Archivio del Tag ‘crisi’
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Banche pubbliche: rivoluzione, nella culla del neoliberismo
Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.Un movimento di disinvestimento in crescita si concentra ora sulla cessione di programmi governativi, come i fondi pensione dei dipendenti pubblici ad esempio, togliendoli alle grandi banche. La domanda quindi è dove metterli. Gli attivisti della giustizia economica affermano che la risposta è il settore bancario pubblico. Le banche pubbliche sono servizi pubblici, di proprietà delle persone con la missione di servire il bene pubblico e i valori della comunità. Secondo i sostenitori, le banche pubbliche possono offrire prestiti a basso tasso d’interesse per studenti e agenzie pubbliche e capitali per piccole imprese e organizzazioni no profit. In tal caso, il sistema bancario pubblico consentirebbe alle città, alle contee o agli Stati di ottenere di più per i loro fondi limitati e di gestire efficacemente il proprio denaro per fornire più servizi ai propri cittadini. Vale a dire alloggi a prezzi accessibili, servizi per i senzatetto, istruzione, energie rinnovabili, strutture sanitarie comunitarie, trasporto pubblico.Il 2019 è stato anche il centesimo anniversario della prima banca statale di proprietà pubblica americana, la Bank of North Dakota (Bnd), un’eredità vivente che fa prestiti al di sotto del mercato per le comunità locali e le imprese, generando allo stesso tempo un profitto per lo Stato. La Bank of North Dakota è stata fondata in risposta a una rivolta degli agricoltori contro le banche private che stavano ingiustamente pignorando le loro fattorie. Da allora la Bnd si è evoluta in una banca da 7,4 miliardi di dollari, che risulta essere ancora più redditizia rispetto a Jp Morgan Chase e Goldman Sachs, sebbene il suo mandato non sia effettivamente quello di generare profitti ma di servire le comunità locali. Insieme a centinaia di banche pubbliche in tutto il mondo, Bnd ha dimostrato cosa si può fare tagliando azionisti e intermediari privati e mobilitando le entrate pubbliche per servire il pubblico. Con la leadership di Bnd, il Nord Dakota è stato l’unico stato negli Stati Uniti a sfuggire alla crisi del credito del 2008, avendo anche il più basso tasso di disoccupazione e tasso di pignoramento nel paese. La Bank of Nord Dakota si pone come modello di successo.La rivoluzione del settore bancario pubblico potrebbe andare oltre, esplorando la rinascita del sistema bancario postale, un servizio realizzato in passato dagli uffici postali statunitensi. Le banche che inseguono gli utili tendono ad abbandonare i quartieri rurali e a basso reddito, lasciando una persona su cinque senza servizi bancari o “underbanked”. Questo, spesso li costringe a fare affidamento su servizi finanziari predatori come banchi dei pegni, servizi di cambio assegno e prestatori di giorno di paga. Di conseguenza, le famiglie senza accesso ai servizi bancari spendono quasi il 10% delle loro entrate solo per accedere al proprio denaro. L’ufficio postale locale potrebbe facilmente cambiare la situazione. Mentre le città e gli Stati iniziano a svilupparsi e ad investire nei propri sistemi bancari pubblici, siamo in un momento storico che potrebbe portare a un futuro più prospero per l’americano medio. La copertura mediatica di questo argomento è stata limitata all’annuncio di notizie isolate, invece di raccontare questa rivoluzione in atto nel settore bancario locale e le forze che la guidano.(Mattew Ascano, “La rivoluzione delle banche pubbliche, nella culla del neoliberismo”, da “Projectcensored.org”; articolo presentato da Riccardo Donat-Cattin su “Come Don Chisciotte”. Ascano è un ricercatore della San Francisco University).Il 2019 ha segnato un punto di svolta in un crescente movimento di banche pubbliche che ha preso slancio negli Stati Uniti. Tra le conquiste del movimento troviamo il passaggio del Public Banking Act (Ab-857) in California, l’istituzione di una banca pubblica statale nel New Jersey e l’apertura della Banca territoriale delle Samoa americane. Dopo che i legislatori della California hanno emanato il Public Banking Act dello Stato, San Francisco e Los Angeles hanno annunciato piani per l’istituzione di banche pubbliche. E ora ci sono più di 25 leggi per l’apertura di banche pubbliche in esame in altri stati. Perché il settore bancario pubblico? Perché ora? Dalla crisi bancaria del 2008, l’opinione pubblica ha espresso preoccupazioni per le banche commerciali e la natura del sistema bancario. Ogni anno miliardi di dollari di fondi pubblici vengono depositati in banche private (Wall Street). Non è il governo che conserva i nostri soldi, sono le banche private. In genere, questi fondi pubblici non sono investiti in comunità o Stati locali. Questi fondi finiscono in investimenti ad alto rendimento come l’industria dei combustibili fossili, condutture, prigioni private.
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Italiano in Cina: censura e panico, il virus ha spento il boom
Il coronavirus sta destabilizzando il mondo intero. Ha sconvolto le vite di chi in Cina vive e lavora e l’impatto sull’economia è un’incognita mondiale. Io vivo a Shanghai, abito in Cina da quasi vent’anni. Ora sono in quarantena volontaria, dopo essere tornato con un volo Shanghai-Mosca-Monaco in Europa e con un bus da Monaco in Italia. Cosa si provava ad essere in Cina durante quest’emergenza coronavirus? Le sensazione era di stranezza. Una megalopoli vuota. Lavoravo da casa, via chat. Ero costretto al telelavoro dal 25 gennaio, cioè da quando la situazione è precipitata. L’azienda per cui lavoro mi aveva anche prenotato il volo per rientrare in Italia il 22 febbraio, ma ho deciso di anticipare. Lo scenario è spettrale. Uscivo solamente per comprare da mangiare, con la mascherina. Città deserta. Cosa si dice, in Cina? I dati sull’emergenza coronavirus sono considerati credibili? In realtà no. Molti colleghi e amici cinesi ai dati non hanno mai creduto più di tanto. Certo, parlare apertamente è complicato. I video che circolano? Ad oggi non sappiamo con certezza quali sono falsi e quali veri. In Cina sono molti gli account chiusi e il controllo è capillare.Sul coronavirus circolano tre ipotesi. La prima è che sia stato creato per destabilizzare Xi dall’interno del partito, diviso tra conservatori e riformisti. A molti non è chiaro cosa sia successo in Cina dal 2014. La seconda ipotesi è che il virus sia stato creato dagli Usa per destabilizzare il paese. In terza battuta si pensa che sia una fatalità legata appunto al mercato del pesce. E la censura gioca un ruolo fondamentale. Dal 26 gennaio è in vigore una legge che punisce con il carcere chiunque divulghi notizie “non ufficiali”, cioè non governative. Inoltre i cittadini cinesi sono molto più controllati, per così dire, elettronicamente. Nel senso che ormai tutte le transazioni, dal supermercato al ristorante, al cinema, avvengono via wechat. Poi c’è il sistema del credito sociale che sta venendo implementato. Da quello che ho capito è un credito in punti che sale o diminuisce a seconda di quanto la persona è affidabile nel pagare i creditori, ma si estende a quello che uno fa, dice online, addirittura compra: sono anni che il servizio dei corrieri in Cina viene votato dai clienti e ci sono multe nel caso di più di un reclamo, e immagino anche provvedimenti quando il punteggio scende.Ricordate quella puntata di “Black Mirror” in cui la reputazione online era fondamentale nel quotidiano? In Cina la direzione è questa, e proprio quest’anno il sistema verrà esteso a tutte le città. Un punteggio basso può cambiare la tua vita: niente crediti, niente treni superveloci, niente vacanza all’estero, e via dicendo. Il “credito statale” si estenderà a tutti gli aspetti della vita personale. Ovviamente sono esclusi i cittadini stranieri, anche se è stata aggiornata la politica sui visti e anche gli stranieri vengono catalogati in base a livello di studio, ruolo lavorativo e vari altri fattori in A, B, C, dove “A” è il valore più alto. I cittadini cinesi, però, sono catalogati anche in base a cosa comprano, a cosa guardano on line – il porno è illegale e vengono date multe salate – fino al commento sui social. Il mio viaggio di ritorno? In realtà avevo soprattutto paura di prendermi il virus in aeroporto o sull’aereo (non dai cinesi, che indossavano tutti le mascherine, ma da alcuni stranieri che sottovalutano il problema fidandosi dei dati estremamente bassi snocciolati dal governo). Sono riuscito ad arrivare tramite uno scalo a Mosca. Controlli? In Cina tre volte prima di salire in aereo. A Mosca ancora. Il personale dell’aereo spesso non aveva la mascherina, così anche molti stranieri; i cinesi invece la indossavano tutti. A Monaco praticamente nulla, ovviamente neanche in bus, con il quale sono tornato in Italia.Ora sono a casa. Domenica non mi sono sentito bene e il giorno dopo ho avvisato i sanitari. Mi hanno ricoverato, prelevandomi con le apposite tute e fatto tutti i test (tre, e tutti negativi). Poi sono tornato a casa in un paio di giorni, e ora devo rimanere 14 giorni in quarantena. Lavoro da casa. Tornare in Cina? Credo e mi auguro che tutto questo si concluda a giugno. Io ho in progetto di tornare, magari a settembre, ovviamente se la situazione non degenera. Tutto tornerà come prima? A mio parere no. Il colpo per Pechino è stato molto duro. Molti torneranno, tanti altri non credo. Inoltre molte aziende non riapriranno. Del resto in Cina si respirava un’aria diversa già dal 2014, una tensione che lasciava ipotizzare che il sogno cinese stesse finendo. In parte dipende da come si concluderà questa storia e se i dati erano veritieri. Certo il sistema deve cambiare, ci sono parecchi problemi irrisolti.(Dichiarazioni rilasciate da un italiano rientrato dalla Cina a Marco Pugliese, per l’intervista “Vi racconto la censura di Pechino” pubblicata dal “Sussidiario” il 18 febbraio 2020. L’intervistato è protetto dall’anonimato, per ovvie ragioni).Il coronavirus sta destabilizzando il mondo intero. Ha sconvolto le vite di chi in Cina vive e lavora e l’impatto sull’economia è un’incognita mondiale. Io vivo a Shanghai, abito in Cina da quasi vent’anni. Ora sono in quarantena volontaria, dopo essere tornato con un volo Shanghai-Mosca-Monaco in Europa e con un bus da Monaco in Italia. Cosa si provava ad essere in Cina durante quest’emergenza coronavirus? Le sensazione era di stranezza. Una megalopoli vuota. Lavoravo da casa, via chat. Ero costretto al telelavoro dal 25 gennaio, cioè da quando la situazione è precipitata. L’azienda per cui lavoro mi aveva anche prenotato il volo per rientrare in Italia il 22 febbraio, ma ho deciso di anticipare. Lo scenario è spettrale. Uscivo solamente per comprare da mangiare, con la mascherina. Città deserta. Cosa si dice, in Cina? I dati sull’emergenza coronavirus sono considerati credibili? In realtà no. Molti colleghi e amici cinesi ai dati non hanno mai creduto più di tanto. Certo, parlare apertamente è complicato. I video che circolano? Ad oggi non sappiamo con certezza quali sono falsi e quali veri. In Cina sono molti gli account chiusi e il controllo è capillare.
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Bolzano regala 15.000 euro a chi apre negozi in montagna
Fino a 15.000 euro in regalo a chi apre un negozio in un paesino, assicurando generi di prima necessità. Succede in Alto Adige, dove la giunta provinciale di Bolzano ha stanziato fondi per un piano speciale di investimenti. Obiettivi: combattere, in modo concreto, lo spopolamento della montagna. Altro che reddito di cittadinanza: fioccano contributi per chi sceglie di tenere vive le Alpi, garantendo alle famiglie residenti i principali servizi di prossimità. E senza scordare i negozi che hanno finora resistito, nelle valli: un cospicuo assegno (da 9 a 11.000 euro) è l’incoraggiamento destinato a chi, in questi anni, ha tenuto duro, mantenendo la presenza di un punto vendita a portata di mano, raggiungibile a piedi. «L’obiettivo è quello di favorire il commercio interno ai paesini, sia tutelando i negozi già presenti sia incentivando l’apertura di nuovi esercizi», scrive Eleonora Angeloni su “GreenMe”. «Il commercio di vicinato rappresenta un vantaggio non solo per i commercianti locali, ma anche per i residenti, che non si trovano costretti a dover percorrere lunghe distanze per avere accesso ai prodotti necessari nella quotidianità».Stando al provvedimento, Bolzano potrà dunque assegnare contributi fino a 15.000 euro per l’apertura di negozietti nelle località che ne sono prive. Per “esercizi di vicinato” si intendono negozi che lavorano in paesi con almeno 150 abitanti e che vendono generi alimentari di prima necessità al dettaglio. «Le attività che possono usufruire di questo contributo devono svolgere uno dei seguenti servizi: vendita di prodotti locali, consegna a domicilio, vendita di giornali o servizio postale». Tra gli altri requisiti: piccolo giro d’affari, ridotta superficie di vendita, massimo tre addetti a tempo pieno. E poi gli orari: il negozio deve restare aperto per sei giorni la settimana, per almeno tre ore. In pratica: un forte incentivo a tenere viva l’economia locale, evitando – oltretutto – l’abbandono del territorio alpino (che, com’è noto, genera costi esponenziali in termini di sicurezza idrogeologica). Calcolando che il territorio dell’intera Penisola è in gran parte montano e collinare, con migliaia di borghi disseminati lungo alture boscose, va da sé che una simile misura socio-economica – se adeguatamente supportata, a livello centrale – avrebbe la capacità di rivitalizzare le aree periferiche di intere Regioni, dal Piemonte alla Sicilia.Ovviamente, i piccoli numeri e il particolare regime amministrativo dell’Alto Adige (statuto speciale) rendono possibile questo “miracolo” in miniatura, destinato anche a supportare indirettamente l’economia turistica. Se a Bolzano si fa di necessità virtù, di fronte all’esodo che sta svuotando le valli e facendo emigrare i consumatori verso gli ipermercati, dietro al progetto altoatesino si può leggere anche una visione “svizzera” del futuro, legata essenzialmente alle risorse del territorio, alle filiere corte, ai prodotti a chilometri zero. Una prospettiva “glocal”, che – senza disconnettersi dalla grande rete planetaria delle informazioni e delle merci – punta sul territorio per alimentare innanzitutto la domanda interna, che (a livello macroeconomico) in Italia è entrata in crisi in decenni di austerity progressiva, fino a crollare poi con il governo Monti. Può sembrare paradossale, la mini-rivoluzione di Bolzano, in un’Ue che sovrasta i governi nazionali imponendo scelte dall’alto. Nel terzo millennio cinese (e tedesco) del super-export, il lavoro si precarizza o sparisce, delocalizzato. E dopo aver eliminato la rappresentanza politica nelle Province, ora si vorrebbe tagliare anche i parlamentari, penalizzando ancora una volta le periferie. Bolzano risponde alla sua maniera, come può, e in modo keynesiano: soldi pubblici, per sostenere l’economia reale (privata) là dove è essenziale che non muoia. Una piccola, grande lezione.Fino a 15.000 euro in regalo a chi apre un negozio in un paesino, assicurando generi di prima necessità. Succede in Alto Adige, dove la giunta provinciale di Bolzano ha stanziato fondi per un piano speciale di investimenti. Obiettivo: combattere, in modo concreto, lo spopolamento della montagna. Altro che reddito di cittadinanza: fioccano contributi per chi sceglie di tenere vive le Alpi, garantendo alle famiglie residenti i principali servizi di prossimità. E senza scordare i negozi che hanno finora resistito, nelle valli: un cospicuo assegno (da 9 a 11.000 euro) è l’incoraggiamento destinato a chi, in questi anni, ha tenuto duro, mantenendo la presenza di un punto vendita a portata di mano, raggiungibile a piedi. «L’obiettivo è quello di favorire il commercio interno ai paesini, sia tutelando i negozi già presenti sia incentivando l’apertura di nuovi esercizi», scrive Eleonora Angeloni su “GreenMe“. «Il commercio di vicinato rappresenta un vantaggio non solo per i commercianti locali, ma anche per i residenti, che non si trovano costretti a dover percorrere lunghe distanze per avere accesso ai prodotti necessari nella quotidianità».
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L’influenza stagionale uccide 1.000 volte più del coronavirus
Se il coronavirus si rivela grave, poiché al momento non sembra esserlo, molte economie potrebbero essere influenzate negativamente. La Cina è la fonte di molte parti fornite ai produttori di altri paesi e la Cina è la fonte dei prodotti finiti di molte aziende statunitensi come Apple. Se non è possibile effettuare spedizioni, le vendite e la produzione al di fuori della Cina ne risentono. Senza entrate, i dipendenti non possono essere pagati. A differenza della crisi finanziaria del 2008, si tratterebbe di una crisi di disoccupazione e di un fallimento delle grandi società manifatturiere e commerciali. Questo è il pericolo a cui il globalismo ci rende vulnerabili. Se le società statunitensi producessero negli Stati Uniti i prodotti che commercializzano negli Stati Uniti e nel mondo, un’epidemia in Cina influenzerebbe solo le loro vendite cinesi, non minaccerebbe i ricavi delle società. Le persone sconsiderate che hanno costruito il “globalismo” hanno trascurato che l’interdipendenza è pericolosa e può avere enormi conseguenze indesiderate. Con o senza un’epidemia, le forniture possono essere tagliate per una serie di motivi. Ad esempio, scioperi, instabilità politica, catastrofi naturali, sanzioni e altre ostilità come guerre e così via.Chiaramente, questi pericoli per il sistema non sono giustificati dal minor costo del lavoro e dalle conseguenti plusvalenze per gli azionisti e bonus per i dirigenti aziendali. Solo l’uno per cento beneficia del globalismo. Il globalismo è stato costruito da persone motivate dall’avidità a breve termine. Nessuna delle promesse del globalismo è stata mantenuta: il globalismo è un errore enorme. Tuttavia, quasi ovunque i leader politici e gli economisti sono protettivi nei confronti del globalismo. Questo per quanto riguarda l’intelligenza umana. A questo punto, è difficile comprendere l’isteria sul coronavirus e le previsioni della pandemia globale. In Cina ci sono circa 24.000 infezioni e 500 morti in una popolazione di 1,3 miliardi di persone. Questa è una malattia insignificante. Rispetto alla normale influenza stagionale che infetta milioni di persone in tutto il mondo e uccide 600.000, il coronavirus finora non equivale a nulla. Le infezioni al di fuori della Cina sono minuscole e sembrano essere limitate ai cinesi. È difficile sapere con certezza, a causa della riluttanza a identificare le persone per razza. Eppure la Cina ha vaste aree in quarantena e i viaggi da e verso il paese sono limitati.Nulla di simile a queste precauzioni è preso contro l’influenza stagionale. Finora questa stagione influenzale nei soli Stati Uniti 19 milioni di persone sono state ammalate, 180.000 ricoverate in ospedale e 10.000 sono morte. L’ultimo rapporto è che 16 persone negli Stati Uniti (forse tutti cinesi) hanno avuto il coronavirus, e nessuno è morto. Forse il coronavirus si sta appena scaldando e molto peggio deve arrivare. In tal caso, il Pil mondiale subirà un colpo. Le quarantene impediscono il lavoro. I prodotti e le parti finiti non possono essere realizzati e spediti. Le vendite non possono avvenire senza prodotti da vendere. Senza entrate le aziende non possono pagare dipendenti e altre spese. I redditi diminuiscono in tutto il mondo. Le aziende falliscono. Se scoppia una micidiale pandemia di coronavirus o di qualosa’altro e c’è una depressione mondiale, dovremmo essere molto chiari nella nostra mente che il globalismo ne sarà stata la causa. I paesi i cui governi sono così sconsiderati o corrotti da rendere le loro popolazioni vulnerabili a eventi dirompenti all’estero sono instabili dal punto di vista medico, economico, sociale e politico. La conseguenza del globalismo è l’instabilità mondiale.(Paul Craig Roberts, “La conseguenza del globalismo è l’instabilità mondiale”, dal blog di Craig Roberts del 5 febbraio 2020).Se il coronavirus si rivela grave, poiché al momento non sembra esserlo, molte economie potrebbero essere influenzate negativamente. La Cina è la fonte di molte parti fornite ai produttori di altri paesi e la Cina è la fonte dei prodotti finiti di molte aziende statunitensi come Apple. Se non è possibile effettuare spedizioni, le vendite e la produzione al di fuori della Cina ne risentono. Senza entrate, i dipendenti non possono essere pagati. A differenza della crisi finanziaria del 2008, si tratterebbe di una crisi di disoccupazione e di un fallimento delle grandi società manifatturiere e commerciali. Questo è il pericolo a cui il globalismo ci rende vulnerabili. Se le società statunitensi producessero negli Stati Uniti i prodotti che commercializzano negli Stati Uniti e nel mondo, un’epidemia in Cina influenzerebbe solo le loro vendite cinesi, non minaccerebbe i ricavi delle società. Le persone sconsiderate che hanno costruito il “globalismo” hanno trascurato che l’interdipendenza è pericolosa e può avere enormi conseguenze indesiderate. Con o senza un’epidemia, le forniture possono essere tagliate per una serie di motivi. Ad esempio, scioperi, instabilità politica, catastrofi naturali, sanzioni e altre ostilità come guerre e così via.
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Bifarini: l’Ue “guarisce” solo con un New Deal rooseveltiano
Nel mio libro “Inganni economici” parlo di un fenomeno preciso, la “divinizzazione dell’economia”, in base al quale i postulati economici diventano dogmi, e le previsioni profezie. L’inganno principale è credere che l’economia sia una scienza esatta come la matematica. Oggi, un modello economico (valido, forse, in alcune circostanze) viene fatto passare per una legge universale. E’ la logica del “there is no alternative”, non c’è alternativa: il principio con il quale ci è stata propugnata l’austerity. Da questo concetto discendono tanti luoghi comuni. Come la convinzione che la disuguaglianza sociale alla lunga possa portare alla crescita e che le riforme strutturali siano la panacea di tutti i mali, quando spesso si traducono in riduzioni dei salari e dei diritti dei lavoratori e possono addirittura aumentare la disoccupazione nel breve periodo, in una situazione di crisi della domanda quale quella stiamo vivendo oggi. A Davos la Merkel ha detto che la Grecia sarebbe tornata a crescere? Ci vuole un grande coraggio per parlare di successo sulla Grecia. Anzi, è una frase che nasconde una profonda mancanza di sensibilità per il lato umano del dramma greco.E non parlo solo di disoccupazione giovanile inaccettabile, del Pil caduto del 25%, del debito pubblico che dopo la cura della Troika era arrivato al 180%. A causa dei tagli nel settore sanitario in Grecia si è assistito addirittura ad aumento di casi di Hiv, e al ritorno della malaria. L’errore che si fa quando si disumanizza l’economia è non pensare al paese reale: per valutare lo stato di salute di un paese occorre guardare all’occupazione, alle sue imprese, agli investimenti interni, al livello di equità e a quanto la crescita non sia legata a fattori endogeni e contingenti. E sotto questi punti di vista la situazione non è ancora così rosea come si vuol far credere. Intanto, la locomotiva tedesca rallenta vistosamente. La Germania è uno dei paesi più in crisi in questo periodo: la crescita è timidissima, ha sfiorato la recessione tecnica. E’ l’emblema di un modello fallimentare, quello neomercantilista, tutto basato sull’export. Non è solo una crisi industriale, ma anche sociale: è vero che hanno un basso tasso di disoccupazione, ma scontano un alto livello di “working poors”, lavoratori precari e con salari molto bassi. Troppo rigore e pochi investimenti. Per questo la Germania potrebbe implodere su se stessa. Una fragilità tanto più marcata, nel momento in cui Donald Trump, siglato l’accordo con la Cina, adopera lo strumento dei dazi come arma di ricatto in chiave antieuropea.Anche la salute bancaria tedesca non fa ben sperare. Deutsche Bank è uno degli istituti che da tempo ha un problema di sofferenze bancarie e ha subito già dei declassamenti da parte delle agenzie di rating. Pare abbia derivati per oltre 14 volte il Pil della Germania, di cui un alto quantitativo ritenuti tossici. Se la situazione dovesse precipitare, il contagio potrebbe diffondersi, a catena, sulla stabilità dei mercati europei. Quale futuro prevedo per l’Eurozona? Sui tempi non sono ottimista, ma per forza di cose dovrà esserci un cambiamento radicale. Ci sono dei segnali di apertura, anche se restano fazioni di resistenza interne, dovuti agli adoratori dell’austerity, che come cultori di una religione continuano a spingere per un modello economico sbagliato. Il peccato originale dell’Unione Europea? Il problema fondamentale è che la moneta unica è stata anteposta al percorso di integrazione politica e fiscale, che di fatto non c’è ancora. È come costruire un palazzo senza partire dalle fondamenta. Questo rappresenta un handicap di partenza pesantissimo. La crisi del 2008 è nata negli Usa, ma dagli Usa è stata superata, a differenza dell’Europa, che è rimasta ingabbiata nelle sue regole. Dunque le alternative sono due: o una rottura totale, che è alquanto improbabile, oppure continuare il processo di integrazione.Ultimamente c’è chi pensa che la via ambientale possa essere una valida via d’uscita. Larry Fink, il capo del più grande fondo d’investimento mondiale, BlackRock, sostiene che il “climate change” cambierà per sempre il volto della finanza. L’ambientalismo potrebbe essere la leva del cambiamento, l’innesco che ci costringerà a rivedere l’attuale modello economico. Inoltre può essere un incentivo a rivedere tante assurdità di questo sistema, come le delocalizzazioni alimentari, ad esempio, per cui importiamo prodotti che potremmo produrre. Anche il Premio Nobel Joseph Stiglitz, uno dei più accesi critici dell’euro, sostiene che il cosiddetto “green new deal” salverà la moneta unica, perché gli investimenti verdi porranno fine all’austerity. E’ uno scenario credibile? Sicuramente è una visione molto ottimistica. Bisogna vedere se riuscirà a passare la proposta che consente di scorporare dal conteggio del deficit gli investimenti sostenibili, superando il Patto di Stabilità. Ma ad oggi c’è stato un rifiuto soprattutto dai paesi del Nord Europa. Da dove passa il cambiamento?Dobbiamo sperare che qualcuno si svegli: per ritornare a crescere occorre un New Deal di stampo rooseveltiano. Che poi sia verde o di qualsiasi altro colore, poco importa. Anzi, meglio.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a “La Verità” per l’intervista pubblicata il 27 gennaio 2020, ripresa dal blog dell’economista: “Economia, Unione Europea, ambiente: cosa ci aspetta?”).Nel mio libro “Inganni economici” parlo di un fenomeno preciso, la “divinizzazione dell’economia”, in base al quale i postulati economici diventano dogmi, e le previsioni profezie. L’inganno principale è credere che l’economia sia una scienza esatta come la matematica. Oggi, un modello economico (valido, forse, in alcune circostanze) viene fatto passare per una legge universale. E’ la logica del “there is no alternative”, non c’è alternativa: il principio con il quale ci è stata propugnata l’austerity. Da questo concetto discendono tanti luoghi comuni. Come la convinzione che la disuguaglianza sociale alla lunga possa portare alla crescita e che le riforme strutturali siano la panacea di tutti i mali, quando spesso si traducono in riduzioni dei salari e dei diritti dei lavoratori e possono addirittura aumentare la disoccupazione nel breve periodo, in una situazione di crisi della domanda quale quella stiamo vivendo oggi. A Davos la Merkel ha detto che la Grecia sarebbe tornata a crescere? Ci vuole un grande coraggio per parlare di successo sulla Grecia. Anzi, è una frase che nasconde una profonda mancanza di sensibilità per il lato umano del dramma greco.
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Magaldi: massoni in guerra, ma per vincere serve il popolo
La guerra dei poveri, la chiamò Nuto Revelli. E i poveri erano gli alpini in Russia con le suole di cartone, i partigiani in armi dopo l’8 settembre, i montanari che li nutrivano con pane duro e castagne. Un memoriale-capolavoro, quello uscito per Einaudi nel 1962, in cui Revelli racconta in modo magistrale la vertiginosa trasformazione di un intero paese, grazie allo choc collettivo della catastrofe bellica. Metamorfosi che investe lo stesso protagonista: da ufficiale fascista, imbevuto di retorica militarista, a comandante della Resistenza, nelle brigate “Giustizia e Libertà”. Il brusco risveglio, nel 1943, è propiziato dallo sfacelo delle forze armate allo sbando, il 25 luglio. Un anno dopo, quando gli Alleati sbarcheranno in Provenza, una divisione corazzata della Wehrmacht si muoverà dal Cuneese per affrontarli. Nuto Revelli e i suoi riusciranno a rallentare i panzer per dieci giorni, inchiodandoli tra le gole della valle Stura, permettendo così agli americani di conquistare le alture di Nizza. Finita la battaglia, il comandante vorrebbe marciare verso la Liguria. Ma gli uomini glielo impediscono, vogliono svalicare in Francia. E la spuntano: votando, per alzata di mano. Democrazia, in alta montagna, dopo vent’anni di adunate nere: il riscatto della coscienza. Ma non è mai gratis, la libertà. Lo ripete anche oggi chi combatte un’altra guerra, sotterranea ma non troppo, tra le fila della cosiddetta massoneria progressista.
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Citofonare Salvini (o Sardine-Benetton, tanto è lo stesso)
Con la sua sciagurata e ormai celeberrima citofonata al presunto spacciatore tunisino al Pilastro di Bologna, Matteo Salvini ha fatto un regalo immenso a Bonaccini, allo zombie Zingaretti e a “Repubblica”, che vorrebbe “cancellare” il capo della Lega. Un desiderio coltivato anche ai piani alti del Vaticano e soprattutto accarezzato dalla maggioranza degli italiani, i milioni di cittadini che proprio non sopportano l’ostentato bullismo superficiale che contraddistingue l’estetica politica del Capitano, travestito da sceriffo. A pareggiare il conto provvede però prontamente l’altrettanto improvvida citofonata delle Sardine, fotografate con Oliviero Toscani alla corte di Luciano Benetton, patron di Altantia, dall’estate 2018 nell’occhio del ciclone per le presunte responsabilità di Austostrade Spa nell’incuria che ha portato alla tragedia genovese del viadotto Morandi. Evaporati nella vergogna i 5 Stelle insieme alle loro promesse da marinaio, la politica nazionale – dopo l’equivoca sbornia gialloverde – è ripiombata nell’antica palude post-democratica, mentre il paese perde i pezzi e il mondo gli sta letteralmente crollando addosso, a cominciare dalla Libia.
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Bias cognitivi: i social radicalizzano le nostre idee poltiche
Nell’era dell’iperinformazione, avviata con lo sviluppo della rete e amplificata dall’utilizzo dei social media, abbiamo accesso a una quantità di notizie pressoché sconfinata. Come reagisce il nostro cervello a questo flusso continuo di stimoli? Per dare una risposta a un quesito così complesso ci viene in aiuto una nuova, o meglio giovane, branca della scienza economica, l’economia comportamentale, che integra la teoria economica con le conoscenze della ricerca psicologica. Personaggio centrale nello sviluppo di tale disciplina è lo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002. Le sue ricerche sperimentali hanno rivelato come il nostro cervello utilizzi delle scorciatoie mentali semplificatrici, le cosiddette euristiche, frutto del processo di adattamento della specie. In pratica mette in atto procedimenti mentali intuitivi e veloci, quasi istintivi, che lo portano a valutare e a prendere decisioni secondo schemi che non richiedono uno sforzo cognitivo per l’individuo. Le manifestazioni di queste euristiche sono gli errori sistematici che tendiamo a commettere utilizzando costrutti fondati al di fuori del giudizio critico, i cosiddetti bias cognitivi. Si tratta per lo scienziato americano di «preconcetti che ricorrono in maniera prevedibile in particolari circostanze», come se un’entità fuori dal nostro controllo scegliesse automaticamente al nostro posto.Quali sono i bias cognitivi? Sono numerosi, ma esaminiamo qui i più rilevanti, che adottiamo quando siamo sommersi da una marea di informazioni tra le quali districarsi, come avviene nel caso dei social network. A giocare un ruolo da protagonista è senz’altro il bias di conferma, ossia la tendenza a ricercare e prediligere le informazioni che confermano le nostre credenze iniziali. Esperimenti psicologici hanno dimostrato come gli individui raccolgano o ricordino le informazioni in modo selettivo e interpretino prove ambigue a sostegno della loro posizione preesistente. L’azione di tale bias provoca un eccesso di fiducia nelle opinioni personali e impedisce persino di mutare posizione di fronte a prove contrarie evidenti. Alla base di questo automatismo mentale c’è sia l’attitudine a credere che si realizzi qualcosa in cui speriamo (wishful thinking) sia la limitata capacità umana di rielaborare le informazioni. Inoltre, per il singolo individuo è certamente meno oneroso convalidare le proprie idee iniziali piuttosto che impegnarsi in una faticosa analisi comparativa e scientifica che ne testi la validità.A rafforzare questo comportamento concorre un altro bias, quello dello status quo, una distorsione valutativa legata alla resistenza al cambiamento, per cui si tende a non prendere decisioni che possano alterare lo stato attuale, anche se potrebbero essere conveniente. Ogni cambiamento è percepito come una perdita. A influenzare le nostre opinioni c’è poi il bias di ancoraggio, che porta a legarsi a un’informazione iniziale con cui si è venuti a contatto, considerata come “ancora”, per formulare giudizi successivi durante il processo decisionale. I contenuti affini a essa tendono a essere assimilati, mentre quelli che si discostano solitamente vengono allontanati. Effetti analoghi al bias di conferma sono indotti dal bias di gruppo, che induce a sopravvalutare le capacità e il valore del proprio gruppo, qualunque natura esso abbia (sociale, culturale, ecc.) e a sminuire e discriminare qualsiasi gruppo estraneo. Questo errore cognitivo genera l’attitudine, molto frequente negli ambienti culturali e accademici, a favorire persone appartenenti al proprio gruppo e a escludere persone esterne, evitando così il confronto e rafforzando le proprie credenze.L’azione congiunta di tali bias ha una portata esplosiva all’interno del microcosmo dei social, divenuto proiezione del mondo reale. La mole infinita di contenuti veicolati non solo non aumenta il livello di conoscenza dell’utente, ma al contrario porta a rafforzare le proprie idee iniziali e a identificarsi con un gruppo virtuale che le rappresenta. Anziché approfondire e analizzare in modo comparativo argomentazioni diverse dalle proprie, si tenderà a ignorarle e perfino a denigrarle. Si viene così a creare il fenomeno delle “camere d’eco”, ossia delle campane di vetro in cui i preconcetti personali sono amplificati dalla comunicazione e dalla ripetizione degli stessi messaggi all’interno di un sistema chiuso. Dentro una camera d’eco gli utenti possono trovare informazioni che convalidano le loro opinioni preesistenti e attivare il bias di conferma. Questo fenomeno rafforza le credenze e le radicalizza, senza nulla aggiungere all’informazione e alla conoscenza. Il risultato è l’oltranzismo ideologico al quale assistiamo e partecipiamo, in cui il dibattito e il confronto politico sono stati sostituiti dalla tifoseria e della violenza verbale. Non vi è alcuno spazio per elaborare un pensiero critico e svincolato dai bias, vince la legge tribale.(Ilaria Bifarini, “Perché i social radicalizzano le nostre idee politiche”, dal blog della Bifarini del 9 gennaio 2020).Nell’era dell’iperinformazione, avviata con lo sviluppo della rete e amplificata dall’utilizzo dei social media, abbiamo accesso a una quantità di notizie pressoché sconfinata. Come reagisce il nostro cervello a questo flusso continuo di stimoli? Per dare una risposta a un quesito così complesso ci viene in aiuto una nuova, o meglio giovane, branca della scienza economica, l’economia comportamentale, che integra la teoria economica con le conoscenze della ricerca psicologica. Personaggio centrale nello sviluppo di tale disciplina è lo psicologo Daniel Kahneman, premio Nobel per l’economia nel 2002. Le sue ricerche sperimentali hanno rivelato come il nostro cervello utilizzi delle scorciatoie mentali semplificatrici, le cosiddette euristiche, frutto del processo di adattamento della specie. In pratica mette in atto procedimenti mentali intuitivi e veloci, quasi istintivi, che lo portano a valutare e a prendere decisioni secondo schemi che non richiedono uno sforzo cognitivo per l’individuo. Le manifestazioni di queste euristiche sono gli errori sistematici che tendiamo a commettere utilizzando costrutti fondati al di fuori del giudizio critico, i cosiddetti bias cognitivi. Si tratta per lo scienziato americano di «preconcetti che ricorrono in maniera prevedibile in particolari circostanze», come se un’entità fuori dal nostro controllo scegliesse automaticamente al nostro posto.
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Eresia Roosevelt: giù le tasse, e reddito universale per tutti
Giù le tasse, usando anche la moneta complementare emessa a costo zero. E soprattutto, reddito universale: assegno mensile di 500 euro, a chiunque, con l’unico obbligo di spendere subito quei soldi. Sembra un costo, ma non lo è. O meglio: la spesa iniziale sarebbe letteralmente oscurata dal salto in avanti del Pil, grazie al “moltiplicatore” keynesiano (spendi 100, e produci 3-400). Risultato: economia in grande ripresa e, alla fine, maggiori entrate fiscali. Sono due dei tre punti-chiave messi a fuoco dal Movimento Roosevelt (il terzo è il diritto costituzionale al lavoro, oggi assente) con l’intento di capovolgere l’ipnosi finanziaria, del tutto artificiosa, che detiene le vere chiavi della crisi europea. Una “maledizione” che sembra economica, e invece è interamente politica. «Si ciancia di lotta all’evasione fiscale, ma l’evasione la si combatte imponendo tasse eque: se si abbassano le aliquote, oggi folli, cresceranno immediatamente le entrate». Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, rilanciando un’idea del rooseveltiano Carlo Toto: rimettere in moto l’Italia, facendola uscire da decenni di sofferenze imposte dall’alto, attraverso una camicia di forza macroeconomica. A questo è servito il vincolo esterno europeo: a comprimere le possibilità del made in Italy, dopo averlo largamente sabotato, smembrato e indebolito.Teoria e pratica del neoliberismo, ideologia di cui l’Italia è stata una cavia perfetta. Pura demenzialità, il tetto del 3% imposto alla spesa. Idem la gestione privatistica dell’euro, basata sulla leggenda della scarsità di moneta (in realtà creabile in modo illimitato e senza costi). In pratica, qualcuno lassù ha chiuso i rubinetti. E al paese ha raccontato che, semplicemente, “doveva” soffrire. Peggio: che le tasse servono a pagare stipendi, a far funzionare lo Stato. Nella stanza dei bottoni, tutti sanno che non è vero: ma il mainstream (economisti neoliberali, partiti e media) fingono di non saperlo. Non ne parlano le Sardine, interessate solo a stoppare Salvini (agevolando la corsa di Prodi verso il Quirinale). Non ne parla Bonaccini, e neppure Zingaretti. La promessa di Flat Tax sbandierata dallo stesso Salvini si è fermata col siluramento di Armando Siri. L’Italia politica sembra essersi rimessa a dormire, divisa solo in apparenza tra custodi del centrosinistra e guardiani del centrodestra. Da Renzi a Berlusconi, nessuna soluzione in vista. Nel 2018, in pieno caos gialloverde, i 5 Stelle sembravano volerci provare: ma il reddito di cittadinanza promosso da Di Maio si è rivelato un’amara barzelletta, un’inutile elemosina elargita al prezzo di severe condizioni.Niente da fare neppure sul fronte della moneta parallela, di cui si era parlato nei mesi scorsi. Ne sa qualcosa un economista keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: basterebbe pochissimo, sostiene, per creare una “moneta di Stato” da affiancare all’euro, senza neppure violare il Trattato di Lisbona. Valore emesso a costo zero, accettato per il pagamento di tasse e imposte. Sarebbe un sollievo immediato, per l’economia. Due piccioni con una fava: meno tasse, ed economia in ripresa. Un altro rooseveltiano, Toto, ora rilancia: se all’abbattimento delle aliquote (e alla facilitazione fiscale propriziata dalla moneta parallela) si aggiunge la maxi-iniezione del reddito universale, l’economia può risorgere. Volerebbero i consumi, dunque il lavoro. Eresia? Sì, certo, ma sarà meglio farci l’abitudine: il Movimento Roosevelt ha intenzione di lanciare una campagna nazionale, sostenendo queste sue proposte a colpi di petizioni popolari. Non ultima quella sul diritto al lavoro: ha poco senso, ribadisce lo stesso Magaldi, che la Costituzione definisca l’Italia una repubblica fondata sul lavoro, se poi l’occupazione non c’è. Meglio che lo Stato assolva in pieno alla sua funzione, fino in fondo: così come la stessa Bce dovrebbe riscrivere il proprio statuto, puntando alla piena occupazione in Europa, anche l’Italia dovrebbe rivedere la sua Carta, impegnandosi a dare un lavoro a chiunque.L’eresia è l’unica possibilità che resta, se gli attori della politica nazionale balbettano. Soluzioni vere, radicali, frontali. Un orizzonte antropologico alternativo all’attuale bassa marea, nella quale nuotano (male o malissimo) tutti i partiti. Ma attenzione: non sono solo i rooseveltiani a scrutare il cielo, in cerca di un futuro possibile e dignitoso. La signora Christine Lagarde ha appena evocato il massimo tabù di questi anni di austerity “teologica”: gli eurobond, per sostenere in modo illimitato i debiti pubblici dei paesi europei, senza più l’incubo speculativo dello spread. E persino Mario Draghi, da parte sua, ha parlato addirittura della Modern Money Theory, cioè l’emissione monetaria teoricamente infinita, con cui rianimare l’economia europea. Il contrario esatto di quel rigore che i sacerdoti dell’eurocrazia continuano a spacciare per volere divino. E se in Italia nessuno si muove, Magaldi annuncia un appello direttamente ai cittadini: firme su firme, per sollecitare la rivoluzione di cui si avverte il disperato bisogno. Smettere di avere paura, scacciare la crisi, tornare a progettare un’Italia più comoda per tutti. Senza più evasione fiscale, grazie a tasse affrontabili. E senza più l’alibi della penuria, in virtù del reddito universale: utile a salvare chi un lavoro non ce l’ha ancora, e fondamentale per movimentare consumi, imprese, assunzioni. Si tratta di cambiare tutto, da cima a fondo. Primo step: scoprire che l’eresia non è il problema, è la soluzione.Giù le tasse, usando anche la moneta complementare emessa a costo zero. E soprattutto, reddito universale: assegno mensile di 500 euro, a chiunque, con l’unico obbligo di spendere subito quei soldi. Sembra un costo, ma non lo è. O meglio: la spesa iniziale sarebbe letteralmente oscurata dal salto in avanti del Pil, grazie al “moltiplicatore” keynesiano (spendi 100, e produci 3-400). Risultato: economia in grande ripresa e, alla fine, maggiori entrate fiscali. Sono due dei tre punti-chiave messi a fuoco dal Movimento Roosevelt (il terzo è il diritto costituzionale al lavoro, oggi assente) con l’intento di capovolgere l’ipnosi finanziaria, del tutto artificiosa, che detiene le vere chiavi della crisi europea. Una “maledizione” che sembra economica, e invece è interamente politica. «Si ciancia di lotta all’evasione fiscale, ma l’evasione la si combatte imponendo tasse eque: se si abbassano le aliquote, oggi folli, cresceranno immediatamente le entrate». Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, rilanciando un’idea del rooseveltiano Carlo Toto: rimettere in moto l’Italia, facendola uscire da decenni di sofferenze imposte dall’alto, attraverso una camicia di forza macroeconomica. A questo è servito il vincolo esterno europeo: a comprimere le possibilità del made in Italy, dopo averlo largamente sabotato, smembrato e indebolito.
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Magaldi: leader effimeri per false guerre, così perde l’Italia
Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.Attenzione: il cosiddetto bipolarismo italiano (solo formale, mai sostanziale) ha fatto della famigerata Seconda Repubblica un posto dove si sta peggio, non si cresce più, dilaga la disoccupazione, le crisi industriali non hanno soluzione. E’ la cancrena dell’austerity Ue, imposta in modo subdolo del potere economico neoliberista attraverso le direttive della Commissione Europea e il rigore suicida nei conti pubblici, dopo la catastrofe nazionale delle privatizzazioni varate da Prodi e Draghi. Un sistema deprimente (che infatti ha prodotto solo recessione, più debito e più tasse) a cui non si sono mai opposti né Berlusconi né i suoi presunti oppositori, da Prodi a Gentiloni. Ora ci risiamo, con la santa alleanza contro il demonio Salvini, male assoluto della politica italiana e quindi degno erede del Cavaliere? Di questo passo le cose andranno sempre peggio, avverte Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia non può certo uscire dal tunnel con l’ennesima stagione di schermaglie-fuffa tra due schieramenti ben decisi, entrambi, a non cambiare proprio niente. Se Salvini vuole voltare pagina, che ci sta a fare col vecchio Silvio e con i cascami del tradizionalismo polveroso, tra gli anacronismi del “popolo della famiglia” e le ridicole crociate contro la cannabis?A Magaldi non piace nemmeno la predilezione salviniana per il sistema elettorale maggioritario, che oggi premierebbe la Lega come primo partito: meglio un sistema totalmente proporzionale, magari compensato dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Un sistema che dia voce a tutti, restituendo piena dignità a un Parlamento sempre più precario, con deputati e senatori non più tutelati completamente dall’immunità e in più falcidiati dall’incombente taglio dei seggi, che farebbe eleggere inevitabilmente solo i candidati più vicini ai leader, riducendo ulteriormente la dialettica democratica. A proposito: anche Salvini, dice Magaldi, rischia di soffrire della stessa sindrome “liquida” che ha colpito Di Maio e, prima ancora, Renzi. Successi-lampo, con numeri strabilianti: i 5 Stelle al 33% nel 2018, il Pd renziano addirittura al 41% nella precedente tornata delle europee. E poi? Il tonfo: oggi basta un attimo, e si cade. Ieri sembravi il padrone assoluto della scena, ma già domani sei ridotto all’elemosina elettorale, come Di Maio e colleghi, o a fare piccoli giochi di palazzo come l’ex Rottamatore fiorentino. La loro colpa? Troppe parole al vento: solo proclami altisonanti, tutto fumo e niente arrosto. Di Maio doveva “sconfiggere la poverità”, con le briciole del suo patetico reddito di cittadinanza. E Matteo Renzi, zerbino della Merkel e dei grandi privatizzatori, non aveva forse promesso di riscattare la sovranità economica del made in Italy?La verità, osserva Magaldi, è che gli italiani – almeno, quelli che chiedono di cambiare tutto – esprimono un voto essenzialmente di speranza. Prima Renzi, poi Di Maio e ora Salvini: cambiali in bianco e suffragi temporanei, concessi in modo condizionato. Inevitabile la delusione, in tempi rapidissimi: Renzi nella polvere, “asfaltato” dal referendum, e Di Maio ora in fuga dal politburo grillino. Salvini? Rischia anche lui, specie se – ridando vita al cadavere del centrodestra – si auto-condanna a non incidere in nulla, nella dialettica decisiva con i poteri che reggono l’Ue e massacrano abitualmente l’Italia. Come Renzi e Di Maio, anche Salvini ha essenzialmente abbaiato alla luna, chiedendo più deficit per finanziare il rilancio del paese, senza però ottenere nulla. Su questo, Magaldi ha le idee chiare: la governance Ue va sfidata in modo frontale, visto che l’Italia ha bisogno di investimenti immediati per 200 miliardi di euro, scomputabili dal debito. Il paese cade a pezzi, ha bisogno di infrastrutture strategiche e milioni di posti di lavoro. Il Movimento Roosevelt sogna la piena occupazione, sorretta da un intervento pubblico di tipo keynesiano. Persino Draghi, oggi, riconosce che i tagli sono l’anticamera del disastro. Sintetizza Magaldi: se tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, percepissero 500 euro mensili (con l’obbligo di spenderli subito), l’iniezione di liquidità farebbe volare i consumi e il lavoro, ripagando poi abbondantemente, con le tasse, l’investimento iniziale.C’è qualcuno che oggi è in grado di fare discorsi del genere, a parte Magaldi? Forse – di nuovo – lo stesso Draghi: fino a ieri, massimo architetto della drammatica austerità europea, e ora invece pronto, a parole, a tornare sui suoi passi, aprendo addirittura alla Modern Money Theory, la spesa statale illimitata per rianimare l’economia inondandola di soldi creati dal nulla. Eresia pura, in un’Europa dove i grandi poteri privatistici controllano la stessa Bce, organizzando la scarsità artificiosa della moneta a scopo speculativo, facendo soffrire il 90% delle famiglie e delle aziende e impedendo agli Stati di recuperare la sovranità finanziaria che è indispensabile per governare davvero i paesi. Insegneremo agli italiani come votare, disse il commissario tedesco Günther Oettinger nel 2018, inviperito per lo squillante successo gialloverde. Gli fece eco Sergio Mattarella, bloccando la nomina di Paolo Savona all’economia, sgradito ai santuari europei del rigore: l’ultima parola – sostenne il capo dello Stato – spetta ai mercati finanziari, dunque non al cittadino-elettore che si illude di scegliersi democraticamente il proprio governo. Ancora un anno fa, il consenso al governo gialloverde superava il 60%: un record storico. Risultati? Zero, tranne la Quota 100 strappata da Salvini sulle pensioni. Poi il film ha proposto il Papeete e l’orrendo Conte-bis: il trasformismo sfacciato e traditore, prono ai diktat di Bruxelles. Ora siamo alle comiche finali, dice Magaldi, se qualcuno pensa davvero alla riedizione del grottesco: centrodestra e centrosinistra che fingono di litigare, ma di fatto obbediscono entrambi ai soliti nemici dell’Italia.Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.
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Coronavirus: riecco l’ennesima, perfetta epidemia di panico
Volevo spendere due parole sulla dissonanza cognitiva che circonda le notizie sulla nuova “epidemia” di coronavirus, ovvero del fatto che siamo tutti terrorizzati da un’epidemia senza che nessuno dei numeri diffusi parlino dell’epidemia. Possiamo fare due ipotesi: la prima è che i numeri diffusi dal governo cinese siano veritieri. La seconda è che il governo cinese stia nascondendo i fatti e i numeri siano ancora peggiori. Partiamo dalla prima ipotesi. Se questo è vero, sappiamo che in un paese che ha un miliardo e mezzo di abitanti ci sono 1360 malati, di cui 41 sono morti, quasi tutti anziani e malati. Ora, onestamente, visti i numeri in gioco questa non solo non è un’epidemia, è l’effetto di un giorno lievemente più freddo del solito, nel quale muoiono di polmonite degli anziani. Stiamo parlando di un numero di contagiati che sta nel raggio di un milionesimo della popolazione cinese, e un numero di morti che sta nell’ordine di mezzo decimilionesimo. Allora si dirà che si tratta delle caratteristiche del virus a preoccupare. Bene. Ma il problema è che le caratteristiche del virus sono note da dicembre, e a tutt’oggi è quasi ignoto il vettore che lo porta all’uomo.Se fossero gli uccelli, come la Sars, allora esisterebbe la possibilità che arrivi in volo. Se invece sono i visoni, le probabilità di una diffusione mediante un vettore sono, come dire, “relativamente basse”. è necessario che qualcuno entri in contatto con un cinese infetto. Cioè col milionesimo giusto della popolazione. In queste condizioni, direi che non si giustificano le evacuazioni fatte dai cinesi, non si giustifica la fuga dei diplomatici dalla Cina, e non si giustificano le misure straordinarie prese dal Politburo. Nessuno mette in quarantena 56 milioni di persone per qualcosa che, a sentire i numeri ufficiali (rapportati con la popolazione cinese), è meno pericoloso dello smog. E anche se lo paragoniamo coi 56 milioni di persone in quarantena, il numero di morti sembra una statistica sull’abuso di alcool sulle strade. Quindi, prende corpo la seconda ipotesi: i numeri forniti sono stati “cucinati”. Quello che sappiamo sinora è che questo coronavirus ha gli effetti di una leggera influenza. Questi sono i numeri attuali. Ma l’emergenza in atto è adatta ad un altro tipo di epidemia.Sappiamo che vengono costruiti ospedali per non dover muovere i malati. Il nuovo ospedale costruito a Wuhan può contenere circa 1500 malati. Se questo è vero, considerato che i numeri ufficiali parlano di 41 morti su 1360 contagiati, se diamo per buona questa proporzione (simile a quella della Sars), allora il governo cinese è al corrente di circa 50.000 contagi o li dà per scontati. Anche in questo caso, però, le proporzioni non bastano a parlare di epidemia. Se si isolano 56 milioni di persone per 50.000 contagiati, e una quantità di vittime vicina al 1500, stiamo ancora parlando di una probabilità di venire contagiati che sta attorno all’uno per mille, e una di morire che sta attorno all’uno su diecimila. Se avete queste paure, allora non usate più l’automobile, andate in palestra e cominciate a mangiare molto meglio. Altrimenti rischiate di più. La mia impressione è che questa sia un’epidemia di panico. Quello che vedo è che i giornali occidentali stanno diffondendo quello che sono più bravi a diffondere: la paura.Quella che, stando ai numeri, sembra un’influenza nemmeno tanto forte che uccide principalmente anziani e malati, sta venendo descritta come una gigantesca epidemia, una specie di peste bubbonica. Vorrei solo far presente che la “terribile” Sars ha fatto circa 8000 contagi l’anno, per un totale di circa 60 morti/anno, tutti persone anziane, sieropositive o immunodepresse. La mia personale sensazione è che si tratta del solito panico quotidiano gratuito. Il solito stato costante di ansia, paura e timore del futuro che viene usato per tenere la testa bassa a chi pensa di essere abbastanza in forma da criticare il manovratore. Sicuramente il coronavirus esiste. Ne esistono migliaia. E se prendiamo una popolazione di un paio di miliardi di persone stipate in città con densità insane, e condizioni igieniche buone solo in apparenza, è ovvio che si diffonderanno.Cosa intendo per “buone solo in apparenza?” Intendo dire la città di Wuhan vi potrà apparire pulita quanto volete, ma se fanno i mercatini con animali vivi uccisi sul posto, è un merdaio infame degno del terzo mondo: il concetto di igiene comprende tutta una profilassi che riguarda la catena di distribuzione alimentare, la catena di smaltimento dei rifiuti, la catena di profilassi veterinaria, la qualità degli acquedotti e dei sistemi fognari, e tante altre cose di cui il passante non si accorge quando passeggia per la strada. Un regime che si fa propaganda con gli spazzini potrà anche mostrare una città linda e pulita, ma se in quella città si fanno mercati della carne con animali vivi, state passeggiando in un merdaio infetto come in Europa non se ne vedevano dal 1100 Dc. Il regime cinese sta, a mio avviso, cercando di salvare la faccia perchè tutto parli di un’organizzazione perfetta e di una reazione precisa e puntuale. Ma la diffusione di questa epidemia, e il suo passaggio dal visone all’uomo, parlano di una catena di allevamento del visone che ha condizioni di lavoro da terzo mondo.E alla fine, puoi anche costruirmi un ospedale in sei giorni (immagino la qualità strutturale di quell’edificio), ma questo virus mi parla di baracche ove gli esseri umani che allevano visoni dormono col visone stesso. Dall’altro lato, la stampa occidentale sta cercando disperatamente di sbattere in prima pagina qualcosa di allarmante. Il terrore, l’ansia, la cultura della scarsità sono l’arma che consente di passare sopra a tante cose. Un popolo impaurito, ansioso, cerca di rifugiarsi nell’autorità. I mercati americani aspettavano da anni una scusa per giustificare un bel crac, e una bella epidemia è proprio quel che ci vuole. A differenza del 2008, se le stesse cattive pratiche di allora dovessero produrre una nuova crisi sistemica, nessuno andrebbe ad accusare i capitalisti: andrebbero tutti ad accusare il coronavirus. I numeri che abbiamo sino ad ora, anche nel caso peggiore che siano cinquanta volte più grandi e il governo cinese stia nascondendo qualcosa (come fece con la Sars a suo tempo), non sono allarmanti.Tutto parla di una sindrome influenzale poco più forte del normale, altrimenti la Cina sarebbe già un immenso lazzaretto e i morti cinesi si conterebbero a decine di milioni (numero che, ricordo, in Cina è piccolo). Sarò molto sincero. Il coronavirus mi preoccupa molto meno di un asteroide. Quello che farò sarà di continuare a tenermi in forma, mangiare più sano che posso ed evitare l’automobile più che posso. Cosa che faccio già, e che mi espone a rischi ben maggiori rispetto ai numeri che leggo in giro. Anche i peggiori. Se poi a Wall Street decideranno di aver trovato un bel capro espiatorio per tirare i remi in barca e causare un’altra crisi, ci crederò il giusto. Questa non è un’epidemia di coronavirus: 1360 contagiati non sono un’epidemia, tantomeno una “pandemia”. è meno dei morti sulle strade che fa in Cina una specifica marca di Vodka. Questa è un’epidemia di panico. E l’unico vaccino è l’esticazzi.(”Epidemia di panico”, da “Keinpfusch.net” del 25 gennaio 2020).Volevo spendere due parole sulla dissonanza cognitiva che circonda le notizie sulla nuova “epidemia” di coronavirus, ovvero del fatto che siamo tutti terrorizzati da un’epidemia senza che nessuno dei numeri diffusi parlino dell’epidemia. Possiamo fare due ipotesi: la prima è che i numeri diffusi dal governo cinese siano veritieri. La seconda è che il governo cinese stia nascondendo i fatti e i numeri siano ancora peggiori. Partiamo dalla prima ipotesi. Se questo è vero, sappiamo che in un paese che ha un miliardo e mezzo di abitanti ci sono 1360 malati, di cui 41 sono morti, quasi tutti anziani e malati. Ora, onestamente, visti i numeri in gioco questa non solo non è un’epidemia, è l’effetto di un giorno lievemente più freddo del solito, nel quale muoiono di polmonite degli anziani. Stiamo parlando di un numero di contagiati che sta nel raggio di un milionesimo della popolazione cinese, e un numero di morti che sta nell’ordine di mezzo decimilionesimo. Allora si dirà che si tratta delle caratteristiche del virus a preoccupare. Bene. Ma il problema è che le caratteristiche del virus sono note da dicembre, e a tutt’oggi è quasi ignoto il vettore che lo porta all’uomo.
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Carotenuto: nel potere mondiale, buoni e cattivi sono soci
Libia e Medio Oriente bruciano, ma il racconto dei media non ci parla dei veri obiettivi: non ci dice dove nascono le crisi, dove vogliono arrivare e perché si fanno. Di questi scenari ho un’esperienza personale e profonda, vissuta spesso dietro le quinte. Le motivazioni delle guerre e dei conflitti non sono quelle apparenti. Nel mondo è in corso una lotta tra forze del bene, che stanno facendo crescere le coscienze, e forze che ostacolano questa crescita per cercare di assopire il risveglio coscienziale che è in corso da anni. Per tentare di frenare questo risveglio si creano problemi nell’anima, scoraggiando la voglia fare cose buone per sé e per gli altri. Per fare il bene non bisogna essere pieni di paure, di rabbia e di ansia. Niente di meglio della guerra, per rovinare i nostri sentimenti: le guerre sono grandi vortici di odio, di paura e di rabbia. Subito internazionalizzate e mostrate a tutti attraverso i media, le guerre intervengono direttamente nelle nostre anime: alterano il nostro modo di sentire, ci distolgono dalla nostra voglia di bene, ci abbattono e ci impauriscono, ci fanno arrabbiare e ci inquietano. Guerre e crisi vengono combattute soprattutto nelle nostre anime.