione dei pagamenti più che trentennale sarebbe già stata concessa dalla Troika nel novembre scorso, ma naturalmente in cambio della impegno a continuare le politiche liberiste di questi anni. Il problema dunque è la continuità o la rottura con quelle politiche, e qui “Syriza” e la Troika si scontreranno.Quello che sta succedendo in Grecia e in Spagna è qualcosa di diverso dalla storia europee delle sinistre. La politica dell’austerità sta portando tutta l’Europa meridionale verso quello che una volta si chiamava terzo mondo. Le prime risposte vere son quindi legate a questa nuova terribile realtà. Le socialdemocrazie si sono immolate sull’altare del rigore e le sinistre comuniste son troppo piccole e divise per contare. Si apre così lo spazio per forze alternative diverse da quelle del passato. In fondo il successo del M5S aveva inizialmente questo segno, anche se sinora a quel movimento è mancata una vera spinta sociale e la sua politica è rimasta ancorata al terreno della cosiddetta lotta per l’onestà. Invece “Syriza” e “Podemos” somigliano sempre di più alle formazioni populiste di sinistra che governano gran parte dell’America Latina e con questa impronta affrontano la crisi europea e il Fiscal Compact, vedremo. Quel che è certo è che le cose stanno cambiando, ma non da noi. Siamo stati facili profeti ad anticipare il salto sul cavallo greco di tutto il mondo politico italiano, oramai campione di trasformismo in Europa.C’è ovviamente anche un calcolo parassitario non solo elettorale. Se la Grecia ottiene qualcosa, si spera che qualcosa tocchi anche a noi. Così tutti a fare gli Tsipras con le vongole, dimenticando ovviamente la sostanza del programma del nuovo governo greco. Che tradotto in Italiano significherebbe misure immediate come la cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero sulle pensioni, del pareggio di bilancio costituzionalizzato. E a seguire la fine delle privatizzazioni, dei tagli alla sanità e alla scuola pubblica, del Patto di Stabilità per gli enti locali. Attenzione, questi non dovrebbero essere gli obiettivi strategici di un governo che promette tanto, ma le azioni dei famosi primi cento giorni. Poi dovrebbe seguire la messa in discussione della politica dei debiti e del debito stesso, che da quando nel 2011 Giorgio Napolitano indicò come vincolo per le politiche di austerità è passato da 1.900 a 2.150 miliardi. Si tratta di rompere con tutte le politiche seguite non solo dalla destra, ma dal centrosinistra in questi anni. Come si fa allora a stare con la Grecia mentre ci si allea con il Pd di Renzi in tutte le regioni più importanti?Mi fermo qui perché è assolutamente ovvio che, se non si rompe con i partiti dell’austerità, il sostegno alla Grecia non c’è. Anche sul piano sindacale son tutti felici per le elezioni greche. Ricordo però le tante volte che in Cgil si è usata la Grecia come esempio di una resistenza vana. 14 scioperi generali e in quel paese non è cambiato nulla, si diceva quando si lasciavano passare la pensione a 68 anni e le altre riforme di Monti. E in nome della flessibilità, Cgil, Cisl e Uil son arrivate a concordare il lavoro gratuito per migliaia di giovani precari che dovranno far funzionare l’Expo. È quindi inutile usare il marchio greco per coprire politiche e gruppi dirigenti responsabili o complici del nostro disastro sociale. La sola cosa seria che si deve fare in casa nostra per sostenere la Grecia contro la Troika è praticare la stessa rottura. Non son in grado di sapere se Tsipras sarà coerente, ma per aiutare lui ad esserlo bisogna fare in modo che non sia solo “Bella Ciao” l’unico legame utile all’Italia.(Giorgio Cremaschi, “La coerenza di Tsipras e quella nostra”, da “Micromega” del 29 gennaio 2015).Se il nuovo governo greco comincerà subito a tenere fede al suo programma elettorale stabilendo il salario minimo a 750 euro mensili, la Germania del governo Merkel-Spd chiuderà la porta ad ogni trattativa sul debito. Infatti con le “riforme” tedesche che han fatto da modello a tutto il continente, i milioni di lavoratori precari impegnati nei minijobs prenderebbero di meno di un lavoratore greco. È vero che ci sono le integrazioni dello stato sociale, ma è altrettanto vero che la coerenza del nuovo governo greco aprirebbe un fronte con una Germania anche sui tagli al welfare. Insomma la coerenza di Tsipras sarebbe insostenibile per una classe dirigente tedesca che da anni impone terribili sacrifici al proprio mondo del lavoro spiegando che gli altri stanno tutti peggio. Gli operai tedeschi, che hanno subìto una delle peggiori compressioni salariali d’Europa, si chiederebbero a che pro, visto che le cicale greche ricominciano a frinire. È per il timore del contagio sociale, della ripresa, magari persino conflittuale, dei salari e della richiesta di welfare che si dirà no alla Grecia e non per la questione debito.
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E bravo Draghi, che ricompra i titoli dei suoi amici bankster
«Le ricche istituzioni finanziarie che hanno acquisito a prezzi bassi il travagliato debito pubblico di Grecia, Italia, Portogallo e Spagna ora ne vendono i titoli alla Bce a prezzi elevati». Ecco a chi serve il “quantative easing” di Mario Draghi, «ex dirigente della Goldman Sachs», come ricorda Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. Sono loro, i grandi padroni dell’élite finanziaria, i primi a rallegrarsi all’annuncio che la Banca Centrale Europea avrebbe emesso 720 miliardi di euro all’anno «con cui acquisire crediti inesigibili dalle grandi banche, collegate politicamente». Come negli Stati Uniti, «l’alleggerimento quantitativo (Qe) serve ad arricchire chi è già ricco. Non ha alcun altro scopo». E attenzione: il mercato finanziario è cresciuto «nonostante il livello di recessione, la disoccupazione in gran parte dell’Europa nonché l’austerità imposta ai cittadini». Aumenta, il business finanziario, «in previsione del fatto che gran parte dei 60 nuovi miliardi di euro che saranno creati ogni mese troverà la sua strada nelle quotazioni dei capitali: la liquidità alimenta il mercato borsistico», arricchendo ulteriormente l’1% dei possessori di titoli. «La Federal Reserve e la Bce hanno riportato l’Occidente al tempo in cui un gruppetto di aristocratici era padrone di tutto».«Le Borse – continua Craig Roberts in un post tradotto da “Megachip” – sono bolle gonfiate dalla creazione di moneta della banca centrale». E dato che le banche centrali «sono gestite dai ricchi per i ricchi», questo dimostra che «la corruzione può prevaricare i principi di base per un periodo indeterminabile». Craig Roberts lo spiega in un libro del 2012, “The Failure of Laissez Faire Capitalism and Economic Dissolution of the West” (“Il fallimento del capitalismo liberista e il deterioramento economico dell’Occidente”). Ecco lo schema: «Prima la Goldman Sachs ha ingannato i finanziatori con prestiti esagerati (“overlending”) al governo greco, poi suoi ex dirigenti hanno assunto il controllo degli affari finanziari della Grecia e costretto all’austerità la popolazione per evitare perdite a carico dei creditori stranieri». Questo, continua Craig Roberts, «ha stabilito un nuovo principio in Europa, che il Fondo Monetario Internazionale ha inesorabilmente applicato ai debitori dell’America Latina e del Terzo Mondo». Il principio è che «quando i creditori stranieri commettono errori e prestano in eccesso ai governi stranieri, caricandoli di debiti, gli errori dei banchieri sono rimediati derubando le popolazioni povere. Pensioni, servizi sociali e pubblico impiego sono tagliati, risorse preziose vengono svendute agli stranieri per pochi spiccioli e il governo è costretto a sostenere la politica estera statunitense».Lo chiarisce in modo inequivocabile John Perkins in “Confessioni di un sicario dell’economia”, edito da Minimun Fax nel 2004. Perkins descrive perfettamente il processo: «Se non avete letto il libro di Perkins – dice Craig Roberts – avete solo una vaga idea di come sono corrotti e senza scrupoli gli Stati Uniti. Infatti, Perkins dimostra che l’eccesso di prestiti è fatto apposta per preparare il paese al saccheggio. Questo è ciò che Goldman Sachs ha fatto in Grecia», anche i greci «hanno impiegato molto tempo per accorgersene». A quanto pare, il 36,5% della popolazione è stato svegliato da un aumento della povertà, della disoccupazione e dei suicidi. «Tale cifra, poco più di un terzo dei voti, è bastata a portare al potere “Syriza” nelle elezioni greche appena concluse e a cacciare il corrotto partito “Nuova Democrazia”, che ha sempre venduto il popolo greco alle banche estere». Tuttavia, aggiunge Craig Roberts, il 27,7% dei greci «ha votato per il partito che ha sacrificato il popolo greco ai bankster, i banchieri gangster». E questo perché «anche in Grecia, un paese abituato a manifestazioni popolari nelle strade, una percentuale significativa della popolazione ha subìto un lavaggio del cervello sufficiente a farla votare contro i suoi stessi interessi».“Syriza” potrà fare qualcosa? «Si vedrà, ma probabilmente no», dice Craig Roberts: altro discorso se Tsipras avesse ottenuto il 60-70% dei voti, «ma una maggioranza del 36,5% non rappresenta un paese compatto, consapevole della propria condizione e spoliazione per mano di ricchi banchieri gangster». Il voto dimostra che una percentuale significativa dei greci appoggia ancora il saccheggio estero del paese. «Inoltre, “Syriza” è contro i pezzi grossi: le banche tedesche e olandesi che detengono i crediti verso la Grecia e i governi che sostengono le banche; l’Ue che usa la crisi del debito pubblico per distruggere la sovranità dei singoli paesi membri della stessa unione; Washington che sostiene il potere sovrano dell’Ue sui singoli paesi, in quanto è più facile controllare un solo governo piuttosto che un paio di decine». I media della grande finanza stanno già avvertendo “Syriza”: non metta in pericolo la sua adesione all’euro e non abbandoni il modello di austerità imposto ai cittadini greci con la complicità di “Nuova Democrazia”.Potrebbero minacciare di espellere Atene dall’Eurozona? «È una cosa di cui la Grecia dovrebbe rallegrarsi». «Uscire dall’Ue e dall’euro – scrive Craig Roberts – è la cosa migliore che possa capitare alla Grecia, perché un paese senza una propria moneta non è un paese sovrano, è uno Stato vassallo di un altro potere. Un paese senza una propria moneta non può finanziare i propri bisogni». Infatti, anche se è membro dell’Unione Europea, «il Regno Unito ha mantenuto la sua propria moneta e non è soggetto a controllo da parte della Bce». Insiste Craig Roberts: «Un paese senza il suo denaro è impotente, è niente. Se gli Stati Uniti non avessero il proprio dollaro, non avrebbero nessuna importanza sulla scena mondiale. L’Unione Europea e l’euro sono stati solo trucchi e inganni. I paesi hanno perso la loro sovranità, alla faccia dei concetti occidentali di “autogoverno”, “libertà”, “democrazia”: tutti slogan senza contenuto. In tutto l’Occidente non troviamo nient’altro che persone derubate da quell’1% che controlla i governi».«Le ricche istituzioni finanziarie che hanno acquisito a prezzi bassi il travagliato debito pubblico di Grecia, Italia, Portogallo e Spagna ora ne vendono i titoli alla Bce a prezzi elevati». Ecco a chi serve il “quantative easing” di Mario Draghi, «ex dirigente della Goldman Sachs», come ricorda Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan. Sono loro, i grandi padroni dell’élite finanziaria, i primi a rallegrarsi all’annuncio che la Banca Centrale Europea avrebbe emesso 720 miliardi di euro all’anno «con cui acquisire crediti inesigibili dalle grandi banche, collegate politicamente». Come negli Stati Uniti, «l’alleggerimento quantitativo (Qe) serve ad arricchire chi è già ricco. Non ha alcun altro scopo». E attenzione: il mercato finanziario è cresciuto «nonostante il livello di recessione, la disoccupazione in gran parte dell’Europa nonché l’austerità imposta ai cittadini». Aumenta, il business finanziario, «in previsione del fatto che gran parte dei 60 nuovi miliardi di euro che saranno creati ogni mese troverà la sua strada nelle quotazioni dei capitali: la liquidità alimenta il mercato borsistico», arricchendo ulteriormente l’1% dei possessori di titoli. «La Federal Reserve e la Bce hanno riportato l’Occidente al tempo in cui un gruppetto di aristocratici era padrone di tutto».
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Mitchell: deficit altissimi o morte, spiegatelo a Tsipras
Syriza parla in parte di liberare la Grecia dal giogo della Troika ma ha un insieme di proposte che sono reciprocamente incoerenti. Potrebbero servire a “uscire dall’angolo” e a ridistribuire un po’ i redditi, ma ciò di cui c’è bisogno è un imponente rilancio di redditi nazionali che può venire solamente da un imponente aumento della spesa. Il settore non governativo non fornirà le ingenti risorse di spesa per modificare la situazione. Non ci può essere una situazione a favore della crescita se queste regole fiscali della Ue sono riaffermate in ogni modo. La crisi finanziaria globale ha provato che l’impatto degli effetti ciclici sugli equilibri fiscali (cioè la perdita di entrate fiscali dovute alla perdita di occupazione e produzione) erano sufficienti a far violare la soglia del 3%. Queste violazioni hanno portato all’imposizione dell’austerità fiscale. Inoltre, la maggior parte dei paesi dell’Eurozona non saranno capaci di conseguire i necessari importi dei loro deficit fiscali (per favorire la crescita) nella situazione attuale che impedisce alla Bce – il monopolista di emissione dell’euro – di attuare tali deficit.Paesi come la Grecia ne hanno già abbastanza dei mercati di titoli privati necessari, con le regole attuali, per finanziare i deficit. Quindi, perché non invocare un cambiamento delle regole che permettano alla Bce di comportarsi in pieno come un soggetto emittente di moneta? La ragione è ovvia. La Germania non lo permetterebbe mai, ed essa comanda l’Eurozona. Quel programma ha mostrato incondizionatamente che attraverso l’acquisto di titoli specifici nel mercato secondario (per aggirare le regole dei Trattati) la Bce potrebbe escludere i privati dal mercato dei titoli e controllare i rendimenti dei titoli a qualsiasi tasso essa scelga. E’ stata una lezione salutare della potenza dell’emettitore di moneta. Il problema è che la Bce ha insistito affinché l’austerità fiscale sia imposta e perseguita come condizione per l’acquisto sui mercati secondari del debito di un paese “assediato”. Quindi hanno controllato i rendimenti e gestito i mercati privati ma allo stesso tempo hanno disfatto le economie in questione.Sospetto che la “tolleranza” tedesca di questa settimana sull’annuncio del Qe di Draghi sia limitata. Sanno che finché i deficit fiscali sono obbligati a non crescere e l’austerità è mantenuta il Qe non servirà granché a stimolare la crescita. Ma se il Qe fosse stato combinato con un’espansione su larga scala dei deficit fiscali di vari paesi, mirati alla creazione di lavoro nel settore pubblico e allo sviluppo delle infrastrutture, allora la “tolleranza” tedesca (attualmente concessa a denti stretti) svanirebbe presto e si innescherebbe una crisi politica. I tedeschi vincerebbero in quanto i francesi e gli italiani non hanno “gli attributi” per affermare la loro sovranità nazionale. Non ho dubbi che questo messaggio politico è un tentativo sincero di instillare ottimismo. Sono d’accordo che un cambiamento consistente nella politica Greca è necessario e Syriza sembra intenzionato a raggiungere questo cambiamento. Ma è veramente questo il cambiamento necessario? Ne dubito – e mi dispiace dirlo, visto che ho amici nel movimento di Syriza.Primo, non credo all’idea che Syriza sia un partito radicale. I suoi discorsi pubblici e i propositi con cui guiderà il popolo greco non sono per niente radicali e lo vedranno operare in accordo alle regole mainstream (neoliberiste) che sono decise e difese da Bruxelles. Syriza non sta proponendo un ritorno alla sovranità valutaria. Piuttosto sta proponendo che Bruxelles sia morbida con la Grecia per un po’ e fissa una parte delle attività pubbliche come parte di un alleggerimento concordato delle condizioni di rimborso. Ciò non è radicale. Ciò assicura che la Grecia rimanga nell’Eurozona, le cui dinamiche sono dominate dalla Germania, che ha un’economia non confrontabile con l’economia greca e la rende un partner “impossibile” con cui stare in una unione valutaria comune. Parlano di “andare dai mercati” (mercati privati di titoli) per finanziare la spesa governativa. Questo è alquanto mainstream. Pensiamoci per un attimo. I fondi di salvataggio della Troika sono attualmente offerti a tassi più bassi di quelli che la Grecia otterrebbe nei mercati privati di titoli. E sarebbe fare l’interesse della gente esporsi a costi di finanziamento più alti?Mentre ci potrebbero essere buone ragioni per ridistribuire i correnti esborsi fiscali sui vari interessi in competizione, il fatto fondamentale è che il deficit pubblico greco deve salire in maniera consistente – multipli del limite attuale del 3% contenuto nel Patto di Stabilità e Crescita. Perseguire una politica fiscale neutra per aiutare la gente stimolerà solo parzialmente la spesa totale del paese. La realtà è che la Grecia ha bisogno di uno stimolo pubblico che è ben al di là di qualsiasi cosa sia ammessa con le regole attuali. Mantenendo una posizione di sostegno all’obiettivo del pareggio di bilancio non si fornisce una risposta a un simile tema. Ma i greci possono risolverlo in una singola decisione – lasciare l’Eurozona e ripristinare la sovranità monetaria. Le affermazioni di Dragasakis precludono questa alternativa.La sola ragionevole conclusione è che gli obiettivi espressi da Syriza non sono reciprocamente coerenti. Non possono raggiungere le originarie aspirazioni di maggior crescita e aumento dei redditi ed equità mentre permettono a Bruxelles di dominare la quantità dei loro deficit fiscali. Non possono raggiungere i loro obiettivi con un tasso di cambio fisso (o tasso di cambio non indipendente) con la Germania come partner nell’unione monetaria. Le loro promesse politiche si amplificano con la popolazione sofferente. Ma la realtà è che la popolazione non viene informata da forze progressiste sul danno auto-inflitto che comporta il mantenere l’euro come valuta. Non ritengo Syriza la soluzione, dato che tendono verso il centro (che in realtà è la destra). Ma sarei molto contento di scoprire che mi sbaglio!(Bill Mitchell, estratto di un recente intervento sulle elezioni in Grecia, ripreso dal sito “MeMmt.info” il 27 gennaio 2015. Il professor Mitchell è un economista sovranista dell’Università di Newcastle, Australia).Syriza parla in parte di liberare la Grecia dal giogo della Troika ma ha un insieme di proposte che sono reciprocamente incoerenti. Potrebbero servire a “uscire dall’angolo” e a ridistribuire un po’ i redditi, ma ciò di cui c’è bisogno è un imponente rilancio di redditi nazionali che può venire solamente da un imponente aumento della spesa. Il settore non governativo non fornirà le ingenti risorse di spesa per modificare la situazione. Non ci può essere una situazione a favore della crescita se queste regole fiscali della Ue sono riaffermate in ogni modo. La crisi finanziaria globale ha provato che l’impatto degli effetti ciclici sugli equilibri fiscali (cioè la perdita di entrate fiscali dovute alla perdita di occupazione e produzione) erano sufficienti a far violare la soglia del 3%. Queste violazioni hanno portato all’imposizione dell’austerità fiscale. Inoltre, la maggior parte dei paesi dell’Eurozona non saranno capaci di conseguire i necessari importi dei loro deficit fiscali (per favorire la crescita) nella situazione attuale che impedisce alla Bce – il monopolista di emissione dell’euro – di attuare tali deficit.
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Le fiabe di Pinocchio Renzi e l’agonia terminale dell’Italia
Dobbiamo aumentare la produttività degli italiani? Essere più competitivi? Rilanciare le privatizzazioni e rendere meno rigido il mercato del lavoro? Nemmeno per sogno, caro “Pinocchio” Renzi. Secondo Paolo Barnard, bastano «parole da terza media» per «asfaltare» il pensiero economico di “Renzino”. A cominciare dal falso dogma della produttività: gli italiani dovrebbero produrre di più, sul lavoro? «Ma questo cosa ci risolve? Il problema che spacca il paese oggi è la disoccupazione, con percentuali da record africano e almeno 300 miliardi all’anno di ricchezza perduta, per questo». Domanda: a che ci serve far diventare più produttivi quelli che già lavorano? «Vuol dire avere sempre mente gente a lavorare, perché gli occupati lavoreranno come delle furie (e poi crepano)». Parabola: se hai 100 cani ma gli butti solo 50 ossi (posti di lavoro), 50 cani torneranno a cuccia senza mangiare. Gli fai dei corsi di formazione per imparare a correre e mordere meglio? Se gli ossi restano 50, metà dei cani (formati o meno) resteranno affamati. E poi: «La produttività tedesca per ora lavorata è la più bassa d’Europa, ma da loro la disoccupazione è molto più bassa: ti dice nulla, Pinocchio?».Essere più competitivi? «Lo siamo già». Lo dice uno dei maggiori centri di studio economici del mondo, la Ert, European Roundtable of Industrialists: «Fa ogni anno la classifica dei lavoratori più competitivi d’Europa. Be’, gli italiani sono sempre fra i primi, meglio di Gran Bretagna e Danimarca, e solo un pelo sotto la Germania». La competitività? «Si misura con una formula da Mago Merlino che si chiama “Unit Labour Cost”, che fa la media fra quanto ti costa un lavoratore e quanto ti produce. Noi siamo già fra i migliori». Al che, Renzi cambia discorso e dice che il settore privato deve rilanciarsi, e il governo gli darà sempre più spazio (privatizzazioni) per arricchire l’Italia. Altro errore madornale: «I soldi, o li fa lo Stato o li fanno le banche, punto. Se tu obbedisci ai diktat dei tecnocrati Ue che proibiscono (coi limiti di deficit e di debito) allo Stato di creare soldi per noi tutti, allora non ci rimane che sperare che siano le banche a creare la ricchezza finanziaria». Le banche: «Vuol dire che i privati italiani devono indebitarsi come pazzi in banca, e coi debiti arrivano gli interessi, lo strangolamento, l’anatocismo e altre porcate delle banche».I soldi, quelli veri, «o li crea lo Stato investendo per noi, e quelli noi non dobbiamo restituirli, sono ricchezza al netto, oppure li creano le banche, e sono debiti di noi privati, non ricchezza al netto». Renzi? Un «codino dei tecnocrati», quelli che «stanno dando tutta l’Italia in mano alle banche, con ’sta storia che il rilancio viene dal privato: così le banche diventano lo Stato». Poi, continua Barnard, «quando privatizzi che fai? Togli un bene costruito per tutti da generazioni di italiani, e lo vendi a prezzi stracciati ai privati. Questi devono fare profitto, gliene fotte di noi, e quindi tagli all’occupazione, cali dei salari, intrighi con le banche (che sulle privatizzazioni guadagnano parcelle da sogno), e zero interesse pubblico». Il rilancio dal settore privato come lo intende Renzi «non avverrà mai senza debiti bancari e senza danni ai cittadini». Per Barnard, al contrario, «Deve tornare in gioco la spesa pubblica, l’investimento di Stato, che è ricchezza al netto per noi privati, perché lo stipendio di un medico pubblico, di un operaio che lavora per lo Stato o un servizio pubblico non sono soldi che noi dobbiamo restituire con interessi, mai!».Altra favola: il mercato del lavoro italiano “troppo rigido”, per colpa dell’articolo 18. “Facciamo come gli stranieri, basta con ’sta rigidità antimoderna”. «Come gli stranieri? Chi? Il World Economic Forum di Davos, il top del top della finanzia e dell’industria mondiale, ogni anno scrive pagelle sui vari Stati. Andiamo vedere l’ultima», propone Barnard. «I bocciati per troppa rigidità sul mercato del lavoro sono: Germania, Finlandia, Svizzera, Svezia e Giappone». Chiaro, no? «Evidentemente non è la protezione del lavoro che ci fa danni economici». Per fortuna, dice Renzi, col ministro Poletti il governo sta trovando risorse finanziarie per aiutare le imprese, le famiglie, l’occupazione. Macché, «voi non state trovando un accidenti», protesta Barnard. «Voi fate il gioco delle tre carte, cioè fate entrare 10 soldi dalla porta dell’Italia e intanto gliene sfilate 10 o 15 dalla finestra. Non siamo tutti idioti, qui, perché ce ne accorgiamo che, quatti quatti, sono sbucati 10.000 aumenti di balzelli strani a tutti i livelli». Inoltre, come insegna la Modern Money Theory sviluppata da Warren Mosler e diffusa in Italia da Barnard, «se un governo vuole dare soldi ai suoi cittadini e alle sue aziende al netto, cioè senza poi volerli indietro, o li sborsa lui a deficit (cioè ci dà più soldi di quanto ci tassa), o ci riduce le tasse in modo drammatico». In economia non c’è altro modo, conclude Barnard. «Ma il governo Renzi deve obbedire al pareggio di bilancio imposto dalla Ue (lo Stato ci dà 100 e ci tassa 100)», quindi i famosi fondi li allunga con la destra e poi li ritira con la sinistra, sotto forma di imposte.«Lo raccontate ai fagiani e ai cefali – aggiunge Barnard – che senza un esborso di Stato superiore alle tasse voi ci darete qualcosa da masticare: no, è matematicamente impossibile. E infatti raccontate balle, buffoni». Anche per questo, Renzi continua ad annunciare grandi svolte e grandi decisioni. Mente, sapendo di mentire: sa benissimo, infatti, che «l’Italia ha firmato e ratificato tutti i Trattati europei sovranazionali, cioè più potenti delle leggi italiane, che hanno totalmente tolto potere decisionale al governo e al Parlamento nazionale». Così, l’Italia «oggi può solo obbedire alle decisioni della tecnocrazia europea», la Troika Ue che esegue gli ordini di Berlino attraverso la Commissione e la Bce, col supporto del Fmi. Inutile agitarsi, fingendo di non essere un «pagliaccio fiorentino, parto del popolo bue del Pd». Renzi non conta nulla, e ogni esperto d’Europa lo sa benissimo. Lo sa anche Renzi, putroppo. Per questo, continua a inventare fiabe su come risollevare l’economia di famiglie e aziende, ben sapendo che si tratta soltanto di favole.Dobbiamo aumentare la produttività degli italiani? Essere più competitivi? Rilanciare le privatizzazioni e rendere meno rigido il mercato del lavoro? Nemmeno per sogno, caro “Pinocchio” Renzi. Secondo Paolo Barnard, bastano «parole da terza media» per «asfaltare» il pensiero economico di “Renzino”. A cominciare dal falso dogma della produttività: gli italiani dovrebbero produrre di più, sul lavoro? «Ma questo cosa ci risolve? Il problema che spacca il paese oggi è la disoccupazione, con percentuali da record africano e almeno 300 miliardi all’anno di ricchezza perduta, per questo». Domanda: a che ci serve far diventare più produttivi quelli che già lavorano? «Vuol dire avere sempre mente gente a lavorare, perché gli occupati lavoreranno come delle furie (e poi crepano)». Parabola: se hai 100 cani ma gli butti solo 50 ossi (posti di lavoro), 50 cani torneranno a cuccia senza mangiare. Gli fai dei corsi di formazione per imparare a correre e mordere meglio? Se gli ossi restano 50, metà dei cani (formati o meno) resteranno affamati. E poi: «La produttività tedesca per ora lavorata è la più bassa d’Europa, ma da loro la disoccupazione è molto più bassa: ti dice nulla, Pinocchio?».
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Perché in Italia un vero leader non viene mai eletto al Colle
Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».Un analista “eretico” come Marco Della Luna sostiene che il profilo “defilato” della classe dirigente italiana, specie degli esponenti politici chiamati a rivestire le cariche istituzionali più eminenti, non è casuale: un leader forte, capace di incarnare una vertenza sovranista in nome del futuro della comunità nazionale, sarebbe percepito come un pericolo, sia in sede europea che sul versante atlantico. Le eccezioni – da Mattei a Moro – non sono arrivate all’età della pensione: qualcuno le ha tolte di mezzo. Prevale il grigio: in generale, la nomenklatura italiana si segnala per l’alto tasso di corruzione, clientelismo e degrado delle strutture partitiche. Più che ovvio, sostiene Della Luna: solo una partitocrazia corrotta, e quindi debole perché ricattabile, può “obbedire” senza fiatare alle direttive e ai diktat che provengono dai poteri forti che risiedono all’estero. Dopo il “golpe dello spread” architettato per l’insediamento di Monti e il varo definitivo dell’austerity, l’economista Nino Galloni ha svelato la vana ma serrata resistenza condotta da Giulio Andreotti per evitare che l’Italia finisse nella morsa dell’euro, che l’avrebbe condotta alla catastrofe economica. Galloni racconta che il governo subì fortissime pressioni dalla Germania, operate direttamente dal cancelliere Kohl.Un altro studioso “fuori ordinanza”, l’insigne esoterista Gianfranco Carpeoro, sostiene che Bettino Craxi fu liquidato in modo brutale proprio dai poteri che già allora puntavano a demolire la sovranità italiana: un leader troppo ingombrante col quale fare i conti. Nel libro “Il golpe inglese”, edito da Chiarelettere, Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino evocano il ruolo costante di potenze straniere come quella britannica nel destino politico del Belpaese. E un altro libro di Chiarelettere, l’esplosivo “Massoni” di Gioele Magaldi, illumina il grande retroscena massonico di ogni decisione storica, mettendo in fila nomi come quelli di Mario Draghi, Giorgio Napolitano e Mario Monti. La sorte dell’Italia viene sempre decisa lontano da Roma? Lo sostiene anche Paolo Barnard: nel saggio “Il più grande crimine” documenta la “svendita” del paese da parte dei tecnocrati del centrosinistra, cooptati dall’élite finanziaria europea prima ancora che la classe dirigente della Prima Repubblica venisse spazzata via dal ciclone Mani Pulite. L’Italia del boom economico “doveva” piegarsi ai tormenti di Maastrich e alle torture imposte dall’euro, pareggio di bilancio e Fiscal Compact, riforme strutturali (azzeramento del welfare) e taglio della spesa pubblica, cioè demolizione – mediante crisi – del tessuto socio-economico nazionale.Chiedetevi perché non si fa mai “la cosa giusta”, suggerisce Barbard: scoprirete che i partiti, specie quelli del centrosinistra, sono stati tutti reclutati dal “vero potere”, quello dell’oligarchia neo-aristocratica, per sabotare lo Stato e servire gli interessi delle multinazionali finanziarie. Questo spiega l’altrimenti incomprensibile, cronica mediocrità del ceto politico italiano. Sul “Giornale”, alla vigilia dell’elezione di Mattarella al Quirinale, Marcello Veneziani riflette sullo strano veto che impedisce l’accesso al Colle ai leader più carismatici. Veneziani passa in rassegna i presidenti finora succedutisi: «Il più autorevole fu Einaudi e prima di lui De Nicola, entrambi monarchici; e poi notabili democristiani da Gronchi a Scalfaro, o Segni, Leone e Cossiga, su cui si esercitò la macchina del fango; esponenti come Saragat e Napolitano, capi partigiani come Pertini o banchieri come Ciampi. Ma nessun vero leader o statista, nessun leader di partito di massa o di grande popolarità, nessun riformatore con significative esperienze di governo, se non di governi di transizione o balneari (e nessun romano, lombardo o adriatico)». Per Veneziani, «è questa l’anomalia della Repubblica italiana: senza presidenzialismo niente capi alla De Gaulle o Mitterrand, alla Kennedy o Nixon, solo gregari o notabili. Così sarà pure stavolta. Il galletto è Renzi, per il Colle cercano la gallina».Tra le mille dietrologie fiorite attorno all’anomala elezione di Mattarella, si segnala per inappuntabile coerenza la spiegazione fornita da Francesco Maria Toscano, stretto collaboratore di Gioele Magaldi: Renzi avrebbe “mollato” Berlusconi dopo aver promesso obbediente devozione al “venerabile” Mario Draghi, vero padre del rigore europeo. Il Patto del Nazareno? Un bluff di Renzi per alzare la posta: accoglietemi a corte, o rimetto in gioco l’odiato Berlusconi. Detto fatto: secondo Toscano, a Renzi sarebbe stato finalmente accordato l’accesso al mondo ultra-riservato delle “Ur-Lodges”, le massime strutture di potere della massoneria internazionale, di cui Draghi sarebbe uno dei leader più importanti, insieme alla presidente del Fmi, Christine Lagarde. In pegno, come garanzia di sottomissione, il mite Mattarella sul Colle. Un uomo destinato a non ostacolare il manovratore Renzi, in realtà mero esecutore dei diktat di Bruxelles? E’ presto per dirlo, ovviamente. Ma certo è da interpretare il primo gesto del neo-presidente: che evoca il nazismo alle Fosse Ardeatine per lanciare un monito contro “il terrorismo”, e non il nuovo nazismo della Troika Ue che governa col ricatto e senza più ombra di democrazia, piegando i popoli al volere di ristrettissime élite neo-feudali.Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».
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Un solo Duce al comando, l’Italia è tornata alla monarchia
Matteo Renzi, il rottamatore che non ha bisogno di chiedere consenso, tanto meno di essere eletto dal popolo (infatti non è mai stato parlamentare, ma dà comandi ai parlamentari), si sceglie e impone in Parlamento il presidente della Repubblica, che invece dovrebbe rappresentare e garantire tutti, super partes. Facendolo, tradisce il Patto del Nazareno (che d’ora in poi potrà chiamarsi Patto del Giuda), e forma la sua terza maggiorana parlamentare, in perfetto stile africano. Adesso anche il presidente della Repubblica è un nominato. Un nominato del primo ministro, ratificato da un Parlamento di nominati, eletto con una legge elettorale già dichiarata incostituzionale una Corte di cui era membro lo stesso Mattarella! Ovviamente non potrà, quindi, svolgere una funzione di controllo e contrappeso rispetto al capo del governo. Questa è la componente sostanziale. Ma c’è anche la componente del metodo, che in materia costituzionale è sostanza: Renzi lo ha scelto unilateralmente e ha comunicato il nome della sua scelta all’ultimo momento persino al suo partito.Non si potrebbe immaginare qualcosa che sia più di parte di questo. Per giunta, è chiaro che Renzi ha scelto lui perché non minaccia, sia in Italia che all’estero, di contendere a lui la scena e alla Germania l’egemonia imperialista. A questo punto, che sia una figura politica e umana decente, presentabile, è secondario. In generale, la vicenda dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica evidenzia l’assurdità dell’assetto costituzionale presente, e ancora di più l’assetto costituzionale che risulterà dalla riforma elettorale congiunta la riforma del Senato: un assetto in cui un organo squisitamente di parte, parte politica, cioè il segretario del partito di maggioranza, non solo nomina direttamente o indirettamente i deputati e senatori, ma nomina persino il capo dello Stato che dovrebbe controllare e controbilanciare. È come se il premier britannico nominasse il re o la regina. L’assurdo nonpotrà mai essere legittimo, nemmeno se imposto con la legge costituzionale. Vedremo presto se Mattarella asseconderà questo processo eversivo della Costituzione.La divisione dei poteri dello Stato sembrava un principio cardine, scontato oramai e indiscutibile, indispensabile ai fini della legittimità dello Stato, un’acquisizione definitiva e irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della Rivoluzione Francese. Ora infatti il premier unisce in sé il potere esecutivo, il potere legislativo e un’ampia parte del potere di controllo. Inoltre, non vi sono contrappesi indipendenti da lui al suo strapotere. La tesi fondamentale esposta da Montesquieu nel suo celebre trattato “Lo spirito delle leggi”, pubblicato nel 1748, è che può dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per prevenire tale abuso, occorrono contrappesi e controlli; occorre che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e debordare in tirannia.La riunione di questi poteri nelle medesime mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. «Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente»: è partendo da questa considerazione, che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei poteri. Per evitare che si conculchi la libertà dei cittadini, il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accentrati in un’unica persona od organo costituzionale. Tecnicamente, perciò, Renzi ha restaurato l’ancien régime, lo Stato assolutista pre-rivoluzione francese. Infatti con le sue riforme il premier domina il partito e ne forma le liste elettorali; domina la Camera con un terzo circa dei suffragi; domina l’ordine del giorno dei lavori; domina il Senato; sceglie il capo dello Stato; nomina direttamente cinque membri della Corte Costituzionale e cinque attraverso il capo dello Stato; nomina o sceglie i capi delle commissioni di garanzia e delle authorities; da ultimo, quasi dimenticavo, presiede il Consiglio dei ministri. E gestisce molte altre cose. Si è fatto controllore di se stesso. Questo intendo dire quando affermo che è stato superato il principio della divisione dei poteri dello Stato.In ciò, Renzi batte Mussolini, perché l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla presenza del re a capo dello Stato, il quale non era scelto ovviamente dal Duce, ed era al di sopra del suo raggio d’azione, tanto è vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Rispetto a questo, Renzi è più simile a Hitler, perché anche in Germania non c’era la monarchia, quindi il cancelliere potè riunire nelle sue mani tutti i poteri. L’abolizione della separazione dei poteri dello Stato è un salto costituzionale tanto lungo e radicale quanto sarebbe il salto per passare alla legge islamica, alla shariya. Eppure, chi si accorge di tale salto? Il popolo è scusato, dato che le stime ufficiali rilevano un 47% di analfabetismo funzionale e solo un 18% capace di capire testi un po’ complessi, figuriamoci Montesquieu. Ma dove sono i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i filosofi, i politici, gli intellettuali, quelli che hanno ampio accesso ai mass media e che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo, Costituzione, Resistenza, garanzie?Dove sono i fieri magistrati che dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato? Perché tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un’unica persona, di fronte all’abolizione dei controlli e dei bilanciamenti? Perché non insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora, quando, vostro onore? O sono cambiati gli ordini di scuderia? Forse voi, maliziosi lettori, pensate che i suddetti signori siano tutti diretti sul carro del vincitore, alla mensa del principe. Ma che male ci sarebbe, a questo punto? I poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e l’efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Si sono convinti che per governare e spremere questo paese ci vuole invece proprio il suo autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri collegati. Attraverso Renzi e Berlusconi, uniti da un patto sottobanco e di convenienza, forse comprendente la soluzione di problemi giudiziari, lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato, ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore di se stesso. “Honni soit qui a mal de panse. Adieu, Montesquieu: Vive le renzien régime!”.(Marco Della Luna, “Renzi rottama Montesquieu e nomina Mattarella”, dal blog di Della Luna del 29 gennaio 2015).Matteo Renzi, il rottamatore che non ha bisogno di chiedere consenso, tanto meno di essere eletto dal popolo (infatti non è mai stato parlamentare, ma dà comandi ai parlamentari), si sceglie e impone in Parlamento il presidente della Repubblica, che invece dovrebbe rappresentare e garantire tutti, super partes. Facendolo, tradisce il Patto del Nazareno (che d’ora in poi potrà chiamarsi Patto del Giuda), e forma la sua terza maggiorana parlamentare, in perfetto stile africano. Adesso anche il presidente della Repubblica è un nominato. Un nominato del primo ministro, ratificato da un Parlamento di nominati, eletto con una legge elettorale già dichiarata incostituzionale una Corte di cui era membro lo stesso Mattarella! Ovviamente non potrà, quindi, svolgere una funzione di controllo e contrappeso rispetto al capo del governo. Questa è la componente sostanziale. Ma c’è anche la componente del metodo, che in materia costituzionale è sostanza: Renzi lo ha scelto unilateralmente e ha comunicato il nome della sua scelta all’ultimo momento persino al suo partito.
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Uomini e topi, le cavie greche e la sinistra che tifa Draghi
Attenti a Tsipras: anche se finora ha tenuto un profilo molto basso, fingendo di rispettare i mostruosi vincoli europei contro il suo popolo, con la sola vittoria di Syriza potrà ora sottrarre il “laboratorio greco” al completo dominio dell’élite che s’è divertita a trasformare gli uomini in topi, per vedere fino a che punto sarebbero stati capaci di resistere per sopravvivere. «Se consideriamo la Grecia come un laboratorio», osserva Pino Cabras, «in occasione della vittoria di Tsipras abbiamo assistito all’incendio di molti alambicchi». Test pericoloso: se funziona sarà applicato a nuove vittime, se invece fa cilecca si aumenterà il livello di sofferenze sulle solite cavie. «La Grecia è stata già altre volte un’officina per gli sperimentatori delle élite occidentali», ricorda Cabras: «Negli stessi anni in cui in Italia gli ambienti atlantisti influenzavano la vita politica con la strategia della tensione e vari tentativi di colpo di Stato, ad Atene i militari andavano davvero al potere con un golpe, instaurando la Dittatura dei Colonnelli (1967-1974). Nella culla della civiltà europea si poté così sperimentare per qualche anno la soppressione delle normali libertà civili, lo scioglimento dei partiti politici, l’istituzione di tribunali militari speciali, il ricorso alla tortura e al confino per migliaia di oppositori».L’esperimento non funzionò: il golpe classico suscitava troppa opposizione interna e internazionale, i più intraprendenti fuggivano e l’economia diventava insostenibile. «Negli anni successivi, in Italia, appresa la lezione greca, si dimostrò che funzionava meglio un condizionamento di tipo piduista, che faceva sentire la minaccia della violenza, ma usava un approccio più graduale e tentacolare», scrive Cabras su “Megachip”. Il prezzo del test militare? Lo avevano già pagato i greci. Poi, nel nuovo secolo, «dall’instancabile cantiere oligarchico è partito un ulteriore “esperimento greco”, proprio negli anni in cui si è via via instaurato un nuovo tipo di regime europeo: cioè un regime che ha portato alle estreme conseguenze i difetti sempre più odiosi e antidemocratici della costruzione comunitaria e ha imposto le disfunzioni permanenti dell’euro, una moneta “che non dovrebbe esistere”, (come ha scritto finanche il servizio studi del colosso bancario svizzero Ubs), e che impone anche notevoli costi per un’eventuale uscita». La Grecia «sarebbe stata sufficientemente piccola da poter disinnescare il suo debito sovrano senza spargimenti di sangue, senza imporre fiscalità assassine, senza deprimere l’economia». E invece «le sono state imposte regole rigidissime», partorite da «un mondo intellettualmente fallito di pseudo-economisti traditori e ben pasciuti».Morale: «Si è abusato impunemente di un intero popolo, quello greco, che aveva la colpa di non essere numeroso e di avere un Pil che incideva sull’Europa quanto quello della provincia di Treviso sul Pil italiano». La spirale del debito non è stata interrotta, ma sovralimentata. Persino il Trattato di Maastricht citava la “solidarietà fra gli Stati membri”? I padroni del laboratorio, aggiunge Cabras, hanno invece deciso che quell’ingrediente doveva restare lettera morta: sulla pelle dei greci, hanno così potuto misurare in scala ridotta «quanto può crescere la disoccupazione in un paese e fino a che punto si deprezzano i beni, quand’è che un sistema sanitario crolla, qual è il punto di ebollizione da cui partono le rivolte violente e gli assalti ai fornai, come si dosa il monopolio della violenza affidato alla polizia, in che proporzione crescono i voti ai nazisti e quanto questi siano utilizzabili per dividere il popolo, quale livello di passività politica può raggiungere chi non ha più tempo per un proprio ruolo sociale e deve pensare solo a sopravvivere mentre evaporano stipendi e pensioni». E ancora: «Fino a che punto i partiti che reggono il sacco alle banche straniere resistono ancora all’erosione dei voti perché offrono ancora in cambio briciole residue per tenersi in vita? Qual è la chimica di una nazione disperata? Esplode, si evolve o implode?».La Troika Ue ha proseguito impassibile, recitando le sue orazioni neoliberiste. «Naturalmente il messaggio mafioso arrivava agli altri Piigs, maledetti maiali-cicala: avete vissuto troppo al disopra dei vostri mezzi, siete nati per soffrire e per “fare le riforme strutturali”, con una svalutazione del lavoro in favore del capitale finanziario». Nel “Laboratorio Grecia” si esagerava, fino a volerlo trasformare in una Zona Economica Speciale alla cinese, con salari da poche centinaia di euro, non senza aver distrutto quasi un milione di posti di lavoro. «Questo calvario è richiesto ai greci ancora una volta dalla comare secca che guida il Fmi, Christine Lagarde, che ha rilasciato una tempestiva intervista su “Le Monde” e “La Repubblica”, il 27 gennaio 2015». Aggiunge Cabras: «Sarebbe stato interessante chiedere alla Lagarde se è vero quel che dice su di lei il Gran Maestro Gioele Magaldi nel suo libro “Massoni”, cioè se appartenga a ben due logge massoniche ultraoligarchiche transnazionali, la “Pan Europa” e la “Three Eyes”, alla quale ultima – sostiene Magaldi – sarà possibile rivelare l’affiliazione anche di Giorgio Napolitano e Mario Draghi».E’ evidente che i padroni d’Europa la pensano allo stesso modo. A caldo, Draghi ha persino fatto notare che la pressione fiscale in Grecia resterebbe «ben inferiore sia alla media dell’area euro, sia a quella di tutta l’Unione europea a 28» Ossia: «C’è ancora un po’ di carne da staccare dall’osso». Fabio Scacciavillani twitta: «Un popolo di parassiti elegge una banda di ferrivecchi falliti». Scacciavillani, per chi non lo sapesse, è “chief economist” del Fondo d’investimenti dell’Oman, spiega Cabras: «Per la sua ideologia, un insegnante greco è dunque un parassita, laddove il Sultano dell’Oman è un adorabile filantropo e i grandi fondi speculativi sono immacolati agenti del Bene, purché ogni tanto li si foraggi con pubblico denaro: insomma, il solito neoliberista con il mercato degli altri, con proiezioni freudiane sul parassitismo». L’ascesa di Syriza è nata dunque in reazione a questo esperimento «crudele e interminabile, perpetuato da tanti reggicoda e ideologi in seno all’establishment». Tsipras ha dovuto «individuare il nemico sin da subito». Non come Vendola, che nel 2011 – intervistato da “L’Espresso” – credette di riconoscere «l’impegno di due grandi cattedre: quella di Papa Ratzinger e quella del papa laico, Mario Draghi».«Vendola – continua Cabras – associava uno dei più venerabili maestri della prassi oligarchica, Draghi il “papa laico”, nientemeno che a un nuovo “formidabile processo di critica verso le oligarchie” fra i giovani e i movimenti». Ecco perché la sinistra italiana non capirà mai la “lingua” della sinistra greca. Il vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittella (Pd), ha invitato Tsipras ad avviare negoziati «con le forze progressiste ed europeiste greche». Ma le “forze progressiste europeiste”, dice Cabras, sono «i complici più ipocriti dell’austerity». Tsipras si è guardato bene dal dargli retta, e un minuto dopo ha invece concluso un accordo di governo con un altro partito: «Un partito di destra, ma con la faccia al posto della faccia, a differenza di Pittella. Il quale continua il comunicato invitando il buon Alexis ad affrontare insieme le “sfide enormi come la lotta alla corruzione, all’evasione fiscale e alla disoccupazione”, cioè gli effetti secondari delle cause che Pittella e sodali hanno favorito, ad esempio promuovendo i Mario Monti e i Papademos, i Jobs Act e le iniquità strutturali dell’attuale moneta».Un economista anti-euro come Alberto Bagnai si è affrettato a dire che Tsipras è solo uno specchietto per le allodole che serve ad anestetizzare il dissenso? Giuseppe Masala riconosce che le armi in mano al nuovo primo ministro greco sono poche e spuntate, mentre tante armi potenti sono in mano straniera: Tsipras potrà fare politica e trovarsi alleati in Europa, ma l’esperimento (e anche l’incendio del laboratorio) è ancora in corso. «In troppi dimenticano che il primo partito greco, Syriza, ha ottenuto solo il 36,3% dei voti validi, i quali a loro volta sono da calcolare su appena il 64% del corpo elettorale». Attualissimo il monito di Enrico Berlinguer: sarebbe illusorio sperare in una svolta politica radicale, quand’anche si ottenesse il 51% dei voti. «La frase è del 1973: in Cile è appena andato al potere il generale golpista Pinochet che ha rovesciato Allende, mentre i colonnelli governano ancora Atene. Il dollaro da due anni non è più convertibile in oro, e la domanda di dollari esplode con il boom del prezzo del petrolio. In Italia settori rilevanti delle classi dirigenti atlantiste fanno sentire “tintinnio di sciabole”, in piena strategia della tensione». Finché in Italia ci furono partiti forti e di massa, continua Cabras, questi esercitarono una semi-sovranità in grado di correggere e contenere l’esercizio di poteri sovrani esterni che limitavano la sovranità italiana. Ma c’era evidentemente un limite invalicabile, oltre il quale la semi-sovranità soccombeva ai rapporti di forza opachi del sistema atlantico.Similmente, Tsipras ha massimizzato la forza politica ottenibile con il voto degli elettori in presenza di una proposta di governo riformatrice, consapevole di muoversi all’interno di vincoli letteralmente incontrollabili. Come quella di Berlinguer, «anche la scommessa di Alexis Tsipras è estremamente difficile, perché è condizionata da un campo internazionale molto maldisposto verso spinte contrarie al vento neoliberista, nel momento in cui sul piano militare si moltiplicano i focolai di guerra lungo i confini sempre più larghi della Nato, e sul piano economico si va a grandi passi verso una “Nato economica” da regolare con i nuovi trattati atlantici sul commercio e la finanza, con l’obiettivo di abbattere il ruolo della Russia e consolidare un’Europa più debole». In quel contesto «avremmo una Germania gendarme, circondata da un immenso Mezzogiorno europeo impoverito: la versione upgraded del “Laboratorio Greco”. Un incubo reale». Eppure, forse le strade non sono state tutte percorse, e il futuro può riservare «quote di imprevedibilità in grado di scottare gli scienziati pazzi». Cabras cita il nuovo ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, «un comunista determinato e molto preparato» che «parla l’inglese meglio dei maggiordomi europei che biascicano un misero anglofinanziese». E’ amico di James Galbraith, figlio del grande economista John Kenneth, a sua volta primo consigliere economico di Jfk e indimenticato autore di “L’economia della truffa”, «un libro che faceva già anni fa il ritratto dei nemici della Grecia, i nemici di tutti noi».Oggi è cresciuto il caos sistemico: c’è sempre chi scommette «sulla controllabilità di questo caos per ottenere nuovi vantaggi», ma non è detto che ci riesca. Troppe variabili in corso: dall’Ucraina, dove è in corso un nuovo laboratorio diretto da «plenipotenziari neocoloniali dell’élite oligarchica e finanziaria», con il Donbass «percorso da milizie nazistoidi e da mercenari», alla Spagna, dove un fenomeno elettorale nuovo, “Podemos”, con il vento in poppa come Syriza, individua già un tema chiave: uscire dalla Nato. «È perciò significativo che uno dei primissimi pronunciamenti del governo Tsipras sia stato quello di sconfessare il comunicato dei leader europei che prefigurava nuove sanzioni contro la Russia, con tanto di telefonata di Tsipras all’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini per esprimerle solennemente “il suo malcontento”». La Grecia diventerà un soggetto combattivo, avverte Cabras: «L’Europa che ha affossato il gasdotto South Stream ma non vuole rinunciare al gas dovrà passare proprio dalla Grecia, visto che le pipelines convergeranno in Turchia». Certo, l’Italia resta lontana dai germi di intelligenza che stanno sbocciando in Europa: non se esce né con i tirapiedi di Vendola, né con «le tristi derive del M5S».Non sparate su Tsipras: anche se finora ha tenuto un profilo molto basso, fingendo di rispettare i mostruosi vincoli europei contro il suo popolo, con la sola vittoria di Syriza potrà ora sottrarre il “laboratorio greco” al completo dominio dell’élite che s’è divertita a trasformare gli uomini in topi, per vedere fino a che punto sarebbero stati capaci di resistere per sopravvivere. «Se consideriamo la Grecia come un laboratorio», osserva Pino Cabras, «in occasione della vittoria di Tsipras abbiamo assistito all’incendio di molti alambicchi». Test pericoloso: se funziona sarà applicato a nuove vittime, se invece fa cilecca si aumenterà il livello di sofferenze sulle solite cavie. «La Grecia è stata già altre volte un’officina per gli sperimentatori delle élite occidentali», ricorda Cabras: «Negli stessi anni in cui in Italia gli ambienti atlantisti influenzavano la vita politica con la strategia della tensione e vari tentativi di colpo di Stato, ad Atene i militari andavano davvero al potere con un golpe, instaurando la Dittatura dei Colonnelli (1967-1974). Nella culla della civiltà europea si poté così sperimentare per qualche anno la soppressione delle normali libertà civili, lo scioglimento dei partiti politici, l’istituzione di tribunali militari speciali, il ricorso alla tortura e al confino per migliaia di oppositori».
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Mattarella al Quirinale, Renzi accolto nel Tempio di Draghi
«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.«Mario Draghi ha aperto le porte del tempio all’aspirante massone Matteo Renzi», scrive Toscano nel blog “Il Moralista”. Toscano è uno stretto collaboratore di Gioele Magaldi, gran maestro del “Grande Oriente Democratico” e autore di “Massoni” (Chiarelettere), inedita rilettura del ‘900 partendo dal ruolo decisivo delle Ur-Lodges, le superlogge internazionali al crocevia del massimo potere mondiale. «Dopo il lungo e nefasto regno di Napolitano – scriveva Toscano alla vigilia del voto per il Quirinale – si intravede all’orizzonte la possibilità che al Colle ci finisca ora un personaggio grigio e oscuro come Sergio Mattarella». Fra tutti i nomi circolati sui quotidiani, «quello di Mattarella è certamente il più modesto e dimesso; così dimesso da far tornare alla mente quella famosa massima democristiana che spiegava come “alcune nomine servano in realtà a rendere strutturalmente vacante la posizione occupata”». Toscano parla di «un mosaico solo in parte visibile». Domanda: chi comanda davvero in Italia? Quali uomini decidono davvero le linee di indirizzo politico «poi pedissequamente recepite da partiti eterodiretti dall’esterno?».Fino a ieri il gioco era abbastanza scoperto, continua Toscano: «Giorgio Napolitano, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” al pari di Mario Draghi, supervisionava il progressivo svuotamento del benessere e della democrazia italiana per assecondare le bramosie speculative del mercato finanziario privato». Esaurito il mandato di Napolitano, «il sistema è costretto a ridisegnare un equilibrio di potere che finga di cambiare tutto per non cambiare nulla». Secondo Toscano, «l’occulto padrone e regista della vita politica italiana è il “venerabilissimo maestro” Mario Draghi, padre dell’austerità in Europa, che tratta l’Italia quasi fosse una sua dependance personale». Il presidente della Bce «esercita il suo potere riservatamente e con discrezione, lasciando che la pubblica opinione si distragga osservando le gesta di tanti figuranti che popolano il Parlamento con lo specifico compito di fare ammuina». Ma, «come ogni Sultano che si rispetti», anche Draghi «ha bisogno di nominare un Gran Visir al quale affidare il disbrigo degli affari correnti». E dunque chi, dopo Napolitano, «interpreterà ora il ruolo di cinghia di trasmissione dei voleri delle potentissime Ur-Lodges frequentate con costrutto dal capo della Bce? Mattarella? Niente affatto».Per Toscano, «il nuovo portavoce e plenipotenziario della massoneria reazionaria in Italia è Matteo Renzi, pronto per essere iniziato presso una delle Ur-Lodge più potenti e perverse del pianeta». Finito il periodo di “tegolatura”, cioè di attesa, l’ex sindaco fiorentino sarebbe oramai «sulla soglia del Tempio». Una volta «divenuto organico alle superlogge», il nuovo Renzi «potrà quindi finalmente rapportarsi direttamente con i “padroni”». Ma attenzione: «Per calarsi compiutamente nei panni di longa manus della massoneria oligarchica, Renzi ha però bisogno che sul Colle venga eletto un uomo incapace di fargli ombra. Un uomo cioè che si limiti a interpretare il ruolo in maniera neutra e notarile, lasciando cioè mano libera ad un premier oramai pienamente riconosciuto e legittimato dai vertici delle istituzioni latomistiche mondiali». Questo schema soddisfa tutti tranne Berlusconi: «Il vecchio re di Arcore è stato bastonato di nuovo da quegli stessi poteri che nel novembre del 2011 lo cacciarono senza complimenti e a calci in culo per fare spazio a Mario Monti con la scusa dello spread». Come aveva più volte preannunciato lo stesso Gioele Magaldi, il Patto del Nazareno «altro non era se non un patto “fra straccioni”, già pubblicamente sconfessato dalla massoneria che conta, per tramite di un articolo vergato tempo fa sul “Corriere della Sera” dal fedele scrivano Ferruccio De Bortoli».«Mattarella è stato indicato da Draghi», scrive Toscano, spiegando che «l’operazione portata a termine con astuzia dal capo della Bce è chiarissima». Il defunto Patto del Nazareno, amplificato ad arte dalla stampa, «univa in realtà due debolezze». Ovvero: «Due parvenu, Renzi e Berlusconi, estranei ai circoli massonici più elitari ed esclusivi, avevano deciso di stipulare un patto potenzialmente in grado di affrancarli in parte dal controllo delle Ur-Lodges più importanti. Tale accordo, che esprimeva come garante un massone casereccio e di basso livello come Denis Verdini, non poteva reggere di fronte all’offensiva di un peso massimo del livello del “venerabile” Draghi. E infatti non ha retto». A Renzi, continua Toscano, del “Nazareno” non è mai importato nulla: «Il nostro spregiudicato Rottamatore ha semplicemente usato il decadente Berlusconi per aumentare il suo potere contrattuale nei confronti dell’aristocrazia massonica sovranazionale. “O fate entrare in Loggia anche me”, questo lo spirito con il quale Renzi ha vissuto lo strumentale abbraccio con il Biscione, “oppure io riabilito il puzzone e comincio a menare fendenti contro l’Europa dei burocrati”». Alla fine, conclude Toscano, Renzi «ha ottenuto con il ricatto quello che voleva: a breve infatti il pinocchietto fiorentino verrà ritualmente iniziato presso una delle Ur-Lodge più influenti del globo terracqueo».Secondo indiscrezioni circolate nell’ambiente massonico, aggiunge ancora Toscano, Renzi potrebbe essere affiliato a breve alla superloggia di destra “Compass-Star Rose” o alla gemella “Pan-Europa”, entrambe caratterizzate dalla presenza di Christine Lagarde, esponente dell’oligarchia neo-aristocratica europea, secondo cui gli Stati dovrebbero prepararsi a tagliare drasticamente le pensioni a causa dell’innalzamento dell’aspettativa di vita degli anziani in Europa. Secondo le esplosive rivelazioni fornite da Magaldi, le superlogge come la “Three Eyes”, la “Pan-Europa” e la “Compass-Star Rose” costituirebbero la “cupola di potere” protagonista della sconfitta storica della sinistra sociale in tutto l’Occidente: dal declino insanguinato dei Kennedy alla fine del glorioso welfare europero, seppellito dal neoliberismo selvaggio e globalizzatore imposto attraverso l’influenza di istituzioni “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale fondata da David Rockefeller. Di qui l’assetto oligarchico dell’Unione Europea e l’imposizione delle “riforme strutturali”, brandite infatti anche da Renzi, con le quali colpire il mondo del lavoro e svuotare lo Stato, a beneficio delle grandi lobby economico-finanziarie.Sergio Mattarella è accolto al Quirinale tra cori di rispettoso consenso: il mainstream gli riconosce estrema sobrietà personale e rigorosa lealtà verso la Costituzione. Riuscirà a opporsi al disegno oligarchico euro-diretto contro l’Italia, nonostante sia stato candidato proprio dagli esecutori nazionali del sabotaggio dell’economia italiana? Il blog “Senza Soste” è pessimista, e parla dell’Italia come di «un paese che si spegne nel silenzio». La carriera di Mattarella si sarebbe sviluppata in modo “coestensivo” rispetto al declino italiano: «Se c’è un nucleo di scelte, tra gli anni ’80 e ’90, che hanno portato questo paese al disastro, Sergio Mattarella, da democristiano e da ministro della Repubblica, le ha condivise tutte». Tra le maggiori ombre, la legge che inaugurò il sistema elettorale maggioritario e la fedeltà atlantica dimostrata nella Guerra del Kosovo, coi bombardamenti sulla Serbia costati tremila vittime inermi. «Nella vicinissima Libia – continua “Senza Soste” – è in corso una guerra civile senza quartiere con una delle fazioni in campo direttamente affiliata all’Isis: in caso di necessità, il decisionismo militare di Mattarella sarebbe già stato testato per lo sforzo bellico». Stessa situazione «a quattro guanciali» per Bce, Ue e Fmi: «Non sarà certo Mattarella a mettere in discussione l’assetto continentale».A pochi giorni dal voto greco, aggiunge “Senza Soste”, «in risposta a quanto avvenuto ad Atene, l’Italia renziana e liberista ha dato quindi la sua risposta alla delegittimazione ellenica della Troika eleggendo un presidente di provata compatibilità con un ordoliberismo sottile quanto feroce». Mentre il paese affonda, «il settennato di Sergio Mattarella si avvia in democristiano torpore», anche grazie a una nomenklatura che riesce sempre a proteggere se stessa dal disastro nel quale sprofonda la nazione. Altrettanto diffidente, sul nuovo capo dello Stato, il blog “Sollevazione”: «C’è chi dice che non sarà solo un passacarte, che Mattarella si farà valere, che farà rispettare la Costituzione. Noi non ci crediamo. Renzi prima di renderlo papabile avrà ottenuto dal Nostro le sue garanzie. Mattarella non solo è stato un uomo chiave democristiano della “Seconda Repubblica”, ne è stato anzi uno degli architetti – la infame legge elettorale che nel decisivo 1993 scardinò il principio proporzionale non a caso porta il suo nome». La sinistra Pd e Sel lo hanno votato sperando che freni l’azione di Renzi? Si illudono: «Nelle prossime settimane si vota sulle “riforme” (leggi scasso) della Costituzione e sulla legge elettorale Italicum. Noi scommettiamo che Mattarella seguirà, pur con un più basso profilo proprio per non fare ombra a Renzi, le orme di chi l’ha preceduto e che non a caso è stato il suo principale sponsor». Perlomeno, il suo sponsor italiano. Se è vero – come scrive Toscano – che il vero sponsor risiede lontano dall’Italia, ben al di sopra del Parlamento di Roma.«Un Presidente sopra le parti e mai sopra le righe: così l’ha definito Mario Monti e così sarà». Parola di Eugenio Scalfari, l’uomo delle cenette riservate con Mario Draghi, Giorgio Napolitano e l’allora premier Enrico Letta, incaricato di spremere gli italiani con “l’inevitabile” tortura del rigore Ue. Scalfari addirittura considera Sergio Mattarella «un Capo dello Stato che proseguirà al vertice delle istituzioni l’esempio dato da Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano». Perché accostare Einaudi e Pertini a Ciampi e Napolitano? L’eurocrate Ciampi “staccò” Bankitalia dal Tesoro, mettendo il paese nelle mani della finanza speculativa e facendo esplodere un debito pubblico non più controllabile, mentre Napolitano – com’è ormai chiaro a chiunque, persino all’ex ministro di Obama, Tim Geithner – è stato il massimo garante dei poteri forti internazionali, interessati a depredare il paese imponendo “commissari” come Monti e Letta, fino all’ambiguo outsider Renzi, che oggi viene celebrato come il king-maker di Mattarella. Errore, avverte Francesco Maria Toscano: l’accordo sul Quirinale non è nato a Palazzo Chigi, ma nella ristrettissima cerchia delle super-lobby di Mario Draghi e Christine Lagarde, la signora del Fmi.
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Non c’è speranza, l’Italia applaude i suoi macellai golpisti
Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze sfavorevoli, non sostenibile soprattutto in quanto a disoccupazione e pensioni; dall’altro lato abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri – legislativo, esecutivo e di controllo, cioè di garanzia – nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa. Questi, prendendo anche solo in teoria il 25% dei suffragi, si aggiudica il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di garanzia, della nomina del presidente della Repubblica, di giudici costituzionali e di componenti del Csm. In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali chances. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato, ma non nei confronti degli elettori, bensì del segretario del partito. Una vera mostruosità giuridico-costituzionale, senza pari nel mondo ritenuto civile.Un ritorno massiccio e deciso a prima della separazione dei poteri statuali, cioè a un modello di Stato di tipo assolutistico, cioè a oltre due secoli fa. Aggiungiamo che la riforma elettorale non solo dà il premio di maggioranza al partito che prende anche solo il 25% dei suffragi, ma anche, per effetto dell’attribuzione del premio di maggioranza non a una coalizione bensì al singolo partito, risulta congegnata per far sì che ci sia un partito fisso di maggioranza, cioè un partito-Stato – il Partito Democratico (e come altro potrebbe chiamarsi?) – più alcuni piccoli partiti in funzione di alleati mobili e clientelari del partito di maggioranza, più ancora un partito medio-grosso di opposizione perenne. Insomma, in previsione di una situazione economica e sociale sempre peggiore e tale da generare forti tensioni e forse rotture sociali, viene costituito, con la massima precedenza, un apparato statuale autocratico e bloccato, per garantire alla buro-partitocrazia parassitaria e criminale le sue rendite, le sue poltrone, le sue impunità anche nel disastro nazionale; e insieme per garantire il dominio sul paese ai grandi interessi finanziari stranieri, con la possibilità di completare l’estrazione o l’acquisizione degli asset nazionali e dei mercati nazionali ancora appetibili attraverso il controllo del suo governo e del suo capo di Stato.Per fare queste importanti riforme, e per eleggere un adeguato Capo di Stato che funga da raccordo tra la casta nazionale e i superiori potentati europei e americani, cioè un presidente di garanzia per il suddetto assetto, niente di meglio dell’attuale Parlamento di nominati, illegittimo perché eletto con legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Aiuta anche la “condizionabilità” giudiziaria, e non solo giudiziaria, del leader del primo o secondo partito di “opposizione”: nove o dieci milioni di voti controllati o neutralizzati così. La precisa e chiarissima scelta di concentrare i poteri di legislazione, governo e controllo in un’unica persona, toglie ogni dubbio sul progetto dittatoriale: non esiste in Europa, neanche in Russia, qualcosa di simile. Neanche il fascismo la realizzò. La passività e la ignavia via con cui la popolazione italiana accetta tutto ciò, l’assenza di obiezioni e anzi l’incoraggiamento da parte dell’Europa verso tale mostruosità giuridica, confermano che il destino dell’Italia è già stato deciso, che non vi è spazio per un’alternativa, e che quindi l’unica via razionale, per chi può, è l’emigrazione.Impossibile è giustificare le riforme suddette dicendo che sono indispensabili per assicurare la governance e l’efficacia della politica: come ho spiegato in precedenti articoli, questo obiettivo si può raggiungere con un sistema bicamerale differenziato: una Camera della governabilità, eletta con sistema maggioritario e premio di maggioranza, la quale vota i governi e le leggi, e una Camera della rappresentanza e delle garanzie, eletta con metodo proporzionale e senza soglie, la quale elegge gli organi di garanzia (presidente della Repubblica, giudici costituzionali, commissioni di sorveglianza) e vota le leggi costituzionali nonché quelle elettorali e concernenti la cittadinanza. Quindi la giustificazione suddetta, in nome della governabilità, è falsa. Ma lo è anche perché la politica nazionale ha ben poco da decidere, essendo guidata da vincoli e dettami esterni, rispetto ai quali ha una funzione perlopiù esecutiva. La realtà è che, in Italia e in altri paesi deboli e arretrati, il capitalismo finanziario globale sta instaurando regimi autoritari al fine di usarli per imporre, rapidamente e senza possibilità di opposizione, leggi e riforme strumentali ai suoi interessi e al suo potere, come il famigerato Ttip, oggi in gestazione.(Marco Della Luna, “Disastro e dittatura”, dal blog di Della Luna del 15 gennaio 2015).Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze sfavorevoli, non sostenibile soprattutto in quanto a disoccupazione e pensioni; dall’altro lato abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri – legislativo, esecutivo e di controllo, cioè di garanzia – nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa. Questi, prendendo anche solo in teoria il 25% dei suffragi, si aggiudica il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di garanzia, della nomina del presidente della Repubblica, di giudici costituzionali e di componenti del Csm. In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali chances. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato, ma non nei confronti degli elettori, bensì del segretario del partito. Una vera mostruosità giuridico-costituzionale, senza pari nel mondo ritenuto civile.