Archivio del Tag ‘cultura’
-
Crisi e guerra, la grande paura. E l’Fbi azzoppa la Clinton
Non è strano che, a una settimana dal voto, l’Fbi riapra le indagini sullo staff di Hillary Clinton, terremotando inevitabilmente i sondaggi, già in fibrillazione? Non è strano che il direttore della prestigiosa polizia federale osi un gesto simile, alla vigilia dell’election day, come se non ne temesse le conseguenze? Forse non è così strano, se si rileggono – oggi, a qualche mese di distanza – alcune ricostruzioni provenienti dall’Italia: Trump non è (solo) la “bomba a mano” incontrollabile descritta dai media mainstream, ma è anche e soprattutto una “scommessa coperta”, un Cavallo di Troia abilmente lanciato nel campo repubblicano alla stessa élite super-massonica “progressista” che, nel campo opposto, aveva appoggiato il socialista Bernie Sanders. Trump doveva servire a fermare Jeb Bush, Sanders a ostacolare l’ascesa della Clinton. Oggi questo ruolo è stato ereditato dallo stesso Trump, ma il copione non cambia. E il “pericolo” non è Hillary, ma i poteri fortissimi che l’hanno scelta come esecutrice del loro volere, così come scelsero personaggi “neocon” come Victoria Nuland, introdotta nel team di Obama con l’obiettivo di destabilizzare la Russia attraverso la sfida alle frontiere, cominciando dal golpe in Ucraina travestito da rivoluzione.L’escalation a Kiev fu decisa in risposta alla decisione di Putin di schierarsi in difesa della Siria: un cambio di rotta radicale, dopo che il Cremlino aveva assistito passivamente all’ultima puntata della “guerra infinita”, la demolizione della Libia. Dietro le quinte, a Washington, a fare la prima mossa sono sempre loro, gli uomini del Pnac, quelli del “nuovo secolo americano”, protagonisti delle guerre di Bush innescate dall’11 Settembre. E’ il famigerato super-vertice globalizzatore, finanziario e militare, “l’Impero”. Non tollera l’idea che gli Stati Uniti possano perdere i propri immensi privilegi, che sorreggono il tenore di vita (e i clamorosi profitti dell’élite), e per questo è pronto a tutto – anche una Terza Guerra Mondiale, nucleare? Ne è convinto l’ex viceministro di Reagan, Paul Craig Roberts, secondo cui i grandi media – sotto Obama – hanno coperto una sostanziale “dittatura” instauratasi alla Casa Bianca, dove il presidente non è il che il terminale, sempre più opaco, di micidiali gruppi di interesse, completamente irresponsabili e ormai anche in preda al panico, ossessionati dalla paura di perdere il loro immenso potere. Recenti sondaggi, dice Marcello Foa, rivelano che il 70% degli elettori statunitensi non credono più ai grandi media, dai network televisivi al “New York Times”, tutti schierati con la Clinton e ridotti a mero strumento di propaganda dell’establishment, di cui Trump è visto come antagonista.«Illusionismo, puro gioco delle parti», sostiene Fausto Carotenuto, analista internazionale, ai microfoni di “Border Nights”: «Si scontrano due gruppi di potere, sempre gli stessi: uno è definito conservatore, quello che appoggia la Clinton, e l’altro si definisce progressista ma è ancora più ipocrita del primo». Super-massoneria occulta: quella che Gioele Magaldi, progressista, ha messo in piazza tra le pagine del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere). Un altro esponente della cultura massonica italiana, Gianfranco Carpeoro, autore del recentissimo saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Uno Editori), avverte: «La novità è che il vertice di quel potere è spaccato, come dimostra l’appoggio dato a un candidato come Sanders». Grandi defezioni, nelle alte sfere, avrebbero propiziato la stessa candidatura Trump. Diserzioni così preoccupanti, secondo Carpeoro, da spingere “l’ala destra” del super-potere a ricorrere in modo sistematico anche alla strategia della tensione, come si deduce dal moltiplicarsi di sanguinosi attentati in Europa, organizzati da quella che Carpeoro chiama “sovragestione”, ovvero: elementi di vertice che si avvalgono di settori dei servizi segreti, che all’occorenza reclutano kamikaze jihadisti.Il vertice della piramide è diviso? Lo dimostra il testa a testa fra Hillary e Trump. E una delle massime eminenze grigie del super-potere massonico, Zbigniew Brezinzki, qualche settimana fa aveva avvertito: ora basta con la guerra fredda, è tempo di sedersi attorno a un tavolo con Putin e coi cinesi, perché questa escalation porta solo al rischio di una catastrofe. Attenzione: Brzezinski è stato uno dei massimi architetti della globalizzazione “imperiale”. Il pericolo di un collasso è concreto, sostiene Giulietto Chiesa: «I padroni universali sanno quello che sta succedendo, e più o meno – tra di loro – se lo dicono». Chiesa cita dichiarazioni recenti, molto inquietanti: da Rockefeller, secondo cui «la Terza Guerra Mondiale è inevitabile: dovremmo metterci d’accordo coi russi, ma temo che non ce la faremo», a Rotschild, che avverte: «Sta per terminare il più grande esperimento finanziario mai realizzato nella storia», la finanza monetarista svincolata dall’economia reale, «e adesso stiamo entrando in acque inesplorate». E Larry Summers, ex segretario al Tesoro, aveva profetizzato: la crescita del Pil mondiale si fermerà attorno al 2005. «Ci stanno dicendo che si sta avvicinando una catastrofe, la fine di questo capitalismo finanziario. Non c’è da stupirsi, quindi, dei preparativi di guerra cui stiamo assistendo».Tra i nuovi “catastrofisti” si iscrive anche il finanziere Carlo De Benedetti, che al “Corriere della Sera” dichiara: «Sta arrivando una crisi gigantesca, che metterà in forse tutta la democrazia nel mondo». Giulietto Chiesa è pessimista: «Tutti quelli che pensano che non succederà niente, perché alla fine ci si metterà d’accordo, si sbagliano. Non sono “i cattivi” che vogliono la guerra, è la situazione che non è sanabile: siamo governati da imbecilli, in un mondo totalmente diviso tra ricchi e poveri come mai nella storia dell’umanità». Lo stesso Carpeoro, nei mesi scorsi, è tornato più volte sul tema: «Il nuovo ordine mondiale è fatalmente incompiuto, provano sempre a realizzarlo ma non ci riescono mai fino in fondo, perché litigano tra loro». Una rissa pericolosa, che può anche esplodere – sotto forma di terrorismo e bombe, domani anche atomiche? Difficile credere che tutto sia appeso, davvero, al solo parrucchino di Trump: non può essere un caso che un super-potente come James Comey, capo dell’Fbi, scenda in campo – a due passi dal voto – per tentare di sbarrare la strada della Casa Bianca ai “padroni” di Hillary Clinton, i “signori della guerra”. Zero fair-play, dicono i commentatori mainstream: la campagna più brutta della storia delle elezioni Usa. Forse anche la più drammatica, cruciale, pericolosa.Non è strano che, a una settimana dal voto, l’Fbi riapra le indagini sullo staff di Hillary Clinton, terremotando inevitabilmente i sondaggi, già in fibrillazione? Non è strano che il direttore della prestigiosa polizia federale osi un gesto simile, alla vigilia dell’election day, come se non ne temesse le conseguenze? Forse non è poi così sorprendente, se si rileggono – oggi, a qualche mese di distanza – alcune ricostruzioni provenienti dall’Italia: Trump non è (solo) la “bomba a mano” incontrollabile descritta dai media mainstream, ma è anche e soprattutto una “scommessa coperta”, un Cavallo di Troia abilmente lanciato nel campo repubblicano alla stessa élite super-massonica “progressista” che, nel campo opposto, aveva appoggiato il socialista Bernie Sanders. Trump doveva servire a fermare Jeb Bush, Sanders a ostacolare l’ascesa della Clinton. Oggi questo ruolo è stato ereditato dallo stesso Trump, ma il copione non cambia. E il “pericolo” non è Hillary, ma i poteri fortissimi che l’hanno scelta come esecutrice del loro volere, così come scelsero personaggi “neocon” come Victoria Nuland, introdotta nel team di Obama con l’obiettivo di destabilizzare la Russia attraverso la sfida alle frontiere, cominciando dal golpe in Ucraina travestito da rivoluzione.
-
Brian Eno: apartheid, Israele non avrà la mia musica
Mia madre, belga, ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra – e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due Stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid – come ha inoltre osservato l’arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo. Una cosa che il giornalista non dice è che questo sentimento è condiviso da molti ebrei – tra cui ebrei israeliani – che hanno alzato la loro voce contro l’occupazione. Sono anche loro antisemiti?Ah già dimenticavo – sono “ebrei che odiano se stessi”, giusto? Questa posizione ridicolmente artificiosa nasce dalla commistione di Israele come Stato con gli ebrei come popolo. II popolo ebraico merita di più che essere rappresentato esclusivamente dal governo israeliano. Allora perché io “me la prendo” con Israele? In primo luogo, perché è stato il governo britannico, attraverso la Dichiarazione Balfour, che ha contribuito a creare tutta questa situazione. Abbiamo regalato quella terra – che non era nostra da regalare – e abbiamo contribuito all’avvio del processo per ripulirla dagli arabi. Forse è stato un modo per chiedere scusa per la nostra incapacità di aiutare gli ebrei quando ne avevano bisogno – prima e durante la guerra – ma è stato fatto a spese del popolo che già viveva lì. In secondo luogo, sosteniamo Israele militarmente e diplomaticamente – e abbiamo un bel commercio di armamenti in corso tra noi e loro. In terzo luogo, Israele si presenta come una democrazia liberale occidentale, e insiste ad essere considerata come tale. Quale altra democrazia liberale occidentale è uno Stato di apartheid?Quale altra democrazia liberale occidentale rinchiude con checkpoint una gran parte della popolazione (occupata) in ghetti e la bombarda periodicamente? Ho poco potere per intervenire su questo. Praticamente l’unica cosa che posso fare è non prenderne parte – e per me questo significa non partecipare alla campagna di pubbliche relazioni che Israele conduce attraverso i suoi programmi culturali – in particolare, non permettendo l’uso della mia musica per gli eventi sponsorizzati dal governo israeliano. Tutto qua. Voglio un mondo dove sia i palestinesi che gli ebrei siano sicuri e liberi di esprimere i loro talenti, ma ritengo che quello che il governo israeliano sta facendo ora praticamente garantisce che ciò non venga mai realizzato.(Brian Eno, “Ecco perché non concedo la mia musica a Israele”, da “Sette” del “Corriere della Sera” del 7 ottobre 2016, ripreso da “Megachip”).Mia madre, belga, ha passato la guerra in un campo di lavoro tedesco (non un campo di sterminio, però neanche una vacanza) e da lei ho un’idea di quello che gli ebrei hanno sofferto durante la guerra – e della storia della loro sofferenza, prima e dopo. Capisco perché alcuni di loro hanno voluto un rifugio dove ciò non sarebbe mai più potuto accadere. Quello che non riesco a capire è il motivo per cui questa esigenza dovrebbe implicare un tale crudele comportamento nei confronti della popolazione indigena della terra che hanno scelto come “loro”. Tutto questo gran parlare della soluzione a due Stati mi sembra aria fritta, mentre il governo israeliano continua il trasferimento dei coloni su terra palestinese, bombardando e imprigionando palestinesi strada facendo. A me sembra che si tratti di pulizia etnica. E mi sembra anche di apartheid – come ha inoltre osservato l’arcivescovo Desmond Tutu, al quale il concetto non è estraneo. Una cosa che il giornalista non dice è che questo sentimento è condiviso da molti ebrei – tra cui ebrei israeliani – che hanno alzato la loro voce contro l’occupazione. Sono anche loro antisemiti?
-
Carpeoro: come gli Illuminati hanno infiltrato l’America
Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.«Ma attenzione: gli Illuminati di oggi non hanno nulla a che vedere con i fondatori, tedeschi, di un’ideologia che era l’opposto del Nuovo Ordine Mondiale». Erano idee libertarie, su cui si fondò il primo socialismo utopistico, pre-marxista, di Saint-Simon, Blanc, Prudhomme. La parola “illuminati” richiama direttamente il ‘700, il clima culturale del secolo dei Lumi, racconta Carpeoro in una conversazione con Benedetto Sette, pubblicata su YouTube. Tramite i suoi esponenti di punta, come Diderot e d’Alembert, fondatori dell’“Encyclopédie”, l’Illuminismo «voleva restituire, a una civiltà dominata da poteri assoluti, autocratici e autoritari, l’equilibrio consentito dai “lumi” della ragione». Nella Francia del ‘700, la ragione viene posta al di sopra di ogni altra cosa: «D’altro canto, una cinquantina di anni prima, Cartesio sosteneva il “cogito ergo sum”, cioè che l’essere è dato dal pensare». E quindi: «Poter mettere in discussione qualunque cosa è giusto. L’importante, però, è non sostituire vecchi dogmi con nuovi dogmi, sul piedestallo di una finta razionalità: questo crea nuove ingiustizie».Ed è esattamente quello che è accaduto agli Illuminati, nella loro parabola: se gli ideologi tedeschi erano partiti dall’idealismo egualitario e proto-socialista, i loro epigoni americani (auto-proclamatisi “eredi” degli Illuminati di Baviera) sono diventati i massimi guardiani dello status quo, del potere oligarchico in mano a pochissimi. Tutto nasce il 1° maggio del 1776 a Ingolstadt, nel sud della Germania, dove il professor Johann Adam Weishaupt, docente di giurisprudenza, fonda la confraternita degli Illuminati di Baviera. Obiettivo: una società più giusta, liberata dall’arbitrio di un potere fondato sul dominio. Una prospettiva rivoluzionaria, a partire dall’abolizione del tabù assoluto, la proprietà privata. «Weishaupt era un massone tedesco che aveva nel suo progetto la creazione di un livello superiore alla massoneria», racconta Carpeoro. L’ideologo degli Illuminati di Baviera si muove come un altro massone libertario, il francese Louis Claude de Saint-Martin, che aveva creato quello che chiamava Ordine dei Perfettibili. Matrice comune: i Rosacroce, la leggendaria “fratellanza” che accomunò Dante Alighieri e Giordano Bruno, fino a Goethe, Victor Hugo e oltre, verso la prospettiva di un’umanità liberata dal bisogno e dalla paura.Lo statuto elaborato da Weishaupt «ha come presupposti l’abolizione della proprietà privata e l’allargamento progressivo della scala di interessi: individui e popoli devono sempre porsi al di sotto di un ordine superiore, cioè l’interesse di tutti, dell’umanità, del mondo». Il principio mistico-religioso è di origine gnostica, continua Carpeoro. E Weishaupt parte dall’opera di Comenius, che era anch’esso un Rosacroce, al secolo Jan Amos Komenský. «Fu l’ultimo di quei Rosacroce che avevano teorizzato la costruzione della società perfetta: Francesco Bacone con la “Nuova Atlantide”, Tommaso Campanella con “La città del sole”, Tommaso Moro con “Utopia”; lo stesso rifondatore dei Rosacroce, Johann Valentin Andreae, scrisse un’opera che si chiamava “Christianopolis” o “Viaggio all’isola di Caphar Salama”». Stesso tema: un mondo di cittadini liberi e consapevoli, con pari diritti. «Ben presto, però, Weishaupt si accorge che un ideale di questo tipo deve fare i conti col potere: deve cioè diventare un’organizzazione di potere». All’inizio, i primi Illuminati hanno un enorme successo: partono dalla Baviera, ma le loro idee finiscono per conquistare tutta la Germania. «Weishaupt diventa un interlocutore privilegiato dei malgravi tedeschi, dei potenti. E all’ombra di questo progetto abbastanza idealista nasce quindi una struttura dalle forti connotazioni pratiche».Così, inevitabilmente, affiorano i primi problemi: alla fine del ‘700, al movimento aderisce il barone Adolf von Knigge, «colui che dà la svolta vera alla società degli Illuminati come struttura», creando «una struttura di potere, di gestione e direzione unica della società». Fatale lo scontro con Weishaupt, «un idealista con la mania dei rituali magico-esoterici». Quei rituali gli varranno l’accusa di “gesuitismo” e autoritarismo. La realtà è un’altra: i baroni, che pure hanno aderito allo slancio ideolgico iniziale, capiscono che l’egualitarismo di Weischaupt mette in pericolo i loro privilegi. Sarà Federico II di Prussia a sciogliere ufficialmente la società, per legge. E Weishaupt morirà povero solo, in esilio, abbandonato da tutti, nel 1830. «La storia degli Illuminati di Baviera finisce qui», sottolinea Carpeoro: «Non è mai andata oltre la dimensione territoriale della Germania». Come dire: gli Illuminati successivi, che giureranno di ispirarsi a Weischaupt, non hanno mai avuto alcuna relazione diretta con il movimento tedesco. Non solo: se i primi neo-Illuminati americani avevano ancora, in parte, qualche germe idealistico nella loro ideologia, i successori hanno fatto piazza pulita di qualsiasi istinto democratico, divenendo la punta di lancia dell’élite finanziaria che oggi domina il pianeta.Il passaggio cruciale è la nascita degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776. Siamo ancora nel secolo dei Lumi, ma dall’altra parte dell’Oceano. Le idee viaggiano: il fondatore, George Washington, massone, è anch’egli un iniziato Rosacroce. «Succede che quando Washington giura come presidente – racconta Carpeoro – alcuni americani dichiarano di ispirarsi al modello degli Illuminati tedeschi, pur senza aver mai avuto alcun rapporto con essi. Ma è lo stesso Washington a sconfessarsi totalmente. In una lettera aperta a un giornale, avverte: mai e mai poi mai le idee dei nuovi Illuminati avrebbero dovuto prendere possesso dell’America». Bel problema: «Siccome Washington era anche il capo della massoneria americana – continua Carpeoro – questi signori capirono che dovevano inquinare la massoneria, per riuscire ad arrivare al potere negli Stati Uniti. E lo fecero utilizzando tutti coloro che avevano perso la guerra civile americana, quindi una serie di personaggi sudisti, cioè schiavisti, che vennero infiltrati nella massoneria, resero gran parte della massoneria americana conservatrice e reazionaria, e poi elaborarono le teorie dei Nuovi Illuminati».I Nuovi Illuminati nascono infatti all’inizio del XX secolo, tra l’Inghilterra e l’America. «Riferendosi – per l’etichetta e per il marchio – a quello che aveva fatto Weischaupt in Germania, in realtà teorizzano il cosiddetto mondialismo, il Nuovo Ordine Mondiale. Teorizzano cioè il fatto che, traversalmente agli Stati, possa nascere non “una” società perfetta in un determinato paese, ma “la” società perfetta». Nasce quindi «una struttura che deve necessariamente cospirare». Una super-struttura, «trasversale a tutti gli Stati». E questo accade attraverso uomini d’affari come Cecil Rhodes, secondo cui Usa e Gran Bretagna devono dare vita a un unico governo federale della Terra. A questo scopo, Rhodes crea una confraternita, la Rhodes Scholarship, che in America esiste tuttora. E così Lionel Curtis, che fonda vari gruppi, tra cui la Tavola Rotonda di Rohdes-Milner, presupposto dell’attuale Round Table. «In pratica, questi personaggi infiltrano soprattutto il governo americano, fin dalla sua nascita». Nonostante l’altolà di Washington, i Nuovi Illuminati riusciranno ad avere intensi rapporti con diversi presidenti americani: Edward Mandell House sarà il segretario di Woodrow Wilson, il presidente che costruirà la Società delle Nazioni, progenitrice dell’Onu. Altra eminente personalità dei neo-Illuminati americani, lo scrittore Herbert George Wells, autore nel 1897 del fortunato romanzo “La guerra dei mondi”.«Quindi – prosegue Carpeoro – fin dall’inizio si diffonde questo progetto di costruire il Nuovo Ordine Mondiale nel nome degli Stati Uniti d’America. Successivamente, come tutte le strutture di potere, questa diventa una struttura che affianca il potere in realtà senza cambiare niente». Il New World Order, che in origine doveva avere un’ispirazione rivoluzionaria, «in realtà si riduce alla pura gestione dell’esistente: una gestione trasversale, mondialista e di assoluto potere dello status quo». Evidente: «Per questi signori, meno cambia e meglio è: perché così fa comodo a loro». Ma il processo di “degenerazione” non è improvviso, avviene per gradi. Quando gli Illuminati devono aggirare Washington e quindi si alleano con le componenti più conservatrici del paese, il Sud schiavista, intuendo che saranno riassorbite nel vertice di potere in vista della riconciliazione nazionale postbellica, il loro capo è Albert Pike, «un eminente massone del neo-rito scozzese, che fece una politica di infiltrazione culturale molto capillare». Nonostante ciò, dice Carpeoro, «il suo modo di essere “illuminato” non è lo stesso di Rotschild: Pike è ancora fortemente ideologico».Il discorso degli attuali Illuminati diventa esclusivamente pragmatico successivamente, «con le associazioni tra banchieri, i trust, i vari Bilderberg». Così, «con un’ulteriore mutazione, diventa una struttura di conservazione; ma all’inizio gli Illuminati erano una struttura di rivoluzione». Il sionismo bellicista? «E’ una conseguenza, non una causa». E i motivi sono anch’essi evidenti: «Poiché una parte dei grandi banchieri mondiali sono di provenienza ebraica, ai tempi di Yalta hanno forzato la situazione e utilizzato anche la struttura trasversale degli Illuminati per arrivare alla costituzione dello Stato di Israele, e soprattutto per escludere che si facesse lo Stato di Palestina». E’ tristemente noto: «Una delle posizioni più reazionarie e meno sostenibili, pubblicamente, di un certo sionismo, è la negazione dell’esistenza del popolo palestinese, così come tra gli arabi esiste chi nega l’esistenza del popolo ebreo». Falsi storici: «I Filistei biblici sono gli attuali palestinesi, e già facevano le guerre per la terra, in quell’epoca». Il conflitto israelo-palestinese, “cristallizzato” nel retrobottega di Yalta nel 1945, è ancora oggi il focolaio di odio da cui la manipolazione culturale fa derivare lo “scontro di civiltà” tanto caro al complesso militare-industriale, a Wall Street, al Pentagono.Autore del romanzo “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) sulla “storia di una leggenda realmente accaduta”, quella dei Rosacroce, lo stesso Carpeoro sta per pubblicare un saggio, presso Uno Editori, intitolato “Dalla massoneria al terrorismo”. Focus: la strategia della tensione internazionale, affidata a manovalanza magari islamista ma accuratamente coperta dalla “sovragestione”, il network di potere che vede al lavoro interi settori dei servizi segreti occidentali impegnati in missioni “false flag”, attentati compiuti “sotto falsa bandiera”, per esempio quella dell’Isis, in Francia, e progettati da “menti raffinatissime”, appartenenti alla massoneria deviata, di potere, il cui vertice è costituito proprio dai neo-Illuminati. «La loro influenza principale, con la teorizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, è il condizionamento economico degli Stati: i banchieri si sono organizzati tramite questa struttura per condizionare le scelte economiche degli Stati». I risvolti di cronaca – le strane incongruenze nelle indagini, i messaggi simbolici di cui sono disseminate le stragi – suggeriscono l’idea che, dai diktat finanziari, si possa anche passare, all’occorrenza, alle bombe e ai Kalashnikov. Per contro, ripete Carpeoro, «l’intensificarsi di quella violenza indica che il vertice del massimo potere non è più così compatto: qualcuno si sta sfilando, chi resta al comando teme di perdere terreno e per questo spinge sul terrorismo». Mai stati del tutto granitici, i poteri forti: «Litigano spesso fra loro, e questo apre spazi per tutti noi». Del resto «il potere è uno schema, non una piramide monolitica», anche se si tratta di piramidi “illuminate”.Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta gli affiliati furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.
-
Ma nemmeno il Premio Nobel svelerà l’enigma Bob Dylan
«Se la misura della grandezza è quella di allietare il cuore di ogni essere umano sulla faccia della terra, allora era veramente il più grande. In ogni modo è stato il più coraggioso, il più gentile e il più eccellente degli uomini». Così Bob Dylan in memoria di Muhammad Alì, scomparso il 3 giugno 2016. Sincronicità: nel giorno della dipartita di Dario Fo, l’accademia di Svezia concede il Premio Nobel per la letteratura – sospiratissimo, soprattutto da parte di migliaia di fan e supporter – all’immenso artista di Duluth, il cui capolavoro forse consiste nell’essere sopravvissuto a se stesso dopo oltre mezzo secolo di dischi e concerti, perfettamente intatto nell’ispirazione creativa di cantante, musicista, compositore e performer. Un’autorevolezza culturale, quella di Dylan, che ne ha fatto un involontario maestro, riconosciuto da generazioni di cantanti, artisti e intellettuali di ogni parte del mondo. Un maestro singolare, laconico, riluttante. Enigmatico come il simbolo che lo accompagna da anni, sul palco: un occhio in fiamme, sormontato da una corona.Se il “flaming delta” simboleggia la presenza immanente della divinità («percepisco ovunque la presenza di Dio», ha detto in una recente intervista), nell’affascinante logo che accompagna il “neverending tour” si può riconoscere “l’occhio di Horus”, o “occhio dell’iniziato”, quello dell’uomo che ha accesso al cammino verso la “verità profonda”. In più, l’occhio di Dylan – sul drappo calato come un sipario alle spalle della band, in chiusura di concerto – ha un’iride particolarissima, in forma di spirale (in codice esoterico, può significare: verità raggiungibile). E la corona che sovrasta l’occhio richiama direttamente la scienza alchemica, ritenuta la “regina” di ogni conoscenza. Traduzione ipotetica: attraverso l’alchimia interiore – trasformare in “oro” il proprio piombo terreno – è possibile arrivare a «vedere Dio ogni giorno, in ogni cosa», specie a 75 anni, con davanti un calendario di appuntamenti concertistici da schiantare un ventenne. «Morirò su un palco, un giorno, da qualche parte nel mondo», ebbe a dire Dylan qualche anno fa, cercando di spiegare il suo tour infinito, fondato sulla strepitosa reintepretazione, ogni volta rivoluzionaria, di leggendari successi resi irriconoscibili dai nuovi arrangiamenti, ogni volta diversi, regalati in esclusiva al pubblico presente.Rarissime le esternazioni pubbliche, dall’ex ragazzo del Minnesota, nipote di ebrei ucraini e lituani, protagonista di una traiettoria culturale ricchissima: la venerazione per il menestrello Woody Guhrie, “Blowin’ in the wind” e la protesta degli anni ‘60, le battaglie civili come quella per far uscire di prigione il pugile nero Rubin “Hurricane” Carter, o la campagna “Farm Aid” per il sostegno degli agricoltori americani colpiti dalla crisi. Fino all’incredibile disco natalizio del 2009, “Christmas in the Heart”, coi proventi interamente devoluti a “Feeding America”, associazione caritativa che fornisce pasti caldi ai senzatetto. Forse, tra i giudici del Nobel ha pesato soprattutto il Dylan politico, quello di “Masters of war” contro i signori della guerra, tema riproposto in modo magistrale attraverso canzoni più recenti, come “Ring them bells”, del 1989. “I pity the poor immigrant”, cantava un Dylan giovanissimo, soffermandosi su “The lonesome death of Hattie Carroll”, schiava nera uccisa a bastonate dal suo “padrone”, ricco proprietario terriero. Dall’ultimo Dylan, pensieroso fino alla cupezza, sono scaturite gemme di autentica poesia come il disco “Tempest”, ispirato al poeta Henry Timrod, uscito nel 2009 – già allora, sul palco, a fine serata compariva il misterioso simbolo dell’occhio “incoronato”.«Capirete fra trent’anni quello che ho scritto», si sbilanciò nel 1967 quando uscì “John Wesley Harding”, il disco contenente una traccia come “All along the Watchtower”, poi resa immortale dall’interpretazione di Jimi Hendrix a Woodstock. Tutto il lavoro – in apparenza country-western – svelava la profonda intimità dell’artista con una dimensione metafisica presente tra i risvolti del quotidiano, attraverso fotogrammi che illuminano verità senza tempo, percezioni astoriche e immateriali, in un mondo di evocazioni e citazioni bibliche, tra il fantasma di Sant’Agostino e l’arrivo di oscuri messaggeri. “Ci dev’essere il modo di uscire di qui, disse il buffone al ladro”: come i personaggi di “All along the Watchtower”, anche Dylan crede alla possibilità di un riscatto, un Piano-B, mentre si interroga sull’umanità senza mai smettere di denunciarne gli orrori – la vigorosa rock-ballad “Union Sundown” (da “Infildels”, con Mark Knopfler alla chitarra) è un grido, profetico, contro la catastrofe della globalizzazione: porta la data del 1983. «Ha vinto Dinsey, quindi abbiamo perso tutti», sentenziò. Ma non smise di girare il mondo, e – anzi – aggiunse sul palco quel misterioso stendardo-pirata, come monito ammiccante: io so, vedo, capisco. L’occhio in fiamme, la corona. E ora anche il Nobel Prize for Literature.«Se la misura della grandezza è quella di allietare il cuore di ogni essere umano sulla faccia della terra, allora era veramente il più grande. In ogni modo è stato il più coraggioso, il più gentile e il più eccellente degli uomini». Così Bob Dylan in memoria di Muhammad Alì, scomparso il 3 giugno 2016. Sincronicità: nel giorno della dipartita di Dario Fo, l’accademia di Svezia concede il Premio Nobel per la letteratura – sospiratissimo, soprattutto da parte di migliaia di fan e supporter – all’immenso artista di Duluth, il cui capolavoro forse consiste nell’essere sopravvissuto a se stesso dopo oltre mezzo secolo di dischi e concerti, perfettamente intatto nell’ispirazione creativa di cantante, musicista, compositore e performer. Un’autorevolezza culturale, quella di Dylan, che ne ha fatto un involontario maestro, riconosciuto da generazioni di cantanti, artisti e intellettuali di ogni parte del mondo. Un maestro singolare, laconico, riluttante. Enigmatico come il simbolo che lo accompagna da anni, sul palco: un occhio in fiamme, sormontato da una corona.
-
Dario Fo: io, ladro per amore. Innamorato della meraviglia
Creare meraviglia vuol dire suscitare l’incanto in chi ti guarda. E attraverso il coinvolgimento passano al pubblico molte cose, per questo fare teatro è il mestiere più straordinario del mondo. Sono sempre stato un ladro: di conoscenze, di sapere, di esperienza. Ho guardato i miei amici lavorare, li ho ascoltati e ho rubato, da tutti un po’. Quando ero ragazzino andavo in campagna a dipingere con i pittori adulti: li osservavo attentamente, copiavo. E pure all’Accademia. Io raccontavo storie, favole. Mi esibivo. Come giullare ero già famoso. E poi io chiedevo a mia volta di farmi vedere come si facevano le cose: ho sempre imparato rubando. Gaber, Jannacci mi chiamavano maestro: sono stati i primi. Ho insegnato loro alcune cose… Cadenzare senza esagerare, stare in scena naturalmente. Gli consigliavo di parlare con il pubblico, di creare un rapporto con chi li ascoltava. Ho avuto una fortuna esagerata nella mia vita. Tutto quello che andava male, le crisi, i momenti distruttivi si sono sempre capovolti. Mi sono trovato spostato dal vento verso orizzonti diversi, cambiamenti, novità. Nessun rimpianto, davvero.I libri più importanti della mia vita? Tantissimi. “Memorie di un ottuagenario”, di Ippolito Nievo, che ho letto da ragazzo e amato moltissimo. Fino a un certo punto sono stato un vorace lettore di romanzi. Adoravo Dos Passos e Hemingway. Poi a un certo punto avevo delle curiosità che volevo togliermi, sulla storia per esempio. Ho cominciato a leggere saggi e pubblicazioni scientifiche. Se il giorno in cui mi hanno assegnato il Premio Nobel è stato il più bello della mia vita? No! Il giorno più bello è stato quando è finita la guerra: ricordo come se fosse ieri la festa dei paesi, mentre si allontanava l’incubo della morte, delle bombe, di quella distruzione orrenda. Quando ho vinto il Nobel con Franca ci siamo detti: ‘Adesso non montiamoci la testa’. E abbiamo ricominciato a lavorare.Cos’è la vecchiaia? Perché lo chiedete a me? Io non mi sono accorto di nulla. Ogni tanto qualcuno mi diceva: ‘Guarda che tra un po’ compi novant’anni’, e io non ci davo peso. La vecchiaia ti viene addosso, all’improvviso. Io però mi sento anziano, non vecchio. E spiego perché: i vecchi sono conservatori, sono nostalgici. Non fanno che ripetere ‘ai miei tempi’, hanno una mentalità chiusa, a volte ottusa. Non accettano le cose nuove, ridono poco. Sono ostili alla diversità. Io non mi trovo bene con quelli della mia età: peraltro i vecchi di solito votano a destra. E io a destra mai!(Dario Fo, dichiarazioni rilasciate a Silvia Truzzi per l’intervista che il grande attore, morto il 13 ottobre 2016, aveva concesso al “Fatto Quotidiano” in occasione dei suoi 90 anni, il 24 marzo).Creare meraviglia vuol dire suscitare l’incanto in chi ti guarda. E attraverso il coinvolgimento passano al pubblico molte cose, per questo fare teatro è il mestiere più straordinario del mondo. Sono sempre stato un ladro: di conoscenze, di sapere, di esperienza. Ho guardato i miei amici lavorare, li ho ascoltati e ho rubato, da tutti un po’. Quando ero ragazzino andavo in campagna a dipingere con i pittori adulti: li osservavo attentamente, copiavo. E pure all’Accademia. Io raccontavo storie, favole. Mi esibivo. Come giullare ero già famoso. E poi io chiedevo a mia volta di farmi vedere come si facevano le cose: ho sempre imparato rubando. Gaber, Jannacci mi chiamavano maestro: sono stati i primi. Ho insegnato loro alcune cose… Cadenzare senza esagerare, stare in scena naturalmente. Gli consigliavo di parlare con il pubblico, di creare un rapporto con chi li ascoltava. Ho avuto una fortuna esagerata nella mia vita. Tutto quello che andava male, le crisi, i momenti distruttivi si sono sempre capovolti. Mi sono trovato spostato dal vento verso orizzonti diversi, cambiamenti, novità. Nessun rimpianto, davvero.
-
Benigni signorsì, adesso la super-Costituzione è un inferno
Alcuni anni fa Benigni volle manifestare la propria venerazione per la Costituzione italiana dando vita a uno spettacolo dal titolo molto eloquente: “La più bella del mondo”. Lesse e commentò, con l’entusiasmo e le doti di trascinatore che tutti gli riconoscono, i primi dodici articoli del testo, quelli contenenti i “principi fondamentali”. Parlò con ammirazione della semplicità e forza poetica con cui si affermano due principi rivoluzionari: quello per cui “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1) e “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” (art. 3). Si soffermò sulla magia che consentì a personalità politiche eccezionali, pur provenienti da culture politiche molto diverse, di produrre insieme un testo invidiatoci da tutto il mondo. Lo spettacolo venne trasmesso da mamma Rai nel dicembre 2012, quando era presidente del Consiglio Mario Monti, qualche giorno prima che il Parlamento decidesse con maggioranza bulgara di sfregiare “la più bella del mondo” costituzionalizzando il principio del pareggio di bilancio (art. 81). Ora però la geografia politica è cambiata: a Palazzo Chigi siede Renzi. E questi ha deciso di modificare profondamente la Costituzione italiana, riscrivendo ben 47 articoli su 139.
-
L’Italia è sovragestita dalla P1, massoni traditori e terroristi
Dietro la nascita del 5 Stelle ci sono degli equivoci, e dei personaggi equivoci. Chi sta dietro Grillo si è abbastanza impegnato, coinvolgendo i livelli più alti dei 5 Stelle, in una frequentazione abituale di luoghi, ambasciate e consolati americani dove ricevono indicazioni che purtroppo poi mettono in pratica. Quindi il problema è che noi in Italia siamo sovragestiti. Non mi riferisco a tutto il mondo americano, ma a delle massonerie reazionarie che sono specializzate nel controllo delle rivoluzioni: praticano le contro-rivoluzioni controllando le rivoluzioni. E’ una vecchia pratica, è un’operazione riuscita a grandissimi livelli. Se pensate che in questo momento, tramite ambienti americani piuttosto precisi, figure come Michael Ledeen e compagnia cantante sponsorizzano tanto Renzi che Di Maio, ho l’impressione che il voto del referendum per certi aspetti sia inutile. Perché se Renzi vince (Renzi, non la riforma) diventa forte e ce lo dobbiamo tenere. Se Renzi perde, e diventa debole, ce lo teniamo lo stesso. Non cambia niente: perché un Renzi debole viene gestito in un modo, un Renzi forte viene gestito in un altro.Tra l’altro, vorrei smentire che Renzi sia a tutt’oggi massone. Ha fatto più volte domanda, e non l’hanno mai fatto entrare: perché questa sua graziosa abitudine di “fottere” il prossimo e di non mantenere mai un impegno politico spinge tutti quanti a tenerlo sulla soglia. La prossima volta che Renzi vuol fare un accordo con una forza politica, deve ipotecare la casa dal notaio, perché tutti sanno che non mantiene mai nulla. E dopo aver “fregato” una pletora di persone con lo stesso metodo – Berlusconi, Enrico Letta, Bersani – capirai se qualcuno fa più accordi con lui… Il problema della nostra posizione politica attuale è che noi, in ogni caso, siamo sovragestiti – ma talmente sovragestiti che, ai suoi tempi, questo personaggio che vorrei far conoscere ai più, che si chiama Michael Ledeen, ha sponsorizzato diversi personaggi. Il primo, nell’ordine? Craxi. E siccome poi l’ha fregato in una straordinaria telefonata relativa a Sigonella, quando se ne parlava, poi a Craxi prendeva l’orticaria. Poi ha sponsorizzato Di Pietro. E poi ha sponsorizzato Grillo.Purtroppo noi siamo sovragestiti. Dobbiamo prescindere dai personaggi. Adesso tutta l’Italia è convinta che Renzi sia il male assoluto. E non sa che quello che prenderà il posto di Renzi è sovragestito. Se non smantelliamo la sovragestione, non abbiamo sovranità – non ce l’abbiamo più, da quarant’anni. E’ possibile abbatterla, la sovragestione? Se Galileo e Giordano Bruno si fossero posti il problema e avessero ragionato solo nei termini delle loro esistenze, noi saremmo ancora alla Controriforma. Anche se il gioco del potere pretende il contrario, noi dobbiamo prescindere dalla nostra esistenza: dobbiamo fare questa battaglia perché bisogna farla. Se uno non lotta per la sua libertà, per che cosa lotta? Poi non necessariamente raggiunge l’obiettivo relativamente alla sua libertà. Ma scopre, nel percorso, che la lotta è per la libertà. Ed è una lotta per gradi, perché il potere è uno schema astratto. Il potere ti compra, ti coinvolge, ti gestisce, magari a volte senza che neanche te ne accorga. Ha gestito personaggi di un’intelligenza straordinaria. Ma è una battaglia che dobbiamo fare, prescindendo dalle nostre esistenze. Guai se non la facciamo, pensando che, tanto, nell’arco della nostra vita non succede niente.Cos’è che ha smantellato il potere nel corso del XX Secolo, e c’è parzialmente riuscito? Le ideologie. Sono le ideologie che ti consentono di superare – con la speranza, la convinzione, la coerenza – l’arco breve della tua vita. Tutti coloro che iniziano una rivoluzione pensando di usufruire dei suoi effetti, in realtà sono destinati a non farla, la rivoluzione. E’ questo il problema: dobbiamo tornare ad avere progetti che prescindono anche da noi stessi. Serve un progetto nel quale si possa credere, non una tattica per la quale si possa vivere bene. La tattica prevede che tu debba magiare e star bene il giorno stesso, al massimo il giorno dopo. La strategia è quella che mira a costruire. E’ quello che la massoneria ha perso, negli anni. La catatteristica dei massoni medievali qual era? Costruivano cose che sfidavano i secoli – con un sistema, una filosofia, una dottrina di vita. Nel momento in cui la massoneria ha perso la “mission” del costruire, era inevitabilmente assoggettabile al potere, perché mancava il suo progetto. I Templari hanno perso Gerusalemme per colpa loro: e a cosa servivano, dei Templari, senza tempio? Erano destinati a morire, non potevano sopravvivere all’aver perso la loro “mission”. Poi sono stati sterminati, certo, ma era sopraggiunto anche un certo degrado presso di loro. Succede alle realtà, quando perdono il motivo per cui esistevano.La politica ha perso il suo motivo di esistere. Ieri, la politica fabbricava progetti, idee, modelli di società. Li pensava. Si scontrava, ma per quelli – non per chi si aggiudicava una maggior fetta di potere. Il potere non è una cosa negativa di per sé, ma quando diventa astratto, quando diventa un fine anziché un mezzo, dove vai? Le cose non sono mai come sembrano. In un recente studio ho provato – con ragionamenti e documenti – che c’è stato un periodo in cui Mussolini, da mangiapreti, è diventato l’uomo dei Patti Lateranensi. In quel periodo, prendeva uno stipendio dai servizi segreti inglesi – quelli che poi dicono di essere laici. La cultura anglosassone, in nome di un potere astratto, si allea con chi le conviene. E chi le conviene, in Italia? Il Vaticano, che è il suo contrario – è il contrario della massoneria illuministica. Il problema, quindi, è che il potere è diventato qualcosa di astratto. Non puoi più giudicarlo in funzione di appartenenze: non gli conviene avere appartenenze. Oggi bisogna prescindere dalle appartenenze, e valutare il potere per quello che è: non esiste più la religione, esiste la religione del potere.Il fatto che ci siano personaggi dei servizi segreti (anche esteri) che operano all’interno di istituzioni non mi meraviglia, perché noi, in realtà, servizi segreti nostri non li abbiamo mai avuti. Il Sismi ha sempre avuto una struttura sovragestita, che io ho chiamato P1, ammessa da tutti. Francesco Pazienza, attualmente ancora in carcere, è uno che si è salvato la pelle parlando a metà. C’è un suo memoriale che praticamente lo ammette: dice che c’era una struttura Super-Sismi, collegata a sovragestioni connesse con la P2 in maniera non ufficiale (quella che io chiamo P1, e di cui nessuno parla) e praticamente questo organismo era autorizzato a entrare in tutti i nostri ministeri, perché figuravano come pratiche di intelligence nazionali, e non lo erano. Chi si era indotto a smantellare questo tipo di struttura, collegata peraltro a una struttura finanziaria italiana che si chiama Banca d’Italia, era stato proprio Craxi. Il progetto di privatizzare la Banca d’Italia rispondeva a questa volontà. E difatti, l’attacco frontale a Craxi è iniziato – combinazione – quando ha mostrato ufficialmente questo progetto. Nel momento in cui Craxi ha detto “voglio smantellare, privatizzare la Banca d’Italia”, è stato organizzato l’assalto – assalto che lui si è andato anche a cercare con i suoi errori, per carità. Non voglio avviare impropriamente una mitizzazione del personaggio: lui ha favorito tutto questo. Ma è pratica costante del potere approfittare delle debolezze e degli errori altrui – se no come potrebbe, il potere, essere veramente un potere?Noi in Italia siamo tuttora gestiti tramite la P1. Il potere le cose le fa sotto gli occhi di tutti. Tutti i giornali e i media parlano tranquillamente della P2 (della P3, della P4, della P5, della P6), ma nessuno si è mai chiesto fino in fondo perché si chiamasse P2. L’avete mai letta la spiegazione della Commissione Anselmi sul perché la P2 si chiamasse così? E’ una spiegazione ridicola: la vecchia loggia “Propaganda” sarebbe stata ricostruita secondo la nuova numerazione delle logge del Goi. E’ stata accettata acriticamente una evidente bugia del Grande Oriente d’Italia sui suoi archivi. Che aspettarsi, se la situazione sta in questi termini? E’ solo con la connivenza di tante persone che il potere può realizzare progetti così ambiziosi. E noi in Italia ci teniamo tuttora la P1, esattamente come negli anni Sessanta, senza che nessuno faccia un fiato. La massoneria aveva una mission di libertà, di indipendenza, di tutela dei diritti. Da quando quella missione si è smarrita, le cose sono andate come sappiamo. Gelli? E’ stato uno strumento di poteri infinitamente più alti. Coinvolgendo rapporti internazionali e il Super-Sismi, in Italia c’era una struttura al di sopra di Gelli, che ha utilizzato la P2 solo per le “pulizie di casa”.Quando dagli archivi del Goi è emersa una ricostruzione della P2 che comincia dalla data in cui Gelli diventa “venerabile”, io francamente non ci ho creduto. E non ci credo tuttora. Anche perché nessuna documentazione è stata raccolta, dalla Commissione Anselmi, su cosa sia successo – in quella che il Goi dice essere P2 – fino al 1970. Chi era il “venerabile” della P2 prima del 1970? Quando è stata ricostituita la loggia? Dov’è la bolla che ha ricostituito la “Propaganda” come “Propaganda 2”? Tutte domande rimaste senza risposta. Non sappiamo chi era il “venerabile” prima di Gelli, non sappiamo dell’attività della P2 prima del 1970, non sappiamo nulla. E allora mi pongo questo interrogativo: non è che si comincia da Gelli perché, quando è stata costruita la vicenda P2, probabilmente bisognava nascondere qualcos’altro? Sicuramente c’era una sovragestione.Una sovragestione la vedo anche nella nascita del Movimento 5 Stelle – una sovragestione parallela all’operazione Di Pietro. Ma ho fiducia nel fatto che, con i giusti sviluppi e gli opportuni accorgimenti, il Movimento 5 Stelle possa essere un bene. Ho visto dirigenti capaci – molti li ho conosciuti anche personalmente. Hanno quello che serve nella politica: il progetto. Questo è un momento in cui la gente tende a disperarsi, a pensare che non ci siano soluzioni. E invece bisogna sempre sperare di poter cambiare le cose, perché altrimenti la vita diventa una cosa molto piccola – e rischiamo anche noi, inconsapevolmente, di essere il frutto di una sovragestione. Quindi in realtà il Movimento 5 Stelle io lo vedo come una grande speranza, anche nel senso di riuscire a portare un movimento nato in un certo modo in qualcosa di diverso. In questo c’è una visione alchimistica della massoneria: gli alchimisti veri non trasformano il piombo in oro, sanno perfettamente che nel piombo è già contenuto l’oro. Il Movimento 5 Stelle è una grande possibilità di rinnovamento del paese. E’ un grande movimento anche etico, che si sviluppa su basi etiche e progettuali.Nel libro “Dalla massoneria al terrorismo” parto dalle origini leggendarie e poi storiche della massoneria, cito questa sua vocazione a essere costruttrice di civiltà, e amaramente arrivo alla condizione attuale, dove la massoneria stessa è diventata strumento di chi vuole dedicarsi alla distruzione. La caratteristica della sovragestione terroristica – che non è un’idea massonica, ma putroppo passa in questo momento storico tramite la complicità di una serie di realtà massoniche o para-massoniche – evidenzia questo paradosso: qualcosa che storicamente ha regalato all’umanità bellissime cattedrali e bellissime realtà, è diventato sostanziale strumento organizzativo della distruzione: il terrorismo è qualcosa che distrugge. Un massone come me lo sottolinea con dolore. Ma era inevitabile, vista l’evoluzione che c’è stata rispetto al tradimento delle origini della massoneria. Quando una serie di persone tradiscono le loro origini e il posto da cui vengono, le conseguenze sono queste.Poi arrivo anche a descrivere come avviene, questa sovragestione, com’è cresciuta nel tempo, quali personaggi ne sono stati protagonisti – citavo prima Michael Ledeen, ma parlo anche di Gelli, che pure accettò il ruolo ancillare della P2. Nel libro parlo delle scorribande compiute dagli anni ‘60 agli anni ‘90. Ledeen è un personaggio di cui nessuno parla, ma è stato protagonista della vita pseudo-politica non solo del suo paese, ma anche del nostro: è la riprova del fatto che siamo un paese drammaticamente eterogestito. Per gli aspetti che vedono Gelli coinvolto nel tentato golpe Borghese ho attinto al mio archivio personale, all’archivio della “legittima e storica comunione di Piazza del Gesù”, e racconto un carteggio tra Caradonna e Di Tullio (che è stato il mio precessore), che comprova che – sia pure in buona fede – la massoneria nazionale era stata fortemente coinvolta nel golpe Borghese. E questo coinvolgimento – pensate, i paradossi della storia – non si è perfezionato perché è intervenuto Giulio Andreotti.Cioè, Andreotti è intervenuto quando già erano state occupate le sedi Rai di Roma e Milano, rispettivamente da Giulio Caradonna e dallo stesso Carlo Alberto Di Tullio, e il vice di Gelli, Francesco Cosentino (un ex magistrato) era già nell’ufficio del presidente della Repubblica per convincerlo a firmare i vari decreti di sospensione dei diritti costituzionali. Così arrivò la telefonata di Andreotti, che dice a Gelli (cosa che Gelli ha riferito sia a Caradonna che a Di Tullio). Me lo confermò poi Andreotti stesso, quando lavorai per lui. Andreotti giustificò questa cosa sostenendo che lo avevano chiamato dall’America perché il colpo di Stato non avesse alcun esito.E poi racconto la sovragestione del terrorismo. La verità vera è che in Italia l’ultimo soggetto che si è opposto a questi poteri e a questa realtà è stato Craxi. Dopo di lui, non si è opposto più nessuno – Berlusconi compreso – perché ognuno aveva degli interessi da tutelare: Berlusconi aveva le aziende, Monti comunque era uno della partita. Ognuno, sul prinicipio del “tengo famiglia”, che in Italia è assolutamente dominante, ha deciso di non opporsi più a nessuna manovra di sovragestione. Mentre fino ai tempi di Craxi almeno qualche tentativo di non subire la sovragestione c’era stato – e se pensate a Sigonella capite cosa intendo – da quel momento in poi non c’è stato più nessuno che abbia deciso che l’Italia dovesse prendere decisioni indipendenti. E questa è una realtà difficilmente discutibile, sfido chiunque a dire che non è vero. Nel libro dunque faccio questa “cavalcata”, confermata da una cosa che, una volta, per i massoni, aveva un significato di sacralità, e cioè la tavola sull’architetto di Vitruvio. Era un architetto romano, prestigiosissimo e tuttora studiato nelle università. Cosa fa, Vitruvio? Scrive quali devono essere le caratteristiche dei costruttori.Questi stessi strumenti vengono oggi usati per distruggere, da questi attuali pseudo-massoni reazionari di cui fin dal 2003 avevo percepito drammaticamente l’esistenza e la potenza, prima che arrivasse il libro “Massoni” di Gioele Magaldi, col quale condivido la speranza vivificatrice che queste cose possano essee combattute. Nel mio libro, ricordo i principi di Vitruvio e dimostro come vengano applicati per distruggere, come venga messo in discussione lo stesso nascere della massoneria. Non è una difesa della massoneria, che è una dottrina e non ha bisogno di essere difesa da me. E’ solo un grave attacco a certi massoni, quello sì. Io non attacco mai il Cristianesimo, ma certi cattolici mi permetto di attaccarli: il Cristianesimo è comunque un’ideologia nobile, una filosofia di vita, una fede. Ma di alcuni personaggi del Cristianesimo, anche storici, non ho stima. Il mio è un libro di 200 pagine e contiene una postilla finale di Francesco Saba Sardi, “L’istituzione dell’odio”, fondamentale per capire certe cose.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a “Border Radio” il 4 ottobre 2016, trasmissione web-radio ripresa anche su YouTube. Il libro “Dalla massoneria al terrorismo” – Uno Editori, 189 pagine, 13 euro – denuncia la “sovragestione” di potere diretta dall’élite massonica internazionale utilizzando i servizi segreti anche per operazioni come quella che oggi porta il nome di Isis).Dietro la nascita del 5 Stelle ci sono degli equivoci, e dei personaggi equivoci. Chi sta dietro Grillo si è abbastanza impegnato, coinvolgendo i livelli più alti dei 5 Stelle, in una frequentazione abituale di luoghi, ambasciate e consolati americani dove ricevono indicazioni che purtroppo poi mettono in pratica. Quindi il problema è che noi in Italia siamo sovragestiti. Non mi riferisco a tutto il mondo americano, ma a delle massonerie reazionarie che sono specializzate nel controllo delle rivoluzioni: praticano le contro-rivoluzioni controllando le rivoluzioni. E’ una vecchia pratica, è un’operazione riuscita a grandissimi livelli. Se pensate che in questo momento, tramite ambienti americani piuttosto precisi, figure come Michael Ledeen e compagnia cantante sponsorizzano tanto Renzi che Di Maio, ho l’impressione che il voto del referendum per certi aspetti sia inutile. Perché se Renzi vince (Renzi, non la riforma) diventa forte e ce lo dobbiamo tenere. Se Renzi perde, e diventa debole, ce lo teniamo lo stesso. Non cambia niente: perché un Renzi debole viene gestito in un modo, un Renzi forte viene gestito in un altro.
-
Armi di migrazione di massa, è il piano del super-potere
Non è che, francamente, avessimo bisogno delle controprove. Dal documento dell’Onu che parla esplicitamente, per primo, di migrazione selettiva dei popoli, passando per lo studio della Cornell University, “Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy”, – Armi di migrazione di massa: deportazione, coercizione e politica estera – che racconta dell’immigrazione come di una “nuova arma bellica non convenzionale”, una vera e proprio arma di migrazione di massa, fino ai progetti Ue di migrazione selettiva portati alla London School of Economics and Political Science dal vicepresidente della Commissione Europea in persona, nientemeno che Franco Frattini, che parla di vere e proprie campagne orchestrate dai governi per «incoraggiare i potenziali migranti a diventare europei», di prove ce ne sono a sufficienza per comprendere che la volontà politica di portare in Europa un numero elevatissimo di migranti non solo c’è, ma è determinata e alla luce del sole.Del resto, oltre alle continue ondate di migranti che dalle coste africane raggiungono l’Italia via mare, senza che nessuno cerchi di risolvere il problema alla radice, i primi esperimenti “ufficiali” sono stati realizzati in Germania, quando in conseguenza dell’onda pressoria di indignazione pubblica suscitata dalle immagini del corpo del piccolo di 4 anni buttato sulla spiaggia, lambito dalle onde del mare, Angela Merkel un anno fa ha aperto le porte ai rifugiati siriani (solo quelli con gli occhi azzurri, però), e la Repubblica Ceca ne ha immediatamente messi al lavoro almeno 5 mila (ma a condizioni che un europeo non avrebbe mai accettato, a meno che non ci fosse stato costretto – come dire – dalla concorrenza). Il motivo non era la tanto decantata solidarietà che i nostri quotidiani si sono affrettati a tributare al cancelliere tedesco, quanto (e qui si era scritto molto prima) la fretta di metterli al lavoro nel settore automobilistico. E chissà che lo scandalo Volkswagen non sia scoppiato anche per contrastare la competitività dell’industria automobilistica tedesca, nel momento in cui stava per disporre di forze fresche e a basso costo. Oltre che, naturalmente, come rappresaglia per l’ostilità di Berlino nei confronti del Ttip e nei confronti della necessità degli Usa di sostituire l’arsenale nucleare presente sul suolo tedesco.Ma, in caso voleste sentirvelo dire forte e chiaro, eccovi le dichiarazioni di uno-che-passava-di-lì, tale Peter Sutherland. Vi dice niente? I più attenti se lo ricorderanno: vent’anni presidente Goldman Sachs International, ex presidente British Petroleum e attualmente alto rappresentante per il segretariato generale della migrazione internazionale alle Nazioni Unite, oltre che a capo del Forum Globale su Migrazione e Sviluppo, al quale partecipano oltre 160 paesi. Uno che di politiche per regolare la migrazione se ne intende, dunque, uno che lavora per quella stessa organizzazione (l’Onu) che parlava appunti di migrazione sostitutiva dei popoli, uno che sulla Brexit il 25 giugno scorso ha detto: «In qualche modo, questo risultato va ribaltato». Bene, questo signore qui, nel 2012 ha detto alla Camera dei Lord (i nostri senatori, più o meno) che «l’Unione Europea dovrebbe fare del suo meglio per attaccare, indebolire l’omogeneità culturale degli Stati nazionali, perché la migrazione è una dinamica cruciale per la crescita economica in alcuni stati membri, per quanto difficile potrebbe essere spiegarlo ai cittadini di quegli Stati». [Fonte Bbc, mica miciomicio-baubau].Secondo Sutherland bisogna «costruire giocoforza Stati multiculturali», perché «è impossibile pensare che questo grado di omogeneità culturale possa sopravvivere, in quanto gli Stati devono diventare stati aperti». E ancora: «A differenza degli Stati Uniti, dell’Australia e della Nuova Zelanda, che rappresentano società frutto di migrazione e che sono più versatili nell’integrare chi viene da altre realtà, noi coltiviamo ancora un senso di omogeneità e differenza rispetto agli altri. Questo è precisamente ciò che l’Unione Europea, secondo me, dovrebbe distruggere». Senza nessun bisogno di scomodare Kalergi, probabilmente è per questo che Bruxelles sta cercando di abituarci a mangiare insetti.(Claudio Messora, “Siamo troppo uniti per i loro gusti: ci vogliono sminuzzare”, da “ByoBlu” del 16 settembre 2016).Non è che, francamente, avessimo bisogno delle controprove. Dal documento dell’Onu che parla esplicitamente, per primo, di migrazione selettiva dei popoli, passando per lo studio della Cornell University, “Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy”, – Armi di migrazione di massa: deportazione, coercizione e politica estera – che racconta dell’immigrazione come di una “nuova arma bellica non convenzionale”, una vera e proprio arma di migrazione di massa, fino ai progetti Ue di migrazione selettiva portati alla London School of Economics and Political Science dal vicepresidente della Commissione Europea in persona, nientemeno che Franco Frattini, che parla di vere e proprie campagne orchestrate dai governi per «incoraggiare i potenziali migranti a diventare europei», di prove ce ne sono a sufficienza per comprendere che la volontà politica di portare in Europa un numero elevatissimo di migranti non solo c’è, ma è determinata e alla luce del sole.
-
Giannuli: la sinistra vale zero, ecco perché non esiste più
Perché la sinistra perde sempre, ormai da decenni? Perché non ha saputo leggere la grande crisi geopolitica esplosa con il crollo dell’Urss, risponderebbe Giulietto Chiesa. O magari perché, per dirla con Gioele Magaldi, l’élite neo-aristocratica si è impadronita del vertice della massoneria internazionale, sconfiggendo i “fratelli” progressisti e poi cooptandoli in un patto scellerato, il cartello “United Freemasons for Globalitazion”, all’alba degli anni ‘80. In saggi come “Il golpe inglese” e “Italia oscura”, Giovanni Fasanella rivela le grandi manovre anglosassoni per sabotare la sovranità della Penisola, fino all’epilogo del Britannia. A partire dal saggio “Il più grande crimine”, del 2011, Paolo Barnard ha messo a nudo il cuore del problema: la sinistra, anche italiana, era nel mirino dei grandi globalizzatori. “Dovevano” cadere partiti, movimenti e sindacati che fossero di ostacolo alla svolta neoliberista e neo-feudale dell’oligarchia già terriera, oggi finanziaria, ostile alle conquiste sociali della modernità. Lo conferma l’economista Nino Galloni: la sinistra italiana “doveva” essere piegata, col suo modello di economia sociale mista, pubblico-privata.Sinistra “piegata”, battuta. O meglio ancora “comprata”, attraverso i vertici di partiti e sindacati che, a un certo punto, hanno “tradito” e rinnegato i loro valori: hanno abbandonato la difesa dei diritti e cominciato a spiegare ai lavoratori che avrebbero dovuto rassegnarsi a tirar cinghia. Fino al trionfo del suicidio politico, col Pd di Bersani che vota il governo Monti e la legge Fornero, come richiesto dalla super-massoneria reazionaria. Ma tutto era cominciato molto prima, avverte Barnard: D’Alema vantò il record europeo delle privatizzazioni, dopo che Prodi aveva smantellato l’Iri (per poi diventare premier, presidente della Commissione Europea e advisor di Goldman Sachs). Altro da aggiungere? Sì, una notazione storica, che Barnard affida al famigerato Memorandum di Lewis Powell, l’avvocato d’affari ingaggiato dalla Camera di Commercio Usa per stroncare la sinistra in Europa e negli Stati Uniti. Vademecum perfettamente applicato dal supremo potere, attraverso le direttive della Trilaterale. Era l’inizio degli anni ‘70, ma la condanna per la sinistra era già firmata. In Europa, il nuovo padrone a cui obbedire senza discutere si sarebbe chiamato Unione Europea: bisogna tagliare tutto – salari, pensioni, welfare, sanità – perché “ce lo chiede l’Europa”.Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, fa l’appello degli ultimi discendenti della sinistra che fu: Rifondazione comunista, il Pdci, i Verdi, Sel. Quindi Vendola, Civati, i supporter di Tsipras. In altre parole, il niente: «Riuscireste ad immaginare un quadro più deprimente? Il punto è che i vari soggetti di questo scombinato arcipelago non hanno alcun progetto comune (posto che lo abbia qualcuno di loro)». Zero capacità di analisi sulla crisi in atto: di conseguenza, nessuna vera soluzione. «Impressionante è il vuoto totale di proposta politica: queste organizzazioni sono il nulla assoluto». Giannuli spera che “qualcosa di sinistra” ancora esista, da qualche parte, al di là di «quella truffa indecente che è il Pd». I 5 Stelle? Ancora acerbi, in fase di maturazione. Il professore si augura che “Sinistra Italiana” e M5S «trovino un terreno di convergenza, che inizino a dialogare». Ma, «se la sinistra non vuol passare da un disastro all’altro – aggiunge – è necessario in primo luogo che prenda atto della sua condizione pietosa». Da trent’anni, la sinistra «non produce un grammo di cultura politica». Solo campagne elettorali, con «un ceto politico impresentabile». Servirebbe «un progetto politico adeguato ai tempi», di cui però non c’è traccia. Perfetto, direbbe Lewis Powell: missione compiuta.Perché la sinistra perde sempre, ormai da decenni? Perché non ha saputo leggere la grande crisi geopolitica esplosa con il crollo dell’Urss, risponderebbe Giulietto Chiesa. O magari perché, per dirla con Gioele Magaldi, l’élite neo-aristocratica si è impadronita del vertice della massoneria internazionale, sconfiggendo i “fratelli” progressisti e poi cooptandoli in un patto scellerato, il cartello “United Freemasons for Globalitazion”, all’alba degli anni ‘80. In saggi come “Il golpe inglese” e “Italia oscura”, Giovanni Fasanella rivela le grandi manovre anglosassoni per sabotare la sovranità della Penisola, fino all’epilogo del Britannia. A partire dal saggio “Il più grande crimine”, del 2011, Paolo Barnard ha messo a nudo il cuore del problema: la sinistra, anche italiana, era nel mirino dei grandi globalizzatori. “Dovevano” cadere partiti, movimenti e sindacati che fossero di ostacolo alla svolta neoliberista e neo-feudale dell’oligarchia già terriera, oggi finanziaria, ostile alle conquiste sociali della modernità. Lo conferma l’economista Nino Galloni: la sinistra italiana “doveva” essere piegata, col suo modello di economia sociale mista, pubblico-privata.
-
Marchi: l’universo siamo noi, così la religione ci teme
In molte occasioni ho parlato dell’unità e dell’unione di ogni essere in un Tutto universale unico. Perché questo concetto è così difficile da accettare? Semplice. Perché da millenni l’umanità è stata educata dalle varie religioni del mondo, attraverso riti e cerimoniali vari, a credere all’esistenza di un Creatore e di un Creato. A parlare di un Dio Formale (in maniera antropomorfica) anziché di una Divinità Informale, come stato di Coscienza Cosmica. In questo modo la “teologia morale” ha potuto tenere in scacco l’individuo, parlandogli di giudizi universali, di condanne e di peccato originale, da cui poi egli si è sentito oppresso in maniera punitiva per le sue miserevoli “colpe”. Riscattarsene oggi, con un Dna così preformato, è quasi un’impresa disperata. Da sempre, il fatto che la materia sia intessuta in un modo così straordinariamente perfetto, fino a manifestare una intelligenza del più alto livello ed in modo così stupefacente, ha finito per implicare nella mente degli uomini la presenza nel mondo di un “Grande Progettista” geniale, di un “Grande Orologiaio” distaccato, di un “Grande Orchestratore” esterno, di un “Grande Architetto” costruttore, di un “Grande Regista”, direttore dell’universo.E ciò ha continuato ad avvenire, nonostante la ricerca abbia ormai dimostrato largamente che tutti i sistemi viventi (dato che neanche un atomo è materia inerte) hanno mostrato un grado di assemblarsi da soli veramente strabiliante, a seguito di una trasformazione “auto-organizzata” o “auto-arrangiata” che lascia sbalorditi. Il concetto è difficile da accettare perché sfida il programma subdolo di una cultura millenaria che lo ha spacciato per la nozione più eretica e blasfema che si possa immaginare. E poi perché in quella dualità si annida il business dell’intermediazione, il più scandaloso affare di tutti i secoli. Un affare che è la madre di tutte le atrocità compiute dall’umanità, perché toglie dignità a qualsiasi cosa creduta altro da noi stessi e al nostro stesso simile. Quando invece siamo un “Singolo Organismo” o Campo di Coscienza Universale, un “Intatto” interamente intelligente. Del resto, ci siamo mai chiesti: ma perché la verità si chiama verità? Non perché il suo contrario sia il falso, ma perché essa è unica. Vedere ciò è diverso che dire che essa è non-falsa.Ci sono stati o ci sono ancora individui e organizzazioni che in modo cosciente hanno operato affinché l’Uno apparisse come Due e tale apparente separazione fosse percepita come realtà? Di queste ce n’è una miriade, laiche e religiose. Ma ce n’è una di vertice su tutte, cui tutte fanno capo: il “New Global Order”. Tuttavia per l’approfondimento e l’analisi di questa enorme e micidiale struttura dominante, per la cui trattazione completa ci vorrebbe uno spazio a parte, è bene rimandare qui alla lettura dei libri “La Scienza dell’Uno” e “Mirjel, il Meraviglioso Uno”, entrambi testi del Gruppo Editoriale Macroedizioni, che ne fanno ampio riferimento.(Vittorio Marchi, estratti dall’intervista “Fisica quantistica e spiritualità”, pubblicata sul blog di Giovanni Pelosini il 10 luglio 2011. Il professor Marchi è un eminente ricercatore italiano nel campo della fisica quantistica, autore di importanti saggi anche a carattere divulgativo come “La scoperta dell’invisibile”, “La vertigine di scoprirsi Dio” e “La grande equazione – io, l’universo, Dio”).In molte occasioni ho parlato dell’unità e dell’unione di ogni essere in un Tutto universale unico. Perché questo concetto è così difficile da accettare? Semplice. Perché da millenni l’umanità è stata educata dalle varie religioni del mondo, attraverso riti e cerimoniali vari, a credere all’esistenza di un Creatore e di un Creato. A parlare di un Dio Formale (in maniera antropomorfica) anziché di una Divinità Informale, come stato di Coscienza Cosmica. In questo modo la “teologia morale” ha potuto tenere in scacco l’individuo, parlandogli di giudizi universali, di condanne e di peccato originale, da cui poi egli si è sentito oppresso in maniera punitiva per le sue miserevoli “colpe”. Riscattarsene oggi, con un Dna così preformato, è quasi un’impresa disperata. Da sempre, il fatto che la materia sia intessuta in un modo così straordinariamente perfetto, fino a manifestare una intelligenza del più alto livello ed in modo così stupefacente, ha finito per implicare nella mente degli uomini la presenza nel mondo di un “Grande Progettista” geniale, di un “Grande Orologiaio” distaccato, di un “Grande Orchestratore” esterno, di un “Grande Architetto” costruttore, di un “Grande Regista”, direttore dell’universo.
-
Germania No-Euro: trionfa Alternative für Deutschland
Dopo l’exploit alle elezioni nazionali di marzo, il partito euroscettico di destra “Alternative für Deutschland” ha ottenuto un altro importante risultato nel Meclemburgo-Pomerania, dove diventa il secondo partito, superando la Cdu di Angela Merkel. Nonostante abbia sottrato voti a tutte le principali forze politiche – spiega lo “Spiegel” all’indomani del voto – a perdere la porzione maggiore di elettori sono state le forze di sinistra, rappresentate da Spd e Die Linke. Importante sottolineare anche come in una regione con un tasso di disoccupazione molto alto, quasi il 30% dei votanti senza un lavoro abbia optato per il partito “populista”, annota Christoph Sydow, chiarendo che, in Meclemburgo-Pomerania, Afd ha ottenuto un importante successo «grazie al voto dei lavoratori, dei disoccupati e degli ultratrentenni». Una persona su quattro «ha votato con convinzione per i populisti di destra». Esito che smentisce seccamente la teoria secondo la quale una maggiore affluenza alle urne indebolirebbe i “populisti”.E’ un “teorema” bocciato dalla realtà, insiste il giornalista dello “Spiegel” in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”: lo dimostra il successo di “Alternative für Deutschland” non solo in Meclemburgo-Pomerania, ma anche nelle recenti elezioni statali in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, «tutti Land in cui l’affluenza è cresciuta notevolmente». In Meclemburgo-Pomerania quest’ultima è aumentata di circa dieci punti percentuali rispetto al 2011. Vero, la partecipazione è ancora molto al di sotto dei valori riscontrati dal 1994 al 2000, ma in passato le elezioni regionali hanno quasi sempre coinciso con le elezioni nazionali, che attraggono tradizionalmente più elettori. Ancora una volta è dunque Afd a beneficiare dell’incremento dell’affluenza alle urne: secondo le analisi di Infratest Dimap, il partito No-Euro avrebbe mobilitato oltre 56.000 ex astenuti – più di qualsiasi altra formazione. Inoltre, Afd è riuscita a convincere 20.000 sostenitori dell’Npd, il partito nazional-democratico dell’ultradestra. E ha strappato oltre 23.000 elettori alla Cdu, più 16.000 all’Spd. Infine, l’Afd ha spodestato anche la Linke: 18.000 elettori che quattro anni fa avevano scelto la sinistra, questa volta hanno votato per “Alternative für Deutschland”.«Il fatto che l’Afd venga percepito principalmente come un partito di protesta è mostrato chiaramente dagli exit poll», continua Sydow. «Interrogati sul motivo della loro decisione di voto, il 66 % degli elettori di Afd ha dichiarato di aver scelto i populisti di destra per via della delusione nei confronti degli altri partiti. Solo il 25% si è detto pienamente convinto dal programma di Add». Guardando l’elettorato totale, il rapporto è invertito: il 57% ha scelto con convinzione il proprio partito, mentre solo il 36% ha dichiarato di essere deluso dagli altri raggruppamenti. «Non abbiamo fatto campagna contro i rifugiati», ha affermato Leif-Erik Holm, il principale candidato di Afd, la sera dopo la chiusura delle urne. È evidente come l’opinione degli elettori del suo partito sia differente. Interrogati sul tema che ha influito in modo decisivo sul voto, il 52% dei votanti di Afd ha risposto: i “profughi”. Al contrario, guardando la totalità degli elettori solo il 20%, ha menzionato questo punto.L’Afd, continua lo “Spiegel”, è particolarmente forte nell’elettorato tra i 35 e i 60 anni; nella fascia tra i 35 e i 44 anni di età è quasi alla pari con l’Spd; minore è il suo consenso tra gli elettori più giovani. La Cdu riesce a superare l’Afd solo nell’elettorato over-60. “Alternative für Deutschland” riscuote successo soprattutto nella popolazione maschile: in Meclemburgo-Pomerania ha convinto il 25% degli elettori maschi, mentre la percentuale di voto tra le donne è solo del 16%. In questo modo, nel computo totale dei voti femminili, Afd si piazza terzo, dopo Spd (34%) e Cdu (20%). Gli elettori Afd provengono da tutte le classi sociali: disoccupati (29%), lavoratori dipendenti (34%) e lavoratori autonomi (28%). «Afd guadagna punti soprattutto tra gli elettori con un livello di formazione medio-basso, posizionandosi di pochissimo dietro l’Spd», conclude lo “Spiegel”. «Tra le fasce della popolazione altamente istruite il partito si piazza solo al terzo posto, proprio davanti alla sinistra».Dopo l’exploit alle elezioni nazionali di marzo, il partito euroscettico di destra “Alternative für Deutschland” ha ottenuto un altro importante risultato nel Meclemburgo-Pomerania, dove diventa il secondo partito, superando la Cdu di Angela Merkel. Nonostante abbia sottrato voti a tutte le principali forze politiche – spiega lo “Spiegel” all’indomani del voto – a perdere la porzione maggiore di elettori sono state le forze di sinistra, rappresentate da Spd e Die Linke. Importante sottolineare anche come in una regione con un tasso di disoccupazione molto alto, quasi il 30% dei votanti senza un lavoro abbia optato per il partito “populista”, annota Christoph Sydow, chiarendo che, in Meclemburgo-Pomerania, Afd ha ottenuto un importante successo «grazie al voto dei lavoratori, dei disoccupati e degli ultratrentenni». Una persona su quattro «ha votato con convinzione per i populisti di destra». Esito che smentisce seccamente la teoria secondo la quale una maggiore affluenza alle urne indebolirebbe i “populisti”.
-
Amazon paga meno tasse di una bancarella di salsicce
Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.Apple ha detto che impugnerà la decisione, che l’amministratore delegato Tim Cook ha definito «una completa schifezza politica». Google, Facebook e altre multinazionali dichiarano di adeguarsi completamente alla normativa fiscale. Kern ha anche criticato gli stati membri dell’Unione Europea con regimi fiscali agevolati che hanno attirato le multinazionali – e sono stati messi sotto esame da Bruxelles. «Quello che stanno facendo Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Malta manca di solidarietà verso il resto dell’economia europea», ha detto. Si è astenuto dal chiedere che Facebook e Google pagassero più tasse, ma ha sottolineato le loro vendite significative in Austria, che ha stimato in oltre 100 milioni di euro ciascuno, e il loro numero di dipendenti relativamente piccolo – una «buona dozzina» per Google e «presumibilmente ancora meno» per Facebook. «Hanno massicciamente risucchiato il volume di pubblicità prodotta dall’economia, ma non pagano né l’imposta sulle società, né sulla pubblicità in Austria», ha detto Kern, che è diventato cancelliere nel mese di maggio.«Mentre si evidenzia su cosa si è basato il tanto decantato boom irlandese, vengono al pettine i nodi legati ai mitizzati investimenti esteri». In questo quadro, sottolinea “Voci dall’Estero”, «caos e disgregazione sono in ulteriore aumento in Europa». Lo dimostra una volta di più anche questa sentenza che chiede alla Apple di versare all’Irlanda 13 miliardi di euro di tasse arretrate. «Mentre Dublino, un po’ paradossalmente, ha già presentato ricorso contro la decisione dell’Ue, in Austria il premier accusa le multinazionali di pagare tasse in misura irrisoria anche nel suo paese». “Voci dall’Estero” rileva quindi come notevole l’atteggiamento del premier austriaco, che «attacca anche i diversi stati membri che praticano politiche fiscali troppo generose per attirare le grandi aziende, accusandoli di mancare di solidarietà verso il resto dell’Eurozona».Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.