Archivio del Tag ‘deflazione’
-
Mitterrand: basta deficit, troppi soldi (e potere) ai cittadini
Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che il debito pubblico aumenta perché l’economia non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito pubblico.Spesso addirittura ci dicono che dobbiamo fare il surplus di bilancio: che in sostanza significa che lo Stato incassa più di quando spende, perché se abbassiamo il debito i “mercati” (che semplicemente sono dei privati da alcuni anni abilitati a prestarci i soldi – incredibile, ma vero…) ci guarderanno con occhio differente e le agenzie di rating americane che controllano la vita dei singoli Stati in giro per il mondo (la vita di tutti noi), saranno più felici e non ci declasseranno. Ma chi sono i proprietari di questi maledetti soldi? Ci sono persone che essendo promotrici di queste “politiche criminali” finalizzate all’arricchimento dei singoli a discapito di tutti gli altri, conoscono ovviamente anche la risoluzione dei nostri problemi: risoluzione/soluzione che potrebbe essere applicata nel giro di pochi mesi e servirebbe a mettere al sicuro miliardi di vite attualmente letteralmente abbandonate a se stesse o in estremo pericolo).Oggi gli Stati si dividono in due categorie: quelli che possiedono una moneta sovrana e quelli che non hanno moneta sovrana. Le monete sovrane, per essere considerate veramente tali, devono seguire tre criteri fondamentali: devono essere di proprietà dello Stato che le emette, non devono essere convertibili in nessun materiale concreto tipo oro o argento e devono essere fluttuanti, il che significa che non possono essere cambiate a un tasso fisso con altre monete, quindi vengono lasciate fluttuare sui mercati, che decidono di volta in volta i tassi di cambio. Il dollaro, la sterlina e lo yen, ad esempio, sono monete sovrane perché rispettano questi tre criteri. Le monete non sovrane, invece, sono monete che non hanno nessuna proprietà. Gli Stati a moneta sovrana spendono inventando la moneta e accreditano i conti correnti di coloro che vendono loro beni o servizi. Gli Stati a moneta sovrana, quindi, creano ricchezza quando spendono e tolgono ricchezza ai cittadini quando tassano. Da ciò si deduce che, se tutti gli Stati a moneta sovrana spendono più di quanto tassano, questo arricchisce la società.Negli Stati a moneta sovrana il debito pubblico non è il debito dei cittadini ma la loro ricchezza. Quindi, se uno Stato a moneta sovrana decide di eliminare o pareggiare il debito, esso cesserà l’arricchimento dei cittadini. Immaginiamo che oggi nasce lo Stato X, che abbiamo un debito zero e che il Governo appena eletto dal popolo il primo anno decide di costruire 10 caserme, 100 scuole, 1000 ospedali, 10.000 Università, 100.000 strade eccetera… quindi, cosa fa il governo? Semplicemente inventa la moneta, accredita i conti corrente delle persone che lavorano per la costruzione di queste opere, quindi spende e distribuisce ricchezza. Immaginiamo che il primo anno il governo spende 100 monete per costruire questi beni e tassa il popolo per 70 monete, quindi chiude il bilancio annuale con un debito di 30 monete. Cosa succede a fine anno? Semplicemente il governo ha arricchito il popolo di 30 monete perché ha creato un debito di 30 monete. Quindi: se il governo che possiede moneta sovrana crea debito, genera ricchezza e fa sì che le persone possano avere monete per fare la spesa, comprare casa, fare un viaggio, acquistare una macchina, eccetera.Immaginiamo invece la situazione opposta. Il governo decide di costruire altri beni, quindi paga le aziende private che gli forniscono questi beni e, naturalmente, assume ancora altro personale. Questa volta, però, il governo inventa e spende ancora 100 monete per pagare gli stipendi di coloro che gli forniscono questi beni e servizi ma tassa il popolo per 160 monete, quindi chiude il bilancio annuale in attivo, non fa alcun debito ed anzi: pareggia il debito che aveva accumulato nei primi due anni (il governo, in sostanza, in 3 anni di lavoro ha speso 300 monete ed ha incassato 300 monete). Cosa succede? Semplice: succede che i cittadini dello Stato X non avranno in tasca più nessuna moneta, quindi nessuno potrà più spendere finché il governo non deciderà di fare debito chiudendo il bilancio in passivo generando ricchezza. Il debito è la nostra ricchezza, e se i governi che possiedono moneta sovrana decidono di abbassare il debito anche di un solo punto, questo sottrae ricchezza ai popoli: azzerarlo, come sicuramente avrete compreso, è impossibile.Questo ragionamento, naturalmente, vale solo per gli Stati che possiedono la cosiddetta moneta sovrana: cioè tutti gli Stati proprietari della propria moneta (proprio come lo era l’Italia qualche anno fa: adesso, grazie all’euro, abbiamo perso la nostra sovranità e non possiamo più stampare, non possiamo più creare moneta, non possiamo più avere una vera politica, non possiamo più fare scelte autonome. Dice Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia: «Adottando l’euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera, con tutti i danni che ciò implica». L’unica alternativa che oggi tutti i paesi che non possiedono una moneta sovrana hanno a disposizione per cercare di sopravvivere è quella di chiedere la moneta ai mercati dei capitali privati che successivamente strangolano e distruggono questi paesi con gli interessi.L’altra possibilità che questi paesi hanno per sopravvivere, naturalmente, è quella di licenziare, non assumere, assumere attraverso contratti precari che costano poco, chiedere la moneta al popolo attraverso le tasse che aumentano quotidianamente, privatizzare, liberalizzare, svendere, innalzare l’età pensionabile, tagliare gli stipendi, tagliare le pensioni, tagliare i fondi alla cultura, alla ricerca, alla scuola, alle università, alla sanità, ai servizi sociali e locali e chi più ne ha più ne metta: ecco spiegata la quotidianità di tantissimi paesi ed il meccanismo all’interno della quale attualmente si trova anche il nostro paese. La moneta in generale, comunque, non è mai di proprietà dei cittadini privati o delle banche: essi possono solo usarla, prendendola in prestito dalle banche o guadagnandola attraverso il lavoro. I soldi sono un mezzo che lo Stato spende per primo e solo successivamente tutti i cittadini ne usufruiscono, spendendoli a loro volta.Hanno tolto ad alcuni Stati la possibilità di stampare moneta e hanno fatto credere ad altri che possono ancora stampare, che il debito sovrano di un paese è un vero debito per il preciso fine descritto in maniera impeccabile dall’economista Joseph Halevi: «Quello che è in gioco è la totale privatizzazione della finanza pubblica e dunque la distruzione degli Stati». Come ci spiega il “Rapporto Grandi Disuguaglianze Crescono” di Oxfam, presentato nel gennaio 2015: «La ricchezza detenuta da meno dell’1% della popolazione mondiale supererà nel 2016 quella del restante 99%.» François Mitterand, parlando con Halevi a proposito del tema inflazione, deflazione, disoccupazione, precarietà e naturalmente del tema della piena occupazione, affermava: «La gente deve togliersi di mezzo. La piena occupazione darebbe troppo potere al popolo. La deflazione, la disoccupazione e i lavori precari, invece, glielo sottraggono».Ok, ma quanto e fino a quando può spendere uno Stato? Randall Wray, tra i più importanti e accreditati economisti e monetaristi del mondo: «Se capiamo come funzionano i sistemi monetari, se comprendiamo che il denaro è solo impulsi elettronici o carta straccia inventata dal Tesoro e dalla Bc, allora possiamo dire che il governo a moneta sovrana può inventarsi tutti gli impulsi elettronici che vuole, con essi può pagare tutti gli stipendi che vuole, comprare tutto ciò che vuole. Possiamo avere la piena occupazione, il business può vendergli tutto ciò che deve vendere se il governo vuole comprarglielo. Può il governo permettersi queste spese? Certo, perché il governo non esaurirà mai gli impulsi elettronici, dunque non farà mai bancarotta; preme un bottone e gli stipendi appaiono sui computer delle banche. L’unico limite è l’inflazione, ma se il governo spende per aumentare la produttività nel settore privato, allora l’inflazione non è più un problema».Per quale motivo, se è così semplice raggiungere l’obiettivo della piena occupazione, esso non sia mai stato perseguito? Ancora Wray: «Non è successo perché innanzi tutto ci sono un sacco di politici ed economisti che non capiscono nulla dei sistemi monetari, cioè non sanno capire che il denaro è solo impulsi elettronici e carta straccia. Poi ci sono molti individui nelle posizioni chiave del potere che sono opposti ideologicamente a questa idea, cioè vogliono la disoccupazione, gli piace, gli dà schiere di lavoratori a stipendi sempre più ridotti e possono competere sui mercati esteri sempre meglio. Ma soprattutto questo, si faccia attenzione: se i cittadini, che formano gli Stati ed eleggono i governi, si rendessero conto che i governi possono spendere quanto vogliono senza limiti di debito, allora il settore pubblico acquisirebbe una percentuale della ricchezza nazionale troppo grossa».Eccesso di inflazione? Lo Stato introduce una tassa temporanea, in modo da togliere di mezzo gli eventuali soldi in eccesso e la situazione è risolta. In conclusione: se il settore pubblico acquisisse una percentuale della ricchezza troppo grossa, i privati non avrebbero più ragione d’esistere, avrebbero un ruolo troppo marginale, un ruolo di scarsa importanza, pochi soldi, troppo poco potere, sarebbero dei normali lavoratori: non sarebbero più intoccabili e onnipotenti come lo sono diventati oggi. Questo è il motivo per cui ci lasciano vivere nell’attuale mondo che funziona al contrario e con la quotidiana paura del debito e dell’inflazione che ci viene quotidianamente “imposta” da tutti i loro amici inseriti nell’informazione ufficiale.(Vincenzo Bellisario, estratti da “Riepilogo generale finalizzato alla comprensione dei meccanismi monetari ed economici in favore della piena occupazione applicabili in Italia e nel mondo”, intervento pubblicato sul sito del Movimento Roosevelt il 18 ottobre 2015).Perché ancora oggi ci sono persone senza cibo o acqua mentre altre vivono nell’abbondanza? Perché ancora oggi ci sono persone senza un lavoro e altre che ne hanno svariati? Perché ancora oggi ci sono persone senza casa e altre che ne hanno svariate? Perché ancora oggi ci sono persone senza soldi e altre con tanti soldi? Se davvero esiste una soluzione ai problemi della gente, perché nessuno la metta in pratica? Perché tutti si occupano sempre degli effetti dei problemi, trascurando le cause? Perché nessuno ci spiega qual è la causa? Perché se qualcuno conosce la causa, nessuno mette in campo la soluzione? Qual è la soluzione? Quotidianamente guardiamo, ascoltiamo e leggiamo del problema dei soldi che non ci sono, della disoccupazione che aumenta, dell’economia che non va bene perché i soldi non ci sono, degli imprenditori e dello Stato che non possono assumere perché non ci sono i soldi; del fatto che il debito pubblico aumenta perché l’economia non va bene perché mancano i soldi e quindi bisogna tagliare le spese ed aumentare le tasse in modo da abbassare i decifit annuali e il debito pubblico.
-
Fame di lavoratori, presto i salari torneranno a crescere
«L’ultima volta che i ‘servi della gleba’ europei si trovarono improvvisamente ad essere fortemente richiesti fu nel periodo successivo alla ‘Morte Nera’, a metà del XIV secolo. Si dice che quell’evento abbia posto fine al feudalesimo». Forse ci risiamo, avverte Ambrose Evans-Pritchard: «Siamo sulla soglia di un’inversione demografica che sancirà la fine dell’egemonia delle imprese sul mondo del lavoro e colmerà le disuguaglianze che si son venute a creare nel corso degli anni». Nientemeno: «I lavoratori di tutto il mondo stanno per ottenere la loro vendetta: i capitalisti dovranno accontentarsi di una fetta ridotta della torta». Lo sostiene il professor Charles Goodhart, docente alla London School of Economics e già alto funzionario della Banca d’Inghilterra. «Le potenti forze sociali che hanno invaso l’economia globale, garantendo negli ultimi quattro decenni manodopera in abbondanza, stanno improvvisamente invertendo il loro moto, sancendo la fine sia del super-ciclo deflazionistico che dell’epoca dei tassi d’interesse a zero». Di fatto, «la manodopera a buon mercato sta prosciugandosi».Il periodo a venire, spiega Pritchard in un articolo del “Telegraph”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, sarà caratterizzato dalla scarsità di manodopera: così, «l’equilibrio di potere si sposterà dai datori di lavoro ai lavoratori, spingendo verso l’alto i salari». Al che, «la corrosiva disuguaglianza che si è accumulata nei paesi in tutto il mondo andrà quindi a colmarsi». In realtà è successo che, a partire dal 1970, il crollo del tasso di natalità (giunto ad una vita sempre più lunga) ha portato a uno “sweet spot” demografico: «Un episodio una tantum, che ha temporaneamente distorto l’economia del lavoro». Questo “sweet spot” sarebbe stato reso ancora più “sweet” dal crollo dell’Unione Sovietica e dallo spettacolare ingresso della Cina nel sistema commerciale globale. «Nel 1990 la schiera di lavoratori del ‘mondo sviluppato’ era composta da 685 milioni di persone. La Cina e l’Europa Orientale ne hanno aggiunto ulteriori 820 milioni, più che raddoppiando, in un batter d’occhio, i numeri in gioco. E’ stata la più grande scossa al mondo del lavoro che si sia mai vista. E’ l’evento che ha portato a 25 anni di stagnazione dei salari», ha sostenuto il Goodhart, parlando a un forum organizzato dalla “Lombard Street Research”.Le imprese, aggiunge Evans-Pritchard, si sono appropriate a buon mercato dell’“esercito di riserva” del mondo: «Le aziende americane che non avevano esse stesse delocalizzato gli impianti in Cina furono in grado di ‘giocarsi’ i salari cinesi contro quelli dei lavoratori statunitensi, speculando fortemente sul lavoro». Oggi, i profitti netti delle aziende Usa equivalgono al 10% del Pil, «il doppio della media storica e il valore più alto del dopoguerra». Idem in Europa: «La Volkswagen minacciò apertamente di spostare la produzione in Polonia, nel 2004, a meno che i lavoratori tedeschi inghiottissero sia il blocco dei salari che la maggiorazione delle ore lavorative, fatto che equivaleva a un taglio dei salari». La “Ig Metall”, sindacato metalmeccanico tedesco, «s’inchinò amaramente all’inevitabile». La manodopera a buon mercato «spinse in basso i costi globali e i prezzi». E la Cina «aggravò gli effetti, investendo massicciamente nelle fabbriche (con crediti agevolati), spingendo gli investimenti al 48% del Pil (un record mondiale) e inondando i mercati di merci a basso costo – prima vestiti, scarpe e mobili, poi acciaio, navi, prodotti chimici e pannelli solari».Cullate dalla bassa inflazione dei prezzi al consumo, le banche centrali lasciarono fare, allentando le politiche monetarie (molto prima della crisi della Lehman) che portarono a loro volta a dei tassi d’interesse reali sempre più bassi e a delle bolle speculative. «I ricchi, al contempo, diventavano sempre più ricchi». Tuttavia, continua Pritchard, quest’epoca è ormai passata alla storia: «I salari in Cina non sono più a buon mercato, dopo essere saliti a un tasso medio annuo del 16% lungo tutto un decennio. Anche lo yuan è sopravvalutato. Dalla metà del 2012, ovvero da quando il Giappone ha dato il via guerra valutaria in Asia, si è apprezzato del 22% in ‘termini commerciali ponderati’. La Panasonic, ad esempio, ha preferito trasferire la produzione dei forni a microonde dalla Cina al Giappone». Ma le cause alla base del periodo deflazionistico sono più profonde: il ‘tasso di fertilità mondiale’ è costantemente declinato, e le ‘nascite per donna’ sono passate dal 4,85 del 1970 al 2,43 di oggi. E negli ultimi vent’anni c’è stato un crollo epocale in Asia Orientale: se Germania, Italia e Giappone si attestano sull’1,4, la Corea è a 1,25 e Singapore a 0,8. «Come regola generale, ci vogliono 2.1 ‘nascite per donna’ per mantenere la popolazione in equilibrio». Per Goodhard, «siamo sulla soglia di un completo capovolgimento dell’economia mondiale: l’offerta di lavoro tenderà sempre più a scarseggiare». Nel corso degli anni, «le aziende hanno fatto un sacco di soldi», ma ora «la vita non sarà più così accogliente per loro».La Cina dovrà affrontare un duplice colpo, grazie agli effetti della politica del ‘figlio unico’: «E’ disastrosamente andata avanti per 15 anni di troppo», sostiene Goodhart. La forza lavoro sta già diminuendo di 3 milioni di unità l’anno. È opinione diffusa che la crisi demografica spingerà la deflazione ancor più in profondità. «La sanità e i costi dell’invecchiamento porteranno a un’espansione fiscale, mentre la scarsità della manodopera innescherà una ‘guerra delle offerte’ a vantaggio dei lavoratori, il tutto condito da uno stato di latente guerra sociale tra le generazioni». La Cina non inonderà più il mondo con il suo ‘risparmio in eccesso’, gli anziani dovranno attingere alle loro riserve e le aziende dovranno investire di nuovo in tecnologie labour-saving (automazione dei processi industriali) attingendo alle loro «inutilizzate e segrete scorte di denaro». Secondo Evans-Pritchard, assisteremo a un rovesciamento di quelle forze che hanno spinto il “tasso di risparmio mondiale” al record del 25% del Pil globale, «creando quell’ampio bacino di capitali che si è poi rovesciato nell’acquisto a valanga di assets in tutto il mondo, anche se l’economia globale continua a soffrire di depressione: il “tasso di equilibrio” dell’interesse reale tornerà alla normalità e potremo smetterla di parlare di “stagnazione secolare”».Mentre il capo-economista della Bank of England, Andrew Aldane, teme la trappola del “tasso zero”, con poche armi a disposizione delle banche centrali per combattere la prossima crisi (servirebbe il taglio ulteriore di 3-5 punti dei tassi d’interesse), il professor Goodhart «dubita invece che i robot possano sostituire i lavoratori così velocemente da compensare la carenza di manodopera, o che le nazioni invecchiate siano in grado di assorbire culturalmente immigrati a sufficienza per colmare il divario occupazionale, o che l’India o l’Africa abbiano le infrastrutture indispensabili per ripetere l’‘effetto Cina’». Di fatto, secondo Evans-Pritchard, «il mondo non ha mai affrontato una ‘epidemia da invecchiamento’ prima d’ora, e quindi siamo in acque inesplorate». Quello che è decisamente chiaro, conclude, è che il decollo verticale del “tasso di dipendenza” dall’indice demografico, e quindi dalla forza lavoro, «sta per distruggere tutte le nostre ipotesi economiche».«L’ultima volta che i ‘servi della gleba’ europei si trovarono improvvisamente ad essere fortemente richiesti fu nel periodo successivo alla ‘Morte Nera’, a metà del XIV secolo. Si dice che quell’evento abbia posto fine al feudalesimo». Forse ci risiamo, avverte Ambrose Evans-Pritchard: «Siamo sulla soglia di un’inversione demografica che sancirà la fine dell’egemonia delle imprese sul mondo del lavoro e colmerà le disuguaglianze che si son venute a creare nel corso degli anni». Nientemeno: «I lavoratori di tutto il mondo stanno per ottenere la loro vendetta: i capitalisti dovranno accontentarsi di una fetta ridotta della torta». Lo sostiene il professor Charles Goodhart, docente alla London School of Economics e già alto funzionario della Banca d’Inghilterra. «Le potenti forze sociali che hanno invaso l’economia globale, garantendo negli ultimi quattro decenni manodopera in abbondanza, stanno improvvisamente invertendo il loro moto, sancendo la fine sia del super-ciclo deflazionistico che dell’epoca dei tassi d’interesse a zero». Di fatto, «la manodopera a buon mercato sta prosciugandosi».
-
Volkswagen, scandalo made in Usa: guai se Berlino scappa
Anno movimentato per il gruppo Volkswagen: prima un bilancio dagli utili record ed il traguardo da primo produttore mondiale in vista, poi la notizia delle centraline manipolate che nel giro di pochi giorni brucia metà della capitalizzazione in borsa. Ad innescare lo scandalo è la statunitense Environmental Protection Agency che accusa i diesel tedeschi di emettere ossidi d’azoto oltre i limiti consentiti: le teste dei vertici di Wolfsburg cadono e l’affidabilità teutonica incassa un duro colpo. Scrupolosità ambientalistica delle agenzie americane? Sgambetto industriale? «No. Come lo scandalo Fifa, la “scoperta” di illeciti su cui si è sempre chiuso un occhio, ha finalità politiche. Berlino, nonostante la gestione di Angela Merkel, è per gli americani l’incognita dirimente», scrive Federico Dezzani. «Se la Germania si sganciasse dal blocco atlantico, Washington perderebbe il teatro europeo e, di conseguenza, l’egemonia globale». Per questo, sostiene Dezzani, è inevitabile individuare una precisa regia statunitense nell’esplosione dello scandalo che sta demolendo la credibilità di una Germania che si è fatta detestare per il trattamento riservato alla Grecia.Ein Volk, ein Wagen, ein Skandal: diesel e Germania fanno un distico, scrive Dezzani sul suo blog. «Se si volesse una terzina, allora sarebbe Diesel, Germania e Volkswagen». È nella febbricitante Germania guglielmina, apripista della seconda rivoluzione industriale, che Rudolf Diesel inventa un motore basato sulla compressione dell’aria: l’impiego non tarda nell’industria bellica ma bisogna attendere gli anni ’30 perché una vettura di lusso, la Mercedes-Benz W138, monti un pesante e costoso motore a gasolio. «Quando Adolf Hitler affida al geniale Ferdinand Porsche la progettazione di un’auto per la motorizzazione di massa, la scelta cade non a caso su un più economico motore a benzina: sono le versioni da 1,1-1,6 litri che monta la Volkswagen Typ 1, meglio nota come il “Maggiolino”. Per abbattere i costi di produzione e rendere il prezzo abbordabile, si adottano le più moderne tecniche fordiste e si erigono fabbriche ex-novo: attorno a loro nasce la cittadina di Wolfsburg, sede dell’attuale gruppo Volkswagen».La casa tedesca segue da subito le fortune della Germania: gli impianti, convertiti ad uso bellico, crollano sotto le bombe alleate del ’44-’45. Le forze d’occupazione inglesi, resistendo alle pressioni di chi vuole “ruralizzare” la Germania sconfitta, acconsentono ad un rapida ripresa dell’attività: esportare, per i tedeschi, significa tornare a vivere, nell’immediato dopoguerra. E il mito felice del Maggiolino si afferma solo col “miracolo economico”. Il decollo però coincide con l’inizio della parabola discendente per la Fiat e passa per la prima Golf del 1974, disegnata da Giorgetto Giugiaro. «Protetta dalla “legge Volkswagen” che ne impedisce le scalate ostili e blindata dai pacchetti azionari in mano al land della Bassa Sassonia ed i discendenti di Porsche – continua Dezzani – la casa di Wolfsburg fa da polo aggregante per l’industria meccanica, inglobando marchi (Audi, Seat, Skoda, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche, Ducati, Scania, Man) che consentono una diversificazione per prodotto, fascia di prezzo e paese».Sono le proprio le vetture di lusso e la trentennale presenza in Cina (oggi secondo mercato per il gruppo) a regalare un bilancio 2014 da record: un fatturato da 200 miliardi di euro, 14 miliardi di utili e il traguardo come primo produttore mondiale in vista. Quando nel marzo 2015 è presentato il bilancio consolidato, le azioni Volkswagen sono scambiate a 250 euro: «La casa di Wolfsburg è all’apice del successo, specchio di una Germania sempre più sicura della propria forza economica e dell’influenza politica derivante». Man mano che dalla Cina giungono segnali di rallentamento, le azioni Vw danno segnali di malessere, attestandosi a 170 euro a metà settembre. «Poi ha inizio il bagno di sangue, un assalto speculativo in grande stile che ricalca le recenti ondate ribassiste contro il rublo e la borsa cinese». Lunedì 21 settembre le azioni perdono il 20% del valore, bruciando 14 miliardi, e nell’arco di una settimana la capitalizzazione in borsa è pressoché dimezzata, con le azioni scambiate il 30 settembre a 95 euro. A innescare il crollo è la notizia che l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa) ha individuato un software nelle centraline delle Volkswagen che spegne il controllo delle emissioni durante la guida e lo riaccende per i test. Il gruppo tedesco, minaccia l’Epa, rischia una multa fino a 18 miliardi, 37.500 dollari per ognuna delle 480.000 auto turbodiesel incriminate.Immediata la campagna mediatica sul fallimento del sistema-paese della Germania, piuttosto che sui presunti danni all’ambiente: trascurando il fatto che i diesel ammontino solo al 24% delle vendite Volkswagen negli Usa e che l’inquinamento prodotto dal veicolo medio americano sia di gran lunga maggiore, viene «sferrato un tale bombardamento mediatico da obbligare la casa automobilistica a correre ai ripari: l’amministratore delegato Martin Winterkorn rassegna le dimissioni ed è annunciato uno “spietato repulisti” nell’azienda». Il Credit Suisse stima tra i 25 e i 75 miliardi di euro il costo dello scandalo, paventando la necessità di un aumento di capitale per la casa di Wolfsburg. La multa da 18 miliardi minacciata dall’Epa? «Un importo talmente alto da far pensare ad una provocazione, utile ad alimentare la tempesta mediatica». E’ la stessa somma appena pagata alle autorità americane dalla British Petroleum per il disastro ambientale della piattaforma Deepwater Horizon che nel 2010 causò la più grande fuoriuscita di petrolio della storia nel Golfo del Messico, con 500.000 tonnellate di greggio sversate in mare.«L’inflessibilità delle autorità americane e l’accanimento dei media sono poi doppiamente sospette se paragonate ad uno scandalo che ha recentemente coinvolto un’altra casa automobilistica, la General Motors», aggiunge Dezzani. Nel febbraio del 2014, Gm è stata costretta a richiamare 800.000 auto per un difetto al blocchetto d’accensione, che aveva provocato almeno 13 incidenti mortali. Per risparmiare pochi centesimi, la casa di Detroit aveva montato una molla difettosa che poteva ruotare la chiave sulla posizione di spegnimento ad auto in corsa, «spegnendo il motore, bloccando il servosterzo e disattivando gli airbag». Reazioni in Borsa? Nessuna. E una multa di appena 35 milioni di dollari. Fatte le debite proporzioni, la sanzione ipotizzate dall’Epa contro la Volkswagen equivarrebbero a «500 morti per avvelenamento da ossido d’azoto, peggio di una testata chimica su un centro abitato». Di certo non si ricorda un attivismo pari a quello prodigato oggi da Parigi e Londra sul caso dell’auto tedesca: il governo francese che invoca un’inchiesta europea, quello britannico definisce «inaccettabili le azioni di Vw», il “Financial Times” che alza il tiro, scrivendo che a casa di Wolfsburg è impunita, nell’Unione Europea sotto il tallone tedesco.«Lo scandalo Vw è una rappresaglia americana contro Berlino, che su troppi dossier, dall’eurocrisi alla Russia passando per il Medio Oriente, pecca di “eccesso di sicurezza”», scrive Dezzani, che denuncia anche la «strisciante retorica anti-tedesca», diffusa anche in Italia «dai media ossequiosi alle direttive d’Oltreoceano». Ovvero: «Man mano che l’eurocrisi evolveva differentemente da come preventivato, il marcescente estabilshment italiano è stato ben felice di scaricare su Berlino (a mezzo stampa) parte delle tensioni accumulate durante l’interminabile crisi economica». Dezzani invoca «un minimo di verità storica». E ricorda: «La Germania esce sconfitta dall’ultima guerra insieme all’Italia e al Giappone, e alla stregua di una potenza occupata è trattata: dispiegamento permanente di forze armate statunitensi, subalternità dell’apparato di sicurezza a quello angloamericano, pesanti limitazioni alla politica estera ed economica (vedi l’ostilità di Henry Kissinger alla Ostpolitik e gli accordi di Plaza del 1985 che, imponendo la rivalutazione del marco sul dollaro, misero a dura prova l’economia tedesca nel decennio successivo)».A differenza dell’Italia, continua Dezzan, la Germania è dotata di una classe dirigente «compatta, istruita e conscia degli interessi del paese». Mentre gli anni di piombo hanno messo in crisi l’Italia con lo smantellamento dell’economia mista, «tra bombe e assalti speculativi», la Germania è emersa nei primi anni ’90 con un manifatturiero accresciuto e «risorse tali da comprarsi la Ddr». Poi la Germania «subisce sì l’euro», ma mantiene una posizione di dominio sulla Bce. E ora «dispone di un mercato europeo senza barriere e di un enorme sistema a cambi fissi (l’euro) che consente di tosare le quote di mercato dei concorrenti (Italia in primis) ed accrescere l’attivo della bilancia commerciale». Perché gli Usa non solo acconsentono all’operazione ma addirittura la guidano? «Innanzitutto la Germania resta un paese militarmente occupato e le figure apicali dello Stato sono accuratamente selezionate in base ai criteri di Washington, poi la moneta unica non avrebbe dovuto essere fine a se stessa, bensì fonte presto o tardi di una crisi (quella attuale) che avrebbe dovuto sfociare negli Stati Uniti d’Europa, alter ego di Washington».«L’euro, come prevedibile, rende più ricca e sicura di sé la Germania, che almeno in tre riprese tenta di strappare agli angloamericani un nuovo status, non più potenza sconfitta e subalterna ma potenza alla pari», continua Dezzani. Prima, Deutsche Börse tenta di acquistare l’americana Nyse Euronext. Poi, nel 2003, Berlino cerca (senza riuscirci) di entrare nel super-esclusivo club di spionaggio “Five Eyes”, che riunisce i paesi anglosassoni (Usa, Uk, Nuova Zelanda, Australia e Canada). Infine c’è il tentativo, anch’esso fallito, da parte dell’editore tedesco Axel Springer (di provata fede atlantica) di acquistare nell’estate 2015 il pacchetto di controllo del “Financial Times”. «Il messaggio che gli angloamericani inviano alla Germania è chiaro: al tavolo con noi non vi sedete, restate nel mucchio con gli altri europei e pensate a risolvere la crisi dell’euro». Gli Usa restano scontenti di Berlino: approvano la svolta neoliberista dell’Ue, ma sanno che la moneta unica «è presto o tardi destinata a spezzarsi, se Berlino non accetta la condivisione dei debiti pubblici, la nascita di un Tesoro europeo e, a ruota, di un governo federale».Invece di imboccare la via delle federazione continentale, la Germania prima rifiuta gli eurobond nel 2011, poi si asserraglia sull’austerità che scarica tutto il peso dell’euro-regime sulla periferia: tagli ai salari e inasprimento fiscale per uccidere l’import e riequilibrare le bilance commerciali. «Quando Alexis Tsipras, che gode del palese appoggio di Washington e Londra, minaccia di rifiutare le politiche d’austerità, i falchi di Berlino non esitano a dire: bene, la porta è quella, esci dall’euro! Solo il clamoroso retromarcia di Alexis Tsipras (testimoniando quali interessi si celano dietro i vari Syriza e Movimento 5 Stelle) evitano che la Grecia abbandoni l’Eurozona, sancendo la reversibilità della moneta unica». Per Dezzani è sintomatico l’atteggiamento di Romano Prodi, il padre italiano dell’euro, che «da posizioni filo-tedesche ed anti-americane ai tempi della guerra in Iraq del 2003, si è riposizionato durante l’eurocrisi di 180 gradi ed abbraccia ora una linea anti-tedesca e filo-americana». In una recente intervista ad Eugenio Scalfari, dichiara: «I tedeschi non soltanto non credono negli Stati Uniti d’Europa, ma non li vogliono. Vogliono una Germania sola. Hanno accettato l’euro perché lo considerano soprattutto la loro moneta, il marco che ha cambiato nome, tant’è vero che la Bundesbank, la Banca centrale tedesca, si oppone alla politica di Draghi che invece considera l’euro come la vera moneta europea».Draghi, aggiunge Prodi, è uno dei pochissimi che vogliono gli Stati Uniti d’Europa, e utilizza gli strumenti a sua disposizione per spingere su quella strada. Lo stesso Prodi rincara la dose in un’intervista all’“Huffington Post”: «Il potere tedesco è arrogante. Quando arrivi a un livello di sicurezza, chiamiamola anche di arroganza, così forte, i freni inibitori sono a rischio. In Germania non c’è contraddittorio tra i vari attori sociali, c’è un sistema molto compatto. Oggi con il caso Dieselgate emerge una crisi di un sistema, molto più complicata di una crisi politica che interessa solo la Merkel. Non a caso le irregolarità legate alla Volkswagen sono state scoperte da un’autorità americana. La cosa è stata messa fuori da una struttura non europea». Come gli americani, anche Prodi «sa che l’euro è un aereo in stallo, sorretto solo dall’allentamento quantitativo di Mario Draghi e destinato a schiantarsi non appena verranno meno gli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce (cui peraltro Berlino ha imposto che l’80% del debito acquistato finisse in pancia alle rispettive banche centrali nazionali)». Aggiunge Dezzani: «Quale investitore sano di mente acquisterebbe un Btp a 10 anni che rende l’1,6%, quando il paese flirta con la deflazione, ha un rapporto debito/Pil del 140% e istituti bancari appesantiti da 200 miliardi di crediti inesigibili?».Ma i motivi di tensione tra Berlino e Washington non si esauriscono qui e spaziano dalla questione del surplus commerciale tedesco all’Ucraina, passando per il Medio Oriente. Il primo a dissociarsi dall’appoggio garantito da Angela Merkel al cambio di regime a Kiev è stato il potentissimo mondo dell’industria, «che ha interessi da difendere a Mosca ben di più che a Kiev». Poi, continua Dezzani, è stato lo stesso governo tedesco a criticare i crescenti toni bellicistici contro la Russia del generale Philip Breedlove, responsabile del comando delle forze armate americane in Europa, con sede a Stoccarda. Non va meglio in Medio Oriente «dove la Germania, su posizioni sempre meno atlantiche e sempre più vicine ai Brics, prima si dichiara contro l’intervento militare in Libia (con la clamorosa astensione sulla risoluzione Onu 1973 che impone la “no-fly zone”) poi, è storia di questi giorni, quando la Russia opta per un intervento militare risolutivo in Siria, Berlino capovolge la politica finora seguita e afferma che Bashar Assad (la cui caduta è agognata da Washington e Tel Aviv sin dal 2011) è un interlocutore imprescindibile».Per Washington, occorre quindi “riportare all’ordine” la Germania. Come? «Ad agosto è aperta la via balcanica che, attraverso Macedonia, Serbia ed Ungheria, riversa in Austria e Germania decine di migliaia di persone nel lasso di poche settimane: benché Angela Merkel si dica pronta a ricevere 800.000 immigrati all’anno (esternazione che la fa precipitare nei sondaggi) il paese dà forti segnali di stress sotto l’improvvisa ondata migratoria (270.000 persone solo a settembre, più che nell’intero 2014). Non solo si moltiplicano gli attacchi dei gruppi di estrema destra contro le strutture d’accoglienza, dove peraltro aumenta la tensione tra immigrati, ma l’intero sistema di ricezione dei profughi si avvicina al punto di ebollizione: il presidente Joachim Gauck è costretto a rettificare le parole della cancelliera, chiarendo che c’è un limite all’accoglienza». Infine, arriva lo scandalo Volkswagen, «un vero attacco al sistema-paese». Domanda: «Basteranno queste rappresaglie a “riportare l’umiltà” in Germania?».Con l’attuale situazione internazionale, sempre più dinamica (l’intervento militare russo in Siria e il saldarsi dell’asse Mosca-Teheran-Baghdad-Damasco) la Germania «è il peso determinante, ovvero la potenza che sbilanciandosi verso uno schieramento (gli angloamericani e quel che resta della Francia) o l’altro (russi e cinesi) ne determina la vittoria». Se la Germania si saldasse con Russia e Cina, sostiene Dezzani, gli Usa sarebbero espulsi dall’Eurasia, e perderebbero la “testa di ponte” per proiettarsi nell’Hearthland. L’intervento di Putin in Siria «assegna, al momento, l’intero teatro mediorientale alla Russia, che spinge la propria influenza a latitudini così basse da stabilire un nuovo record». È molto difficile che Washington incassi in silenzio la sconfitta. «Più probabile, invece, è un contrattacco in Ucraina tramite le forze nazionaliste, con lo scopo di sottoporre Mosca al logorio di due fronti, oppure imboccare la via dell’escalation militare». Dalla risoluzione del dilemma di Berlino tra Mosca e Washington, conclude Dezzani, dipenderà l’esito del conflitto, che si sta spostando rapidamente dalla Borsa e dalla stampa ai teatri operativi.Anno movimentato per il gruppo Volkswagen: prima un bilancio dagli utili record ed il traguardo da primo produttore mondiale in vista, poi la notizia delle centraline manipolate che nel giro di pochi giorni brucia metà della capitalizzazione in borsa. Ad innescare lo scandalo è la statunitense Environmental Protection Agency che accusa i diesel tedeschi di emettere ossidi d’azoto oltre i limiti consentiti: le teste dei vertici di Wolfsburg cadono e l’affidabilità teutonica incassa un duro colpo. Scrupolosità ambientalistica delle agenzie americane? Sgambetto industriale? «No. Come lo scandalo Fifa, la “scoperta” di illeciti su cui si è sempre chiuso un occhio, ha finalità politiche. Berlino, nonostante la gestione di Angela Merkel, è per gli americani l’incognita dirimente», scrive Federico Dezzani. «Se la Germania si sganciasse dal blocco atlantico, Washington perderebbe il teatro europeo e, di conseguenza, l’egemonia globale». Per questo, sostiene Dezzani, è inevitabile individuare una precisa regia statunitense nell’esplosione dello scandalo che sta demolendo la credibilità di una Germania che si è fatta detestare per il trattamento disumano riservato alla Grecia.
-
Casa, tasse, debiti: ecco come l’euro ha spolpato gli italiani
Beniamino Andreatta spiegava nel 1995 perchè bisognava liberarsi della lira e affidare la politica monetaria a qualcuno “a duemila chilometri dal Parlamento italiano”, cioè a Francoforte. Il discorso di Andreatta è lineare, semplice che lo capisce anche la casalinga e ha una sua logica che convince. E’ sostanzialmente quello a cui aderiscono ancora oggi la maggioranza dei professori di economia italiani, da Monti a Draghi (che una volta era professore) a Gianpaolo Galli, a Rainer Masera, a Riccardo Puglisi, a Tommaso Monacelli a Michele Boldrin, Alberto Bisin, Salvatore Brusco. Il succo del discorso è che la lira è una moneta soggetta a svalutazione e inflazione e quindi comporta un costo del denaro molto elevato, perchè appunto chi presta soldi in lire sa che poi queste si svaluteranno e quindi chiede tassi di interesse alti. Andreatta dice che, liberandosi della lira, i tassi di interesse si ridurranno del 4% e questo costo del denaro più basso consentirà più spesa e investimenti.Ora che sono passati venti anni è più facile vedere l’errore di Andreatta. Nel 1995 i tassi di interesse erano in effetti alti sui Btp, e gli interessi sul debito pubblico si mangiavano il 10% del Pil e il 18% della spesa pubblica. Ma questi alti tassi venivano pagati per il 90% a famiglie (e imprese) italiane. Con l’euro, la maggioranza degli interessi sono andati a investitori esteri (che sono arrivati a detenere la maggioranza dei Btp). Oggi la maggioranza dei titoli di Stato sono in mano a banche, banche centrali e investitori esteri. E gli italiani che avevano Btp nel 1995 dove hanno messo i soldi? In maggioranza negli immobili, che sono raddoppiati di prezzo in termini reali da allora. Semplificando un poco, prima dell’euro, una casa costava 200 milioni di lire e i Btp pagavano un 10%, per cui le famiglie incassavano queste cedole e quando compravano casa avevano i soldi anche senza fare mutui all’80%. Con l’euro le famiglie hanno venduto i Btp e comprato case che costavano 200.000 euro (il doppio) facendo mutui all’80%, case che poi si sono deprezzate e su cui ora pagano l’Imu.Con l’euro il debito di famiglie e imprese è aumentato di più del 100%, da 900 a 2.000 miliardi, e come si sa il grosso dell’aumento è stato dovuto ai mutui per la casa. Tenendo conto dell’inflazione annuale, il debito privato è aumentato dal 90% circa al 130% circa del Pil. Questo è successo in praticamente tutti i paesi europei, dalla Finlandia alla Spagna, dalla Grecia all’Irlanda alla Francia (unica eccezione la Germania). Dal 1995, quando Andreatta parlava di liberarsi della lira, l’inflazione è scesa dal 6-7% al 2-3% negli anni dell’euro, quindi di un 3-4% (quasi come prevedeva Andreatta). Poi però l’inflazione è scesa anche sotto zero, e ora è circa uno 0%. I tassi sui Bot sono sprofondati allo 0% e quelli sui Btp all’1,8%. Il motivo però non è solo l’euro, ma anche e soprattutto il fatto che ora la Banca Centrale Europea e Bankitalia STANNO STAMPANDO MONETA PER COMPRARE BTP stanno stampando moneta per comprare Btp. Cioè stanno ora facendo esattamente quello che Andreatta diceva fosse la disgrazia della lira e che non sarebbe mai successo con l’euro. Se la banca centrale non stampasse moneta per comprare debito, il costo del Btp non sarebbe meno del 2%, ma probabilmente il 4 o 5% perchè incorporerebbe il rischio di default.Come mai? Perché con l’euro la produzione industriale è crollata in cinque anni del -25% e la spesa per consumi del -9% e così il Pil reale. Il motivo del crollo della produzione, del reddito e del Pil è che da quando è stato lanciato il progetto dell’euro, intorno al 1994-1995, la tassazione è diventata sempre più soffocante e ha costretto famiglie e imprese a indebitarsi. La tassazione è stata aumentata costantemente dai governi Amato, Ciampi, Dini e poi Prodi e anche Berlusconi, per finire con Monti per rientrare nei parametri dell’euro e poi per rassicurare gli investitori che il debito pubblico in euro sarebbe stato ripagato. Le cose sono andate in senso quasi opposto a quello che prevedeva Andreatta. Innanzitutto nel suo discorso non menzionava il costo REALE DEL DENARO reale del denaro, cioè il tasso d’interesse meno l’inflazione. Nel 1995 il costo reale era sul 4% perchè appunto i tassi d’interesse erano alti (intorno al 10%), ma anche l’inflazione era alta (intorno al 6%). Oggi questo costo del denaro non è quasi cambiato; per lo Stato ad esempio il costo medio del debito è il 3,8% ma l’inflazione è zero, quindi il costo reale è sempre intorno al 4%.Che il costo del denaro sia sceso con l’euro è un illusione, perchè se l’inflazione va da 6% a 0% ovviamente il costo reale non cala. Intanto però come si è visto si è accumulato molto più debito in percentuale del reddito, perchè senza crescita e senza inflazione il reddito o prodotto nazionale in euro è sempre lo stesso ormai da 10 anni. Il debito però ha un costo annuale reale appunto del 4% anche adesso che lo fa salire come percentuale del reddito. Per cui il risultato finale è che il peso reale del debito rispetto al reddito aumenta ora sempre. Al tempo in cui parlava Andreatta (1995) il peso reale del debito non aumentava, perchè sia il reddito reale che l’inflazione aumentavano, il Pil nominale dell’Italia aumentava in media negli anni ‘90 dell’8-10% l’anno, in cui per 3/4 era effetto dell’inflazione, ma questo impediva al debito di aumentare in proporzione.Il discorso di Andreatta è errato essenzialmente perchè per lui è come se il debito e le banche non esistessero e la moneta la creasse lo Stato quando spende troppo. In realtà, con l’euro si vieta allo Stato di creare moneta tramite i deficit, per cui le banche creano quasi tutto il denaro sotto forma di debito. Con Andreatta (e gli altri come lui) si è impedito allo Stato di fare deficit finanziati con moneta, qualcosa che è stato implementato in Italia in due stadi, prima nel 1981 vietando a Bankitalia di comprare debito e poi appunto con il Trattato di Maastricht. Questo è il principio base dell’euro, ma significa che devi anche aumentare le tasse per pagare gli interessi sul debito in euro, e in secondo luogo che tutto il denaro lo creano le banche come debito. Questo fa aumentare il peso del debito, rallenta l’economia, crea anche deflazione, aumenta ancora il peso del debito, aumenta il rischio di default e poi inevitabilmente devi anche aumentare le tasse con l’austerità per garantire dal rischio di default.Con l’euro si è creato un meccanismo in cui il debito privato aumenta fino al punto in cui si ha una crisi, le banche hanno perdite e riducono il credito, l’economia si ferma, l’inflazione si azzera, aumenta il peso reale del debito, aumenta il rischio di default, si impone l’austerità. E questo circolo vizioso di aumento del peso reale del debito, aumento di tassazione, deflazione e crisi non si ferma più. Ora, nell’ultimo anno qualcosa è effettivamente migliorato, ma perchè? Perchè la Banca Centrale Europea e Bankitalia stanno stampando moneta per comprare debito, riducendone sia il costo che l’ammontare. Cioè stanno facendo ora, nel 2015, quello che Andreatta nel 1995 diceva fosse il male dell’Italia, per evitare il quale ci si doveva liberare della lira. La conclusione è che abbiamo perso 20 anni e subito una crisi devastante perchè si è cercato di impedire che lo Stato facesse quello che deve fare, cioè creare moneta in quantità sufficiente perchè l’economia funzioni.(“Beniamino Andreatta 1995, liberiamoci della lira”, da “MonetAzione” del 31 luglio 2015Beniamino Andreatta spiegava nel 1995 perchè bisognava liberarsi della lira e affidare la politica monetaria a qualcuno “a duemila chilometri dal Parlamento italiano”, cioè a Francoforte. Il discorso di Andreatta è lineare, semplice che lo capisce anche la casalinga e ha una sua logica che convince. E’ sostanzialmente quello a cui aderiscono ancora oggi la maggioranza dei professori di economia italiani, da Monti a Draghi (che una volta era professore) a Gianpaolo Galli, a Rainer Masera, a Riccardo Puglisi, a Tommaso Monacelli a Michele Boldrin, Alberto Bisin, Salvatore Brusco. Il succo del discorso è che la lira è una moneta soggetta a svalutazione e inflazione e quindi comporta un costo del denaro molto elevato, perchè appunto chi presta soldi in lire sa che poi queste si svaluteranno e quindi chiede tassi di interesse alti. Andreatta dice che, liberandosi della lira, i tassi di interesse si ridurranno del 4% e questo costo del denaro più basso consentirà più spesa e investimenti.
-
La Rai tedesca: abbiamo razziato la Grecia, nostra colonia
Certe volte la realtà supera la fantasia: addirittura la rete tedesca “Erste Tv”, la più importante rete televisiva statale di Germania, incredibilmente supporta le nostre tesi confermando in uno splendido report dell’equivalente della nostra Rai1 messo in palinsesto negli scorsi giorni che ai fatti sembra esistere un progetto coloniale tedesco atto a trasferire valore, assets, insomma denari dai greci direttamente allo Stato tedesco con il fine di pagare i servizi utilizzati dalla cittadinanza germanica [e quindi indirettamente anche le loro future pensioni]! Della serie, prima li affami con l’austerità e poi li compri per un tozzo di pane! In una parola: moderno colonialismo tedesco attuato in Ue tramite l’induzione della stagflazione in un regime di cambi fissi, colonialismo del III millennio. E’ logico, se ci pensate: i germani erano stati esclusi dal giro negli ultimi 100 anni e oggi vogliono recuperare il tempo perduto, visto che le colonie in via di sviluppo sono ormai inaccessibili non gli resta che creasi le moderne colonie dentro casa, nell’Ue del Sud.Nell’articolo, l’autore tedesco parla espressamente di “colonia”, riferito al trattamento riservato alla Grecia nell’Ue (“Questo assomiglia più a una colonia che un paese membro dell’Unione Europea”). Ad esempio gli aeroporti greci oggetto di privatizzazione forzata a valle della capitolazione di Tsipras passati dallo Stato greco ad una azienda STATALE TEDESCA, statale tedesca, FraPort (Aeroporti di Francoforte, di proprietà della Regione dell’Assia): ossia un business profittevole – dice la stessa “Erste” –, gli aeroporti greci, viene svenduto e come acquirente ha di fatto lo Stato tedesco [che non paga nemmeno quanto dovuto, in quanto lo scala dal debito di Atene, assets per altro acquistati a prezzi inferiori a quelli di mercato] per volere diretto di Schaeuble – lo dice l’articolo, non io. E viene anche aggiunto, nel pezzo, che così facendo FraPort potrà più facilmente convogliare i propri (anziani) turisti tedeschi in Grecia, scommetto – immaginando cosa verrà dopo, i tedeschi sono molto logici – che a seguire ci sarà l’incanto delle abitazioni locali magari dietro la costrizione dell’equivalente di Equitalia in Grecia che prima espropria i beni ai propri concittadini per morosità nel pagamento di tasse altissime (vi ricorda qualcosa?) e poi li vende a saldo ai tedeschi avvoltoi nelle aste di Stato [e chi volete che abbia soldi da investire tra i greci se la crisi continuerà ancora per qualche anno?].La Repubblica Ellenica, quel che resta, è destinata a diventare un popolo di servi, di badanti per gli anziani tedeschi che andranno a svernare in Grecia visto che in patria gli anzianotti della Ruhr non potranno permettersi di vivere con le magre pensioni statali figlie dei minijobs, in ogni caso le apparentemente povere pensioni tedesche sono e soprattutto saranno ricchissime rispetto a quelle degli anziani ateniesi. E nel mentre la Germania continuerà ad arricchirsi, mantenendo Atene in una situazione di debito ad aeternum detenuto da coloro che impongono l’austerità, ad arte, con lo scopo di impossessarsi dei beni altrui. Insomma, i soliti tedeschi che non cambiano mai… Appunto, tutto questo si chiama neocolonialismo.(Mitt Dolcino, “Clamoroso: la televisione statale tedesca conferma il progetto coloniale ammettendo che le privatizzazioni greche sono state imposte da Schauble per trasferire ricchezza direttamente a Berlino!”, da “Scenari Economici” del 30 luglio 2015).Certe volte la realtà supera la fantasia: addirittura la rete tedesca “Erste Tv”, la più importante rete televisiva statale di Germania, incredibilmente supporta le nostre tesi confermando in uno splendido report dell’equivalente della nostra Rai1 messo in palinsesto negli scorsi giorni che ai fatti sembra esistere un progetto coloniale tedesco atto a trasferire valore, assets, insomma denari dai greci direttamente allo Stato tedesco con il fine di pagare i servizi utilizzati dalla cittadinanza germanica [e quindi indirettamente anche le loro future pensioni]! Della serie, prima li affami con l’austerità e poi li compri per un tozzo di pane! In una parola: moderno colonialismo tedesco attuato in Ue tramite l’induzione della stagflazione in un regime di cambi fissi, colonialismo del III millennio. E’ logico, se ci pensate: i germani erano stati esclusi dal giro negli ultimi 100 anni e oggi vogliono recuperare il tempo perduto, visto che le colonie in via di sviluppo sono ormai inaccessibili non gli resta che creasi le moderne colonie dentro casa, nell’Ue del Sud.
-
La Bce ammette: l’euro è stato una catastrofe, per l’Italia
Che l’euro fosse stato la peggiore delle disgrazie occorse al nostro paese dalla fine della II Guerra Mondiale ce ne eravamo accorti un po’ tutti da tanto, ma se ora in una ricerca condotta proprio dalla Bce vengono ammessi nero su bianco gli effetti deleteri della moneta unica sull’economia italiana, l’aspetto si colorisce di grottesco. Proprio in queste ore infatti la Banca Centrale Europea ci fa sapere che dal 1999, anno dell’introduzione della moneta unica con la determinazione dei concambi irrevocabili, il nostro paese è quello che ha subito la peggiore performance tra gli iniziali 12 paesi membri. Se prima dell’introduzione dell’euro l’Italia era fra “l’elite” con il reddito pro capite fra i più elevati, attualmente registra il peggior dato, agganciando Grecia e Portogallo, che all’atto dell’entrata erano già i fanalini di coda dell’Eurozona. Insomma, un vero e proprio fallimento per il nostro paese. Ma la ricerca della Bce va oltre, rivelando candidamente che i famosi criteri di convergenza, tanto cari alle Istituzioni Europee (leggasi Troika), non hanno fatto altro che ampliare le divergenze fra gli euro-paesi e, strano a dirsi, chi ci ha rimesso di più è stata proprio l’Italia!Le motivazioni addotte dall’istituto centrale europeo si concentrano guarda caso sulla scarsa propensione del nostro paese nel procedere speditamente verso “un marcato aggiustamento dei costi unitari del lavoro”, disvelando inequivocabilmente, se ancora ce ne fosse bisogno, che la sostenibilità dell’area euro si fonda sulla flessibilità del costo del lavoro, essendo logicamente precluso l’aggiustamento dei valori di cambio fra le ormai abbandonate valute nazionali. Inoltre la ricerca della Bce omette volutamente di precisare che tutto questo si è potuto verificare poiché il modello macroeconomico di riferimento su cui si basa l’euro è quello imposto dall’ortodossia tedesca, che prevede la stabilità dei prezzi, cioè il “fobico” contenimento dell’inflazione fino a far precipitare l’intera Eurozona in deflazione (e inoltre letteralmente “appestando” gran parte del mondo) e il rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del pareggio di bilancio relegando, per mezzo della fiscalità, le famiglie e le imprese al ruolo di unici prestatori di ultima istanza.Questo è il vero motivo per il quale l’euro non ha funzionato, non funziona e non potrà mai funzionare! Aver costretto economie continentali così diverse ad uniformare le proprie politiche economiche verso un modello non proprio, evirandole conseguentemente di quelle che autonomamente avrebbero tenuto conto delle rispettive esigenze e caratteristiche, ha determinato lo sfacelo dei paesi non satelliti della Germania. Se i vertici della Bce avessero omesso di scrivere in modo irrituale quella “bella” letterina al governo italiano nell’estate del 2011, che ebbe come effetto pratico di “regalarci” Mario Monti come premier e tutto il peggio possibile dell’austerità “made in Troika”, forse oggi non ci meraviglieremo troppo di apprendere proprio dagli stessi inquilini dell’Eurotower che l’euro si è rivelato un disastro per l’Italia. Se gli “euroforici” Prodi, Ciampi e Amato invece di sbandierare ai quattro venti di essere bravi e in grado di rispettare i vincoli esterni previsti dai trattati al momento dell’adesione all’euro, avessero preventivamente verificato gli effetti e la compatibilità che tali cambiamenti avrebbero prodotto nel nostro sistema economico, sicuramente non ci troveremo in queste drammatiche condizioni ammesse ora addirittura dalla Bce.O la stessa Banca Centrale Europea già mettendo le mani avanti sapendo perfettamente che dopo la Grecia i prossimi saremo noi e che non basteranno le aspirine e il chinino per risolvere la situazione? Mentre aspettiamo impazienti le considerazioni del governo italiano su queste affermazioni provenienti dal massimo organo monetario europeo, perché se rimarrà silente vorrà dire che chi ci governa non sta perseguendo gli interessi del paese ma quelli di qualcun altro, ben vengano questi rapporti da parte della Bce: magari nel prossimo futuro potremmo apprendere proprio da loro stessi che l’euro è da considerarsi da sempre REVERSIBILE reversibile…(Antonio Maria Rinaldi, “L’euro è stato un disastro per l’Italia, parola della Bce”, da “Scenari Economici” del 31 luglio 2015).Che l’euro fosse stato la peggiore delle disgrazie occorse al nostro paese dalla fine della II Guerra Mondiale ce ne eravamo accorti un po’ tutti da tanto, ma se ora in una ricerca condotta proprio dalla Bce vengono ammessi nero su bianco gli effetti deleteri della moneta unica sull’economia italiana, l’aspetto si colorisce di grottesco. Proprio in queste ore infatti la Banca Centrale Europea ci fa sapere che dal 1999, anno dell’introduzione della moneta unica con la determinazione dei concambi irrevocabili, il nostro paese è quello che ha subito la peggiore performance tra gli iniziali 12 paesi membri. Se prima dell’introduzione dell’euro l’Italia era fra “l’elite” con il reddito pro capite fra i più elevati, attualmente registra il peggior dato, agganciando Grecia e Portogallo, che all’atto dell’entrata erano già i fanalini di coda dell’Eurozona. Insomma, un vero e proprio fallimento per il nostro paese. Ma la ricerca della Bce va oltre, rivelando candidamente che i famosi criteri di convergenza, tanto cari alle Istituzioni Europee (leggasi Troika), non hanno fatto altro che ampliare le divergenze fra gli euro-paesi e, strano a dirsi, chi ci ha rimesso di più è stata proprio l’Italia!
-
Comprare l’Italia (per poi chiuderla) prima che crolli l’euro
La teoria comincia a confermare i peggiori presagi di alcuni “malpensanti”, ad esempio Mitt Dolcino che mi ospita su questo sito. Quello che è stato a più riprese previsto dall’autore sopra citato si può riassumere come segue: la stagflazione in regime di cambi fissi è una moderna forma di neocolonialismo tedesco a danno dei supposti “partner” deboli dell’Ue; le ricette austere di matrice tedesca stanno indebolendo le aziende dell’Europa periferica ed italiana in particolare che quindi vengono acquisite dall’estero, con massima attenzione per quei paesi che competono direttamente con la Germania (ad es. l’Italia, soprattutto l’Italia); appunto, la Germania è interessata ad acquisire nel Belpaese i competitor delle propie grandi aziende, non per investire con/in esse ma semplicemente per eliminare un avversario (pls check); questo verrà provato a breve con lo svuotamento delle attività italiane delle aziende acquisite, prima di tutto in termini di manodopera e di investimenti (nell’arco di circa un triennio); la Germania deve acquistare quel che resta delle imprese italiane – maggior competitor manifatturiero della Germania – PRIMA prima che l’euro si rompa, onde ovviare alla innegabile competizione della italiana a seguito della svalutazione competitiva che seguirà.Ecco, questa è in pillole la teoria che Mitt Dolcino ha propugnato nei suoi interventi degli scorsi tre anni; forse bisognerebbe ponderare se avesse/avrà o meno ragione, l’acquisto di Italcementi – il più grande cementiere del sud Europa – è un boccone enorme. Di più, un vero banco di prova. Vero che su questo sito si era preconizzata l’acquisizione in passato di Enel da parte dei tedeschi. Altrettanto vero che tale “piece of news” pare fosse informazione accurata, peccato che da una parte l’acquirente in pectore tedesco si stia letteralmente liquefacendo a seguito dei suoi enormi errori manageriali e dei pessimi (relativi al settore) risultati di bilancio (…); dall’altra il duo “governo/Ad di Enel” [bravissimo] hanno saputo tessere una tela ramificatissima e pregevolissima che, anche grazie a supporti esterni (Usa, vedasi l’accordo con Ge per il rinnovabile in Nord America) e all’astuzia del governo con le Tlc in fibra allocate al gigante elettrico, ha esteso le coperture della golden share [e della geopolitica che conta] alla nostra multinazionale dell’energia.Ma ciò non toglie che quello di Italcementi sia un vero simbolo, un passo decisivo nel piano egemonico tedesco, certamente – si teme – solo il primo di una serie: la Germania, avendo compreso che l’euro è destinato a crollare, deve comprare ORA ora le aziende che le fanno concorrenza, soprattutto nella manifattura e soprattutto nel suo settore di elezione, quello primario (cemento, acciaio, energia, autotrazione, chimica etc. ma non nell’oil in quanto ne fu esclusa dopo la sconfitta nell’ultima guerra). O al limite farle chiudere/sperare che chiudano, come la Riva Acciai competitore della iper-problematica ThyssenKrupp (il crollo di Riva a fine del 2011 ha prima di tutto salvato il gigante tedesco dell’acciaio; coincidenza delle coincidenze è che il crollo del nostro gruppo siderurgico sia coinciso con l’alba del governo di Mario Monti e del golpe contro un primo ministro italiano democraticamente eletto, considero il Professore certamente un affiliato o quasi dell’ordoliberismo tedesco, per non dire molto di più).E – lo ripeterò fino allo sfinimento – la Germania deve acquisire i propri competitor in Ue indeboliti dalla crisi PRIMA prima che l’euro si rompa, con il fine di evitare che la svalutazione competitiva italiana spiazzi i suoi giganti nazionali. Ben inteso, sarà facile verificare che Heidelberg ha acquisto Italcementi per farla chiudere o comunque per ridimensionarla, eliminando un competitor. Per altro solo l’aspetto fiscale – tasse molto più basse in Germania che in Italia – giustificherebbe la chiusura della maggioranza delle filiali italiane rispetto a quelle meno tassate/vessate in Germania. Verificate gente, verificate se quanto stiamo asserendo si trasformerà in realtà: in particolare occhio all’occupazione di Italcementi nei prossimi tre/quattro anni ed ai tagli che seguiranno, facile prevedere che finirà come Acciai Speciali Terni simboleggiata nel disastro di Torino, bassi investimenti e chiusura progressiva (speriamo che questa volta almeno si eviti la tragedia). Credetemi, questa storia la conosco davvero bene e non temo – purtroppo – smentita nella visione proposta.E in tutto questo tristissimo epilogo, i nostri politici fanno grande fatica a riconoscere la grave realtà che ci aspetta; questo è l’aspetto più irritante. E soprattutto, a vedere l’ormai evidente protervia tedesca, un piano ben congegnato. Attenti, politici: se la disoccupazione dovesse esplodere per colpa diretta dei tedeschi, stile abbattimento/forte ridimensionamento di Italcementi da parte di Heidelberg, penso che questa volta rischierete davvero di pagarla di fronte ai cittadini, soprattutto vis a vis con le maestranze esodate in forza ad esempio degli effetti del Jobs Act. E ai giovani intraprendenti dico: andatevene da questo paese, se la politica permette che gli stranieri che ci impongono il rigore ci comprino i nostri grandi gruppi a valle all’indebolimento preventivo causato dall’austerity, per voi non c’è futuro. E probabilmente nemmeno per i giovani politici; aspettate per credere, sono pronto a scommettere che da qui a qualche anno saranno loro i responsabili del disastro. Ben inteso, fosse per me chiederei a Mario Monti di emigrare…(“La teoria secondo cui il sistema tedesco deve comprarsi la manifattura italiana prima del crollo dell’euro comuncia ad avverarsi: Italcementi acquistata da Heidelberg”, intervento di “Fantomas” da “Scenari Economici” del 29 luglio 2015).La teoria comincia a confermare i peggiori presagi di alcuni “malpensanti”, ad esempio Mitt Dolcino che mi ospita su questo sito. Quello che è stato a più riprese previsto dall’autore sopra citato si può riassumere come segue: la stagflazione in regime di cambi fissi è una moderna forma di neocolonialismo tedesco a danno dei supposti “partner” deboli dell’Ue; le ricette austere di matrice tedesca stanno indebolendo le aziende dell’Europa periferica ed italiana in particolare che quindi vengono acquisite dall’estero, con massima attenzione per quei paesi che competono direttamente con la Germania (ad es. l’Italia, soprattutto l’Italia); appunto, la Germania è interessata ad acquisire nel Belpaese i competitor delle propie grandi aziende, non per investire con/in esse ma semplicemente per eliminare un avversario (pls check); questo verrà provato a breve con lo svuotamento delle attività italiane delle aziende acquisite, prima di tutto in termini di manodopera e di investimenti (nell’arco di circa un triennio); la Germania deve acquistare quel che resta delle imprese italiane – maggior competitor manifatturiero della Germania – prima che l’euro si rompa, onde ovviare alla innegabile competizione della italiana a seguito della svalutazione competitiva che seguirà.
-
La svolta di Grillo: basta euro, moneta sovrana o morte
«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.Solo dopo lo schianto clamoroso della Grecia di Tispras, Beppe Grillo alza la testa, avendo a lungo ignorato ogni appello a costruire un’alternativa politica basata necessariamente su un’alternativa economica, partendo quindi dalla denuncia dell’euro come abominio monetario, puro strumento di dominazione congegnato da un’élite oligarchica che tutto privatizza, cominciando dalla moneta, per togliere allo Stato (e alla comunità pubblica dei cittadini) ogni residua ragion d’essere. In un post sul suo blog, il leader del M5S rompe gli indugi con un’analisi senza precedenti: dall’euro bisogna uscire di corsa, perché dentro la moneta unica europea non esiste possibilità di salvezza. Lo pensa anche Nigel Farage, il leader dell’Ukip, pronto a guidare la campagna referendaria del 2017 per spingere la Gran Bretagna fuori dall’Ue. Un altro referendum sarà indetto in Austria, sempre per chiedere l’uscita del paese dall’Unione Europea. Per non parlare della Francia, dove il Front National di Marine Le Pen minaccia l’uscita dall’Ue se a Parigi non sarà accordata l’uscita “morbida” dall’euro.Non da oggi, un economista di sinistra come Emiliano Brancaccio accusa l’Italia: non è stata mai neppure ventilata la minaccia di uscire dal mercato comune europeo, argomento che sarebbe fortissimo per costringere Germania e Ue ad accettare una revisione radicale dei terrificanti trattati europei. Se “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna continuano a fantasticare sulla possibilità di vivere nel benessere pur restando nell’Eurozona, in tutti questi anni il Movimento 5 Stelle è rimasto in silenzio, limitandosi a proporre il “reddito di cittadinanza” contro il rigore sociale imposto da Bruxelles e poi un referendum consultivo sulla moneta unica. Ora, di colpo, Grillo cambia marcia. Il premier greco? «Rifiutare a priori l’Euroexit è stata la sua condanna a morte: convinto, come il Pd, che si potesse spezzare il connubio “euro & austerità”, Tsipras ha finito per consegnare il suo paese, vassallo, nelle mani della Germania. Pensare di opporsi all’euro solo dall’interno presentandosi senza un esplicito piano-B di uscita ha infatti finito per privare la Grecia di ogni potere negoziale al tavolo dell’euro-debito».Aggiunge Grillo: solo Vendola, il Pd e i media ispirati da Scalfari e «dai nostalgici del manifesto di Ventotene», cioè il miraggio degli Stati Uniti d’Europa, «potevano credere ad un euro senza austerità». E oggi «sono costretti a continuare a far finta di crederci, pur di non dover ammettere l’opportunità di una uscita dopo sette anni di disastri economici». Lo stesso Grillo non brilla per tempismo: oggi, nel 2015, abbraccia le tesi sovraniste enunciate da Paolo Barnard a partire dal 2010. E lo fa dopo aver rifiutato – durante la nera stagione di Monti e Fornero – la consulenza di Warren Mosler e del team di ecomomisti della Modern Money Theory, gli stessi che permisero all’Argentina di liberarsi del cambio fisso col dollaro, che (esattamente come l’euro) condannava l’economia del paese. Ora, Grillo riconosce che «la conseguenza di questa catastrofe politica è davanti agli occhi di tutti». Ovvero: «Nazismo esplicito da parte di chi ha ridotto la periferia d’Europa a suo protettorato attraverso il debito, con ricorsi storici allarmanti». E poi: «Mutismo o esplicito supporto alla Germania da parte degli altri paesi europei vuoi per opportunismo (nord) o per subalternità (periferia)». E ancora: «Mercati finanziari che celebrano con nuovi massimi la fine della democrazia».La Grecia è tristemente eloquente: «Esproprio del patrimonio nazionale attraverso l’ipoteca di 50 miliardi di euro sui beni greci finiti nel fondo voluto da “Adolf” Schaeuble per passare all’incasso dei suoi crediti di guerra». Nessuna sorpresa: era tutto «studiato, previsto, pianificato nei minimi dettagli», perché «la Germania è sistematica nella sua strategia: prima crea un nuovo precedente e poi lo utilizza nella battaglia successiva imponendo decisioni via via più invasive della democrazia grazie al ‘chi tace acconsente’». Irlanda, Spagna e Portogallo «dovevano dimostrare che il rigore paga, sia in termini di riforme (tassazione per pagare gli interessi sul debito e svalutazione interna attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori) che in termini di interessi sul debito riportati a casa e pagati col sangue dei paesi debitori». Per non parlare di Cipro, che «ha dimostrato che i depositi bancari, se serve, si possono attaccare, attingendo così non solo alle tasse sul reddito in nome dell’austerità, ma direttamente al patrimonio privato dei cittadini per ripagare il debito contratto».Con la Grecia, aggiunge il blog di Grillo, l’asticella è stata posta ancora più in alto, al punto di confiscare direttamente il patrimonio pubblico in un fondo la cui sede giuridica Schaeuble voleva inizialmente trasferire addirittura fuori dalla Grecia. «E’ l’Italia il destinatario finale di questi precedenti seminati lungo il percorso dell’euro-debito in nome della presunta irreversibilità dell’euro». E’ inutile far finta di non vederlo, aggiunge Grillo: «La Grecia offre dunque una nuova lezione per l’Italia, da cui faremmo bene ad imparare se vogliamo farci trovare pronti quando arriverà il nostro turno di debitori». Renzi? In questa fase storica è «una minaccia nazionale», perché è «un premier che argomenta bene contro l’austerity, ma che resta negazionista nei fatti sulla Euroexit, a digiuno di economia monetaria e con una strategia politica improvvisata». In altre parole: quello che è valso oggi per Tsipras «varrà domani per Renzi». Attenzione: «Un piano-B di uscita è essenziale per l’Italia, chiunque sia al governo», conclude Grillo. «Con un enorme debito pubblico e una economia manufatturiera orientata all’export è da irresponsabili non farsi trovare pronti ad una eventuale uscita, non necessariamente forzata da noi, ma eventualmente subita da decisioni altrui, visto che nessuno può prevedere il corso degli eventi».Ed è bene «non contare sugli altri», perché «quando arriverà il momento saremo soli». Proprio com’è successo a Tsipras, «che ha sbagliato i suoi conti sperando di trovare sostegno strada facendo dai cugini periferici, che invece si nascondevano nell’ombra del ‘questa volta non tocca a noi’». Secondo Grillo, il referendum proposto dal M5S tramite una legge di iniziativa popolare è «uno strumento essenziale», dal momento che «potrà servire a spiazzare l’avversario e a dare legittimità democratica all’Euroexit». Il leader dei 5 Stelle propone di «usare il nostro enorme debito come minaccia». Lo considera «un vantaggio che ci consente di attaccare al tavolo di ogni negoziazione futura», e non «uno spauracchio da subire per abbozzare alle richieste dei creditori». Questo, aggiunge Grillo, vuol dire «non consentire alcuna ingerenza tedesca nel nostro legittimo diritto di ridenominare il nostro debito in un’altra valuta, se e quando arriverà il momento». Grillo pensa sia anche necessario rafforzare, sa subito, gli istituti di credito italiani, perché «la minaccia di fallimento delle banche e la chiusura dei rubinetti della liquidità è ciò che alla fine ha fatto capitolare Tsipras».Grillo raccomanda addirittura di «prepararsi alla nazionalizzazione delle banche», oltre che «al passaggio ad un’altra moneta». Lo ritiene «il modo per non perdere la prima battaglia che dovremo affrontare quando arriverà il momento di staccarci dal bocchettone della Bce». Ogni piano-B, aggiunge, dovrà quindi prevedere l’introduzione di una moneta parallela, che all’evenienza potrà essere adottata per avviare il processo di uscita in maniera soft. Ancora più insolita l’analisi geopolitica di Grillo, che chiede di «tenere un occhio a Francoforte e l’altro a Washington», accusando direttamente l’élite statunitense di voler tenere in vita l’euro fino all’approvazione europea del Ttip, il trattato con gli Usa ridurranno in schiavitù l’Europa, così come ha finora fatto la Germania con l’arma della moneta unica creata su misura per Berlino. «L’euro e’ ormai una guerra esplicita tra creditori e debitori», chiosa Grillo, ormai allineato – meglio tardi che mai – alla lucida e solitaria denuncia di Barnard, rimasto inascoltato per molti anni.«E’ inutile che il nostro governo si sforzi di apparire schierato dalla parte virtuosa dei vincitori euristi e riformisti: l’euro – insiste il leader del Movimento 5 Stelle – non si può riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti-democratica». Il nostro debito è stato gonfiato dal ricorso alla finanza privata dopo il divorzio fra Tesoro e Bankitalia e poi è definitivamente esploso, restando fuori controllo, con l’adozione rovinosa della moneta “straniera”. La nostra assenza di crescita unita alla deflazione ci collocano a pieno titolo nella categoria degli sconfitti del debito? «Faremmo dunque bene a prepararci, con un governo esplicitamente anti-euro, all’assalto finale del patrimonio degli italiani», conclude Grillo. Patrimonio di famiglie e aziende ormai «sempre più a rischio, se non ci riprendiamo la nostra sovranità monetaria».«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.
-
Della Luna: con politici servi, non basterà uscire dall’euro
E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.Probabilmente la parte in buona fede, cioè la meno intelligente, di quelle persone, pur consapevole che la scarsità monetaria è un’illusione, ha collaborato ad affermarla come principio, ad introdurre i vincoli dell’austerità, la frusta dei mercati, il pungolo del rating e la minaccia dello spread, credendo che attraverso questi vincoli quantitativi sia possibile indurre i sistemi politici scadenti a usare bene la moneta, cioè a spendere in modo efficiente, produttivo, a fare riforme, ad ammodernarsi, a sopprimere gli sprechi e la corruzione. La prova dei fatti ha dimostrato che questa credenza era erronea, e che anzi i limiti quantitativi dell’austerità in diversi casi hanno prodotto un peggioramento qualitativo della spesa pubblica, oltre che a un peggioramento quantitativo del deficit, del debito, del Pil, del rating, dell’occupazione (i governi italiani del rigore, per esempio, hanno mantenuto e ampliato la spesa improduttiva destinata ai privilegi della casta, tagliando quella utile alla collettività, perché la casta, per conservare i suoi consensi e i suoi redditi mentre fa tagli della spesa sociale e aumenti di tasse, deve fare più clientelismo e più ruberie).Dire, con Tsipras e altri sedicenti di sinistra, che di fronte a questo fallimento dell’austerità, la soluzione sarebbe semplicemente più solidarietà, fare più spesa a deficit e comunitarizzare i debiti, significa voler restare entro il paradigma della scarsità monetaria. Specularmente, l’altro fronte del pensiero monetario sostiene che la soluzione del problema del rilancio economico sia l’approccio opposto, ossia smetterla coi mendaci dogmi della scarsità monetaria e con le relative, fallimentari ricette, e fare invece investimenti statali diretti mediante spesa pubblica a debito (che tanto lo Stato riesce sempre a sostenere, come dice la Modern Money Theory di Warren Mosler, stante che la moneta è un mero simbolo) oppure, meglio ancora, mediante una spesa sganciata dall’indebitamento (come raccomanda Antonino Galloni) attraverso l’emissione diretta di moneta da parte dello Stato. Ciò darebbe più benessere alla gente e slancio allo sviluppo, ma non migliorerebbe, anzi probabilmente peggiorerebbe, la qualità e l’efficienza della spesa, della produttività e della stessa società, incentivando atteggiamenti improduttivi, assistenzialisti e ristagnanti. Soprattutto nei paesi come l’Italia in cui la classe dominante è parassitaria e retriva, e la mentalità popolare è molto ideologica, e ampia parte della popolazione vive di redditi presi ad altra parte della popolazione. La storia insegna.La lezione da imparare e che la qualità e l’efficienza della spesa, cioè delle decisioni di spesa pubblica e privata, dipendono da fattori sociologici e politici inerenti ai differenti popoli, o ai differenti insiemi di popoli, e derivano dalle loro diverse storie. Lo dimostra il fatto che alcune nazioni vanno bene e altre male pur applicando o subendo tutte i medesimi erronei principi di economia monetaria. Cioè l’efficienza dipende dai fattori storici, sociologici, culturali; dai mores, dai meccanismi di produzione del consenso e della coesione di questo o quel popolo. I vincoli quantitativi esogeni non “correggono” questi fattori – semmai li accentuano. La Germania, il Veneto, la Lombardia hanno una spesa pubblica abbastanza efficiente; la Grecia, l’Italia, Roma, la Sicilia e la Campania no, perché hanno prassi, mores, mentalità diversi, che non correggi imponendo vincoli esterni di bilancio. I popoli efficienti non dovrebbero avere una moneta comune con i popoli inefficienti, né pagare per sostenerli. L’esperienza dell’euro mostra che imporre una moneta comune (anzi, un cambio fisso) a popoli con diverse efficienze non alza quella dei meno efficienti, ma li impoverisce; e l’esperienza dell’Italia unitaria, della Jugoslavia e di altri paesi simili mostra che non la alza nemmeno l’imporre l’unione di bilancio e la solidarietà.Tutti questi fattori, però, vengono oggi superati, sconvolti e travolti dal fatto che il grosso della spesa, dei movimenti monetari, cioè del business, avviene in mercati finanziari, apolidi, e secondo logiche aliene dalla produzione di beni e servizi e dal soddisfacimento dei bisogni reali. Se il 90% delle transazioni monetarie avviene in mercati speculativi liberalizzati, perlopiù opachi e non controllabili, il ruolo delle società, della politica e delle istituzioni nelle scelte di spesa, quindi lo stesso grado di efficienza specifica dei vari organismi nazionali, viene drasticamente ridotto. Le dinamiche e le richieste dei mercati speculativi cambiano continuamente le carte sui tavoli politici e schiacciano le decisioni degli attori del residuo 10% delle transazioni economiche, cioè dei popoli e dell’economia reale, pubblica e privata. Tendono a imporre loro i propri bisogni e le proprie decisioni, a fare di essi una loro colonia, una sorte di appendice, che serve essenzialmente ad assicurare al business speculativo riferimenti contabili stabili e un quadro legislativo-giudiziario di supporto. I bisogni della gente non devono interferire. Perciò lo Stato è divenuto rappresentante di interessi esterni e in conflitto con quelli del popolo, quindi ha perso la legittimazione rispetto a questo.(Marco Della Luna, “Dopo la scarsità monetaria”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2015).E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.
-
Banche, tasse, euro? Siete morti (Thomas Jefferson, 1800)
Sulla distruzione del potere degli Stati di spendere per l’Interesse Pubblico, da parte del sistema euro che consegna questo potere alle banche, dalla Bce in giù: «Penso che le banche siano, per la nostra libertà, più pericolose di un esercito… se la gente permette alle banche private di controllare l’emissione di moneta, prima con inflazione e poi con deflazione, le banche e le corporations che cresceranno attorno alle grandi banche priveranno la gente delle proprie cose, finché i loro figli si troveranno a dormire sotto i ponti». Sulla sproporzionata tassazione impostaci dal Pareggio di Bilancio in Costituzione e che finanzia la nostra distruzione sociale, ordine della Troika europea e che nessun italiano ha mai votato. E sulla giusta reazione contro la tirannia della Troika: «Obbligare la gente a finanziare con le proprie tasse la propaganda di idee che non sono nel loro interesse, è criminale e tirannico… L’albero della libertà va rinfrescato di tanto in tanto col sangue dei patrioti e dei tiranni».Sulla devastazione di redditi e pensioni, sotto false pretese di salvezza nazionale, per arricchire un nugolo di speculatori e ‘rentiers’: «La felicità di un popolo esiste se esso riesce ad impedire al governo di distruggere il lavoro della gente con la falsa scusa di tutelarli… Infatti la democrazia muore quando si ruba a chi lavora per dare a chi non fa nulla». Autore di queste parole è Thomas Jefferson, 1743-1826. Ok, abbiamo fatto passi avanti.(Paolo Barnard, “Commenti sulla dittatura finanzia e politica odierna”, dal blog di Barnard del 26 giugmo 2015).Sulla distruzione del potere degli Stati di spendere per l’Interesse Pubblico, da parte del sistema euro che consegna questo potere alle banche, dalla Bce in giù: «Penso che le banche siano, per la nostra libertà, più pericolose di un esercito… se la gente permette alle banche private di controllare l’emissione di moneta, prima con inflazione e poi con deflazione, le banche e le corporations che cresceranno attorno alle grandi banche priveranno la gente delle proprie cose, finché i loro figli si troveranno a dormire sotto i ponti». Sulla sproporzionata tassazione impostaci dal Pareggio di Bilancio in Costituzione e che finanzia la nostra distruzione sociale, ordine della Troika europea e che nessun italiano ha mai votato. E sulla giusta reazione contro la tirannia della Troika: «Obbligare la gente a finanziare con le proprie tasse la propaganda di idee che non sono nel loro interesse, è criminale e tirannico… L’albero della libertà va rinfrescato di tanto in tanto col sangue dei patrioti e dei tiranni».
-
Galloni demolisce Renzi: ripresa inesistente (e impossibile)
Secondo Renzi, l’andamento del Pil dimostra che l’economia italiana è fuori dalla crisi? Numeri “confortanti e superiori alle più rosee aspettative degli economisti”, che prevedavano una ripresa dello 0,2% del Pil, mentre si sarebbe attestata allo 0,3? Inversione di tendenza, che segnala che il paese è fuori dal pericolo della deflazione? Mi dispiace, non è assolutamente così. Chiunque può capire che 0,3 o 0,4 non significa nulla. In tempi in cui la domanda di lavoro era rappresentata soprattutto da contratti a tempo indeterminato, avevamo calcolato che se non si superava il 2- 2,5% – quindi tutt’altro, cioè dieci volte di più di quello di cui stiamo parlando adesso – un aumento significativo dell’occupazione non si poteva registrare. Noi recentemente abbiamo avuto un aumento dei contratti, perché sono state sostituzioni – si è passati da una tipologia a un’altra – ma il livello occupazionale ha continuato a ridursi in modo significativo. Riguarda molto la manifattura, ovviamente. Avremmo un grande potenziale nei servizi di cura e nelle attività ambientali, ma non ci sono le risorse per far crescere l’occupazione, dato che il bilancio dello Stato non ha disponibilità.Si è scelto di non averne, disponibilità – perché potremmo averla, come altri paesi: un minimo di sovranità monetaria, accordi, deroghe, eccetera – ma non abbiamo voluto niente, perché la classe politica ha deciso una rigidità assoluta. La Germania? No, lo abbiamo deciso noi, e ci siamo appiattiti su posizioni che facevano comodo alla Germania, ma è sempre una scusa quando si dice “lo vuole l’Europa, la Germania, i trattati”. Chi li ha firmati, i trattati? Perché li abbiamo firmati? Chi è andato a firmare i trattati non sapeva a che cosa esponeva il paese? Oggi ci sono 56 miliardi di insoluto che si riferiscono alle bollette e alle rate non pagate, dal 2014: un +13% rispetto all’anno precedente. Il 12% di questo è l’insoluto relativo alle imprese. Il credito non viene ancora concesso, per andare incontro alle piccole e medie imprese. Il credito, quello che servirebbe alla ripresa, quello di cui parlava Draghi per gli investimenti, non viene concesso perché la ripresa non c’è. Finché non c’è la ripresa non ci sarà la domanda per investimenti, che attraverso un’azione di credito da parte delle banche metterà in moto il meccanismo.Invece le famiglie e le imprese piccole, che hanno bisogno di prestiti, si trovano sempre nella lista nera delle banche perché sono considerati soggetti a rischio, soggetti deboli, e quindi non vengono aiutati. E’ giusto sottolineare che, a fronte di una riduzione del reddito pro capite, che è molto più forte di quella del Pil – perché non ci dimentichiamo che la popolazione residente, per l’aumento degli stranieri, comunitari ed extracomunitari (nel passato soprattutto comunitari, adesso stanno arrivando anche gli extracomunitari) – è aumentata nella media dello 0,5% all’anno, cioè 250-300.000 persone. Questo fa calare il Pil pro capite, che è il principale indicatore che ci può far capire se i consumi si riprendono o meno. Ma, d’altra parte, ci sono le bollette, le spese, gli insoluti condominiali: è un disastro, la gente è sempre più indebitata, deve pagare sempre di più, ma gli stipendi e l’occupazione vanno male. E quindi, ovviamente, non c’è nessuna prospettiva di ripresa, perché non ci dobbiamo mai dimenticare che il principale aggregato macroeconomico che serve per la ripresa sono i consumi. Ma se non aumentano gli stipendi, o non aumenta la spesa pubblica, non c’è nessuna speranza che ci sia la ripresa, finché non cambiamo politica economica.(Nino Galloni, dichiarazioni rilasciate a “Uno Mattina”, Rai Uno, il 15 maggio 2015, intervista ripresa su YouTube. Insigne economista italiano, Galloni è stato collaboratore del keynesiano Federico Caffè. Ha insegnato economia a Roma e Milano).Secondo Renzi, l’andamento del Pil dimostra che l’economia italiana è fuori dalla crisi? Numeri “confortanti e superiori alle più rosee aspettative degli economisti”, che prevedavano una ripresa dello 0,2% del Pil, mentre si sarebbe attestata allo 0,3? Inversione di tendenza, che segnala che il paese è fuori dal pericolo della deflazione? Mi dispiace, non è assolutamente così. Chiunque può capire che 0,3 o 0,4 non significa nulla. In tempi in cui la domanda di lavoro era rappresentata soprattutto da contratti a tempo indeterminato, avevamo calcolato che se non si superava il 2- 2,5% – quindi tutt’altro, cioè dieci volte di più di quello di cui stiamo parlando adesso – un aumento significativo dell’occupazione non si poteva registrare. Noi recentemente abbiamo avuto un aumento dei contratti, perché sono state sostituzioni – si è passati da una tipologia a un’altra – ma il livello occupazionale ha continuato a ridursi in modo significativo. Riguarda molto la manifattura, ovviamente. Avremmo un grande potenziale nei servizi di cura e nelle attività ambientali, ma non ci sono le risorse per far crescere l’occupazione, dato che il bilancio dello Stato non ha disponibilità.
-
Mosler: salvi col deficit all’8%, ma Berlino vi vuole morti
Le nostre idee sono arrivate a Obama, quando sono stato candidato al Senato in Connecticut, nel 2010, proponendo una riduzione o un’eliminazione del cuneo fiscale. Del resto, la tassazione sulla busta paga è l’imposta più regressiva che abbiamo negli Usa e l’argomento è quindi efficace. Scrissi alcuni articoli e feci alcune apparizioni televisive, e Jamie Galbraith, consigliere di Obama, cominciò a riprendere i nostri contenuti pubblicamente. L’idea suscitò anche l’interesse dell’amministratore delegato della General Electric, Jeffrey Immelt, e poi quello di Troy Nash, un altro degli assistenti di Obama. E così il taglio del cuneo fiscale è diventato legge. Si tratta di un taglio minimo, del 2%, ma importante, anche perché è uno dei pochi provvedimenti bipartisan. Questa misura ha contribuito ad alimentare la crescita negli Stati Uniti, che ha subìto poi un sostanziale rallentamento nel momento in cui il governo ha voluto iniziare a ridurre il deficit pubblico.Nell’area Euro i trattati rendono difficili, se non impossibili gli investimenti e l’ampliamento del welfare. Manca la volontà politica. Ed è un peccato, perché basterebbe decidere di aumentare il vincolo di rapporto col Pil dal 3 per cento all’8. Senza altre variazioni nella struttura delle istituzioni Ue, la disoccupazione diminuirebbe e la crescita potrebbe arrivare anche al 4%. Non è una strada che piace alla Germania, però. La Germania ha un problema del tutto ideologico, persino filosofico. Gli intellettuali progressisti hanno a lungo visto nell’Unione Europea una via maestra per il rifiuto delle politiche regressive di stampo nazionalista. Sfortunatamente chi governa oggi questa istituzione ha sviluppato un’agenda economica fortemente regressiva, di destra. Uscirne tuttavia significa esporsi, appunto, ad un alto rischio di crescita del nazionalismo. La sfida è capire quale fra tutte le possibili strade sia meno “di destra” rispetto alle altre.Restando nell’Eurozona, se vi fosse la volontà politica di fare qualunque cosa di diverso rispetto alle politiche attuali, allora bisognerebbe puntare ad incrementare il deficit. Le istituzioni europee credono che agire sui tassi di interesse migliori l’economia e che le riforme strutturali consentano di aumentare l’occupazione. Non è così. L’euro a due velocità? Ancora una volta, credo manchi la volontà. I politici sono stati trasformati in esattori delle tasse: non hanno nessuna prospettiva economica. E in Italia non hanno nessun interesse, al governo sono totalmente passivi. Qualcuno mi ha chiesto quale politica economica abbia in mente Renzi: ho risposto che non ne ha una! E come lui, però, nessuno, in Europa. Manca la logica. Ad esempio: mettiamo che voi crediate realmente che in Grecia siano tutti pigri e nessuno abbia voglia di lavorare. Anche se voleste punirli, che senso ha creare politiche in cui gli stessi greci sono messi nelle condizioni di non poter più lavorare?Credo che il tasso di cambio dell’euro si rafforzerà molto e la Germania vedrà le esportazioni nette deteriorarsi. Non c’è nulla che siano in grado di fare. Sono impotenti. Sarà una distruzione della società fondata sulla deflazione e l’apprezzamento della valuta. Nei sei mesi scorsi l’euro è sceso temporaneamente, perché le banche centrali mondiali hanno reagito al Quantitative Easing e hanno iniziato a vendere grandi quantità di euro; questo processo però terminerà. Ora che l’euro tornerà a crescere, cosa faranno? Non gli resta nulla.(Warren Mosler, dichiarazioni rilasciate a “Left” per l’intervista “In Germania un problema ideologico, persino filosofico”, pubblicata il 23 maggio 2015 e ripresa dal blog “Vox Populi”)Le nostre idee sono arrivate a Obama, quando sono stato candidato al Senato in Connecticut, nel 2010, proponendo una riduzione o un’eliminazione del cuneo fiscale. Del resto, la tassazione sulla busta paga è l’imposta più regressiva che abbiamo negli Usa e l’argomento è quindi efficace. Scrissi alcuni articoli e feci alcune apparizioni televisive, e Jamie Galbraith, consigliere di Obama, cominciò a riprendere i nostri contenuti pubblicamente. L’idea suscitò anche l’interesse dell’amministratore delegato della General Electric, Jeffrey Immelt, e poi quello di Troy Nash, un altro degli assistenti di Obama. E così il taglio del cuneo fiscale è diventato legge. Si tratta di un taglio minimo, del 2%, ma importante, anche perché è uno dei pochi provvedimenti bipartisan. Questa misura ha contribuito ad alimentare la crescita negli Stati Uniti, che ha subìto poi un sostanziale rallentamento nel momento in cui il governo ha voluto iniziare a ridurre il deficit pubblico.