Archivio del Tag ‘crisi’
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Alto rischio: il bunker dei partiti e lo spettro della violenza
Che la situazione sia ormai esplosiva – sul piano civile, istituzionale, economico e ambientale – l’hanno compreso un po’ tutti, ad eccezione dei soliti noti che, in queste ore, si preparano con il sostegno attivo di Napolitano a formare un governo di larghe intese. Insomma, la rabbia cresce un po’ ovunque e Grillo, in varie occasioni, ha fatto bene a ricordare che l’entrata in politica del “Movimento 5 Stelle” ha permesso di canalizzare questa energia potenzialmente distruttiva in un progetto pacifico rispettoso della Costituzione. Il fatto stesso di aver indirizzato il malcontento e il malessere popolare verso il Parlamento a qualcuno non sembra così utile. Un articolo di Valerio Lo Monaco esprime bene la difficoltà dei critici del sistema ad integrare emozioni e prospettive di cambiamento conservando un minimo di buon senso.
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Orrore Grecia: lager fiscale per chi non può pagare le tasse
Dietro le sbarre chi non paga le tasse, anche se non le paga semplicemente perché non ha più un soldo in tasca. E niente carcere civile: la Grecia si sta preparando ad aprire un “campo di concentramento” per micro-evasori, una sorta di Guantanamo dove rinchiudere chi deve al fisco anche solo qualche migliaio di euro. Allo scopo, il governo pensa a riconvertire vecchie caserme abbandonate, trasformandole in “pseudo-prigioni”. Anche a causa delle assurde politiche applicate dai vari governi negli ultimi anni sotto dettatura della Troika, la Grecia pullula di cittadini debitori e insolventi, spesso nei confronti dello Stato, visto che la pressione fiscale continua a salire a fronte di una ricchezza sociale sempre minore, mentre si diffondono la disoccupazione e addirittura la fame. L’importante, per il governo di Atene, è spremere ad ogni costo i cittadini, aziende e famiglie, imponendo loro di pagare il debito pubblico dello Stato, in base alla dottrina neoliberista di Bruxelles che, con l’adozione dell’euro e del Fiscal Compact, è diventata legge.
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Della Luna: temo il peggio, ora massacreranno chi protesta
«Tutto ciò che fa il Parlamento è democratico», rassicura Stefano Rodotà, dall’alto delle sue rendite pubbliche. «Soprattutto se quel Parlamento è un Parlamento di nominati, nominati da non più di venti persone delle segreterie / cda dei partiti», ha dimenticato di aggiungere. Napolitano, già sottoscrittore, con Prodi, della privatizzazione di Bankitalia nel 2006 e corresponsabile politico del governo Monti, si conferma garante, all’interno, della coesione della partitocrazia necessaria alla tutela degli interessi della partitocrazia stessa; e all’esterno, garante della obbedienza dell’Italia a una politica economico-finanziaria che avvantaggia il capitalismo bancario straniero a danno degli italiani. E’ a questo che deve il suo successo e la sua rielezione, a questa capacità di duplice e congiunta garanzia, che gli assicura il sostegno delle “cancellerie che contano”. Ci manca solo che ora anche Bersani faccia il sacrificio di rimanere in carica e che Berlusconi accetti un Amato a Palazzo Chigi.
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Barnard: Harvard, stragisti falsari da impiccare in piazza
Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sono due economisti Neoclassici di Harvard (Usa) che qualche tempo fa scrissero uno studio che dimostrava come le nazioni gravate dal alto debito pubblico (+ del 90% del Pil soffrono inevitabilmente un crollo economico (meno crescita). Il loro lavoro, intitolato “Growth in a Time of Debt.”, datato 2010, è stato preso a modello da tutta la tecnocrazia europea che ha imposto a Italia, Irlanda, Spagna, Grecia, Portogallo, ma anche alla Francia e alla Germania, la più devastante disciplina delle Austerità economiche nella storia dell’Europa, con risultati ormai talmente agghiaccianti da non necessitare neppure più di commenti. Alla testa dei tecnodistruttori e primo ammiratore di “Growth in a Time of Debt” sta il Torquemada delle Austerità, l’ignobile Olli Rehn, responsabile finanziario della Commissione Europea.
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Il Palazzo dei morti si è arreso al diktat contro l’Italia
«Vilipendio al popolo italiano», tuona Giulietto Chiesa: l’inaudita rielezione di Napolitano al Quirinale, maturata con la resa del Pd ormai “suicidato” da Bersani, è un oltraggio per i milioni di italiani che invocavano, con Grillo, il nome di Stefano Rodotà come garante di una Costituzione calpestata dalla casta dei partiti e demolita giorno per giorno dall’oligarchia tecnocratica europea, che mira a cancellare lo Stato e il suo sistema di protezioni sociali, sotto il ricatto finanziario dell’euro-rigore. «Come avrete capito – protesta “Megachip” – riavremo un governo molto peggiore del terribile governo Monti. E si va allo scontro, politico e sociale». Drammatici gli appelli alla mobilitazione popolare: dal leader del “Movimento 5 Stelle”, che parla di “golpe”, a Paolo Flores d’Arcais che su “Micromega” esorta gli italiani che hanno assediato Montecitorio a restare in piazza, «contro la vergogna di un presidente dell’inciucio, e del salvacondotto per il Caimano».
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Temono Rodotà perché si rifiuterebbe di tradire l’Italia
Gesù ebbe dei guai quando fu tradito da appena un discepolo su dodici. Prodi e Bersani sono stati traditi da uno su quattro. Nei guai di Prodi e Bersani, un gorgo di guai, c’è tutta la sinistra degli ultimi vent’anni, ormai giunta al capolinea, definitivamente, senza rimedio. Si apre uno squarcio enorme nel sistema, un cataclisma che proietterà i suoi effetti per lungo tempo a venire. La crisi italiana è composta da tanti strati esplosivi: lo strato dell’economia, della politica, della giustizia, e altri ancora. Oggi è esploso definitivamente lo strato della crisi politica. Il Partito Democratico è decapitato nel modo peggiore. Andrea Scanzi, uno dei testimoni più lucidi in questi giorni convulsi, sintetizza così: «Si è dimesso il sicario del Pd. Sbagliando persino i tempi delle dimissioni. Lo ricorderemo come l’uomo che ha sbagliato tutto. Politicamente non ci mancherà. Come non ci mancherà la Bindi. Come non ci mancherebbero le Finocchiaro. Avete fallito. Andate via e non tornate.» Eppure una soluzione istituzionale era lì sotto gli occhi: Rodotà. Non l’hanno voluta, fino a immolarsi. Perché?
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Giulietto Chiesa: non azzardatevi a toccare il nostro oro
Dovrei parlare delle bombe di Boston, anche perché ho ricevuto numerose richieste di esprimermi in merito, ma non lo farò. Per due motivi: il primo è che non mi fido delle notizie finora giunte e di quello che dicono gli inquirenti di Boston, perché stanno emergendo – solo in Rete – particolari e interrogativi inquietanti circa preparativi o eventi che hanno preceduto di poco quelle esplosioni. Secondo la testimonianza di un noto maratoneta, un veterano, Alistair Stevenson, era in corso un’esercitazione con cani addestrati alla ricerca di bombe prima che gli eventi diventassero drammatici, cioè prima delle esplosioni, e l’esercitazione fu addirittura annunciata con gli altoparlanti dalla polizia. La stessa notizia la fornisce il “Boston Globe”, anch’esso in Rete. La polizia smentisce; noi ne prendiamo atto, in attesa di notizie più precise, e fermiamoci qui. Il secondo motivo per cui parlerò d’altro è che sono in corso esplosioni molto più drammatiche.
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Gino Giugni, un eroe democratico per salvare l’Italia
«Mi auguro, almeno, di non vedere più un partito socialista schierato con la destra». Sembrano scritte ieri queste parole di Gino Giugni, padre della più importante conquista nella storia democratica del paese: lo Statuto dei Lavoratori. Quello di Giugni – così simile a Stefano Rodotà per temperamento, trasparenza, sobrietà, fermezza e cultura politica – sarebbe il profilo perfetto per l’uomo chiamato, dal Quirinale, a guidare l’Italia nella spaventosa tempesta del 2013. «Il problema è che oggi questa figura non esiste», dice Paolo Barnard. Nostalgia Giugni: ovvero, il socialismo umanitario aggiornato al terzo millennio. La risposta democratica alla crisi, impugnando la dignità fondamentale della vera politica. «Sarà un po’ antico, ma l’unica via di salvezza resta il socialismo», è arrivato a confidare il più impervio degli intellettuali italiani, Guido Ceronetti, in un recente incontro coi ragazzi torinesi del Movimento per la Decrescita Felice fondato da Maurizio Pallante.
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Soares: il debito non si paga, Lisbona si ribelli alla Merkel
Mario Soares, che ha guidato il paese verso la democrazia dopo la dittatura di Salazar, ha detto che tutte le forze politiche dovrebbero unirsi per «far cadere il governo» e respingere le politiche di austerità della troika dell’Ue-Fmi. «Il Portogallo non sarà mai in grado di pagare i propri debiti, per quanto possa continuare ad impoverirsi. Se non è possibile pagare, l’unica soluzione è non pagare. Quando l’Argentina era in crisi non pagò. E che cosa è successo? Non è successo niente», ha dichiarato ad “Antena 1”. L’ex premier socialista ed ex presidente del paese ha detto che il governo portoghese è diventato un servo del cancelliere tedesco Angela Merkel, e che esegue disciplinatamente qualunque ordine ricevuto. «Nel loro desiderio di fare contenta la Senhora Merkel, hanno venduto tutto e rovinato questo paese. In due anni questo governo ha distrutto il Portogallo».
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Harvard, i cialtroni del rigore: avevano sbagliato i conti
Rischia di essere lo scandalo accademico del secolo. Un colpo durissimo alle fondamenta della dottrina dell’austerità, che sostiene che tagliare il debito produca crescita. E’ vero esattamente il contrario, replica il Premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman: si può avere crescita solo espandendo la spesa pubblica, cioè facendo esattamente l’opposto di quanto predicano la Germania e i tecnocrati dell’Eurozona che hanno commissariato mezza Europa, imponendo all’Italia il “macellaio” Monti. A crollare, improvvisamente, è lo studio con il quale Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, due celebri economisti di Harvard, considerati prestigiosi, sostenevano che si va in recessione quando il debito pubblico cresce fino al 90% del Pil. Quella semplice formula ha fatto il giro del mondo, influenzando il dibattito politico sull’economia, dagli Stati Uniti all’Europa, diventando un dogma. Peccato che sia falso, e che le cifre di Reinhart e Rogoff fossero disastrosamente sbagliate.
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Quirinale e governo: ecco i veri potenti che decidono tutto
Commissione Trilaterale, Bruegel, Aspen, Astrid. E in primo piano la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Questi i soli e veri tavoli abilitati a giocare la partita per la guida del paese, tanto a Palazzo Chigi quanto al Quirinale: una ragnatela di interessi di potere e personaggi collocati in ruoli di vertice, dentro sigle e fondazioni che da tempo reggono le sorti dei paesi occidentali. A sorpresa, scrive “Dagospia” in un’analisi sui retroscena delle manovre, dentro gli organigrammi dei più “prestigiosi” istituti politici ricorre anche il nome di Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato uscente. «Partite che, alla luce di questi scenari, appaiono dall’esito scontato: proprio come ai tempi del Britannia», quando la transizione tra Prima e Seconda Repubblica fu “commissariata” dalle lobby mondiali delle privatizzazioni sul panfilo dei reali inglesi, nella cena in cui fu scelto il loro uomo: Mario Draghi.
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Italia, ancora più rigore: Bruxelles ordina, Monti esegue
Torna a farsi sentire la frusta della Troika, preoccupata per l’inconsistenza provinciale della politica italiana ancora in stallo, ma i poteri forti sanno di poter contare sul loro uomo: Mario Monti. Che, «con la sua squadretta di demolitori», ha appena partorito il Def, documento di economia e finanza, primo passo dell’iter della “legge di stabilità”, erede della vecchia “finanziaria”. Obiettivo di Bruxelles: fare pressione per condizionare l’assetto del paese, gli orientamenti della spesa pubblica, i rapporti tra imprese e lavoro, il carico fiscale. «La Commissione Europea – scrive il blog “Contropiano” – ha “riscoperto” che l’Italia presenta molte “debolezze”: perdita di competitività dell’economia, forte indebitamento dello Stato, fragilità del settore bancario». Il tutto è contenuto in un rapporto sugli squilibri macroeconomici nell’Unione, che contiene anche un giudizio negativo sulle possibilità di evoluzione della situazione.