Archivio del Tag ‘decrescita’
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Lavorare meno e meglio: chi sfrutta l’uomo uccide la Terra
Penso che il fondamento dell’ecologismo sia, in termini generali, osservare e denunciare i mali che si producono sulla natura, ma senza soffermarsi troppo a considerarne le cause, cioè lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, cosa che implica anche lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo. Per questo motivo, perché contiene queste premesse, il marxismo mi ha sempre interessato. L’ecologismo ha criticato molte volte il marxismo per essere eccessivamente operaista e produttivista, a volte a giusta ragione. Ma personalmente difendo una decrescita correlata al marxismo, che elimini lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il lavoro alienato, il consumismo e il produttivismo. Queste idee si possono ritrovare nel pensiero di Marx.
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Siamo in crisi, e questi politici non servono più a niente
Stefano Fassina prova a contestare la lettera con cui la Bce impone all’Italia l’euro-gogna del debito, ma Enrico Letta lo corregge spiegando che non si può essere «europeisti a intermittenza», proprio mentre Arturo Parisi mette in croce Bersani per non aver mosso un dito sulla raccolta firme per il referendum che restituirebbe agli italiani almeno una legge elettorale decente. Foto di famiglia con rovine: e questa sarebbe l’opposizione destinata a mandare a casa il Cavaliere, sostituendolo al governo di non si sa più bene cosa – sicuramente un paese precarizzato e impoverito, spaventato, commissariato dai banchieri mondiali nonché ostaggio di miliardari-filosofi travestiti da salvatori della patria, oracoli della “crescita” e tagliatori di teste come Marchionne.
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Pallante: debito creato solo per drogare la crescita suicida
Meno e meglio: è l’unica soluzione, per uscire dalla spirale del debito. Che non è un incidente di percorso, tutt’altro: il debito è stato incoraggiato a tavolino per indurre i consumatori a comprare merci che non si sarebbero potuti permettere. Obiettivo: smaltire la marea di nuove merci prodotte a ritmo vorticoso da tecnologie industriali sempre più avanzate e diffuse in tutto il mondo grazie alla globalizzazione. Il debito serviva a questo: ad assorbire l’enorme valanga planetaria di merci, evitando una “crisi di sovrapproduzione”. Il peccato originale ha un nome sulla bocca di tutti: crescita. Non è la soluzione, è il problema: la crescita è cieca, perché si basa solo sulla quantità, trascurando di selezionare beni e servizi realmente utili. La crescita vive di sprechi e genera Pil inutile, gonfiato dalla droga pericolosa del debito.
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Nuovo mondo: riscriviamo le regole per uscire dalla crisi
Il nostro tempo è caratterizzato dall’intreccio di tre grandi crisi. Crisi epocali e senza precedenti. Tutte queste crisi, in vario modo, stanno arrivando a un punto di rottura. Tale situazione rende indispensabile la transizione ad una diversa organizzazione sociale, politica ed economica. La prima, cruciale, crisi che abbiamo di fronte è quella economica, che nel 2007-08 si è resa evidente attraverso la crisi finanziaria, ed è diventata, oggi in Europa, crisi dei debiti sovrani. Non è una crisi ciclica. La seconda riguarda l’egemonia degli Usa, il cui potere imperiale appare avviato verso un declino lento ma probabilmente irreversibile.
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Libia, la verità? Fermare la Cina, inguaiando anche l’Europa
Gheddafi è solo una maschera, il tiranno perfetto contro cui scatenare i media, quindi l’opinione pubblica e infine i Tornado. Berlusconi? Non conta niente, ha subito una guerra che non voleva, come del resto la manovra finanziaria “lacrime e sangue”. E gli alleati europei? Idem: nonostante le apparenze, la battaglia di Tripoli è contro di loro, innanzitutto: concepita per metterli nei guai. E persino «il povero Obama» ha dovuto abbozzare. Perché a decidere di trasformare la Libia in un inferno come l’Iraq è stato il super-potere di Wall Street. Con un obiettivo evidente: fermare l’avanzata della Cina. «Non è nemmeno questione di petrolio», dice Giulietto Chiesa all’“Espresso”: «Tra 5-10 anni non ci sarà più posto per Usa e Cina insieme: o troveranno un accordo, o sarà guerra mondiale».
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La Borsa è zona di guerra: gli Stati vacillano, vicini alla resa
Trecento miliardi di capitalizzazione “bruciati” in un solo giorno sulle piazze europee: “La Borsa è zona di guerra”, titola la Cnn il 19 agosto, assistendo al crollo simultaneo dei centri finanziari di tutto il mondo. «Di fatto – scrive Francesco Piccioni sul “Manifesto” – gli Stati sono stati mobilitati per “salvare il sistema finanziario”; per farlo hanno distrutto i propri bilanci, gonfiando oltre misura il debito pubblico mentre tagliavano disperatamente la spesa sociale per “reperire risorse”». Dopo la prima ondata di tagli, il sistema finanziario ha ricominciato il gioco della speculazione, solo che adesso «gli Stati non sono più una risorsa di denaro fresco, ma una parte del problema: per questo le misure avanzate da Merkel e Sarkozy non avrebbero potuto “rassicurare i mercati” neanche se fossero state cento volte più intelligenti».
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Futuro a chilometri zero: scendiamo dal treno del disastro
Siamo milioni, abbiamo le idee chiarissime su come uscirne dalla crisi: tornare al territorio, accorciare le filiere. Ma manca ancora uno strumento essenziale: la politica. Qualcuno che organizzi l’oceano critico dei cittadini messi in pericolo dalle “manovre” europee taglia-diritti, figlie di un impianto ideologico oblsoleto e una prassi grottesca, quando non criminale: tassi d’usura per le speculazioni sul debito, popoli interi che pagano per gli errori e le razzie dell’élite finanziaria, e poi politici, giornali e imprenditori che, anche di fronte allo scenario di rovine che la globalizzazione selvaggia sta spalancando davanti agli occhi di tutti, ripetono le liturgie fanatiche del loro fallimento: crescita, grandi opere, trasporti mondiali di merci, “sviluppo”. E’ finita, per sempre: prima lo ammettono, e prima ci salveremo.
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Attenti a quei due: Sarkò e Merkel commissariano l’Europa
Adesso basta: Nicolas Sarkozy e Angela Merkel dettano la nuova strategia della politica economica del Vecchio Continente: no agli “eurobond” cari a Tremonti, sì alla tassa sulle transazioni finanziarie; pareggio di bilancio da inserire nelle Costituzioni e, ancora una volta, «promozione della crescita». Il messaggio di fondo è ormai chiaro, scrive Matteo Cavallito sul “Fatto Quotidiano”: Parigi e Berlino prendono ufficialmente la guida della carovana europea lanciando una nuova politica di gestione dell’economia continentale. Obiettivo: difendere il sistema europeo vacillante, dopo l’ondata speculativa che ha messo in crisi anche le “locomotive virtuose”. Prezzo da pagare: fine delle sovranità nazionali e taglio del welfare per abbattere i costi della spesa sociale.
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Reichlin: schiavi del denaro, nel vuoto della non-politica
L’avatar di Berlusconi che davanti al Parlamento balneare dice che va tutto bene, Bersani che replica che «le banche vanno male perché le aziende vanno male, e il mondo lo sa», e poi Casini, l’unico che propone qualcosa (a parte la sostituzione del premier): tanto vale, dice, bere subito la medicina amara dei super-tagli di Tremonti, imposti da Bruxelles ma assurdamente posticipati al 2013. Un funerale in diretta, a reti unificate: nessuna soluzione per uscire dalla crisi. Nessuna diagnosi, a parte la rituale condanna del Cavaliere ad personam. E soprattutto, nessuna alternativa: stando ai partiti che siedono in Parlamento, domani l’Italia avrà di fronte la stessa non-politica di oggi, al massimo emendata dall’ingombro dell’uomo di Arcore. Più che altrove, a Roma si riflette quello che Alfredo Reichlin chiama «il vuoto mondiale».
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Italiani infelici: la nuova povertà nata dalla ricchezza
Questa storia che gli italiani stiano diventando poveri, di una povertà insopportabile, mi convince fino a un certo punto. Nei ’50, a parte una sottile striscia di alta borghesia che si guardava bene dall’ostentare, eravamo tutti più poveri della media di coloro che oggi sono considerati tali. Certo, avevamo molte meno esigenze. I bambini non venivano iscritti ai corsi di tennis, di nuoto, di danza. Noi ragazzini giocavamo a pallone nei terrain vague dove anche ci scazzottavamo allegramente (era la nostra “educazione sentimentale”) e tornavamo a casa la sera con le ginocchia nere e sbucciate (chi mai riesce, oggi, a vedere un bambino, vestito col suo paltoncino, come un cane di lusso, con le ginocchia sbucciate?).
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Spetta ai ricchi finanziare la decrescita che ci attende
Lavorare tutti. E soprattutto: consumare meno, e meglio. Obiettivo: affrontare la transizione sempre più vicina, visto il collasso mondiale della società della “crescita infinita”. Se la recessione, volenti o nolenti, è già l’orizzonte comune, s’impone una domanda-chiave: come uscire vivi dai rottami planetari del capitalismo finanziario per entrare gradualmente nella società del futuro? Stampare più moneta, rischiando l’inflazione? Puntare sulla green economy? Da sola la riconversione ecologica non basta: se il mercato alza bandiera bianca, serve l’intervento diretto dello Stato. Una rivoluzione fiscale: tassare il patrimonio, non il reddito. E finanziare così la nuova occupazione: lavori socialmente utili, per uscire dalla crisi ed entrare in una nuova era dell’umanità.
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Le Nazioni Unite: stop alla crescita, non è più sostenibile
Boom demografico e crescita esplosiva dei consumi nei paesi di nuova industrializzazione: le risorse del pianeta si stanno esaurendo rapidamente. La media annuale è oggi di 10 tonnellate pro capite, il doppio delle risorse consumate nel ‘900. Avanti di questo passo, avverte l’Onu, nel 2050 l’umanità si troverà ad utilizzare annualmente 140 miliardi di tonnellate di minerali, combustibili fossili e biomasse: il triplo della quantità consumata attualmente. Da qui l’importanza del “fare di più con meno”, ottimizzando la “resa” delle risorse grazie al “decoupling”, disaccoppiando cioè l’intensità di energia e materie prime per unità di Pil e riducendo così l’input di materie prime ed energia per produrre beni e servizi. Una cosa è certa: l’attuale crescita non è più sostenibile, bisogna tornare almeno ai livelli del 2000.