Archivio del Tag ‘destra’
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Padoa Schioppa: servono riforme che vi facciano soffrire
«I giovani italiani sono bamboccioni», «le tasse sono bellissime». Queste amenità, pronunciate durante il secondo governo Prodi, di cui Tommaso Padoa Schioppa era ministro dell’economia, sono probabilmente l’unico lascito alla memoria collettiva di uno degli ideatori della moneta unica. Oltre a questo, poco rimane; qualche convegno alla memoria tra economisti iniziati, e l’impressione che il personaggio fosse una brava persona colpita da un’avversa sorte (è morto all’improvviso alla fine del 2010). Eppure, scrive Claudio Martini su “Mainstream”, Padoa Schioppa era ben altro. Era l’uomo che, nel 2003, sul “Corriere della Sera” scriveva: «Non restavano che le riforme strutturali, eterno ritornello di quelle che Luigi Einaudi chiamava le sue prediche inutili: lasciar funzionare le leggi del mercato, limitando l’intervento pubblico a quanto strettamente richiesto dal loro funzionamento e dalla pubblica compassione».
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Menzogne in prima pagina, da Saddam alla bara di Chávez
Sempre loro, sempre gli stessi. Quelli che raccontarono che la Cia e l’Fbi, poveri dilettanti, non sapevano niente dei “misteriosi” attentatori dell’11 Settembre, impegnati a prendere lezioni di volo e poi a volare davvero, quel maledetto giorno, mentre la difesa aerea degli Stati Uniti era impegnata, per la prima volta nella sua storia, in 7 diverse esercitazioni contemporanee, coi caccia tenuti lontanissimi da Manhattan e i radar schermati da strani videogame. E’ sempre lui, l’eterno mainstream, che prende per buono il film sulla fine di Bin Laden e quello sulle “fosse comuni” di Gheddafi, dopo aver creduto alle terribili “armi di distruzione di massa” di Saddam. Viene il turno di un formidabile avversario come Hugo Chávez? Niente paura: il “dittatore socialista”, quattro volte eletto democraticamente, secondo il Tg3 non ha cambiato la faccia del Venezuela, cioè del paese che ha sconfitto la fame, l’analfabetismo e la mortalità infantile, superando anche il Brasile dei record nella distribuzione del nuovo benessere. Irrilevante, Chávez. Evidentemente, i venezuelani si disperano perché sono cretini, gente di razza inferiore.
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Münchau: bravo Grillo, scuoterà l’Europa contro la Merkel
Karl Marx con le elezioni italiane si sarebbe molto divertito. Il suo saggio “Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” inizia con una frase: «Hegel da qualche parte scrive che tutti i personaggi e i fatti del mondo tornano sempre una seconda volta. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come una misera farsa». Marx si riferiva al colpo di stato di Luigi Napoleone del 1851 e al paragone con il putsch del suo ben più cattivo zio nel 1799. Si può fare un parallelismo simile fra la Germania di inizio anni ’30 e l’Italia di oggi. In entrambi i casi c’era un sistema di cambi fissi, allora il Gold Standard, oggi l’euro. Ci fu anche allora una politica prociclica guidata dalla follia dell’establishment: l’austerità durante la recessione. Finì con una disoccupazione di massa e la trappola del debito. In Germania la grande depressione terminò con una tragedia. L’Italia ha eletto un comico.
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Financial Times: macché fascisti, viva i comici in politica
Altro che fascismo, altro che dittatori. L’Europa di oggi, che sempre più spesso piange e sempre più raramente ride, vuole i comici al potere. Nello stravolgimento che la crisi ha portato nel Vecchio continente, la gente tende a credere di più a chi scherza per lavoro che a quelli che invece per mestiere dovrebbero dire sempre la verità. Segno evidente di quello che sia diventata la politica e di come, conseguentemente, venga percepita dai cittadini. Non c’è dubbio che le analogie fra il periodo storico che stiamo vivendo e i pericolosi anni ‘30 siano parecchie. C’è una crisi economica devastante in atto, la disoccupazione è alle stelle e l’austerità picchia duro. Stanno nascendo nuovi movimenti politici come reazione, spesso più disperata che rabbiosa, da parte della gente che si ritrova inghiottita da un disastro che sembra piovuto chissà come, chissà da dove. Ma da qui a paragonare Beppe Grillo e il suo “Movimento 5 Stelle” al fascismo, ce ne passa.
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Fermato l’euro-golpe, Italia al bivio: democrazia o guerra
L’Unione Europea nacque come progetto di pace e di solidarietà sociale raccogliendo l’eredità della cultura socialista e internazionalista che si oppose al fascismo. Negli anni ’90 le grandi centrali del capitalismo finanziario hanno deciso di distruggere il modello europeo, e dalla firma del Trattato di Maastricht in poi hanno scatenato un’aggressione neoliberista. Negli ultimi tre anni l’anti-Europa della Bce e della Deutsche Bank ha preso l’occasione della crisi finanziaria americana del 2008 per trasformare la diversità culturale interna al continente europeo (le culture protestanti gotiche e comunitarie, le culture cattoliche barocche e individualiste, le culture ortodosse spiritualiste e iconoclaste) in un fattore di disgregazione politica dell’unione europea, e soprattutto per piegare la resistenza del lavoro alla definitiva sottomissione al globalismo capitalista.
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Popolo, pane e diritti: la scomoda lezione di Hugo Chávez
Hugo Chávez non è stato un dirigente come tanti nella storia della sinistra. È stato uno di quei dirigenti politici che segnano un’intera epoca storica per il suo paese, il Venezuela, e per la patria grande latinoamericana. Soprattutto, però, ha incarnato l’ora del riscatto per la sinistra dopo decenni di sconfitte, l’ora delle ragioni della causa popolare dopo la lunga notte neoliberale. L’America nella quale il giovane Hugo iniziò la sua opera era solo apparentemente pacificata dalla cosiddetta “fine della storia”. Questa, in America latina, non era stata il trionfo della libertà come nell’Europa dove cadeva il Muro di Berlino. Era stata invece imposta nelle camere di tortura, con i desaparecidos del Piano Condor e con la carestia indotta dal Fondo Monetario Internazionale.
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Il voto italiano accelera la fine dell’euro, ma il Pd dorme
Sta’ a vedere che agli italiani riuscirà il miracolo: uscire dall’euro, per ora messo «in coma farmacologico» dal “dottor” Draghi, vista l’impossibilità di una vera guarigione. «Lasciarlo dormire o farlo morire? Draghi insisteva per la prima soluzione. Ma ad un tratto – scrive l’economista democratico Emiliano Brancaccio all’indomani delle elezioni – il popolo italiano ha improvvisamente optato per la seconda: ormai l’euro è solo uno zombie, un morto che cammina. Volenti o nolenti, prendiamone atto». Gli strateghi della Bce l’hanno capito, e ora «si accingeranno a modificare la “regola di solvibilità” della politica monetaria: il famigerato ombrello europeo contro la speculazione verrà pian piano chiuso, per poi finire in cantina». Le più fosche previsioni di un appello di 300 economisti, pubblicato già nel giugno 2010 contro le politiche di austerity in Europa, si stanno avverando: l’euro non può reggere alla crisi economica.
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La storia siamo noi, nessuno si senta escluso
Quando esplose il reattore di Chernobyl, nel remoto 1986, il Muro di Berlino era ancora in piedi, ma a Mosca si era appena insediato l’uomo che lo avrebbe abbattuto, Mikhail Gorbaciov. Nell’Italia pre-tangentopoli, ancora ignara dei terremoti che proprio il crollo dell’Urss avrebbe causato, licenziando l’ormai inutile casta politica anti-sovietica della Prima Repubblica, si muoveva un’esigua minoranza di kamikaze, immediatamente criminalizzati dal mainstream come eretici guastatori, qualunquisti, avanguardie dell’antipolitica. I loro nomi: Alex Langer, Gianni Mattioli, Massimo Scalia. In altre parole, i Verdi: quelli che – complice il disastro bielorusso – riuscirono a trascinare l’Italia al voto, spingendo il paese a mettere al bando il nucleare.
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Fuga dai partiti, milioni di voti in cerca di speranza
No all’euro-dittatura, all’incubo della crescita impossibile, alla stanca democrazia delle élite, ma anche alla guerra che incombe, evocata dagli obblighi Nato. E poi i punti esclamativi sul reddito di base, la solidarietà, la pace, la convivialità, l’onestà, la trasparenza, la competenza, l’ecologia e la compatibilità ambientale, la cultura. In una parola: la speranza. Così legge il successo di Grillo l’analista Pierluigi Fagan, che scruta i flussi elettorali: astensionismo in crescita, crollo del centrodestra truccato da “rimonta”, frana del centrosinistra che non riesce a vincere, estinzione definitiva della sinistra. Nei grandi numeri, osserva Fagan, l’Italia ricalca l’andamento dell’elettorato greco devastato dalla crisi, con una importante differenza: l’inesistenza di un’opposizione di estrema destra: CasaPound, Fiamma Tricolore e Forza Nuova raddoppiano i voti ma si fermano a quota 183.000, meno di quelli che ottenne nel 2008 il Partito Comunista dei Lavoratori.
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Il popolo di Grillo: sana e democratica rivolta di classe
C’è una strana serenità che sale dopo il terremoto elettorale, retrocedendo i tonfi sui mercati e gli allarmi delle cancellerie al rango delle note di colore. Come se i problemi fossero altri, di un’altra epoca. La sorpresa che emerge è che il signor Grillo non è un mostro a tre teste né un gerarca nazista, come da anni predicavano i partiti, a iniziare dal Pd, e i loro volonterosi carnefici che oligopolizzano la stampa italiana. E’ solo un libero professionista che si è appassionato del web e di temi socio-ecologici e tre anni e mezzo fa si candidò alle primarie dello stesso Pd. Che rispose come insegnavano le Frattocchie. Col solito niet, non privo di risatine e consigli a trovarseli da solo, i voti. E con la solita pacca sulla spalla che continua a elargirsi ai giovanotti, relegati per oltre 30 anni nelle “sezioni giovanili”, ovvero nella patetica coreografia della danza del giaguaro.
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Il tramonto degli smacchiatori e dei loro guru televisivi
«L’unica promessa attendibile del Pd per due mesi è stata: “Votate per noi, altrimenti ritorna Berlusconi”. Molti cittadini hanno capito: “Se votate per noi, ritorna Monti”. E sono corsi a votare i 5 Stelle. Tutti gli altri hanno detto: “Ah sì? Non avete altro da offrirci? Beh, almeno il nano ci toglie l’Imu”. E hanno votato Berlusconi». Un capolavoro di strategia elettorale, ironizza Debora Billi il giorno dopo il voto: nessun complotto, per carità, ma «una totale idiozia in perfetta buona fede: francamente, confesso che avrei preferito il complotto». In fondo, la frana comincia a fine 2011: «Il grande partito della sinistra, caduto Berlusconi, invece di correre alle urne e stravincere ci ha inflitto il peggior governo di destra che la storia repubblicana ricordi. Un’orda di professori ricchi sfondati e senza alcun rilievo accademico, che hanno pedissequamente messo in pratica in Italia i dettami del più bieco neoliberismo».
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E questo è solo l’inizio: l’Italia prenota il diritto al futuro
«Chi, dopo 5 anni di bancarotta berlusconiana, non riesce a convincere più di un terzo degli elettori non può pretendere di governare contro gli altri due terzi: anzi, dovrebbe dimettersi seduta stante per manifesta incapacità». Marco Travaglio non ha dubbi: Bersani e soci dovrebbero togliere il disturbo. «La domanda era: riusciranno i nostri eroi a non vincere le elezioni nemmeno contro un Caimano fallito e bollito?». La risposta è arrivata: ce l’han fatta un’altra volta. «Come diceva Nanni Moretti 11 anni fa, prima di smettere di dirlo e di illudersi del contrario, “con questi dirigenti non vinceremo mai”». Del resto, «era impossibile che gli amici del giaguaro smacchiassero il giaguaro». A fine 2011 Berlusconi era al 7%, le elezioni lo avrebbero cancellato. «Invece, un’astuta manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini, pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a B. 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro».