Archivio del Tag ‘cultura’
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L’Italia è malata di cancro, per colpa della vera mafia: l’Ue
«Non mi ero scordato della profezia Montanelli sull’Italia che avrebbe dovuto immunizzarsi da Berlusconi», dice Paolo Barnard, che oggi propone di “immunizzarsi” dai 5 Stelle (votandoli) che il giornalista considera un’autentità calamità nazionale per inadeguatezza e impreparazione, inaudita suddistanza al padre-padrone Grillo e al vertice del “partito-azienda” incarnato dalla struttura dei Casaleggio. L’anziano Montanelli, irritato per la “discesa in campo” del Cavaliere nel ‘94? «L’impianto teorico dell’immunizzazione era giustissimo», ma il direttore del “Giornale” sbagliò bersaglio: «Il motivo per cui l’Italia non s’immunizzò da Berlusconi fu che Berlusconi è stato, delle due, una cura per l’Italia. Montanelli – che fu socialmente miope come una talpa incappucciata quando credette che l’Italia ‘bene’ l’avrebbe seguito fuori dal “Giornale” – fu trascinato dalla bestiale ondata Travaglio-Vajont la cui narrativa era che il Cavaliere rappresentava la porno-Nutella della mafia a Palazzo Chigi, cioè il peggio mai conosciuto dall’Italia di Calamandrei». Per Barnard, il tragico errore di quel postulato montanelliano «fu nella sua totale incomprensione di cosa sia una vera mafia e di cosa sarebbe stato il peggio mai conosciuto dall’Italia».«La vera mafia, cioè una cupola non eletta e mirante a spolpare vivo senza pietà il popolo italiano, non stava affatto a Palermo, ma a Bruxelles», scrive Barnard nel suo blog. «La mafia di Palermo, dai tempi di Garibaldi in poi, mai ebbe (e mai avrà) il potere di ridurre quello che era il settimo più ricco paese del pianeta a un maiale (Piigs) d’Europa». Un “maiale” «ridicolizzato dal mondo, bastonato e rapinato dalla Germania, e tutto ciò in meno di 11 anni». Insiste, Barnard: «Bruxelles con la sua vera mafia c’è riuscita, ha avuto questo potere». Quanto alla politica italiana, «chi era di casa a Palermo era Berlusconi», mentre «chi era di casa a Bruxelles erano Amato, Ciampi, Padoa Schioppa, Visco, D’Alema», fino ai “salvifici” tecnocrati come Vittorio Grilli e Pier Carlo Padoan. «E guardatevi intorno come ci hanno ridotti. Goldman Sachs nel suo Global Outlook 2017 boccia nell’imbarazzo una sola nazione europea: l’Italia delle riforme dei sopraccitati criminali collusi, oggi ultima in Ue sotto la Spagna e la Grecia come proiezioni di crescita». Il peggio mai conosciuto dall’Italia? «Fu di fatto, e per 16 anni filati, contrastato (almeno un minimo) solo da Silvio Berlusconi, «che per questo fu deposto nel golpe finanziario del novembre 2011 (Trichet-Monti-Napolitano)», che Barnard per primo denunciò «con grafici e prove» in televisione, a “Matrix” (“Canale 5”) e poi a “L’Ultima Parola” e “La Gabbia” (La7).Una «criminale opera di distrazione di massa, divenuta distruzione», secondo Barnard è stata condotta da «speculatori come Travaglio, Luttazzi, Biagi, Santoro, la Guzzanti, Gomez e il codazzo poi nato, anche con Mediobanca e De Benedetti», Quella violenta propaganda contro Berlusconi impedì (e oggi impedisce) a tre quarti del paese di pervenire all’orribile verità. Montanelli? «Ci chiese d’immunizzarci dal sudore, cosa inutile e impossibile, mentre un melanoma micidiale stava invadendo la pelle di tutta l’Italia col Trattato di Maastricht». Giunti a questo punto, cioè alla farsa conclamata delle elezioni 2018 (promesse-fotocopia e nessun accenno alle vere cause Ue della crisi), Barnard ribadisce che voterà proprio per i detestati grillini, che a suo dire «rappresentano una tripla voragine». Ovvero: «L’allucinante speculazione della CasaleggioForProfit su 60 milioni di noi», nonché «la più intimidatoria cultura dell’omertà-terrore in un partito, dal fascismo a oggi», e infine «la mortale impreparazione di chiunque lì dentro a governare un paese quasi morto fra Usa, Cina ed Emergenti». Il Movimento 5 Stelle? «Davvero è come la peste», scrive Barnard. Per cui, conclude, «dobbiamo “ammalarci di loro”, e sperare nella immunizzazione per sempre dal peggior partito italiano dai giorni di Calamandrei».«Non mi ero scordato della profezia Montanelli sull’Italia che avrebbe dovuto immunizzarsi da Berlusconi», dice Paolo Barnard, che oggi propone di “immunizzarsi” dai 5 Stelle (votandoli) che il giornalista considera un’autentità calamità nazionale per inadeguatezza e impreparazione, inaudita sudditanza al padre-padrone Grillo e al vertice del “partito-azienda” incarnato dalla struttura dei Casaleggio. L’anziano Montanelli, irritato per la “discesa in campo” del Cavaliere nel ‘94? «L’impianto teorico dell’immunizzazione era giustissimo», ma il direttore del “Giornale” sbagliò bersaglio: «Il motivo per cui l’Italia non s’immunizzò da Berlusconi fu che Berlusconi è stato, delle due, una cura per l’Italia. Montanelli – che fu socialmente miope come una talpa incappucciata quando credette che l’Italia ‘bene’ l’avrebbe seguito fuori dal “Giornale” – fu trascinato dalla bestiale ondata Travaglio-Vajont la cui narrativa era che il Cavaliere rappresentava la porno-Nutella della mafia a Palazzo Chigi, cioè il peggio mai conosciuto dall’Italia di Calamandrei». Per Barnard, il tragico errore di quel postulato montanelliano «fu nella sua totale incomprensione di cosa sia una vera mafia e di cosa sarebbe stato il peggio mai conosciuto dall’Italia».
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La Grecia in saldo al 5%, lo Stato non esiste più. E l’Italia?
La Grecia è in saldo, sul web: nel 2018 l’esproprio della ricchezza pubblica e privata diventerà molto più veloce, e aggredirà i rimasugli di patrimonio restanti. «Gli immobili vengono messi all’asta e i compratori stranieri – banche, privati e perfino istituzioni – possono prendersi un’isola, un appartamento, una spiaggia, un’opera antica: qualsiasi cosa». Il tutto quasi gratis, «a meno del 5% del loro valore». Finiscono all’asta su Internet «perfino le prime case, se superano una determinata superficie». La Grecia di Alexis Tsipras, scrive Maurizio Pagliassotti su “Diario del Web”, è entrata nella “fase laboratorio”: «Vedere cosa succede a un paese lasciato nelle mani dei creditori». Disse Milton Friedman, padre del neoliberismo: «Lo shock serve a far diventare politicamente inevitabile quello che socialmente è inaccettabile». Il trauma della Grecia risale all’estate del 2015: con la giacca gettata sul tavolo al grido di «prendetevi anche questa», il primo ministro Alexis Tsipras «firmò la resa senza condizioni della sua nazione sconfitta: umiliato di fronte al proprio paese e al mondo da Angela Merkel, volutamente».
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La Costituzione senza sovranità? E’ come la birra analcolica
La Costituzione senza sovranità? «Dovrebbe essere illegale come la birra analcolica». Parola di Massimo Bordin, giornalista di razza, per vent’anni direttore di “Radio Radicale”.«Mi sorprende sempre scoprire che ci sono uomini di cultura, persino accademici, secondo i quali fu possibile limitare la sovranità italiana, perchè “lo prevede anche la nostra Costituzione”». Stiamo parlando di disgraziati in malafede o di ignoranti acefali? «Temo di entrambe le tipologie umane», scrive Bordin sul blog “Micidial”, prendendo di mira la presunta legittimità, anche costituzionale, del “ce lo chiede l’Europa”. Ipocrisia: tutti bravi a fingere di ergersi a paladini della Costituzione, dopo averla “tradita” cedendo all’Unione Europea le prerogative che, secondo la Carta, sarebbero invece esclusivo appanaggio dell’Italia: sovranità non negoziabile, né cedibile, tranne che (in via eccezionale) a un unico soggetto: le Nazioni Unite. Sul banco degli imputati, scrive Bordin, c’è il famigerato articolo 11, che effettivamente parla di cessioni di sovranità nazionale. Tuttavia, l’articolo «non limita la sovranità del popolo, ma solo quella dello Stato in rapporto agli altri Stati». L’articolo 11 fa quindi riferimento alla “sovranità esterna”, non a quella “interna”. Attenzione: non si tratta di “sfumature”, ma di sostanza: chi ha ceduto la sovranità italiana all’Ue ha piegato la Costituzione.Bordin cita giuristi preparati, come il magistrato Luciano Barra Caracciolo e gli avvocati Paola Musu e Marco Mori. «In sintesi: la Costituzione italiana si riferisce alla “sovranità” sia all’articolo 1 – stabilendo che essa “appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” – che all’articolo 11, il quale consente le limitazioni di sovranità necessarie a garantire il funzionamento di un ordinamento internazionale che assicuri pace e giustizia nel mondo». Appare evidente come gli articoli 1 e 11 si riferiscano, in realtà, ai due differenti aspetti propri della “sovranità”, nel suo concetto classico: l’articolo 1 tutela la sovranità interna, «ossia al rapporto tra lo Stato e quanti risiedono sul proprio territorio», mentre l’articolo 11 vigila sulla sovranità esterna, ossia sui rapporti dello Stato con gli altri Stati o organizzazioni internazionali. «Varrebbe peraltro la pena di ricordare come, in sede di Commissione per la Costituente, si scelse di omettere, nella formulazione dell’articolo 11, ogni esplicito riferimento all’unità europea», come invece aveva chiesto l’onorevole Emilio Lussu, fondatore del Partito d’Azione e celebrato scrittore, autore di “Marcia su Roma e dintorni” e “Un anno sull’altipiano”.Le limitazioni di sovranità, sottolinea Bordin, «dovevano riferirsi unicamente allo Stato nei suoi rapporti internazionali (cioè all’Onu)». L’articolo 11 della Costituzione, pertanto, «non può essere interpretato nel senso voluto dalla Corte Costituzionale, ossia come “copertura” di rango costituzionale alle sempre più profonde cessioni di aspetti tipici della sovranità interna in favore dell’Unione Europea». Di fatto, l’articolo 11 «non limita la sovranità del popolo, ma solo quella dello Stato in rapporto agli altri Stati». Traduzione: «Il lavoro, la previdenza, la moneta, l’istruzione e la spesa pubblica sono scelte politiche di sovranità interna e non vengono affato contemplate dal famigerato articolo 11». Conclusione: «Stolti quegli uomini che invocano la Costituzione per difenderla nella sua parte ordinamentale – parte invece che potrebbe benissimo essere stravolta senza “troppissimi” problemi – mentre usano la zappa per interpretarne la prima, quella dei fondamenti e dei princìpi, che non può affatto essere né interpetata (essendo chiara) né modificata». Qualcuno ha barato, nel leggervi quello che non c’è: Costituzione e sovranità sotto tutt’uno, sul territorio nazionale. O almeno, dovrebbero esserlo. Invece si finge di difendere la Costituzione dopo averla calpestata, con la cessione – anticostituzionale – di ogni sovranità interna all’Unione Europa. «Birra analcolica», appunto.La Costituzione senza sovranità? «Dovrebbe essere illegale come la birra analcolica». Parola di Massimo Bordin, curatore del blog “Micidial”. «Mi sorprende sempre scoprire che ci sono uomini di cultura, persino accademici, secondo i quali fu possibile limitare la sovranità italiana, perchè “lo prevede anche la nostra Costituzione”». Stiamo parlando di disgraziati in malafede o di ignoranti acefali? «Temo di entrambe le tipologie umane», scrive Bordin, prendendo di mira la presunta legittimità, anche costituzionale, del “ce lo chiede l’Europa”. Ipocrisia: tutti bravi a fingere di ergersi a paladini della Costituzione, dopo averla “tradita” cedendo all’Unione Europea le prerogative che, secondo la Carta, sarebbero invece esclusivo appannaggio dell’Italia: sovranità non negoziabile, né cedibile, tranne che (in via eccezionale) a un unico soggetto: le Nazioni Unite. Sul banco degli imputati, scrive Bordin, c’è il famigerato articolo 11, che effettivamente parla di cessioni di sovranità nazionale. Tuttavia, l’articolo «non limita la sovranità del popolo, ma solo quella dello Stato in rapporto agli altri Stati». L’articolo 11 fa quindi riferimento alla “sovranità esterna”, non a quella “interna”. Attenzione: non si tratta di “sfumature”, ma di sostanza: chi ha ceduto la sovranità italiana all’Ue ha piegato la Costituzione.
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La sfida dell’eresia, dai Catari al mondo del pensiero unico
“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.In questa Italia frastornata da una campagna elettorale stanca e mediocre, condizionata dal dogmatismo neoliberista del pensiero unico imposto da Bruxelles, serpeggia la tentazione di una sorta di diserzione di massa, mentre cresce – silenziosamente – una minoranza sempre meno sparuta di cittadini che si fanno domande, si documentano in proprio e si riuniscono, consultando esperti, nel fondato sospetto che qualsiasi versione ufficiale – dai vaccini alla geopolitica fino alla storiografia, passando per l’esegesi biblica dottrinaria – sia sempre inattendibile, incompleta, reticente. E’ un panorama, questo, nel quale fioriscono iniziative impensabili, fino a dieci anni fa: come la lusinghiera campagna di crowdfunding per finanziare, dal basso, il documentario “Bogre”, girato da Fredo Valla tra Bulgaria, Italia, Catalogna e soprattutto Occitania. Un viaggio affascinante, che ripercorre le remote geografie della più importante eresia del medioevo, cioè il Cristianesimo “dualistico” interpretato dai bogomili nei Balcani e poi dai càtari, i “bulgari” travolti dalla Crociata Albigese nella contea di Tolosa, per poi essere annientati da settant’anni di spietate persecuzioni ad opera dell’Inquisizione. Una tragedia che causò la rovina socio-economica della terra dei Trovatori, che alla fine del 1100 era tra le regioni europee più prospere e avanzate, più libere e tolleranti.Fu un trauma, per lo sviluppo armonico dell’Europa: lo sostiene una scrittrice a sua volta “eretica” come Simone Weil, secondo cui proprio la brutale repressione dell’eresia càtara – gli assedi e le stragi, il terrore scatenato dagli inquisitori – alimentò nel continente la generale rassegnazione al culto della forza, alla guerra come esito inevitabile di qualsiasi conflitto, fino al supremo orrore dell’abominio nazista. Chi è l’eretico? E’ uno che si alza in piedi e dice, semplicemente: non sono d’accordo. E spiega il perché. Chi lo ascolta, sa che sta rischiando il carcere, magari la vita. Il coraggio dell’eretico ricorda a tutti, inevitabilmente, che le versioni dei fatti sono sempre almeno due, mai una sola. Se invece l’ideologia è unica, per di più non proposta pacificamente ma imposta in modo dogmatico (cioè con l’esplicito divieto di metterne in discussione i fondamenti) allora l’umanità è in pericolo, si disumanizza, si divide in buoni e cattivi. Sotto il governo di Raimondo VI, conte di Tolosa, sul finire del 1100 poteva capitare di assistere, nelle chiese, ad avvincenti dispute teologiche tra parroci cattolici e predicatori càtari, di fronte alla platea dei fedeli: oggi, nel 2018, è praticamente impossibile che alla televisione abbia accesso qualche vero “eretico”, radicalmente critico nei confronti del sistema socio-economico che ci viene presentato come l’unico possibile.Quella del Catarismo è una storia spesso denegata, che le burocrazie religiose tendono a sminuire, come fosse un fantasma scomodo. Lo è: ma per il potere in generale e non solo per la Roma di allora, se è vero che l’Inquisizione inaugurò la prima vera forma di terrorismo totalitario, ostacolato – per reazione – dalla rivolta armata dei cavalieri “Faidits”, i primi guerriglieri della storia europea. Uno schema che poi non ha fatto che ripetersi, in modo tragicamente sistematico. Vaticano medievale e càtari? Ruoli e maschere di quasi mille anni fa. Più che la casacca indossata, in fondo può contare un gesto destinato a rimanere vivo: come l’immensa pietà per gli sconfitti, che risuona tra i versi cavallereschi della Canzone della Crociata, scritti da cattolici. E l’ultimo “perfetto” càtaro d’Occitania, Guilhelm Belibàsta, a un passo dalla morte sul rogo arrivò a perdonare (e a tentare di convertire) l’uomo che l’aveva tradito, consegnandolo ai carnefici. E questa l’umanità che il film “Bogre” cercherà di riesumare, dopo otto secoli di oblio, tra le pieghe di vicende solo in apparenza lontane da noi. L’eresia è una domanda, che costringe a interrogarsi. E’ il contrario dell’odio, che teme le domande e ama le guerre, vietando ai soldati di pensare. Rileggere l’avventura dei càtari può servire a scoprire di cos’è stata capace, l’umanità, prima di arrendersi al comodo letargo delle verità imposte.(E’ possibile aderire alla campagna di crowdfunding del documentario “Bogre” attraverso la piattaforma “Produzioni dal basso”; in cambio, si potrà ricevere il film in anteprima).“Airesis”: scelta, contraria al dogma. A cosa servono, gli eretici? Spesso, a far fare passi da gigante, al mondo. La nonviolenza di Gandhi di fronte alla brutalità coloniale inglese. L’eroica tenacia di Nelson Mandela, ai lavori forzati per aver denunciato il delirio sociale di un paese africano per soli bianchi. Può vincere, l’eresia? Forse alla distanza, aprendo una crepa innanzitutto culturale, per poi scavare nella coscienza di ciascuno. Sul piano politico, invece, generalmente gli eretici vengono sconfitti, e il più delle volte ci rimettono la pelle. Martin Luther King sognava un’America fraterna, senza più discriminazioni razziali. Yitzhak Rabin osò immaginare un Medio Oriente libero dall’odio e dall’orrore. Sacco e Vanzetti? Fritti sulla sedia elettrica per aver lottato contro un sistema ingiusto. Thomas Sankara voleva un’Africa nuova, sollevata dal giogo finanziario del debito occidentale. Sono caduti tutti, ma oggi siedono in un pantheon intoccabile: in un certo senso, sono ancora qui. Non è possibile cancellare l’immagine del giovane Cassius Clay che getta nel fiume Hudson la medaglia olimpica conquistata a Roma, dopo esser stato respinto – perché “negro” – da un ristorante di New York. Il dissidente compie sempre qualche gesto simbolico, che costringe l’umanità a pensare. A ragione o a torto, l’eretico rischia in prima persona. Si ribella a un dogma imposto, cioè al non-pensiero di un mondo senza libertà.
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Serve il coraggio politico di credere in un sogno realizzabile
E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.Inutile girarci attorno, inutile pensare di rimandare le prese di coscienza; per quante precauzioni e attenzioni del caso si possano prendere, la situazione è chiara: inquinamento alle stelle con conseguente deterioramento della salute e della qualità della vita, veloce esaurimento delle risorse, distruzione dell’ambiente, rischio desertificazione ed emergenza idrica, cambiamenti climatici fuori controllo che aggraveranno la situazione, cementificazione galoppante, persone sempre più prive di senso e stressate, in preda a mille paure e insicurezze dettate da un mondo che ha come unica direzione e obiettivo il vivere per i soldi e fregare il prossimo. E non si tratta di catastrofismo o allarmismo, è la situazione attuale, chiara e limpida, almeno per chi non crede ai telegiornali di regime e conseguente voce del padrone.Di fronte a questa situazione ci sono opportunità per invertire la rotta e fare del nostro paese un giardino fiorito e sono opportunità che danno le maggiori sicurezze e reali ricchezze. Ad oggi, conti alla mano, non c’è politica più lungimirante e foriera di risultati che puntare a quello di cui l’Italia ha potenzialità immense. Non ci sono campi di intervento e con garanzie di risultati maggiori di quelli del campo ambientale e nella fattispecie quelli legati alle energie rinnovabili, efficienza energetica e risparmio energetico. Puntando decisamente anche solo su questi settori, si riassorbirebbe gran parte della disoccupazione e si farebbe ripartire la vera economia che è quella che ha cura, non quella che distrugge. Ma con questi settori saremmo solo all’inizio; ci sarebbe poi il risparmio idrico, assolutamente fondamentale, poi l’agricoltura biologica da diffondere ovunque che è già uno dei pochi settori che scoppia di salute e che viene sempre più richiesto, con conseguente valorizzazione delle eccellenze locali che in Italia vuol dire agire dappertutto. Poi valorizzazione e salvaguardia del territorio che significa anche turismo di qualità ed inoltre riutilizzo, riuso, e recupero delle risorse in ogni forma e specificità per dare respiro ad una terra sempre più saccheggiata. Si tratta quindi di un vero e proprio progetto politico e culturale di rinascita con solide basi economiche e dalle grandi prospettive.Chiamatelo new deal verde, così è più cool, chiamatelo come vi pare ma da questa prospettiva non si scappa e prima ci si dirige velocemente e prima si salva il paese e si ottiene più consenso. Agire politicamente in questa direzione può spaventare solo i ladri, i disonesti o coloro a cui non interessa nulla nemmeno della sorte dei propri figli. Chiunque, onesto e serio, compresa anche la casalinga di Voghera, è in grado di capire e recepire la fattibilità e la lungimiranza di una politica in questo tipo poiché c’è tutto dentro. Ci sono i valori, c’è la salute, c’è l’occupazione, c’è l’economia, c’è il rispetto per l’ambiente e per gli altri, c’è la qualità della vita, c’è il senso di appartenenza e di comunità, c’è il genio italico, c’è la valorizzazione del territorio, c’è il non fare rimanere indietro nessuno, c’è la preservazione di quello che abbiamo per i nostri figli e nipoti, c’è la visione allargata che riesce ad abbracciare anche chi è lontano ma che può beneficiare delle conseguenze positive di quello che può fare un paese che si incamminasse decisamente in questa direzione, c’è la conservazione della memoria storica, c’è la salvaguardia e la valorizzazione del nostro immenso e meraviglioso patrimonio culturale. C’è tutto quello che può fare felici e serene le persone.Non si dica che è prematuro, che è troppo presto, che non è fattibile, che gli italiani non sono pronti, che non lo capirebbero, che si spaventerebbero, perché tanti lo hanno già capito e sono semmai sempre più spaventati davvero dal resto che hanno compreso li porterà dritti nel baratro. Quale infatti è l’alternativa a questa politica? Continuare a costruire in un paese già tutto cementificato e ad ogni alluvione piangere i morti? Continuare a costruire automobili e ad ogni statistica sull’inquinamento piangere i morti? Produrre e vendere oggetti e servizi superflui che impoveriscono le persone e non fanno che alimentare discariche e inceneritori e anche qui poi piangere i morti? Continuare ad inquinare tutto compreso il nostro meraviglioso mare? Dare lavori dannosi e insensati alle persone che le rendono infelici e preda di mutui e incombenze di ogni tipo, in grado di rovinare anche la famiglia più coesa? Non c’è nessuna prospettiva, tantomeno politica, nel percorrere una strada del genere. Tutto ciò non ha alcun futuro e sarà solo un infelice passato.(Paolo Ermani, “Il coraggio politico di credere a un sogno realizzabile”, da “Il Cambiamento” del 12 gennaio 2018).E’ partita la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni di marzo e come al solito vengono sparate roboanti promesse sperando di conquistare l’elettorato con questa o quella trovata. Il leader indiscusso di questa prassi è l’insuperabile Berlusconi che, riesumato come una mummia egizia, ancora è in pista fra l’incredulità e lo sconforto di tanti italiani che si chiedono di quale terribile colpa ci siamo macchiati per dover ancora assistere alle pessime performance di un pregiudicato che non può nemmeno accedere in Parlamento, indagato di ogni nefandezza tra cui addirittura come mandante delle stragi di mafia assieme al cofondatore di Forza Italia Dell’Utri, tuttora in carcere proprio per reati di mafia. In questo quadro ci sono molte persone che non fanno parte del circuito della vecchia politica e anche molti non votanti che potrebbero essere disponibili a dare credito a una politica che, senza troppe paure o tatticismi, proponga coraggiosamente una nuova strada.
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Crepe nel potere, ma i guai del 2018 ci apriranno gli occhi
Tempi duri: il vertice del potere mondiale si è spaccato. E la guerra per bande, che rischia di travolgerci, in realtà irrobustirà i muscoli dell’umanità che rifiuta i dogmi del dominio. Lo sostiene Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, interrogandosi su quali prove ci attendono nel 2018, in una riflessione sul newsmagazine “Coscienze in Rete”. «Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali», premette. «Continueranno a sforzarsi di devastare la natura, l’arte, la scienza, la cultura, l’economia, la politica, il diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane». E nel farlo, aggiunge, «continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte». In altre parole: «Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza». La buona notizia? Si sono aperte grosse crepe nella “piramide gesuitico-massonica” che reggerebbe il mondo, fabbricando disastri e illusioni. Più instabilità significa più sofferenze, ma anche più “risvegli” da parte di quella fetta crescente di umanità che, secondo Carotenuto, starebbe gradualmente uscendo dal letargo.Nel 2015, Carotenuto fece la seguente previsione per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono puntualmente manifestate anche nel 2017. E certamente, dice oggi l’analista, la tendenza continuerà in questo modo nel 2018, «aggiungendo il ruolo volutamente inquietante della Corea del Nord, e l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra fronte guidato dal Qatar e fronte guidato dall’Arabia Saudita». Sempre nel 2015-2016, Carotenuto scriveva: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del “divide et impera” comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». E’ quello che poi è avvenuto nel 2017 e che avrà ulteriori sviluppi nel 2018: «La Brexit, la presidenza Trump, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere dei fantasmi berlusconiani, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche».Questi e numerosi altri segnali, sostiene Carotenuto, «mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature», che saranno «foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze». La presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti. E continuerà ad avere un ruolo destabilizzante, «come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani». Da una parte, Trump «sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico», ma dall’altra costituirà anche «un elemento amplificatore di forme pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane». Per Carotenuto, si tratta di una modalità «molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori», che tuttavia «già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica». I gruppi di manipolazione mondialisti «hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova spinta alla centralizzazione e alla perdita di libertà e sovranità locali».Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “brutti e cattivi”, riaprendo il ring degli scontri e della devastazione. «Il crescente ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione», sostiene Carotenuto: non si tratta di un “salvatore”, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, che vedremo svilupparsi ancora nel 2018. «Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, comincia a mostrare pesanti crepe. Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo lo scorso anno». Sempre secondo Carotenuto, l’influenza della presidenza Trump si è già fatta sentire anche negli equilibri politici italiani, «con l’improvviso risorgere della destra berlusconiana e delle ritrovate armonie con Lega ed ex-fascisti». E attenzione: «Vedremo ancora meglio quale è il vero ruolo delle finte opposizioni di destra, di sinistra e “populiste”». E soprattutto, «vedremo meglio il ruolo vero della più recente creatura del potere internazionale: il Movimento 5 Stelle, ormai con Di Maio chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi».In particolare, continua Carotenuto, vedremo se i grillini «continueranno a svolgere il ruolo svolto fino ad ora, quello di stabilizzare e compattare i poteri cui in apparenza si oppongono», oppure se di decideranno a partecipare apertamente alla gestione del potere. «Ogni volta che parteciperanno al potere – se lo faranno – sveleranno il loro vero volto di strumenti del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe». Aggiunge Carotenuto: «Le stupefacenti virate di Di Maio in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea e filo-finanza internazionale, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti illusi per anni dalle seduttive parole di Grillo, e che saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – nel 2018». Nel frattempo, il progetto di Unione Europea è ormai entrato in crisi: il vento del “divide et impera”, sulla spinta della Brexit, soffia forte sulle strutture europee, accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata emergenza immigratoria. «Le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite di sovranità. Ma non è detto riescano: dipenderà molto dal grado di risveglio dell’opinione pubblica».I governi delle grandi potenze occidentali, prosegue Carotenuto, «continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie, mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo». E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, «sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche straniere». E alcuni Stati “particolari” (come la Corea del Nord, l’Iran, il Qatar, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan e il Kazakistan) «continueranno a svolgere il loro ruolo di fomentatori, spalleggiatori o finanziatori dei disegni di destabilizzazione». Intanto, le grandi forze industriali «continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza climatica» in modo da «spingere il mondo a creare nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità».Anche in questo caso, sottolinea l’analista, la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti – ma forse finirà per «favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore, grave peggioramento dell’emergenza ambientale». In Italia, comunque, non ci facciamo mancare niente: parla da solo il decreto Lorenzin sulle vaccinazioni. «L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio». Prepariamoci a una lotta dura e intensa, avverte Carotenuto: finora, «questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente». Questo effetto, assicura, «continuerà anche nel 2018, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta». E anche nel 2018 «ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori».Faranno tutto questo, come nel 2017 e negli anni precedenti, «per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze», sostiene Carotenuto. Risveglio che, per la prima volta nella storia umana, starebbe orientando «masse importanti, anche se non ancora maggioritarie», divenute «capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della natura, gli animali e gli altri esseri umani quanto meno sullo stesso piano di se stessi». Una inedita rivoluzione interiore, che secondo Carotenuto ormai coinvolge «almeno un terzo dell’umanità» in una visione non aggressiva e predatoria dell’esistenza, opposta cioè a quella del potere dominante. Per questa ragione, sostiene l’analista, anche nel 2018 «grandi e oscuri poteri di manipolazione cercheranno di bloccare o rallentare questa rivoluzione delle coscienze, il cui effetto sarà un giorno la liberazione dell’umanità proprio da quei poteri». Ma proprio «per reazione alle nefandezze compiute contro di noi», anche nel 2018 «altri cuori e altre menti si apriranno alla voglia di bene». Una dinamica che, per Carotenuto, ha contraddistinto questi ultimi anni: «I tentativi di bloccare i risvegli si sono spesso risolti, per reazione, in ulteriori ondate di prese di coscienza».Tempi duri: il vertice del potere mondiale si è spaccato. E la guerra per bande, che rischia di travolgerci, in realtà irrobustirà i muscoli dell’umanità che rifiuta i dogmi del dominio. Lo sostiene Fausto Carotenuto, già analista dei servizi segreti, interrogandosi su quali prove ci attendono nel 2018, in una riflessione sul newsmagazine “Coscienze in Rete”. «Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali», premette. «Continueranno a sforzarsi di devastare la natura, l’arte, la scienza, la cultura, l’economia, la politica, il diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane». E nel farlo, aggiunge, «continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte». In altre parole: «Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza». La buona notizia? Si sono aperte grosse crepe nella “piramide gesuitico-massonica” che reggerebbe il mondo, fabbricando disastri e illusioni. Più instabilità significa più sofferenze, ma anche più “risvegli” da parte di quella fetta crescente di umanità che, secondo Carotenuto, starebbe gradualmente uscendo dal letargo.
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Gramsci: io sono libero, per me ogni mattina è capodanno
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita.Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.(Antonio Gramsci, “Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno”, da “L’Avanti!” del 1° gennaio 1916, edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”; articolo riproposto da “Senza Soste” il 1° gennaio 2018. Politico e filosofo, politologo e giornalista, ma anche linguista e critico letterario italiano, nel 1921 Gramsci fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia, divenendone segretario e leader prima di essere arrestato dai fascisti nel 1926. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita. Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società elaborando in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l’obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne).Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita.
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Se Cardini deforma i Catari: quella strage fa ancora paura?
«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.La crociata è stata invece pienamente giustificata, e alle perplessità espresse da Paolo Mieli sul fatto che si trattava di combattere contro dei cristiani, il professor Cardini ha risposto prontamente che i catari erano peggio degli infedeli, dato che – riporto le sue testuali parole: «con la loro azione impediscono ai cristiani di darsi alla guerra contro gli infedeli e quindi sono degli obiettivi alleati degli infedeli, però sono peggiori degli infedeli in quanto sono dei traditori della loro fede». Non si sa se ridere o piangere, tanta è l’insensatezza di quello che dice. L’odio di Cardini per i catari traspare da mille indizi, come quest’altra perla: «Vengono da Oriente, esattamente come la lebbra». Come non pensare qui a quelle splendide parole di Dante, che a proposito del luogo di nascita di San Francesco scrive:“Di questa costa, là dov’ella frange / più sua rattezza, nacque al mondo un sole, / come fa questo talvolta di Gange. / Però chi d’esso loco fa parole, / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole” (Paradiso XI, 49-54). Da Oriente viene la luce, e da un punto di vista spirituale ha un significato simbolico altissimo, basti pensare che anticamente le chiese dovevano essere “orientate”, ovvero costruite in modo che il fedele fosse rivolto verso Oriente. Ma siccome da Oriente vengono i catari – Cardini dice infatti che venivano chiamati «bulgari», cosa che è vera – allora si è sentito in dovere di aggiungere: «come la lebbra».Cardini evidentemente crede alle calunnie che all’epoca venivano diffuse sui catari. Ma è possibile che uno storico non sappia che i vincitori hanno sempre demonizzato e criminalizzato i vinti? Possibile che non sappia che non si possono ritenere affidabili al cento per cento le fonti, quando queste sono solo trattati scritti dagli inquisitori e verbali delle dichiarazioni rilasciate – magari sotto tortura – nei processi? Possibile che non sappia che da vent’anni è in atto una riscrittura di quella storia, con toni molto più amichevoli nei confronti dei catari e del loro cristianesimo aperto al dialogo, libero e gioioso? Cardini tutto questo lo ignora, e giustifica la crociata e l’Inquisizione. Certamente la Chiesa ha il diritto di pretendere l’ortodossia da parte dei fedeli. Ma anche di torturare e uccidere chi la pensa diversamente??? E non è tutto: era una trasmissione sull’eresia dei catari, ma non è stata spesa una parola sul catarismo italiano, che, come riferiscono già le fonti dell’epoca, era assai più consistente che non quello occitano. E allora ci dobbiamo chiedere: lo sa il professor Cardini? Se lo sa, è grave il fatto che non ne abbia parlato. Se non lo sa, è gravissimo.Quella del catarismo italiano è una storia affascinante, che si inserisce nelle lotte tra guelfi e ghibellini, dove nelle città rette dai ghibellini non erano ammessi i tribunali dell’Inquisizione. Contro gli inquisitori ci furono sommosse popolari in quasi tutte le città italiane, e qui l’Inquisizione operò per secoli, fino a tutto il Quattrocento. Poi ci sono gli aspetti macabri, come i processi postumi (famoso quello a Farinata degli Uberti), e le considerazioni sull’impoverimento che tutto ciò ha causato, impoverimento di cui soffriamo ancora oggi. Passato e presente è il nome della trasmissione, quasi a voler suggerire che il passato pesa sul presente. E questa pagina del passato, questa pagina grondante sangue, pesa ancora enormemente, nonostante gli sforzi della Chiesa e dei suoi lacchè per farla dimenticare. Ero talmente indignata e arrabbiata ad ascoltare simili parole in una trasmissione che trovo di alto livello e che seguo da tempo con interesse che ho deciso di scrivere a Paolo Mieli, il conduttore.Non mi aspettavo una risposta: avevo più che altro bisogno di sfogare la mia delusione. E invece ha risposto subito, con una mail molto gentile, scusandosi dei «giudizi sommari» e informandomi che cercheranno «di riparare anche tenendo conto dei suoi lavori e delle sue osservazioni». Vedremo. Sarebbe bello se la televisione pubblica, attraverso quello che è forse il suo programma più raffinato e serio di trasmissione della cultura, facesse luce su questa pagina tragica, dolorosa ma importantissima della nostra storia. E desse voce anche alle tante iniziative che dal Cuneese al Veneto, da Milano a Firenze stanno sorgendo, promosse non solo da professori, ma anche da cittadini che vogliono conoscere e far conoscere la storia del territorio in cui vivono e che, scoprendovi le tracce della presenza degli eretici catari sentono, come è già successo nella Francia del Sud, che non è una macchia da nascondere bensì una realtà di cui andar fieri.(Maria Soresina, “I catari la crociata… se la sono cercata!”, dalla pagina Facebook del progetto “Bogre”, documentario che Fredo Valla sta girando – fra Bulgaria, Italia e Francia – sull’eresia medievale cristiano-dualistica dei bogomili e dei catari, facendo appello anche al crowdfung attraverso il portale “Produzioni dal basso”. Storica milanese, Maria Soresina è consulente del progetto cinematografico; ha pubblicato importanti libri come “Le segrete cose. Dante tra induismo ed eresie medievali” e “Libertà va cercando. Il catarismo nella poesia di Dante”, pubblicati da Moretti & Vitali e favorevolmente recensiti dalla Rai e da giornali come il “Sole 24 Ore”, fino all’“Osservatore Romano”).«I catari la crociata… se la sono cercata!». Queste esatte parole sono state pronunciate il 21 novembre, alla televisione, dall’illustre professor Franco Cardini. La cornice era quella della splendida trasmissione “Passato e presente” condotta da Paolo Mieli su Rai3. Il titolo di quella puntata era “L’Inquisizione e l’eresia dei Catari”. Si è parlato dell’Inquisizione, ma di quella spagnola che coi catari non c’entra, si è parlato poi dei Templari, che coi catari non c’entrano per niente. Per quanto riguarda i catari, si è parlato solo della crociata, ma non con le sublimi parole di Simone Weil, bensì per dire, appunto, che «se la sono cercata»… Certo, la ventennale crociata in terra occitana è un episodio di primaria importanza nella storia del catarismo, e proprio perché ha fallito è stata istituita l’Inquisizione. Mi spiego meglio: la crociata è riuscita a distruggere la fiorente economia delle contee del Sud, a spegnere la grandiosa poesia dei trovatori, a conquistare quelle terre che finirono per essere inglobate nel Regno di Francia, ma non è riuscita a debellare l’eresia catara, né a cancellare la lingua d’oc. Durante la trasmissione, a proposito della crociata non è stato nemmeno menzionato quel meraviglioso poema che è la Chanson de la croisade albigeoise, da Simone Weil paragonato nientemeno che all’Iliade.
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Sudditi: la verità che nessuno vuole. E buone elezioni a tutti
Gli slogan elettorali nell’Italia del 2018? Piccoli corvi, che banchettano sui resti di un cadavere. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità economica non esiste più». La voce sembra quella del vecchio marinaio di Coleridge, che insiste nel raccontare una storia atroce, che nessuno vuole ascoltare: la storia di un naufragio che si trasforma in catastrofe, dove ciascuno tenta disperatamente di sopravvivere a spese degli altri. E’ inaccettabile, il racconto del superstite. Troppo duro da digerire: «Nell’arco di pochi decenni, sono riusciti ad ammazzare la cittadinanza occidentale: eravamo persone capaci di cambiare la propria storia. L’Italia, con un solo partito e una sola televisione, ha fatto divorzio e aborto: eravamo figli del Vaticano ma siamo riusciti a ribaltare il paese». Dov’è finita quell’Italia? Davanti al televisore, ad ascoltare le amenità di Renzi e Grasso, Berlusconi e Di Maio. Di loro si occupano i giornalisti, gli stessi che ignorano l’altro giornalista, quello vero. Il vecchio marinaio. Il folle, l’eretico. L’ostinato reduce che insiste nel raccontare la verità che nessuno vuole sentire. Verità semplice e drammatica: c’è solo una politica in campo, quella del vero potere. E’ il potere antico, quello dei Re. E si è ripreso tutto. Distruggendo cittadini, leggi e Stati.
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Potere, dogma, dominio: noi e i Catari, i “Bogre” del 1200
I càtari? «Erano seguaci di una cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica», scrive sul “Corriere” Vittorio Messori, giornalista vicinissimo al Vaticano e autore di libri-intervista su Wojtyla e Ratzinger, fino a “La Chiesa di Francesco”. Sostiene, Messori, che gli eretici cristiano-dualisti annientati dalla Crociata Albigese all’inizio del 1200 fossero appoggiati dai nobili del Midi francese «non per motivi religiosi, ma perché volevano mettere le mani sulle terre della Chiesa», dando così per scontato che il Vaticano fosse una specie di multinazionale del latifondo sorretta dalle rendite economiche, più che un’istituzione dedita alla vita spirituale dei fedeli. L’espressione “le terre della Chiesa” viene infatti pronunciata da Messori con assoluta disinvoltura, peraltro sorvolando sulla storia: centinaia di pagine, nella storiografia per lo più transalpina, documentano l’adesione alla religione càtara da parte della “meglio gioventù” nobiliare occitanica, non certo attratta dagli epigoni di una “cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica”, ma da cristiani gnostici che vivevano in religiosa povertà, senza neppure un tempio, e accusavano Roma di aver barato fin dall’inizio sull’identità di Cristo e sul significato delle Scritture.E se la tenebrosa “setta asiatica” (stranamente non citata da Messori, solo evocata) fosse il Manicheismo, è bene sapere che ormai gli storici escludono categoricamente qualsiasi filiazione dottrinaria tra la predicazione del profeta persiano Mani e l’affermazione balcanica dei bogomili, i progenitori dei càtari. Il Padre Celeste adorato dai Buoni Cristiani – ribattezzati “càtari” dai loro sterminatori – era in tutto simile ad Ahura Mazda, la divinità della luce di Zoroastro, ispiratore della religione più diffusa in Medio Oriente fino all’anno zero: sarebbero sacerdoti mazdei i Magi venuti dall’Oriente di cui parla il Vangelo di Matteo, accorsi ai piedi della culla di Betlemme. Se il Cattolicesimo contempla la vita ulteriore, “eterna”, al di là di quella presente, sia il Mazdeismo che il successivo Catarismo danno estrema importanza alla terza fase dell’esistenza, che in realtà è la prima, chiaramente narrata nelle loro teologie. La dimensione materiale? E’ vissuta come passaggio transitorio, una dolorosa “caduta” rispetto allo stadio precedente, quello in cui le anime vivevano in beatitudine “al cospetto di Dio”. Missione del credente càtaro: aiutare l’umanità a “tornare a casa”, adottando il modello evangelico (rifiutare beni e ricchezze) per riconquistare l’accesso alla terra d’origine, l’ancestrale ascendenza “divina” di cui sarebbe rimasta una traccia, una scintilla, in ogni essere vivente.Proprio il mito del ritorno pervade un suggestivo racconto dei Sufi, quello dei costruttori di navi: compito del credente è custodire l’arte del carpentiere, anche se il potere del mondo detesta i “costruttori di navi”, imponendo questo mondo come l’unico possibile. Un ponte diretto collega i mistici “dervisci” a Francesco d’Assisi, che entrò in contatto con loro durante il suo viaggio in Egitto – per poi replicare il modello dei Sufi, asceti “vestiti di lana grezza”, nel futuro ordine francescano, a sua volta poi tacciato di eresia e avvicinato pericolosamente proprio al Catarismo. Sembra un fantasma scomodo, ancora oggi, quello dell’eresia cristiana dualistica del medioevo: se un intellettuale militante come Messori la attacca frontalmente, puntando a screditarla e demonizzarla, un laico come Eugenio Scalfari in un articolo su “Repubblica” arriva a equipararla, sbadatamente, a un altro Cristianesimo alternativo, quello di Pietro Valdo, per il quale invece la divinità era una sola – non esiste Dio Straniero, per i valdesi: il mondo è opera di una sola mano, quella dell’Altissimo.Anche se non lo si vuole ammettere, osserva il regista Fredo Valla, autore dell’atteso documentario “Bogre” (un viaggio tra bogomili e càtari, dalla Bulgaria alla Francia), l’eresia cristiano-dualistica scosse il medioevo europeo come un terremoto. Condannando la materia come frutto di una “creazione dannata”, opera del Demiurgo sfuggito al controllo della divinità celeste (buona, ma non onnipotente), contestava il ruolo sociale e politico dell’istituzione religiosa come garante dello status quo, dell’ordine feudale. In Linguadoca, Acquitania e Guascogna il Catarismo fu tollerato fino a quando, a prendere i voti, non furono i figli dei nobili: disposti a rinunciare ai feudi di famiglia, pur di abbracciare la predicazione dei Buoni Uomini. E’ esplicito l’inutile grido d’allarme lanciato, a Roma, da Bernardo di Chiaravalle, reduce da una missione esplorativa nelle terre occitane: il grande monaco spiegò al pontefice che nel Midi francese la fede càtara accomunava aristocrazia e popolo, di fronte allo spettacolo indecente offerto dal clero cattolico, ricchissimo e corrotto. Il futuro San Bernardo raccomandò la via della persuasione, dopo aver bonificato le diocesi per riconquistare i fedeli. Ma il Papa, Innocenzo III, preferì la via delle armi: alla carneficina della Crociata, che in vent’anni di guerra precipitò l’Occitania nella rovina economica, seguì la catastrofe dell’Inquisizione anti-càtara, durata 70 anni, che inaugurò il terrore come arma politica sistematica.Guardare tra quelle pagine con spirito laico e distaccato non è mai semplice, avverte una studiosa come Lidia Flöss, autrice di importanti ricerche sul Catarismo anche italiano: si rischia di cadere in posizioni preconcette, che non tengono conto dello spirito dei tempi, rinnovando polemiche anacronistiche. Sbagliato fare del Catarismo una sorta di mitologia new age: nel saggio “I Catari, gli eretici del male”, la Flöss si addentra fra le diatribe – prosaiche, umanissime – delle svariate comunità càtare del Lago di Garda, in competizione tra loro per la leadership teologica. Da una parte i “bulgari”, moderati e fiduciosi – come i bogomili (e i mazdei) – nella riconciliazione universale “alla fine dei tempi”, e dall’altra i càtari radicali, come il pope Niketas che evangelizzò Tolosa, convinti dell’irriducibile opposizione tra bene e male. Sul fronte opposto, nella Crociata Albigese, ai baroni francesi del Nord furono promessi i feudi del Sud come preda di guerra, ma i soldati ai loro ordini – quelli che fecero strage della popolazione civile – era stata promessa la remissione dei peccati, cioè il viatico per la vita eterna, in cambio della pulizia etnico-religiosa che avrebbe liberato l’Occitania dalla peste eretica.La stessa Simone Weil, autrice del meraviglioso saggio “I Catari e la civiltà mediterranea”, sottolinea la presenza della “pietas” tra i versi della Canzone della Crociata, opera di autori cattolici: nel poema non viene mai meno la profonda pietà per gli sconfitti. E’ un sentimento che la Weil attribuisce alla temperie socio-culturale della terra dei Trovatori, straordinariamente tollerante, al punto da far riverberare lo spirito democratico dell’Atene di Pericle, con il culto della bellezza opposto a quello della forza. E il “paratge”, il particolare senso dell’onore che anima l’ideale cavalleresco occitanico, ricomparirà sicuramente nel viaggio cinematografico di Fredo Valla, alla ricerca – sulla scorta della lezione di Simone Weil – di una perduta dimensione del vivere, che stranamente fiorì in quella regione, a partire dal 1100, prima che calasse il sipario del sangue e della paura. Molto semplicemente: in modo forse anche ingenuo, il Cristianesimo eretico dei càtari – in pieno medioevo – contesta il fatto che una religione possa indossare i panni del potere. Oggi, nel 2018, il mondo è in mano a un potere laico, fondato solo sul denaro, che però esercita il suo dominio mediante dogmi di tipo religioso, come quello neoliberista. Perché perdere tempo a fare assurdi processi alla storia, quando è possibile guardarci dentro, in quella storia, anche grazie a un documentario, per poi magari scoprire che qualcosa, del nostro presente, può avere un fondamento tra le pagine dell’epopea dei “Bogre”?I càtari? «Erano seguaci di una cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica», scrive sul “Corriere” Vittorio Messori, giornalista vicinissimo al Vaticano e autore di libri-intervista su Wojtyla e Ratzinger, fino a “La Chiesa di Francesco”. Sostiene, Messori, che gli eretici cristiano-dualisti annientati dalla Crociata Albigese all’inizio del 1200 fossero appoggiati dai nobili del Midi francese «non per motivi religiosi, ma perché volevano mettere le mani sulle terre della Chiesa», dando così per scontato che il Vaticano fosse una specie di multinazionale del latifondo sorretta dalle rendite economiche, più che un’istituzione dedita alla vita spirituale dei fedeli. L’espressione “le terre della Chiesa” viene infatti pronunciata da Messori con assoluta disinvoltura, peraltro sorvolando sulla storia: centinaia di pagine, nella storiografia per lo più transalpina, documentano l’adesione alla religione càtara da parte della “meglio gioventù” nobiliare occitanica, non certo attratta dagli epigoni di una “cupa, feroce, sanguinosa setta di origine asiatica”, ma da cristiani gnostici che vivevano in religiosa povertà, senza neppure un tempio, e accusavano Roma di aver barato fin dall’inizio sull’identità di Cristo e sul significato delle Scritture.
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Ratto: questa scuola fabbrica soltanto servi, ragazzi infelici
I ragazzi sono spinti ad accettare tutto da una scuola che educa alla servitù, al non lamentarsi, alla sottomissione. A scuola si esercita una forma di terrorismo già dai primi anni delle secondarie superiori. Si ripete cioè: occhio, guarda che siamo in crisi – cosa che è sempre molto utile da ribadire – e quindi sarà difficilissimo trovare lavoro. Dunque prendi qualsiasi cosa ti capiti, non alzare la testa, non farti valere, sottomettiti alle logiche neoliberiste e a tutto quello che ne consegue. Quindi nessuno si lamenta più. Il fatto stesso che nel mio liceo qualcuno abbia osato lamentarsi del freddo, visto che si viveva in gran parte delle aule e dei corridoi a 14 gradi per sei ore di seguito, ha suscitato un grandissimo scalpore. Quasi tutti gli insegnanti si sono nascosti dietro a un dito. Da un lato speravano che i ragazzi si lamentassero perché loro stessi avevano freddo. Dall’altro, però li punivano se lo facevano, “perché io devo interrogare, perché io devo spiegare”. Insomma, il sistema che si sta creando è un sistema che insegna molto bene a sottomettersi. Faccio un esempio per tutti: è un classico trovare il ragazzo che ti dice: «Il tema è andato bene perché ho detto quello che voleva la professoressa». Questo è il modo grazie al quale, con una gravissima responsabilità da parte nostra, noi produciamo servi.E questa scuola – che ha preso spunto dal sistema d’istruzione statunitense – è una scuola fortemente globalizzata, finalizzata esattamente a questo genere di obiettivo. L’aspetto negativo è questa trasformazione progressiva che l’istruzione pubblica ha subìto in una logica aziendale, dal 2000 in avanti. La scuola è sempre più un sistema, in cui i ragazzi sono stati progressivamente trasformati in “clienti”. Tramite questa scuola dell’autonomia, i singoli istituti locali si sono trovati in competizione per attirare più “clienti” possibili. Quindi questo ha significato anche promuoverli più facilmente. Si è creata una situazione in cui si è parlato sempre più di “saperi minimi”. Si è diffusa una disistruzione di ragazzi sempre meno a conoscenza dei fatti, sempre meno istruiti. E in questa situazione, dopo una prima fase di coccole, siamo entrati nella seconda fase, quella attuale, in cui gli alunni sono oramai inebetiti, annichiliti, con una bassa cultura, così come probabilmente un certo sistema vuole, così come il modello americano impone. Quindi una cultura molto bassa, un grado di consapevolezza pressoché pari a zero. Passioni politiche, interessi, convinzioni religiose pari a zero, nel senso che basta aderire alla tradizione: ragazzi che in classe te li trovi come delle specie di mummie, non interessati a nulla se non all’ultima generazione di smartphone.In qualche modo gli elettori ideali, i cittadini consumatori ideali, individui che sono come delle nere lavagne vuote, su cui puoi scrivere quello che vuoi. E’ come sottomettere l’insegnamento dei valori elevati della vita alle esigenze di un pensiero neoliberista, perché in realtà ormai chi va a scuola è inserito nell’ottica del profitto, del primeggiare sugli altri, ognuno per sé. La stessa introduzione del concetto di credito scolastico, avvenuta con la riforma Berlinguer, ha portato a una svalutazione della centralità del voto, con la sua connotazione morale: se prendevi quattro ti vergognavi, ti sentivi un verme perché avevi preso quattro. Adesso il voto è solo un tramite per arrivare a un punteggio e il punteggio è il più possibile appiattente: annulla molto le differenze tra i più bravi e i meno bravi. E soprattutto è l’anticamera dei soldi: i ragazzi a scuola sono tirati su in forte competizione gli uni con gli altri, finalizzando tutto a prendere più credito possibile, più punteggio possibile, per una questione utilitaristica. C’è questa idea del sapere che deve servire a qualcosa. Sempre più spesso, mentre spiego, mi capita di sentirmi interrompere da qualcuno: “Questa cosa la dobbiamo sapere? Questa cosa serve?”. Non è che ci siano la passione o l’interesse: c’è soltanto l’interrogativo rispetto a quanto ciò che diciamo possa poi essere spendibile in termini di credito, in termini di pezzi di carta, in termini di soldi, in termini occupazionali.Una delle strategie che io trovo più orrende è proprio quella dell’orientamento scolastico. Cioè i ragazzi vengono convogliati solo in alcuni rami, in alcuni percorsi di studio universitario e poi occupazionale: quelli che interessano a chi gestisce l’aspetto tecnologico, quelli più valorizzati nel sistema economico, scoraggiando invece inclinazioni artistiche, inclinazioni letterarie e umanistiche. Perché? Perché ormai da un po’ di tempo sappiamo tutti che la potenza di uno Stato è basata sulla sua capacità tecnologica, su quella economico-capitalistica e non certo sulla bellezza delle sue opere d’arte o sulla musica, come in Italia invece dovrebbe essere. Si indottrinano persone che interiorizzano che l’unica cosa che conta sono i soldi, attraverso l’insegnamento della scuola, della televisione e della pubblicità. Bisogna apparire, bisogna essere di successo. Tra i vari termini orrendi di cui si alimentano tutte le ultime riforme scolastiche, c’è quella del “successo formativo”, che in qualche modo gonfia di significato il vuoto di una conoscenza spesso piuttosto mediocre. È chiaro che è tutta una rincorsa a costruire una società, un sistema di persone che ha in cima alla sua scala di valori questo apparire, questo possedere, questo avere più soldi possibile, ma infelice.La cosa che noto di più è questa diffusissima infelicità che si dirama dai ragazzi di quest’età, fino poi agli individui di età superiore. Una società in cui ogni individuo non è messo nelle condizioni di essere ciò che è, ovvero di realizzare sé stesso, costituirà una società di infelici. Ce l’ha insegnato Platone ne “La Repubblica” e di fatto le cose stanno effettivamente andando in questa direzione. Quale valore ha il dubbio e come lo si coltiva, in un mondo che emargina gli anticonformisti? Il dubbio ha un valore totale. Io dico sempre ai miei ragazzi: se c’è un’unica cosa che deve restarvi nell’animo, alla fine dei cinque anni di liceo, quella cosa è il dubbio. La cultura è soltanto quello. Non è il sapere, ma è il dubbio di non sapere. E d’altra parte, socraticamente, la questione è sempre la stessa: è il sapere di non sapere che fa la differenza tra chi è (forse) sapiente, e chi no. Sapiente nel senso che sa che non sa, e che quindi deve continuare a cercare. Quando non è scetticismo fine a se stesso, il dubbio scatena voglia di capire, voglia di interessarsi, di cercare. E dunque scatena un impegno personale, individuale, mette in gioco aspirazioni che portano poi a un percorso individuale di crescita continua. Finché c’è dubbio c’è la crescita, quando si arriva alla certezza si smette di crescere.È una scuola che invece svende il sapere a un livello estremamente banale, marginale. Una scuola che sforna esperti. Seminare, senza curarsi del raccolto? Uno dei più grandi filosofi dell’ottocento, Kierkegaard, ha insistito moltissimo su questo aspetto. E dopo lui altri, compreso in Italia Augusto Del Noce. I problemi insiti in una cultura per obiettivi è stato analizzato benissimo dai grandi filosofi come un pericolo enorme, perché se un obiettivo venga raggiunto o meno è qualcosa che si valuta dal di fuori, nel momento in cui viene esternato. Questa cultura per obiettivi di fatto vanifica e banalizza il lavoro, che spesso non è valutabile così facilmente da un punto di vista esteriore. Mi ricordo quando ho cominciato a insegnare, all’inizio degli anni 90: ci si lamentava molto della riforma di Gentile. Di fatto la scuola reggeva ancora su quelle che erano le linee direttive della scuola gentiliana della metà degli anni Venti. E si diceva: è una scuola fascista o comunque nata in quell’ambito. Ma c’erano dei concetti, come quello della vocazione all’insegnamento, come una missione con un ruolo che non può essere in nessun modo insegnato, perché l’insegnante quel ruolo ce l’ha dentro. Insegnante è colui che sa insegnare perché dentro di sé è insegnante. C’era una fiducia nei nostri insegnanti, che poi di fatto è la fiducia che forse avevamo gli uni nei confronti degli altri.Una società invece basata su questo clima del sospetto – questo mettere tutti contro tutti, questo smantellamento di ogni valore – ha portato a tutta una serie di privazioni e di abbassamenti del valore degli insegnanti, così come di moltissimi altri profili. L’insegnante adesso è un impiegato. Non ci sono più i presidi, ci sono i “dirigenti”, in una logica assolutamente aziendale. L’insegnante non può essere l’impiegato, quello che compila i moduli, quello che progetta per rendere la scuola sempre più apprezzabile dall’esterno. Deve essere un insegnante nel senso di “lasciare un segno”. Invece gli insegnanti oggi non lasciano nulla: lasciano il vuoto, quel vuoto che ci portiamo dietro tutti e che abita nella nostra società. Io credo che questa scuola non sia certo ormai il luogo ideale per l’apprendimento. Quella che può insegnare è una scuola invece fatta di insegnanti veri, persone che sanno lasciare un segno, che coinvolgono, che danno un’impronta importante ai ragazzi. Sì, la Rete è importante: io insegno filosofia e storia, non termino mai una lezione di storia che non finisca con questa esortazione: «Andate a informarvi». E informarsi vuol dire andare a cercare.C’è il problema della verità: come faccio a sapere chi ha la verità? Questo è un problema, ma forse la verità non è tanto la conseguenza di una certa testimonianza: forse la verità è il dialogo tra le varie testimonianze. Cioè forse la verità è il confronto: forse la verità sta nel problematizzare non nel risolvere. E si ritorna a quello che secondo me è l’aspetto fondamentale: la cultura sta nella domanda, non nella risposta. Io esorto gli studenti a pretendere una scuola che li coinvolga, che li interessi, che li appassioni. Avete diritto ad una scuola che vi faccia saltare sulle sedie, che vi prenda. Una scuola nella quale il tempo passi alla stessa velocità con cui passa quando siete col fidanzato, quando siete a giocare a calcio, quando state suonando la chitarra con il vostro gruppo. Deve essere una scuola interessante nel senso proprio di interessarvi, di farvi entrare all’interno del meccanismo, di farvi partecipare. Voi vi meritate una scuola così, una scuola che in qualche modo vi chiami in causa, che vi faccia sentire vivi e che riesca a produrre in voi la felicità, cioè accordare per ognuno di voi la propria strada e la propria capacità di realizzare se stessi.(Pietro Ratto, dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora nella video-intervista “Noi insegnanti produciamo servi”, pubblicata su “ByoBlu” il 15 dicembre 2017. Scrittore, filosofo e saggista, il professor Ratto ha appena pubblicato il romanzo “La scuola nel bosco di Gelsi”).I ragazzi sono spinti ad accettare tutto da una scuola che educa alla servitù, al non lamentarsi, alla sottomissione. A scuola si esercita una forma di terrorismo già dai primi anni delle secondarie superiori. Si ripete cioè: occhio, guarda che siamo in crisi – cosa che è sempre molto utile da ribadire – e quindi sarà difficilissimo trovare lavoro. Dunque prendi qualsiasi cosa ti capiti, non alzare la testa, non farti valere, sottomettiti alle logiche neoliberiste e a tutto quello che ne consegue. Quindi nessuno si lamenta più. Il fatto stesso che nel mio liceo qualcuno abbia osato lamentarsi del freddo, visto che si viveva in gran parte delle aule e dei corridoi a 14 gradi per sei ore di seguito, ha suscitato un grandissimo scalpore. Quasi tutti gli insegnanti si sono nascosti dietro a un dito. Da un lato speravano che i ragazzi si lamentassero perché loro stessi avevano freddo. Dall’altro, però li punivano se lo facevano, “perché io devo interrogare, perché io devo spiegare”. Insomma, il sistema che si sta creando è un sistema che insegna molto bene a sottomettersi. Faccio un esempio per tutti: è un classico trovare il ragazzo che ti dice: «Il tema è andato bene perché ho detto quello che voleva la professoressa». Questo è il modo grazie al quale, con una gravissima responsabilità da parte nostra, noi produciamo servi.
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Bagnai: cretini di sinistra, l’immigrazionismo è colonialismo
«Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui, dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. E un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno». Parola di Alberto Bagnai, che sul blog “Goofynonics” rilancia un intervento già abbozzato anni fa, destinato ai suoi studenti della Sapienza, corso di laurea in “economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo”. La tesi: “L’immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo”. «Per motivi scellerati – premette l’economista – abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se e senza ma». I nostri aiuti allo sviluppo? Cronicamente insufficienti: «Lo sono sempre stati, proprio perché l’egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi – e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica – qualsiasi spesa – sotto la fulgida egida del “non ci sono risorse”». E oggi il problema si è aggravato: parte delle risorse che potremmo dedicare all’emancipazione di quei popoli «viene dedicata al loro traghettamento», via Lampedusa. «Le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare», ma «la scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica».Una scelta, avverte Bagnai, nella quale «la sovranità popolare non è stata coinvolta, venendo completamente sovrastata da quella di organizzazioni ormai chiaramente individuabili come braccio operativo di un progetto esogeno al nostro paese». Naturalmente, aggiunge l’economista, «gli iussolisti scemi erano praticamente tutti europeisti». Eppure, aggiunge, «non ce n’era nemmeno uno che notasse come da questo dibattito l’Europa fosse totalmente assente». Di fatto, «per lo iussolista scemo l’Italia è merda», e comunque è “normale” che l’Europa sia inesistente, nella gestione del problema migranti. «C’è questa strana caratteristica dell’immigrazionismo, che più di essere un’ideologia è una religione (con tanto di pensiero magico)», scrive Bagnai. «In quanto religione, ha una sua terra promessa, che però è una e una sola: l’Italia – che fra l’altro è esattamente quella dove molti di quelli che arrivano non vorrebero restare». E chi se ne importa: «Ogni religione vuole sacrifici, e le vittime dell’immigrazionismo sono, naturalmente: gli immigrati». Del resto, «un processo così complesso non dovrebbe essere affidato alla carità pelosa di organizzazioni arroganti e non trasparenti, che tanta parte hanno avuto nel generare il traffico (e quindi le vittime)».Poi c’è un problema di fondo, strutturale: «L’immigrazionismo, con buona pace dei tanti razzisti che pure circolano e che non hanno la mia simpatia, altro non è, da parte delle ex potenze coloniali, che una fase ulteriore di appropriazione delle risorse delle ex colonie». Sostiene Bagnai: «Dopo averle depredate delle loro risorse naturali, le deprediamo delle loro risorse umane». C’è chi disprezza la qualità umana dei migranti? «Se pure quelle che vediamo per strada fossero solo braccia rubate all’agricoltura», secondo Bagnai «sarebbero, appunto, braccia rubate all’agricoltura di paesi nei quali l’autosufficienza alimentare non è un dato banale». La forza lavoro è una risorsa, è un fattore produttivo. «E la libera mobilità dei fattori produttivi è benefica e equilibrante solo nei modelli neoclassici, cioè nell’ossatura ideologica del liberismo oltranzista». Qui in Europa, abbiamo visto che «la mobilità del lavoro è particolarmente destabilizzante, perché tende ad amplificare il divario fra paese di provenienza e di destinazione». Nel modello neoclassico, aggiunge Bagnai, «ogni bracciante che parte dal Niger contribuisce a far aumentare il salario di quelli che restano. Nel mondo reale, contribuisce a impoverire il paese».Questa situazione, continua Bagnai, è la stessa che «i vescovi africani vedono e stigmatizzano, perché vale, su scala minore, quello che vale per noi». E cioè: «Anni e risorse spesi per istruire persone che poi vanno altrove, creando un danno al paese di origine. Ma questo, agli immigrazionisti non interessa». Cosa gliene importa, davvero, della vita in Burkina Faso o in Sierra Leone? «Ben contenti e soddisfatti di essere nati dalla parte giusta del mondo», in un preciso spettro ideologico, «a loro interessa solo che qualcuno venga qui a “pakarglilapensione”, perché così gli hanno detto che succederà i giornali dei padroni, cui loro, da buoni imbecilli di sinistra, credono, perché Gramsci per loro se va bene è un liceo, se va male una strada, e nella maggior parte dei casi non è niente». Infierisce, Bagnai: «Questa è la feccia con la quale dovremo ricostruire questo cazzo di paese, non so se è chiaro: una torma di imbecilli sottoproletarizzati da decenni di propaganda a reti unificate, pronti a sollevarsi (sotto l’egida di ogni e qualsiasi organizzazione imperialistica i loro caporioni gli propongano in base alle loro logiche elettoralistiche) per difendere progetti la cui matrice ultraliberista (quindi fallimentare e fascista) dovrebbe essere immediatamente leggibile da chiunque avesse delle minime basi di storia del pensiero, ma anche di mero buon senso».«Il nostro paese è stato distrutto da quelli che ci propongono come panacea i lavoratori altrui, dopo averci proposto come panacea la moneta altrui. E un paese distrutto, semplicemente, non ha risorse per aiutare nessuno». Parola di Alberto Bagnai, che sul blog “Goofynonics” rilancia un intervento già abbozzato anni fa, destinato ai suoi studenti della Sapienza, corso di laurea in “economia della cooperazione internazionale e dello sviluppo”. La tesi: “L’immigrazionismo è la fase suprema del colonialismo”. «Per motivi scellerati – premette l’economista – abbiamo mandato al potere gli immigrazionisti: quelli che, ideologicamente, vedono nella libera immigrazione in Italia la soluzione dei problemi del mondo, senza se e senza ma». I nostri aiuti allo sviluppo? Cronicamente insufficienti: «Lo sono sempre stati, proprio perché l’egemonia culturale e politica è stata esercitata dai neoliberisti (cioè dagli idoli degli iussolisti scemi – e anche di quelli furbi), i quali, come sappiamo, vogliono reprimere la spesa pubblica – qualsiasi spesa – sotto la fulgida egida del “non ci sono risorse”». E oggi il problema si è aggravato: parte delle risorse che potremmo dedicare all’emancipazione di quei popoli «viene dedicata al loro traghettamento», via Lampedusa. «Le risorse ci sarebbero sia per traghettare, che per emancipare», ma «la scelta di fare solo una di queste cose è una scelta politica».