Archivio del Tag ‘credito’
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Votare? Non abbiamo scampo: ha già deciso tutto Bruxelles
Scusate, votare per cosa? «Fra Vendola e Monti lo spazio di manovra è non più dello 0,1%», considerando le scelte che contano. E Grillo? «Ancora meno, perché il suo team è talmente scadente che neppure riuscirebbe a capire come si paga lo stipendio di un bidello». Paolo Barnard è esasperato: «Nessuno degli uomini o delle donne che oggi si azzuffano nelle liste elettorali, premier o parlamentari, vi potrà governare nei prossimi 5 anni». Gli attuali candidati «eseguiranno solo ordini impartiti da tecnocrati europei, dai Trattati europei e dai mercati finanziari», perché il Wto, l’Unione Europea e trattati come il Gats hanno già decretato la fine sostanziale della nostra sovranità, quella per cui ha senso partecipare alla vita pubblica attraverso le elezioni. «Inutile votare ‘sti politici, inutile leggerne i programmi, guardare i dibattiti tv». Sono soltanto «figure virtuali, impotenti al 99,9%», niente più che «morti viventi».
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Fiscal Compact: ci vogliono morti, ora la sentenza è legge
I giornali ne hanno parlato poco e in termini quasi sempre così “tecnici” da risultare incomprensibili ai non addetti ai lavori. Ma da oggi entra in vigore l’accordo europeo più pericoloso per la vita dei cittadini degli Stati con problemi di bilancio pubblico: il Fiscal Compact. Dal punto di vista “istituzionale” è una preoccupazione comprensibile: c’è il più che forte rischio che la notizia possa pesare negativamente sul declinante “europeismo da gregge” che ha fino a poco tempo fa connotato gli italiani. Con magari forti riflessi elettorali, specie per chi si prensenta come campione degli obblighi europei (Monti in primis, ma anche il Pd, l’Udc e persino berlusconiani e leghisti, che il Fiscal Compact lo hanno firmato mentre erano al governo, anche se la ratifica formale è arrivata solo il 2 marzo 2012 da parte di 25 capi di Stato e di governo (fuori Gran Bretagna e Repubblica Ceca).
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Debito, vero affare per le banche: tanto, paghiamo noi
E’ un documento da conservare con cura il rapporto “Moneta e banche” redatto dalla Banca d’Italia. Perché se si vuole vuole sapere per che cosa facciamo i sacrifici, subiamo le stangate, gli aumenti, il blocco dei servizi e dei diritti, parte della risposta è data dai numeri, un po’ complessi e fitti, che la banca centrale italiana pubblica sul proprio sito. Al 31 ottobre 2012, infatti, la proprietà di titoli di Stato da parte delle banche italiane ammontava a 340 miliardi di euro, in aumento del 63% rispetto all’anno precedente (208 miliardi ma, nel 2009 a ridosso dell’esplosione della crisi, erano solo 147 miliardi). Una fetta importante del debito pubblico, quindi, si trova nella pancia delle banche: i Bot, nell’ultimo anno (ottobre 2011-ottobre 2012) sono passati da 32 miliardi a 54, i Btp da 106 a 182 miliardi ma anche Cct e Ctz sono cresciuti sia pure in misura minore.
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Nessuno come l’Italia ci guadagnerebbe, lasciando l’euro
Un aglosassone fuori dal coro: mentre “Financial Times” e “Wall Street Journal” hanno fatto un endorsement per un Monti-Bis, Ambrose Evans-Pritchard la pensa all’opposto. E spiega perché dovremmo applicare una terapia opposta a quella, suicida, di Monti. In termini pro capite, l’Italia è una nazione più ricca della Germania , con circa 9 trilioni (9.000 miliardi) di ricchezza privata. Abbiamo il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7, mentre il nostro debito “combinato”, quello che si ottiene facendo la media tra debito pubblico ed esposizione privata, ammonta al 265% del Pil ed è quindi inferiore a quello di Francia, Olanda, Gran Bretagna, Usa e Giappone. Per l’indice del Fmi, il punteggio dell’Italia è il migliore per “sostenibilità a lungo termine del debito” tra i principali paesi industrializzati. «Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario», dice Andrew Roberts di “Rbs”. «Se c’è un paese dell’Eurozona che potrebbe trarre beneficio dall’abbandonare l’euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l’Italia».«I numeri parlano da soli», aggiunge Roberts. «Pensiamo che nel 2013, non si tratterà di sapere quali paesi saranno costretti a lasciare l’euro, ma chi sceglierà di andarsene». Uno studio basato sulla “teoria dei giochi” e condotto da Bank of America ha concluso che l’Italia, sganciandosi e ripristinando il controllo sovrano sulle sue leve politiche, guadagnerebbe più di altri membri dell’unione monetaria. La nostra posizione patrimoniale sull’estero è vicina all’equilibrio, in netto contrasto con Spagna e Portogallo, entrambi in deficit per oltre 90% del Pil. L’avanzo primario, aggiunge Evans-Pritchard in un intervento sul “Telegraph” ripreso dal blog “Informare per Resistere”, implica che l’Italia «può lasciare l’Eurozona in qualsiasi momento lo desideri, senza dover affrontare una crisi di finanziamento». Un tasso di risparmio elevato, aggiunge il grande economista inglese, significa che qualsiasi shock del tasso di interesse dopo il ritorno alla lira rifluirebbe nell’economia attraverso maggiori pagamenti a obbligazionisti italiani: spesso ci si dimentica che in Italia i tassi reali erano molto più bassi sotto la Banca d’Italia.«Roma possiede una serie di carte vincenti», sostiene Evans-Pritchard. «Il grande ostacolo è il premier Mario Monti, installato a capo di una squadra di tecnocrati grazie al golpe del novembre del 2011 voluto dal cancelliere tedesco Angela Merkel e dalla Banca Centrale Europea, tra gli applausi dei media e della classe politica europea». Monti «potrebbe essere uno dei grandi gentlemen d’Europa», ma sfortuna vuole che sia anche «un sommo sacerdote del progetto Ue» e, in Italia, «un promotore decisivo dell’adesione all’euro». Per cui: «Prima se ne va, prima l’Italia può fermare la diapositiva in depressione cronica». I “mercati” sono ovviamente inorriditi all’idea che si dimetta una volta approvata la legge di bilancio 2013, visto che i rendimenti sul debito italiano sono cresciuti. «L’armistizio è durato 13 mesi. Ora la guerra continua. Il mondo ci guarda con incredulità», scrive il “Corriere della Sera”.Il rischio immediato per gli investitori obbligazionari sta nel Parlamento fratturato, sostiene Evans-Pritchard, con almeno il 25% dei seggi attributi a «forze euroscettiche», cioè Berlusconi, la Lega Nord e lo stesso Grillo, quotato attorno al 18% . «Siamo condannati, se non vi sarà chiara maggioranza in Parlamento», avverte il professor Giuseppe Ragusa dell’università Luiss Guido Carli di Roma. «Qualsiasi risultato del genere – ammette Evans-Pritchard – lascerebbe i mercati obbligazionari palesemente esposti, come lo erano nel luglio scorso, durante l’ultimo spasimo della crisi del debito in Europa. Roma avrebbe ancora meno probabilità di richiedere un salvataggio e firmare un “Memorandum” rinunciando alla sovranità fiscale», che poi è la pre-condizione già prevista dal Fiscal Compact affinché entri in azione la Bce per tenere a bada i rendimenti dei titoli italiani.Tutti quegli investitori che si sono esposti sul debito italiano (e quello spagnolo) dopo la promessa di Mario Draghi che la Bce avrebbe fatto tutto il possibile per salvare l’Eurozona ora potrebbero scoprire che Draghi non è in grado di tener fede alla sua promessa, perché ha le mani legate dalla politica. I detentori dei titoli italiani sono preoccupati, «ma gli interessi della democrazia italiana e quelli dei creditori stranieri non sono più allineati», dice Evans-Pritchard. «Le politiche deflazionistiche stile anni ’30 imposte da Berlino e Bruxelles hanno spinto il paese in un vortice greco». Confindustria ha detto che la nazione è ridotta in macerie, e gli ultimi dati confermano che la produzione industriale in Italia è in caduta libera, giù del 6,2% rispetto all’ottobre dell’anno prima. «Abbiamo visto, negli ultimi 12 mesi, un crollo completo del settore privato», conferma Dario Perkins, del Lombard Street Research. «La fiducia delle imprese è tornata ai livelli dei momenti più bui della crisi finanziaria. La fiducia dei consumatori è la più bassa di sempre. Berlusconi ha ragione a dire che l’austerità è stata un completo disastro».I consumi sono è scesi del 4,8% anche a causa della stretta fiscale. «Questi numeri non hanno precedenti: il rischio per il 2013 è che la caduta sarà ancora peggiore», avverte la Confcommercio. Le origini di questa crisi, per Evans-Pritchard, risalgono a metà degli anni ’90, quando il marco e la lira sono stati inchiodati per sempre ad un tasso di cambio fisso. L’Italia, che aveva la “scala mobile” salariale ed era abituata all’inflazione, ha così perduto progressivamante dal 30% al 40% di competitività del lavoro rispetto alla Germania. E il surplus commerciale storico con la Germania è diventato un grande deficit strutturale. «Il danno ormai è fatto: non è possibile riportare indietro le lancette dell’orologio. Eppure – insiste Evans-Pritchard – questo è esattamente ciò che le élite politiche dell’Ue stanno cercando di fare con l’austerità e la drastica “svalutazione interna”».Una simile politica può funzionare in una piccola economia aperta come quella irlandese, con alti ingranaggi commerciali, mentre in Italia «significa replicare l’esperienza della Gran Bretagna dopo che Winston Churchill fece tornare la sterlina all’ancoraggio all’oro, tornando così al tasso sopravvalutato del 1925». Come Keynes disse acidamente, i salari sono condannati a scendere. Difatti, gli inglesi pagarono con gli stenti i cinque anni successivi. «L’effetto principale di questa politica è quello di portare alle stelle il tasso di disoccupazione», che per i giovani italiani ha superato il 36% e va aumentando ancora. «Il commissario Monti, con la stretta fiscale, si è mangiato quest’anno il 3,2% del Pil, tre volte la dose terapeutica». Eppure, non c’era alcuna ragione economica per farlo: «L’Italia ha avuto un budget vicino al saldo primario nel corso degli ultimi sei anni. È stata, sotto Berlusconi, un raro esempio di rettitudine».L’avanzo primario raggiungerà quest’anno il 3,6% del Pil, per poi passare addirittura al 4,9% l’anno prossimo. «Non si potrebbe essere più virtuosi, eppure il dolore è stato più dannoso che inutile». L’inasprimento fiscale, aggiunge Evans-Pritchard, ha spinto in zona-pericolo il debito pubblico italiano, che era in equilibrio stabile. Il Fmi conferma: il nostro debito sta crescendo molto più velocemente di prima, saltando dal 120% dello scorso anno al 126% di quest’anno per salire al 128% nel 2013. E l’economia? Ha subito una contrazione per cinque trimestri consecutivi: secondo Citigroup, l’economia italiana non si riprenderà fino al 2017. «Sarebbe straordinario se gli elettori italiani tollerassero questa débacle per lungo tempo», dice Evans-Pritcahrd, anche se Bersani – come pare probabile – vincerà le elezioni con un centrosinistra pro-euro.Gli ultimi sondaggi rivelano che ormai solo il 30% della popolazione pensa ancora che l’euro sia “una cosa buona”. «Il coro in favore dell’uscita dell’Eurozona è stato silenziato dopo la promessa di salvezza di Draghi». E ora, cinque mesi dopo, «è chiaro che la crisi è più profonda è ancora purulenta». Berlusconi «gioca maliziosamente con il tema»: un giorno accenna alla sua “pazza idea” di autorizzare Bankitalia a stampare euro con aria di sfida, aggiungendo che «non è una bestemmia dire di lasciare l’euro». Poi, gli affondi più recenti: l’Italia «sull’orlo del baratro», la «spirale senza fine» della recessione. In un anno, un vero e proprio crollo: milioni di disoccupati, debito alle stelle, imprese che chiudono, industrie ko come quella dell’auto. «Non possiamo continuare ad andare avanti in questo modo», dice il bellicoso Berlusconi elettorale, prima dell’ennesimo folle dietrofront pro-Monti. Impossibile continuare così? «Infatti: non si può», conferma Evans-Pritchard. Che invita l’Italia a svegliarsi, e scrollarsi di dosso il parassita che la sta dissanguando: l’euro e la setta finanziaria che l’ha imposto, azzoppando un paese dall’economia solida e dalla ricchezza ragguardevole.Un aglosassone fuori dal coro: mentre “Financial Times” e “Wall Street Journal” hanno fatto un endorsement per un Monti-Bis, Ambrose Evans-Pritchard la pensa all’opposto. E spiega perché dovremmo applicare una terapia opposta a quella, suicida, di Monti. In termini pro capite, l’Italia è una nazione più ricca della Germania , con circa 9 trilioni (9.000 miliardi) di ricchezza privata. Abbiamo il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7, mentre il nostro debito “combinato”, quello che si ottiene facendo la media tra debito pubblico ed esposizione privata, ammonta al 265% del Pil ed è quindi inferiore a quello di Francia, Olanda, Gran Bretagna, Usa e Giappone. Per l’indice del Fmi, il punteggio dell’Italia è il migliore per “sostenibilità a lungo termine del debito” tra i principali paesi industrializzati. «Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario», dice Andrew Roberts di “Rbs”. «Se c’è un paese dell’Eurozona che potrebbe trarre beneficio dall’abbandonare l’euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l’Italia».
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Fine della farsa: uscire dall’euro, istruzioni per il Piano-B
Una alleanza tra paesi sul modello della sudamericana “Alba”, oppure un ritorno alla fluttuazione in un regime di doppia moneta; terzo, una trattativa a viso aperto con la Germania. Mentre tutti si accaniscono su come “tenere l’Italia nell’euro”, il dibattito sul cosiddetto “piano B” per fortuna non langue. Un dibattito cominciato mesi fa, quando lo spread era ancora un gattino dalle unghie corte e dalla Merkel ci si poteva aspettare anche un invito a cena. Poi tutto è cambiato, e piuttosto rapidamente. Ora in molti si stanno accorgendo che il “gioco non vale la candela”. Soprattutto, da quando la vicenda della Grecia ha messo un punto definitivo sull’efficacia delle politiche di austerità. Cioè, i costi sono tali che o portano al disastro sociale, politico ed economico, oppure posticipano talmente tanto in là il momento della cosiddetta ripresa che il sacrificio diventa un lento e inesorabile depauperamento.
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Wuerth: stop forniture all’Italia in rosso, colpa del rigore
Niente più viti, bulloni ed altre componenti meccaniche di montaggio per l’Italia, fino a quando le 60.000 aziende che ricevevano questo ed altro materiale non pagheranno le fatture arretrate. Lo annuncia in un’intervista al quotidiano “Handelszeitung” Reinhold Wuerth, il re tedesco del bullone e delle viti, secondo il quale la Germania farebbe bene a pagare per mantenere nell’euro i paesi in crisi del Sud Europa, anziché sottoporli al ricatto infinito del rigore, ben interpretato – in Italia – dal tecno-governo “suicida” di Mario Monti, responsabile di una recessione senza precedenti nel nostro paese. Wuerth spiega che il suo giro d’affari in Italia, Spagna e Portogallo si è praticamente ridotto «quasi a zero», poiché «mancano i soldi, e i clienti non sono più in grado di pagare». Aziende in rosso, crisi di liquidità, credito introvabile: è il capolavoro di un’ideologia che, tagliando la spesa pubblica, devasta a catena anche il settore privato.
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L’Olanda: chi vuole, lasci l’euro. Cadrà il Muro di Bruxelles?
Il governo olandese vuole consentire l’abbandono dell’euro ai paesi in crisi con le regole dell’unione monetaria ed economica. Una svolta annunciata da un’intervista del premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, a “Süddeutsche Zeitung” e “Financial Times”, la prima effettuata dal leader dei liberali dopo la formazione del nuovo governo. L’esecutivo olandese, scrive il blog di Gad Lerner, si è contraddistinto finora per essere uno dei più fedeli alleati di Angela Merkel nella difesa dell’austerity come politica economica per risolvere la crisi dei debiti sovrani. E nonostante il recente cambio di maggioranza – al posto del centrodestra ora i Paesi Bassi sono governati da un’alleanza tra liberali e sinistra riformista – questa posizione non cambierà, almeno secondo Rutte. I paesi dell’eurozona che sono in difficoltà con i programmi di austerità però potrebbero lasciare la moneta unica, se lo volessero.
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Sapelli: lavoro, non profitto. E bastano tre ore al giorno
Tre ore di lavoro al giorno? «Sono più che sufficienti», purché si tratti di «lavoro liberato» dalla schiavitù del profitto. Giulio Sapelli concorda con Keynes: ridurre l’orario di lavoro è possibile, eccome. «E sarebbe una grande liberazione». Parola d’ordine: cooperazione, al posto dell’attuale – fallimentare – competitività. Sembra l’annuncio di morte del capitalismo moderno, dopo oltre due secoli di industria. Lo pronuncia, senza imbarazzi, uno dei maggiori storici italiani dell’economia: professore alla London School of Economics e poi a Barcellona, Sapelli è un big di prima grandezza nel panorama economico e finanziario italiano: già consulente dell’Olivetti e consigliere di amministrazione dell’Eni, è stato presidente della fondazione del Monte dei Paschi di Siena e membro del Cda di Unicredit. Rappresentante per l’Italia di Transparency International, organizzazione che lotta contro la corruzione economica, dal 2002 è tra i componenti del World Oil Council e dal 2003 fa parte dell’International Board dell’Ocse per il settore no-profit.
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Evviva la crisi: ora la finanza-ombra sfiora il Pil mondiale
Il meccanismo è noto: mille debitori contraggono un mutuo a basso rischio, altri mille ne sottoscrivono uno a rischio medio, altrettanti stipulano un prestito subprime. I crediti degli istituti vengono scorporati e impacchetti per poi diventare la garanzia di migliaia di prodotti derivati, scambiati fuori dalle Borse attraverso i veicoli d’investimento ad hoc del sistema-ombra. La leva finanziaria, che si nutre di altri prestiti, moltiplica l’ammontare e la bolla va fuori controllo. Fino a scoppiare, innescando la tempesta. Si chiama “shadow banking”, sistema bancario “ombra”, e ormai pesa quasi quanto l’intero Pil mondiale: 67.000 miliardi di dollari. Lo ha calcolato, nel suo ultimo rapporto, il Financial Stability Board di Basilea. Si tratta di un sistema complesso, che comprende l’insieme delle attività di intermediazione creditizia che non rientrano nel circuito tradizionale, e che per sua natura è implicitamente rischioso. Ma è anche e soprattutto un sistema in crescita, prima e dopo la crisi.
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Il Fmi: moneta sovrana, non più monopolio delle banche
Eliminare il debito pubblico degli Usa in un colpo solo, e fare lo stesso con Gran Bretagna, Italia, Germania, Giappone, Grecia. E nello stesso tempo rilanciare l’economia, stabilizzare i prezzi e spodestare i banchieri. In modo pulito e indolore, e più rapidamente di quel che si può immaginare. Con una bacchetta magica? No. Con una legge semplice, ma capace di sostituire l’attuale sistema, in cui a creare denaro dal nulla sono le banche private. Basterebbe un provvedimento che obblighi gli istituti di credito a detenere una riserva finanziaria reale, del 100%. A proporlo sono due economisti del Fondo Monetario Internazionale, Jaromir Beneš e Michael Kumhof. Tu, banca, vuoi lucrare sul prestito di denaro? Prima devi dimostrare di averlo davvero, quel denaro. Troppo comodo farselo dare dalla banca centrale (che lo fabbrica dal nulla) per poi “taglieggiare” famiglie, aziende e interi Stati, imponendo interessi esorbitanti.
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Orsini: troppo potere alle banche, ricatti a tassi da usura
Quando parliamo di usura bancaria qualcuno mi chiede: ma come fanno le banche a applicare i tassi usurari? Perché le banche, sull’assunto che alcune circolari della Banca d’Italia le hanno indotte in errore, non hanno mai conteggiato – nel costo del denaro – le commissioni di massimo scoperto. Quindi, applicando gli interessi, sono sempre qualche centesimo di percentuale sotto al tasso soglia, quello applicato trimestralmente sulla Gazzetta Ufficiale. Poi lo hanno superato, naturalmente, aggiungendo le commissioni e le spese non dovute, che superano di gran lunga i tassi di soglia e che diventano tasso da usuraio. Vorrei parlare dei tanti privilegi delle banche, perché – oltre ad applicare l’usura – le banche detengono privilegi immensi. Tra questi ne voglio indicare due: la possibilità, solo per esse, di segnalare alla Centrale Rischi – in modo discrezionale, unilaterale – il cattivo pagatore o il presunto debitore.
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Germania kaputt: l’euro-rigore uccide i suoi stessi clienti
Incredibile ma vero: anche la Germania è ufficialmente in recessione. «Il costrutto dell’Eurozona è insostenibile, distruggerà tutta l’Unione Monetaria, non solo Italia o la Grecia. Infatti. Ora il veleno sta lambendo proprio lei, la signora teutonica degli sprezzanti strali contro noi “Maiali”», afferma Paolo Barnard, sostenitore della Modern Money Theory messa a punto dall’americano Warren Mosler: privare gli Stati della sovranità monetaria condanna a morte la loro economia. «Il mostro si rivolta contro chi l’ha creato, il virus sta uccidendo lo scienziato che l’ha fatto vivere». E ora «la Germania è attonita, non si capacita: ma come? Come è possibile?». Barnard lo chiama «l’economicidio delle democrazie del sud Europa», attuato «per mezzo della creazione di una moneta unica».