Archivio del Tag ‘democrazia’
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Paura e morte, la dittatura della superpotenza democratica
Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi tentacoli, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco continua, imperterrito, a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultimo residuo del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in questo caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.Nel 2020, tecnicamente, in molte regioni del mondo la parola democrazia non significa niente, nella migliore delle ipotesi (nella peggiore, equivale al rituale ricorrente di bombardamenti, guerre, milioni di esuli e rifugiati, tra inconfessabili calcoli economici e reciproche convenienze, tacitamente stipulate da oligarchie formalmente nemiche ma in realtà alleate, sottobanco). Il capolavoro della superpotenza democratica, in Medio Oriente, negli ultimi anni è stata la sua micidiale doppiezza: massimo appoggio alla peggiore di tutte le dittature dell’area, l’Arabia Saudita, e guerra sporca contro ogni altro attore della regione, destabilizzato dalle rivoluzioni colorate o brutalmente devastato attraverso bande armate di tagliagole. Lo spettacolo della democrazia atlantica in versione mediorientale lo hanno lungamente scontato, sulla loro pelle, prima gli iracheni e poi i siriani. Questi ultimi, in particolare, sono stati letteralmente assaliti dalle milizie terroristiche organizzate, protette, armate e finanziate dalla superpotenza democratica e dai suoi camerieri regionali. I tagliagole hanno seminato orrore, terrore e morte, fino a quando non è intervenuta la Russia. Liberata la Siria e restituito il territorio ai siriani, il turco Erdogan – uno dei manovali terroristici reclutati dalla superpotenza democratica – ora non accetta il verdetto militare, e prova a negare ai siriani il diritto a una vittoria compiutamente definitiva.Un vero e proprio eroe del riscatto nazionale siriano, il generale Qasem Soleimani – numero due del regime teocratico di Teheran, fiero avversario dell’Isis prima in Iraq e poi in Siria – è stato assassinato in modo brutale, a tradimento, con un raid terroristico a suon di missili ordinato dalla superpotenza democratica. La colpa di Soleimani? Una: era abile, stimato, autorevole. Legato all’oligarchia medievale dell’Iran, credeva nell’espansione della Mezzaluna Sciita come contrappeso geopolitico alla legge del taglione imposta dalla superpotenza democratica. Soleimani ha fatto la fine di Saddam, di Gheddafi, e di chiunque altro si opponesse – a vario titolo – alla spietata dittatura della superpotenza democratica. La cosiddetta opinione pubblica, nella patria mondiale della democrazia, è dominata da quattro famiglie, cui fanno capo centinaia di reti televisive. Un unico telegiornale, declinato in più modi, trasmette – 24 ore su 24 – le stesse notizie, distillate dalle medesime fonti. Ogni quattro anni, naturalmente, si vota. George Walker Bush divenne presidente a tavolino, per decreto, grazie a clamorosi brogli in Florida. Il suo successore, Barack Obama, aveva promesso – mentendo – di cambiare le regole del gioco: è stato il presidente che ha fatto assassinare più persone, nel mondo, attraverso gli omicidi mirati affidati ai droni.Obama, che ha dichiarato di aver ucciso anche Osama Bin Laden (spegnendo così il clamore sulle indiscrizioni riguardanti la sua vera origine – si sospettava che non fosse nato alle Hawaii, ma in Africa, cosa gli avrebbe impedito di candidarsi alla Casa Bianca) è stato anche il presidente che, dopo aver amnistiato i bari di Wall Street, si è inventato i Russiagate contro Putin, ha spintonato l’Europa per imporre le sanzioni alla Russia, ha fatto spiare anche il telefono privato di Angela Merkel. Poi la superpotenza democratica ha voltato pagina, con una nuova entusiasmante sfida elettorale: da una parte la cannibale Hillary Clinton, dall’altra il rozzo Donald Trump. Ora sono tutti d’accordo, ai piani alti, nel tagliare le unghie alla Cina: erano stati loro a delocalizzare in Asia (in paesi senza democrazia) la grande industria americana, ma adesso – visto che la Cina ha superato il maestro – pensano sia giunta l’ora di fare retromarcia, e intanto si godono le delizie del coronavirus. Nel frattempo, tra poco si rivota. Un candidato, Bernie Sanders, spara a zero sugli abusi razzisti del governo israeliano e si schiera con i palestinesi. Secondo tutti i bookmaker, non ha nemmeno una possibilità su mille di diventare il nuovo presidente della superpotenza democratica. Ecco il gioco: post-democrazia contro non-democrazia. Trovare la differenza.(Giorgio Cattaneo, 1° marzo 2020).Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi terminali, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco, imperterrito, continuava (e continua) a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultima residua incarnazione del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in quel caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.
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Magaldi: ma il coronavirus fa comodo alla dirigenza cinese
E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, besteller o ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.«Come al solito, c’è qualcuno che ha interesse a indebolire il nostro paese: evidente l’intenzione di colpirci, addirittura puntando a metterci tutti in quarantena, con un allarmismo devastante per l’economia nazionale. Ma dobbiamo anche essere nitidi e impietosi sulla modalità irrespondabile, sciamannata e sgangherata del governo Conte nel gestire questa supposta emergenza». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente italiano della massoneria progressista sovranazionale, ragiona a ruota libera, nella trasmissione in web-streaming su YouTube “Massoneria On Air”. «Vi sembra possibile far chiudere anche i bar a Milano e impedire riunioni pubbliche e private, nemmeno fossimo sotto il fascismo, o in Corea del Nord? E per cosa, poi? Per un virus che, a quanto a pare, provocherebbe solo una forma di influenza, in grado di insidiare – come qualunque altra affezione influenzale – solo gli invidivui già deboli, anziani e molto malati?». Ovvio: «La nornale influenza, ogni anno, provoca delle morti. Ma non è, che per questo, chiudiamo le scuole e le università, vietiamo gli assembramenti, fermiamo il campionato di calcio».Siamo veramente alla follia, aggiunge Magaldi, a meno che non si calcoli che «c’è chi, dalla sua posizione apolide, sovranazionale, approfitta di queste situazioni per danneggiare l’Italia». Se è così, trova un alleato involontario «in questi poveracci al governo». Uno su tutti, «quell’ineffabile cicisbeo di Luigi Di Maio, improvvidamente elevato a cariche ministeriali», che ha detto ai turisti: venite pure in Italia, non c’è di che preoccuparsi. Fantastico, vero? Prima scateni il panico, scambiando il coronavirus per l’Ebola. Poi scopri che tutto questo minaccia l’economia e devasta l’immagine internazionale dell’Italia. E allora dichiari, candidamente, che in fondo il coronavirus non è la peste bubbonica di manzoniana memoria, ma solo un’influenza un po’ più fastidiosa. Ma se è così, perché traformare il Nord Italia in zona di guerra, sottoponendolo allo stato d’assedio? «Siamo alle comiche finali, davvero. L’Italia è stata la prima a bloccare i voli diretti dalla Cina, trascurando però i passaggeri provenienti da scali intermedi». Errori su errori, di gestione e di comunicazione. «Per queste cose, qualcuno poi dovrà pagare, visto che si parla di danni economici ingenti: e non è giusto che a rimetterci sia solo il popolo, e non anche i governanti».Piuttosto: «Perché invece non cogliere l’occasione, per chiedere a Bruxelles una deroga ai trattati europei?». Serve un radicale allentamento del rigore, per finanziare «il grande New Deal rooseveltiano di cui l’Italia ha bisogno, per rilanciare l’economia». Quale migliore opportunità di quella offerta dal coronavirus, che sta esibendo un’Italia piegata dall’emergenza? Ma forse è chiedere troppo, al professor-avvocato Conte, che non trova di meglio che sparacchiare a casaccio sugli ospedali lombardi. Ben altra, secondo Magaldi, è invece la capacità mostrata da Pechino nel gestire la catastrofe sanitaria, con le sue ricadute sociali, economiche e politiche. Attenti, niente è come sembra: il regime di Pechino – in apparenza, soltanto vittima della crisi scatenata dal coronavirus – è in realtà il grande beneficiario politico dell’epidemia che sta mettendo in ginocchio il popolo cinese. Sembra paradossale, ma a guadagnarci sarebbe proprio la dirigenza cinese: spettacolare diversivo, il coronavirus, all’indomani dello stop imposto da Trump con dazi e sanzioni. Risultato: Pechino ha la scusa per la grande decrescita dell’economia, e nel frattempo censura ulteriormente i cinesi e mostra al mondo un volto più umano, dimesso, sofferente.In fondo, comunque, «Trump non è altro che l’epifenomeno di una consapevolezza, per quanto tardiva, che ormai attraversa anche ambienti politici avversi alla Casa Bianca». Tutto nasce nel 1980, secondo Magaldi, su iniziativa di una potentissima superloggia massonica reazionaria, la “Three Eyes” di Kissinger: «L’ala neoaristocratica della massoneria globale ha inserito la Cina nel gioco economico mondiale, senza pretendere che si democratizzasse. Attenti: non fu sciatteria, ma una precisa intenzione». Obiettivo, costruire una specie di mostro: economicamente formidabile, ma senza democrazia. «Chi ha consentito al dirigismo cinese, non democratico e liberticida, di espandersi quasi senza limiti, voleva un’involuzione antidemocratica anche per il mondo occidentale». Fortissima la suggestione, anche subliminale, creata dal nuovo modello di Pechino: se la Cina cresce così tanto, perché non imitarla? Problema: «Si è lasciato che il governo cinese finanziasse le sue aziende, chiamate a competere con quelle occidentali che invece si vedevano privare del sostegno pubblico». Beninteso: «Ha fatto benissimo, la Cina, a sostenere la sua industria, oltretutto con risultati sbalorditivi».Anche Magaldi ammira le immense capacità dei dirigenti di Pechino: «Hanno ottenuto obiettivi impensabili, favolosi, e in tempi rapidissimi. E hanno fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone, attraverso realizzazioni straordinarie». In questo, aggiunge, il “Frankenstein” cinese va sicuramente imitato. «E’ l’Occidente, semmai, che deve tornare a consentire al pubblico di sostenere il privato, permettendogli di competere alla pari coi cinesi. E la stessa Cina, da parte sua, deve poter continuare a espandersi, ma cambiando le sue regole: non possiamo pensare che il XXI secolo sia egemonizzato da una potenza non democratica». Temi che ormai, s’è visto, occupano il posto d’onore nell’agenda statunitense: il neo-protezionismo di Trump piace pure ai democratici, se è di stampo anti-cinese. Anche per questo, probabilmente, vale la pena usare le stesse lenti – dietrologiche – per leggere meglio cosa può nascondersi, a livello speculativo, dietro a una tragedia sociale come quella del coronavirus, che sembra destinata a incidere in modo pesantissimo nell’evoluzione geopolitica. E il vero sconfitto, sembra concludere Magaldi, potrebbe essere l’Occidente: guai, se non capisse che la formula cinese (massiccio intervento dello Stato nell’economia) è la chiave vincente per scacciare la crisi neoliberista che da decenni ci opprime.E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, bestseller e ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.
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Usa-Cina, la guerra sporca del coronavirus. Le vittime: noi
Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina non è democratica.Per inciso: Pechino detiene una fetta rilevante del mostruoso debito estero statunitense, il maggiore del mondo (gli Usa consumano, ma il costo lo scaricano sui cinesi). Comodo, oggi, per il debitore insolvente, dichiarare guerra proprio alla Cina, il creditore: guerra ufficiale, con i dazi, e guerra segreta a colpi di virus? L’ipotetica “guerra batteriologica Usa” è il primo dei tre scenari esplorati da Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”. La cronistoria è precisa. Nel 2017, proprio a Wuhan (l’avanzatissima Silicon Valley cinese) viene aggiornato un importante centro di ricerca di livello 4: oltre al personale cinese operano l’Oms, scienziati inglesi e americani. Obiettivo delle ricerche: un progetto condiviso per la salute pubblica mondiale. Il laboratorio esiste dal 2014, e nel 2015 viene brevettato un vaccino per un nuovo ceppo di coronavirus, molto più pericoloso dell’attuale, grazie anche agli ingenti fondi della Commissione Europea e della Fondazione Gates. A marzo 2019, il Canada invia un pacchetto di virus letale da studiare in caso di contagio a Wuhan. Operazione inizialmente segreta, poi desecretata dallo stesso governo cinese, preoccupato per la pericolosità della circolazione di tali agenti patogeni nel suo territorio.Il 18 ottobre del 2019, il Global Security Studies della John Hopkins University, di concerto con la Fondazione Gates, Bloomberg e il World Economic Forum, riunisce 15 leader mondiali (politici, economisti, filantropi, scienziati e militari) per simulare una pandemia partita ipoteticamente dal Brasile. Lo studio, chiamato Evento 201, riproduce virtualmente un’emergenza di 18 mesi per una pandemia globale, con 65 milioni di morti. Precisamente, l’Evento 201 simula lo scoppio di un coronavirus “zoonotico” che si trasmette da pipistrelli e maiali all’uomo, esattamente come nella spiegazione “scientifica” che ci hanno raccontato i media dopo i primi casi di contagio. Sempre a Wuhan, il 15 ottobre scorso, in occasione dell’evento Military World Games si registra una presenza massiccia di militari occidentali e funzionari del Pentagono, oltre che apparati di intelligence. «Ed è curioso – scrive Galgano – che due settimane dopo, proprio nella stessa città e dopo tutti i precedenti studi virologici e le simulazioni effettuate, sia nata la pandemia: il tempo di incubazione può variare entro un range di 15 giorni e, guarda caso, i primi casi ufficiali sono venuti fuori lo scorso inverno».Secondo la rivista “The Lancet”, il primo caso di infezione risale ipoteticamente al 1° dicembre, e la persona contagiata non si sarebbe mai recata al famoso mercato ittico di Wuhan. Il primo decesso ufficiale è invece dell’11 gennaio 2020. L’emergenza massima cade proprio durante il capodanno cinese, il 25 gennaio, con flussi migratori di centinaia di milioni di persone in viaggio dalle campagne alle città, a bordo di treni e aerei: quale migliore occasione per estendere il contagio? Negli Usa, il super-esperto Francis Boyle lo afferma candidamente, evitando di ricordare che nei laboratori militari di Wuhan non ci sono solo scienziati cinesi. «Il coronavirus è un’arma da guerra biologica creata in un laboratorio di Wuhan, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne è già a conoscenza», afferma Boyle in un’intervista video rilasciata al sito “Geopolitics and Empire”. Il professor Boyle, docente di diritto all’Università dell’Illinois, nel 1989 ha redatto il Biological Weapons Act, la legge antiterrorismo per le armi biologiche. Boyle sostiene che il coronavirus, «un’arma da guerra biologica potenzialmente letale», sarebbe «fuoriuscito da un laboratorio di massima sicurezza» di Wuhan.Il governo cinese avrebbe quindi inizialmente cercato di coprire il caso, mentre ora sta adottando misure drastiche per contenere l’epidemia. E visto che il laboratorio Bsl-4 di Wuhan è anche un centro di ricerca dell’Oms, secondo Boyle la stessa organizzazione sanitaria mondiale «non poteva non sapere». Galgano ricorda gli avvertimenti del genarale Fabio Mini, già dirigente Nato: la guerra batteriologica sarà una delle più insidiose, nel futuro. In un mondo fino a ieri traumatizzato dall’Isis, creatura terroristica “fabbricata” in provetta da settori dell’intelligence occidentale, perché escludere che gli stessi poteri occulti che hanno scatenato l’Isis possano ricorrere anche ad agenti patogeni per provocare epidemie letali? «Ci sono troppi investimenti e studi in joinventure con l’apparato militare, per non solleticare certe idee e per non testare e utilizzare tali strumenti», riflette Galgano. «Perché mai gli Usa e altri paesi del blocco occidentale non dovrebbero utilizzare, come armi, eventuali virus da tempo studiati», visto che «il Pentagono, la Nato, l’Oms e tutte le Fondazioni occidentali hanno speso migliaia di miliardi di dollari e fatto ingenti investimenti ovunque in questo settore strategico?».Nella peggiore delle ipotesi, il Covid-19 potrebbe rappresentare «la prima di una lunga serie di pandemie non casuali, un primo vero test di massa per studiare gli effetti su larga scala, non più solamente relegati alle simulazioni teoriche, comprendendo il grado di sostenibilità delle popolazioni e dei diversi governi colpiti dalla “cattiva sorte”». Servirebbe a «verificare sul campo il funzionamento delle quarantene, la reazione delle persone e di eventuali isterie di massa», e in più – fatto non secondario – favorirebbe «una vaccinazione di massa sempre più accettata», oltre a provocare, nel frattempo, ingenti danni collaterali, e cioè «diverse conseguenze negative dal punto di vista finanziario, militare e geopolitico». Una “piccola pandemia” sembra tragicamente funzionale: può destabilizzare l’economia del “rivale”, «senza innescare necessariamente una guerra militare, che forse non converrebbe a nessuno». Per i suoi ipotetici ideatori sarebbe addirittura «un male minore», secondo “Maestro di Dietrologia”, «proprio ora che la Cina stava primeggiando economicamente, proprio durante il capodanno cinese, proprio nella stessa città dove la Fondazione Gates e la “sovragestione” hanno investito e operato nei laboratori di ricerca di Wuhan».Attenzione, sono solo ipotesi: «Non ci sono prove documentabili, ad oggi, che possa essere una strategia voluta». Ci sono semmai «ottimi indizi», sicuramente più numerosi di quelli che depongono a favore della pura casualità, a cui sembrano invece credere i media. Sono gli stessi media che, peraltro – lo ricordano vari medici italiani intervistati da Claudio Messora su “ByoBlu” – stanno trattando il coronavirus come fosse la peste, scatenando il panico tra la popolazione in modo criminale e irresponsabile, data anche la bassissima pericolosità del virus in Italia, che a quanto pare minaccia seriamente solo gli individui anziani e già molto malati. Ma guai a fare ipotesi complottistiche: in televsione, Diego Fusaro è stato zittito (e insultato, come se fosse pazzo) per il solo fatto di aver ipotizzato, a rigor di logica, la possibilità di includere, tra le altre, anche l’eventuale origine dolosa. Su Twitter, Paolo Barbard mette a fuoco un altro indizio preoccupante: a svelare la correlazione tra uomo e pipistrelli, nella propagazione del virus, è stata l’università californiana di Berkeley, e l’ha fatto con uno studio finanziato – con largo anticipo sull’epidemia – proprio dalla Darpa, l’agenzia del Pentagono specializzata in armi sperimentali, biologiche e batteriologiche. Interpellati i diretti interessati, Barnard registra le risposte: «Duemila righe di email firmate da Jared Adams, responsabile della comunicazione della Darpa, e silenzio assoluto invece da parte di Cara Brook, la biologa responsabile della ricerca».Tutta colpa dei soliti “amerikani”, cioè del famigerato Deep State che, dopo aver assassinato i Kennedy e Martin Luther King, avrebbe organizzato l’auto-attentato dell’11 Settembre? Non è detto, osserva “Maestro di Dietrologia”: per Simone Galgano, c’è pure la possibilità che la Cina, ormai messa in stato di assedio dalla superpotenza atlantica, possa aver esibito «la prova di forza del Drago», auto-sabotandosi per dimostrare la sua capacità di resistenza, nel caso qualcuno pensasse davvero di sterminare i cinesi, altrimenti inarrestabili. Galgano la definisce un’eventualità non troppo remota: «La Cina mostrerebbe i muscoli, mettendo in campo una copertura sanitaria su larga scala difficilmente replicabile in altri paesi». Un paese che si presenta «più forte e unito che mai, dinnanzi a sciagure di qualsiasi natura». In pratica: «Sacrificando solo sul breve termine la sua economia», Pechino colpirebbe il business occidentale «puntando su un’economia autarchica, nazionalista, in netto contrasto con la globalizzazione vigente». Un avvertimento alla comunità internazionale: la Cina si salverebbe comunque, mentre a sprofondare saremmo noi. Beninteso: a partire dall’Africa, è in corso una guerra segreta, anche per il controllo delle materie prime.Da parte sua, Pechino non tollera il dissenso e non esita a schiacciare la protesta di Hong Kong. Sarebbe capace di attuare una simile strategia della tensione, tra lacrimogeni e virus, per cristallizzare il potere centrale? In questo – ed è il terzo scenario contemplato da Galgano – è impossibile non tenere conto delle Ur-Lodges, le potenti superlogge internazionali di cui parla Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014: si tratta di «un network di poteri transnazionali, composto da multinazionali di ogni settore strategico “senza patria”, da eserciti senza appartenenza nazionale, da poteri massonici, “magici” ed economici globalisti, che lavorano al di sopra delle entità statuali». Anche la Cina è coinvolta nelle sovragestioni supermassoniche. Reti elusive, che non agiscono per schemi rigidi: «Sono infinitamente più elastiche, non ideologiche. Mutano forma come camaleonti e la loro trasversalità determina la loro forza». In questa piramide di poteri, «ogni livello mette in atto le proprie strategie per soddisfare i suoi bisogni, e le due possibilità descritte precedentemente (una guerra batteriologica Usa e una prova di forza della Cina) possono in questo mondo essere valide entrambe e convivere come opzioni, senza contraddizioni sostanziali».Manipolazioni a catena: «Noi ingenuamente pensiamo che il potere si realizzi e finisca all’interno di Stati sovrani, ma quello è solo un nostro limite culturale e uno dei motivi per i quali viviamo ai piedi dell’oracolo», scrive Galgano. Questa, aggiunge, è «una sovragestione che necessita di abbeverarsi al capitalismo occidentale e di implementare nuove visioni orwelliane distopiche e dispotiche, che si nutre della medicalizzazione di massa e delle tecnologie pervasive di controllo strutturale, per governare i tempi della modernità dall’alto dei cieli, ad libitum». Dacci oggi il nostro virus quotidiano: «Perché dare limiti al potere quando, per definizione, esso non ha forma?». Lo stesso Magaldi ricorda che, nel 1981, le superlogge – soprattutto reazionarie, ma anche progressiste – firmarono lo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Alla Cina di Deng Xiaoping – segretamente affiliato al club delle Ur-Lodges neoaristocratiche – fu permesso di entrare nel Wto, senza pretendere che il colosso asiatico si democratizzasse. Oggi, l’ala progressista della supermassoneria sovranazionale contesta questa scelta e pretende che Pechino cambi passo, aprendo alla democrazia. Simmetricamente, il fronte reazionario (rappresentato, al di là delle etichette, da politici “dem” come i Clinton) si intendeva benissimo, fino a ieri, con l’oligarchia cinese.Un equilibrio infranto ora dal protezionismo di Trump, che negli ultimissimi anni ha coagulato attorno a sé l’intera classe dirigente degli Usa, divenuta ostile alla Cina, come conferma un osservatore del calibro di Edward Luttwak. E’ la stessa Nancy Pelosi, boss del partito democratico e acerrima rivale di Trump, a sparare a man salva su Huawei, anche incorrendo in una gaffe clamorosa come quella segnalata da Massimo Mazzucco a “Contro Tv”, in collegamento con Giulietto Chiesa: la Pelosi ha ammesso di temere la tecnologia 5G made in China, proprio perché sa che il digitale (quando è di marca Usa) serve a controllare direttamente gli utenti, attraverso un poderoso spionaggio di massa. «C’è un grande conflitto in atto da diversi anni tra Usa e Cina, e uno dei tanti motivi oggi è rappresentato dal colosso Huawei per il controllo dell’etere globale», ribadisce Galgano. La conferenza sulla sicurezza di Monaco – aggiunge – è diventata l’arena di un nuovo scontro fra gli Usa di Trump e la Cina, che in questa occasione si è difesa sfoderando l’orgoglio socialista, all’insegna dello slogan “non ci fermerà nessuno”.Cuore del confronto, il veto americano su Huawei: «Un cavallo di Troia dei servizi cinesi», secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, l’uomo che ha brindato all’uccisione in Iraq del leader iraniano Qasem Soleimani, alleato della Cina, assassinato dagli Usa in modo terroristico, con un missile. L’impero non scherza, se vede minacciati i suoi privilegi feudali: consentire a Huawei di installare la rete 5G in Europa «potrebbe arrivare a mettere a rischio la Nato», secondo il ministro della difesa Usa, Mark Esper. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi replica senza mezzi termini: «Le accuse sulla Cina sono bugie. Negli Usa non si accetta l’idea del successo in uno Stato socialista, ma questo è ingiusto, i cinesi meritano una vita migliore». Aggiunge: «Nessuno potrà fermarci, la Cina uscirà più forte di prima dall’emergenza del coronavirus», che quindi – secondo Pechino – non comprometterà la crescita del gigante asiatico. «Non vogliamo conflitti con la Cina», dichiara Pompeo, che però avverte: Pechino deve smettere di esercitare pressioni «palesi e nascoste» su nazioni come Italia, Corea del Sud e Iran. «Tutti paesi – chiosa Galgano – curiosamentre tra i più colpiti da questo virus».Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina, non è democratica.
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Madison: la democrazia è un trucco, per proteggere i ricchi
Nel linguaggio di Angela Volpini, che è una mistica cristiana, nella vita ci sono due cose importanti. Uno: essere davvero se stessi – cioè, diventare se stessi, non rimanere conformi alle regole esterne (che ci vogliono omologati) ma avere il coraggio di seguire una strada libera, in ascolto con chi si è, per realizzare – nel mondo – chi siamo, e portare quindi la nostra qualità interiore, come direbbero i greci. E nel buddismo si dice che chi fa questo è persona felice. Poi c’è una seconda scelta, da fare: scegliere di praticare soltanto l’amore, e non il potere. Dunque: essere davvero se stessi, diventare chi si è. Ma mentre un gatto lo diventa di sicuro, un essere umano no. Perché mentre un gatto segue l’istinto, è guidato dalla specie, l’essere umano si è creato una cultura, e dentro la cultura ci sono le intrusioni del potere-dominio, della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Se seguiamo il cardinale Martini, ci dice: c’è un solo peccato, l’oppressione dell’uomo sull’uomo, cioè l’utilizzo del potere. Raimon Panniker dice: due sono le forze, il potere e l’amore. La prima cosa da fare, dunque, è diventare se stessi: ed è difficile, perché il potere si esprime attraverso i consizionamenti sociali.Saper riconoscere i condizionamenti sociali distinguendoli da chi veramente siamo, e quindi compiere scelte coerenti con quello che siamo, è una strada difficile, che richiede una libertà interiore. Libertà da che cosa? Dalla paura, ci dice Krishnamurti: se continui ad aver paura, non puoi essere te stesso. E quindi non puoi neppure essere intelligente, non puoi comprendere. Libertà dalla paura, quindi. Paura di che cosa? La paura del giudizio che ci viene fa fuori, che ci dice se abbiamo fatto bene o male, ci ricorda quali sono le norme e le aspettive, ci dice che avremmo dovuto fare questo e quest’altro. Libertà dalla paura del giudizio, quindi del condizionamento sociale nel quale ha fatto irruzione – in modo massiccio, sempre di più – il potere, cioè l’opposto dell’amore. Ecco perché, senza libertà, non ci può essere amore – perché, senza libertà, non puoi essere te stesso; e se non realizzi te stesso, non puoi essere radiante di amore, perché sei incattivito.Da dove viene, il termine cattivo? Da “captivus”: prigioniero. Quindi, chi non è se stesso è prigioniero del condizionamento sociale. Ecco da dove viene la schiavitù salariale. Nel mondo, è questo che abbiamo creato: non dei lavori degni di esseri umani liberi dalla paura. La terza caratteristica indicata da Angela Volpini è la creatività. Un essere umano che sia libero, che abbia scelto l’amore, è creativo. E’ fatto a somiglianza del Dio-creatore, quindi è creatore. Di che cosa? Di se stesso. Cioè: manifesta chi veramente è, e quindi è creativo. Quando? In ogni momento della vita. E se è libero, ama ed è creativo, come si sentirà? Felice. Questo è il messaggio che Angela Volpini sta portando avanti da 63 anni. Non è un messaggio facile, come sapete, perché il condizionamento culturale è ovunque. Le stratificazioni di potere e le posizioni di rendita sono ovunque. E toccare le rendite è difficilissimo – che siano di soldi, di potere, di status.Si parla di principio di eguaglianza, ma non è vero. Si parla di democrazia, ma non c’è niente di vero. Queste parole sono ormai corrotte: non significano più nulla. A una persona, in Danimarca, una volta chiesero: cos’è, per te, la democrazia? Non so se avesse fatto studi di filosofia politica, ma rispose semplicemente: non preoccuparsi di chi verrà eletto, perché chiunque verrà eletto sarà una persona onesta e competente; potrà fare scelte di un tipo o di un altro, ma saranno per il bene comune. Ma l’origine della democrazia, in Occidente, non è questa. Madison parlò del peccato originale della democrazia americana: «La democrazia è la forma di governo che serve a proteggere i ricchi (pochi) dai poveri (tanti)». Questo non viene detto, nella Carta costituzionale, ma è stato detto nelle riunioni per produrla. E’ il peccato d’origine: e quella americana non ha fatto eccezione, tra le nostre democrazie. La democrazia è una struttura che “copre” questo fondamentale principio. Aristotele ha detto: non può esistere democrazia dove c’è troppa disparità tra ricchi e poveri. E’ impossibile: perché i ricchi, avendo diritto di voto, faranno in modo da distribuire la ricchezza a loro vantaggio. E allora?Restano due possibilità: o non si fa una democrazia, oppure si fa una democrazia falsa, in cui si dice che è una democrazia, ma in realtà si hanno dei mezzi per manipolarla, in modo da garantire quello che Madison, con chiarezza, ha dichiarato (privatamente) nel periodo di formazione della Costituzione americana. Questo è un quadro di ciò che è importante comprendere, per essere persone libere dalla paura del giudizio che proviene dal condizionamento sociale, che al suo interno contiene le strutture di potere. Se sottostiamo al giudizio sociale, queste strutture le interiorizziamo: e quindi non c’è più bisogno di nessuno che ci domini da fuori, perché ci auto-dominiamo da soli. Questa è la nostra situazione. Se non si fa qualcosa di molto specifico e consapevole, noi rimaniamo continuamente prigionieri di una struttura di potere interiorizzata. E siccome potere significa anche conflitto, saremo sempre prigionieri del conflitto. Ecco perché non possiamo vivere in pace: viviamo in conflitto, e il conflitto è sofferenza.(Mauro Scardovelli, estratto dal vicdeo-intervento “Liberi dalla paura”, pubblicato su YouTube il 26 maggio 2011. Giurista, psicologo e musicologo, Scardovelli è stato docente all’università di Genova. E’ animatore dell’associazione formativa Aleph Umanistica).Nel linguaggio di Angela Volpini, che è una mistica cristiana, nella vita ci sono due cose importanti. Uno: essere davvero se stessi – cioè, diventare se stessi, non rimanere conformi alle regole esterne (che ci vogliono omologati) ma avere il coraggio di seguire una strada libera, in ascolto con chi si è, per realizzare – nel mondo – chi siamo, e portare quindi la nostra qualità interiore, come direbbero i greci. E nel buddismo si dice che chi fa questo è persona felice. Poi c’è una seconda scelta, da fare: scegliere di praticare soltanto l’amore, e non il potere. Dunque: essere davvero se stessi, diventare chi si è. Ma mentre un gatto lo diventa di sicuro, un essere umano no. Perché mentre un gatto segue l’istinto, è guidato dalla specie, l’essere umano si è creato una cultura, e dentro la cultura ci sono le intrusioni del potere-dominio, della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Se seguiamo il cardinale Martini, ci dice: c’è un solo peccato, l’oppressione dell’uomo sull’uomo, cioè l’utilizzo del potere. Raimon Panniker dice: due sono le forze, il potere e l’amore. La prima cosa da fare, dunque, è diventare se stessi: ed è difficile, perché il potere si esprime attraverso i condizionamenti sociali.
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Disabilitare la politica: e ci sono riusciti, dal 2001 in poi
Mille anni fa, nel remotissimo 2001, l’allora anonimo Vladimir Putin – appena insediato al Cremlino, dopo l’esausto Eltsin – era poco più che un fantasma tra le rovine dell’Urss disastrata dalle privatizzazioni: non osò alzare la voce neppure per il misterioso affondamento del sommergibile Kursk nel Mare di Barents con i suoi 118 marinai, mentre il mondo si rassegnava a tollerare l’apparente infantilismo semianalfabeta dello sceriffo Bush junior. A Genova, sotto il sole di luglio, si animava la stranissima festa multicolore dei NoGlobal, scandita delle canzoni di Manu Chao: una kermesse variopinta, innocua, per molti essenzialmente ingenua. Andava ancora di moda la speranza in un mondo migliore, sebbene per la maggior parte dell’opinione pubblica non ce ne fosse neppure bisogno: andava benissimo quello che già c’era, senza più la guerra fredda (grazie a Gorbaciov) e senza vere crisi all’orizzonte. Tutto cambiò di colpo il 20 luglio, nel capoluogo ligure, con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Nemmeno due mesi dopo, bruciavano le Torri Gemelle di New York. Si spalancò davanti agli occhi di tutti un mondo infinitamente peggiore, tra crateri di violenza inspiegabile, terrorismo, guerre infinite. E a ruota, catastrofiche crisi economico-finanziarie.
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Usa e Germania ci vendevano il programma con cui spiarci
Quando nel 1986 Ronald Reagan ordinò di bombardare Tripoli, come rappresaglia per l’attentato terroristico alla discoteca berlinese La Belle dov’erano stati uccisi due soldati americani, il presidente annunciando l’attacco disse che gli Stati Uniti avevano prove «precise, dirette e irrefutabili» della responsabilità dei servizi libici. L’ambasciata di Gheddafi a Berlino Est aveva ricevuto l’ordine per l’attacco una settimana prima. E il giorno dopo l’esplosione della bomba, la stessa ambasciata «aveva informato Tripoli del successo della missione». Era chiaro che gli Usa avevano intercettato e decrittato le comunicazioni tra la Libia e la stazione tedesca. Ma quella di Reagan «fu una gaffe madornale, che mise a rischio e in parte danneggiò la più vasta e intrusiva operazione di spionaggio mai messa in campo dalla Cia, il servizio segreto americano». Lo scrive Paolo Valentino sul “Corriere della Sera”: «Per oltre cinquant’anni, una sola compagnia svizzera fornì a oltre cento paesi di tutto il mondo gli strumenti per gestire le loro comunicazioni riservate con spie, militari e missioni diplomatiche». La Crypto Ag, questo il suo nome, aveva iniziato a costruire “macchine cifranti” per gli Usa già durante la Seconda Guerra Mondiale, diventando poi leader del mercato e compiendo con successo negli anni la transizione dalla meccanica all’elettronica.Tra i suoi clienti, nazioni democratiche e dittature: l’Iran prima e dopo la rivoluzione khomeinista, paesi del Terzo Mondo o Stati rivali fra di loro come India e Pakistan, e perfino il Vaticano. «Quello che nessuno ha mai saputo fino ad oggi – scrive Valentino – è che la Crypto Ag era segretamente di proprietà della Cia in società con la Bnd, i servizi segreti tedesco-occidentali». Gli 007 di Bonn «manipolavano sistematicamente le apparecchiature, in modo da poter poi facilmente rompere i codici usati dai vari paesi per mandare i loro messaggi segreti e leggerli». Negli Anni ‘80, aggiunge il “Corriere”, gli strumenti di Crypto consentivano di decodificare il 40% di tutti i cablo diplomatici e le altre comunicazioni intercettate dai servizi Usa. A rivelarlo, scrive sempre Valentino, è uno straordinario pezzo di giornalismo investigativo, realizzato insieme dal “Washington Post” e dalla “Zdf”, la seconda rete televisiva pubblica tedesca, basato su documenti interni sia della Cia che del Bnd, che raccontano sin dalle origini tutti i dettagli dell’operazione, all’inizio denominata Thesaurus e poi ribattezzata Rubicon.«E’ stato il colpo d’intelligence del secolo», si legge negli atti americani: «I governi stranieri pagavano senza saperlo milioni di dollari agli Stati Uniti e alla Germania Ovest per il privilegio di avere le loro più segrete comunicazioni lette dai nostri servizi». Non tutti però abboccavano alle lusinghe di Crypto Ag: «Nel clima di sospetto della Guerra Fredda, i paesi leader del campo rivale, l’Urss e la Cina, non furono mai clienti della premiata compagnia, svizzera solo di nome». Ma la lista di chi usava le apparecchiature truccate, «pagandole milioni di dollari e facendo fare grassi profitti alle due intelligence», comprendeva anche i più stretti alleati occidentali e membri della Nato: Spagna, Grecia, Turchia e ovviamente l’Italia. A partire dal 1970, racconta il “Washington Post”, fu la National Security Agency, l’intelligence militare americana, a prendere il controllo di tutte le operazioni di Crypto insieme ai partner tedeschi, «comprese le assunzioni, la scelta delle tecnologie, il sabotaggio degli algoritmi, la promozione delle campagne di vendita a clienti precisi».Tra il 1970 e il 1975, prosegue il “Corriere”, le vendite annuali di Crypto Ag esplosero: da 15 milioni, passarono a 51 milioni di franchi svizzeri. «Ascoltarono e decrittarono di tutto: i mullah iraniani durante al crisi degli ostaggi del 1979, le comunicazioni dei militari argentini durante la guerra delle Falkland nel 1982 debitamente girate agli inglesi, gli ordini per le campagne omicide delle dittature latino-americane come l’assassinio del leader socialista cileno Orlando Letelier, ucciso nel 1976 in piena Washington dagli agenti di Pinochet. Non ultimo, le comunicazioni del presidente egiziano Anwar Sadat col Cairo durante i negoziati di Camp David tra Egitto e Israele nel 1972». Per inciso, annota Valentino, la famosa gaffe di Reagan sulla Libia insospettì gli iraniani, che erano a conoscenza del fatto che anche i libici usassero la tecnologia svizzera per le comunicazioni segrete. Qualche anno dopo, gli ayatollah arrestarono a Teheran uno dei rappresentanti di Crypto Ag, un cittadino tedesco, e lo rilasciarono solo nove mesi dopo, dietro il pagamento di un riscatto di un milione di dollari: soldi forniti in segreto proprio dal Bnd, l’intelligence di Bonn, dopo che la Cia si era rifiutata di pagare, invocando la linea americana di non versare mai riscatti per ostaggi.Le due documentazioni, messe a confronto dai reporter del “Post” e della televisione di Berlino, rivelano incomprensioni e polemiche tra tedeschi e americani: i primi attenti soprattutto all’aspetto economico della joint venture, che portava milioni di dollari in cassa, gli altri mai stanchi di «ricordare che si trattava di un’operazione di spionaggio». Inoltre i tedeschi erano basiti di fronte alla determinazione e all’entusiasmo dei colleghi Usa nello «spiare su tutti gli alleati». Testualmente: «Gli americani si comportano con i paesi alleati esattamente come con quelli del Terzo Mondo», è la frase di Wolbert Smidt, già direttore del Bnd, citata nei documenti tedeschi. La collaborazione clandestina si concluse nel 1990, finita la Guerra Fredda, quando il governo tedesco ordinò al Bnd di uscire da Crypto Ag: «La Cia, semplicemente, acquistò le quote tedesche e continuò il vecchio andazzo». Crypto Ag non esiste più, ma i suoi prodotti sono venduti ancora oggi a una dozzina di paesi. La vecchia compagnia – conclude Valentino – è stata smembrata nel 2018, «liquidata da azionisti la cui identità rimane ben nascosta dalle leggi del Liechtenstein». Al suo posto ci sono due società: CyOne Security e Crypto International. «Entrambi affermano di non avere alcuna connessione con il mondo dell’intelligence. Ma questa è un’altra storia».Quando nel 1986 Ronald Reagan ordinò di bombardare Tripoli, come rappresaglia per l’attentato terroristico alla discoteca berlinese La Belle dov’erano stati uccisi due soldati americani, il presidente annunciando l’attacco disse che gli Stati Uniti avevano prove «precise, dirette e irrefutabili» della responsabilità dei servizi libici. L’ambasciata di Gheddafi a Berlino Est aveva ricevuto l’ordine per l’attacco una settimana prima. E il giorno dopo l’esplosione della bomba, la stessa ambasciata «aveva informato Tripoli del successo della missione». Era chiaro che gli Usa avevano intercettato e decrittato le comunicazioni tra la Libia e la stazione tedesca. Ma quella di Reagan «fu una gaffe madornale, che mise a rischio e in parte danneggiò la più vasta e intrusiva operazione di spionaggio mai messa in campo dalla Cia, il servizio segreto americano». Lo scrive Paolo Valentino sul “Corriere della Sera”: «Per oltre cinquant’anni, una sola compagnia svizzera fornì a oltre cento paesi di tutto il mondo gli strumenti per gestire le loro comunicazioni riservate con spie, militari e missioni diplomatiche». La Crypto Ag, questo il suo nome, aveva iniziato a costruire “macchine cifranti” per gli Usa già durante la Seconda Guerra Mondiale, diventando poi leader del mercato e compiendo con successo negli anni la transizione dalla meccanica all’elettronica.
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Magaldi: Salvini e Meloni si decideranno a battersi per noi?
Salvini che sparacchia su Bruxelles ma poi incarica Giorgetti di correggere il tiro, e intanto (evidentemente mal consigliato) bacchetta le donne che scambierebbero l’aborto per un’alternativa alla contraccezione, giusto per deliziare gli antiabortisti cronici. La Meloni risponde da par suo: condanna il bieco Fiscal Compact ma al tempo stesso assolve il suo gemello, il pareggio di bilancio. Gli altri politici? Non pervenuti: quei temi, nemmeno li sfiorano per scherzo. In questo frangente si salva solo l’indifendibile, inesistente Renzi: almeno, ha il coraggio di puntare sulla prescrizione, come ciambella di salvataggio in un sistema-giustizia che impiega secoli per emettere una sentenza, spesso dopo aver messo alla gogna presunti colpevoli che poi si scoprono innocenti. Ma che razza di paese è mai questo? C’è qualcuno che ha idea di come si potrebbe pilotare l’Italia, nel 2020 e soprattutto nei prossimi anni, in base a una parvenza di disegno strategico? Pare di no, purtroppo: si vive solo alla giornata, rincorrendo effimeri consensi. E mentre Lega e Fratelli d’Italia colpiscono nel mucchio, senza un piano preordinato né una visione leggibile, il Pd si limita all’eterno ruolo di cameriere italiano dell’Ue, attorniato dal fantasma imbarazzante dei 5 Stelle: dopo aver tradito tutte le promesse, i grillini credono di cavarsela tagliando futuri parlamentari e attuali vitalizi.
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Ulfkotte: noi giornalisti siamo corrotti e vi abbiamo tradito
«Sono stato un giornalista per circa 25 anni, e sono stato educato a mentire, tradire e a non dire la verità al pubblico». Lo confessa Udo Ulfkotte, uno dei più famosi giornalisti tedeschi. Il 13 gennaio 2017 fu trovato morto, a soli 56 anni. Diagnosi: infarto. «Senza alcuna autopsia, fu cremato immediatamente», ricorda Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”, salutando il libro “Giornalisti comprati”, ora finalmente in arrivo nelle librerie italiane. «Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende, lobby», scrive Santonianni. «Un libro che, dopo un successo straordinario in Germania nel 2014, per anni non è stato più ristampato (lo trovavate, usato, sul web a cifre elevatissime) e che ora viene pubblicato in Italia dall’editore Zambon». Anziché soffermarsi «sui tantissimi episodi di conclamata corruzione e di asservimento dei media riportati nel libro», Santoianni preferisce riportare in calce l’indice del volume, clamorosamente eloquente, nonché quella che è stata l’ultima dichiarazione pubblica di Ulfkotte.Libertà di stampa simulata: la verità esclusivamente per i giornalisti? Nel libro si parla di “verità comprate” tra “reti d’élite e servizi segreti”. Ulfkotte racconta «come fui corrotto da una compagnia petrolifera». Titoli di questo tenore: “Frankfurter Allgemeine Zeitung: dietro le sue quinte c’è a volte una testa corrotta”. Oppure: “Come i giornalisti finanziano le loro ville in Toscana”. Ulfkotte definisce «ben lubrificato» quello che chiama «il famigerato sistema dei premi giornalistici». Bel panorama, non c’è che dire: «Interviste compiacenti, viaggi come inviato speciale e frode fiscale». Uno sguardo impietoso, sul “lavoro sporco” dei giornalisti di oggi. Altro titolo: “La spirale del silenzio: cosa non c’è nei giornali”. In alternativa, il sistema media come “manganello”, ovvero: “Oggi su, domani giù: esecuzioni mediatiche”. «I media tedeschi e americani cercano di portare alla guerra le persone in Europa, per fare la guerra alla Russia», scrisse Ulfkotte poco prima di morire. «Questo è un punto di non ritorno, e ho intenzione di alzarmi e dire che non è giusto quello che ho fatto in passato: manipolare le persone per fare propaganda contro la Russia».Aggiungeva Ulfkotte: «Non è giusto quello che i miei colleghi fanno e hanno fatto in passato, perché sono corrotti e tradiscono il popolo: non solo quello della Germania, ma tutto il popolo europeo». Amare conclusioni: «Agli Stati Uniti e all’Occidente non è bastato vincere sul socialismo burocratico dell’Est Europa, ora puntano alla conquista della Russia e alle sue risorse e poi al suo più potente vicino: la Cina». Era la sua allarmante visione geopolitica: «Il disegno è chiaro e solo la codardia dei governi europei e le brigate di giornalisti comprati assecondano questo piano di egemonia globale che, inevitabilmente, determinerà una Terza Guerra Mondiale che non sarà combattuta coi carri armati ma coi missili nucleari». I nostri media? «Omologati, obbedienti all’autorità e riluttanti a fare ricerche», pronti a trasformare la Russia in una minaccia reale. Udo Ulfkotte parla dell’Atlantik-Brucke, il ponte atlantista del massimo potere che costringe l’informazione «nella morsa dei servizi segreti». Parla di «contatti controversi, elogi imbarazzanti, potere sotto copertura». Tecniche di propaganda classica, spacciate per giornalismo: sono tanti «i trucchi per l’inganno verbale della politica e dei media».Il terzo capitolo si apre nel modo più esplicito: “La verità sotto copertura: giornalisti di prima classe in linea con le élite”. Ci sono anche giornalisti “testimoni di nozze”, alla corte del potere politico. Dai “troll” di Obama al fantasma dei Rockefeller, nell’eterna Commissione Trilaterale, fino alle imbarazzanti passerelle del Bilderberg. Come comprarsi un giornalista, istruzioni per l’uso: è quella che Ulfkotte chiama “l’informazione viscida”, sostenendo che «due terzi dei giornalisti sono corrotti». Si va avanti a colpi di “piacevoli favori”, per rendere i media “compatibili” con l’agenda del potere, tra “guadagni aggiuntivi” e “lavaggi del cervello”. In tutto questo, Ulfkotte legge “il fallimento della democrazia”. Scrive: «Ho molta paura per una nuova guerra in Europa e non mi piace avere di nuovo questo pericolo, perché la guerra non è mai venuta da sé». Vero: «C’è sempre gente che spinge per la guerra, e a spingere non sono solo i politici ma anche i giornalisti». Ecco il guaio: «Noi giornalisti abbiamo tradito i nostri lettori, spingiamo per la guerra». Si ribellava, Ulfkotte: «Non voglio più questo, sono stufo di questa propaganda. Viviamo in una repubblica delle banane e non in un paese democratico dove c’è la libertà di stampa».(Il libro di Udo Ulfkotte, “Gekaufte Journalisten”, sarò presto nelle librerie italiane, edito da Zambon, con prefazione di Diego Siragusa).«Sono stato un giornalista per circa 25 anni, e sono stato educato a mentire, tradire e a non dire la verità al pubblico». Lo confessa Udo Ulfkotte, uno dei più famosi giornalisti tedeschi. Il 13 gennaio 2017 fu trovato morto, a soli 56 anni. Diagnosi: infarto. «Senza alcuna autopsia, fu cremato immediatamente», ricorda Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico“, salutando il libro “Giornalisti comprati”, ora finalmente in arrivo nelle librerie italiane. «Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende, lobby», scrive Santonianni. «Un libro che, dopo un successo straordinario in Germania nel 2014, per anni non è stato più ristampato (lo trovavate, usato, sul web a cifre elevatissime) e che ora viene pubblicato in Italia dall’editore Zambon». Anziché soffermarsi «sui tantissimi episodi di conclamata corruzione e di asservimento dei media riportati nel libro», Santoianni preferisce riportare in calce l’indice del volume, clamorosamente eloquente, nonché quella che è stata l’ultima dichiarazione pubblica di Ulfkotte.
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Nessuno cresce per caso: la Meloni piace all’establishment
Nessuno cresce per caso. O meglio, non basta essere bravi politici per crescere in punti percentuali. Questa è la prima regola delle democrazie occidentali. Per capire l’evoluzione dello scenario partitico italiano occorre leggere tra le righe delle geometrie nazionali e internazionali. Così da non illudersi troppo facilmente per alcuni, o scandalizzarsi troppo istericamente per altri. Facciamo un passo indietro negli anni. Quando Matteo Salvini diventò segretario, era dicembre del 2013, la Lega era al 4 per cento, mentre il Movimento 5 Stelle già rompeva la dicotomia destra/sinistra diventando il partito più votato dagli italiani col 25 per cento di consensi dopo le elezioni di febbraio (sempre del 2013). Insomma la cavalcata del “Capitano” – aldilà della sua non ordinaria capacità di calarsi fisicamente nei luoghi, a una velocità supersonica, tra un comizio, una fiera locale o una sagra di paese – serviva in quel momento storico ad arginare l’ascesa dirompente del M5S ma soprattutto a fermare l’emorragia dei voti di centro-destra. Col tempo, Matteo Salvini sfrutta il vuoto mediatico lasciato dai diktat di Beppe Grillo che costringono i suoi a non andare in televisione, diventa uomo di copertina e da talk show, abbandona la “secessione”, avvia un progetto di architettura “nazionale” e introduce il “sovranismo” nel suo manifesto politico in contrapposizione al “populismo civico pentastellato”.Con questa strategia riesce a portare la Lega dal 4 al 17 (marzo 2018), al 34 per cento (maggio 2019), con una parentesi di governo “nazional-populista” durata 15 mesi che spiazzò tutte le centrali cultural-finanziarie, al punto ora da concorrere per la prima volta della storia repubblicana con il Partito Democratico in Emilia Romagna, e da conquistare in Calabria la prima regione del Sud Italia. Incredibile ma vero. Matteo Salvini gode di consenso popolare ma è isolato all’estero. Se non fosse per la sua animalità politica – la campagna elettorale in Emilia Romagna, dettata da un’agenda dell’ubiquità, è da manuale – avremmo potuto annunciare la sua fine, eppure dobbiamo aspettare ancora un po’ di tempo. In compenso esiste una seconda regola nelle democrazie occidentali. Per governare in Italia non basta il consenso popolare ma occorre anche avere una sponda all’estero molto forte. Il leader della Lega dovrebbe impararla a memoria perché a furia di stare tra le folle – impressionanti, dovremmo aggiungere per onestà intellettuale – ha trascurato i tavoli internazionali, laddove si decidono anche le sorti dell’Italia. Dopo essere stato più o meno scaricato da Donald Trump che in fase di consultazioni fece un endorsement a “Giuseppi”, nonché dal Cremlino dopo il caso “moscopoli”, ora cerca con ritardo e in modo sconclusionato di incassare un sostegno da Israele e dai suoi circoli in Italia.Chi ha capito questa regola è appunto Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, che in maniera chirurgica e silenziosa tesse la sua ragnatela negli spazi che contano, laddove Matteo Salvini è stato marginalizzato o si è auto-marginalizzato: Washington e Bruxelles. Aderendo al Parlamento Europeo al Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei ha scelto un percorso riformista e moderato, e senza scattarsi fotografie con il berretto rosso con scritto “Make America Great Again” già prepara una missione alla Casa Bianca per parlare direttamente con Donald Trump o in alternativa con il vicepresidente Mike Pence. Proprio di questo si sarebbe parlato martedì 12 novembre in un incontro super riservato a Villa Taverna rivelato da “Repubblica”, con l’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg. E non è un caso che di recente, in una prospettiva avveniristica di consolidamento dell’asse anglo-americano con la rielezione di Trump e la Brexit già annunciata da Boris Johnson, anche il “Times” l’abbia inserita tra le 20 persone che potrebbero cambiare il mondo nel 2020. In sintesi, il blocco anglo-americano ha bisogno dell’Italia per tenere un piede in Europa, e Giorgia Meloni sembrerebbe molto più affidabile di Matteo Salvini. E’ quando sei tra le “stelle nascenti” del “Times” che devi domandarti se stai facendo la cosa giusta.Ad aver intuito queste dinamiche sono i nemici di Matteo Salvini, i quali hanno capito di non poterlo sfidare frontalmente, così hanno deciso di indebolirlo portando lo scontro nel suo campo, dall’interno, alimentando la crescita di Fratelli d’Italia al fine di ridimensionare i rapporti di forza nel centro-destra. Non è un caso infatti che i sondaggi danno Fdi in crescita, proporzionalmente al calo della Lega, e sui mezzi d’informazione riceve più inviti di tutti gli altri. Stando all’ultimo studio di Mediamonitor.it sulle presenze dei politici italiani nei principali tv nazionali (Rai, Mediaset, La7, SkyTg24), che ha diviso gli ultimi sei mesi in due periodi distinti (gli ultimi tre mesi dell’esecutivo Conte I; e i primi tre mesi del Conte II), Giorgia Meloni è infatti quella che cresce di più in fatto di ospitate: +58,8 per cento. Chi dice che è merito del tormentone musicale “Io sono Giorgia” o del suo social media manager (come dicono a “L’Espresso”), non ha capito che le partite non si giocano in superficie ma in profondità, oppure a un livello molto più alto. Dipende dai punti di vista, ma la sostanza è la stessa. Le logiche dell’establishment sono molto più potenti dei semplici algoritmi. Vallo a spiegare ai “giovani coglioni” (direbbe Céline) che perseguitano la “Bestia”.(Sebastiano Caputo, “L’ascesa di Giorgia Meloni”, da “L’Intellettuale Dissidente” del 20 gennaio 2020).Nessuno cresce per caso. O meglio, non basta essere bravi politici per crescere in punti percentuali. Questa è la prima regola delle democrazie occidentali. Per capire l’evoluzione dello scenario partitico italiano occorre leggere tra le righe delle geometrie nazionali e internazionali. Così da non illudersi troppo facilmente per alcuni, o scandalizzarsi troppo istericamente per altri. Facciamo un passo indietro negli anni. Quando Matteo Salvini diventò segretario, era dicembre del 2013, la Lega era al 4 per cento, mentre il Movimento 5 Stelle già rompeva la dicotomia destra/sinistra diventando il partito più votato dagli italiani col 25 per cento di consensi dopo le elezioni di febbraio (sempre del 2013). Insomma la cavalcata del “Capitano” – aldilà della sua non ordinaria capacità di calarsi fisicamente nei luoghi, a una velocità supersonica, tra un comizio, una fiera locale o una sagra di paese – serviva in quel momento storico ad arginare l’ascesa dirompente del M5S ma soprattutto a fermare l’emorragia dei voti di centro-destra. Col tempo, Matteo Salvini sfrutta il vuoto mediatico lasciato dai diktat di Beppe Grillo che costringono i suoi a non andare in televisione, diventa uomo di copertina e da talk show, abbandona la “secessione”, avvia un progetto di architettura “nazionale” e introduce il “sovranismo” nel suo manifesto politico in contrapposizione al “populismo civico pentastellato”.
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Magaldi: se gli Usa concedessero la grazia a Julian Assange
«Gli Stati Uniti concedano la grazia a Julian Assange, vittima di una vera e propria persecuzione». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, interviene sul caso del giornalista australiano, creatore di WikiLeaks tuttora in carcere nel Regno Unito, in attesa di essere estradato negli Usa. «Se le rivelazioni di WikiLeaks sulle nefandezze commesse dal potere militare non hanno causato vittime – precisa Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – sarebbe bene che le autorità statunitensi mettessero fine a questa tormentata vicenda, graziando Assange». Secondo Magaldi, va comunque tenuto conto che i “leaks” diffusi da Assange potrebbero aver messo in pericolo operatori dell’intelligence, svelandone l’identità. «Inoltre – aggiunge Magaldi – la denuncia di Assange si è concentrata esclusivamente sugli Usa, ignorando le analoghe scorrettezze commesse da paesi come la Russia e la Cina: di questo, dovrebbe essere lo stesso Assange a scusarsi pubblicamente». Oltretutto, «solo un’assoluta imparzialità rende più autorevole la fonte, che viceversa potrebbe essere accusata di aver fatto il gioco di qualcuno».Tutto questo, ribadisce Magaldi, «nulla toglie alla grandezza dell’opera di Assange, che ha disvelato, all’opinione pubblica occidentale, l’incorenza di chi si ammanta della retorica democratica». Meglio ancora sarebbe stato se Assange avesse prodotto analoghe rivelazioni «su chi non tenta neppure di apparire rispettoso dei diritti e dei valori della democrazia». Tra i più accesi difensori di Assange, un reporter di razza come Paolo Barnard, un anno fa sistematosi sotto le finestre dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per reclamarne la liberazione. Al momento del primo arresto, anche Barnard aveva manifestato riserve: mettere in piazza nomi e cognomi, inclusi quelli di tanti 007, può mettere in serio pericolo operatori “coperti”, impegnati sul terreno e non per forza coinvolti in operazioni inaccettabili. Poi però, di fronte alla clamorosa persecuzione riservata ad Assange – con casi giudiziari costruiti a tavolino – Barnard ha cambiato posizione: picchiare duro su Assange, ormai è chiaro, serve a minacciare indirettamente tutti i giornalisti che fossero intenzionati a fare il loro mestiere onestamente.«Colpirne uno per educarne cento», sintetizza Massimo Mazzucco, in web-streaming con Giulietto Chiesa su “Contro Tv”. «Il messaggio è chiaro: guai a chi prova a mettersi di traverso». Mazzucco e Chiesa prendono nota: gli Usa non esitano ad assassinare il numero due dell’Iran, Qasem Soleimani, poi tacciono sui raid arei di Israele in Siria (che hanno costretto un volo civile a un atterraggio d’emergenza) e applaudono – a Camere riunite – il presidente Trump che presenta come «unico e vero presidente legittimo del Venezuela» l’oscuro Juan Guaidò. «E’ stato il loro “uomo di paglia” scelto per rovesciare Maduro. Non ha funzionato, ma insistono ugualmente: tutti devono sapere che Washington ci riproverà, non tollerando che il suo potere venga sfidato». Quanto ad Assange, la sua sorte sembra segnata. «Un giornalista del “Guardian” – scrisse Barnard, un anno fa – mi ha confidato che l’ordine, in redazione, era di dimenticare Assange e abbandonarlo al suo destino». Oggi, Magaldi (che pure contesta al fondatore di WikiLeaks di non esser stato impeccabile) insiste: meglio sarebbe se si intavolasse un dialogo chiarificatore onesto. E sarebbe un gran gesto, da parte di Trump, concedere la grazia a Julian Assange.«Gli Stati Uniti concedano la grazia a Julian Assange, vittima di una vera e propria persecuzione». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, interviene sul caso del giornalista australiano, creatore di WikiLeaks tuttora in carcere nel Regno Unito, in attesa di essere estradato negli Usa. «Se le rivelazioni di WikiLeaks sulle nefandezze commesse dal potere militare non hanno causato vittime – precisa Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – sarebbe bene che le autorità statunitensi mettessero fine a questa tormentata vicenda, graziando Assange». Secondo Magaldi, va comunque tenuto conto che i “leaks” diffusi da Assange potrebbero aver messo in pericolo operatori dell’intelligence, svelandone l’identità. «Inoltre – aggiunge Magaldi – la denuncia di Assange si è concentrata esclusivamente sugli Usa, ignorando le analoghe scorrettezze commesse da paesi come la Russia e la Cina: di questo, dovrebbe essere lo stesso Assange a scusarsi pubblicamente». Oltretutto, «solo un’assoluta imparzialità rende più autorevole la fonte, che viceversa potrebbe essere accusata di aver fatto il gioco di qualcuno».
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Magaldi: massoni in guerra, ma per vincere serve il popolo
La guerra dei poveri, la chiamò Nuto Revelli. E i poveri erano gli alpini in Russia con le suole di cartone, i partigiani in armi dopo l’8 settembre, i montanari che li nutrivano con pane duro e castagne. Un memoriale-capolavoro, quello uscito per Einaudi nel 1962, in cui Revelli racconta in modo magistrale la vertiginosa trasformazione di un intero paese, grazie allo choc collettivo della catastrofe bellica. Metamorfosi che investe lo stesso protagonista: da ufficiale fascista, imbevuto di retorica militarista, a comandante della Resistenza, nelle brigate “Giustizia e Libertà”. Il brusco risveglio, nel 1943, è propiziato dallo sfacelo delle forze armate allo sbando, il 25 luglio. Un anno dopo, quando gli Alleati sbarcheranno in Provenza, una divisione corazzata della Wehrmacht si muoverà dal Cuneese per affrontarli. Nuto Revelli e i suoi riusciranno a rallentare i panzer per dieci giorni, inchiodandoli tra le gole della valle Stura, permettendo così agli americani di conquistare le alture di Nizza. Finita la battaglia, il comandante vorrebbe marciare verso la Liguria. Ma gli uomini glielo impediscono, vogliono svalicare in Francia. E la spuntano: votando, per alzata di mano. Democrazia, in alta montagna, dopo vent’anni di adunate nere: il riscatto della coscienza. Ma non è mai gratis, la libertà. Lo ripete anche oggi chi combatte un’altra guerra, sotterranea ma non troppo, tra le fila della cosiddetta massoneria progressista.
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L’Iran: perché noi sciiti detestiamo l’Occidente, che ci odia
L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.Personalmente, ho percorso questa strada della conoscenza fin dalla fine degli anni ’90 e sono ancora solo uno umile studente. Nello spirito di un primo approccio, per iniziare un dibattito informato Est-Ovest su un importante problema culturale, in Occidente totalmente accantonato o affogato in uno tsunami di propaganda, ho chiesto a tre validissimi studiosi quali fossero le loro prime impressioni. Questi sono: il professor Mohammad Marandi, dell’Università di Teheran, esperto di orientalismo; Arash Najaf-Zadeh, che scrive sotto lo pseudonimo di Blake Archer Williams ed è esperto di teologia sciita, e la coltissima principessa Vittoria Alliata, siciliana, tra le migliori islamiste italiane e autrice, tra le altre cose, di libri come l’incantevole “Harem”, che descrive in dettaglio i suoi viaggi in terra araba. Due settimane fa sono stato ospite della principessa Vittoria a Villa Valguarnera in Sicilia. C’eravamo immersi in una lunga ed avvincente discussione geopolitica, in cui uno dei temi chiave era stato lo scontro Usa-Iran, solo poche ore prima che un attacco di droni all’aeroporto di Baghdad uccidesse i due principali combattenti sciiti nella vera guerra al terrorismo dell’Isis/Daesh e di al-Qaeda/al-Nusra: il maggiore generale iraniano Qāsem Soleymānī e l’iracheno Hashd al-Shaabi, il braccio destro di Abu Mahdi al-Muhandis.Il professor Marandi fornisce una spiegazione sintetica: «L’odio irrazionale americano nei confronti dello Sciismo deriva dalla sua forte propensione a resistere all’ingiustizia: la storia di Karbala e Imam Hussein e lo sforzo sciita nel proteggere e difendere gli oppressi e lottare contro l’oppressore. Questo è qualcosa che gli Stati Uniti e le potenze egemoniche occidentali non riescono assolutamente a tollerare». Blake Archer Williams mi ha inviato una risposta che ho pubblicato come pezzo originale. Questo passaggio, che sviluppa il concetto di sacralità, sottolinea chiaramente l’abisso che separa il concetto sciita di martirio dal relativismo culturale occidentale: «Non c’è niente di più glorioso, per un musulmano, che raggiungere il martirio mentre combatte nel nome di Dio. Il generale Qāsem Soleymānī ha combattuto per molti anni con l’obiettivo di risvegliare il popolo iracheno e indurlo a riprendere nelle proprie mani il timone del destino del paese. Il voto del Parlamento iracheno ha dimostrato che il suo obiettivo è stato raggiunto. Il suo corpo ci è stato portato via, ma il suo spirito è stato amplificato mille volte e il suo martirio ha fatto sì che i frammenti della sua luce benedetta arrivassero ai cuori e alle menti di ogni uomo, donna e bambino mussulmano, immunizzandoli dal mortifero cancro dei relativisti culturali del diabolico Novus Ordo Seclorum».Un punto da chiarire: Novus Ordo Seclorum, o Saeculorum, significa “nuovo ordine dei secoli” e deriva da un famoso poema di Virgilio che, nel medioevo, era considerato dai cristiani la profezia della venuta di Cristo. Su questo punto, Williams ha risposto che «mentre questo significato etimologico della frase è vero e rimane valido, la frase era stata usata da George Bush figlio per caratterizzare la cabala globalista del Nuovo Ordine Mondiale, ed è questo il senso che è attualmente predominante». La principessa Vittoria preferirebbe centrare il dibattito sull’indiscutibile atteggiamento americano nei confronti del Wahhabismo: «Non credo che tutto ciò abbia a che fare con l’odiare o l’ignorare lo Sciismo. Dopotutto, l’Aga Khan è molto ben integrato nella sicurezza degli Stati Uniti, una sorta di Dalai Lama del mondo islamico. Credo che l’influenza satanica derivi dal Wahhabismo e dai reali sauditi, che, per tutti i Sunniti del mondo, sono molto più eretici degli Sciiti, ma che, per i governanti statunitensi, sono l’unico contatto con l’Islam. I sauditi hanno dapprima finanziato la maggior parte degli omicidi e delle guerre della Fratellanza Islamica, poi le altre forme di Salafismo, tutte incentrate su una base wahhabita».Quindi, continua la principessa Vittoria, «non proverei tanto a spiegare lo Sciismo, quanto il Wahhabismo e le sue devastanti conseguenze: ha dato origine a tutte le forme di estremismo, al revisionismo, all’ateismo, alla distruzione dei santuari e dei leader Sufi in tutto il mondo islamico. E ovviamente, il Wahhabismo è molto vicino al Sionismo. Ci sono anche ricercatori che hanno prodotto documenti secondo cui Casa Saud sarebbe una tribù Dunmeh di ebrei convertiti e scacciati da Medina dal Profeta, dopo che avevano tentato di ucciderlo, nonostante avessero firmato un trattato di pace». La principessa Vittoria sottolinea anche il fatto che «la Rivoluzione Iraniana e i gruppi sciiti in Medio Oriente sono oggi l’unica forza di successo in grado di resistere agli Stati Uniti, e questo li fa odiare più degli altri. Ma solo dopo che tutti gli altri avversari sunniti sono stati eliminati, uccisi, terrorizzati (basti pensare all’Algeria, ma ci sono dozzine di altri esempi) o corrotti. Questa ovviamente non è solo la mia opinione, ma quella della maggior parte degli islamologi di oggi».Essendo al corrente delle ampie conoscenze di Williams sulla teologia sciita e della sua padronanza della filosofia occidentale, l’ho spinto, letteralmente, a “cercare la giugulare”. E mi ha risposto: «La domanda sul perché i politici americani non siano in grado di comprendere l’Islam sciita (o l’Islam in generale) è semplice: lo sfrenato capitalismo neoliberista ingenera l’oligarchia, e gli oligarchi ‘selezionano’ i candidati che rappresentano i loro interessi prima ancora che vengano ‘eletti’ dalle masse ignoranti. Eccezioni populiste come Trump, di tanto in tanto, filtrano tra le maglie della rete (o non ci riescono, come nel caso di Ross Perot, che si era ritirato sotto coercizione), ma anche Trump è stato poi messo sotto controllo dagli oligarchi attraverso minacce di impeachment, ecc. Quindi, il ruolo dei politici nelle democrazie non sembra essere quello di cercare di capirci qualcosa, ma, semplicemente, quello di portare a termine l’agenda delle élite che li controllano». “L’attacco alla giugulare” di Williams è un saggio lungo e complesso che mi piacerebbe pubblicare per intero solo quando il nostro dibattito si sarà approfondito, insieme a possibili confutazioni.Per riassumerlo, Williams delinea e discute le due principali tendenze della filosofia occidentale: i dogmatici contrapposti agli scettici. Spiega come «la santa trinità del mondo antico fosse, in effetti, la seconda ondata dei dogmatici che cercavano di salvare le città-Stato della Grecia e, più in generale, il mondo greco dalla decadenza dei sofisti», approfondisce il concetto di “terza ondata di scetticismo” che era iniziata con il Rinascimento e aveva raggiunto il culmine nel 17° secolo con Montaigne e Cartesio, e poi traccia connessioni «con l’Islam sciita e l’incapacità dell’Occidente di comprenderlo». E questo lo porta al “nocciolo della questione”: «Una terza opzione e un terzo flusso intellettuale su e al di sopra dei dogmatici e degli scettici: questa è la posizione degli studiosi di religione sciiti tradizionali (non quelli di indirizzo filosofico)». Ora confrontatelo con l’ultimo sforzo degli scettici, «come ammette lo stesso Cartesio quando parla del ’demone’ che gli era apparso in sogno e che lo aveva indotto a scrivere il “Discorso sul metodo” (1637) e “Meditazioni sulla prima filosofia” (1641).L’Occidente si sta ancora riprendendo dal colpo, e sembra che abbia deciso di mettere da parte i trampoli della ragione e dei sensi (che Kant aveva cercato invano di conciliare, rendendo le cose mille volte peggiori, più contorte e circonvolute) e voglia sguazzare in quella forma auto-congratulativa di irrazionalismo nota come postmodernismo, che dovrebbe essere giustamente chiamato ultra-modernismo o iper-modernismo, dal momento che non è meno radicato nella ‘svolta soggettiva’ cartesiana e nella ‘rivoluzione copernicana’ kantiana di quanto non lo fossero i primi moderni e i moderni veri e propri». Per riassumere un accostamento piuttosto complesso, «tutto ciò significa che le due civiltà hanno due visioni completamente diverse di quello che dovrebbe essere l’ordine mondiale. L’Iran crede che l’ordine del mondo dovrebbe essere quello che è sempre stato e che attualmente è nella realtà, che ci piaccia o no o che crediamo, o meno, nella realtà (come alcuni in Occidente non fanno). E l’Occidente secolarizzato crede in un nuovo ordine mondiale (contrapposto ad un ordine mondiale o divino). E quindi non è tanto uno scontro di civiltà quanto uno scontro di sacro contro profano, con gli elementi profani di entrambe le civiltà schierati contro le forze sacre di entrambe le civiltà. È lo scontro del sacro ordine di giustizia con l’ordine profano dello sfruttamento dell’uomo da parte dei suoi simili; [è lo scontro] della profanazione della giustizia di Dio per il beneficio (a breve termine o di questo mondo) dei ribelli rispetto alla giustizia di Dio».Williams fornisce un esempio concreto per illustrare questi concetti astratti: «Il problema è che anche se tutti sanno che lo sfruttamento del Terzo Mondo nel 19° e nel 20° secolo da parte delle potenze occidentali era stato ingiusto e immorale, questo stesso sfruttamento continua ancora oggi. Il persistere di questa vergognosa ingiustizia è la ragione principale delle differenze esistenti tra Iran e Stati Uniti, che continueranno inevitabilmente finché gli Stati Uniti insisteranno nelle loro politiche di sfruttamento e fintanto che continueranno a proteggere i loro governi di occupazione, che riescono a sopravvivere contro la schiacciante volontà dei loro cittadini solo grazie alla ingombrante presenza delle forze statunitensi che li sostengono affinché possano continuare a servire gli interessi americani piuttosto che quelli delle loro popolazioni. È una guerra spirituale per il trionfo della giustizia e dell’autonomia nel Terzo Mondo. L’Occidente può continuare ad apparire bello ai propri occhi perché controlla tutta la messa in scena (del discorso mondiale), ma la sua immagine reale è evidente a tutti, anche se l’Occidente continua a vedersi come il Dorian Gray del romanzo di Oscar Wilde: una persona giovane e bella i cui peccati si riflettevano solo nel suo ritratto. Così, il ritratto riflette la realtà che il Terzo Mondo vede ogni giorno, mentre il Dorian Gray occidentale si vede come viene rappresentato dalla Cnn, dalla Bbc e dal “New York Times”».«L’imperialismo dell’Occidente in Asia occidentale è di solito simboleggiato dalla guerra di Napoleone Bonaparte contro gli Ottomani in Egitto e in Siria (1798-1801). Sin dall’inizio del 19° secolo, l’Occidente ha succhiato la vena giugulare del corpo politico musulmano come un vero vampiro, mai sazio di sangue musulmano, che si rifiuta di lasciare il corpo. Dal 1979, l’Iran, che ha sempre avuto il ruolo di leader intellettuale del mondo islamico, si è ribellato per porre fine a questo oltraggio contro la legge e la volontà di Dio e contro ogni decenza. Si tratta quindi del processo di revisione di una visione falsa e distorta della realtà per ritornare a ciò che la realtà è e dovrebbe effettivamente essere: un ordine giusto. Ma questa revisione è ostacolata sia dal fatto che i vampiri controllano la rappresentazione della realtà, sia dall’inettitudine degli intellettuali musulmani e dalla loro incapacità di comprendere anche solo i rudimenti della storia del pensiero occidentale, nel suo periodo antico, medievale e moderno».C’è una possibilità di distruggere tutta questa messa in scena? Forse: «Quello che deve succedere è il passaggio dell’autocoscienza mondiale dal paradigma in cui le persone credono che un pazzo come Pompeo e un buffone come Trump rappresentino l’essenza della normalità, ad un paradigma in cui le persone vedano Pompeo e Trump solo come un paio di gangster che fanno tutto ciò che vogliono, non importa quanto disgustoso e depravato, in completa e totale impunità. E questo è un processo di revisione ed un processo di risveglio verso un nuovo e più alto stato di coscienza politica. È un processo di rigetto del paradigma dominante e di unione all’Asse della Resistenza, il cui leader militare era il generale martire Qāsem Soleymānī. Non da ultimo, [questo processo] comporta il rifiuto dell’assurdo concetto di verità relativa (ed anche della relatività del tempo e dello spazio, scusaci Einstein), l’abbandono dell’assurda e nichilista filosofia dell’umanesimo, e il risveglio alla realtà dell’esistenza di un Creatore e del suo ruolo di comando. Ma, ovviamente, questo è troppo per la mentalità moderna, così illuminata da sapere tutto». Eccoci qua. E questo è solo l’inizio. Commenti pro e contro sono i benvenuti. Date una voce a tutte le anime bene informate: il dibattito è aperto.(Pepe Escobar, “Le radici della demonizzazione dell’Islam sciita da parte dell’America”, da “Unz.com” del 17 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.