Archivio del Tag ‘democrazia’
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Limonov: combatto Putin, ma il vero traditore è Gorbaciov
Quando sono nato, in un paesino sovietico di poveri operai ucraini, non avevo alcuna chance. Sarei morto di vodka e disperazione lavorando in qualche fabbrica. (E invece, una lunga cavalcata sempre controcorrente. I circoli letterari di Mosca, i primi romanzi, la fuga in America e la scoperta che quello non era proprio un mondo ideale). Mai avuta tanta simpatia per l’America e per il suo stile di vita. Avessi potuto scegliere sarei andato in Italia, o comunque in Europa. Anche in America mi ritrovai a contestare il sistema. D’altra parte i miei riferimenti, i miei amici, erano tutti legati alla sinistra europea. Che allora era più antiamericana dell’Urss. Ho parlato spesso parlato malissimo dei dissidenti dell’epoca, come Aleksandr Solgenitsyn. In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere come Solgenitsyn e Andrej Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti. Adesso però riconosco la loro grandezza. Ammetto che la loro influenza è stata utile. E mi fanno pena per quello che hanno lasciato. Solo macerie. Solgenitsyn, che vagheggiava l’unione panslava di Russia, Ucraina e Bielorussia, ha visto morire i suoi sogni già nel ‘91. Mi mette tristezza pensare ad un uomo che vede crollare in diretta il suo sogno filosofico.Sakharov? Lui almeno non ha potuto vedere come è finita la sua coraggiosa battaglia. Non saprà mai di aver contribuito a fare arricchire i nuovi ladruncoli democratici. Ho smesso di scrivere romanzi dopo i successi del periodo francese e mi sono dedicato alla mia guerra personale contro Putin tra le fila di un neo-partito bolscevico. Che voleva dire bolscevico nella Russia del 2012, nostalgia di un passato dimenticato? In un certo senso sì. Molte cose andavano cambiate, adeguate ai tempi. Ma la distruzione di tutto è stato un errore gravissimo. Un disastro. Per questo non perdonerò mai Gorbaciov e Eltsin. Gorbaciov in particolare. Per lui ci vorrebbe la ghigliottina, scrivetelo. Voi occidentali continuate a considerarlo un eroe. Ma qui in Russia non lo sopporta nessuno. Vi siete mai chiesti il perché? Perché ha smantellato il Patto di Varsavia, ci ha fatto perdere tutto quello che controllavamo. Ha fatto riunire la Germania devastando ogni equilibrio in Europa. E la Germania Unita ha per esempio fomentato la guerra in Jugoslavia. Le migliaia di vite perdute nella guerra dei Balcani sono tutte a carico del signor Gorbaciov.Su Putin ho un atteggiamento freddo. Ci ha tolto la libertà, è vero, e lo combatto per questo. Ma con lui almeno si sopravvive. Negli anni del caos di Eltsin, invece si faceva fatica pure a trovare il pane. Dunque Putin meglio di Eltsin? Diciamo che la priorità è il pane. Poi viene la libertà. Dunque prima ero contro Eltsin e adesso contro Putin per motivi diversi. Come proporre ancora un modello bolscevico? Il partito bolscevico nacque in Germania prima della Rivoluzione. È a quello che mi ispiro. Diciamo che è una via di mezzo tra libertà individuale e giustizia sociale. Le proteste di piazza in Russia? Non mi fido dei giovanotti piccolo-borghesi che protestano adesso. Sono confusi, velleitari, e sono manipolati da vecchi politicanti come Nemtsov che fanno il gioco del Cremlino. Tra un po’ la moda passerà. Il romanzo? E’ un genere letterario ormai superato. È nato nell’Ottocento, ma adesso non vale più niente. È una forma plebea di letteratura. E lo dico io che ne ho scritto 25 di buon livello. Adesso ho smesso. Mi dedico ai saggi. I romanzi sono ormai roba per adolescenti ignoranti.Cosa dovrebbe scrivere uno scrittore moderno? La verità nuda e cruda. L’altro giorno rileggevo i verbali delle testimonianze nei miei confronti in uno dei tanti processi contro di me. C’erano le voci di decine di personaggi reali. Una densità drammatica che nemmeno Shakespeare sarebbe riuscito a realizzare. E comunque io non mi considero nemmeno uno scrittore, ma un intellettuale. Che è ben diverso da essere un membro della intelligentsja. Di quelli ce ne sono tanti, in tutte le epoche. Si limitano a propagandare quello che gli intellettuali veri hanno elaborato almeno vent’anni prima.(Eduard Limonov, dichiarazioni rilasciate a Nicola Lombardozzi per l’intervista “Io, l’intellettuale bolscevico che odia Putin e Gorbaciov”, apparsa sul “Venerdì di Repubblica” del 2 novembre 2012).Quando sono nato, in un paesino sovietico di poveri operai ucraini, non avevo alcuna chance. Sarei morto di vodka e disperazione lavorando in qualche fabbrica. (E invece, una lunga cavalcata sempre controcorrente. I circoli letterari di Mosca, i primi romanzi, la fuga in America e la scoperta che quello non era proprio un mondo ideale). Mai avuta tanta simpatia per l’America e per il suo stile di vita. Avessi potuto scegliere sarei andato in Italia, o comunque in Europa. Anche in America mi ritrovai a contestare il sistema. D’altra parte i miei riferimenti, i miei amici, erano tutti legati alla sinistra europea. Che allora era più antiamericana dell’Urss. Ho parlato spesso parlato malissimo dei dissidenti dell’epoca, come Aleksandr Solgenitsyn. In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere come Solgenitsyn e Andrej Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti. Adesso però riconosco la loro grandezza. Ammetto che la loro influenza è stata utile. E mi fanno pena per quello che hanno lasciato. Solo macerie. Solgenitsyn, che vagheggiava l’unione panslava di Russia, Ucraina e Bielorussia, ha visto morire i suoi sogni già nel ‘91. Mi mette tristezza pensare ad un uomo che vede crollare in diretta il suo sogno filosofico.
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Sono pazzi, dicono ancora che l’Ue si possa democratizzare
Mettetevelo in testa: l’Unione Europea è finita, non è riformabile. E’ la sintesi che fornisce Carlo Formenti su “Micromega”, commentando il numero di maggio-giugno della rivista “Il Ponte”, intitolato “Un’altra Europa”, con 10 mini-saggi firmati da autori come Ernesto Screpanti, Luciano Vasapollo, Giorgio Cremaschi nonché Marco Baldassari, Diego Melegari e Stefano Zai. Fine dell’illusione riformista, nessuna possibile «evoluzione democratica delle istituzioni comunitarie». Tesi scolpite nel marmo: la natura dell’Ue è «costitutivamente oligarchica». Peggio: «Principi e valori dell’ordoliberalismo tedesco ne ispirano il progetto». C’è ormai una «presa d’atto della natura neocoloniale della relazione fra Germania e paesi dell’area mediterranea e dell’Est europeo». Tutti concordi sulla «necessità di rompere con la Ue e di dare avvio a processi alternativi di aggregazione fra paesi periferici». Sbagliato, scrive Formenti, considerare “un errore” la politica economica europea «nel ritorno al dogma dello Stato minimo, tipico del liberismo classico». Sbagliato pensare «che tale errore sia correggibile attraverso il ritorno a politiche neokeynesiane». Con Brxelles la partita è persa, resta solo la fuga.Si insiste sul fatto che la visione ordoliberale, adottata fin dalle origini dalla Germania postbellica, nega la capacità del mercato di autoregolarsi e affida allo Stato – uno Stato forte, dunque – il ruolo di definire un quadro giuridico istituzionale, una vera e propria “costituzione economica”, nel quale i fattori economici possano esplicarsi correttamente (stabilità dei prezzi, protezione della concorrenza da sostegni pubblici e interventi “lobbistici” dei corpi intermedi come i sindacati). La politica non deve dunque compensare gli effetti del mercato (di qui l’obiettivo di smantellare il welfare) ma garantire il libero sviluppo di un’economia che – in quanto “economia sociale di mercato” – si presenta come un vera e propria utopia, una economia “morale” fondata su un mix di spirito imprenditoriale, valore comunitario e ordine sociale armonico. Questa funzione di governance, continua Formenti, non necessita di legittimazione, per cui le critiche alla scarsa democraticità delle istituzioni europee, o alla presunta incompletezza del processo di unificazione politica cadono letteralmente nel vuoto: «l’Unione non è uno stato federale “incompiuto”, bensì una superstruttura parastatale che ha il compito di gestire una governance multilivello». Una superstruttura «rispetto alla quale i trattati assumono valore costituzionale, funzionano come “una costituzione senza Stato e senza popolo”».Di fronte a questa realtà, «l’unico argomento che consente alle sinistre radicali di coltivare l’illusione riformista di poter democratizzare questa Europa è il dogma (fedele a una sorta di internazionalismo astratto che sconfina nel cosmopolitismo borghese) secondo cui il piano sovranazionale sarebbe l’unico sul quale è possibile rappresentare gli interessi delle classi subalterne», osserva Formenti. Altro argomento, la relazione semicoloniale fra la Germania e gli altri paesi, mediterranei e dell’Est, «imposta dai rapporti di forza fra grandi potenze in conflitto reciproco sul mercato globale». Il processo di globalizzazione è stato a lungo trainato «dalla sostanziale convergenza di interessi fra Stati Uniti e Cina: da un lato, la politica americana di espansione della domanda aggregata che alimentava la crescita di consumi, investimenti e importazioni gonfiando il debito pubblico e privato (e facendolo pagare agli altri paesi grazie all’egemonia del dollaro), dall’altro, il mercantislismo cinese che sfruttava la politica americana per alimentare i vertiginosi tassi di crescita del proprio surplus commerciale».La crisi, argomenta Screpanti, ha rotto questi equilibri, inducendo quasi tutti i paesi ad adottare forme di “mercantilismo difensivo” che tendono a rallentare lo sviluppo, nella misura in cui rallentano la domanda mondiale di importazioni. Secondo Screpanti, non è tuttavia corretto parlare di “fine della globalizzazione”, in quanto il processo di internazionalizzazione delle grandi imprese prosegue, anche se entra in contraddizione con il nazionalismo dei grandi Stati. In questo contesto la Germania, «il cui modello di sviluppo è stato fin dall’inizio basto sulle esportazioni», tende ad accentuare ulteriormente la pressione sugli altri paesi dell’Unione, imponendo – come afferma Vasapollo – una divisione del lavoro «che assegna ai paesi mediterranei il ruolo di importatori, mentre trasferisce all’Est il sistema industriale per ridurre ulteriormente il costo del lavoro». Del resto, «il mito della convergenza delle economie nazionali dell’area Ue è tramontato da tempo, di fronte alla forbice che vede un Nord che cresce rapidamente grazie ai surplus commerciali opposto un Sud che cresce lentamente, ha elevati tassi di disoccupazione, debiti pubblici in aumento, bilanci commerciali in deficit e subisce un processo di deindustrializzazione».Ormai, continua Formenti, è evidente che l’euro «è lo strumento che ha consentito alla Germania di imporre ai soci di finanziare i suoi squilibri di bilancio (soprattutto dopo l’unificazione con l’Est), di costruire un nuovo proletariato industriale per le sue multinazionali e di esercitare un inedito colonialismo interno al polo europeo per sostenere le proprie ambizioni di potenza emergente a livello globale». Di fronte a questo scenario, «che rende irrealistico qualsiasi progetto di riforma di questa Europa», tutti gli articoli sostengono l’inevitabilità, per quelle forze politiche che intendano realmente rappresentare gli interessi delle classi subalterne, di lavorare per la rottura della Ue anche prendendo in considerazione l’ipotesi di un’uscita unilaterale (Italexit) del nostro paese – uscita che, scrive Screpanti, mentre rappresenterebbe un processo dirompente per tutta l’Unione, non deve farci dimenticare che implicherebbe un prezzo elevato da pagare. Tema che Vasapollo affronta da un altro punto di vista, sviluppando la prospettiva della costruzione di un’Europa dei popoli mediterranei in analogia all’alleanza politico-economica messa in atto alle rivoluzioni bolivariane in America Latina.Di taglio più politico l’articolo di Cremaschi, che affronta la crisi della globalizzazione dal punto di vista della perdita di consenso delle masse popolari nei confronti delle élite che hanno governato il processo negli ultimi decenni. «A causa della crisi, gli avanzi della ricchezza accumulata non hanno più potuto essere ridistribuiti, aggravando ulteriormente gli effetti di una “guerra di classe dall’alto” che già aveva falcidiato occupazione, salari e welfare, per cui non è un caso se la rivolta è partita proprio in quei paesi – Stati Uniti e Inghilterra, dove quasi mezzo secolo fa è iniziata la controrivoluzione liberista». Che poi questa rivolta abbia assunto connotati di destra (senza dimenticare tuttavia il caso Sanders), sia stata cioè egemonizzata da forze che affidano ogni soluzione a un leader, si concentrano esclusivamente sulla lotta alle caste corrotte e dirottano la rabbia popolare sui migranti, non toglie nulla al fatto che questo dissenso politico di massa sia il punto da cui è necessario partire per produrre qualsiasi cambiamento reale. Le sinistre radicali? Continuano ad allearsi «alle socialdemocrazie in via di estinzione», quando non sono «pienamente convertite al liberismo», e quindi «si autocondannano alla ininfluenza più assoluta». Meglio invece «misurarsi con “l’onda populista”», perché il vero problema ormai «non è se, ma come, usciremo dalla globalizzazione».Mettetevelo in testa: l’Unione Europea è finita, non è riformabile. E’ la sintesi che fornisce Carlo Formenti su “Micromega”, commentando il numero di maggio-giugno della rivista “Il Ponte”, intitolato “Un’altra Europa”, con 10 mini-saggi firmati da autori come Ernesto Screpanti, Luciano Vasapollo, Giorgio Cremaschi nonché Marco Baldassari, Diego Melegari e Stefano Zai. Fine dell’illusione riformista, nessuna possibile «evoluzione democratica delle istituzioni comunitarie». Tesi scolpite nel marmo: la natura dell’Ue è «costitutivamente oligarchica». Peggio: «Principi e valori dell’ordoliberalismo tedesco ne ispirano il progetto». C’è ormai una «presa d’atto della natura neocoloniale della relazione fra Germania e paesi dell’area mediterranea e dell’Est europeo». Tutti concordi sulla «necessità di rompere con la Ue e di dare avvio a processi alternativi di aggregazione fra paesi periferici». Sbagliato, scrive Formenti, considerare “un errore” la politica economica europea «nel ritorno al dogma dello Stato minimo, tipico del liberismo classico». Sbagliato pensare «che tale errore sia correggibile attraverso il ritorno a politiche neokeynesiane». Con Bruxelles la partita è persa, resta solo la fuga.
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A salvare la Russia è stato Andropov: il Kgb, cioè oggi Putin
Quando sta per arrivare la “fine del mondo”, c’è sempre qualcuno che la vede in anticipo. E in silenzio, dietro le quinte, prepara il “dopo”. Prendiamo l’Urss, crollata nel 1991. Colpa di Gorbaciov? No: la perestrojka fu un tentativo generoso ma tardivo, fuori tempo massimo. Tutti, al Cremlino, sapevano perfettamente che l’Unione Sovitica era finita: come sistema sociale non poteva più reggere. Il primo a saperlo era l’uomo che allevò Gorbaciov: Yurij Andropov, ininterrottamente a capo del Kgb dal lontano 1967. Proprio il potente servizio segreto era il migliore osservatorio della situazione: prima ancora che andasse a sostituire Breznev nel 1982 alla guida del paese, Andropov già sapeva che solo il Kgb avrebbe potuto impedire la catastrofe definitiva, il tracollo della Russia. Lo sostiene il filosofo Igor Sibaldi, di origine russa per parte di madre, autore di besteller come “I maestri invisibili”. Tre le sue fonti confidenziali anche un amico d’infanzia, ufficiale del Kgb. Non a caso, lo stesso Gorbaciov veniva dall’intelligence, ne era stato il direttore amministrativo. E chi è Vladimir Putin? Un ex colonnello del Kgb. «Ancora oggi, Putin rappresenta un potente network, di cui è il portavoce: è ancora l’ex Kgb a reggere il paese, dopo averne evitato il crollo».Lo ammette anche Giulietto Chiesa, autore di libri come “Roulette russa” e “Russia addio”, scritti durante la disastrosa epoca Eltsin, con la colossale svendita del paese a vantaggio del grande capitale americano, con la mediazione degli “oligarchi” cresciuti attorno al Cremlino. «Il vero iniziatore della perestrojka fu Jurij Andropov, cioè il Kgb, che era la parte più “informata dei fatti”», scrive Chiesa in una riflessione su “Megachip”. «Gorbaciov arrivò quando ormai la situazione era intenibile. Fece degli errori gravi? Sicuramente. Si fidò dell’Occidente, che non conosceva abbastanza? Sicuramente. Ma il fatto incontestabile (se si vuole essere onesti nei confronti della realtà) è che l’Impero del Bene di reaganiana memoria aveva già conquistato le menti della grande maggioranza dei russi. E di quasi tutta l’intelligencija sovietica». L’alternativa concreta che si pose davanti a Gorbaciov, continua Chiesa, fu semplice e tragica: «Continuare così, fino al collasso (con il rischio che i cretini di ambo le parti tentassero la soluzione di forza, e sarebbe stata la fine del genere umano), oppure avviare i cambiamenti necessari». Non ha funzionato, come sappiamo. Ma incolpare solo Gorbaciov «significa oscurare del tutto il progetto di dominio mondiale che cominciò ad attuarsi in quegli anni e che oggi strangola tutti noi».In una conversazione registrata su YouTube, Sibaldi traccia un parallelo tra la crisi terminale dell’Unione Sovietica e l’attuale collasso del nostro sistema, fondato sul consumo di merci superflue: «Le crepe sono evidentissime, la situazione sta crollando. Non sappiamo più neppure chi siamo e cosa ci piace: sappiamo solo cosa dobbiamo dire che ci piace». Nei momenti difficili, aggiunge Sibaldi, conta l’individuo consapevole, che ha coscienza di sé e sente che sta cambiando l’aria, in modo irreversibile. «La domanda da porsi è: come ci si organizza, per il dopo? La Russia sovietica già negli anni ‘70 non aveva più futuro, ma i cittadini non lo volevano accettare: pensavano che l’Unione Sovietica sarebbe durata per sempre. A capire la situazione, con largo anticipo, fu il Kgb. Che, con Andropov, si organizzò per il “dopo” con larghissimo anticipo». Insiste Sibaldi: «Già negli anni ‘60, Andropov si era accorto che l’impero russo sarebbe crollato, inevitabilmente: non aveva speranza, un paese che diceva di essere comunista ma in realtà andava verso il nazismo, di mese in mese, con atrocità intollerabili». Era lucido, il capo del Kgb: «Ha pensato: lo Stato crolla, salvarlo è impossibile. E allora bisogna preparare un edificio a parte, che resista. E ha fatto quello che Isaac Asimov aveva scritto nei suoi romanzi di fantascienza: solo che, anziché su un altro pianeta, l’ha fatto in una struttura statale».Uno Stato nello Stato, in assoluta segretezza. «Poi il crollo è avvenuto, e l’unica cosa che è rimasta in piedi è stato proprio il Kgb, cioè quello che Andropov era riuscito a costruire. Non per niente, Putin è un colonnello del Kgb, non un generale: non è “il dittatore”, è l’espressione visiva di una struttura che è dietro di lui, e che è rimasta solidissima». Il fenomeno dei “nuovi ricchi” russi? E’ la dimostrazione di «processi sociali avviati in quel periodo, accuratamente progettati: la diffusione di un nuovo sistema di ricchezza, dall’alto, per “tener su” un popolo mentre lo Stato crolla». Una visione che coincide in parte con quella di Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”, spesso molto critico di fronte agli entusiasmi dei “corifei” del nuovo Zar di Mosca. Magaldi rivela che Putin fu affiliato alla supermassoneria internazionale già nei primi anni ‘80, quando risiedeva in Germania Est: «Insieme ad Angela Merkel, che conosce personalmente da allora – ricorda Magaldi a “Colors Radio” – Putin fu accolto nella Ur-Lodge “Golden Eurasia”, non esattamente progressista». E’ al potere da troppo tempo e impedisce che la democrazia russia maturi pienamente? Vero. Ma, per contro – ammette Magaldi – Putin ha stabilizzato il paese, migliorando la vita dei russi. «E, altra cosa utile per l’equilibrio del mondo: è riuscito a riproporre la Russia come potenza». Nel segno del capostipite del network, il lungimirante Yurij Andropov.Quando sta per arrivare la “fine del mondo”, c’è sempre qualcuno che la vede in anticipo. E in silenzio, dietro le quinte, prepara il “dopo”. Prendiamo l’Urss, crollata nel 1991. Colpa di Gorbaciov? No: la perestrojka fu un tentativo generoso ma tardivo, fuori tempo massimo. Tutti, al Cremlino, sapevano perfettamente che l’Unione Sovitica era finita: come sistema sociale non poteva più reggere. Il primo a saperlo era l’uomo che allevò Gorbaciov: Yurij Andropov, ininterrottamente a capo del Kgb dal lontano 1967. Proprio il potente servizio segreto era il migliore osservatorio della situazione: prima ancora che andasse a sostituire Breznev nel 1982 alla guida del paese, Andropov già sapeva che solo il Kgb avrebbe potuto impedire la catastrofe definitiva, il tracollo della Russia. Lo sostiene il filosofo Igor Sibaldi, di origine russa per parte di madre, autore di besteller come “I maestri invisibili”. Tre le sue fonti confidenziali anche un amico d’infanzia, ufficiale del Kgb. Non a caso, lo stesso Gorbaciov veniva dall’intelligence, ne era stato il direttore amministrativo. E chi è Vladimir Putin? Un ex colonnello del Kgb. «Ancora oggi, Putin rappresenta un potente network, di cui è il portavoce: è ancora l’ex Kgb a reggere il paese, dopo averne evitato il crollo».
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Economia a rotoli, Draghi pronto a congelare i conti correnti
L’economia dell’Europa “è tornata a crescere”. La disoccupazione “cala” anche in Italia. Le cose vanno così bene, che la Ue sta meditando il congelamento dei depositi, in caso di crisi, per impedire la corsa agli sportelli che trascinerà tutte le banche nell’abisso. Per salvare le banche, vi vieteranno di ritirare i vostri risparmi. Lo ha raccontato la “Reuters” il 28 luglio. La proposta è stata avanzata dall’Estonia, che ha la presidenza pro-tempore della Ue. La questione è discussa dietro le quinte dall’inizio dell’anno, e ha avuto una accelerazione due mesi fa, quando un panico bancario con corsa agli sportelli ha contribuito al fallimento del Banco Popular, poi “salvata” inglobandola in Santander. L’Estonia propone, «in caso di circostanze eccezionali», di bloccare tutti i “movimenti di capitale” da 5 a 20 giorni; fra i “capitali” sono espressamente compresi i depositi bancari, anche quelli sotto i 100 mila euro, che ci hanno fatto credere sono “garantiti” (da che?) anche se la vostra banca è fallita. La Germania è a favore della proposta estone. Altri paesi sono perplessi, e persino la lobby bancaria teme che questa misura non farà che «indurre i risparmiatori a ritirare i soldi prima».Se ne riparlerà da settembre; l’Estonia – questa prima della classe e neofita del liberismo, ma incline al bisogno a tornare all’autoritarismo sovietico – preme perché il decreto sia approvato entro novembre (evidentemente temono qualcosa …). In ogni caso dovrà essere approvato dal Parlamento Europeo. La discussione, e il rimando all’autunno, già basta dimostrare come i “leader politici europei” non abbiano la minima idea di come gestire uniti il problema della banche in fallimento – una conferma dell’incapacità di un decennio fa, quando la Bce ha salvato la situazione, se vogliamo dir così, “stampando” miliardi su miliardi di euro per trattenere l’Europa “unita” dall’abisso. La Banca Centrale, per conto delle banche private, ha assunto il potere reale e totale. Ormai il potere dei politici e della democrazia, ossia del voto, è una finzione di fronte a istituzioni che possono non solo creare denaro dal nulla, ma anche fissare il costo del denaro del tutto artificialmente, «decidere la preferenza fra il presente e il futuro», ma anche «manipolare il rischio e la percezione del rischio». Il che è reso necessario, nella logica della finanza globale, dal fatto che gli attivi delle banche sono una finzione – crediti che non valgono nulla – ma da cui dipende il valore di altri “attivi”.Perché «le banche trasformano il breve termine in lungo termine, il poco rischioso in più rischioso, il poco liquido in liquido; e moltiplicano la moneta, la creano semplicemente concedendo altri crediti; i crediti fanno i depositi. Tutto posa su promesse»: la promessa che qualcuno, un debitore, da qualche parte, continuerà a pagare gli interessi passivi sul suo debito. Se tale debitore è, poniamo, lo Stato italiano, con il suo debito pubblico oltre il 130% del Pil, è chiaro che esso non sarà mai onorato. Ma per le banche quel che conta è l’apparenza della solvibilità degli Stati, perché hanno usato i Bot per garantire altri “attivi” fantastici; se cadono i Bot, cadono tutti gli altri del castello di carte che vi hanno appoggiato sopra. Occorre dunque che lo Stato continui ad apparire solvibile, continuamente rinnovabile; occorre anche che non sia deprezzato; lo Stato deve dunque aumentare la pressione fiscale, pagare gli interessi sul debito – e sui debiti nuovi contratti per rinnovare il debito, ossia rimandarne al futuro la resa dei conti. Bisogna che continuiamo, noi contribuenti, a pedalare la bicicletta della finanza privata (chiamasi usura), perché se si ferma cade.Ora però la finzione è giunta al capolinea, come prova lo stesso fatto che la Banca Centrale sta prestando agli stati, e alle banche, a tasso zero, anzi sottozero. E sul fatto che ormai, il debito mondiale supera il 375% del Pil globale – tale da far sembrare oculata la repubblica italiana. «Se vincono i populisti, la Bce li debellerà provocando una corsa agli sportelli». I banchieri, gli Shylock, che contrariamente a noi hanno la memoria storica lunga, sanno che a questo punto il rischio è che i governi loro servi vengano rovesciati, e arrivino al potere dei “populisti”: che si riprendano la sovranità monetaria ed esercitino la prerogativa sovrana per eccellenza: il default, il rifiuto di pagare Shylock – e magari sbatterlo in galera. Dunque stavolta hanno imparato e sanno come contrastare l’avvento della loro nemesi… La Banca Centrale è già pronta: se dei “populisti” arriveranno al potere in qualche paese, Draghi li sconfiggerà provocando nel paese il panico bancario e la corsa agli sportelli: «Paralizzerà monetariamente il paese, spaventerà la gente per asfissiare le banche – e a meno di chiudere i confini alla fuga di capitali e decretare lo stato d’emergenza – misure decisamente impopolari – i populisti saranno spazzati via in qualche settimana dallo stesso popolo». Così l’economista Bruno Berthez.Non credete? Ma Draghi l’ha già fatto: alla Grecia. Ha sabotato i piani di Varoufakis per strappare una rinegoziazione del debito (impagabile) del paese, proprio favorendo una corsa agli sportelli delle banche greche, che ha fatto cadere nel panico i depositanti; la banca greca centrale ha ridotto la cifra che si poteva prelevare dai bancomat; in pochi giorni, Tsipras ha dovuto cedere. La Grecia è oggi serva eterna dell’usuraio, deve dare a Shylock la sua porzione di carne vicino al cuore. Dunque la Bce può fare il contrario di quello che la misura estone vuole scongiurare, vietando il ritiro dei depositi. Proprio così. Il dittatore totale è prontissimo a fare tutto e il contrario di tutto, per eternare il proprio potere. Mica sono lì per fare il vostro bene e dire la verità; sono lì per il potere, solo quello.(Maurizio Blondet, “L’economia va tanto bene, che l’Ue medita di bloccare i depositi”, dal blog di Blondet del 1° agosto 2017).L’economia dell’Europa “è tornata a crescere”. La disoccupazione “cala” anche in Italia. Le cose vanno così bene, che la Ue sta meditando il congelamento dei depositi, in caso di crisi, per impedire la corsa agli sportelli che trascinerà tutte le banche nell’abisso. Per salvare le banche, vi vieteranno di ritirare i vostri risparmi. Lo ha raccontato la “Reuters” il 28 luglio. La proposta è stata avanzata dall’Estonia, che ha la presidenza pro-tempore della Ue. La questione è discussa dietro le quinte dall’inizio dell’anno, e ha avuto una accelerazione due mesi fa, quando un panico bancario con corsa agli sportelli ha contribuito al fallimento del Banco Popular, poi “salvata” inglobandola in Santander. L’Estonia propone, «in caso di circostanze eccezionali», di bloccare tutti i “movimenti di capitale” da 5 a 20 giorni; fra i “capitali” sono espressamente compresi i depositi bancari, anche quelli sotto i 100 mila euro, che ci hanno fatto credere sono “garantiti” (da che?) anche se la vostra banca è fallita. La Germania è a favore della proposta estone. Altri paesi sono perplessi, e persino la lobby bancaria teme che questa misura non farà che «indurre i risparmiatori a ritirare i soldi prima».
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Gli strateghi del Brexit hanno ingannato chi ha votato Brexit
Credo che una delle più grandi doti di un politico sia l’onestà intellettuale – incluso l’ammettere i propri errori, soprattutto quando si agiva o si pensava in buona fede. Coloro che hanno sostenuto Brexit, credendo nella favola della liberazione dai potenti, dovrebbero oggi cominciare a vedere cosa Brexit è davvero: un feroce attacco allo Stato sociale della nazione che ha “inventato” e meglio realizzato un modello unico di società, in cui le libertà individuali e le responsabilità dell’individuo verso la comunità sono state efficacemente coniugate, a partire dal grande lavoro di William Beveridge. Brexit non è altro che l’attacco al modello economico e sociale piú avanzato al mondo, perpetuato e favorito da governi conservatori che, mentre predicavano alle masse di agire nel loro interesse, e mentre continuavano a tagliare i servizi e le tutele ai cittadini, sono riusciti a triplicare il debito pubblico – creando proprio le condizioni per poter rivendicare oggi, e dopo Brexit, “l’unaffordability” del welfare system. Gli ultimi governi conservatori hanno fatto proprio questo: creare le condizioni economiche per poter giustificare ed imporre l’austerity, così come è avvenuto nella maggior parte degli altri Stati europei da dieci anni a questa parte.«Ma ora che c’è Brexit, ora che usciremo dall’Unione Europea, potremo investire i nostri soldi nel nostro welfare system e migliorare il nostro sistema sanitario pubblico, invece di darli ai greci», senti le cornacchie del Brexit gracchiare. Ma il modello politico, economico e sociale sotto attacco non è, cari amici inglesi, quello greco, ma il modello di Stato sociale che, sviluppatosi nel Regno Unito, è poi diventato patrimonio del popolo europeo. Attaccare l’economia greca vuol dire attaccare il welfare system britannico; vuol dire indirettamente screditare ogni modello di stato sociale. Peccato. Brexit avrebbe potuto rappresentare il rilancio del modello sociale ed economico social-liberale, in barba al neoliberismo e agli interessi economici privati che si sono impossessati della Ue. Ma così non è stato e, soprattutto, non doveva mai essere. Coloro che il Brexit lo hanno voluto avevano interessi e piani diametralmente opposti a quelli di coloro che il Brexit lo hanno votato.Brexit rappresenta l’attacco al social-liberalismo per imporre il modello sociale neoliberista ad un Regno Unito che, pur abbracciando il neoliberismo, aveva ancora una società ed una politica “resistenti”. Brexit rappresenta l’opportunitá per cannibalizzare e spolpare Londra (vedremo gli effetti della riforma di Osborne sulle tasse sulla seconda casa, e a chi gioverà). Brexit consente al governo britannico di proporre la totale deregulation. Consente al governo di proporre che Londra diventi un “tax heaven”. Consente a Theresa May di presentare un European Union Withdrawal Bill che sostanzialmente le darà il potere di fare tutte le leggi che vorrà (tranne alzare le tasse, of course) senza passare per il Parlamento. Brexit consente a Theresa May di annunciare che l’amico Donald Trump sarà disponibile a firmare un “trade deal” unico col Regno Unito, per garantigli prosperitá dopo Brexit. Peccato che la May voglia ricambiare il favore, mettendo il sistema sanitario pubblico sul piatto e regalando la sanità pubblica al capitale privato americano.E i 350 milioni a settimana, pubblicizzati durante la campagna del Brexit, che dovevano andare nelle casse dell’Nhs per dargli nuova prosperitá? Smentiti il giorno dopo il voto e, actually… in Kent sono stati privatizzati i primi studi di medici generici, oggi di proprietà di Virgin Health. A livello nazionale si è discusso della famosa “dementia tax” e di ridurre le tutele sanitarie a obesi e fumatori. Cosa prova tutto questo? Che non ci possiamo innamorare della propaganda senza contenuti. Non possiamo innamorarci del “come”. Perche Brexit era un “come”, era un mezzo. Peccato che, come già detto ma è bene ripetere, il fine di coloro che hanno ideato Brexit era diametralmente opposto a quello di coloro che Brexit lo hanno votato. Prima di discutere del “come”, discutiamo del “cosa” – cosa vogliamo fare per il futuro del Regno Unito, dell’Italia e dell’Europa. Una proposta social-liberale sullo scenario politico non c’è.In Italia i cosiddetti democratici e progressisti che hanno votato il Fiscal Compact, come coloro che propongono ancora di alzare le tasse, non sono una proposta credibile. E una proposta social-liberale (raccogliamo tutti l’invito di Carpeoro a riscoprire Olof Palme) non c’è da nessuna parte. Abbiamo urgente bisogno di una proposta politica adatta alle sfide del futuro. Se qualcosa manca, lavoriamo alla sua costruzione. Sviluppiamo noi, cittadini con idee, questa proposta politica il prima possibile. Ricordiamoci anche che oggi ci lamentiamo di Brexit, ma una vittoria del Remain avrebbe ulteriormente legittimato un modello di Unione Europea, senza sostanziale legittimazione politica e popolare, asservito agli interessi del sistema neoliberista. Ricordiamoci che coloro che volevano combattere il modello politico, sociale ed economico, antidemocratico, illiberale, antisociale e antiambientale neoliberista, a cui l’Unione Europea sembra asservita, avevano ragione a farlo – hanno solo sbagliato il “come”.(Marco Moiso, “Brexit e gli interessi diametralmente opposti di chi lo ha ideato e chi lo ha votato”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 luglio 2017).Credo che una delle più grandi doti di un politico sia l’onestà intellettuale – incluso l’ammettere i propri errori, soprattutto quando si agiva o si pensava in buona fede. Coloro che hanno sostenuto Brexit, credendo nella favola della liberazione dai potenti, dovrebbero oggi cominciare a vedere cosa Brexit è davvero: un feroce attacco allo Stato sociale della nazione che ha “inventato” e meglio realizzato un modello unico di società, in cui le libertà individuali e le responsabilità dell’individuo verso la comunità sono state efficacemente coniugate, a partire dal grande lavoro di William Beveridge. Brexit non è altro che l’attacco al modello economico e sociale piú avanzato al mondo, perpetuato e favorito da governi conservatori che, mentre predicavano alle masse di agire nel loro interesse, e mentre continuavano a tagliare i servizi e le tutele ai cittadini, sono riusciti a triplicare il debito pubblico – creando proprio le condizioni per poter rivendicare oggi, e dopo Brexit, “l’unaffordability” del welfare system. Gli ultimi governi conservatori hanno fatto proprio questo: creare le condizioni economiche per poter giustificare ed imporre l’austerity, così come è avvenuto nella maggior parte degli altri Stati europei da dieci anni a questa parte.
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Foa: non toccate i blog, le fake news vengono dalla stampa
Ebbene sì, i blogger, i “liberi pensatori”, i giornalisti davvero liberi continuano ad aver ragione e la grande stampa mainstream torto, nel senso che quest’ultima tradisce da troppo tempo quella che dovrebbe essere la sua funzione primaria e irrinunciabile, di voce critica e coraggiosa della società democratica. Mettiamoci nei panni di un analista – politico o finanziario o strategico – che vuole capire come va il mondo. Se si fosse limitato ai principali media internazionali o di grandi paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania o Italia, i suoi report sarebbero stati lacunosi e, soprattutto, per nulla preveggenti. Le analisi più accurate e le denunce più coraggiose non le avrebbe infatti trovate su quelle colonne, bensì sui blog e sui siti della cosiddetta stampa alternativa, di qualunque orientamento politico, che negli ultimi anni ha saputo leggere molto meglio la realtà. Ecco qualche esempio: per anni, economisti alla Bagnai o alla Sapir, quelli che partecipano ai convegni di “A/Simmetrie”, hanno denunciato l’assurdità, per evidente inefficacia e crudeltà sociale, delle cosiddette misure di salvataggio della Grecia. In perfetta solitudine, perché la stampa “ortodossa” ripeteva la solita litania.A distanza di anni il Fmi ha ammesso i propri errori e oggi veniamo a scoprire che gli unici ad arricchirsi sono stati i tedeschi, che non solo hanno evitato di sopportare i costi di un default greco ma hanno poi lucrato 1,34 miliardi sui bond della salvezza. Idem sull’euro: era un tabù persino parlarne in maniera dubitativa. La grande stampa ha negato spazio alle voci critiche, come invece avrebbe dovuto, salvo ricredersi… a distanza di 16 anni. Ora, timidamente, anche sui giornali color salmone si odono voci critiche. In Siria, i grandi media hanno evidenziato denunce clamorose come quelle su “esecuzioni di massa e corpi bruciati nei forni crematori di Saydnaya“, subito messe in dubbio da diversi blogger, esperti di politica estera e di comunicazione. Era chiaramente un’operazione di “spin”, ma chi dubitava veniva ignorato o tacciato di complottismo. Dopo qualche settimana il Dipartimento di Stato Usa ha rettificato la notizia, che però è stata comunicata in sordina dalla stampa mainstream.Il flop mediatico sulla vittoria di Trump e sul sì Brexit è ormai noto a tutti. Immigrati e Ong: c’è voluto un giovane di 23 anni, Luca Donadel, per documentare un fenomeno sconcertante per la sua vastità, quello delle navi delle Ong che vanno a prendere gli immigrati al largo della Libia. Nessun giornalista se n’era accorto e, per settimane, i grandi media hanno ignorato lo scoop del bravo Donadel (a proposito: dargli un premio di giornalismo, no?) rompendo il silenzio solo quando il rumore mediatico sul web è diventato così alto da non poter essere più ignorato. Potrei continuare con tanti altri esempi, ma mi fermo qui. Mi limito a due considerazioni. La prima: la grande stampa internazionale si segnala soprattutto per conformismo e per eccessiva compiacenza con l’establishment. Quando diventa coraggiosa lo fa sempre in coro e sempre in modo strumentale, sapendo di avere le “spalle coperte”.Quel che accade negli Stati Uniti è emblematico: “Washington Post” e “New York Times” sono diventate delle “caselle postali”, in cui mani compiacenti depositano anche documenti coperti dal segreto di Stato, con una disinvoltura senza precedenti, che sarebbe stata denunciata come scandalosa e perseguita legalmente con qualunque altro presidente, ma che diventa bene accetta se è frutto di un’evidente saldatura tra il cosiddetto Deep State e il 90% della stampa. Una saldatura che, peraltro, non riguarda solo gli Usa, ma quasi tutte le grandi democrazie occidentali, che è nefasta per la democrazia ed è una delle ragioni della crescente sfiducia di ampie fasce di lettori. La stampa non rinascerà se non recupererà il senso della propria missione e tornerà a servire innanzitutto i lettori, anziché l’establishment.La seconda: l’ho già scritto e lo ribadisco. La polemica sulle “fake news” mira non a garantire un’informazione più corretta ma, innanzitutto, a mettere a tacere le voci davvero libere, quelle che rompono la narrativa ufficiale. Ogni proposta di regolamentazione in realtà punta a imporre una censura, a intimidire chi esercita davvero la propria funzione critica, ignorando, e questo è davvero gravissimo, che a generare fake news e disinformazione sono, troppo spesso, gli spin doctor al servizio delle istituzioni. Quelle proposte vanno respinte. E il giornalismo davvero libero, davvero coraggioso va difeso con forza.(Marcello Foa, “I blogger avevano ragione, la grande stampa torto”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 9 agosto 2017).Ebbene sì, i blogger, i “liberi pensatori”, i giornalisti davvero liberi continuano ad aver ragione e la grande stampa mainstream torto, nel senso che quest’ultima tradisce da troppo tempo quella che dovrebbe essere la sua funzione primaria e irrinunciabile, di voce critica e coraggiosa della società democratica. Mettiamoci nei panni di un analista – politico o finanziario o strategico – che vuole capire come va il mondo. Se si fosse limitato ai principali media internazionali o di grandi paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania o Italia, i suoi report sarebbero stati lacunosi e, soprattutto, per nulla preveggenti. Le analisi più accurate e le denunce più coraggiose non le avrebbe infatti trovate su quelle colonne, bensì sui blog e sui siti della cosiddetta stampa alternativa, di qualunque orientamento politico, che negli ultimi anni ha saputo leggere molto meglio la realtà. Ecco qualche esempio: per anni, economisti alla Bagnai o alla Sapir, quelli che partecipano ai convegni di “A/Simmetrie”, hanno denunciato l’assurdità, per evidente inefficacia e crudeltà sociale, delle cosiddette misure di salvataggio della Grecia. In perfetta solitudine, perché la stampa “ortodossa” ripeteva la solita litania.
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Rousseau: noi, schiavi del benessere indotto dalla scienza
«Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro ond’essi son carichi, soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i così detti ‘popoli civili’. Se le nostre scienze son vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono. Quanti pericoli, quante false vie nella ricerca scientifica! Era antica tradizione, passata d’Egitto in Grecia, che un Dio nemico della quiete degli uomini fosse l’inventore delle scienze. Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ha voluto preservarvi dalla scienza, come una madre strappa un’arma pericolosa dalle mani del figlio. Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna… La preferenza degli ingegni piacevoli sugli utili… Hanno messo una gioventù frivola in grado di dare il tono alla vita. Che penseremo mai di quei compilatori di opere, che hanno indiscretamente infranta la porta delle scienze e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna d’accostarvisi… Socrate non aiuterebbe mai ad accrescere questa folla di libri che ci inonda d’ogni parte… I disordini orribili che la stampa ha già prodotto in Europa».«Da che i sapienti han cominciato ad apparir fra noi, dicevan i loro propri filosofi, le persone dabbene sono scomparse…S enza saper discernere l’errore dalla verità, possederanno l’arte di renderli irriconoscibili agli altri con argomenti speciosi…A sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani, gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me, io solo non inganno nessuno’?… Il falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha che un sol modo di essere. Oggi, che le ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto a princìpi l’arte di piacere, regna nei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità, e tutti gli spiriti sembrano esser stati fusi in uno stesso stampo: senza posa la civiltà esige, la convenienza ordina; senza posa si seguono gli usi e mai il proprio genio».«Non si osa più apparire ciò che si è…Che se per caso, fra gli uomini straordinari per il loro ingegno, se ne trovi qualcuno che abbia fermezza nell’anima e che rifiuti di prestarsi al genio del suo secolo e di avvilirsi con produzioni puerili, guai a lui! Morrà nell’indigenza e nell’oblio. Gli antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù: i nostri non parlano che di commercio e di danaro… un uomo non vale per lo Stato che il consumo che vi fa… i Principi sanno benissimo che tutti i bisogni che il popolo si dà, sono altrettante catene di cui si carica… qual giogo potrebbe imporsi ad uomini che non han bisogno di nulla?… L’anima si proporziona insensibilmente agli oggetti che l’occupano. O Dio onnipotente, tu che tieni nelle tue mani gli spiriti, liberaci dai lumi e dalle funeste arti e rendici l’ignoranza, l’innocenza e la povertà, i soli beni che possan fare la nostra felicità e che sian preziosi al tuo cospetto».Queste espressioni sono tratte dal “Discorso sulle scienze e sulle arti” di Rousseau del 1750. Rousseau è un illuminista – perché il “contratto sociale” è uno dei fondamenti della democrazia, peraltro intesa come democrazia diretta, in spazi limitati – ma è un illuminista molto, molto particolare. In questo straordinario “Discorso sulle scienze e sulle arti”, non a caso pochissimo richiamato ai giorni nostri, Rousseau anticipa alcune delle conseguenze più devastanti della democrazia. Si oppone alle scienze, “idola” che oggi dominano incontrastate, in quanto asserviscono a sé gli uomini e invece di renderli liberi li fa schiavi («soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù»). Anticipa la società dello spettacolo con le sue futilità, il prevalere dell’apparire sull’essere («Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna»). Sottolinea come l’eccesso di comunicazione e di divulgazione abbia dato spazio a ogni tipo di ciarlatani. E come la parola possa essere fonte di ogni falsità (del resto lo stesso Cristo ha affermato: «Il tuo dire sia sì, sì, no, no. Tutto il resto è farina del diavolo»).Quando Rousseau afferma «a sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani, gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me, io solo non inganno nessuno’», non sembra di sentir parlar Renzi o Berlusconi o qualsiasi altro leader politico, italiano e anche non italiano? E, in aggiunta, c’è anche un accenno alle “fake news” («Il falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha che un sol modo di essere»). Si scaglia contro l’omologazione – tema di scottante attualità, portato al suo apice dalla globalizzazione – che cancella il merito e annulla l’ingegno. Nell’ultima parte del “Discorso” c’è la considerazione che, forse, riguarda più da vicino la modernità. Dopo l’affermarsi della Rivoluzione Industriale sono stati introdotti bisogni di cui l’uomo non aveva mai sentito il bisogno. Si è affermata la pazzesca legge di Say, “l’offerta crea la domanda”, su cui si regge tutta la società di oggi. La stragrande maggioranza degli oggetti che oggi ci circondano e che, come osserva Rousseau contribuiscono a formare la nostra mentalità, sono del tutto superflui ma essenziali al meccanismo che ci domina e che ormai è uscito fuori dal nostro controllo: noi non produciamo più per consumare ma produciamo perché il meccanismo possa costantemente autoriprodursi e autorafforzarsi. Questa è la straordinaria modernità di Rousseau, l’antimoderno.(Massimo Fini, “Rousseau e la lotta al consumismo”, dal “Fatto Quotidiano” del 25 luglio 2017).«Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini consociati, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro ond’essi son carichi, soffocano il loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù e ne formano i così detti ‘popoli civili’. Se le nostre scienze son vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono. Quanti pericoli, quante false vie nella ricerca scientifica! Era antica tradizione, passata d’Egitto in Grecia, che un Dio nemico della quiete degli uomini fosse l’inventore delle scienze. Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ha voluto preservarvi dalla scienza, come una madre strappa un’arma pericolosa dalle mani del figlio. Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna… La preferenza degli ingegni piacevoli sugli utili… Hanno messo una gioventù frivola in grado di dare il tono alla vita. Che penseremo mai di quei compilatori di opere, che hanno indiscretamente infranta la porta delle scienze e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna d’accostarvisi… Socrate non aiuterebbe mai ad accrescere questa folla di libri che ci inonda d’ogni parte… I disordini orribili che la stampa ha già prodotto in Europa».
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L’ex banchiere del Papa: Italia spacciata, crocifissa dall’euro
L’euro è stato utilizzato come scusa per ridimensionare il nostro paese da un punto di vista economico e morale. Le altre giustificazioni sono insostenibili da più punti di vista. Usano un modello irrazionale che confonde cause con effetti, è lo stesso usato per spiegare decisioni che provocano le condizioni per giustificarle, come è successo per l’immigrazione (gap di popolazione) o l’ambientalismo (neomalthusianesimo). Così le pressioni fatte al nostro paese per difendere l’euro (tedesco) sono state giustificate dall’alto debito pubblico italiano – che è un falso problema, perché è il debito complessivo di un paese che va misurato, come il caso Usa 2008-2010 ha ben dimostrato (in situazione di insolvenza, tutto il debito privato diventa debito pubblico). Ma dette pressioni ci hanno ridotto allo stremo economico, con rischio morale. La carta stampata ha ignorato la mia considerazione perché può avere indirizzi politici da rispettare: “No touch issues”, che sono tabù e vanno trattati in un certo modo. Per esempio appunto l’immigrazione, l’ambientalismo, l’Europa, l’euro, Bergoglio. L’Europa e l’euro non devono essere messi in discussione, a meno che non lo autorizzi la signora Merkel.Poiché l’economia non è una scienza, è piuttosto arduo prevedere con un minimo di certezza ciò che può succedere con l’uscita dalla moneta unica. Troppo spesso, politici ed economisti fanno prognosi senza aver fatto una corretta diagnosi. Ne consegue che, se non sono state intese le cause delle nostre difficoltà attuali nel sistema euro, difficilmente si potrà esser credibili nelle proposte di soluzione degli effetti. Oggi ci ricordiamo in che situazione economica era l’Italia prima dell’entrata nell’euro, quali condizioni le vennero imposte per entrare e come realizzò dette condizioni? Ci ricordiamo quanto pesava negli anni ’90 l’economia “di Stato” direttamente e indirettamente sul Pil? Quasi il 65%. E quanto pesavano le banche private sul sistema creditizio? Qualche percentuale minima. Ci ricordiamo come si realizzarono le privatizzazioni? Molto male. Il lettore ricorda il famoso algoritmo Prodi per passare da un deficit di 7 punti al deficit di 3 punti percentuali? Ho spiegato questo per far intendere che i problemi riferiti all’euro sono un po’ più complessi di quanto spesso vengano spiegati. Ma temo che la nostra capacità decisionale in proposito sia piuttosto bassa, e il rischio di pagar cara l’uscita piuttosto alto.Si deve riflettere su cosa significhi “pagar caro” la decisione di uscire, comparata con il costo di restare – costo che temo non sia solo economico, ma di libertà democratica di cui potremmo venir privati. Per giustificare l’economia, si potrà forzare la libertà. La moneta unica, per funzionare, necessita di un governo unico europeo, che dovrà coesistere con il governo del mondo globale. A questo si sta arrivando, in modo sempre più accelerato dopo la crisi globale scoppiata nel 2007, grazie agli organismi sovranazionali che impongono leggi, discipline, modelli democratici, governanti cooptati, e soprattutto visione morale omogenea. Il nostro destino è sottostare a questo “supergoverno mondiale”? Probabilmente sì. L’ attuale situazione mi fa pensare che dobbiamo riconoscere la nostra impotenza, che non possiamo più fare nulla. I giochi son fatti e noi non giochiamo più, siamo diventati un gioco in mano ad altri. Il nuovo mondo globale aspira ad un’omogeneità culturale, e pertanto morale, che significa relativizzare le norme morali. Tutto questo porta ad una forma di sincretismo religioso, che necessariamente tende ad arrivare a una religione globale panteista, ambientalista (animalista e vegana), neomalthusiana e orientata alla decrescita.Se questo è vero, e l’euro venisse usato come strumento per forzare chi non è d’accordo, si spiega la mia preoccupazione. Se fossi stato un governante nel nostro paese, negli ultimi 6-7 anni, avrei fatto il contrario di ciò che è stato invece fatto. Con la scusa di difendere l’euro dai problemi italiani, il nostro futuro non potrà che essere terrificante. Attenzione, però: il problema non è nell’euro in sé, ma nell’avere un euro gestito “abusivamente” da altri, grazie alle nostre debolezze politiche. Darei due esempi, per ora solo immaginabili: in una siffatta Europa a governo unico, per ridurre il debito pubblico ci potrebbe venir imposto di espropriare i beni dei cittadini. Per ridurre il deficit di bilancio ci potrebbe venir imposta l’eutanasia per i pensionati ultrasessantacinquenni, per tagliare la spesa pubblica di pensioni e sanità. Se si andrebbe persino verso il superamento del principio della dignità umana? E chi la afferma più? Ormai legge civile, la salute, la vita, la morale, che significato hanno? Quello deciso dall’Oms all’Onu? Se così fosse, la vita e la salute sarebbero benessere psicosociale.Se riconoscessimo che un governo, “cooptato o gradito”, è sottoposto alla “moral suasion” internazionale (che si può immaginare possa utilizzare anche i vincoli di una moneta unica), e se convenissimo che i paesi influenti, al di là delle forme diplomatiche, ci disprezzano, ci boicottano e ci vedono come un vantaggio da acquisire per rafforzare se stessi, che concluderemmo? Quale governo, non cooptato, saprebbe oggi decidere le specifiche soluzioni necessarie al nostro paese, rifiutando, se il caso, l’applicazione di leggi economico-morali, da altri ritenute necessarie ma che danneggiano economicamente e, soprattutto, possono privare i cittadini di libertà democratica e personale? Che dire del futuro dell’Ue? I padri fondatori quali De Gasperi, Adenauer, Schuman e Monnet avevano progettato un’ Europa sussidiaria ai vari paesi, destinata a valorizzarne le identità. Ma il progetto di moneta unica doveva essere destinato a valorizzare le singole economie dei paesi europei. Poi sono sopravvenute “modifiche genetiche” di carattere cultural-politico, che hanno cambiato lo spirito originario facendo persino rinnegare le radici cristiane. Poi è arrivata la crisi economica del 2007 che fa esplodere le contraddizioni economiche, politiche e morali, facendo trionfare gli stessi egoismi arroganti che avevano snaturato il progetto originario.L’Europa è fatta da tre “culture religiose”: quella protestante-calvinista, quella cattolica e quella illuminista-laicista. Quando le cose vanno male, quale visione di cosa è bene o male prevale secondo voi? Secondo “loro” deve prevalere una forma di pragmatismo egoistico che rifiuta morali forti e dogmatiche e pretende morali relative, in evoluzione, pluraliste, dove l’autorità morale non deve più intervenire nel confronto con le leggi (etiche) dello Stato, ormai leggi globali di uno Stato globale. Che succede se l’autorità morale è invitata ad occuparsi di socio-economia e non più di morale? E chi ci difende e tutela allora? Ecco perché sono sempre più preoccupato. Il diritto a emigrare? Quanto ci manca Benedetto XVI, mai come ora! Le migrazioni son sempre più manifestamente state volute e pianificate, soprattutto per “aiutare” il nostro paese, dove risiede la massima autorità morale al mondo, a correggersi e aprirsi al “multiculturalismo” orientato a un sincretismo religioso necessario a prevenire “guerre di religione”. Temo che non riusciremo a metter in discussione più nulla, ahimè. Qui bisogna produrre un vero progetto per il paese e dotarsi delle capacità di gestirle (un paio di nomi io li avrei), invece di sperare di prender voti coccolando cani e gatti in Tv. Risposta provocatoria: bisogna andare a cercare all’estero, anche fuori Europa, i consensi necessari, facendo alleanze e compromessi a destra e a manca. Risposta realistica e rassegnata: fare atto di sottomissione alla Germania.(Ettore Gotti Tedeschi, dichiarazioni rilasciate a Paolo Becchi e Cesare Sacchetti per l’intervista “Per difendere l’euro ci attende un futuro terrificante”, pubblicata dal quotidiano “Libero” l’8 agosto 2017. Economista e banchiere, già docente universitario, Gotti Tedeschi è stato presidente dello Ior, la banca vaticana, dal 2009 al 2012, dopo una lunga carriera nel mondo dell’economia e finanza, iniziata con l’americana McKinsey e proseguita con la co-fondazione di Akros Finanziaria. È stato consigliere del ministro del Tesoro Giulio Tremonti dal 2008 al 2011, consigliere della Cassa Depositi e Prestiti per tre mandati e presidente del Fondo infrastrutture F2i).L’euro è stato utilizzato come scusa per ridimensionare il nostro paese da un punto di vista economico e morale. Le altre giustificazioni sono insostenibili da più punti di vista. Usano un modello irrazionale che confonde cause con effetti, è lo stesso usato per spiegare decisioni che provocano le condizioni per giustificarle, come è successo per l’immigrazione (gap di popolazione) o l’ambientalismo (neomalthusianesimo). Così le pressioni fatte al nostro paese per difendere l’euro (tedesco) sono state giustificate dall’alto debito pubblico italiano – che è un falso problema, perché è il debito complessivo di un paese che va misurato, come il caso Usa 2008-2010 ha ben dimostrato (in situazione di insolvenza, tutto il debito privato diventa debito pubblico). Ma dette pressioni ci hanno ridotto allo stremo economico, con rischio morale. La carta stampata ha ignorato la mia considerazione perché può avere indirizzi politici da rispettare: “No touch issues”, che sono tabù e vanno trattati in un certo modo. Per esempio appunto l’immigrazione, l’ambientalismo, l’Europa, l’euro, Bergoglio. L’Europa e l’euro non devono essere messi in discussione, a meno che non lo autorizzi la signora Merkel.
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Onida e Scorza: Ddl Gambaro, il bavaglio al web è illegale
Lotta alle fake news, o meglio alla libertà d’opinione: il decreto legge firmato da Adele Gambaro arriva in Senato (commissioni giustizia e affari costituzionali) e riapre la polemica sulla legge-bavaglio, tra profili di incostituzionalità, correttivi legislativi parziali e grossolani, pericoli per la libertà di pensiero. Costituzionalisti, giornalisti e attivisti, scrive “Terra Nuova”, sono in rivolta contro il Ddl, che vorrebbe regolamentare la circolazione delle informazioni “non veritiere” online. «Proposito teoricamente nobile, ma occorre definire molto bene i confini per non sconfinare nella censura travestita». A proporre una interessante analisi del testo di legge è Valerio Onida, ex giudice della Corte Costituzionale e già presidente della stessa corte, nonché docente universitario, ex presidente della Scuola superiore della magistratura nonché membro del team di “saggi” reclutato da Napolitano per ridisegnare l’assetto costituzionale. «Si tratta di un testo superficiale e non idoneo a normare ciò su cui si propone di intervenire, cioè la “rete”, perché va addirittura a modificare i criteri di punibilità dei reati solo perché il mezzo usato è differente», spiega Onida.«L’articolo 21 della Costituzione è chiaro, parla di mezzi di diffusione del pensiero, quindi la rete, come la carta stampata, la televisione o la radio, deve avere gli stessi limiti e le stesse garanzie. Peraltro – ricorda Onida – le norme esistono già, si tratta solo di individuare tecnicamente le modalità più idonee di applicazione». L’articolo 1 del Ddl Gambaro crea un nuovo tipo di reato, quello riconducibile alla circolazione di informazioni attraverso piattaforme informatiche o mezzi telematici, che viene differenziato nel trattamento rispetto all’analogo reato dell’articolo 656 del codice penale che colpisce “chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”. Poi nel testo si introduce la novità della pena anche per informazioni che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi. «Ma chi verifica?», si domanda Onida. «Qui si introduce il “controllo pubblico” sulla verità o falsità dei dati ed è inaccettabile. Sulla base di quali criteri assoluti mai si potrà effettuare la verifica? Peraltro, sempre l’articolo 1 introduce una disciplina speciale per la diffamazione, che però è già normata da codici e leggi. Anche qui ci si chiede il perché».L’articolo 2, poi, per Onida «introduce aspetti pericolosi di controllo pubblico sulle opinioni e sulle idee. Si legge infatti che la pena (reclusione non inferiore a 12 mesi e ammenda fino a 5.000 euro) è prevista anche per chi “svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o da fuorviare settori dell’opinione pubblica, anche attraverso campagne con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online”. Di qui la preoccupazione di numerosi attivisti, associazioni e movimenti nazionali, aggiunge “Terra Nuova”. «Temo che ci sia il tentativo da parte di un soggetto istituito di silenziare la società civile e le sue iniziative di controinformazione», dice Monica Di Sisto, vicepresidente dell’osservatorio sul commercio e il clima Fairwatch, che sta guidando la campagna StopTtip in Italia. «Per punire il procurato allarme o per combattere le notizie false le leggi esistono già». Attenzione: i trattati-capestro come il Ttip, o il suo clone euro-canadese Ceta appena ratificato, hanno testi inaccessibili, riservati, nonostante i trattati coinvolgano pesantemente la vita di titti, stravolgendo le regole su alimentazione, salute, sicurezza, ecologia.«Nemmeno i Parlamenti e i governi degli Stati membri sono obbligatoriamente coinvolti nell’andamento delle trattative», aggiunge Di Sisto. «Anche la senatrice Gambaro, per il suo ruolo istituzionale, è chiamata a garantire i diritti costituzionali nella sua forma più ampia e piena». Ritornando al disegno di legge, il professor Onida si sofferma anche sull’articolo 6, che fa riferimento al potenziamento della formazione professionale per i giornalisti per “prevenire il rischio di distorsione delle informazioni o di manipolazione dell’opinione pubblica”. «Anche in questo caso si rischia di definire informazione solo ciò che sta bene al potere pubblico, che decide pure come presentarla», aggiunge Onida. E pure l’articolo 7 «ripropone un inaccettabile controllo dall’alto di verità», visto che «si mette in carico ai gestori delle piattaforme informatiche l’obbligo di verificare l’attendibilità e la veridicità dei contenuti diffusi: ma com’è pensabile?». Per il costituzionalista, «è uno strumento di controllo autoritario e illegittimo». Idem l’articolo 8, l’ultimo, che prevede che la commissione parlamentare per la vigilanza sui servizi radiotelevisivi monitori “gli standard editoriali delle piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione e diffusione di informazione con mezzi telematici delle emittenti radiotelevisive pubbliche”.«Le ricette proposte dai firmatari del disegno di legge sono anacronistiche, inattuabili, inefficaci e soprattutto ad alto rischio di deriva liberticida», ha scritto dal suo blog sul “Fatto quotidiano” Guido Scorza, docente di diritto delle nuove tecnologie. «Difficile astenersi dal ricordare ai firmatari del disegno di legge – aggiunge Scorza – che era il 2000 quando l’Unione Europea stabilì un principio che è caposaldo di civiltà, libertà e democrazia online diametralmente opposto a quello che loro vorrebbero veder introdotto nel nostro ordinamento: il divieto, per tutti i paesi membri dell’Unione Europea di imporre ai cosiddetti “intermediari della comunicazione” qualsivoglia obbligo generale di sorveglianza sui contenuti pubblicati dai propri utenti». Un divieto, scrive Scorza, che ha una spiegazione semplice e di straordinaria importanza: «Se lo Stato chiede a un soggetto privato di verificare ciò che i propri utenti pubblicano attraverso i propri servizi, questo soggetto, a tutela del proprio portafoglio, inizierà a limitare e restringere la libertà dei propri utenti di dire ciò che pensano online, sacrificando così l’idea che Internet possa rappresentare quella grande agorà democratica – che non significa né Far West, né zona franca senza regole – della quale tutti avvertiamo un gran bisogno».Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica all’università di Milano, ritiene il disegno di legge «inopportuno, pericoloso e censorio» perché «nasconde le sue reali intenzioni di controllo del dissenso». Ziccardi lo trova soprattutto impreciso, sia dal punto di vista tecnico che giuridico: «Punta a soffocare il dibattito in rete caricando di responsabilità, burocrazia e sanzioni utenti e provider. Dall’altra parte “salva”, per molti versi, i due principali vettori di odio, notizie false e disinformazione di oggi, cioè molti grandi media e politici. Ed equipara fenomeni eterogenei tra loro che richiedono, invece, regolamentazioni specifiche. Infatti nella relazione introduttiva si fa riferimento a “fake news”, a espressioni che istigano all’odio e alla pedopornografia. Tre universi molto diversi tra loro». Vede una «chiara deriva autoritaria» anche Federico Pistono, informatico con master alla Nasa, scrittore e co-fondatore di “Axelera”, che si occupa di divulgazione nell’ambito delle nuove tecnologie. Dice: «O sanno come funziona Internet e vogliono censurarlo o non sanno come funziona e sono incompetenti; in entrambi i casi non va bene: di fatto, si prevedono pene per chi esercita il senso critico». Per esempio, «chi mette un dato vero e una propria opinione che magari molti altri condividono ma che non è mainstream, può venire processato e condannato per quello. Tutto ciò non ha nulla a che fare con l’educazione e la sensibilizzazione della popolazione a verificare le fonti di ciò che legge e a pensare con la propria testa».Lotta alle fake news, o meglio alla libertà d’opinione: il decreto legge firmato da Adele Gambaro arriva in Senato (commissioni giustizia e affari costituzionali) e riapre la polemica sulla legge-bavaglio, tra profili di incostituzionalità, correttivi legislativi parziali e grossolani, pericoli per la libertà di pensiero. Costituzionalisti, giornalisti e attivisti, scrive “Terra Nuova”, sono in rivolta contro il Ddl, che vorrebbe regolamentare la circolazione delle informazioni “non veritiere” online. «Proposito teoricamente nobile, ma occorre definire molto bene i confini per non sconfinare nella censura travestita». A proporre una interessante analisi del testo di legge è Valerio Onida, ex giudice della Corte Costituzionale e già presidente della stessa corte, nonché docente universitario, ex presidente della Scuola superiore della magistratura nonché membro del team di “saggi” reclutato da Napolitano per ridisegnare l’assetto costituzionale. «Si tratta di un testo superficiale e non idoneo a normare ciò su cui si propone di intervenire, cioè la “rete”, perché va addirittura a modificare i criteri di punibilità dei reati solo perché il mezzo usato è differente», spiega Onida.
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Vaccini: la scienza non è conoscenza, non ha verità stabili
“La scienza non è democratica”. Quante volte abbiamo sentito dire questa frase in tv riguardo ai vaccini, oppure da qualcuno che lo ripeteva come un mantra? Ma cosa significa esattamente? Vorrebbe per caso dire che un fatto provato rimane tale anche se non è accettato dal popolo? Detta così potrebbe sembrare ragionevole. Ovviamente tutto ruota intorno al concetto di scienza e cosa esattamente voglia dire. Citando un celebre filosofo diciamo cosa non è la scienza: «La scienza non è un insieme di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza: non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità come la probabilità» (Karl Popper, “Logica della scoperta scientifica”). Dovrebbe essere scontato ma bisogna qui ricordare che “la scienza” è un concetto astratto, non esiste se non nella mente degli uomini. Purtroppo sempre più spesso si commette l’errore di indentificare “la scienza” con “la comunità scientifica”, o più maliziosamente qualcuno vorrebbe farlo credere. Ma “la comunità scientifica” a sua volta è un altro concetto astratto, perché anch’essa non esiste; esiste un numero imprecisato di scienziati con le più diverse opinioni, basate tutte su concetti scientifici, chi più chi meno.Chiarito il fatto che “la scienza” non scrive le sue leggi sulla pietra, cerchiamo di capire in particolare nella “scienza medica” cosa significa una “verità scientifica”. Il metodo scientifico, su cui gli scienziati si basano, prevede l’osservazione del fenomeno e la sua ripetibilità con un esperimento. Il medico (scienziato?) tuttavia osserva un essere umano che per definizione è un essere unico e irripetibile in un laboratorio, quindi già qui dovremmo cominciare a domandarci quanto un medico possa mai essere uno scienziato. In ogni caso la comunità medica (scientifica?) si è data delle regole proprie per misurare l’“autorevolezza” (concetto che poco si sposa con l’idea di oggettività che siamo abituati a confondere con “scienza”) di una determinata ricerca rispetto ad un’altra. Nel mondo delle pubblicazioni scientifiche, per misurare la prolificità e l’impatto scientifico di un autore, si utilizzano tre numeri: il primo è il numero di citazioni dirette ricevute negli studi altrui, cioè quante volte gli studi di quello scienziato/autore vengono citati e referenziati nelle pubblicazioni, anch’esse accreditate, di altri autori.Il secondo numero è l’“i10-index” e rappresenta il numero di pubblicazioni accreditate che hanno al loro interno almeno 10 citazioni degli studi dello scienziato/autore. Il terzo numero è il più indicativo, e il più difficile da calcolare: l’“Indice H” o “Indice di Hirsch” si basa contemporaneamente sul numero di citazioni e sul numero di pubblicazioni: indica quant’è il massimo numero H per autore, con H pubblicazioni che abbiano ciascuna al proprio interno almeno H citazioni degli studi dello scienziato/autore. Per andare sul pratico, prendiamo 3 soggetti coinvolti nel dibattito sui vaccini: il professor Yehuda Shoenfeld, il padre della ricerca sulle malattie autoimmunitarie, spesso citato come fonte autorevole dai free-vax; il professor Roberto Burioni, l’esperto che vediamo sempre in tv e che sponsorizza senza se e senza ma il recente decreto Lorenzin sui vaccini; il dottor Salvo Di Grazia, ginecologo, noto per il suo sito “Medbunker”, su cui si impegna ad attaccare qualsiasi tipo di dubbio riguardo alle pratiche mediche “ufficiali”, o qualsiasi terapia alternativa a quelle ufficiali.Ecco i loro punteggi. Professor Yehuda Shoenfeld: citazioni 78.584, i10-index 1.146, indice H: 121 (fonte). Professor Roberto Burioni: citazioni: 2.567, i10-index 61, indice H 27 (fonte). Dottor Salvo Di Grazia: citazioni 0, i10-index 0, indice H: 0. Fonte: nessun link, non risulta proprio su “Google Scholar”. Secondo le stesse regole che si è data la comunità scientifica, quindi, a chi dovremmo dare retta? La cosa più paradossale, di cui chi è arrivato fin qui ormai dovrebbe essersi accorto, è che in realtà “la scienza”, definita come è stata dalla comunità scientifica, somiglia pericolosamente a una moda. Paradossalmente, rispetto al titolo dell’articolo, “la scienza” sembra avere dei tratti “democratici” nel senso che citando gli autori gli si conferisce “autorità” scadendo in un preoccupante “benpensantismo”, “rigorosamente” scientifico. In altre parole, un’idea scientifica in realtà è una moda (o convinzione) fatta dal consenso degli addetti ai lavori e non dal popolo (forse è quello il vero senso della frase “la scienza non è democratica”?). E a questo punto sarebbe lecito anche domandarsi cosa significhi radiare un medico che la pensa diversamente (o almeno questo ci hanno fatto credere) dal pensiero dominante, dalla moda del momento. La storia, tragicamente, si ripete, sempre. Nota: questo articolo chiarisce il pensiero del professor Yehuda Shoenfeld in merito ai vaccini.(Federico Giovannini, “La scienza non è democratica”, dal blog “Luogo Comune” del 25 luglio 2017).“La scienza non è democratica”. Quante volte abbiamo sentito dire questa frase in tv riguardo ai vaccini, oppure da qualcuno che lo ripeteva come un mantra? Ma cosa significa esattamente? Vorrebbe per caso dire che un fatto provato rimane tale anche se non è accettato dal popolo? Detta così potrebbe sembrare ragionevole. Ovviamente tutto ruota intorno al concetto di scienza e cosa esattamente voglia dire. Citando un celebre filosofo diciamo cosa non è la scienza: «La scienza non è un insieme di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza: non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità come la probabilità» (Karl Popper, “Logica della scoperta scientifica”). Dovrebbe essere scontato ma bisogna qui ricordare che “la scienza” è un concetto astratto, non esiste se non nella mente degli uomini. Purtroppo sempre più spesso si commette l’errore di indentificare “la scienza” con “la comunità scientifica”, o più maliziosamente qualcuno vorrebbe farlo credere. Ma “la comunità scientifica” a sua volta è un altro concetto astratto, perché anch’essa non esiste; esiste un numero imprecisato di scienziati con le più diverse opinioni, basate tutte su concetti scientifici, chi più chi meno.
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Potere e denaro, dal caso Moro all’Isis fino al Russiagate
Andreotti e Cossiga: sarebbero stati soprattutto loro a impedire che Aldo Moro venisse liberato dai Gis dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, insieme ai Nocs della polizia. Reparti speciali che, si dice, avevano individuato la prigione romana dello statista democristiano. E’ la tesi, più volte esposta (anche in libri di successo) da un magistrato di lungo corso come Ferdinando Imposimato, già pm e poi presidente onorario della Cassazione. La sua versione, suffragata da testimoni-chiave delle forze dell’ordine: il blitz decisivo fu impedito da Andreotti e Cossiga. Movente: ambivano entrambi alla carica alla quale sarebbe stato destinato Moro, il Quirinale. Gli americani? C’entrano, ma fino a un certo punto: perché poi, al dunque, “ritirarono” il loro uomo, Steve Pieczneick, in un primo momento inviato a Roma per controllare (e depistare) le indagini. Regia dell’operazione Moro: affidata alla Gladio, costola dell’intelligence Nato, in Italia gestita da uomini della P2 come il generale Giuseppe Santovito, allora a capo del Sismi. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Gianfranco Carpeoro aggiunge un nome, quello del politologo statunitense Michael Leeden, tuttora attivissimo: sarebbe stato il vero burattinaio di Gelli. Per Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni”, la P2 era il terminale italiano della Ur-Lodge “Three Eyes”, potentissima superloggia internazionale di stampo antidemocratico.
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi
Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.