Archivio del Tag ‘crescita’
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Tagli, l’eredità di Monti: massacro sociale da qui all’eternità
L’Italia è praticamente spacciata: inseguendo il pareggio di bilancio prescritto dal Fiscal Compact voluto da Bruxelles, non uscirà dal tunnel recessione. Anche se cresce il prelievo fiscale, che opprime aziende e famiglie, il gettito diminuisce perché le manovre da “economia di guerra” per tagliare il debito pubblico non fanno che deprimere i consumi, senza creare nessuno spiraglio per risalire la china. Note di allarme anche dagli analisi della Cgil: con l’ultima operazione, Monti consegna ai successori un pacchetto di misure laceranti, considerato che soltanto per la spending review andranno trovati altri 18 miliardi da tagliare. E non è che un antipasto, scrive Francesco Piccioni sul “Manifesto”. L’effetto totale delle sei “svolte” imposte dai tecnocrati supera ormai i 120 miliardi, circa l’8% del Pil, con tanti saluti all’agognata “crescita”: se oggi il prodotto interno lordo è a quota -2,4%, per l’Fmi nel 2013 l’Italia supererà la soglia del -3%.
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L’Italia sta per fallire: ogni giorno chiudono 35 imprese
Le piccole e medie imprese sono vicine al collasso. E’ una questione di mesi. Il tessuto produttivo del Paese si sta sfaldando. Le banche, impegnate a comprare titoli di Stato sul mercato internazionale e di nuova emissione, non concedono più crediti alle aziende. I prestiti sono in continua contrazione. Il governo non paga i debiti della pubblica amministrazione di 80 miliardi che Rigor Montis ha rinviato al prossimo esecutivo, dopo le elezioni del 2013. Nel frattempo le imprese sono strangolate dalle tasse più alte dell’area Ue e dagli interessi di Equitalia quando non riescono a far fronte ai pagamenti. Ogni giorno falliscono 35 imprese. Nel 2011 sono state 11.600, il peggiore dato dall’inizio della crisi. La previsione per il 2012 è di 13.000 nuovi fallimenti, più di mille al mese. Questa è la vera emergenza nazionale. Tutto il resto, anche il paradiso, può attendere.
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Macché debito sprecone, siamo risparmiatori: derubati
La fortuna del potere è costruita sull’incuria e l’incompetenza: non la propria, ma quella dei sudditi. Sicuro che nessuno verifica la veridicità dei fatti, ma che tutti ripetono a pappagallo le notizie ben confezionate, ne fabbrica di proprie, false e tendenziose, per affidarle ai ripetitori acefali affinché le trasformino in luoghi comuni. In idee, cioè, che nessuno mette in discussione perché assorbite come verità incrollabili. E’ successo quando hanno voluto imporci una globalizzazione a misura di multinazionali, quando hanno voluto rifilarci un’Europa al servizio di banche e speculatori, quando hanno voluto scipparci l’acqua e gli altri beni comuni a vantaggio delle imprese private. E oggi sta succedendo col debito pubblico.
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Il Cnel: Italia in declino a partire dall’avvento dell’euro
Negli anni Settanta, l’Italia era al primo posto per crescita della produttività nell’industria rispetto ai principali Paesi nostri concorrenti nel mondo, mentre negli anni Duemila siamo in coda alla classifica. Lo afferma l’ultimo rapporto sul mercato del lavoro curato dal giuslavorista Carlo Dell’Aringa per il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro presieduto da Antonio Marzano. Nel decennio 1970-1979, in Italia il valore aggiunto nel settore manifatturiero era cresciuto in media del 6,5% l’anno. Meglio del Giappone e dell’Olanda, appena sopra il 5%, e molto meglio di Francia e Germania, ferme al 4%. Per non parlare degli Usa, attestati al 2,7% prima di riconquistare la leaderiship mondiale negli anni Novanta, grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche e informatiche. Ma è nel primo decennio del Duemila, cioè dopo l’introduzione dell’euro, che la produttività nel nostro Paese precipita a un misero 0,4% in media d’anno, contro l’1,8% della Germania, il 2,5% della Francia, il 2,8% dell’Olanda, il 3% del Regno Unito. E meglio di noi ha fatto anche la Spagna (1,5%).
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La casta ruba le briciole: è Bruxelles a portarci via tutto
Cinquanta, sessanta miliardi di euro all’anno – la maxi-tangente imposta dall’Europa – contro le briciole dei costi della politica: partiti, Camera e Senato, Regioni e Province, Comuni italiani. Messe assieme, queste voci scompaiono: sono circa un cinquantesimo, appena il 2-3% del super-bottino dell’Unione Europea, sotto forma di Fiscal Compact, pareggio di bilancio, spending review e Mes. Il fondo salva-Stati in realtà è un forziere affonda-Stati: «I soldi sottratti alle grinfie dei Fiorito sono già destinati: e non certo a noi, ovvero allo Stato», scrive Debora Billi: «Finiranno nell’infinito calderone degli interessi sul debito, quelli con cui ci stanno strappando la pelle di dosso». Il blog “Byoblu” ha pubblicato uno sconvolgente grafico che mostra l’entità della vera “rapina” in corso. «Faccio un appello agli storici del 2100», dice Claudio Messora: «Venite a mettere un fiore sulla mia tomba».
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Fois gras: quanta sofferenza siete disposti a ingoiare?
“Animal Equality”, con dieci ore di filmati e conversazioni registrate sotto copertura, 153 fotografie scattate in quattro allevamenti nel sud della Francia e in cinque stabilimenti in Catalogna, porta alla ribalta la sofferenza di anatre e oche destinate alla produzione del foie gras, lanciando una campagna mondiale per documentare cosa realmente avviene negli allevamenti dei paesi europei produttori del paté: Francia, Bulgaria, Belgio, Spagna e Ungheria. Il foie gras, che letteralmente significa “fegato grasso”, non è altro che un prodotto ottenuto da oche o anatre fatte ingrassare tramite alimentazione forzata altresì detta gavage. Il cibo viene sparato nell’esofago dell’animale attraverso un tubo metallico lungo circa 30 cm riempito di mais bollito e salato (circa 400/500 grammi). Le ingestioni forzate – due volte al giorno per le oche e fino a quattro volte al giorno per le anatre – stimolano una crescita abnorme del fegato di questi animali con un conseguente aumento di grassi nelle cellule epatiche.
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La grande crisi ha già rottamato le non-ricette di Renzi
Tagli spietati, ancora più duri delle inaudite mutilazioni finora inferte dal governo Monti. La non-ricetta di Matteo Renzi è già stata ampiamente rottamata dalla crisi: lo sostiene Gad Lerner, dopo l’ultima sortita del sindaco fiorentino alla Fondazione Metropolitan: una serata di raccolta fondi con alcuni big della finanza milanese. “Sbloccare la crescita dell’Italia: un progetto rivoluzionario”. Incontro organizzato da Davide Serra, che è il fondatore di Algebris, «un hedge fund nato nel paradiso fiscale delle Cayman», come ricorda – piuttosto perfidamente – il “Corriere della Sera”. Presenti il numero uno di Deutsche Bank Italia, Flavio Valeri, il presidente di Lazard e Allianz Italia, Carlo Salvatori, nonché l’ex direttore generale di Bpm, Enzo Chiesa. Con loro Andrea Soro di Royal Bank of Scotland, l’uomo d’affari Francesco Micheli e l’amministratore delegato di Amplifon, Franco Moscetti.
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Pd: le primarie del nulla, al guinzaglio dei diktat europei
Risulta praticamente impossibile prendere sul serio commentatori, alcuni con curriculum prestigioso e buona produzione scientifica, che affermano che «il Pd ha un programma innovativo», oppure che «Bersani ha superato lo scoglio delle regole sulle primarie». Si possono comprendere le dinamiche di posizionamento, sottintese a queste affermazioni, ma si deve evidenziare anche che in certi commentatori è ormai conclamata l’incapacità di capire che è finito un mondo. Quello in cui in cui, assieme al posizionamento entro il più importante partito dello schieramento progressista, si potevano negoziare spazi di autonomia politica e personale. Ricordando che, effetto dei tagli sull’onda dell’antipolitica e del potere reale sull’Italia che passa tra Bruxelles e Berlino, si stanno esaurendo anche i margini concreti per i posizionamenti di carriera tramite la politica istituzionale.
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Guerra e clima: quello che Obama e Romney non dicono
Quando lo spettacolo quadriennale delle elezioni arriva al culmine, è utile chiedersi come le campagne di propaganda politica trattano dei problemi cruciali che dobbiamo affrontare. La risposta semplice è: male o per nulla. Se è così, sorgono alcune importanti domande; perché, e che cosa possiamo fare a riguardo? Ci sono due argomenti di importanza assoluta, perché è in gioco il destino della nostra specie: il disastro ambientale e la guerra nucleare. Il primo appare regolarmente sulle prime pagine dei giornali. Il 19 settembre, per esempio, Justin Gillis ha scritto sul “New York Times” che lo scioglimento del ghiaccio del Mare Artico si era fermato per un anno, «ma non prima di aver demolito il record precedente – e aver lanciato nuovi avvertimenti sul rapido ritmo dei cambiamento nella regione».
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Post-crescita, risorse ormai esaurite: c’è vita dopo il Pil?
Se non conoscete Richard Heinberg, vi consiglio di seguire il suo ormai annoso blog “Museletter”. Richard è uno dei migliori divulgatori nel campo ambiente, risorse ed economia. Il suo ultimo post racconta della presa di coscienza del governo australiano per quanto riguarda la situazione delle materie prime. Il ministro delle Risorse ha appena dichiarato alla Tv americana “Abc” che «il boom delle risorse è finito». L’Australia è un Paese minerario, e conta molto sulle esportazioni di materie prime per la propria economia, tanto da aver molto investito in infrastrutture e porti per rifornire il mondo. La crisi globale però si fa sentire: Europa e Usa sono in flessione, di conseguenza la Cina cala la produzione industriale, e ciò si ripercuote sul commercio australiano che esporta meno metalli e carbone.
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Insostenibile: un chilo di carne vale due quintali di verdura
Il consumo di proteine animali, nel mondo, cresce costantemente. Tanto che, secondo alcuni, questo fenomeno sta aiutando la specie umana ad andare più rapidamente verso la sua autodistruzione. A questo fenomeno, in effetti, sono legati i più gravi problemi ambientali, economici e politici del pianeta: le emissioni di gas climalteranti e l’effetto serra, le guerre per il controllo delle fonti energetiche fossili, la progressiva penuria di un bene indispensabile per la vita come l’acqua, molte forme di inquinamento chimico, la diminuzione di fertilità dei suoli, la perdita della biodiversità, le sempre maggiori sperequazioni tra il 20 per cento dell’umanità che si suicida per eccessivo consumo di cibi sempre meno sani e il 20% privo del necessario per sopravvivere.
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Biologico? No, grazie. Come suicidare l’Italia che funziona
Non abbiamo più soldi, e quindi vi chiudiamo. Anzi, meglio: per ora vi svuotiamo, così nessuno potrà dire che abbiamo spento il “motore” dell’agricoltura biologica. La Provincia di Torino è irremovibile: vuole mettere in liquidazione il Crab, il prestigioso sportello del Bio piemontese – punto di riferimento per tutto il comparto dell’agricoltura biologica italiana – dato che la Regione Piemonte non intende rinnovare il proprio impegno finanziario. Piccole cifre: il centro, dislocato in val Pellice, costa 280.000 euro all’anno, di cui però solo un terzo a carico degli enti locali: il resto proviene da finanziamenti a progetto, che gli stessi ricercatori si procurano attivando fondi speciali europei. Non stiamo parlando dell’Ilva di Taranto, ma di un minuscolo ufficio con appena 7 operatori: vittime della brutale “spending review” del governo Monti, 4 di loro resterebbero a casa.