Archivio del Tag ‘Deep State’
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Italia, clima sabotato? Magaldi: possibile, ma improbabile
Qualcuno ha deciso di “bombardare” l’Italia scatenando tempeste e alluvioni? Le tecnologie di manipolazione del clima esistono, ammette Gioele Magaldi, che però aggiunge: chi mai potrebbe essere così irresponsabile da utilizzare deliberatamente, e in modo doloso, strumenti così pericolosi? La storia degli ultimi decenni, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, dimostra che finora, anche nei momenti peggiori, è sempre prevalsa una sorta di saggezza di fondo: la stessa che, durante la Guerra Fredda, ha impedito a Usa e Urss di impiegare i rispettivi, devastanti arsenali nucleari. Certo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la catastrofe meteorologica che sta flagellando l’Italia impone un drastico ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente. Abusi e devastazioni possono presentare un conto salatissimo, anche se stavolta l’apocalisse delle Dolomiti – valli sventrate e intere foreste secolari cancellate – disegna un orizzonte inedito. Il panorama è più inquietante del consueto, drammatico bollettino di guerra stagionale fatto di strade interrotte, ponti crollati e paesi isolati, acquedotti lesionati e infrastrutture distrutte. La minaccia si chiama surriscaldamento climatico, e sembra inarrestabile. Gli alberi crollano, seminando morti e feriti, sotto trombe d’aria mai viste a queste latitudini. E potrebbe essere solo l’inizio.I paesi del Mediterraneo sono quelli più a rischio, dicono recenti studi universitari: ci siamo surriscaldati più del resto del mondo (+1,4 gradi centrigradi) e siamo stati bersagliati da un maggior numero di eventi estremi. Peggio: nei prossimi anni, per la nostra area si prevede un riscaldamento del 25% in più rispetto alla media mondiale. I dati emergono da una ricerca internazionale condotta da svariati atenei dell’area (Marsiglia e Barcellona, Salento e Nicosia, Haifa e Rabat), pubblicata sulla “Nature Climate Change”. Il riscaldamento nel Mediterraneo è più elevato che nel resto del mondo per una serie di motivi combinati tra loro: «La regione si trova in una zona di transizione fra i regimi di circolazione atmosferica delle medie latitudini e della fascia subtropicale. È caratterizzata da una complessa morfologia di catene montuose e forti contrasti terra-mare, una popolazione umana densa e in crescita, e varie pressioni ambientali». Secondo 13 agenzie Usa, è colpa dell’uomo se si registrano temperature da record. Quelle degli Stati Uniti sono aumentate drammaticamente negli ultimi decenni, toccando il loro livello più alto da 1.500 anni. A dirlo è un rapporto federale: per gli scienziati, dal 1880 al 2015 le temperature sono aumentate di 1,6 gradi Fahrenheit (0,9 gradi centigradi) e le cause sono da considerarsi legate al comportamento degli esseri umani.Dal 1980 la situazione è addirittura precipitata, secondo il rapporto Usa, con un drammatico aumento delle temperature che ha portato al clima più caldo degli ultimi 1.500 anni: «Ci sono evidenze che dimostrano come le attività umane, specialmente le emissioni di gas serra, sono le principali responsabili dei cambiamenti climatici rilevati nell’era industriale. Non ci sono altre spiegazioni alternative, non si tratta di cicli naturali che possano spiegare questi cambiamenti climatici». Secondo un rapporto dell’istituto europeo Climate Analytics, non sarà possibile contenere l’aumento della temperatura globale sotto i 2 gradi centigradi se l’Unione Europea non avvierà da subito la chiusura di oltre 300 centrali a carbone. In Italia, l’impatto delle violentissime perturbazioni “tropicali” è reso ancora peggiore a causa dello stato di abbandono e di degrado di troppe aree: deforestazione e cementificazione selvaggia. Non è il caso però delle Dolomiti, dove sono stati rasi al suolo – in modo inaudito – migliaia di ettari di bosco in perfetta salute. A chi si interroga sull’anomalo infittirsi di scie rilasciate dagli aerei (paesi come Israele e la Cina ammettono di utilizzare l’aviodispersione per modificare il clima) si risponde che mancano riscontri certi sulle vere cause del disastro che sta mettendo in ginocchio l’Italia. Certo è la Terra a presentarci il conto dei troppi abusi subiti, mentre il rialzo termico non accenna ad arrestarsi e le temperature restano pericolosamente molto al di sopra delle medie stagionali.A un quadro già così fosco è possibile aggiungere l’impatto di un’ipotetica modifica climatica segreta? Nel suo bestseller “Massoni”, Magaldi ha svelato i peggiori retroscena del potere mondiale. Sabotatori del clima a scopo anti-italiano? «Se qualcuno suppone che vi siano degli interventi proditori, questi sono tecnicamente possibili, in certi casi», ammette Magaldi: «Siamo nell’ambito del possibile, non sono tesi assurde o strampalate. Poi però – aggiunge – bisogna verificare i fatti, in termini scientifici, avendo la capacità di ricostruire una narrativa coerente e congruente». Innanzitutto: cui prodest? «A chi giova mettere in atto, da apprendista stregone, delle dinamiche tragiche e che possono diventare incontrollabili?». Si tratterebbe di «strumentazioni potentissime e pericolosissime», alla portata del Deep State e del back-office del potere? Se ad allarmarsi sono i comuni cittadini, che magari «seguono siti o pubblicazioni più o meno complottarde», figuriamoci se la situazione potrebbe mai cogliere di sorpresa «tutti i segmenti delle agenzie di intelligence». In altre parole: «Non è facile, fare delle cose del genere», ribadisce Magaldi. «Tenderei a ritenere poco plausibile, anche se possibile, che qualcuno voglia operare in questi termini, cioè scatenare proditoriamente e consapevolmente delle situazioni di questo tipo. Però – ripete – siamo nel campo delle ipotesi: in termini scientifici, se qualcuno ha gli strumenti (e le fonti) per approfondire in modo adeguato, lo faccia e lo racconti».Qualcuno ha deciso di “bombardare” l’Italia scatenando tempeste e alluvioni? Le tecnologie di manipolazione del clima esistono, ammette Gioele Magaldi, che però aggiunge: chi mai potrebbe essere così irresponsabile da utilizzare deliberatamente, e in modo doloso, strumenti così pericolosi? La storia degli ultimi decenni, dice Magaldi in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, dimostra che finora, anche nei momenti peggiori, è sempre prevalsa una sorta di saggezza di fondo: la stessa che, durante la Guerra Fredda, ha impedito a Usa e Urss di impiegare i rispettivi, devastanti arsenali nucleari. Certo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la catastrofe meteorologica che sta flagellando l’Italia impone un drastico ripensamento del nostro rapporto con l’ambiente. Abusi e devastazioni possono presentare un conto salatissimo, anche se stavolta l’apocalisse delle Dolomiti – valli sventrate e intere foreste secolari cancellate – disegna un orizzonte inedito. Il panorama è più inquietante del consueto, drammatico bollettino di guerra stagionale fatto di strade interrotte, ponti crollati e paesi isolati, acquedotti lesionati e infrastrutture distrutte. La minaccia si chiama surriscaldamento climatico, e sembra inarrestabile. Gli alberi crollano, seminando morti e feriti, sotto trombe d’aria mai viste a queste latitudini. E potrebbe essere solo l’inizio.
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Casalino e il Deep State. Mazzucco: che ingenui, i 5 Stelle
«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».Mazzucco è un abile demistificatore: ben attento a non finire nel variopinto girone del complottismo “gridato”, si dedica da anni a studiare meticolosamente i complotti veri. E’ stato tra i primi a dimostrare che la versione ufficiale sull’11 Settembre fa acqua da tutte le parti. E nell’ultimo film, “American Moon”, certifica che le storiche immagini dell’allunaggio, purtroppo, non sono state affatto realizzate sulla Luna, ma in studi cinematografici o in teatri di posa. Fa sempre notizia il lavoro di Mazzucco, sia che si tratti della “nuova Peral Harbor” scatenata a Manhattan e comodamente attribuita ad Al-Qaeda, sia che sul monitor compaia una seria indagine sulle cure alternative per il cancro. E a proposito di salute: non certo ostile ai 5 Stelle, Mazzucco ha aspramente criticato il clamoroso voltafaccia sui vaccini, coi pentastellati prima tiepidi sul decreto Lorenzin e poi in confusione assoluta, ora che – con Giulia Grillo – avrebbero in mano le leve ministeriali del governo della sanità. Solo che, tra il dire e il fare, c’è appunto di mezzo la politica: «Me ne sono sempre tenuto alla larga, proprio perché temo quell’ambiente», confessa Mazzucco: «In passato ho anche rifiutato di impegnarmi personalmente, quando mi è stato chiesto di candidarmi, perché so che, per come sono fatto, essere costretto a confrontarmi con certe dinamiche mi farebbe perdere il sonno. Non fa per me, ecco tutto».Se però stiamo parlando di un soggetto politico come i 5 Stelle, aggiunge Mazzucco, le cose cambiano: «Nel momento in cui ti candidi a rivoluzionare l’Italia, non puoi non sapere che tipo di ostacoli incontrerai. I tuoi elettori, per primi, si aspettano che tu sappia perfettamente come muoverti. Bel guaio, se adesso scoprono che non sai bene che pesci pigliare». Un intero ministero che “rema contro” ostacolando lo stesso ministro, come nel caso di Tria, secondo la versione di Casalino? «Ma è ovvio, scusate», protesta Mazzucco: «Funziona così persino negli Usa», dove pure c’è un forte spoil-system e un robusto ricambio di funzionari, scelti dal politico che ha vinto le elezioni. «Il fatto è che puoi cambiare il ministro della difesa, non i generali: quelli restano. E se vogliono fare una guerra, prima o poi il ministro lo tirano dalla loro parte». Si chiama Deep State, ed è il potere che avrebbe bypassato lo stesso Bush durante la crisi dell’11 Settembre, per poi bivaccare alla Casa Bianca con Obama. Un potere, sempre lo stesso, che sta cercando di mettere in croce l’imprevedibile Donald Trump, finora sfuggito al suo controllo (e quindi braccato dal fantasma dell’impeachment). Come si può pensare che in Italia, a maggior ragione, non valgano le stesse regole? Come sperare che il Deep State euro-italico ceda docilmente il timone del dicastero dell’economia, teleguidato da Bruxelles?Appena quattro mesi fa, a fine maggio, Luigi Di Maio giunse ad annunciare ben altre dimissioni: non voleva mettere in stato di accusa oscuri funzionari, ma addirittura il capo dello Stato. La “colpa” di Mattarella? Aver impedito alla nascente alleanza gialloverde di insediare al ministero dell’economia Paolo Savona, fortemente avversato da Mario Draghi tramite il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Proprio da Visco, irritualmente, Mattarella “spedì” in udienza l’allora premier incaricato, Conte, perché prendesse nota delle raccomandazioni della banca centrale: guai a sforare il tetto (più che esiguo) imposto alla spesa pubblica dai super-poteri europei, pena lo tsunami dello spread. Nel giro di ventiquattr’ore, Di Maio ingoiò il rospo: rinunciare a Savona, pur di far nascere il governo. Giovanni Tria? Lo stesso Savona fu tra quanti ne approvarono la designazione, rivela Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Massone, Tria si dichiarò di opinioni progressiste, disponibile a infrangere – dopo inziali rassicurazioni – l’assurdo vincolo di spesa imposto dall’élite neoliberista che manovra le sedicenti istituzioni europee». Ora però lo stesso Magaldi è perplesso, su Tria: «Si decida a operare nel senso inizialmente concordato, viceversa i gialloverdi dovranno scegliere: o lui, o gli italiani (a cui hanno promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e pensioni dignitose, cancellando la legge Fornero)».Il guaio? Lo scomodissimo endorsement che l’euro-tecnocrate numero uno, «il gran maestro Mario Draghi, supermassone neo-aristocratico», ha tributato a Tria: apertamente elogiato, dal presidente della Bce, per la prudenza sui conti pubblici, ancora una volta improntati alla linea di rigore pretesa da Bruxelles. La battaglia è proibitiva: a “remare contro” il cambio di paradigma – più spesa pubblica, per rianimare l’economia – non sono solo Draghi, Visco e i fantomatici funzionari del ministero di Tria: tutto il mainstream giornalistico sta sparando ad alzo zero contro il nuovo governo. Ogni scusa è buona, a cominciare dall’intransigenza di Salvini sull’allegro “caos all’italiana” nella non-gestione dei migranti. E in questo pozzo di veleni, l’audio di Casalino irrompe come un petardo, per la gioia di telegiornali e talkshow. Tutto fa brodo, pur di continuare a non ragionare. Personaggi come Ferruccio De Bortoli (assistito nientemeno che da Piero Angela, su “Rai News 24”) arriva a rimpiangere la formidabile “ripresa” assicurata all’Italia dai compianti governi Renzi e Gentiloni, con all’economia Pier Carlo Padoan, ennesimo yesman di quel potere europeo che predica le virtù metafisiche del digiuno (altrui). Brutta bestia, il neoliberismo. Il suo capolavoro letterario, basato su conti truccati? La teoria – genere fantasy – della “austerity espansiva”, spacciata da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, da Harvard: fategli saltare i pasti, e l’affamato guarirà miracolosamente.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e allievo del keynsiano Federico Caffè, interviene spesso nel dibattito pubblico per correggere le “fake news” immesse nel sistema da Carlo Cottarelli, tecnocrate di scuola Fmi e venerato dal Deep State (e dai media) come una sorta di vestale dei conti pubblici. Lo stesso Mattarella sventolò la “nomination” di Cottarelli a Palazzo Chigi per indurre a più miti consigli i gialloverdi, che all’economia volevano Savona. E’ semplicissimo, il ragionamento di Galloni, suffragato da prove incontrovertibili: ogni euro ben speso sotto forma di deficit “renderà” 3 o 4 volte tanto, l’anno seguente, in termini di lavoro, fatturato, assunzioni, gettito fiscale. E dato che la spesa pubblica produttiva fa crescere il Pil, il risultato è automatico: il debito pubblico, di colpo, farà meno paura (proprio perché supportato dalla famosa crescita, quella che forse – durante i governi Renzi e Gentiloni – De Bortoli avrà al massimo intravisto, lontana anni luce dall’Italia, solo grazie al potente telescopio di Piero Angela). Lo scomposto, imbarazzante Casalino? Perfetto, per permettere ai media di continuare – come sempre – a guardare il dito, anziché la Luna (quella vera, non la “American Moon” del film di Mazzucco). Tradotto: fino a quando un signore come Mario Draghi darà bei voti al nostro ministro dell’economia, per gli italiani saranno rogne. Meno soldi per tutti. “Austerity espansiva”: uno strano Ramadan, imposto da oligarchi che nessuno ha mai eletto. Una piovra tenace, con tentacoli ovunque – a partire dai ministeri economici. Appunto: possibile che i 5 Stelle non lo sapessero fin dall’inizio?«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».
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Trump rischia: fu l’unico a denunciare il falso 11 Settembre
Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:Signor presidente, i crimini dell’11 settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo paese. Le scrivo da cittadino francese, il primo a denunciare le incongruenze della versione ufficiale e ad aprire il mondo al dibattito e alla ricerca dei veri esecutori. In un tribunale penale, in quanto giuria, dobbiamo determinare se il sospetto portatoci sia colpevole o meno, e, alla fine, decidere quale punizione dovrebbe ricevere. Quando abbiamo assistito agli eventi dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Junior ci ha detto che il colpevole era Al-Qaïda, e la punizione che avrebbe dovuto ricevere era il rovesciamento di coloro che l’avevano aiutata: prima i Talebani afghani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein. C’è tuttavia una serie di prove che attesta l’impossibilità di questa tesi. Se fossimo membri di una giuria, dovremmo oggettivamente dichiarare che i Talebani e il regime di Saddam non sono colpevoli di questo crimine. Questo da solo, naturalmente, non ci consentirebbe di indicare i veri colpevoli. Non potremmo però concepire di condannare parti innocenti sol perché non abbiamo saputo come trovare i colpevoli.Quando il segretario di Stato per la giustizia e il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, rivelarono i nomi dei 19 presunti dirottatori, capimmo tutti che stavano mentendo. Avevamo già di fronte a noi, infatti, le liste divulgate dalle compagnie aeree di tutti i passeggeri imbarcati – liste su cui nessuno dei sospettati era presente. Da lì, siamo diventati sospettosi della “Continuità del Governo”, l’istanza incaricata di subentrare alle autorità elette dovessero queste venire uccise durante uno scontro nucleare. Abbiamo avanzato l’ipotesi che questi attacchi mascherassero un colpo di Stato, in conformità col metodo Luttwak: mantenere l’apparenza dell’esecutivo, ma imponendo una politica diversa. Nei giorni successivi all’11 Settembre, l’amministrazione Bush prese diverse decisioni: la creazione dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale e il voto per un voluminoso codice antiterrorismo elaborato molto tempo prima, il Patriot Act. Per questioni che l’amministrazione stessa definisce “terroristiche”, questo testo sospende la Carta dei Diritti, che era il vanto del vostro paese. Sbilancia le vostre istituzioni. Due secoli più tardi, sancisce il trionfo dei grandi proprietari terrieri, che scrissero la Costituzione, e la sconfitta degli eroi della Guerra d’Indipendenza, che chiedevano che venisse aggiunta la Carta dei Diritti.Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, sotto il comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski. Quest’ultimo presentò immediatamente un programma, anch’esso pronto da tempo, che prevedeva il controllo dell’accesso alle risorse naturali dei paesi del sud geopolitico. Chiedeva la distruzione dello Stato e delle strutture sociali nella metà del mondo che non era ancora globalizzata. Il direttore della Cia lanciò contemporaneamente la “Worldwide Attack Matrix”, un pacchetto di operazioni segrete in 85 paesi, dei quali Rumsfeld e Cebrowski intendevano distruggere le strutture statali. Considerando che solo i paesi le cui economie erano globalizzate sarebbero rimasti stabili e che gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre hanno dispiegato le forze armate statunitensi al servizio degli interessi finanziari transnazionali. Hanno tradito il suo paese e l’hanno trasformato nell’ala armata di questi predatori. Negli ultimi 17 anni, abbiamo assistito alle bugie che vengono date ai suoi compatrioti dai successori di coloro che redassero la Costituzione e che al tempo si opposero – senza successo – alla Carta dei Diritti. Questi ricchi sono diventati super-ricchi, mentre la classe media è stata ridotta di un quinto e la povertà è aumentata. Abbiamo anche assistito all’attuazione della strategia Rumsfeld-Cebrowski: quasi tutto il Grande Medio Oriente è stato devastato da “guerre civili”. Intere città sono state cancellate dalla mappa, dall’Afghanistan alla Libia, tramite Arabia Saudita e Turchia, che non erano esse stesse in guerra.Nel 2001, solo due cittadini statunitensi hanno denunciato l’incoerenza della versione di Bush, due promotori immobiliari – il democratico Jimmy Walter, poi costretto all’esilio, e lei stesso, poi entrato in politica ed eletto presidente. Nel 2011, abbiamo visto il comandante di AfriCom sollevato dalla propria posizione e sostituito dalla Nato, per essersi rifiutato di sostenere Al-Qaïda nella liquidazione della Libia. Abbiamo poi visto il LandCom della Nato organizzare il sostegno occidentale ai jihadisti in generale, e ad al-Qaïda in particolare, nel loro tentativo di rovesciare la Siria. I jihadisti, considerati “combattenti della libertà” contro i sovietici, poi come “terroristi” dopo l’11 Settembre, ancora una volta sono quindi diventati alleati del Deep State (cosa che, in realtà, sono sempre stati). Con immensa speranza, abbiamo quindi osservato le sue azioni per sopprimere, uno ad uno, tutti i loro sostenitori. È con la stessa speranza che vediamo oggi che sta parlando con la sua controparte russa per riportare vita nel devastato Medio Oriente. È però anche con analoga ansia che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, inseguire la distruzione della sua patria attaccando la sua posizione. Signor presidente, non solo lei ed i suoi connazionali soffrite della diarchia che è salita al potere dal colpo di Stato dell’11/9, ma il mondo intero ne è vittima. Signor presidente, l’11 Settembre non è storia antica. È il trionfo di quegli interessi transnazionali che stanno schiacciando non solo il suo popolo, ma tutta l’umanità che aspira alla libertà.(Thierry Meyssan, “Lettera a aperta a Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre”, pubblicata da “Voltaire Net” il 30 agosto 2018 e quindi tradotta da Hmg per “Come Come Chisciotte”).Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:
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Oligarchia per popoli superflui: così vorrebbero sterminarci
La rivoluzione del XXI secolo è che, nel sistema tecnologico globalizzato e finanziarizzato, i popoli diventano sempre più intercambiabili e superflui per i nuovi processi di acquisizione di ricchezza e mantenimento del potere. Questa è la causa non detta della continua perdita di diritti sociali, civili, politici, del lavoro, oltre che di reddito, per la popolazione generale a vantaggio delle ristrette élites che prendono le decisioni esautorando o ricattando governi e parlamenti. E’ da questo che viene anche il crescente controllo manipolatorio e il tentativo di risolvere il problema ecologico applicando la biotecnologia alle masse. Nella crisi economico-monetaria e nella sua conduzione, al posto della democrazia trasparente e responsabile della narrazione ufficiale, è apparsa come potere politico effettivo, decidente, un’oligarchia bancaria irresponsabile, dinastico-familiare (assieme a un retrostante Stato-ombra fatto di apparati governativi più o meno segreti, insidiosi e altrettanto irresponsabili), che ha ripetutamente piegato la volontà dei popoli: un dato di fatto sempre più difficile da negare e da gestire, per istituzioni e mass media, che mette in crisi la legittimità giuridica del potere politico, la quale si basa sulla sua proclamata natura democratica.Se il potere non è democratico, se non ci rappresenta, se fa gli interessi di pochi, perché mai dovremmo obbedirlo e pagargli le tasse, anziché rifiutarlo, soprattutto quando ci affligge con misure ingiuste e illogiche? Machiavelli deve essere ignorato per credere nella possibilità della legalità, della democrazia, della trasparenza – per credere che la competizione per il potere e la sua gestione, nei rapporti interni come quelli internazionali, si svolgano secondo norme di legge e di etica, e in modo scoperto, senza ricorso a falsi scopi e all’inganno, che, di fatto, sono invece la regola. Sociologi e politologi sanno e scrivono da secoli su come stanno le cose, ma alla gente (che non legge quei libri) si è sempre raccontato il contrario, per ovvie ragioni. Del resto, in precedenza la gente a lungo ha creduto che i re regnassero per diritto datogli da Dio. Tra governanti e governati vi è una complementarità di bisogni: i primi abbisognano di illudere i secondi per governarli, i secondi hanno bisogno di credere nella giustizia e nel futuro per vivere meglio. Vulgus vult decipi.Associata a plutocrazia e imperialismo, due caratteristiche tanto dominanti quanto innominabili dell’attuale politica mondiale, la questione dell’oligarchia ultimamente è balzata al centro della discussione per come la gestione delle crisi serve a concentrare la ricchezza nel mondo nelle mani di pochi. Ma oligarchia oggi significa molto più che nel secolo scorso, perché oggi i popoli sono divenuti superflui e sacrificabili per il meccanismo del potere e radicalmente manipolabili con la tecnologia. L’ingabbiamento definitivo, zootecnico, della gente nel sistema avviene oggi mediante risorse genetiche, farmacologiche, alimentari, neuroelettriche, oltre che attraverso l’indebitamento e le riforme volute dai mercati e dall’“Europa”. Lo stesso arricchimento è passato in secondo ordine, come obiettivo delle classi dominanti, rispetto al fine del controllo sociale e biologico, anche in preparazione della soluzione della crisi ecologico-demografica. Per eseguirlo, la legislazione introduce strumenti giuridici come somministrazioni forzate o nascoste di sostanze chimiche (inclusi i vaccini) dalla composizione e dagli effetti in parte sistemici non dichiarati. Con la manipolazione biologica di massa, l’uomo viene privato di se stesso, quindi della stessa possibilità di liberarsi dal potere.(Marco Della Luna, presentazione della seconda edizione del saggio “Oligarchia per popoli superflui”, pubblicata sul blog dell’avvocato Della Luna il 3 agosto 2018. Un libro, spiega l’autore, utile per comprendere alla radice i cambiamenti in corso e la meta della “decrescita infelice” che sta procedendo di crisi in crisi. Alla sua prima uscita nel 2010, “Oligarchia per popoli superflui” parve a molti contenere previsioni azzardate. «Oggi una buona parte di esse è storia, purtroppo». Il libro: Marco Della Luna, “Oligarchia per popoli superflui, seconda edizione – l’ingegneria sociale della decrescita infelice”, Aurora Boreale Editrice, ordinabile da ora scrivendo a edizioniauroraboreale@gmail.com).La rivoluzione del XXI secolo è che, nel sistema tecnologico globalizzato e finanziarizzato, i popoli diventano sempre più intercambiabili e superflui per i nuovi processi di acquisizione di ricchezza e mantenimento del potere. Questa è la causa non detta della continua perdita di diritti sociali, civili, politici, del lavoro, oltre che di reddito, per la popolazione generale a vantaggio delle ristrette élites che prendono le decisioni esautorando o ricattando governi e parlamenti. E’ da questo che viene anche il crescente controllo manipolatorio e il tentativo di risolvere il problema ecologico applicando la biotecnologia alle masse. Nella crisi economico-monetaria e nella sua conduzione, al posto della democrazia trasparente e responsabile della narrazione ufficiale, è apparsa come potere politico effettivo, decidente, un’oligarchia bancaria irresponsabile, dinastico-familiare (assieme a un retrostante Stato-ombra fatto di apparati governativi più o meno segreti, insidiosi e altrettanto irresponsabili), che ha ripetutamente piegato la volontà dei popoli: un dato di fatto sempre più difficile da negare e da gestire, per istituzioni e mass media, che mette in crisi la legittimità giuridica del potere politico, la quale si basa sulla sua proclamata natura democratica.
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Asse Trump-Putin: che paura, un mondo senza più nemici
Il mondo ha sempre bisogno di un nemico. È questo il duro insegnamento della nostra storia. Ed è su questa base che si fonda gran parte della politica estera delle potenze, che senza un avversario esistenziale rischiano di veder fallire un’intera strategia costruita per decenni. Per molti, questa situazione è un pericolo. Ma per molti altri, specialmente nei grandi apparati militari, avere un nemico, soprattutto se tradizionalmente tale, è una garanzia. Serve per mettere a frutto la propria politica di alleanze. Perché avere un nemico comune aiuta più che avere interessi in comune. Serve a trovare fondi utili ai segmenti politici e della difesa più interessati a un determinato fronte. Ma serve anche come assicurazione che tutto resti immutato. Ogni Stato ha un suo nemico. E per molti decenni le potenze hanno costruito un sistema internazionale basato su solide alleanze, ma anche su storiche inimicizie. Conflitti freddi o meno freddi all’apparenza interminabili. Nemici esistenziali che hanno reso impossibile sganciare la politica estera di uno Stato dal suo avversario, che ne è diventata la nemesi.Le grandi crisi internazionali della nostra epoca si fondano su rivalità strategiche risalenti negli anni e che hanno superato cambi di governi ma anche grandi mutamenti politici. E se la volontà politica c’era, è mancata la volontà di molti apparati che ruotano intorno a quelle scelte. Perché avere un nemico aiuta anche a legittimare se stessi. Prova ne è il vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin che ha visto molti, soprattutto in America, tremare di fronte alla possibilità che i due leader si incontrassero. Perché il vertice di Helsinki pone tutti di fronte a un interrogativo. Ed è un interrogativo che preoccupa: se tutto questo finisse? Se Washington e Mosca appianassero le divergenze, cosa avremmo di fronte a noi? Una frase di Putin, durante la conferenza stampa finale, è emblematica: «Dobbiamo lasciare alle spalle il clima da guerra fredda e le vestigia del passato». Un passato che però rappresenta il motivo per cui esistono tutti i grandi apparati militari creati nel Novecento così come le loro strategie. Trump, più di Putin, sta rappresentando per certi versi la fine di un’epoca. È un presidente diverso che, con metodi bruschi, sta realizzando una politica estera diversa dal solito.Non è un rivoluzionario, ma il frutto di una particolare teoria politica americana, che già da anni teorizza un’America diversa, meno invasiva, meno attenta all’Europa, desiderosa anche di rapportarsi in maniera positiva alla Russia. Ed è per certi versi la stessa teoria che ha portato Trump a incontrare Kim Jong-un a Singapore: trovare una via per fermare conflitti che trovano radici solo nel passato. Questo non significa che Trump sia un pacifista. Il presidente degli Stati Uniti sta però cambiando i suoi nemici. La Russia non interessa perché ora il problema è la Cina, con uno sguardo sempre molto attento sull’obiettivo Iran. E questo, per molti, implica non solo la fine di un’epoca, ma anche la fine di un mondo. Se Trump e Putin appianano le divergenze sul fronte orientale, che senso ha per Trump mantenere in vita, ad esempio, la Nato, quando il suo solo scopo cessa di esistere?E se per Trump l’Unione europea è un problema, come giustificare o anche sostenere la presenza di truppe al confine con la Russia quando i suoi nemici sono dentro la stessa Europa? E si torna di nuovo a parlare di nemici. Questo chiaramente implica dei cambiamenti radicali. Che molti non sono disposti ad accettare. Per ideologie, per convinzione, per semplice pragmatismo ma anche per puro calcolo personale, esistono strategia quasi intoccabili. Al Pentagono, a Mosca, ma anche nelle varie sedi in cui si decidono le strategie militari a medio e lungo termine di un paese. Cosa si fa senza un nemico? Sembra paradossale, ma molte strutture si reggono sull’esistenza di un avversario. E Trump rischia di modificare parametri che da decenni sostengono la politica strategica americana.(Lorenzo Vita, “Il mondo ha bisogno di nemici, ecco perché Trump e Putin fanno paura”, dal blog “Gli occhi della guerra” su “Il Giornale” del 16 luglio 2018).Il mondo ha sempre bisogno di un nemico. È questo il duro insegnamento della nostra storia. Ed è su questa base che si fonda gran parte della politica estera delle potenze, che senza un avversario esistenziale rischiano di veder fallire un’intera strategia costruita per decenni. Per molti, questa situazione è un pericolo. Ma per molti altri, specialmente nei grandi apparati militari, avere un nemico, soprattutto se tradizionalmente tale, è una garanzia. Serve per mettere a frutto la propria politica di alleanze. Perché avere un nemico comune aiuta più che avere interessi in comune. Serve a trovare fondi utili ai segmenti politici e della difesa più interessati a un determinato fronte. Ma serve anche come assicurazione che tutto resti immutato. Ogni Stato ha un suo nemico. E per molti decenni le potenze hanno costruito un sistema internazionale basato su solide alleanze, ma anche su storiche inimicizie. Conflitti freddi o meno freddi all’apparenza interminabili. Nemici esistenziali che hanno reso impossibile sganciare la politica estera di uno Stato dal suo avversario, che ne è diventata la nemesi.
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Trump contro la Merkel, cioè l’ordoliberismo imposto all’Ue
Il “Washington Post” di Jeff Bezos, patron di Amazon, cioè «uno dei quotidiani che fanno da buca delle lettere al Deep State che non ama Donald Trump», ha puntualmente anticipato la notizia: il Pentagono studia l’ipotesi di ritirare dalla Germania i 35.000 soldati americani che vi sono dislocati, presenza che data dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. «I soliti portavoce hanno smentito, ma senza affannarsi», scrive Fulvio Scaglione su “Linkiesta”: sono studi, dicono ufficialmente, che si fanno con regolarità per verificare il rapporto costi-benefici degli investimenti della difesa. Quindi l’ipotesi è stata presa in esame, ed chiaro che anche solo parlarne è un fatto clamoroso, osserva Scaglione, specie se si pensa che Trump «ha accumulato un intero catalogo di attacchi alla Germania di Angela Merkel, dalle critiche sulle politiche migratorie (comprensive di pubblici apprezzamenti nei confronti di Horst Seehofer, il rivale della cancelliera) alle ironie sul tasso di criminalità, dalle pressioni perché venga mandato a monte il progetto del gasdotto South Stream 2 in arrivo dalla Russia (a favore, chiaro, del gas americano) ai dazi sulle esportazioni tedesche di acciaio e alluminio». Forse la Merkel “se l’era cercata”, «andando negli Usa a fare a Trump la predica sul Muro al confine con Messico, lei che aveva convinto l’Europa a sganciare sei miliardi di euro a Erdogan perché il Muro lo facesse la Turchia».Ma le “caramelle” che Trump ha messo sul tavolo dell’ultimo G7, unite alla firma negata al comunicato finale, sono state uno schiaffo. «Se poi fosse confermato il progetto di ritirare le truppe (e magari spostarle nella fedele Polonia, come si vocifera), capiremmo che Trump vuole anche ritirare la delega a garante del sistema euro-atlantico che la Germania storicamente detiene, un po’ come il Giappone la detiene in Asia», aggiunge Scaglione. Perché Trump ce l’ha con la Germania? Dalla Casa Bianca, scrive “Linkiesta”, si nota con evidenza che negli ultimi anni l’Unione Europea ha avuto una sola guida (quella tedesca) e una sola politica: quella decisa, o consentita, dalla Germania. Mortificare la Merkel, approfittando delle sue attuali difficoltà, significa mortificare tutta la gestione tecnocratica dell’orribile Ue. All’America, secondo Scaglione, possono dare fastidio – Cina e Russia a parte – solo le grandi coalizioni a forte impatto economico, come appunto l’Unione Europea. «In altre parole: stronchi la Germania e tagli la testa alla Ue». Trump denuncia lo scarso contributo che la Germania offre alle spese della Nato. Su Twitter ha scritto che la Germania «versa (lentamente) l’1% del proprio Pil alla Nato», mentre gli Usa versano il 4% di un Pil molto più grande. Il messaggio: «Proteggiamo l’Europa (il che è una buona cosa) al prezzo di un grande sforzo economico».E da questo a temere che Trump abbia in mente un ridimensionamento dell’impegno Usa nella Nato per alcuni il passo è breve, scriove Scaglione: soprattutto negli Usa, in quel complesso militar-industriale che condiziona in modo molto pesante la politica americana, arricchendosi con guerre e impegni militari. E siamo all’oggi: l’11 e 12 luglio Trump sarà a Bruxelles per il summit della Nato, il 13 sarà a Londra per incontrare Theresa May che organizza la Brexit e il 16 a Helsinki per vedersi con Vladimir Putin. «Un filotto che fa fibrillare molte cancellerie, e infatti già si agitano gli sherpa: ex ambasciatori, esperti e giornalisti impegnati a sottolineare quanto sarebbe rischioso, per l’Europa, se il criticone Trump, magari incautamente perché è uno sciocco, promettesse chissà che allo Zar». E allora, aggiunge Scaglione, «vai con il Russiagate e le bufale accluse, mentre ancora aspettiamo le famose chiarissime prove dell’avvelenamento col gas nervino “made in Russia” di Skripal padre e figlia».È chiaro, chiosa “Linkiesta”: se produci carri armati e bombardieri, ti fa comodo annunciare un giorno sì e uno no che il nemico è alle porte. Ma i governi di Francia, Germania, Italia e Spagna credono davvero che l’Armata Rossa aspetti solo il momento di marciare verso Ovest? E che non ci sarebbero stati Trump, Brexit, Catalogna e governo gialloverde in Italia se gli hacker russi non avessero digitato come pazzi? Quello che la Ue non riesce a capire, sostiene Scaglione, è che siamo entrati in un mondo nuovo: «La vecchia idea che tutti insieme si commercia, si guadagna e si sorride è morta con la crisi finanziaria del 2008. E l’idea, ancor più vecchia, che basta nascondersi sotto le gonne dello Zio Sam, delle sue rivoluzioni colorate e dei suoi convenienti cambi di regime, è morta in Ucraina e in Siria». Beninteso: «Non è Trump che ha cambiato il mondo, è il mondo cambiato che ha fatto arrivare lui alla Casa Bianca. La Ue è un nano politico anche perché non vuole accettarlo. E prima di decidere alcunché si chiede “ma questo piacerà o non piacerà a Putin?”, mentre il suo vero problema è quel che piace o non piace a Trump».Il “Washington Post” di Jeff Bezos, patron di Amazon, cioè «uno dei quotidiani che fanno da buca delle lettere al Deep State che non ama Donald Trump», ha puntualmente anticipato la notizia: il Pentagono studia l’ipotesi di ritirare dalla Germania i 35.000 soldati americani che vi sono dislocati, presenza che data dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. «I soliti portavoce hanno smentito, ma senza affannarsi», scrive Fulvio Scaglione su “Linkiesta”: sono studi, dicono ufficialmente, che si fanno con regolarità per verificare il rapporto costi-benefici degli investimenti della difesa. Quindi l’ipotesi è stata presa in esame, ed chiaro che anche solo parlarne è un fatto clamoroso, osserva Scaglione, specie se si pensa che Trump «ha accumulato un intero catalogo di attacchi alla Germania di Angela Merkel, dalle critiche sulle politiche migratorie (comprensive di pubblici apprezzamenti nei confronti di Horst Seehofer, il rivale della cancelliera) alle ironie sul tasso di criminalità, dalle pressioni perché venga mandato a monte il progetto del gasdotto South Stream 2 in arrivo dalla Russia (a favore, chiaro, del gas americano) ai dazi sulle esportazioni tedesche di acciaio e alluminio». Forse la Merkel “se l’era cercata”, «andando negli Usa a fare a Trump la predica sul Muro al confine con Messico, lei che aveva convinto l’Europa a sganciare sei miliardi di euro a Erdogan perché il Muro lo facesse la Turchia».
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Fake-war, dopo l’annuncio di Trump sul ritiro dalla Siria
«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».Alla Casa Bianca, avverte Foa, ora c’è John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale: è l’architetto delle inesistenti super-armi di Saddam. «Trump riuscirà anche questa volta a resistere ai ricatti o dovrà mettersi a bombardare la Siria?». Se lo domanda lo scrittore Paolo Mosca, sul blog “Mosquicide”, che offre un’insolita analisi sul profilo psico-politico di Trump: «In questo momento storico Jeremy Corbyn è forse il mio politico preferito – premette – e lui non si sognerebbe mai di dire cose diverse da quelle che fa. E questo forse è un suo punto debole». Al contrario, “The Donald” «dissocia parola, tweet e atto». E così facendo «mette totalmente in crisi il Deep State che cerca costantemente di manovrarlo dietro le quinte». Infatti: «Trump abbaia contro il dittatore nord coreano, ma poi fa in modo che si distendano le relazioni tra le due Coree», quindi espelle i diplomatici russi «ma poi invita Putin a New York». Ancora: «Apre verso Israele, ma poi cerca di tirarsi fuori dalla guerra siriana». E non appena lo fa, sottolinea Mosca, accadono due cose: «La notizia di un nuovo attacco chimico in Siria (smentito dalla Russia che invoca l’intervento di ispettori) e la visita dell’Fbi al suo avvocato personale, Michael Cohen, a cui vengono sequestrati documenti riguardanti il presidente».E’ sempre il Deep State, secondo Paolo Mosca, a premere per i missili sulla Siria, in una pericolosissima sfida con la Russia: «Se il modo di parlare di Trump è da cattivo uomo di destra, il suo modo di agire è da presidente moderato che cerca di barcamenarsi tra le forze vischiose del potere che lo circonda». Aggiunge Mosca: «Credo che per molti aspetti queste elezioni avrebbe preferito perderle», magari per poi contrattare maxi-appalti da posizioni di forza, come leader dell’opposizione. Meno possibilista Foa, spaventato dagli sviluppi: annunci di attacchi imminenti, navi da guerra in avvicinamento, aerei d’attacco pronti al decollo. Il tweet dell’altro giorno in cui Trump ha accusato Putin di proteggere “un animale” come Assad è di una violenza incredibile, «volto chiaramente ad aprire il terreno a un attacco missilistico». Per Foa, «il Trump di queste ore non ha più nulla a che vedere con quello che è stato eletto 18 mesi fa». La nomina di un supefalco come Bolton (cioè «l’uomo, pericolosissimo, che sussurra all’orecchio del capo della Casa Bianca) secondo Foa «segna la conversione del presidente americano sulle posizioni che egli stesso e i suoi consiglieri della prima ora dichiaravano di aborrire».Il Trump di una volta, agiunge Foa, desiderava che il suo paese non fosse trascinato in nuovi inutili conflitti, mentre «il Trump di oggi è irriconoscibile: è diventato un neoconservatore, ovvero ha fatto proprio lo spirito aberrante che ha guidato la mano di Bush, in buona parte quella di Obama, e che eccitava quella di Hillary Clinton». Il copione della guerra “umanitaria” è invariato, nella sua monotonia: il presunto attacco chimico sulla popolazione civile «ha tutta l’aria di essere una fake news istituzionale creata ad arte per creare un casus belli». Gli spin doctor dimostrano scarsa fantasia: usano sempre il solito schema, ricorda Foa. «Nel 2013 l’attacco con le armi chimiche che provocò la morte di 1300 persone e per il quale Obama era sul punto di scatenare l’inferno, risultò essere, in seguito, un caso di “false flag”, ovvero un attacco lanciato dai ribelli affinché la colpa ricadesse su Assad al fine di giustificare un intervento della Nato. L’anno scorso, la dammatica notizia dei forni crematori in cui venivano inceneriti i prigionieri politici alle porte di Damasco, lanciata da Amnesty ed enafatizzata dal Dipartimento di Stato Usa, è risultata essere una bufala per sorprendente ammissione dello stesso governo Usa».Nei giorni scorsi, aggiunge Foa, abbiamo assistito al caso Skripal – che ricorda, nello “spin”, quello di Douma: «Una furia accusatoria implacabile e urgente nasconde quasi sempre un bluff». Ricordate? «Mosca ha 24 ore di tempo per discolparsi, ma non ci sono dubbi, sono stati i russi», tuonavano il premier May e il ministro degli esteri Johnson, rilanciati da una stampa occidentale come sempre straordinariamente priva di senso critico e analitico. A ruota, Washington e i paesi europei decisero l’espulsione dei diplomatici, e il governo americano adottò nuove sanzioni. «Ma la prova che l’attentato sia stato compiuto dal Cremlino non è mai arrivata. Gli esperti hanno dovuto ammettere che è impossibile stabilire chi abbia davvero prodotto il gas, che peraltro non è risultato nemmeno letale». Ora ci risiamo, sottolinea Foa: l’attacco al cloro è molto dubbio.«Dovrebbe essere verificato da una commissione indipendente, a cui però gli Usa non sono interessati. Bastano le immagini, commoventi, di bambini intubati per trascinare l’opinione pubblica. Molto probabilmente un giorno scopriremo la verità, ma la verità non interessa agli spin doctor». Concorda Gaiani, su “Analsi Difesa”: notizie e immagini di presunti attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei “ribelli”, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.«Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi segreti anglo-americani», scrive Gaiani, certo non sospettabile di posizioni filo-siriane o filo-russe. «Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità». Ma peggio: Jaysh al-Islam, la formazione colpita a Douma, «è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016». Il cloro? «Non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico. I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa a Damasco, puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il regime di Assad».Quanto al “cui prodest”, Gaiani non ha dubbi: «Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti, non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali». Assad sta “ripulendo” le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché mai – si domanda “Analisi Difesa” – dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma? «Perché dovrebbe colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?». Israele ha intanto bombardato la base siriana T-4 vicina a Palmira, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese, mentre Trump ora accusa anche Russia e Iran «in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare». Tutto questo, scrive Gaiani, «induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche».La situazione sembra stia precipitando: Washington parla apertamente di azioni militari contro Damasco, caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid punitivi) mentre la Russia mette in guardia gli Usa contro un «intervento militare sulla base di pretesti inventati» in Siria, che potrebbe «portare a conseguenze più pesanti». Letteralmente, i russi avvertono: intercetteranno i missili americani e colpiranno anche le loro basi di lancio. Uno scenario teoricamente esplosivo, “perfetto” per chi sogna lo scatenarsi dell’apocalisse. Per Gaiaini, la cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, «specie dopo la figuraccia rimediata dal ministro degli esteri britannico Boris Johnson che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore dei laboratori militari di Sua Maestà». Ed ecco il punto: «La denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani»Il ritiro dei duemila soldato americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del paese e a quelle di Damasco nell’est, «per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump», che ora sembra “costretto” a cambiare idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della “comunità internazionale” per i bambini “uccisi dal cloro di Assad”, cioè “l’animale” alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare. E’ la tesi di Paolo Mosca: l’ennesima strage (forse addirittura inventata – secondo i russi, non ci sono neppure vittime) si è verificata con puntualità cronometrica, a orologeria, non appena Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria. Legge dietro l’ufficialità è difficile. A frenare è il ministro della difesa, l’ex generale dei marines James Mattis: «Niente è ancora stato deciso», fa sapere. «Prima bisogna verificare cos’è successo davvero, in Siria».«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».
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Dope, squallore tossico: così Pinocchio si trasforma in asino
L’uomo è bravissimo a crearsi l’Inferno. Lo vediamo già nell’intimità del singolo: il suo grado di felicità dipende direttamente dagli influssi che lascia entrare o che lascia crescere nel teatro della mente. Lo percepiamo ancora di più nella collettività: quando stati mentali simili si uniscono vengono create gabbie di concretezza. Il tema “droga” esemplifica appieno quanto stiamo dicendo. Chi l’assume decide consciamente o inconsciamente di scendere nel suo proprio inferno, di perdersi in una degenerazione progressiva. E anche quando confonde l’eccitazione con la lucidità, non fa altro che dileguare il suo senso animico dietro le coltri dell’apparenza, fino a quando la trasformazione asinina non è completa (si torni a leggere Pinocchio). Anche a livello collettivo il teatro-droga genera inferni di cui potremmo tranquillamente fare a meno. Eppure diventano così concreti e pressanti da incidere come uno scalpello nel tessuto di interi popoli, di intere generazioni. E il tutto è un ologramma di cui non ci sarebbe, umanamente, alcuna necessità.“Dope”, Netflix. Un documentario a episodi che andrebbe mostrato nelle scuole: lo squallore del mercato della droga e di chi ne fa uso, la distruzione del tossicodipendente, l’ottusità della polizia, la criminalità del mercato. Il tutto in una guerra che da decenni miete milioni di vittime. Una guerra che potrebbe terminare domani legalizzando e informando. Ma la guerra alla droga è soprattutto teatro, una pantomima che genera i fondi neri indispensabili per i deep state celati dietro i governi ufficiali. L’idea di trasformare in qualcosa di figo l’uso degli stupefacenti è la ciliegina sulla torta che fa leva sulla facile suggestionabilità di ogni essere umano.In “Dope” si sta lontani dalla mitizzazione epica creata da serie come “Breking Bad”, “Narcos” o “The Ozark”. Là non si vedono quasi mai gli effetti, si disquisisce della tenzone, del confronto guerresco tra bande o tra personalità. “Dope” è invece un documentario che mostra i drogati sulle strade, ne mostra l’abbruttimento e la progressiva disumanizzazione. Gli stessi poliziotti ammettono che è una guerra che nessuno potrà vincere. È un gioco che viene tenuto in piedi, c’è chi deve fare la guardia e chi deve fare il ladro, la gente muore, i ruoli vengono interpretati da nuovi attori e tutto procede. Chi tiene al futuro della nostra società dovrebbe fare un unico atto per essere davvero un rivoluzionario: smettere di farsi.(Paolo Mosca, “Dope, lo squallore tossico”, dal blog “Mosquicide”, gennaio 2018).L’uomo è bravissimo a crearsi l’Inferno. Lo vediamo già nell’intimità del singolo: il suo grado di felicità dipende direttamente dagli influssi che lascia entrare o che lascia crescere nel teatro della mente. Lo percepiamo ancora di più nella collettività: quando stati mentali simili si uniscono vengono create gabbie di concretezza. Il tema “droga” esemplifica appieno quanto stiamo dicendo. Chi l’assume decide consciamente o inconsciamente di scendere nel suo proprio inferno, di perdersi in una degenerazione progressiva. E anche quando confonde l’eccitazione con la lucidità, non fa altro che dileguare il suo senso animico dietro le coltri dell’apparenza, fino a quando la trasformazione asinina non è completa (si torni a leggere Pinocchio). Anche a livello collettivo il teatro-droga genera inferni di cui potremmo tranquillamente fare a meno. Eppure diventano così concreti e pressanti da incidere come uno scalpello nel tessuto di interi popoli, di intere generazioni. E il tutto è un ologramma di cui non ci sarebbe, umanamente, alcuna necessità.
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Clinton, pedofili al potere: e Trump mobilita il Pentagono
Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dai Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, prove alla mano) hanno il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.«Che i media siano controllati e che si auto-censurino per salvarsi il sedere, lo sa anche un cacciavite», premette. «Ma che due notizie bomba sul presidente della nazione più potente del mondo, e accessibili a tutti, scomparire nel nulla sui maggiori media occidentali, per un ordine di scuderia, questo non lo credevo». Attenti: nei Pentagon Papers, nel Watergate, nell’Iran-Contras, nell’Iraq-gate, i fatti erano occulti. Qui invece «sono pubblici e accessibili da una pensionata, riguardano l’uomo più potente del pianeta, eppure sono stati ‘suicidati’ e sepolti da tutti i grandi media con un accordo e con una sincronia scioccanti». In pratica, «i media non esistono più». Trump è sotto attacco da parte di due “Stati ombra” ben noti: il raggruppamento dei servizi segreti (Cia, Nsa, Nga, Fbi) che va sotto il nome di Shadow Government, e le maggiori corporations coi loro lobbysti che foraggiano il Congresso: Big Oil, Big Pharma, Big Banks, Big Media, Arms Industry e Silicon Valley, che passano sotto il nome di Deep State. Nota per gli scettici: chiunque neghi l’esistenza e i poteri di questi apparati, liquidandoli con la parola “complottismo”, «non ha mai letto una pagina del “New York Times”, del “Washington Post” o sentito di P2 e stragismo in Italia, quindi è un cretino».Donald Trump? Un presidente «incontrollabile, e forse anche mentalmente instabile», ma proprio per questo «ha devastato la sacra tradizione di almeno 70 anni di presidenze americane, dove le politiche reali furono sempre influenzate o truccate da Shadow Government e Deep State, fino alla presidenza Obama inclusa». Conclusione: «Trump va quindi abbattuto. Ma quest’uomo è molto meno fesso di ciò che appare», scrive Barnard. O meglio: «Si è circondato di alcuni dei più brillanti ‘Rasputin’ di tutta la storia moderna». Messo sotto assedio, ha quindi contrattaccato con quei due numeri, 13818 – 82 FR 60839. Premessa: «Donald Trump è sotto una ‘Dresda’ di bombe per abbatterlo», fra cui il presunto accordo-scandalo con Putin per truccare le elezioni 2016, che coinvolge anche la sua famiglia (e la relativa inchiesta è nelle mani dell’implacabile ex direttore dell’Fbi Robert Mueller). Sconta «accuse di grave instabilità mentale da impeachment», apparentemente documentate dall’esplosivo bestseller “Fire and Fury” di Michael Wolff: «Una presunta serie di abusi sessuali ai danni di donne lungo la sua carriera sia da businessman che come politico». Poi c’è una sfilza di accuse a membri del suo governo (Steve Mnuchin, Ryan Zinke, Tom Price) per uso personale di denaro pubblico. «Tutti questi scandali s’appoggiano pesantemente sui poteri e/o sulle spiate dello Shadow Government».Ce n’è a sufficienza per demolire chiunque, osserva Barnard. E Trump, senza quel micidiale documento (che ha firmato il 20 dicembre 2017) sembrava un gigante dai piedi d’argilla. «Non controlla l’Fbi, prima diretta dal suo arci-nemico Comey e oggi da Christopher Wray che a sua volta non controlla l’Fbi». In più Trump «non controlla la Cia, diretta da Mike Pompeo, che a sua volta non controlla la Cia». Di più: «Non controlla la Nsa diretta dall’ammiraglio Michael Rogers, che a sua volta non controlla la Nsa». Donald Trump «non ha nessuna influenza sulla Nga, che gioca un ruolo centrale in tutte le inchieste di massima sicurezza in America». Questo, per quanto riguarda lo Shadow Government. «Poi è troppo ricco per poter essere comprato dal Deep State, che – specialmente con Wall Street e la dirigenza ebraica americana – è lo sponsor principale dei democratici, e di tutti i repubblicani ostili al presidente». Poi, continua Barnard, quattro giorni prima di Natale cade la bomba 13818 – 82 FR 60839. «E, usando un’impareggiabile espressione americana, “the shit hit the fan” (la merda finì nelle pale del ventilatore)». Attenzione: l’ordine esecutivo «è uno degli atti legislativi americani più dirompenti da sessant’anni». Cosa dice? Colpisce con le massime armi – militari, giuridiche e finanziarie – chiunque si renda colpevole di violazioni dei diritti umani e di corruzione, negli Usa e nel mondo».L’ordine esecutivo presidenziale «colpisce anche i governi esteri coinvolti, i loro funzionari, e qualsiasi complice in qualsiasi forma». Di più: «Va a colpire queste infami catene là dove gli fa più male, cioè nei soldi, con il blocco e la confisca dei loro denari, proprietà, titoli, azioni, anche nelle loro forme più maliziosamente nascoste o lontanamente imparentate». Certo, «sappiamo che Trump non è Mandela», e infatti quel decreto è stato scritto «per mitragliare a morte un settore ben preciso delle violazioni dei diritti umani». Nel mirino c’è una piaga indicibile: «Il mercato dei minori per pedofilia, nel bacino più ampio dei trafficanti di persone». Infatti, spiega Barnard, il presidente aveva anticipato questa legge il 23 febbraio 2017 in conferenza stampa, rilanciata dalla “Associated Press”, «dove parlò proprio di traffici umani per pedofilia». Ma perché? «Perché Trump sa bene che questo abominio, l’abuso di minori venduti, sembra aver infettato la maggioranza dei vertici del Deep State, col silenzio dello Shadow Government, e con un presunto forte coinvolgimento di una notissima beneficienza: la Clinton Foundation». Come fa Trump a saperlo? «Da anni ne parla in pubblico un ex pezzo grosso della Cia, più altre fonti autorevoli». Sicché, il suo “executive order” «colpirà proprio i suoi nemici».In questo preciso momento, giura Barnard, «negli Stati Uniti alcuni altissimi nomi stanno tremando, e precisamente dalla mattina del 21 dicembre scorso, quando l’“executive order” 13818 – 82 FR 60839 è stato pubblicato ‘in Gazzetta’ a Washington». Un conrattacco mortale: «Jfk fu ucciso per meno, a quanto sappiamo fino ad oggi. Infatti i ‘Rasputin’ di Trump sapevano che la vita del presidente sarebbe stata immediatamente in pericolo dopo quell’ordine esecutivo». Proprio per questo, infatti, «hanno fatto la pensata di tutte le pensate». Cioè: il ricorso d’emergenza al Pentagono. Nelle prime righe dell’“executive order”, il presidente scrive: «Io perciò decido che i gravi abusi dei diritti umani, e la corruzione, nel mondo costituiscono un’insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale». Notare: le parole “minaccia” e “sicurezza nazionale”, pronunciate dal presidente degli Stati Uniti, «implicano l’immediata mobilitazione di tutto l’esercito americano, cioè del Pentagono. E’ di fatto un preallarme di guerra, e di conseguenza le protezioni intorno al presidente divengono massime. E quando si muove il Pentagono non esiste nulla al mondo, se non un arsenale nucleare straniero, che possa batterlo. Questo è ultra-chiaro a tutti gli apparati di Deep State e Shadow Government, che ora sono in “deep shit”, nella merda fino al collo, per essere chiari».Non è stato un caso che Trump abbia messo nei posti chiave a Washington tre generali, e un ammiraglio a capo dei più potenti 007 degli Usa, sottolinea Barnard. «Abbiamo il generale James “Mad Dog” Mattis come ministro della difesa, il generale John Kelly come White House Chief of Staff e il generale H. R. McMaster come Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Poi, anche se boicottato dai suoi sottoposti, c’è l’ammiraglio Michael Rogers a capo dalla Nsa. Insomma, il Pentagono. Trump sarà anche scemo, ma cosa sia lo Shadow Government lo sapeva benissimo, e si è protetto». Protezioni salva-vita, ora che Trump – per sfuggire all’assedio di cui è vittima – incalza i suoi nemici, capeggiati da Hillary Clinton, con quell’ordine esecutivo concepito «per metterli in un angolo con indagini profonde sul traffico internazionale di minori per pedofilia, in cui sarebbero coinvolti molti vertici Usa del Deep State, inclusi i Clinton, col silenzio dello Shadow Government». “The Donald” lo sta facendo «coprendosi le spalle con l’intero esercito degli Stati Uniti». Del resto, l’argomento toccato è off limits: pedofilia e potere, “non aprite quella porta”. Nessuno aveva mai osato tanto: l’abuso di bambini, nelle alte sfere, è un tabù inaccessibile. Chi tocca, muore.«Esisterebbe dunque un traffico di minori per pedofili di altissimo livello ai vertici del Deep State, inclusi i Clinton», scrive Barnard. «Trump apprende questo da molte fonti, la prima delle quali è l’ex agente e dirigente pluridecorato della Cia Kevin M. Shipp. Costui, senza la fama attribuita al suo collega ‘whistleblower’ Edward Snowden, sta rivelando da anni il livello di marciume criminale che davvero permea lo Shadow Government in America». Shipp è stato esperto di anti-terrorismo, guardia del corpo di due direttori della Cia. Era ai vertici della Counterintelligence, ed è stato citato dal “New York Times” come «veterano della Central Intelligence Agency». In altre parole: «Non è proprio un signor nessuno nello Shadow Government americano». Barnard ricorda che da anni il “Washington Times”, il “New York Post” e l’inglese “Guardian” «riportavano notizie certe sui cosiddetti “Voli Lolita” – cioè voli su un jet privato per orge con minori – organizzati dal miliardario pedofilo Jeffrey Epstein». Per dire: «Bill Clinton, secondo gli atti del processo che condannò Epstein, fu ospite 26 volte su quei voli». Altri nomi di alto rango trovati nell’agenda “nera” del miliardario «furono Tony Blair, Michael Bloomberg, Richard Branson fra molti altri, e i cellulari delle minori schiave del sesso fra cui “Jane Doe N.3”», una ragazzina che negli atti processuali ha dichiarato di «essere stata costretta a rapporti sessuali con diversi politici americani, top businessmen, un premier famosissimo e altri leader internazionali».Nel 2006, continua Barnard, «Epstein fece una grassa donazione alla Clinton Foundation». Nella capitale Usa, la Ong di Conchita Sarnoff, “Alliance to Rescue Victims of Trafficking”, ha decine di files su “potere e pedofilia”. Un incubo? Certo. «Ora, provate a trovare traccia sui grandi media italiani o americani dell’esplosivo affare». Niente: silenzio assoluto sui nomi coinvolti, «come Bill e Hillary Clinton, Robert Mueller, Kevin M. Shipp». Sui media, le espressioni Deep State e Shadow Government neppure compaiono. «Attenti, non parliamo di una legge del Nicaragua, ma del presidente americano più discusso e delegittimato della storia». Silenzio stampa totale: ne accenna il solo “Financial Times”, «ma svuotando tutta la news». Peggio: il 19 gennaio, giunge al Congresso un memorandum «che sembra contenere le prove delle azioni della Clinton, coi soldi del Partito Democratico, col silenzio di Cia ed Fbi, per usare i poteri “tech” della Nsa permessi dalla legge Fisa, sotto la presidenza di Obama… e il tutto per spiare la campagna elettorale di Trump, per corrompere testimoni russi a dire il falso contro il neo-eletto presidente, e con la collusione di Londra».“Fox News” titola: “Molto più grave del Watergate”. Il sito di finanza “Zero Hedge” pubblica all’istante i Tweet di alcuni senatori americani sotto shock, con parole come «questo memorandum manderà a spasso un sacco di gente, al Dipartimento della Giustizia, e certi nomi finiranno in galera», dalla bocca del senatore Matt Gaetz. Roba da invadere le prime pagine di “New York Times” e “Repubblica”, passando per “Cnn”, “Bbc” e “Rai”. «Nulla. Vado su “Fox News”, e in prima non c’è più nulla! Perdo il fiato. Ma lo recupero quando “Zero Hedge” pubblica un Tweet del più autorevole fra gli autorevoli, Edward Snowden, che conferma tutto». Eppure, di nuovo – scrive Barnard – ago e filo «hanno cucito la bocca e le dita di tutto il mondo dei media che contano in un istante, e con un potere di assolutismo che davvero non credevo possibile a questo livello». Ipotesi: «E’ possibile che lo stesso Donald Trump sia parte di questa incredibile congiura del silenzio, per barattare coi suoi nemici e per poterli poi ricattare per anni, ma ciò non cambia la sostanza». Sotto i nostri piedi si sta spalancando un abisso: «Non fate figli», chiosa Barnard.Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dal clan Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, probabilmente ricattabili a vita) hanno comunque il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.
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Grimaldi: golpe Cia in corso in Iran, via rivoluzione colorata
«Si è scatenato quello che promette essere un rinnovato tentativo USraeliano, con il conforto saudita e il beneplacito dell’Ue, al cambio violento di regime in Iran, stavolta mettendoci tutto l’impegno dei due terroristi di Stato della cosiddetta “comunità internazionale (leggi Nato), Trump (con lo Stato Profondo Usa) e Netanyahu (sostenuto dalla lobby) e arrivando fino all’aggressione armata, con conseguenze apocalittiche non solo per il Medioriente». Fulvio Grimaldi, per lunghi anni giornalista Rai e autore del documentario “Target Iran”, che racconta la nuova realtà dell’ex Persia affrancatasi dall’Occidente, teme che la guerriglia scatenatasi a Teheran sia l’antipasto dell’ennesima, sanguinosa “rivoluzione colorata” per rovesciare il governo iraniano, che insieme a quello russo si è opposto con successo, in Siria, alla guerra contro Assad organizzata dalla Cia utilizzando i miliziani dell’Isis. «L’anticipazione di questa strategia, lubrificata dallo tsunami di falsità e diffamazioni di cui si incaricano i media mainstream, con particolare efficacia quelli di “sinistra” e la loro clientela di utili idioti e amici del giaguaro imperialista – scrive Grimaldi – la si è avuta nel 2009, al tempo delle elezioni che hanno rinnovato il mandato al migliore, più laico, antimperialista (si ricordi la sua amicizia con Hugo Chavez) e socialmente sensibile presidente iraniano, Mahmud Ahamdinejad».All’epoca, scrive Grimaldi sul suo blog, venne scatenata la sedicente “rivoluzione verde”, dove «settori della borghesia ricca, nostalgica della sanguinaria dittatura del fantoccio occidentale Reza Pahlevi e famelica di neoliberismo per poter sottrarre beni e diritti ai ceti popolari valorizzati da Ahmadinejad, vennero mandati, da agenti infiltrati del terrorismo internazionale, allo scontro con lo Stato». Il pretesto era il solito: «Brogli nella vittoria di Ahamedinejad, riscatto delle donne oppresse da burka e bigottismo patriarcale». Allora, continua Grimaldi, si trattava di ridurre la crescente influenza di Teheran sul cosiddetto “arco scita”, «espressione depistante utilizzata per descrivere governi e popolazioni resistenti all’imperialismo Usa e israeliano, neutralizzare il suo ruolo di prezioso fornitore di gas e petrolio a paesi su cui l’Occidente intende esercitare il dominio energetico, bloccare il modello di emancipazione sociale messo in atto da Ahmadinejad e l’impetuoso sviluppo industriale del paese». Al centro della “sceneggiata” era la presunta volontà di Teheran di dotarsi di armamento atomico, quando la stessa Aiaea, l’agenzia Onu per l’energia atomica, insisteva a dimostrare che lo sviluppo nucleare dell’Iran era dedicato esclusivamente a uso civile, sanitario ed energetico.Con l’avvento del “moderato” Hassan Rouhani, reso possibile dal fatto che il “conservatore” Ahmadinejad non poteva presentarsi per un terzo mandato e che il suo schieramento aveva fronteggiato le elezioni diviso (“moderato” e “conservatore” sono i termini «che i media ci infliggono per designare chi è gradito e chi sgradito all’Occidente»), avviene secondo Grimaldi «l’indecorosa resa, la rivincita dei “quartieri alti” di Teheran, un’offensiva privatizzatrice e, pietra angolare dell’indipendenza o meno del paese, l’accordo sul nucleare con gli Usa che ha privato l’Iran quasi interamente del suo potenziale di nucleare civile». Il che avrebbe dovuto portare alla normalizzazione dei rapporti con Usa e Occidente, alla fine di sanzioni tra le più feroci e genocide mai inflitte, alla pacificazione della regione. Invece, «è sotto gli occhi di tutti a cosa ha portato l’arrendevolezza di Rouhani». Il progetto di “regime change” mancato da Obama, Hillary Clinton e Netanyahu è fallito clamorosamente, ma i nemici dell’Iran non hanno mai mollato la presa, tra fake news e attentati terroristici contro scienziati iraniani e contro la stessa popolazione civile, «affidati a una setta di fuorusciti riparata a Parigi e a Washington e da lì foraggiata e armata: i Mek, Mujahedin del Popolo».A far saltare i nervi al blocco occidentale, aggiunge Grimaldi, è stato il sostegno dato dall’Iran «alla resistenza irachena e iraniana contro Usa, Israele, Nato e loro mercenariato jihadista», nonché «l’impetuosa crescita del suo prestigio e della sua influenza nella regione». E così «siamo ai pogrom di oggi, che annunciano una nuova “rivoluzione verde” che in Occidente si spera risolutrice». Ma che non lo sarà, sostiene sempre Grimaldi, «alla luce dell’unità del popolo iraniano, della sua coscienza politica, del suo patriottismo». Dal giorno in cui la rivoluzione khomeinista ha posto fine alle ingerenze colonialiste e poi imperialiste (si ricordi il colpo di Stato angloamericano contro il premier Mossadeq nel 1952 e la restaurazione imperiale sotto lo Shah), «l’Occidente non ha mai cessato di fornire all’opinione pubblica un quadro grottescamente distorto dell’Iran e dei suoi 80 milioni di abitanti». Oggi, prosegue Grimaldi, «si riparte con la totale falsità di una dittatura, una società oppressa dal clero, una catastrofe economico-sociale, una matrice di terrorismo e instabilità in tutta la regione». Tutto “merito” degli Stati Uniti: «La potenza che s’inventa interferenze russe nelle proprie elezioni, ma che non ha trascurato di intervenire, con tangenti, ricatti, manipolazione di settori sociali, tsunami mediatici e colpi di Stato, in praticamente ogni processo elettorale e genericamente politico dove fosse in gioco il dominio Usa, rinnova l’operazione fallita del 2009: obiettivo, ancora una volta il “regime change” e, in mancanza, l’aggressione, o diretta, o affidata a surrogati».Secondo Grimaldi, le politiche neoliberiste di Rouhani «hanno annullato in parte il progresso delle classi popolari realizzato da Ahmadinejad». Soprattutto, le sanzioni che l’accordo nucleare avrebbe dovuto far sospendere (ma che Trump ha rafforzato) hanno peggiorato le condizioni di vita di vaste masse: aumento dei prezzi di carburanti ed energia, annullamento dei sussidi alimentari, inflazione, crisi del bazar, disoccupazione. «Ed è successo quanto s’è visto e documentato a Kiev, Bengasi in Libia, Deraa in Siria, Caracas». Un copione: «Parte una pacifica rivendicazione di piazza in varie città iraniane, nel giro di ore, secondo un programma dettagliato pubblicato in rete, in varie città spuntano gruppetti di non più di 50 soggetti che, alle richieste di aumenti salariali e altri interventi economici, sovrappongono slogan anti-sistema, contro il governo e, con particolare virulenza contro il “dittatore” Khamenei, che è dittatore quanto lo è il capo di Stato di qualsiasi paese europeo». Se “morte al dittatore” e “morte a Khamenei” ci riportano dritti agli auspici indirizzati a Maduro, Gheddafi o Assad, «l’inconfutabile marchio israeliano risuona nelle imprecazioni contro il ruolo regionale dell’Iran e contro l’impegno per la Palestina, Gaza e il Libano: “Giù le mani dal Medioriente”, “No Gaza”, “No Libano”».Non passano che poche ore e, immancabili, partono colpi di arma da fuoco, non si capisce bene da quale parte (per i media occidentali inconfutabilmente dalla polizia) e cadono le prime vittime. Poi, a tempo scaduto, «escono fuori prove, video, testimonianze e confessioni che attestano la presenza di infiltrati impegnati a sparare sulla folla: su questo aspetto, tuttavia, i mass media appaiono distratti». Intanto, aggiunge Grimaldi, «hanno lucidato le proprie trombe tutti gli squalificatissimi arnesi della cosiddetta “società civile” e dei “diritti umani”, gli scontati travestimenti dell’intelligence imperialista, da Amnesty International a Hrw e alla National Endowment for Democracy, con pesce pilota, da noi, il “Manifesto”, zelantissimo su tutte le campagne delle false sinistre e vere destre internazionali: russofobia, “dittatori”, migranti e Ong sorosiane, molestie, gender, “populisti”, “sovranisti”, “minaccia fascista” incombente (che, per carità, non riguarda mica censura, militarizzazione, securitarismo, bellicismo, colonialismo, guerra ai poveri su entrambi i lati dell’Atlantico)».Una di queste entità, «la Foundation for Defense of Democracies, del talmudista Mark Dubowitz», ha sintetizzato il programma di distruzione dell’Iran, nel plauso del direttore della Cia, Mike Pompeo e del segretario di Stato Tillerson, nei termini di un appello a Trump di lanciare «l’offensiva finale contro il regime di Teheran, indebolendone le finanze attraverso più massicce sanzioni economiche e minandone la direzione attraverso la mobilitazione delle forze pro-democrazia». E il Congresso «ha votato cospicui finanziamenti ai terroristi del Mek, la cui presidente, Maryam Rajavi, non ha perso l’occasione peri incitare “l’eroico popolo dell’Iran” all’assassinio del dittatore Khamenei e alla liberazione dei prigionieri politici». Presto, conclude Grimaldi, emergerà anche una nuova eroina-simbolo della “rivoluzione democratica”, sul modello di Neda Soltan. Ricordate la giovane manifestante di Teheran “uccisa” dagli agenti del regime «di cui, poi, un video dimostrava la finta morte allestita con finto sangue dai suoi compari e un giornale tedesco, la “Sueddeutsche Zeitung”, la “resurrezione” in Germania». Nulla di nuovo sotto il sole: «Solo che questa volta temo che, constatati i propri rovesci in Medio Oriente, grazie anche all’Iran, i veri Stati canaglia vogliano andare fino in fondo. E qui, amici, la controinformazione è vitale».«Si è scatenato quello che promette essere un rinnovato tentativo USraeliano, con il conforto saudita e il beneplacito dell’Ue, al cambio violento di regime in Iran, stavolta mettendoci tutto l’impegno dei due terroristi di Stato della cosiddetta “comunità internazionale (leggi Nato), Trump (con lo Stato Profondo Usa) e Netanyahu (sostenuto dalla lobby) e arrivando fino all’aggressione armata, con conseguenze apocalittiche non solo per il Medioriente». Fulvio Grimaldi, per lunghi anni giornalista Rai e autore del documentario “Target Iran”, che racconta la nuova realtà dell’ex Persia affrancatasi dall’Occidente, teme che la guerriglia scatenatasi a Teheran sia l’antipasto dell’ennesima, sanguinosa “rivoluzione colorata” per rovesciare il governo iraniano, che insieme a quello russo si è opposto con successo, in Siria, alla guerra contro Assad organizzata dalla Cia utilizzando i miliziani dell’Isis. «L’anticipazione di questa strategia, lubrificata dallo tsunami di falsità e diffamazioni di cui si incaricano i media mainstream, con particolare efficacia quelli di “sinistra” e la loro clientela di utili idioti e amici del giaguaro imperialista – scrive Grimaldi – la si è avuta nel 2009, al tempo delle elezioni che hanno rinnovato il mandato al migliore, più laico, antimperialista (si ricordi la sua amicizia con Hugo Chavez) e socialmente sensibile presidente iraniano, Mahmud Ahamdinejad».
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Blondet: Cane Pazzo fermerà il Cretino della Casa Bianca?
«E’ un cretino», avrebbe detto di Trump il segretario di Stato Rex Tillerson, anzi «un fottuto cretino». «Compariamo i quozienti intellettivi e vediamo chi vince», ha twittato in risposta “The Donald”, confermando involontariamente la valutazione di Tillerson. Secondo Steve Bannon, Trump «ha il 30% di probabilità di terminare regolarmente il mandato», visto che potrebbe decadere non per impeachment, ma per il 25° emendamento, in base al quale il gabinetto, a maggioranza, può rimuovere il presidente per ragioni (fra l’altro) psichiatriche. Lo riporta Maurizio Blondet, registrando lo stato di caos che regnerebbe a Washington. «Diverse persone vicine al presidente mi hanno detto in privato che Trump è “instabile”, che “perde colpi”, che “va in pezzi”», scrive Gabriel Sherman su “Vanity Fair”, dopo l’intervista rilasciata al “New York Times” del senatore repubblicano Bob Corker, che ha definito la Casa Bianca di questi giorni «un asilo nido per adulti» e ha detto di temere che Trump scateni la Terza Guerra Mondiale. Esagerazioni? «Il capo di gabinetto, generale John Kelly, è profondamente a disagio e infelice nella sua carica, ma vi resta per senso del dovere, per frenare le decisioni più disastrose che Trump da solo potrebbe prendere: per esempio, ordinare un attacco atomico preventivo contro la Corea del Nord».Lo stesso Kelly e il generale James Mattis, il segretario alla difesa, avrebbero discusso fra loro cosa fare se Trump ordinasse il “first strike”, il temutissimo “primo colpo” nucleare. «Gli si opporranno?», si domanda l’anonimo spifferatore della storia a “Vanity Fair”, indicato come ex funzionario della Casa Bianca. Altra indiscrezione: in una riunione dello scorso luglio, Trump avrebbe espresso il desiderio di «decuplicare l’arsenale atomico», salvo poi negare via Twitter, minacciando di «togliere la licenza» alla catena televisiva “Nbc” per quella “fake news”. Ma diverse voci smentiscono il presidente e confermano la notizia, aggiunge Blondet: saputo in quella riunione che gli Usa hanno attualmente 4.000 testate nucleari, contro le 32.000 a loro disposizione nel 1960, Trump avrebbe «espresso il desiderio di riportarle a quel numero, lasciando basiti i generali». Si parla anche di una riunione del consiglio di sicurezza nazionale nella Situation Room, a luglio, in cui Trump avrebbe «ordinato ai capi militari di licenziare il comandante dello forze Usa in Afghanistan», paragonando i loro consigli a quelli di un consulente di sua conoscenza di un ristorante di New York, «i cui suggerimenti sbagliati avevano fatto perdere tempo e denaro».La riunione era stata convocata perché il presidente approvasse la nuova strategia sull’Afghanistan, ma è stata così improduttiva che i consiglieri hanno deciso di continuare la discussione il giorno dopo al Pentagono, con la speranza che in una riunione con meno persone il presidente si sarebbe «concentrato di più». Si interroga Blondet: forse non è il Deep State ad aver messo alle costole di Trump i generali Mattis e Kelly per neutralizzarlo e fargli continuare la politica bellicista di sempre. Forse i “buoni” sono proprio i generali, che provano a frenare un presidente che «gioca a fare il dittatore folle, impartendo ordini pericolosissimi». Ordini «aggravati da una mente sconclusionata, incapace di concentrarsi», nonché «da una furiosa mancanza di conoscenze» specifiche e da «idee da cartone animato». Così almeno scrive il sito “Red State”, politicamente ostile a “The Donald”. Fatto sta che Trump ha apertamente sconfessato il suo segretario di Stato, Tillerson, nei suoi sforzi di aprire (o mantenere aperto) un canale diplomatico con la Corea del Nord, con tweet del tipo: «Risparmiati la fatica, Rex. Serve una sola cosa», la Bomba. Tillerson, aggiunge Blondet, «appare in lotta non solo con il Cretino, ma anche con il Deep State, che quanto a intensità di follia non è certo secondo».Se infatti l’inquilino della Casa Bianca sembra quantomeno in confusione, lo “Stato Profondo” rappresentato dal complesso militare-industriale, Cia e Pentagono più Wall Street, è «sempre più fanaticamente impegnato a portare le relazioni con Mosca ad un punto di non ritorno», come dimostra «l’uccisione del generale Asapov, la bollatura della redazione americana di “Russia Today” come “agenzia straniera”, il bando all’antivirus Kasperski in Usa, accusato dagli israeliani di avere dentro un software spionistico, l’armamento nuovo ai ribelli in Siria». Lo stesso Tillerson, aggiunge Blondet, ha fatto una telefonata cordiale a Lavrov, in cui, secondo il comunicato ufficiale, s’è parlato perfino della «prospettiva di collaborazione Russia-Usa per far funzionare le zone di de-escalation» in Siria. «Una telefonata che ha forse solo il senso di dare un disperato segnale: non è il segretario di Stato la fonte degli attacchi e delle provocazioni», scrive Blondet. Ancor più grave: Tillerson è a favore dell’idea che gli Usa «continuino a mantenere l’accordo nucleare iraniano, che Trump invece sicuramente straccerà, fra l’altro aggravando la rottura con gli europei che invece continuano a sostenerlo». E quindi «cosa farà, imporrà sanzioni agli europei che commerciano con Teheran?».Tillerson, continua Blondet, «ha indetto una conferenza stampa per smentire – non già di aver dato del cretino al suo presidente (su questo ha glissato) – ma di essere sul punto di dare le dimissioni». Anche lui, come Kelly, «per senso del dovere». E pure il generale “Mad Dog” Mattis, nonostante il suo soprannome (“cane pazzo”), «esercita quanto può il ruolo di ragionevole trattenitore» del Folle. «Anche lui davanti al Congresso s’è dichiarato a favore del fatto che gli Usa mantengano fede all’accordo con l’Iran (e gli alleati europei e la Russia) sul nucleare iraniano, che Teheran sta rispettando. Ciò ha fruttato a Mattis la furiosa visita di un altro pazzo, il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman», il quale sostiene la posizione di Trump e ha informato il capo del Pentagono – testualmente – che «il conflitto Israele-Iran in Siria ha raggiunto il punto di non ritorno», e che «siccome Teheran continua ad ignorare gli altolà di Israele all’espansione iraniana nel Medio Oriente, Israele va ad un conflitto con l’Iran» in Siria. Infatti «Israele ha reso chiaro, sia gli iraniani che ai siriani, e anche ai russi, che non consentirà alcuna presenza iraniana in Siria, specialmente aerei da guerra o un molo iraniano nel porto di Tartus».Per adesso, scrive il sito israeliano “Yenet News”, ciò che Lieberman potrà ottenere sarà al massimo l’appoggio del Pentagono per intensificare la guerra contro quello che chiamano «la sovversione dell’Iran in Medio Oriente, dallo Yemen a Gaza al Libano». Già esiste «un piano americano contro Hezbollah come parte della guerra contro l’Iran e i suoi satelliti». Un piano che farebbe parte delle misure contro «l’espansione iraniana nella regione», vale a dire – traduce Blondet – la continuazione della sovversione del governo siriano con il pieno sostegno ai jihadisti e con le uccisioni di russi. Nell’articolo di “Vanity Fair” si racconta che Steve Bannon, quand’era ancora il capo-stratega alla Casa Bianca, ha detto francamente a Trump che, col suo comportamento, non doveva temere l’impeachment, ma il 25° emendamento. Al che, Trump ha risposto: «E che cos’è?». Blondet fa notare «quante personalità disturbate, irresponsabili, pericolosamente instabili o con gravi problemi di sociopatia» siano attualmente al potere, citando anche Netanyahu e Erdogan, «che sta rompendo i rapporti diplomatici con gli Usa, nello sgomento dei suoi ministri». Per Blondet, questo è «un passo apocalittico della storia», che aumenta «il disordine demolitorio ed esplosivo», là dove prima esistea un ordine mondiale fondato su equilibri dinamici.«E’ un cretino», avrebbe detto di Trump il segretario di Stato Rex Tillerson, anzi «un fottuto cretino». «Compariamo i quozienti intellettivi e vediamo chi vince», ha twittato in risposta “The Donald”, confermando involontariamente la valutazione di Tillerson. Secondo Steve Bannon, Trump «ha il 30% di probabilità di terminare regolarmente il mandato», visto che potrebbe decadere non per impeachment, ma per il 25° emendamento, in base al quale il gabinetto, a maggioranza, può rimuovere il presidente per ragioni (fra l’altro) psichiatriche. Lo riporta Maurizio Blondet, registrando lo stato di caos che regnerebbe a Washington. «Diverse persone vicine al presidente mi hanno detto in privato che Trump è “instabile”, che “perde colpi”, che “va in pezzi”», scrive Gabriel Sherman su “Vanity Fair”, dopo l’intervista rilasciata al “New York Times” del senatore repubblicano Bob Corker, che ha definito la Casa Bianca di questi giorni «un asilo nido per adulti» e ha detto di temere che Trump scateni la Terza Guerra Mondiale. Esagerazioni? «Il capo di gabinetto, generale John Kelly, è profondamente a disagio e infelice nella sua carica, ma vi resta per senso del dovere, per frenare le decisioni più disastrose che Trump da solo potrebbe prendere: per esempio, ordinare un attacco atomico preventivo contro la Corea del Nord».
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Un mondo di sole destre, finto-ribelli. La sinistra? E’ sparita
Alice Elisabeth Weidel è la vincitrice morale delle recenti elezioni tedesche e, con la sua terza posizione, diventa uno scomodo ma forte interlocutore politico. La Weidel è omosessuale e da anni convive con la produttrice di film Sarah Bossard, cittadina svizzera originaria dello Sri Lanka, con la quale ha due figli. Alice nel paese delle meraviglie, ex Goldman Sachs, lavorava negli stessi ambienti di Soros, tanto per capire come sia interna e complementare allo stesso sistema che a parole combatte. Il simbolo del partito è a metà strada tra il logo della Nike, un simbolo fallico e una saetta delle Ss rubata da una vecchia bandiera. Segno dei tempi, un po’ nazi, un po’ trendy e gayfriendly… Le destre radicali e i populismi rappresentano quell’aggiornamento di sistema che descrivo da tempo, ovvero il favorire le estreme come catalizzatore di voti, contenitori del dissenso che spostino il voto popolare a destra, e giustifichino la vittoria dei moderati, come l’Afd per la Cdu, la Le Pen per Macron, Grillo per il Pd. Stesso identico schema. A questo servono, sono il cane da guardia del capitale, le avanguardie del padronato.Nei prossimi decenni l’aggiornamento del sistema vedrà l’affermazione delle destre radicali, utilizzate come ultimo baluardo di un re nudo (leggi liberismo) per contenere una possibile e potenziale deriva antagonista progressista culturale e di piazza, soprattutto per tarparne il desiderio, spostando il dissenso a destra o in contenitori definiti reazionari. Questa è una strategia nuova ma al tempo stessa vecchia e già sperimentata, è quella che la grande borghesia mise in campo all’inizio del ventennio del secolo scorso contro le avanzate del bolscevismo e in vista di un potenziale risveglio dei popoli da sinistra. Fascismo e nazismo rispondevano a questo bisogno borghese di individuazione di un nemico e di tarpare le ali a qualsiasi rivoluzione popolare. Quando i cosiddetti moderati di ogni dove non potranno più essere votati, dopo l’ultimo ed ennesimo inganno, in un mondo dove le notizie circolano ed i tabù crollano, le sentinelle silenti di estrema destra, oggi ancora di nicchia, arriveranno e svolgeranno il ruolo per cui sono state create. La rete in questi anni è stata molto utile per ripulire certi mondi, l’estrema destra è stata spesso salutata come forza liberatrice, come novità, sfruttando la rabbia e l’astinenza da rogo dei popoli e l’ignoranza atavica che pervade l’uomo qualunque.Un certo revisionismo della storia è stato fatto circolare e accettare; questo tornerà comodo e sarà il medium preposto a stabilizzare il sistema, incarnando uno spauracchio anti-democratico, oppure, nel peggiore dei casi, a sostituirsi al sistema potenziandolo, ma pur sempre restando nell’alveo iper-liberista, con l’aggiunta di un certo sentimento nazionalista e xenofobo, magari con virate peroniste, ma sempre rispettando la matrice dello schema di base. L’unica vera assente a livello planetario da almeno 30 anni è lei, la tanto vituperata e obsoleta sinistra: ridicolizzata, schernita, derisa; eppure manca solo lei, nello scenario mondiale. Gli ultimi leader socialisti e progressisti di un tempo, declinati in diverse gradazioni e temperature politiche, sono stati fatti fuori, quelli attuali rispondo a logiche neo-liberiste e comunque non progressiste. Pensiamo ad Olof Palme ucciso in Svezia dall’estrema destra manovrata dai servizi, pensiamo ad Allende ucciso da Pinochet e dalla Cia, pensiamo a Sankara, a Gheddafi, a Chavez e tanti altri.Ragioniamo su quali schieramenti sono stati sconfitti nel tempo e conflitti dal sistema che ha usato servizi segreti, estrema destra, spezzoni di magistratura, per sbarazzarsi anche culturalmente di ogni progressismo. Pensiamo ai nazisti patrioti ucraini, appoggiati perfino dal Pd in versione anti-Putin, curiosa joint venture tra mondi diversi, ma uniti dal bisogno reciproco. Comunque ragioniamo sulle cause storiche degli ultimi 40 anni, che hanno materializzato l’attuale paradigma neo-aristocratico che ha pervaso entrambi gli schieramenti, come sul modello americano, dove destra e sinistra partitica sono chimere e fazioni quasi identiche e vengono percepiti lontani dalla gente. Il modello di pensiero unico ha bandito le ideologie: chiediamoci il perché. Ha cambiato il linguaggio, svuotando di significato due polarità necessarie alla dialettica democratica. Non è passatista ed errato parlare ancora di destra e sinistra, perché incarnano valori e ideali, senza i quali rimane solo la mera speculazione finanziaria senza idee e progettualità, la giungla più buia dove vince il più forte.Quando Michael Ledeen parla di fascismo universale, lui – sionista imperialista, vero grande burattinaio, al cui cospetto Gelli era un passacarte – dice una cosa precisa, e non è mia la definizione. Il fascismo non è stato solo un ventennio; il fascismo, come ci ricordano i grandi manovratori, certi iniziati, veri studiosi e liberi pensatori anarchici come Reich (che non a caso, da uomo libero quale era, parla di fascismo rosso), è un’attitudine, è un modello di pensiero che trasla gli schieramenti, è una forma-pensiero; possiamo anche chiamarla diversamente, ma questo è… Così la plasmarono gli iniziati neri, quando crearono il nazismo esoterico decenni prima dell’avvento del nazismo politico; sono egregore che servono a manipolare le masse e la psicologia di massa.(“Un mondo di sole destre è possibile, anzi è reale”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 1° ottobre 2017).Alice Elisabeth Weidel è la vincitrice morale delle recenti elezioni tedesche e, con la sua terza posizione, diventa uno scomodo ma forte interlocutore politico. La Weidel è omosessuale e da anni convive con la produttrice di film Sarah Bossard, cittadina svizzera originaria dello Sri Lanka, con la quale ha due figli. Alice nel paese delle meraviglie, ex Goldman Sachs, lavorava negli stessi ambienti di Soros, tanto per capire come sia interna e complementare allo stesso sistema che a parole combatte. Il simbolo del partito è a metà strada tra il logo della Nike, un simbolo fallico e una saetta delle Ss rubata da una vecchia bandiera. Segno dei tempi, un po’ nazi, un po’ trendy e gayfriendly… Le destre radicali e i populismi rappresentano quell’aggiornamento di sistema che descrivo da tempo, ovvero il favorire le estreme come catalizzatore di voti, contenitori del dissenso che spostino il voto popolare a destra, e giustifichino la vittoria dei moderati, come l’Afd per la Cdu, la Le Pen per Macron, Grillo per il Pd. Stesso identico schema. A questo servono, sono il cane da guardia del capitale, le avanguardie del padronato.