Archivio del Tag ‘denaro’
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Perché a Di Maio conviene mollare Salvini per Zingaretti
«Previsione flash: il Movimento 5 Dtelle e il Pd governeranno il paese. E lo faranno grazie alla strategia di Zingaretti e Di Maio che, pur diversissimi, avranno a breve l’occasione per un riscatto in termini di consenso». L’occasione, scrive Massimo Bordin su “Micidial”, sarà servita su un piatto d’argento proprio dalla Lega, «che non ha idee economiche degne di nota e che ha messo Borghi e Bagnai nell’angolino del Parlamento». Com’è risaputo, infatti, la strategia di Salvini «si è concentrata sui temi caldi come migrazione e sicurezza». Ma questi «non sono temi commestibili», e dopo un po’ di “divertimento” mediatico «la questione economica verrà a galla». Ovvero: «Prima di trastullarsi con barconi e ladri d’appartamento, la gggènte deve pur magnà». Secondo Bordin, «il bubbone non è ancora scoppiato perchè l’Italia galleggia sugli zero virgola (in su o in giù) da diversi anni», vivacchiando in qualche modo. «Con Renzi si è avuto qualche “più” minuscolo del Pil», davvero poca cosa, e quindi «la vita degli italiani – tra salari immobili e precariato – non è cambiata una cippa. Idem con il duo Conte-Tria». Riassumendo: «Il paese se n’era uscito massacrato dalla crisi del 2008 e dalle pressioni ordoliberiste sul debito pubblico, ma diciamo pure che dal 2014 ha galleggiato senza affogare». Eppure «non durerà», profetizza Bordin.A meno che la Ue non subisca una vera inversione di marcia (assai improbabile, peraltro) a seguito delle elezioni europee – aggiunge il blogger – l’Italia «si troverà presto in difficoltà come nel 2008», perché nel frattempo «non ha creato denaro tramite le banche, non ha monetizzato il debito per colpa dei “niet” della Banca Centrale di Francoforte», e in più «i suoi istituti di credito locali sono impossibilitati a prestare soldi (creandoli…) alle imprese del territorio». Di fatto, «la contrazione del credito si sta facendo sempre più pesante, anno dopo anno». Ragiona Bordin: è ipotizzabile che la Lega esca vincitrice alle elezioni europee, anche se non è detto che ciò accadrà con le cifre astronomiche dei sondaggi. In tal caso, «Di Maio dovrà subire un rimaneggiamento al governo, ma potrà così permettersi un profilo più polemico verso il suo partner». Aggiunge “Micidial”: «Se la Lega ai tempi di Bossi poteva fare il partito di lotta e di governo, ora questo ruolo potrà essere finalmente ricoperto dal Movimento 5 stelle, visto che le redini del governo passeranno in modo deciso alla Lega e con esse le principali responsabilità in termini di risultato».Con la recessione, però, secondo Bordin gli italiani cambieranno radicalmente idea “partitica”, cosa che ormai «fanno peraltro con una certa frequenza». E quello sarà il momento di Luigi Di Maio, che potrà affrancarsi da Salvini e avvicinarsi al Pd. «L’ex partito di centro (ora è di destra) guidato da Zingaretti non aspetta altro dai tempi della scomparsa di Renzi». Fantasie? Allucinazioni? Suggestioni? Mica tanto: l’ambiguità della dirigenza pentastellata emerge ogni giorno di più, aggravando il bilancio politico di un governo che – neppure sul fronte leghista – ha avuto il coraggio di sfidare Bruxelles nell’unico modo possibile, cioè difendendo a oltranza l’aumento del deficit (magari ben oltre il misero 2,4% inizialmente proposto) ed emettendo moneta statale parallela, non a debito, per tamponare le falle – meglio, i crateri – della disoccupazione dilagante. Unico merito dei gialloverdi: aver almeno denunciato il problema, nei primi mesi. Se però Salvini “abbaia, ma non morde” (e Di Maio lo abbandona, sfilandosi), niente di più facile che i poteri che “sovragestiscono” l’Italia pensino a un comodo inciucio tra grillini e Pd, rassicurante per Bruxelles, magari sotto l’egida di un super-commissario come Draghi.«Previsione flash: il Movimento 5 Dtelle e il Pd governeranno il paese. E lo faranno grazie alla strategia di Zingaretti e Di Maio che, pur diversissimi, avranno a breve l’occasione per un riscatto in termini di consenso». L’occasione, scrive Massimo Bordin su “Micidial”, sarà servita su un piatto d’argento proprio dalla Lega, «che non ha idee economiche degne di nota e che ha messo Borghi e Bagnai nell’angolino del Parlamento». Com’è risaputo, infatti, la strategia di Salvini «si è concentrata sui temi caldi come migrazione e sicurezza». Ma questi «non sono temi commestibili», e dopo un po’ di “divertimento” mediatico «la questione economica verrà a galla». Ovvero: «Prima di trastullarsi con barconi e ladri d’appartamento, la gggènte deve pur magnà». Secondo Bordin, «il bubbone non è ancora scoppiato perchè l’Italia galleggia sugli zero virgola (in su o in giù) da diversi anni», vivacchiando in qualche modo. «Con Renzi si è avuto qualche “più” minuscolo del Pil», davvero poca cosa, e quindi «la vita degli italiani – tra salari immobili e precariato – non è cambiata una cippa. Idem con il duo Conte-Tria». Riassumendo: «Il paese se n’era uscito massacrato dalla crisi del 2008 e dalle pressioni ordoliberiste sul debito pubblico, ma diciamo pure che dal 2014 ha galleggiato senza affogare». Eppure «non durerà», profetizza Bordin.
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“Ladri” capaci e leali: quei politici non tradirono mai l’Italia
E’ irragionevole, sebbene umanamente comprensibile, credere che chi conquista un potere pubblico non lo usi a vantaggio proprio e della propria fazione. Questa credenza viene regolarmente sfruttata per raccogliere voti con la promessa di debellare la corruzione. È ingenuo o ingannevole deprecare indignati la corruzione (il peculato, l’abuso di potere commessi dai politici di mestiere), perché prendersi a torto o a diritto denaro e altre utilità è al contempo lo scopo e lo strumento del fare politica, assieme alla capacità di camuffare questa e altre realtà e di eliminare i concorrenti. I politici di carriera sono selezionati e formati in base a ciò. Alcuni ingenui si mettono in politica per ideali; ma, non producendo dividendi, finiscono presto, tranne i rari che vengono presi e usati come icone di onestà, foglie di fico. Non esiste e non può esistere una politica onesta, che non rubi e non inganni – il che legittima moralmente e legalmente l’evasione fiscale-contributiva e in generale l’arrangiarsi, come legittima difesa o azione in stato di necessità.Esistono invece – ed è questo che fa la differenza per le sorti di un paese – classi politiche che sanno solo ‘rubare’ e servire lo straniero, e classi politiche che ‘rubano’ ma sono competenti, sanno organizzare e gestire lo sviluppo del paese, come avviene nei Brics, e che combinano alto tasso di crescita ad alto tasso di corruzione. In Italia quello sviluppo è venuto meno, manca da circa 25 anni, appunto perché la sua classe politica è del primo tipo, per ragioni storiche, legate al tradizionale asservimento dell’Italia e di molti Stati preunitari a potenze straniere dominanti. Asservimento che continua nell’Unione Europea e che non lascia spazio a statisti veri, a una politica vera, con possibilità di scelte reali, bensì solo a una pseudopolitica di promesse illusorie, servilismo, clientele e ruberie. Può inoltre bene esistere un servizio giudiziario che colpisce il rubare di certuni e copre quello di certaltri, per dare un certo indirizzo agli affari e al governo e per tutelare il sistema reale di forze e interessi, legittimandolo o nascondendolo.Un servizio giudiziario che da sempre conosceva e lasciava proseguire quel medesimo andazzo di corruttela che poi, tutto d’un tratto, ha tirato fuori come Tangentopoli quando si è trattato – a seguito del Britannia Party del 2 giugno 1992 – di coprire con un polverone di scandali la mille volte più grave svendita allo straniero degli interessi e degli assets nazionali mediante la destabilizzazione finanziaria dell’Italia, a iniziare con l’insider trading valutario da 30.000 miliardi di lire del settembre 1992, e continuando col far fuori giudiziariamente tutte le forze politiche popolari tradizionali, necessariamente ladre nel senso sopra indicato, lasciando in auge solo quella che si era convertita dall’internazionalismo dei lavoratori al sovranazionalismo dei banchieri, o liberismo, e che quindi sarebbe stata collaborativa. Questo era il disegno, riuscito in buona parte. Inasprire le conseguenze per gli indagati, gli accusati e i condannati per corruzione, escludendoli dalla politica, non riduce la corruzione, ma riduce il ruolo delle elezioni in favore di alcuni uffici giudiziari. Solo due magistrati, a quanto mi consta, hanno avuto l’ardire di indagare e cercare di perseguire il sistematico e molteplice tradimento degli interessi nazionali in favore di quelli stranieri, la corruzione in affari esteri, quella di cui, guarda caso, non si parla mai.(Marco Della Luna, “Politica, corruzione, giustizia”, dal blog di Della Luna del 20 maggio 2019).E’ irragionevole, sebbene umanamente comprensibile, credere che chi conquista un potere pubblico non lo usi a vantaggio proprio e della propria fazione. Questa credenza viene regolarmente sfruttata per raccogliere voti con la promessa di debellare la corruzione. È ingenuo o ingannevole deprecare indignati la corruzione (il peculato, l’abuso di potere commessi dai politici di mestiere), perché prendersi a torto o a diritto denaro e altre utilità è al contempo lo scopo e lo strumento del fare politica, assieme alla capacità di camuffare questa e altre realtà e di eliminare i concorrenti. I politici di carriera sono selezionati e formati in base a ciò. Alcuni ingenui si mettono in politica per ideali; ma, non producendo dividendi, finiscono presto, tranne i rari che vengono presi e usati come icone di onestà, foglie di fico. Non esiste e non può esistere una politica onesta, che non rubi e non inganni – il che legittima moralmente e legalmente l’evasione fiscale-contributiva e in generale l’arrangiarsi, come legittima difesa o azione in stato di necessità.
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“L’autismo è bello”, come il futuro orrendo che ci assedia
Eccovi servito il nuovo livello di rincoglionimento imposto: “l’autismo è un dono”, “l’autismo è una opportunità”, “l’autismo serve per lavorare”, “l’autismo è il futuro”. Ve lo strillano con prestigiosi convegni, dalle patinate riviste e compagnia cantante, tutti ben foraggiati dalle case farmaceutiche. È la nuova frontiera: stravaccinato e autistico, con contorno di treccine bionde, seduto a guardare serie Tv mangiando insetti bolliti. Il perfetto bimbo del radioso futuro che hanno in serbo per voi. Vi hanno convinto che i bambini sani minaccino la salute pubblica. Vi hanno convinto che la scienza consista nel credere ciecamente a qualsiasi cosa affermi uno stronzo arrogante in camice bianco alla Tv, e che farsi domande quando i conti non tornano sia roba per matti. Vi hanno convinto ad accettare come vere epidemie immaginarie, morti immaginari, e ad accettare la cancellazione dei diritti fondamentali per emergenze basate su un rischio venti volte inferiore a quello di venir colpiti dai fulmini.Vi hanno convinto che sia normale distruggere l’identità sessuale nei bambini, per liberarli dagli stereotipi culturali. Vi hanno convinto che serva a garantire la libertà di orientamento sessuale, a eliminare le discriminazioni, quando non c’entra un emerito niente con queste più che logiche e importanti battaglie – anzi – lavora esattamente nella direzione opposta. Quella di creare confusione ad ogni livello, di cancellare ogni tipo di riferimento, mentre è proprio dai riferimenti che si parte per prendere decisioni, per conoscere se stessi, per assumere il controllo della propria vita. Più che mai quando si parla di orientamento o di identità sessuale. Vi hanno convinto che sia normale spingere milioni di persone a lasciare le loro terre, che deprediamo economicamente e fisicamente per le risorse prime, avviandole a viaggi infernali in cui vengono sfruttati, derubati e violentati per poi rischiare di affogare su gommoni di fortuna da cui – Alleluya! – i nostri eroici volontari delle Ong possono salvarli, per sbarcarli in paesi che non sono in grado di accoglierli e integrarli, per farli finire schiavi della mafia e venire ancora sfruttati, derubati e violentati, e se gli va di culo ritrovarsi davanti al supermercato a stressarci per un euro facendoci incazzare perché – hey, siamo razzisti!Vi hanno convinto che sia normale vivere immersi in un debito inestinguibile, usando denaro che nemmeno esiste più e nella sua forma, concreta o digitale, resta di proprietà di enti privati, perché “non c’è alcuna alternativa”. Vi hanno convinto ad accettare che debba restare scarso, e che sia necessario fare dei sacrifici, perché… perché sì. Vi hanno convinto che siate voi a dover cambiare in peggio le vostre vite per fare funzionare l’economia, invece che l’economia a dover cambiare per rendere migliori le vostre vite. Vi hanno convinto che un anziano debba venire imbottito di medicinali, tagliato e ricucito e tagliato e inzuppato di sostanze radioattive per fargli vivere qualche altro anno in cui imbottirlo di medicinali, tagliarlo e ricucirlo. Su, forza adesso: mostrate quanto siete intelligenti, fate vedere quanto siete svegli. Fate un’altra bella capriola. “L’autismo è un dono. L’autismo è il futuro”. Bevetevi anche questa ennesima stronzata, dai.(Stefano Re, “L’autismo va di moda”, dal blog di Re dell’11 maggio 2019).Eccovi servito il nuovo livello di rincoglionimento imposto: “l’autismo è un dono”, “l’autismo è una opportunità”, “l’autismo serve per lavorare”, “l’autismo è il futuro”. Ve lo strillano con prestigiosi convegni, dalle patinate riviste e compagnia cantante, tutti ben foraggiati dalle case farmaceutiche. È la nuova frontiera: stravaccinato e autistico, con contorno di treccine bionde, seduto a guardare serie Tv mangiando insetti bolliti. Il perfetto bimbo del radioso futuro che hanno in serbo per voi. Vi hanno convinto che i bambini sani minaccino la salute pubblica. Vi hanno convinto che la scienza consista nel credere ciecamente a qualsiasi cosa affermi uno stronzo arrogante in camice bianco alla Tv, e che farsi domande quando i conti non tornano sia roba per matti. Vi hanno convinto ad accettare come vere epidemie immaginarie, morti immaginari, e ad accettare la cancellazione dei diritti fondamentali per emergenze basate su un rischio venti volte inferiore a quello di venir colpiti dai fulmini.
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Roberto Alice: un altro mondo è possibile, bisogna volerlo
«Si parla tanto di un progetto completamente assurdo e inutile come il costosissimo Tav Torino-Lione, mentre la Regione Piemonte ha chiuso 500 chilometri di ferrovie per i pendolari. E così, ogni giorno sono 400.000 le auto che inondano Torino». Follie piemontesi: «Il treno che da Pont Canavese raggiunge il capoluogo impiega un’ora e mezza per percorrere 55 chilometri. Con i soldi del Tav potremmo comprare 1.000 nuovi treni per il Piemonte, oppure 14.000 autobus elettrici o 200.000 auto elettriche. Risolveremmo una volta per tutte il problema del traffico e dell’inquinamento, mettendo fine all’inferno quotidiano dei pendolari». Parola di Roberto Alice, progettista hardware nel settore dell’elettronica per le telecomunicazioni. Torinese, è stato fra i tanti italiani che, anni fa, risposero all’appello di Beppe Grillo per ridare speranza all’Italia, sfinita dalla cattiva politica. Oggi la “rivoluzione” grillina è impigliata tra le luci e le ombre del governo gialloverde, troppo timido con Bruxelles nel rivendicare la propria autonomia finanziaria, indispensabile per investire in modo massiccio nei settori strategici, capaci di creare posti di lavoro. Lo sa benissimo Roberto Alice, keynesiano convinto, esponente piemontese del Movimento Roosevelt e collaboratore di “Scenari Economici”, il newsmagazine fondato da Antonio Maria Rinaldi, ora candidato alle europee con la Lega.Anche Alice è candidato, ma con i 5 Stelle e alle regionali piemontesi. «Il 26 maggio – dice Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt – gli elettori di Torino e provincia potranno arricchire la Regione Piemonte con la sensibilità “rooseveltiana” di Roberto Alice, sul piano della buona amministrazione e di una cultura politica di impronta keynesiana, fieramente ostile al neoliberismo che ha condizionato centrodestra e centrosinistra, meri esecutori dell’austerity Ue che, a cascata, ha impoverito Stati, Regioni e Comuni». Se Salvini e Di Maio possono non entusiasmare molti elettori, resta comunque intatta la solida passione degli attivisti come quelli che formano, ad esempio, la base pentastellata. Questione di impegno sociale personale: Roberto Alice vive la militanza nel Movimento 5 Stelle come strumento diretto di partecipazione civile, mettendo a disposizione la sua esperienza. Sogna un Piemonte più pulito e vivibile, da migliorare mettendoci la faccia. Di formazione scientifica, Roberto ha studiato fisica. Parla inglese e francese, viaggia, si guarda intorno. E’ comunque contento che, un anno fa, gli italiani abbiano mandato a casa la vecchia casta dei politici condizionati dai tecnocrati. Ecologia: fare pulizia a casa propria, innanzitutto. Il Piemonte? E’ un po’ come l’Italia: tante potenzialità, ma poco sfruttate. Cosa manca? Una visione: tecnologie pulite, al servizio dei cittadini.Quando ormai il Nord Europa brillava per la capacità di fare business riciclando i rifiuti con procedure a impatto zero, Torino non ha trovato di meglio che costruire un gigantesco inceneritore. Pessima idea: «Se i rifiuti li brucio, la loro massa non sparisce affatto: finisce semplicemente nell’aria, che poi respiriamo», dice Roberto. «Smettiamola di considerarli rifiuti, gli scarti che buttiamo via. Se anziché bruciarli li ricicliamo, abbiamo solo vantaggi: non inquiniamo, otteniamo materie prime rigenerate e risparmiamo molto denaro, in termini di energia». Facile a dirsi. Ma in Piemonte sembra tutto più complicato, a partire dai trasporti: i tagli – spesso imposti dalle politiche neoliberiste basate sul rigore – hanno colpito moltissime località periferiche, da cui ogni mattina sciamano lavoratori e studenti diretti nel capoluogo. Il Piano-B è semplice: incentivare la mobilità elettrica, creare parcheggi di scambio e aggregare i viaggiatori su vettori elettrici, treni e pullman. Efficienza, rapidità, aria pulita. «Abbiamo meno di 200 treni regionali, ormai vecchi, che spesso viaggiano a una media di 20 chilometri all’ora. E siamo nel 2019». Attenzione: «Quello dei pendolari rappresenta il 90% del trasporto regionale». Ma siamo in Piemonte, appunto, e non si smette di farneticare sull’ipotetico Tav Torino-Lione, inutile doppione (per merci inesistenti) dell’attuale linea Torino-Modane che già collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, appena riammodernato con una spesa di quasi mezzo miliardo di euro.Non è tutto, naturalmente. Tra i cavalli di battaglia di Roberto Alice c’è la contestazione del nuovo distretto sanitario torinese a valenza regionale, la Città della Salute, che si otterrebbe “traslocando” in periferia i poli ospedalieri d’eccellenza come il Cto (traumatologia), il Sant’Anna (neonatologia) e il Regina Margherita (pediatria). Veri e propri gioielli, di fama europea, cresciuti attorno all’ospedale maggiore, le Molinette, lungo il Po e di fronte alla collina. «Una location prestigiosa, appetibile per costruire alloggi residenziali: operazione che puzza di speculazione edilizia», avverte Alice. Poi ci sono altri pericoli, secondo il candidato grillino: «Si prevede una riduzione di 900 posti letto. E nel futuro maxi-quartiere ospedaliero rischia di sparire l’autonomia sanitaria dei centri di eccellenza. Senza contare la triste sorte dell’Ospedale Oftalmico, già colpito da scriteriati tagli orizzontali». Una politica lontana dai cittadini, progettata dall’alto e in modo opaco? E’ quanto sostengono gli esponenti piemontesi del Movimento 5 Stelle, forti – se non altro – delle prove di trasparenza sin qui offerte dall’amministrazione cittadina guidata dalla grillina Chiara Appendino, sindaco di Torino dal 30 giugno 2016.«Viviamo in un momento difficile», ammette Roberto Alice: «Ad ogni passo, se pur piccolo, verso una politica umanistica, si contrappone il fuoco di fila da parte dei grandi media, che rende faticoso il cammino. Per questo non bisogna mollare». Il governo gialloverde? «Sono cosciente delle difficoltà che deve affrontare». Un consiglio? «Un po’ più di coraggio nelle politiche economiche: i bravi economisti non ci mancano». Quello, infatti, è il vero nodo italiano: «Anziché le fallimentari politiche di austerità, per far crescere il benessere bisogna usare le leve keynesiane: investimento pubblico strategico». Con che soldi? Per esempio, quelli indicati da Nino Galloni, che lo stesso Roberto Alice ha presentato lo scorso 15 marzo a Torino, in un affollato convegno del Movimento Roosevelt: moneta parallela, non a debito, per creare posti di lavoro. «Dobbiamo abbandonare il modello neoaristocratico e turbo-liberista, accogliendo un modello equilibrato dove umanesimo e libero mercato concorrano come forze simbiotiche e non opposte». Come tradurre tutto ciò nelle elezioni regionali? «Impeganrsi nella Regione è importante – dice Roberto Alice – perché è la giusta dimensione intermedia fra il livello locale e quello nazionale ed europeo». Se l’Europarlamento conta pochissimo, e in ogni caso non elegge la Commissione Ue, almeno nelle Regioni sono ancora i cittadini-elettori e decidere, intercettando anche le istanze dei Comuni.Non è poco, in un sistema neo-feudale e post-democratico dominato da lobby potenti che, di fatto, scrivono direttamente le normative europee. Negli ultimi decenni, i livelli decisionali locali sono quasi scomparsi, in favore di una centralizzazione verticale del potere, a spese della sovranità democratica degli elettori. «E’ in Regione – insiste Roberto – dove le possibilità economiche date dallo Stato e dall’Europa possono essere tradotte in politiche virtuose verso il cittadino». Nei trasporti, per esempio: «Il diavolo si nasconde nei dettagli: a che serve disporre di grandi risorse per sviluppare la mobilità elettrica, se poi vengono usate solo per fare appalti a pioggia?». Roberto Alice ragiona da italiano semplice, ma fa parte di una categoria particolare: quella dei cittadini che si sono stancati di assistere passivamente al ripetersi del solito, deludente copione. Per questo si sono rimboccati le maniche, mettendosi a studiare problemi e soluzioni. «In una cornice ambientale sostenibile – ribadisce – possiamo guardare le nostre montagne sotto cieli azzurri, in un Piemonte di grandi tradizioni culturali ma spinto verso un futuro migliore grazie all’adozione di tecnologie pulite». D’accordo, ma perché mai un elettore dovrebbe votare proprio Roberto Alice? «Difficile rispondere», si schermisce l’interessato. «Conosco il territorio e le sue problematiche, ma sono tutte cose che potrebbe fare chiunque». Già, ma non tutti lo fanno. C’è qualcosa di intimamente personale, nello sguardo di Roberto: «Lo ammetto: ho la passione per vedere l’armonia, da cui deriva il benessere e forse anche la felicità. Che dite, può bastare?».«Si parla tanto di un progetto completamente assurdo e inutile come il costosissimo Tav Torino-Lione, mentre la Regione Piemonte ha chiuso 500 chilometri di ferrovie per i pendolari. E così, ogni giorno sono 400.000 le auto che inondano Torino». Follie piemontesi: «Il treno che da Pont Canavese raggiunge il capoluogo impiega un’ora e mezza per percorrere 55 chilometri. Con i soldi del Tav potremmo comprare 1.000 nuovi treni per il Piemonte, oppure 14.000 autobus elettrici o 200.000 auto elettriche. Risolveremmo una volta per tutte il problema del traffico e dell’inquinamento, mettendo fine all’inferno quotidiano dei pendolari». Parola di Roberto Alice, progettista hardware nel settore dell’elettronica per le telecomunicazioni. Torinese, è stato fra i tanti italiani che, anni fa, risposero all’appello di Beppe Grillo per ridare speranza all’Italia, sfinita dalla cattiva politica. Oggi la “rivoluzione” grillina è impigliata tra le luci e le ombre del governo gialloverde, troppo timido con Bruxelles nel rivendicare la propria autonomia finanziaria, indispensabile per investire in modo massiccio nei settori strategici, capaci di creare posti di lavoro. Lo sa benissimo Roberto Alice, keynesiano convinto, esponente piemontese del Movimento Roosevelt e collaboratore di “Scenari Economici”, il newsmagazine fondato da Antonio Maria Rinaldi, ora candidato alle europee con la Lega.
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La grande paura: sta arrivando, ma nessuno vi dice cosa
I segnali ci sono tutti: dazi doganali, immigrazione sevaggia, minacce Usa in precise aree del pianeta. Nessuno può sapere cosa accadrà di preciso, perché il futuro non si può prevedere, ma siccome gli indizi per una crisi epocale ci sono, non possiamo non tenerne conto. E questi segnali ci sono ora, non sono frutto della suggestione catastrofista. Senza citare tutto, nell’elenco metterei l’ambiguità del fenomeno Greta Thunberg, la denatalità europea, la burocratizzazione esasperata, l’assalto politico-militare ai paesi con risorse naturali come il Venezuela e l’Iran, l’inasprimento della politica protezionistica americana mentre leader russi e cinesi girano come trottole in un’estenuante attività diplomatica. Insomma, c’è una certa puzza di morte nell’aria, ma nessuno sa se finirà così male, oppure se si tratta solo di percezione catastrofista. Non sempre dove c’è il fumo c’è l’arrosto, però fingere di non sentire l’odore e di non vedere il fumo è una colpa grave. Imperdonabile, poi, se a fare finta di nulla è l’informazione ufficiale. perché avvengono fatti così inediti in così poco tempo?L’ipotesi più convincente è che la disparità delle risorse disponibili non sia molto diversa che in passato, ma con la differenza che ora tutti gli abitanti del pianeta la percepiscono come tale. La popolazione mondiale, secondo le stime, ha raggiunto i 7,7 miliardi di persone, ed è destinata a crescere fino a 9,2 miliardi entro il 2050. Dentro questo oceano di uomini e donne, solo 850 milioni godono di una situazione accettabile in termini di welfare, alimentazione, opportunità occupazionali, istruzione e sanità. E gli altri 7 miliardi? No, tutti gli esclusi, che sono la stragrande maggioranza, vivono in una situazione di sostanziale indigenza, solo che, rispetto ai “miserabili” del passato, oggi loro ne hanno piena consapevolezza e coscienza. Quanto potrà durare questa situazione? Per quanto tempo 7 miliardi di persone continueranno ad accettare che poco più di 800 milioni di loro simili producano e consumino il 90 per cento dei beni del pianeta?In un intervento effettuato durante l’incontro “Fuori dagli Equivoci” lo scorso 8 marzo a Torino, il giornalista Giulietto Chiesa ha riportato un aneddoto riferito al documentarista americano Douglas Ruskoff. Poco tempo fa un’associazione di miliardari americani ha chiesto a Rushkoff, noto nei media americani per essere un analista futurologo, di fornire loro una consulenza privata in cambio di un compenso incredibilmente generoso. Giunto all’appuntamento, lo hanno acccompagnato in una saletta con solo 5 persone presenti. Per una cifra vertiginosa, i 5 “eletti” potevano fare domande a Rushkoff su qualsiasi argomento. «Già mi aspettavo – riferisce dunque l’analista – che mi avrebbero chiesto dove investire i loro soldi in futuro. E invece…». Cosa chiedevano? «Lei cosa pensa che succederà quando il denaro non varrà più nulla? Come dovremo pagare le nostre guardie del corpo?».«Ci siamo già costruiti un bunker sotterraneo per le famiglie, in grado di resistere diversi mesi, ma che ne farò delle mie guardie del corpo? Anche loro vorranno sopravvivere con le loro famiglie: cosa possiamo escogitare per far sì che non ci uccidano?». Il tono e gli argomenti delle domande fatte al famoso futurologo erano tutte di questo tipo. I ricconi in questione non appartengono a quelle élites che decidono le sorti del pianeta, ma a quanto pare la loro preoccupazione è così forte, le informazioni o le sensazioni che possiedono sono molto preoccupate e preoccupanti. Costoro sanno davvero qualcosa, oppure sono solamente paranoici? Se i rapporti internazionali raccontati dai media sono sempre più tesi, perché non dovremo essere preoccupati anche noi?(Massimo Bordin, “Sta arrivando, ma nessuno vi dice cosa”, da “Micidial” del 10 maggio 2019).I segnali ci sono tutti: dazi doganali, immigrazione sevaggia, minacce Usa in precise aree del pianeta. Nessuno può sapere cosa accadrà di preciso, perché il futuro non si può prevedere, ma siccome gli indizi per una crisi epocale ci sono, non possiamo non tenerne conto. E questi segnali ci sono ora, non sono frutto della suggestione catastrofista. Senza citare tutto, nell’elenco metterei l’ambiguità del fenomeno Greta Thunberg, la denatalità europea, la burocratizzazione esasperata, l’assalto politico-militare ai paesi con risorse naturali come il Venezuela e l’Iran, l’inasprimento della politica protezionistica americana mentre leader russi e cinesi girano come trottole in un’estenuante attività diplomatica. Insomma, c’è una certa puzza di morte nell’aria, ma nessuno sa se finirà così male, oppure se si tratta solo di percezione catastrofista. Non sempre dove c’è il fumo c’è l’arrosto, però fingere di non sentire l’odore e di non vedere il fumo è una colpa grave. Imperdonabile, poi, se a fare finta di nulla è l’informazione ufficiale. perché avvengono fatti così inediti in così poco tempo?
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Soldi a tutti, e meno ore di lavoro: abolire i poveri conviene
Soldi gratis per tutti e (molto) più tempo libero. Perché garantire a ogni cittadino un reddito di base conviene: riduce la criminalità, la mortalità infantile e la dispersione scolastica, e favorisce la crescita e l’uguaglianza di genere. E ridurre la settimana lavorativa a 15 ore aumenta la produttività, aumenta i posti part time, riduce le emissioni di CO2 e favorisce l’emancipazione femminile. E’ la “Utopia per realisti” (uscito in Italia per Feltrinelli) di Rutger Bregman, trentenne storico olandese con interessi che spaziano dalla filosofia all’economia, salito agli onori delle cronache per un provocatorio discorso contro l’evasione e l’elusione fiscale tenuto in gennaio ai partecipanti all’ultimo Forum economico di Davos. «Nessuno solleva l’argomento che i ricchi non pagano la loro parte, quella che è giusto che paghino», ha scandito Bregman – che il mensile “Fq Millennium” aveva intervistato nel novembre 2017 – davanti alla platea di milionari riuniti in Svizzera. «Mi sento come a una conferenza di pompieri in cui non è permesso parlare dell’acqua. Tasse, tasse, tasse. Tutto il resto sono stronzate».Il punto di partenza del libro è che questa nuova utopia è utile e necessaria in un mondo in cui «tanti pensatori e politici di sinistra tentano di mettere a tacere le idee radicali tra le proprie fila per la paura di perdere voti», mentre «i neoliberisti sono imbattibili nel gioco in cui contano la ragione, i giudizi e le statistiche». Ma è proprio con una grande mole di numeri e statistiche che Bregman spiega come la lotta contro la povertà sia «un investimento che ripaga con gli interessi», e come distribuire denaro senza un eccesso di cavilli burocratici sia il modo migliore per condurla. Soldi gratis, dunque, «non come favore ma come diritto»: quella che Bregman definisce «la via capitalista al comunismo». Secondo l’economista Charles Kenny, dello statunitense Center for Global Development, «il principale motivo per cui la gente è povera è perché non ha abbastanza soldi, perciò non dovrebbe essere una grossa sorpresa vedere che dargli dei soldi è un modo fantastico per ridurre il problema».E Bregman elenca una serie di casi in cui le elargizioni di soldi senza contropartite hanno funzionato nel migliorare le condizioni di vita della popolazione nei paesi in via di sviluppo – dal Malawi alla Namibia – o di gruppi sociali a rischio come gli homeless: esperimenti condotti nei Paesi Bassi e in Utah mostrano per esempio che fornire case gratis, oltre a togliere le persone dalla strada, riduce notevolmente l’incidenza di alcolismo e abuso di droga, e nel complesso costa molto meno che garantire assistenza agli homeless e sostenere i costi giudiziari legati ai piccoli crimini che commettono per sopravvivere. Ma gli esperimenti di redditi di base hanno funzionato bene, pur su piccola scala, anche quando applicati a piccole comunità locali, come avvenuto a fine anni ‘60 negli Usa durante la presidenza di Lyndon B. Johnson e in Canada negli anni ‘70 con il Mincome. «Greg J. Duncan, professore della University of California, ha calcolato che sottrarre una famiglia americana alla povertà costa una media di circa 4.500 dollari all’anno», nota Bregman. «Alla fine, i rientri di questo investimento per bambino sarebbero: +12,5 per cento di ore lavorate, +3.000 dollari di risparmio annuale come welfare, +50mila-100mila dollari di maggiori guadagni nella vita, +10mila-20mila dollari di introiti fiscali statali aggiuntivi».Questo perché la povertà, ponendo continue sfide immediate da affrontare, riduce quella che gli psicologi hanno definito “larghezza di banda mentale”, arrivando addirittura a influenzare negativamente il quoziente intellettivo misurato dai test. Nel 1969, racconta Bregman, il presidente Usa Richard Nixon era stato in procinto di varare il reddito senza contropartite per tutte le famiglie povere. Ma alcuni suoi consiglieri fecero strenua opposizione, fino a consegnargli un documento sugli esiti estremamente negativi del sistema Speenhamland, risalente ai primi anni dell’Ottocento inglese, che consisteva nell’incremento fino al livello di sussistenza dei redditi di «tutti gli uomini poveri e industriosi e loro famiglie». Documento che in seguito si rivelò però manipolato fin dall’origine, per “sabotare” il reddito di base. Ora, secondo l’autore, «l’ora è arrivata» per garantire a tutti «una rendita mensile sufficiente per campare, anche se non muovi un dito», senza «nessun ispettore che ti controlla da dietro per vedere se li spendi saggiamente, nessuno che ti chiede se sono davvero meritati».Gli altri due pilastri della “utopia per realisti” riguardano il lavoro. Il primo è la riduzione degli orari, che l’economista John Maynard Keynes riteneva una conseguenza inevitabile del progresso ma al contrario non si è mai materializzata, nonostante in molti casi si sia toccato con mano che la produttività non va di pari passo con l’aumento delle ore lavorate, anzi. Il secondo è un meccanismo di incentivi che renda meno attraenti quelli che Bregman definisce “lavori burla”, attività ben pagate che però non forniscono contributi tangibili alla società o addirittura distruggono ricchezza anziché crearla (l’esempio del libro sono i banchieri, che concepiscono «complessi prodotti finanziari che sono, in pratica, una tassa sul resto della popolazione»). L’idea è quella di una tassa sulle transazioni finanziarie che, oltre a generare gettito da utilizzare per investimenti utili alla società, motiverebbe le menti più brillanti a dedicarsi alla ricerca, all’insegnamento o all’ingegneria invece che preferire una carriera nelle banche di investimento. Idee irrealizzabili? «Definirle “irrealistiche” era una semplice scorciatoia per intendere che collidevano con lo status quo», è la risposta di Bregman. «La fine dello schiavismo, l’emancipazione delle donne, l’avvento della previdenza sociale erano tutte idee progressiste nate folli e “irrazionali” ma alla fine accettate come cose di comune buon senso».(Chiara Brusini, “Reddito di base e 15 ore di lavoro alla settimana”, l’utopia dello storico che ha detto ai ricchi di Davos di pagare le tasse”, dal “Fatto Quotidiano” dell’11 maggio 2019. Il libro: Rutger Bregman, “Utopia per realisti”, Feltrinelli, 251 pagine, 18 euro).Soldi gratis per tutti e (molto) più tempo libero. Perché garantire a ogni cittadino un reddito di base conviene: riduce la criminalità, la mortalità infantile e la dispersione scolastica, e favorisce la crescita e l’uguaglianza di genere. E ridurre la settimana lavorativa a 15 ore aumenta la produttività, aumenta i posti part time, riduce le emissioni di CO2 e favorisce l’emancipazione femminile. E’ la “Utopia per realisti” (uscito in Italia per Feltrinelli) di Rutger Bregman, trentenne storico olandese con interessi che spaziano dalla filosofia all’economia, salito agli onori delle cronache per un provocatorio discorso contro l’evasione e l’elusione fiscale tenuto in gennaio ai partecipanti all’ultimo Forum economico di Davos. «Nessuno solleva l’argomento che i ricchi non pagano la loro parte, quella che è giusto che paghino», ha scandito Bregman – che il mensile “Fq Millennium” aveva intervistato nel novembre 2017 – davanti alla platea di milionari riuniti in Svizzera. «Mi sento come a una conferenza di pompieri in cui non è permesso parlare dell’acqua. Tasse, tasse, tasse. Tutto il resto sono stronzate».
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Torino, il Salone della Censura anticipa il governo Pd-M5S?
Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.Torino è sempre tristemente bella, misteriosamente inerte, lievemente depressiva. Ha inanellato un piccolo record italiano di sciagure altamente evocative, dalla tragedia del Grande Torino al rogo del cinema Statuto, fino alla carneficina in piazza San Carlo scatenata dal panico tra la folla che assisteva, dal maxischermo, a una partita della squadra bianconera (ancora lei). A due passi dall’ex cinema, nell’omonima piazza, torreggia il lugubre monumento che commemora i lavoratori caduti nell’800 al cantiere del Traforo del Fréjus voluto da Cavour. Il Fréjus esiste ancora, ci passa il velocissimo Tgv francese sulla linea valsusina Torino-Modane, ma forse i torinesi se ne dimenticano. Non sanno che esiste già, una Torino-Lione, e che l’Italia ha appena speso quasi mezzo miliardo di euro per ammodernare quel traforo, rendendolo perfettamente adatto al transito dei treni con a bordo i Tir e i grandi container navali? Dove hanno la testa, i torinesi, quando si lasciano trasformare in docile gregge (sotto la guida carismatica delle “madamine” di Chiamparino) da chi ha tutta l’aria di volersi aggrappare, come un parassita senza speranza, al miraggio miliardario dell’inutile ferrovia-doppione in valle di Susa? E’ lontanamente immaginabile che qualcosa del genere possa accadere nella vicinissima Milano, che dopo l’Expo è balzata al secondo posto (dietro a Roma) tra le mete turistiche italiane?A illuminare indirettamente il male oscuro di Torino ha provveduto, di recente, un giornalista di razza come Gigi Moncalvo, autore di saggi esplosivi (“Agnelli segreti” e “I lupi e gli agnelli”) subito spariti, misteriosamente, dalle librerie. In due diverse puntate della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, una sugli Agnelli e l’altra sui Caracciolo, Moncalvo si domanda come sia possibile che la grande stampa italiana ignori completamente le notizie-bomba che provengono dalla collina torinese, dove gli eredi dell’Avvocato si lacerano in guerre all’ultimo sangue per contendersi il tesoro dell’ex patron della Fiat: miliardi di euro “riparati” all’estero, lontano dal fisco italiano (nonostante i fiumi di denaro statale concessi per la cassa integrazione). C’è anche il forziere – 9 miliardi in lingotti d’oro – custodito nel blindatissimo Freeport di Ginevra, insieme ai “risparmi” – dice sempre Moncalvo – dei migliori galantuomini del pianeta, narcos sudamericani e oligarchi russi. Possibile che nessuno ne parli? Ebbene sì: solo in Italia il kolossal tratto dal romanzo “The silence of the lambs” uscì col titolo taroccato (il silenzio degli innocenti, anziché degli agnelli) per un riflesso di autocensura preventiva, nel timore che la parola proibita – agnelli – potesse turbare la quiete sabauda della real casa.E se ora Torino fa notizia come sempre, cioè con qualcosa di sgradevole (il conformismo da parata, in salsa “antifascista”, per mettere al bando un editore che lo Stato considera perfettamente legale), c’è chi si mette addirittura in sospetto: vuoi vedere che dietro la manfrina anti-Salvini, inscenata da Chiamparino in tandem con la sindachessa pentastellata Chiara Appendino, si nascondono i prodromi della prossima, possibile manovra di palazzo per “sposare” i 5 Stelle con l’incolore Pd di Zingaretti? Non che ne manchino le premesse, dopo le entrate a gamba tesa di Roberto Fico sui migranti, l’allineamento di Giulia Grillo sul decreto Lorenzin (obbligo vaccinale), quindi la genuflessione di Di Maio alla Merkel e, soprattutto, la clamorosa cacciata di Armando Siri dal governo Conte. In compenso, Salvini – nel mirino – risponde da par suo, aprendo la più tragicomica caccia alle streghe della storia, quella contro i negozi di cannabis “light”. Con buona pace delle speranze dell’Italia gialloverde, morte e sepolte dopo la resa a Bruxelles. Nel 2008, Veltroni scelse proprio Torino per lanciare il formidabile Pd, il partito che avrebbe sorretto il governo Monti e varato la legge Fornero e il pareggio di bilancio in Costituzione. Sarà ancora l’ambigua e depressa Torino, capitale della censura, a inaugurare l’ennesima non-svolta concepita per consegnare il paese all’orizzonte dell’austerity eterna?(Giorgio Cattaneo, “Fatale Torino, capitale della censura: il bavaglio a CasaPound (contro Salvini) prepara un’intesa di governo tra Pd e 5 Stelle?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 12 maggio 2019).Torino, la città più inquinata d’Italia – aria irrespirabile – ha una sinistra caratteristica: da decenni tende a sottrarre, anziché aggiungere. Comicamente, Juventus City cadde ai piedi di Sergio Marchionne: bagno di folla per il lancio della nuova Cinquecento, gioiellino-simbolo del manager che avrebbe trasferito a Detroit e nel resto del mondo quel che rimaneva della Fiat, svuotando Mirafiori. L’ex sindaco Sergio Chiamparino, poi presidente della potentissima Compagnia di San Paolo e ora governatore del Piemonte, ha riempito le piazze del capoluogo con le gloriose “madamine”, che invocano posti di lavoro fingendo di credere alla panzana siderale della linea Tav Torino-Lione. La città che in trent’anni – successi della Juve a parte – ha fatto sorridere il paese solo per la pronuncia televisiva di Luciana Littizzetto (e di Piero Chiambretti, per fortuna) generalmente riesce a fare notizia così, con i manifestanti NoTav aggrediti e malmenati al corteo del Primo Maggio. E con vicende fantozziane e imbarazzanti come la censura “antifascista” imposta all’editrice Altaforte al Salone del Libro, stanca kermesse editoriale che celebra la finta rinascita, mai davvero avvenuta, dell’ex capitale industriale e sindacale.
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Fuga da Bruxelles, grazie ai velleitari pasticcioni gialloverdi
Vuoi vedere che Salvini e Di Maio alla fine riusciranno a liberare l’Italia dall’euro-schiavitù? In che modo, lo spiega Marco Della Luna: la fuga da Bruxelles potrebbe rivelarsi obbligatoria, per evitare la super-stangata in arrivo. Lega e 5 Stelle? Prima hanno fatto promesse “impossibili”, poi si sono rassegnati a una parodia del “cambiamento”. Eppure, anche solo le briciole portate a casa – deficit al 2%, mini-reddito di cittadinanza, quota 100 – ci costeranno così care, restando nell’Eurosistema, da far capire a tutti, a quel punto, che per mettersi in salvo (evitando la catastrofe di una patrimoniale) non resterà che sfilarsi dal club dell’euro-rigore. «Salvini e Di Maio hanno impiccato se stessi, e insieme a sé tutta l’Italia, a promesse elettorali demagogiche, incompatibili con la condizione del paese», premette Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi” e “Cimiteuro”. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100 e Flat Tax sono «misure fattibili solo in uno Stato poco indebitato e in crescita economica, oppure padrone della propria moneta, come Usa e Giappone». Da quelle promesse «i due non possono smarcarsi prima delle elezioni europee, nonostante che emerga sempre più la loro insostenibilità». E dato che l’Italia è fortemente indebitata ed economicamente bolsa, e in più «deve farsi finanziare da investitori esterni in una moneta che non controlla», il governo gialloverde «ha dovuto rinviare o ridurre di molto le promesse iniziali».Peggio: le poche misure attuate hanno già prodotto «effetti sfavorevoli sul piano finanziario», ovvero «aumento di spread e di rendimenti sul debito pubblico, contrazione del credito, uscita di capitali, sfavore di ampi settori produttivi». E pare avranno effetti negativi pure su quello economico, «per giunta in una fase recessiva che li amplificherà, soprattutto se si andrà a sbattere contro il muro delle clausole di salvaguardia, col rialzo dell’Iva che il governo smentisce ma lo ha già iscritto nel Def». Dopo tanti anni di crisi e di contrazione del reddito, i provvedimenti redistributivi «sono in sé moralmente giusti e riscuotono consenso», ma purtroppo – osserva Della Luna – producono «reazioni di sistema in senso opposto, che pareggiano o superano i loro effetti benefici e riequilibranti, perché ricadono proprio sui ceti deboli che quei provvedimenti volevano aiutare». E così calano il credito, i servizi, gli investimenti. «La lezione della storia, mai imparata dai politici volenterosi ma con attitudini culturali inadeguate al loro ruolo, è che lo sforzarsi di ‘correggere’ pettinando contropelo un sistema dinamico, complesso, che tu non controlli e che reagisce, e che è molto più grosso di te, risulta nei fatti sempre controproducente, e ti fa fare perdere il carisma».Il controllo di un sistema economico è cosa complicata, aggiunge Della Luna, ma certo comincia con quello della moneta e con la liberazione dai meccanismi indebitanti. «E l’Italia è in una condizione oggettiva che le impedisce persino di incominciare a farlo: una condizione che la destina a un costante declino». La geopolitica globale, dagli anni ’80, si è finanziarizzata: «Ha definanziato l’economia produttiva e coltiva l’indebitamento irreversibile dei governi e dei privati, la riduzione dei servizi, dei salari, dei diritti dei lavoratori; quindi non vi sarà un rilancio economico generale». L’Italia poi non è affatto indipendente: è sottoposta a interessi stranieri, «e le sue politiche economiche sono asservite ad essi». Siamo «oggetto di una programmatica sottrazione di risorse attraverso l’Ue». In particolare, «l’Eurosistema bancario-monetario, bloccando gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le monete nazionali senza mettere in comune i rispettivi debiti pubblici», all’Italia «fa perdere capitali, industrie e cervelli in favore dei paesi più efficienti, aggravando il suo debito pubblico», e al tempo stesso «fa in modo che essa disponga della metà della liquidità pro capite che hanno Francia e Germania: così in Italia manca il denaro per la domanda interna e per pagare i debiti anche tributari», mentre gli stranieri hanno i soldi per rilevare i nostri asset, «che dobbiamo svendere per procurarci quella liquidità che ci viene artatamente negata».Il nostro sistema-paese, inoltre, «è storicamente zavorrato da prassi di ruberie e inefficienze, sprechi, parassitismo». Tutto fattori che abbassano la nostra efficienza, costringendo lo Stato a notevoli esborsi per aree improduttive. «E tutto ciò si traduce in un sovraccarico tributario tale, a carico delle aree produttive, che mina la loro efficienza e spinge capitali, imprenditori e tecnici ad emigrare, portando con sé la clientela e le tecnologie, per fare concorrenza dall’estero». Queste “zavorre”, aggiunge Della Luna, non possono essere eliminate «perché coincidono con gli interessi immediati di buona parte dell’elettorato e della classe politico-burocratica, che prospera grazie ad esse, e che si è formata attraverso una selezione centrata sullo sfruttamento di tali anomalie e non sullo sviluppo di competenze e capacità utili per il sistema-paese». Una classe che ormai «risponde più a banche e interessi stranieri, che alla nazione». Pertanto, «qualsiasi leader politico italiano sa che può fare ben poco per il paese, essendo stretto tra i vincoli suddetti». Però sa anche che il popolo non ne è consapevole, e quindi non rinuncia a sperare: per questo, il politico «sa che può promettere soluzioni impossibili e essere creduto e votato per qualche tempo, fino a che non sbatterà contro i medesimi vincoli: così hanno fatto Prodi, Berlusconi, Renzi».Ma i nostri Dioscuri, Salvini e Di Maio, che fanno? Uscire o farsi estromettere dall’euro «sarebbe in linea di principio opportuno e indispensabile, per rilanciare l’economia e l’occupazione, evitando il declino totale e la svendita del paese». Però Lega e 5 Stelle, che in passato propugnavano l’Eurexit, «hanno poi smesso di parlarne, visto che non vi sono le condizioni politiche: la gente comune (che non pensa oltre al domani e niente sa di macroeconomia) non capisce la situazione, teme le conseguenze dell’uscita». Al tempo stesso, «gli interessi stranieri, coi loro fiduciari interni al paese, sono forti e controllano i media, con cui fanno propaganda pro-euro e pro-Ue». E così il governo Conte l’anno scorso ha lanciato all’Ue una iniziale sfida («o pseudo-sfida, perché non metteva in discussione l’euro né i vincoli di bilancio»), quella del 2,4% di deficit sul Pil, ma presto ha dovuto mettere la coda tra le gambe e ripiegare al 2,04 (che poi salirà al 2,7 per effetto della mancata crescita rispetto alle previsioni ufficiali). «Questa ingloriosa operazione – avverte Della Luna – è costata ai contribuenti diversi miliardi di interessi aggiuntivi sul debito pubblico, e dovrebbe aver insegnato anche ai poveri di spirito che è meglio non lanciare sfide a chi è molto più forte di te: se non hai la volontà e la forza per liberarti dal padrone, ti conviene obbedire e risparmiarti le legnate».Forse, l’unica strategia realistica e per liberarci dal rigore imposto dall’euro, secondo Della Luna è proprio quella avviata (inconsapevolmente?) dal nostro governo: «Senza dirlo, attraverso misure indebitanti e destabilizzanti come il codiddetto reddito di cittadinanza e la quota cento, si porta nei fatti l’Italia a una situazione di squilibrio finanziario tanto grave che, quando arriverà il momento di fare la legge finanziaria, per evitare una stangata tributaria anche patrimoniale (di nuovo la casa) congiunta a tagli dei servizi, non resterà che uscire dall’euro, magari “temporaneamente”». Secondo Della Luna, la situazione porterebvbe finalmente l’opinione pubblica a «percepire il costo del restare nell’euro», facendo scattare la voglia di fuga. L’elettorato potrebbe manifestarla «in modo tanto energico che Mattarella non ripeta ciò che il suo predecessore fece nel 2011». In altre parole, «si tratta di far sì che il popolo tema molto più la permanenza nell’euro, che l’uscita da esso». Psicologia: «E’ provato che il timore di una perdita di 100 ha una forza motivazionale molto più potente della prospettiva di un guadagno di 100. Oggi la maggioranza del popolo, pur non valutando positivamente l’euro e la stessa Unione Europea, non vuole uscirne per il timore di una perdita economica: sceglie il male minore». La politica economica del governo “legastellato”, «con la sua apparente goffaggine», può invertire i rapporti e «far sì che l’uscita diventi o appaia al popolo come il male minore, creando così le condizioni di consenso popolare per l’uscita».Vuoi vedere che Salvini e Di Maio alla fine riusciranno a liberare l’Italia dall’euro-schiavitù? In che modo, lo spiega Marco Della Luna: la fuga da Bruxelles potrebbe rivelarsi obbligatoria, per evitare la super-stangata in arrivo. Lega e 5 Stelle? Prima hanno fatto promesse “impossibili”, poi si sono rassegnati a una parodia del “cambiamento”. Eppure, anche solo le briciole portate a casa – deficit al 2%, mini-reddito di cittadinanza, quota 100 – ci costeranno così care, restando nell’Eurosistema, da far capire a tutti, a quel punto, che per mettersi in salvo (evitando la catastrofe di una patrimoniale) non resterà che sfilarsi dal club dell’euro-rigore. «Salvini e Di Maio hanno impiccato se stessi, e insieme a sé tutta l’Italia, a promesse elettorali demagogiche, incompatibili con la condizione del paese», premette Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi” e “Cimiteuro”. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100 e Flat Tax sono «misure fattibili solo in uno Stato poco indebitato e in crescita economica, oppure padrone della propria moneta, come Usa e Giappone». Da quelle promesse «i due non possono smarcarsi prima delle elezioni europee, nonostante che emerga sempre più la loro insostenibilità». E dato che l’Italia è fortemente indebitata ed economicamente bolsa, e in più «deve farsi finanziare da investitori esterni in una moneta che non controlla», il governo gialloverde «ha dovuto rinviare o ridurre di molto le promesse iniziali».
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Soldi facili, senza debito: arriva la Mmt, lo dice Ray Dalio
Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.Nessuno, tranne il vostro blogger preferito (cioè io) e “Bloomberg”, un giornaletto che pare essere apprezzato oltreoceano da qualche attento lettore di cose economiche. Ecco cosa scrivono: il sistema bancario centrale, come sappiamo, è in via di estinzione, ed è “inevitabile” che qualcosa come la teoria monetaria moderna lo sostituirà, ha detto l’investitore miliardario Ray Dalio. La dottrina, nota come Mmt, afferma che i governi dovrebbero gestire le loro economie attraverso la spesa e le tasse – invece di affidarsi a banche centrali indipendenti per farlo attraverso i tassi di interesse. La Mmt cerca anche di placare i timori sui deficit di bilancio e sui debiti nazionali, sostenendo che paesi come gli Stati Uniti, che hanno una propria valuta, non possono andare in rovina e avere più spazio da spendere di quanto si supponga normalmente – purché l’inflazione sia contenuta, poiché è questo il momento. Il dibattito sulla Mmt, che languiva nell’oscurità da decenni, è esploso negli ultimi mesi. L’idea è stata criticata da una serie di pesi massimi finanziari, da Warren Buffett al presidente della Federal Reserve Jerome Powell. Ma Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo, ha detto che i politici non avranno altra scelta che abbracciarlo.La loro sfida sarà «produrre un benessere economico per la maggior parte delle persone quando la politica monetaria non funziona», ha scritto Dalio nel suo ultimo articolo su LinkedIn. Negli ultimi quarant’anni, l’era della dominanza della banca centrale, della disuguaglianza di reddito e di ricchezza è cresciuta nella maggior parte delle nazioni sviluppate. Tagliando i tassi di interesse, o acquistando titoli nel processo noto come allentamento quantitativo (Qe), le banche centrali hanno quasi esaurito la loro capacità di stimolare le economie. Probabilmente saranno rimpiazzati da una politica monetaria di terza generazione, etichettata da Dalio come “Mp3”. Comporterà «il coordinamento della politica fiscale e monetaria» secondo le linee generali suggerite dagli economisti Mmt, ha detto Dalio, anche se non necessariamente seguendo le loro prescrizioni alla lettera. Il cambio verso la Mmt è a buon punto, ha detto Dalio. Con tassi di interesse bloccati vicino allo zero in Europa e in Giappone, e con la probabillità che tornino negli Stati Uniti quando l’economia vacilla, l’acquisizione della politica fiscale è «in linea di massima ciò che sta già accadendo».Gli Stati Uniti hanno aumentato i deficit di bilancio dopo la crisi del 2008, e lo hanno fatto di nuovo sotto il presidente Donald Trump. La risposta al mercato obbligazionario ha sostenuto gli argomenti della Mmt: i rendimenti sul debito pubblico non sono aumentati molto, anche se ce n’è molto di più in giro. Il Giappone lo sta facendo da molto più tempo – eppure dopo due decenni di grandi deficit, può ancora prendere in prestito denaro virtualmente gratis. Dalio ha fornito esempi di come tali politiche potrebbero evolversi. Le banche centrali potrebbero stampare denaro direttamente per finanziare programmi governativi, evitando la necessità di vendere obbligazioni. Potrebbero comprare immobili «che sarebbero idealmente utilizzati per fini socialmente vantaggiosi». Potrebbero anche cancellare i debiti incombenti sull’economia, in una sorta di “giubileo”. Nelle fasi discendenti, potrebbero consegnare denaro direttamente al pubblico, un’idea ampiamente conosciuta come “il denaro dall’elicottero”. Ci sono dei rischi, ha riconosciuto Dalio. Tali politiche metterebbero «il potere di creare e stanziare denaro, credito e spesa» nelle mani dei politici. «È difficile immaginare come verrà costruito il sistema per raggiungere questo obiettivo», ha affermato. «Allo stesso tempo è inevitabile che siamo diretti in questa direzione» (fonte: “Bloomberg”).(Massimo Bordin, “Ray Dalio dice che la Mmt sta arrivando, che ci piaccia o no”, dal blog “Micidial” del 2 maggio 2018).Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.
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Ogni volta che la verità fa notizia, ma solo su Border Nights
Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio nella futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non tra le pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.La fonte si chiama “Border Nights”, trasmissione web-radio in onda il martedì sera, con appendici in streaming su YouTube attorno al weekend. Una comunità di almeno 30.000 persone, in continua crescita e sempre in ascolto. Motivo: quello è il canale che spiega, in modo tempestivo, cosa ci sta succedendo. L’anima di “Border Nights” è il giovane conduttore Fabio Frabetti, giornalista di “Cronaca Vera”, grande appassionato di radiofonia. Accanto ai temi che esplorano tendenze, ricerche e curiosità culturali, scienze di confine e conoscenze non ufficiali – testimonianze affidate a medici coraggiosi e giornalisti indipendenti, saggisti, sociologi, esperti delle materie più disparate che ormai aggregano migliaia di persone, sul web e non solo – sta acquisendo grande rilevanza l’appuntamento web-radiofonico settimanale con ospiti fissi, a partire dalla trasmissione notturna: le segnalazioni di Tom Bosco sulla geopolitica e la storia “proibita”, le analisi politologiche in versione spiritualistica di Fausto Carotenuto e l’imperdibile “a ruota libera” con lo stesso Franceschetti. Un fenomeno in ascesa, quello delle voci settimanalmente chiamate a esprimersi sull’attualità, che esplode letteralmente nelle video-chat su YouTube: Massimo Mazzucco il sabato, Gianfranco Carpeoro la domenica e Gioele Magaldi il lunedì.Polifonia di accenti e vasto assortimento di sensibilità diversissime: vaccini, politica, giustizia, misteri italiani e crisi internazionali. Cosa offre, “Border Nights”? La possibilità di leggere quel che si muove dietro le quinte. E a innescare le rivelazioni più interessanti è proprio l’interazione col pubblico: domande a bruciapelo, a cui gli ospiti non si sottraggono. Così fa notizia, la piattaforma di Frabetti. Memorabile, l’estate scorsa, la “bomba” sparata dal saggista e simbologo Carpeoro sulla crisi in Rai, con l’improvviso veto di Berlusconi sulla presidenza Foa. Lo scoop: da Parigi, Jacques Attali (padrino di Macron) avrebbe telefonato addirittura a Napolitano, quindi a Tajani e a Berlusconi, per cercare di stoppare il candidato di Salvini, giornalista scomodo e autore del saggio “Gli stregoni della notizia”, che denuncia l’omertà dei media mainstream. Se poi Marcello Foa ce l’ha fatta, a diventare presidente della Rai, probabilmente lo si deve anche alla clamorosa esternazione di “Border Nights”, che ha messo allo scoperto il complotto e i suoi presunti autori. Sempre Carpeoro ha “sparato” contro la Francia anche di recente, accusando Parigi di aver protetto l’esilio brasiliano di Cesare Battisti, dopo averlo infiltrato in Italia – negli anni di piombo – per contribuire a manipolare il terrorismo italiano, indebolendo il nostro paese.Notizie esplosive, che avrebbero dovuto scatenare i media – rimasti invece silenziosi, come sempre. Rarissimi i casi in cui “Border Nights” riesce a perforare il muro di gomma: è successo di recente, quando Magaldi ha svelato l’identità massonica di Gianroberto Casaleggio. Immediata la replica del figlio, Davide: «Mio padre non era massone». A strettissimo giro la contro-replica di Magaldi: «Accetti un pubblico confronto con me, e gli spiegherò perché suo padre non voleva si sapesse che fosse massone». E’ importante, il dettaglio? Eccome: è lo stesso Luigi Di Maio (che poi in segreto bussa alla porta della massoneria internazionale, secondo Magaldi) a pretendere che gli aderenti alle logge non possano accostarsi ai 5 Stelle: bell’ipocrisia, visto che il divieto colpisce solo i massoni manifesti (non gli iniziati occulti). Ma il “rumor” su Casaleggio – da “Border Nights” ai grandi media – è davvero un’eccezione. Silenzio di tomba, per esempio, quando Mazzucco ha chiesto alla Procura di Genova di rendere pubblico il video del crollo del viadotto Morandi, visionato a quanto pare soltanto dai giornalisti del “New York Times” e non dai colleghi italiani, poco propensi a maltrattare la famiglia Benetton: nessuno di loro ha fiatato, neppure dopo la denuncia di Mazzucco.Siamo ammorbati da un mainstream di regime, reticente, distratto, pronto all’autocensura. Un caso clamoroso? Lo racconta il giornalista Gigi Moncalvo, autore dei saggi “Agnelli segreti” e “I lupi e gli Agnelli”, misteriosamente spariti dalle librerie. Quando uscì il film-capolavoro “The silence of the lambs”, solo in Italia alla traduzione letterale – il silenzio degli agnelli – si preferì il meno rischioso “Il silenzio degli innocenti”, giusto per non correre il pericolo di turbare la corte torinese dell’Avvocato. Nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, quasi gemella di “Border Nights” (condotta da Rudy Seery e Stefania Nicoletti) lo stesso Moncalvo si sfoga: Margherita Agnelli, figlia dello storico patron della Fiat, ha sottratto due bambini a una delle sue figlie, ridotta in miseria, e la stampa italiana preferisce tacere. Non solo: la figlia dell’Avvocato ha appena riaperto la devastante guerra per l’eredità, facendo emergere – dalle carte giudiziarie – un autentico giacimento di denaro trafugato dall’Italia e nascosto all’estero. Un tesoro che era rimasto nascosto, alla morte dell’Avvocato: cinque miliardi di euro in Svizzera più altri cinque a Panama, saltati fuori dallo scandalo “Panama Papers”, senza contare i 9 miliardi di euro – in lingotti d’oro – stipati dalla famiglia Agnelli al Freeport, il bunker super-sorvegliato allo scalo aeroportuale di Ginevra, che custodisce il denaro sporco dei narcotrafficanti colombiani e degli oligarchi russi.Tuona Moncalvo: sono tutti soldi sottratti al fisco italiano, nonostante il fiume di denaro statale elargito alla Fiat. Ma i media – giornali e televisioni – non se ne occupano minimanente: scelgono invece di rintronare il pubblico con il gossip più frivolo, come quello sulle finte nozze della starlette Pamela Prati. Perché “Chi l’ha visto” non parla della stranissima sparizione (e morte) di Edoardo Agnelli, il figlio “eretico” dell’Avvocato che si era permesso di contestare la designazione di John Elkann? Viviamo in una bolla mediatica, dice Magaldi a “Border Nights”: persino una fonte brillante come “Dagospia”, in fondo, non va oltre il chiacchiericcio e lo scandalismo innocuo. Mai che si sbilanci, il newsmagazine di Roberto D’Agostino, nel denunciare i micidiali complotti dell’unica, vera massoneria di potere. Un caso esemplare? Quello di Pino Cabras, deputato 5 Stelle: in un convegno promosso a Londra dal Movimento Roosevelt, ha detto chiaro e tondo che leghisti e grillini sono divisi su tutto, ma tengono duro per resistere al Deep State che condiziona il governo gialloverde fin dall’inizio, quando Sergio Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Cabras è un parlamentare autorevole, vicino a Di Maio. Vista la fonte, la notizia era più che solida. Ma nessuno l’ha raccolta.Vietato scandalizzarsi, naturalmente, anche se ce ne sarebbe motivo. Altro capitolo, l’obbligo vaccinale (i media: latitanti). Primo atto: a fine 2017, la commissione parlamentare difesa parla di 5.000 militari italiani, di cui 1.000 già morti, colpiti da gravissime malattie (al 50% causate, secondo i medici, da vaccinazioni somministrate in modo incauto). Poi: la Regione Puglia – l’unica a istituire la farmacovigilanza attiva – rivela che, su 10 bambini pugliesi vaccinati, ben 4 hanno sofferto reazioni avverse. Terza notizia: l’ordine dei biologi scopre vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti tossici nelle dosi, nonché vaccini privi degli agenti immunizzanti. Qualche eco di queste notizie affiora, in sordina, sul “Fatto”, su “Libero” e su “La Verità”, mentre è solo “Il Tempo” di Franco Bechis a sparare con decisione sullo scandalo dei vaccini inquinati. Silenzio assoluto, dalle grandi testate cartacee e radiotelevisive. Per questo ormai conquista audience la super-nicchia del web informativo: un video di “ByoBlu” può far registrare anche 200.000 visualizzazioni, mentre molte testate considerate autorevoli – i cui direttori bivaccano nei talkshow – spesso non superano le decina di migliaia di copie vendute. Non è un caso che l’Ue abbia imposto un bavaglio di sapore medievale, al web, con la scusa del copyright. Né è casuale il successo crescente di “Border Nights”, dove a innescare le rivelazioni più clamorose, molto spesso, sono proprio le domande del pubblico, direttamente in chat. Voglia di esserci, di partecipare, di sapere: c’è un’Italia in movimento, che non ne può più di omissioni e bugie.Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio sulla futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non dalle pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.
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Finti nemici, già finti amici: la recita di Salvini e Di Maio
«Io e Matteo Salvini abbiamo fatto grandi cose insieme» (Luigi Di Maio). Leghisti e grillini, il governo Grilloverde ha due facce. Entrambe come il culo. Infatti i Gemelli Diversi che adesso fingono di litigare, per gli stessi squallidi motivi opportunistici per i quali prima fingevano d’andare d’accordo, sono entrambi prodotti della stessa linea commerciale. Secondo la propaganda, Salvini è un leader naturale, sorto dal popolo per mano del popolo. È una stronzata. Salvini è al 100% un prodotto della propaganda. Fin da quando ha ereditato la Lega dal clan Bossi, è stato sistematicamente ospitato tutte le sere da tutti i talk show esistenti, e lasciato padrone di sparare qualsiasi cazzata per ore senza contraddittorio, fra gli applausi scroscianti della claque. Intanto, politologi ed editorialisti già elogiavano in coro il suo “acume politico” e il suo “irresistibile carisma”, definendolo l’unica alternativa possibile a Renzi. Salvini è stato costruito come “fail safe” di Renzi. È un Renzi riuscito. Finora. È la faccia (semi)nuova del solito vecchio sistema di potere politico-affaristico.Mentre lui secerne le sue stronzate quotidiane sui social, malcelati dietro il suo faccione ghignante tutti gli affari continuano esattamente come prima. Il Movimento 5 Stelle finora ha fatto finta di niente solo per restare al governo. Se adesso Pupazzetto Di Maio, prodotto dalla Casaleggio come Ken dalla Mattel, improvvisamente sembra essersene accorto, è nel tentativo di recuperare qualche punto nei sondaggi. Mentre l’Ilva, che il M5S aveva promesso di riconvertire, continua a intossicare e uccidere peggio di prima. Ignorata finora dai media mainstream e dall’opposizione, perché quello firmato da Di Maio per l’llva è il piano Calenda. Del Pd, che sta recuperando qualche punto nei sondaggi.Il consenso si controlla coi media. I media si controllano col denaro. In un regime capitalista, la democrazia non può funzionare. Può soltanto sfornare prodotti, pupazzi acchiappavoti, diversi solo nella maschera, nel rivestimento, nell’etichetta, identici nella sostanza. Senza principi, senza ideali, senza neanche idee proprie che non siano decise da un algoritmo Facebookinaro, o da un generatore automatico di motti del Duce. “Noi molleremo dritto”. “Molti nemici, molti boia”. Contractor di governo, complici e/o nemici a seconda delle convenienze del momento. Droni, smontabili e rimontabili fra loro come pezzi d’un ingranaggio. Un ingranaggio che uccide. Prodotti d’un sistema di potere e di pensiero che tutto considera, e tutto punta a trasformare in un prodotto di consumo. Per consumarlo.(Alessandra Daniele, “Caino e Caino”, da “Carmilla” del 28 aprile 2019).«Io e Matteo Salvini abbiamo fatto grandi cose insieme» (Luigi Di Maio). Leghisti e grillini, il governo Grilloverde ha due facce. Entrambe come il culo. Infatti i Gemelli Diversi che adesso fingono di litigare, per gli stessi squallidi motivi opportunistici per i quali prima fingevano d’andare d’accordo, sono entrambi prodotti della stessa linea commerciale. Secondo la propaganda, Salvini è un leader naturale, sorto dal popolo per mano del popolo. È una stronzata. Salvini è al 100% un prodotto della propaganda. Fin da quando ha ereditato la Lega dal clan Bossi, è stato sistematicamente ospitato tutte le sere da tutti i talk show esistenti, e lasciato padrone di sparare qualsiasi cazzata per ore senza contraddittorio, fra gli applausi scroscianti della claque. Intanto, politologi ed editorialisti già elogiavano in coro il suo “acume politico” e il suo “irresistibile carisma”, definendolo l’unica alternativa possibile a Renzi. Salvini è stato costruito come “fail safe” di Renzi. È un Renzi riuscito. Finora. È la faccia (semi)nuova del solito vecchio sistema di potere politico-affaristico.
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La droga gestita della Cia, uno strumento di politica globale
Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi.La droga figurava come il business più remunerativo tra quelli più noti. La natura criminale del business dettava quindi le regole del gioco. Mentre alcuni dei guadagni erano effettivamente utilizzati a supporto di operazioni sotto copertura, altri erano deviati verso l’arricchimento personale di agenti e dirigenti dell’agenzia, oppure rimanevano nelle mani di gruppi finanziari con potere di lobby nell’amministrazione statunitense. Di conseguenza, la complicità nel business della droga iniziò a diffondersi verso il livello più alto dell’establishment nordamericano… Il primo caso rappresentante le connessioni tra la Cia e il business della droga risalgono al 1947, anno in cui Washington, preoccupata dell’ascesa del movimento comunista nella Francia post-bellica, si associò con la nota e spietata mafia corsa nella lotta contro la sinistra. Dal momento che il denaro non poteva essere riversato nella sgradevole alleanza attraverso canali ufficiali, una grossa fabbrica di eroina venne istituita a Marsiglia con l’assistenza della Cia, che alimentava l’affare. L’iniziativa imprenditoriale impiegava abitanti del posto, mentre la Cia organizzava il ciclo degli approvvigionamenti, ed il terrore fisico e psicologico contro i comunisti in Francia alfine impedì loro di raggiungere il potere.Successivamente lo schema adottato è stato replicato nel mondo. All’inizio degli anni ’50 la Cia dirigeva un network di fabbriche di eroina nel Sud Est Asiatico e con parte dei guadagni sosteneva Chiang Kai-shek, che combatteva contro la Cina comunista. La Cia iniziò quindi a patrocinare il regime militare in Laos, rafforzando i propri legami nella regione del Triangolo d’Oro comprendente Laos, Thailandia e Birmania, paesi che hanno contribuito per il 70% della fornitura globale di oppio. La maggior parte della merce era diretta a Marsiglia e in Sicilia per il trattamento effettuato dalle fabbriche gestite dalla mafia corsa e siciliana. In Sicilia, l’associazione criminale che gestiva diverse fabbriche di droga era stata fondata da Lucky Luciano, un gangster americano nato in Italia e rideportatovi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le informazioni non classificate non lasciano alcun dubbio circa il lavoro che Luciano svolgeva per l’intelligence americana. L’uomo è stato, senza grosse motivazioni, rilasciato dalla prigione americana nel 1946 prima di aver scontato la sua condanna; l’associazione criminale italiana che operava sotto il controllo statunitense condivideva i guadagni con i patroni americani, i quali utilizzavano il denaro per portare avanti una guerra segreta contro il partito comunista italiano.La Cia continuò a prelevare denaro dal Triangolo d’Oro durante la Guerra del Vietnam. La droga proveniente da questa regione veniva trafficata illegalmente negli Stati Uniti e distribuita a basi militari americane all’estero. Ne deriva che molti dei veterani della Guerra del Vietnam sono rimasti segnati non solo dalla guerra, ma anche dall’uso di narcotici. Le attività legate al traffico della droga portate avanti dalla Cia dovevano rimanere segrete, ma evitare di venire a conoscenza di azioni così gravi era difficile. Uno scandalo enorme scoppiò infatti negli anni ’80 coinvolgendo la banca Nugan Hand di Sydney, con filiali registrate alle isole Cayman, e il precedente direttore della Cia William Colby avente funzione di consigliere legale. La Cia ha utilizzato la suddetta banca per operazioni di riciclaggio di denaro sporco nella gestione dei proventi derivanti dal traffico di droga e armi in Indocina. La geografia dei traffici di droga appoggiati dalla Cia si ampliò costantemente. Negli anni ’80, lo scambio “armi per droga” è stato replicato per finanziare i Contras del Nicaragua; ma dopo essere stato scoperto, il Comitato delle relazioni estere del Senato americano ha dovuto aprire un’inchiesta. Una frase del rapporto del Senato sul famoso accadimento affermava: «I decisori statunitensi non erano immuni all’idea che i soldi della droga fossero una soluzione ideale al problema del finanziamento del Contras».Questa dichiarazione, in linea generale, potrebbe dimostrare che le attività della Cia erano strettamente collegate alla politica estera americana. Il business della Cia nel narcotraffico si è diffuso senza precedenti quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica entrarono indirettamente in conflitto in Afghanistan. La comunità dell’intelligence americana finanziò generosamente i Mujahiddin, in parte con i soldi derivanti dal narcotraffico. Gli aerei statunitensi che consegnavano armi alla nazione rientravano carichi di eroina. Secondo giudizi indipendenti, all’epoca, circa il 50% del consumo di eroina negli Stati Uniti proveniva dall’Afghanistan. “La mafia, la Cia e George Bush” di Pete Brewton (New York: S.P.I. Books, 1992) offre una serie di dati concreti che provano i legami esistenti tra il direttore della Cia e il presidente americano Bush e la mafia. Lo stesso presidente, in certe fasi della sua carriera, combinò la propria funzione pubblica con la politica e il business della droga. L’establishment americano ha concluso che la droga, oltre ad essere stata impiegata per circostanze politiche, potrebbe tornare utile nel raggiungimento di obiettivi geopolitici di lungo termine.Quando Paul Brenner divenne capo di Baghdad con un’autorità che nemmeno Saddam Hussein si sognava, non fece alcun tentativo per innalzare una barriera contro l’ondata del narcotraffico che travolse l’Iraq. Inoltre è importate notare che il business della droga, durante il governo di Saddam, era un problema inesistente nel paese. «Questa è la panacea di ogni rivolta. Drogateli, rendeteli dipendenti come pesci affamati. In seguito, dopo aver preso il controllo della loro radio e televisione, storditeli con la propaganda». Baghdad, la città che non aveva mai visto l’eroina fino a marzo del 2003, ora è sommersa di stupefacenti, inclusa l’eroina. Secondo un rapporto pubblicato dal giornale “The Indipendent” di Londra, i cittadini di Baghdad si lamentavano che la droga, come l’eroina e la cocaina, erano smerciate per le strade delle metropoli irachene. «Alcune relazioni suggeriscono che il traffico di droga e armi era sostenuto dalla Cia, al fine di finanziare le sue operazioni segrete internazionali», scrive Brenda Stardom. Nel suo rapporto, un abitante di Baghdad spiegava: «Saresti stato impiccato, per il traffico di droga. Ma ora si può ottenere eroina, cocaina, qualsiasi cosa». I civili tossicodipendenti non hanno nessuna volontà di resistere, mentre la trionfante Washington, che ottenne le risorse del paese, è incurante del fatto che questa gente è condannata all’estinzione.L’operazione anti-terroristica lanciata immediatamente dopo il dramma dell’11 Settembre è giunta a conclusione in Afghanistan 11 anni dopo. Washington tratta la questione come un successo, ma evitare l’opinione pubblica genera gravi effetti collaterali. L’Afghanistan è stato abbandonato in uno stato di distruzione, con interi villaggi annientati, migliaia di persone decedute, prigionieri, campi di concentramento e rifugiati in tutto il paese. Sconfiggere il business della droga era l’obiettivo più pubblicizzato dell’intera “guerra al terrore” americana, ma il risultato e gli obiettivi della campagna erano completamente diversi. Nelle mani della coalizione occidentale, l’Afghanistan si è trasformato nel principale produttore mondiale di droga. Gli Usa e il business della droga si sono intrecciati sin dalla fine del secondo conflitto mondiale. Per Washington, la droga è stata a lungo un elemento strutturale della politica estera, oltre all’enorme mercato nero mondiale che alimenta l’economia “legittima” dell’Occidente… Un dollaro destinato al commercio della droga rende fino a 12.000 dollari, nella migliore delle ipotesi. Il costo dell’eroina afghana aumenta nettamente man mano che ci si sposta a nord del paese – in Pakistan ammonta a circa 650 dollari al chilo, 1.200 in Kyrgyzstan, raggiungendo i 70 dollari al grammo nella città di Mosca. Un chilo di eroina equivale a 200.000 dosi, e una dipendenza disperata inizia dopo 3 o 4 dosi.Il capitale “legittimo” sarebbe temporaneamente insostenibile senza il trascinante mercato nero globale. Entrambi i componenti dell’economia mondiale sono incentrati sugli Stati Uniti. Washington è consapevole che la produzione di droga può essere messa in atto solo dopo aver soddisfatto il requisito principale, cioè che gli utili finali non creino un effetto a cascata sul produttore. Diversamente, il mercato nero si sgretolerebbe all’istante. La mafia che gestisce il traffico di droga “in linea” riesce ad ottenere il 90% dei ricavi dall’eroina. Accanto ad altri soggetti coinvolti nel traffico, coloro che lavorano la materia prima ricevono il 2% del guadagno, gli agricoltori di papavero il 6% e i commercianti di oppio il 2%. La produttività del mercato nero utilizza anche aree coltivate a prezzi marginali. Promuovere un conflitto armato nella zona agricola è il modo più semplice per attenuare i costi richiesti dagli agricoltori, considerando che le armi sono la merce con più alto valore equivalente. La formula è che più sanguinoso è il conflitto e più alti sono i ricavi dalle vendite di armi e droga. L’instabilità, associata al controllo del disordine, rappresenta il motore del mercato nero. I due fattori armonizzano la domanda e l’offerta, tuttavia per assottigliare i costi e non avere difficoltà occorre diffondere aspirazioni separatiste. Il comandante della situazione dovrebbe impegnarsi con gruppi etnici, clan o fazioni religiose piuttosto che con enti statali.L’Afghanistan ha distribuito un totale di circa 50 tonnellate di oppio durante la metà degli anni ’80, ma la cifra è balzata a 600 tonnellate entro il 1990, un anno dopo il ritiro dei sovietici. Dopo aver sequestrato il 90% del territorio afgano e preso controllo della coltivazione di papavero locale, i Talebani si sono scrollati di dosso la presa della Cia e del Dipartimento di Stato americano, causando la perdita della quota statunitense dei circa 130 miliardi di dollari di profitto che la mafia poteva ottenere se le forniture venivano incanalate con successo in Asia centrale. Riprendere il controllo della produzione di eroina dal potere dei Talebani era l’obiettivo fondamentale dietro la campagna statunitense in Afghanistan. Al momento la missione è compiuta, gran parte dell’eroina viene acquistata e trasmessa dalla Cia e dal Pentagono ad altri paesi. Dopo aver costruito le basi militari in Kyrgyzstan, Uzbekistan e Tagikistan e insediato il governo di Hamid Karzai, Washington ha aperto nuove rotte di approvvigionamento, eliminando i concorrenti e facendo sì che la capacità degli stabilimenti di trasformazione dell’oppio in eroina non siano mai privi di lavoro. Al momento, l’Afghanistan rappresenta il 75% del mercato globale di eroina, l’80% del mercato europeo e il 35% del mercato statunitense. Circa il 65% del rifornimento di droga dell’Afghanistan attraversa l’Asia centrale post-sovietica, e anche se questa disposizione sarà leggermente modificata, il traffico persisterà anche dopo il ritiro della coalizione occidentale dall’Afghanistan.L’alleanza criminale tra la Cia e i Talebani è un fatto noto e non svanirà. Attualmente, i gruppi criminali albanesi del Kosovo possiedono un ruolo di primo piano nel commercio internazionale della droga. L’indipendenza del Kosovo dalla Serbia ha permesso agli Stati Uniti di pianificare un nuovo punto di appoggio per il business della droga, con particolare riguardo all’Europa. Oltre un milione di albanesi risiedono in Europa occidentale e la maggior parte di loro sopravvive grazie a diversi affari illegali, soprattutto quello della droga. Senza dubbio, gli Stati Uniti hanno deliberatamente presentato all’Europa un problema che d’ora in poi aumenterà. Secondo l’agenzia anti-narcotici russa, circa 100.000 persone in tutto il mondo – più di quante uccise dall’esplosione nucleare che distrusse Hiroshima – muoiono ogni anno a causa degli stupefacenti provenienti dall’Afghanistan. In questo contesto, in Russia, il bilancio è di circa 30.000 vittime. L’agenzia russa sul controllo della droga afferma che la produttività è raddoppiata negli ultimi dieci anni e ad oggi il 90% delle dosi di droga consumate globalmente – un totale di 7 miliardi – rappresentano eroina. La tossicodipendenza sta invadendo l’odierna Russia e nel mix con l’abuso di alcool sta mettendo in pericolo l’esistenza stessa della nazione.La Russia è molto attiva nell’incoraggiare la lotta internazionale contro la droga – il ministro degli esteri Sergej Lavrov, per esempio, ha ricordato al forum anti-droga 2010 che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite osserva il problema della droga come una minaccia alla pace e alla sicurezza globale. Il suo punto di vista era che il mandato della coalizione in Afghanistan dovrebbe essere aggiornato per includere delle misure ben più robuste, incluso lo sradicamento dei campi di oppio e lo smantellamento delle fabbriche di droga. I passi per contrastare la produzione di stupefacenti in Afghanistan dovrebbero essere altrettanto decisi di quelli scattati in America Latina contro il traffico di cocaina, afferma Lavrov, sottolineando anche che un coordinamento in tempo reale tra la Russia e la Nato, lungo il confine con l’Afghanistan, potrebbe essere di grande aiuto. Mosca ha mandato per anni segnali in merito, ma l’atteggiamento della Nato sembra essere impassibile. Il capo dell’agenzia russa del controllo della droga Viktor Ivanov ha affermato nel 2010 che la Russia ha fornito delle informazioni riservate agli Stati Uniti e all’amministrazione afghana riguardo 175 stabilimenti di droga in Afghanistan, eppure nessuno di questi è stato smantellato. I fondi continuano quindi ad accumularsi sui conti bancari di coloro che gestiscono questi traffici ed è chiaro che questa condizione richiede un fronte anti-narcotico molto più ampio. Mosca perderà solo tempo e vedrà sempre più russi morire se attende una mossa dell’Occidente per sottoscrivere tali iniziative. È giunto il momento di adottare misure drastiche contro coloro che diffondono la morte confezionata in dosi.(“La droga, uno strumento di politica globale”, da “La Crepa nel Muro” del 9 aprile 2019).Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi.