Archivio del Tag ‘credito’
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Non crea una banca pubblica? E io denuncio lo Stato
Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi di euro l’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo il debito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.A far impennare i tassi di interesse, il deficit e l’indebitamento pubblico, scatenando il declassamento del nostro paese, ricorda Della Luna, è stata innanzitutto la scelta, già nel 1981, di rinunciare alla sovranità pubblica della Banca d’Italia, che garantiva lo Stato, costringendo in tal modo il governo a finanziare il proprio debito pubblico sui mercati finanziari speculativi internazionali. «Prima, il debito pubblico era sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e asset, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale». L’Italia ha un forte avanzo primario. E il suo deficit, gonfiato dagli interessi passivi, è arrivato a 2.100 miliardi. Tutto questo serve solo a «“mungere” il lavoro e il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi».Questo drammatico travaso, continua Della Luna, è aggravato in modo decisivo dal sistema dell’euro: la Bce ha infatti prestato migliaia di miliardi allo 0,50% non più allo Stato ma alle banche. Denaro col quale gli istituti di credito comprano Btp che rendono anche oltre il 4%. Se questa è la regola aberrante dell’Eurozona – privilegiare le banche e colpire lo Stato – è pur vero però che il Trattato di Maastricht concede una scappatoia: lo Stato può farsi prestare gli euro direttamente dalla Bce attraverso una banca pubblica, o di cui sia comunque azionista di maggioranza. Perché i governi non vogliono approfittarne, salvando le finanze pubbliche senza più imporre “sacrifici umani”, super-tasse e tagli ai servizi vitali? «Perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso», si risponde Della Luna, secondo cui l’ormai lontano divorzio tra Tesoro e Bankitalia resta una tappa fondamentale, sulla via della soppressione della sovranità monetaria e quindi della democrazia, insieme a Maastricht, all’euro, al Fiscal Compact.Una tappa fondamentale «non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento», ma anche per «la sottomissione politica dell’Italia al potere e all’interesse finanziario: è il grande golpe iniziale, rispetto a cui quelli recenti e ripetuti di Napolitano sono solo sotto-golpe attuativi». Due analisti indipendenti come Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni hanno ottenuto conferma dalla Bce: se solo volesse, l’Italia potrebbe ottenere denaro a interesse bassissimo dalla Banca Centrale Europea, tagliando il debito di decine di miliardi l’anno, proprio in base all’articolo 123 del Tue. Obiettivo teoricamente a portata di mano, ma secondo Della Luna in realtà non realizzabile, perché «va contro gli interessi e i poteri che hanno, con successo e profitto, realizzato quanto sopra, acquisendo il dominio delle istituzioni nazionali ed europee».Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi di euro l’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo il debito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica alle banche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.
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Basta tasse: come trovare, gratis, 70 miliardi l’anno
Possiamo far ripartire l’economia risparmiando fino a 70 miliardi di euro l’anno. La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi. Il sistema è semplice: la Bce crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,25% e la banca pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente inferiori all’attuale 4%. Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare. Ecco i dettagli tecnici e la corrispondenza con la Bce. L’immagine che ognuno di noi ha dell’Italia è di un paese in cui “non ci sono soldi” e la spiegazione che ci viene fornita è che i governi da decenni spendono di più di quello che incassano, per cui l’accumulo dei deficit pubblici cronici ha creato un enorme debito rendendo necessaria l’austerità.In realtà, la causa dell’elevato debito pubblico, attualmente di 2.100 miliardi, sta nel fatto che negli ultimi trenta anni lo Stato italiano ha pagato più di 3.000 miliardi di interessi. La soluzione del problema è quindi ridurre il costo degli interessi sul debito ad un livello pari o inferiore all’inflazione, come accade in Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Cina o come si faceva anche in Italia fino al 1981. Il problema del debito pubblico non è, quindi, un problema di deficit eccessivi, ma di interessi eccessivi: ce lo dicono i dati. Basta notare che dal 1992-1993 le spese delle Stato in Italia sono sempre inferiori alle entrate e addirittura, se guardiamo alla situazione attuale nel mondo, l’Italia è oggi il paese in cui lo Stato ha il surplus di bilancio più alto! Il debito pubblico italiano è esploso di colpo tra il 1982 al 1993, quando la spesa per interessi passò da 35 a 156 miliardi (traslando le lire di allora in euro di oggi). Si può quindi sostenere che, a parità (presumibilmente) di sprechi e corruzione, il debito pubblico è raddoppiato in percentuale del Pil a causa della spesa per interessi.I deficit annui (differenza tra spese ed entrate) hanno oscillato intorno ad una media di 40 miliardi annui e in percentuale del Pil hanno oscillato dal 3% al 7%, ma la spesa per interessi è raddoppiata in quattro anni, dai 35 miliardi del 1980 ai 69,8 miliardi del 1984 e di nuovo è raddoppiata a 142 miliardi nel 1991 per toccare un picco a 157 miliardi nel 1992. Dal 1992 lo Stato italiano ha applicato politiche di austerità, cioè di aumento delle tasse, aumentando le sue entrate in modo da avere sempre un avanzo di bilancio (differenza tra spese ed entrate prima degli interessi). Nonostante più di venti anni di politiche di austerità, cioè di imposizione fiscale crescente iniziate con i governi Ciampi e Dini nei primi anni ’90, lo Stato non è poi più riuscito a ridurre il debito pubblico a causa della “rincorsa” degli interessi che si cumulavano. La ragione di questa esplosione di spesa per interessi è che nel 1981 è caduto l’obbligo della Banca d’Italia di comprare debito pubblico calmierandone gli interessi (e dal 1989 si è vietato formalmente, nel Trattato di Maastricht ogni finanziamento dello Stato da parte della sua banca centrale).La “Troika” (Ue, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario) e i governi Monti, Letta e ora Renzi, non menzionano mai, però, questo semplice fatto, che il debito pubblico si è cumulato a causa del fatto che lo Stato è stato costretto a finanziarsi sul mercato e quindi pagare interessi reali elevati, mentre prima usufruiva del finanziamento di Banca d’Italia che ne riduceva il costo ad un livello pari o inferiori all’inflazione e quindi il debito non si accumulava (in percentuale sul Pil). In aggiunta, come molti sanno, con l’euro circa metà dei Btp sono stati comprati da investitori esteri, per cui almeno metà degli interessi pagati sono usciti dalla nostra economia (a differenza di quanto avveniva fino a metà anni ’90). Detto in parole semplici, lo Stato italiano è stato obbligato a farsi prestare denaro a costi di interessi dettati dalle banche estere (diciamo dal mercato finanziario estero), quando invece avrebbe potuto continuare a farsi finanziare a costo zero dalla Banca d’Italia. Se quindi eliminiamo questo laccio finanziario che costringe all’austerità permanente, l’Italia potrebbe ridurre le tasse in modo sostanziale e tornare ad essere un paese con un’economia paragonabile agli altri paesi europei e non un caso quasi disperato di depressione economica come accade ora.La soluzione. Lo Stato italiano può invertire questo meccanismo e da subito. In apparenza non sembra possibile farlo senza uscire dall’euro e rompere i trattati europei perché l’Unione Europea ha vietato alla Banca Centrale Europea di finanziare l’acquisto diretto di titoli di Stato e l’unica azione che la Bce può fare è quella di creare denaro per prestarlo alle banche. E’ vero che la Bce ha anche comprato nel 2011-2012 titoli di Stato di paesi in difficoltà, ma come misura di emergenza e in misura molto limitata perché appunto è vincolata dai trattati europei (a differenza delle banche centrali dei paesi anglosassoni e asiatici). La Bce da quando è iniziata la crisi finanziaria nel 2008 ha però creato (“dal niente” e senza costi) circa 2,800 miliardi di euro e ha di recente fornito alle banche più di 1.000 miliardi ad un costo vicino a zero, usati da queste per comprare titoli di Stato a lunga durata come i Btp. In pratica le banche italiane hanno ricevuto prestiti ad un costo inferiore allo 0,5% con cui hanno comprato Btp che rendevano più del 4%.E’ evidente che se lo Stato potesse prendere a prestito dalla Bce lo stesso denaro che ha fornito alle banche a questo tasso, risparmierebbe decine di miliardi e del famoso “spread” non si sentirebbe più parlare, ma come sappiamo questa strada sembra sbarrata, oltre che dall’opposizione dei quattro paesi nordici, dai trattati europei che l’Italia ha firmato. In realtà il comma 2 dello stesso articolo 123 offre una scappatoia agli Stati dell’Eurozona, perché prevede che gli enti creditizi di proprietà pubblica possano anche loro ricevere finanziamenti dalla Bce. E poi niente impedisce che girino questi soldi allo Stato. Uno stato della Ue che controlli enti creditizi potrebbe farsi finanziare da loro i deficit, pagando un interesse vicino a quello che la Bce offre, cioè vicino allo zero e comunque non superiore all’inflazione. L’ideale sarebbe non continuare ad emettere Btp, ma utilizzare prestiti diretti, ad esempio a tre anni, che rispetto all’acquisto di Btp offrono il vantaggio che il loro valore a bilancio non oscilla di anno in anno a causa di andamenti di mercato e quindi elimina il problema degli attacchi speculativi sul Btp.Su un debito pubblico italiano attuale di circa 2.000 miliardi questo significa arrivare a pagare interessi per ad esempio 10-20 miliardi annui invece che gli oltre 80 miliardi attuali. Anche se occorre del tempo perchè man mano il debito a scadenza venga rifinanziato con prestiti diretti di banche pubbliche, in pratica l’effetto di “calmiere” sul mercato lo sentiresti da subito, perché il mercato finanziario si renderebbe conto che lo Stato italiano ha di nuovo accesso diretto alla liquidità. In pratica avresti un effetto calmieratore sul costo del debito simile a quello che ottengono in Giappone, Gran Bretagna, Stati Uniti con l’accesso diretto alla liquidità della loro banca centrale. La sostanza è che se il debito pubblico venisse man mano rifinanziato tramite prestiti diretti di banche pubbliche (che hanno accesso al finanziamento della Bce), il suo costo non verrebbe più determinato dal mercato finanziario. Si tornerebbe cioè alla situazione pre-1981, quando il costo del debito pubblico non era un problema perché era costantemente pari o inferiore all’inflazione.Va sottolineato che non ci sarebbe alcun rischio per le banche pubbliche, perché lo Stato italiano, al netto degli interessi, è un ottimo “pagatore”. Infatti lo Stato italiano sarebbe in attivo negli ultimi 20 anni di 500 miliardi di euro (sempre al netto degli interessi). E’ chiaro che è un ottimo cliente per qualsiasi banca e un banca pubblica può prestare senza fini di lucro, ad un costo che copra le sue spese amministrative. Senza contare che prestare allo Stato non è considerato nei regolamenti bancari europei un rischio che richiede di accantonare capitale e di conseguenza è possibile per le banche prestare 500 o 1.000 miliardi senza dover aumentare di un euro il loro capitale (cosa dimostrata dal programma di Draghi chiamato “Ltro” lanciato a fine 2012, in cui appunto le banche hanno comprato centinaia di miliardi di Btp senza accantonare alcun capitale addizionale).Esiste quindi la strada per lo Stato italiano per arrivare a risparmiare anche 70 miliardi di euro di interessi all’anno. Abbiamo voluto verificare questa possibilità, (applicata in Germania e Francia tramite due enti pubblici, rispettivamente Kfw e Bpi), contattando gli uffici dell’Unione Europea circa la fattibilità dell’utilizzo di banche pubbliche per finanziare lo Stato. La risposta ricevuta per email (a nome della Bce) è stata affermativa: «Il divieto di scoperto bancario e di altre forme di facilitazione creditizia in favore dei governi non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca Centrale Europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati». Inoltre, in riferimento a banche pubbliche: «Gli istituti di credito possono liberamente prestare i soldi ai governi o comprare i loro titoli di Stato, nonché prestare soldi a qualsiasi cliente».E’ quindi possibile per lo Stato italiano nazionalizzare una banca, la quale acceda alla liquidità della Bce e finanzi il suo debito ad un tasso di interesse appena superiore a quello applicato dalla Bce stessa e in ogni caso sempre molto inferiore a quello di mercato, che va ricordato è attualmente superiore del 3% all’inflazione. Stiamo parlando qui di come “trovare” non due o tre miliardi con l’Imu o qualche privatizzazione o risparmiando sulla sanità, le scuole, le infrastrutture, ma risparmiando sugli interessi, sulla rendita che da decenni lo Stato italiano paga a investitori esteri, banche e anche a investitori italiani. Si tratta alla fine di scegliere tra rendita finanziaria o lavoro e imprese. La rendita finanziaria ha incassato in trenta anni dallo Stato, lo ricordiamo ancora, più di 3.000 miliardi di euro di interessi, mentre le imprese e i lavoratori italiani venivano schiacciati da una tassazione soffocante, giustificata con il peso del debito pubblico di 2.000 miliardi, creato dall’accumularsi di questi interessi.Gli italiani devono rendersi conto che non è vero che “non si può fare niente” contro il peso del debito pubblico e delle tasse a causa dei trattati firmati e delle posizioni degli altri governi all’interno delle istituzioni europee. In realtà, un governo italiano competente e che abbia a cuore gli interessi degli italiani invece che del “mercato finanziario” può muoversi anche all’interno dei trattati europei. Il nostro, oltre che un articolo, è anche un appello ai cittadini italiani che trovino convincenti i fatti che abbiamo esposto e diffondano, ovunque possano, questa soluzione pratica al problema del debito, allo scopo di mettere la parola fine alle politiche di austerità che stanno soffocando l’economia italiana.(Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni, sintesi dell’intervento “Il debito pubblico è un problema di interessi, non di deficit eccessivi e si può risolvere”, ripreso dal blog di Marco Della Luna. L’intervento integrale include il carteggio intercorso con l’Unione Europea e la Bce. Analista finanziario, Giovanni Zibordi gestisce uno dei siti finanziari più noti in Italia, www.cobraf.com; Claudio Bertoni proviene dall’imprenditoria del settore equo-solidale).Possiamo far ripartire l’economia risparmiando fino a 70 miliardi di euro l’anno. La soluzione è scritta nell’articolo 123 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Il governo può creare una banca di proprietà statale che lo finanzi. Il sistema è semplice: la Bce crea il denaro e lo presta alla banca pubblica allo 0,25% e la banca pubblica lo presta allo Stato a tassi di interesse nettamente inferiori all’attuale 4%. Lo abbiamo chiesto all’Unione Europea e il 14 gennaio 2014 abbiamo ricevuto la risposta. Si può fare. Ecco i dettagli tecnici e la corrispondenza con la Bce. L’immagine che ognuno di noi ha dell’Italia è di un paese in cui “non ci sono soldi” e la spiegazione che ci viene fornita è che i governi da decenni spendono di più di quello che incassano, per cui l’accumulo dei deficit pubblici cronici ha creato un enorme debito rendendo necessaria l’austerità.
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Senza moneta siamo in agonia? Toseranno i risparmi
Non fate l’errore, cari lettori, di credere davvero che quella di Graziano Delrio sia stata la classica scivolata su una buccia di banana frutto dell’inesperienza. Non è così. Perché il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è tutto tranne che un politico inesperto: è furbo, preparato, e naviga a vari livelli nei marosi della politica attiva da qualche decennio. Se parla, sa cosa dice. E quando ha parlato di aumentare la tassazione sui Bot dall’attuale 12,5% – sottolinea Mauro Bottarelli – non ha dato fiato a una voce dal sen sfuggita: ha testato la piazza, su preciso mandato. «È come nel rugby: la prima mischia ordinata della partita serve a testare la consistenza del pacchetto avversario. Chi vince la prima, impone le regole tutta la partita. Magari non fisicamente, ma sicuramente psicologicamente».Non a caso, aggiunge Bottarelli su “Il Sussidiario”, il comunicato con cui Palazzo Chigi ha tentato di tamponare l’incidente diplomatico alla vigilia del voto di fiducia è la classica toppa peggio del buco: si dice infatti sì che l’intenzione non è quella di imporre nuove tasse bensì di abbassare quelle attuali, ma si parla anche di rimodulazione delle aliquote per finanziare l’abbattimento del cuneo fiscale. Quindi, non si esclude affatto che quel 12,5% possa diventare 15%. O magari 20%. Tanto, come ha detto Delrio, la vecchietta con i suoi Bot non starà male per questo. Tanto più che servirà a qualcosa di importante, ovvero l’abbattimento del costo del lavoro per aiutare i giovani a essere assunti e gli imprenditori ad assumere. «Un bel ricatto morale, fatto alla perfezione. Ce lo chiede l’Europa, mancava nel comunicato. Ma non tarderà a saltare fuori questa formula».Questo, insiste Bottarelli, è il governo dei curatori fallimentari, in missione per conto della Commissione Europea. Lo si capisce benissimo fin dalle prime battute, «al netto del nulla cosmico in cui si è sostanziato il discorso di Matteo Renzi al Senato, tra bambini che meritano scuole sicure e investimenti esteri mischiati insieme come in un frullato zuccheroso di buone intenzioni senza nemmeno una cifra o un provvedimento concreto». Per capire l’aria che tira, continua l’analista del “Sussidiario”, basta dare un’occhiata a quello che sta succedendo all’estero. Nel silenzio più assoluto, il governo austriaco ha appena reso noto che i detentori di bond di Hypo-Alde-Adria-Bank, nazionalizzata nel 2009, potrebbero non vedersi ripagato il capitale: questo avviene in Austria, non a Cipro o in Grecia.La decisione del governo toccherà solo i bond con garanzia della provincia della Carinzia, mentre quelli con garanzia federale pagheranno secondo le regole. Ma un nuovo modello, dopo quello cipriota del bail-in, sembra giunto in Europa a mostrare la via. «Ora, se il governo di un paese sano come l’Austria arriva a questo nei riguardi di un istituto nazionalizzato, a cosa potrà arrivare quello italiano, paese dove le banche hanno oltre il 12% di sofferenze sul totale dei prestiti e Monte dei Paschi dovrà essere nazionalizzata entro la fine dell’anno?». D’altronde, il governo Renzi «ha una genealogia lunga e tutta compresa nel documento segreto redatto dalla Commissione Europea, che la Reueters ha intercettato e letto». Eccone il punto fondamentale: «I risparmi dei 500 milioni di cittadini dell’Unione Europea saranno usati per finanziare investimenti a lungo termine per stimolare l’economia e contribuire a riempire il vuoto lasciato dalle banche dall’inizio della crisi finanziaria».Ufficialmente, la Commissione vuole “svezzare” le economie dei 28 paesi sudditi «dalla loro pesante dipendenza dai prestiti bancari, e trovare altri mezzi di finanziare le piccole imprese, i progetti infrastrutturali e altri investimenti». Tutto questo, in una situazione in cui – in previsione dell’unione bancaria – le banche temono gli stress test «che, se venissero condotti in maniera seria, vedrebbero una serie di bocciature capace gli spedire gli spread reali sulla luna». C’è poi la ricetta di Davide Serra, il guru finanziario di Renzi. Secondo Serra, «il primo problema è il debito sbilanciato: troppo debito pubblico, poco privato e poco delle aziende. Questo blocca la crescita». Serra, inoltre, propone anche l’abolizione del contante e il ricalcolo di tutte le pensioni, oggi modulate col sistema retributivo, per rimetterle al magrissimo sistema contributivo: «Il tutto – conclude Bottarelli – per dare i soldi in surplus ricavati alle imprese, sgravando le banche dal loro compito. In qualche modo, una redistribuzione forzosa dai vecchi ai giovani: tu chiamala, se vuoi, rottamazione».Da quando hanno preso i soldi dalla aste Ltro della Bce, le banche «stanno comprando debito pubblico come se non ci fosse un domani». Chiedere agli istituti di credito di finanziarie anche le imprese? «E’ troppo. Ci pensino i cittadini-contribuenti: attraverso le pensioni, la tassazione sui Bot, i tagli sulle detenzioni obbligazionarie e magari domani un bel prelievo forzoso sui conti correnti, come suggerito poco tempo fa dal Fmi». Certo, aggiunge l’analista, l’aver tenuto in piedi l’euro come moneta, agendo sul debito sovrano, ha comportato un prezzo alto da pagare, e non solo per la banche: si è fatto grippare del tutto il motore di creazione di credito in Europa. Il quale oggi è creato dalle banche, che lo fanno indebitandoci: così, la massa monetaria s’è ridotta all’1,5% annuo, ben sotto al target del 4,5% a cui fa riferimento la stessa Bce per mantenere l’inflazione al 2%, come detta il suo mandato.C’è però un problemino, reso noto da Eurostat: inflazione stabile a gennaio per l’Eurozona. Ovvero: la deflazione è dietro l’angolo. «Se non aumenta la massa monetaria, non sale l’inflazione: e Draghi non solo non è stato in grado di mantenere il suo target del 4,5% ma lo ha dimezzato, facendo scendere il tasso inflattivo sotto la metà dell’obiettivo prefissato del 2%». Avverte Bottarelli: «In queste condizioni, l’Italia muore. E i soldi vanno presi dove ci sono, ovvero nel risparmio dei cittadini, visto che le banche non prestano ad aziende non finanziarie, come mostra questo grafico. Preparatevi alla grande tosatura, cari lettori, il governo dei curatori fallimentari è qui per questo. E Delrio non è affatto lo sprovveduto che vogliono dipingere: ha tastato il polso, su mandato. Ora basterà uno scossone, un’emergenza a livello europeo, uno spavento sullo spread e tutto sarà possibile. Perché ce lo chiede l’Europa e lo farà con la faccia giovane, fresca e rassicurante di Matteo».Non fate l’errore, cari lettori, di credere davvero che quella di Graziano Delrio sia stata la classica scivolata su una buccia di banana frutto dell’inesperienza. Non è così. Perché il sottosegretario alla presidenza del Consiglio è tutto tranne che un politico inesperto: è furbo, preparato, e naviga a vari livelli nei marosi della politica attiva da qualche decennio. Se parla, sa cosa dice. E quando ha parlato di aumentare la tassazione sui Bot dall’attuale 12,5% – sottolinea Mauro Bottarelli – non ha dato fiato a una voce dal sen sfuggita: ha testato la piazza, su preciso mandato. «È come nel rugby: la prima mischia ordinata della partita serve a testare la consistenza del pacchetto avversario. Chi vince la prima, impone le regole tutta la partita. Magari non fisicamente, ma sicuramente psicologicamente».
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Gallino: elezioni europee per stracciare i trattati-capestro
Oltre all’Unione bancaria e al micidiale Ttip, il Trattato Transatlanco che “asfalterebbe” le residue tutele europee sul lavoro a unico vantaggio delle multinazionali, una delle maggiori minacce che da Bruxelles incombono sull’Italia è il Patto fiscale, avverte Luciano Gallino. Da quest’anno, il Fiscal Compact obbliga gli Stati contraenti a ridurre il debito pubblico al 60% del Pil o meno, al ritmo di un ventesimo l’anno. Il Pil italiano 2013 è stato di 1.560 miliardi. Il debito si aggira sui 2.060 miliardi, pari al 132% del Pil. Gli interessi sul debito superano i 90 miliardi l’anno, con tendenza a crescere, di cui 80 pagati con l’avanzo primario, cioè la differenza tra le tasse che lo Stato incassa e quello che spende in stipendi, beni e servizi. Per scendere alla quota richiesta dal Patto, che varrebbe 940 miliardi, bisognerebbe quindi recuperare 1.120 miliardi. Divisi per venti, fanno 56 miliardi l’anno. «Dove li prende tanti soldi, per quasi una generazione, uno Stato che ha incontrato gravi difficoltà al fine di trovare due o tre miliardi una tantum per eliminare l’Imu?».Per i neoliberisti, ciò che conta non è il valore assoluto del debito da scalare, bensì il rapporto debito-Pil. Ovvio: se il Pil italiano crescesse del 4% l’anno, cioè con un incremento di oltre 60 miliardi, il Fiscal Compact farebbe meno paura. Peccato però che – stando alle previsioni più ottimistiche – non si vada oltre l’1%. «Con questo tasso di crescita, risulta impossibile far fronte all’impegno assunto», scrive Gallino su “Micromega”, illustrando un possibile Piano-B. Per esempio: «Chiedere alla Ue di ridiscutere il trattato escludendo dal rapporto debito-Pil la colossale spesa per interessi». L’idea sbagliata è che, «a forza di contrarre la spesa pubblica, si arrivi a ripagare il debito». Attenzione: «Grazie a tale idea perversa, lo Stato italiano sottrae all’economia 80 miliardi l’anno, a causa di un iugulatorio avanzo primario usato solo per pagare gli interessi (e non tutti), facendo così precipitare il paese in una spirale inarrestabile di deflazione».In altre parole, «l’austerità imposta da Bruxelles sta soffocando l’economia italiana, dopo la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna». Tema decisivo, «da sottoporre al più presto a una discussione pubblica». Luogo perfetto, per parlarne: il Parlamento Europeo, «a condizione, ovviamente, di mandarci qualcuno il quale non pensi che l’austerità e il resto siano una cura mentre sono il malanno». La situazione è infatti palesemente insostenibile, e sarà ulteriormente aggravata dai nuovi trattati che la Ue si accinge a varare o che sono appena entrati in vigore. Trattati che «riguardano i salari pubblici e privati, i diritti del lavoro, le politiche sociali, lo stato della sanità pubblica, il sistema previdenziale, la sicurezza alimentare». Risultato: «La possibilità di una crisi economica ancora più grave dell’attuale». Le prossime elezioni europee? Fondamentali, per fermare almeno tre di questi trattati: oltre al Fiscal Compact, anche l’Unione bancaria e il Trattato Transatlanco.Sull’Unione bancaria, progettata per impedire che il costo di eventuali fallimenti ricada ancora sugli Stati, secondo Gallino la bozza approvata a dicembre è difettosa: da un lato affida troppo potere alla Bce, e dall’altro – con la scusa che non fa parte dell’Eurozona – esclude la Gran Bretagna, cioè «la maggior area finanzia del continente», con tre banche tra le prime 20 al mondo: Hsbc, Barclays e Royal Bank of Scotland totalizzano un attivo di 7.000 miliardi di dollari. Inoltre, il Regno Unito è il paese in cui, nella primavera 2008 (prima ancora che negli Usa), si verificarono i maggiori disastri bancari. Il meccanismo dell’Unione bancaria «è complicatissimo e può richiedere mesi per venire attivato, mentre una banca può entrare di crisi in un paio di giorni, e in altrettanti deve essere salvata o lasciata fallire». Il capitale che le banche stesse dovrebbero accantonare — con calma, entro il 2026 — per salvare le consorelle in crisi è di 55 miliardi: «Somma ridicola, se si pensa che il solo crollo della Hypo Real Estate nel 2009 costò al governo tedesco 142 miliardi». Il difetto peggiore? Secondo i teorici dell’Unione bancaria, la crisi apertasi nel 2008 è stata innescata da «difetti di regolazione del sistema bancario», piuttosto che da «un modello d’affari fondato sulla creazione esponenziale di debito».Sulla strada dell’Unione bancaria, per ora, sorge l’ostacolo del Parlamento Europeo: al disegno della Troika si oppone il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. «Ma di certo il suo compatriota-avversario Schäuble insisterà per ripresentarlo dopo le elezioni». Periodo in cui «sulla testa degli europei» comincerà a incombere il Ttip, cioè il “Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti”, un piano che procede da circa un anno, in modo super-riservato. Lo stanno sviluppando 600 super-lobbysti, a nome delle maggiori multinazionali del pianeta, “dialogando” con Washington e Bruxelles. L’accordo, sintetizza Gallino, «offre alle corporations Usa mano libera nella Ue, scavalcando qualsiasi legge che ostacoli le loro attività in Europa». Basti pensare che gli Usa «non hanno mai sottoscritto le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro concernenti la libertà di associazione sindacale, il diritto a contratti collettivi in tema di salari, la parità di retribuzione uomo-donna, il divieto di discriminazione sul lavoro a causa di differenze di etnia, religione, genere, opinione politica».Se il Ttip fosse approvato, conclude Gallino, «le migliaia di sussidiarie americane operanti in Europa potrebbero rifiutarsi di applicare tali convenzioni». Le multinazionali «potrebbero anche ignorare la legislazione europea in tema di ambiente, controlli sui generi alimentari, divieto di usare Ogm, sostanze nocive negli ambienti di lavoro», smantellando così l’attuale legislazione europea, «che nell’insieme è assai più avanzata di quella americana». Per questo, il Ttip è accusato da numerose Ong di essere «un progetto politico inteso ad asservire ancor più i lavoratori ai piani delle corporations, privatizzare il sistema sanitario e sopraffare qualsiasi autorità nazionale che volesse ostacolare il loro modo di agire». Contro questa minaccia potrebbe alzare la voce il nuovo Parlamento Europeo, anche in base a come andranno le elezioni di maggio, in collaborazione con lo stesso Congresso Usa: il leader della maggioranza democratica al Senato, Harry Reid, ha appena ha respinto la richiesta di Obama di adottare una “pista veloce” (fast track), rallentando così la discussione sul Ttip. Che resta sul piatto del nostro immediato futuro, insieme all’insostenibile Fiscal Compact e al progetto di di Unione bancaria. Domanda: la strada del nostro declino civile è già segnata o sarà possibile invertire la rotta?Oltre all’Unione bancaria e al micidiale Ttip, il Trattato Transatlanco che “asfalterebbe” le residue tutele europee sul lavoro a unico vantaggio delle multinazionali, una delle maggiori minacce che da Bruxelles incombono sull’Italia è il Patto fiscale, avverte Luciano Gallino. Da quest’anno, il Fiscal Compact obbliga gli Stati contraenti a ridurre il debito pubblico al 60% del Pil o meno, al ritmo di un ventesimo l’anno. Il Pil italiano 2013 è stato di 1.560 miliardi. Il debito si aggira sui 2.060 miliardi, pari al 132% del Pil. Gli interessi sul debito superano i 90 miliardi l’anno, con tendenza a crescere, di cui 80 pagati con l’avanzo primario, cioè la differenza tra le tasse che lo Stato incassa e quello che spende in stipendi, beni e servizi. Per scendere alla quota richiesta dal Patto, che varrebbe 940 miliardi, bisognerebbe quindi recuperare 1.120 miliardi. Divisi per venti, fanno 56 miliardi l’anno. «Dove li prende tanti soldi, per quasi una generazione, uno Stato che ha incontrato gravi difficoltà al fine di trovare due o tre miliardi una tantum per eliminare l’Imu?».
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Renzi stai sereno, con l’euro il tuo governo è già morto
Tragica cosa per le persone di questo paese, non per ’sto egocentrico servo della finanza europea. Renzi fallirà come un cretino qualsiasi. Perché neppure può provarci. Non sto provocando, è che la sua è una missione impossibile. Se non fosse ’sto pupazzo pompato che è, se conoscesse l’Eurozona e la macroeconomia, non si sarebbe cacciato in questo pasticcio (e badate che sto dicendo che pure i suoi padroni speculatori ci smeneranno il muso, perché ’sto gioco di creare una moneta unica per distruggere mezza Europa e fare un gran banchetto si è già ritorto contro chi l’ha pensato. Gli speculatori ci hanno fatto un po’ di fortune per pochi anni, ma sta finendo). Per prima cosa Renzi si ritrova senza sovranità monetaria, quindi senza nessuna delle leve economiche fondamentali di cui deve godere un governo degno di questo nome, e di cui godono gli Usa, la Gran Bretagna, la Svezia o il Giappone.Non ha una banca centrale che possa controllare inflazione, prezzo del denaro, tassi d’interesse, né monetizzare la spesa decisa dal Parlamento. Renzi non possiede una moneta, e deve usare gli euro, da restituire con tassi non decisi da lui ai mercati di capitali internazionali. Dovrà dunque tassarci a morte sempre, per fare quanto appena detto. Dovrà quindi mentire all’Italia fingendo col gioco delle tre carte di spostare fondi e investimenti essenziali (lavoro, infrastrutture, crescita) da qui a lì, per poi rimangiarseli tutti con gli interessi. Dovrà rispettare il pareggio di bilancio, che peggiora ciò che ho appena scritto. Ovvero: chemiotassazione garantita, impossibilità di investire per le aziende e tagli alla spesa. Qui abbiamo la garanzia della decapitazione di speranze di posti di lavoro, salari, pensioni, modernizzazione del paese, sanità, risparmi privati, piano industriale, risanamento bancario, crescita del Pil e domanda aggregata. Potrei finire qui, ce n’è già a sufficienza, ma purtroppo…Renzi si ritroverà in una spirale di deficit negativi mortali, cioè di tutte quelle spese di Stato imposte dalla crisi dell’Eurozona ma che non risolvono nulla, non producono nulla e che aumentano il debito di Stato. Per prima cosa l’economia continuerà a contrarsi, come è già previsto per l’Italia dal Fmi, Bloomberg, Ocse, Commissione Ue, e quindi calerà sempre il gettito fiscale, che quindi va a ingrandire il debito. L’economia impantanata significa che il miliardo di ore di cassa integrazione rimarranno e aumenteranno, pompando di nuovo il debito. I fallimenti aziendali non caleranno, la curva dei prestiti bancari insolventi aumenterà e le banche italiane, che già sono in parte fallite, dovranno essere ri-salvate, a suon di denaro pubblico, e ancora il debito sale. Assieme ad esso salgono gli interessi da pagare, sempre spesa di Stato, ancora più debito. Ma stando in Eurozona, un debito che lievita è grave (con la lira non lo sarebbe) perché porta all’allarme delle agenzie di rating, che porta all’allarme dei mercati di capitali che prestano a Renzi gli euro, che porta a tassi più alti sui titoli di Stato, che porta a più debito.Che farà Draghi a ’sto punto? Si metterà a comprarci i titoli di Stato per far scendere i nostri tassi? Farà cioè la famosa Outright Monetary Transaction? Se lo fa, la Germania lo ammazza. Non lo farà. Renzi rimane nel letame. Renzi si ritrova con un’economia che si è contratta del 18% dalla fine degli anni ’90. Per riportarci a quel livello di vita, dovrebbe riuscire a far crescere l’Italia del 20%. No, calma, visto che oggi cresciamo dello 0,1% se va bene…. il 20% fa ridere. Renzi non è Roosevelt e non ha la sua testa. Poi abbiamo il problema della deflazione che sta aggredendo tutta l’Eurozona, con la Bce disperata perché non sa più che fare per fermare il crollo dei prezzi (deflazione = contrario di inflazione). E quel che è peggio, è che in un clima di crisi di queste proporzioni la gente corre a risparmiare disperatamente per il timore del domani (mica scemi), ma questo sottrae denaro in circolo, cosa che non solo affama tutta l’economia, ma peggiora la deflazione stessa. Vorrei che capiste che questo è uno dei mali economici peggiori e che c’è tutta la tecnocrazia europea che non sa più come fermarlo. Immaginatevi Renzi, il bulletto del Pd.Renzi, poi, fra otto mesi si ritroverà l’implosione del sistema creditizio europeo, quando i test dei regolamentatori dell’Eba inevitabilmente mostreranno che alcune delle maggiori banche sono irrecuperabili. Da qui il terremoto delle piccole-medio banche, fra cui quelle italiane sono quelle messe peggio d’Europa sia come buchi di bilancio che come capitale di copertura. Prometeia stima che solo per i prestiti insolventi le banche italiane siano scoperte per 150 miliardi di euro. E chi le salva? E con che soldi? No, Renzi, la sovranità monetaria non ce l’hai, non le puoi nazionalizzare. Che fai? Chiami Benigni?Ma Renzi almeno ha la carta delle privatizzazioni… Vendi il vendibile, incassa l’incassabile. Funziona? No. Non ha funzionato in nessun paese del mondo, meno che meno da noi quando proprio il centro sinistra si mise negli anni ’90 a svendere pezzi di beni di Stato a un ritmo talmente forsennato che fece il record europeo delle privatizzazioni nel 1999. Sapete di quanto ridussero il debito di Stato italiano? Di un maestoso 8%. E allora i prezzi contrattati per i beni pubblici da alienare erano, circa, decenti. Oggi, con l’Italia sprofondata dall’Eurozona in una svalutazione della sua economia da piangere, Roma deve svendere a prezzi stracciati qualsiasi cosa offra, con margini che saranno patetici. Renzi, farà la Thatcher dei poveri.E la disoccupazione? Sapete cosa costa all’Italia avere il 12% (fasullo, è molto di più) di disoccupati? Trecentosessanta miliardi all’anno perduti. E i giovani? Il 76% di loro è costretto alla flessibilità, con limiti invalicabili all’acquisto di una casa o al matrimonio. L’Eurozona fu pensata ed edificata proprio per ridurre il sud Europa a un serbatoio di lavoratori pagati alla kosovara ma in strutture moderne. Il futuro di questi ragazzi è ormai certo: stipendi dai 600 agli 800 euro per i più qualificati, al lavoro per investitori stranieri. Questo non è più un economicidio, è un olocausto economico e generazionale, che Renzi dovrà gestire sotto l’egida della Germania che già oggi sta affossando il resto d’Europa coi suoi diktat criminosi. Tradotto in termini specifici: il potere neomercantile della mega-industria tedesca, quello della Bundesbank, quello dei maggiori speculatori-rentiers del mondo, contro Renzino da Firenze.Matteo, tu fai fesso qualcun altro. Perché è vero che ignori il 70% di tutto questo, ma sul restante 30% sei pienamente d’accordo, da bravo leader del partito di destra finanziaria peggiore d’Italia, il Pd. Conclusione. Renzi non si rende conto di cosa lo aspetta, ma soprattutto del fatto che la catastrofe dell’economia italiana è un MACROPROBLEMA STRUTTURALE nell’Eurozona, e finché esisteranno i parametri economicidi dell’euro non esiste salvezza. Il governo Renzi è morto prima di nascere. Poi, sapete, uno si stufa di scrivere sempre le stesse cose.(Paolo Barnard, “L’Eurozona ha già ucciso il governo Renzi”, dal blog di Barnard del 18 febbraio 2014).Tragica cosa per le persone di questo paese, non per ’sto egocentrico servo della finanza europea. Renzi fallirà come un cretino qualsiasi. Perché neppure può provarci. Non sto provocando, è che la sua è una missione impossibile. Se non fosse ’sto pupazzo pompato che è, se conoscesse l’Eurozona e la macroeconomia, non si sarebbe cacciato in questo pasticcio (e badate che sto dicendo che pure i suoi padroni speculatori ci smeneranno il muso, perché ’sto gioco di creare una moneta unica per distruggere mezza Europa e fare un gran banchetto si è già ritorto contro chi l’ha pensato. Gli speculatori ci hanno fatto un po’ di fortune per pochi anni, ma sta finendo). Per prima cosa Renzi si ritrova senza sovranità monetaria, quindi senza nessuna delle leve economiche fondamentali di cui deve godere un governo degno di questo nome, e di cui godono gli Usa, la Gran Bretagna, la Svezia o il Giappone.
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Renzi? Bugiardo e pericoloso: ha troppi padroni potenti
«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italianiQuando negli anni ‘80 Michael Ledeen varcava l’ingresso del dipartimento di Stato, ricorda Franco Fracassi su “Popoff”, chiunque avesse dimestichezza con il potere di Washington sapeva che si trattava di una finta: quello, per lo storico di Los Angeles, rappresentava solo un impiego di facciata, per nascondere il suo reale lavoro. E cioè: consulente strategico per la Cia e per la Casa Bianca. «Ledeen è stato la mente della strategia aggressiva nella Guerra Fredda di Ronald Reagan, è stato la mente degli squadroni della morte in Nicaragua, è stato consulente del Sismi negli anni della Strategia della tensione, è stato una delle menti della guerra al terrore promossa dall’amministrazione Bush, oltre che teorico della guerra all’Iraq e della potenziale guerra all’Iran, è stato uno dei consulenti del ministero degli Esteri israeliano. Oggi – aggiunge Fracassi – Michael Ledeen è una delle menti della politica estera del segretario del Partito democratico Matteo Renzi».Forse è stato anche per garantirsi la futura collaborazione di Ledeen che l’allora presidente della Provincia di Firenze si recò nel 2007 al dipartimento di Stato Usa «per un inspiegabile tour». Non è un caso, continua Fracassi, che il segretario di Stato Usa John Kerry abbia più volte espresso giudizi favorevoli nei confronti di Renzi. Ma sono principalmente i neocon ad appoggiare Renzi dagli Stati Uniti. Secondo il “New York Post”, ammiratori del sindaco di Firenze sarebbero gli ambienti della destra repubblicana, legati alle lobby che lavorano per Israele e per l’Arabia Saudita. «In questa direzione vanno anche il guru economico di Renzi, Yoram Gutgeld, e il suo principale consulente politico, Marco Carrai, entrambi molti vicini a Israele». Carrai, scrive Fracassi, ha addirittura propri interessi in Israele, dove si occupa di venture capital e nuove tecnologie. «Infine, anche il suppoter renziano Marco Bernabè ha forti legami con Tel Aviv, attraverso il fondo speculativo Wadi Ventures». Suo padre, Franco Bernabè, fino a pochi anni fa è stato «arcigno custode delle dorsali telefoniche mediterranee che collegano l’Italia a Israele».Forse aveva ragione l’ultimo cassiere dei Ds, Ugo Sposetti, quando disse: «Dietro i finanziamenti milionari a Renzi c’è Israele e la destra americana». O perfino Massimo D’Alema, che definì Renzi il terminale di «quei poteri forti che vogliono liquidare la sinistra». Dietro Renzi, continua Fracassi, ci sono anche i poteri forti economici, a partire dalla Morgan Stanley, una delle banche d’affari responsabile della crisi mondiale. «Davide Serra entrò in Morgan Stanley nel 2001, e fece subito carriera, scalando posizioni su posizioni, in un quinquennio che lo condusse a diventare direttore generale e capo degli analisti bancari». Una carriera, quella del giovane broker italiano, punteggiata di premi e riconoscimenti per le sue abilità di valutazione dei mercati. «In quegli anni trascorsi dentro il gruppo statunitense, Serra iniziò a frequentare anche i grandi nomi del mondo bancario italiano, da Matteo Arpe (che ancora era in Capitalia) ad Alessandro Profumo (Unicredit), passando per l’allora gran capo di Intesa-San Paolo Corrado Passera».Nel 2006 Serra decise tuttavia che era il momento di spiccare il volo. E con il francese Eric Halet lanciò Algebris Investments. Già nel primo anno Algebris passò da circa 700 milioni a quasi due miliardi di dollari gestiti. L’anno successivo Serra, con il suo hedge fund, lanciò l’attacco al colosso bancario olandese Abn Amro, compiendo la più importante scalata bancaria d’ogni tempo. Poi fu il turno del banchiere francese Antoine Bernheim a essere fatto fuori da Serra dalla presidenza di Generali, permettendo al rampante finanziere di mettere un piede in Mediobanca. Definito dall’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani «il bandito delle Cayman», Serra oggi ha quarantatré anni, vive nel più lussuoso quartiere di Londra (Mayfair), fa miliardi a palate scommettendo sui ribassi in Borsa (ovvero sulla crisi) ed è «il principale consulente finanziario di Renzi, nonché suo grande raccoglietore di denaro, attraverso cene organizzate da Algebris e dalla sua fondazione Metropolis».E così, nell’ultimo anno il gotha dell’industria e della finanza italiane si è schierato dalla parte di Renzi. A cominciare da Fedele Confalonieri che, riferendosi al sindaco di Firenze, disse: «Non saranno i Fini, i Casini e gli altri leader già presenti sulla scena politica a succedere a Berlusconi, sarà un giovane». Poi venne Carlo De Benedetti, con il suo potentissimo gruppo editoriale Espresso-Repubblica («I partiti hanno perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l’ha»). E ancora, Diego Della Valle, il numero uno di Vodafone Vittorio Colao, il fondatore di Luxottica Leonardo Del Vecchio e l’amministratore delegato Andrea Guerra, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera con la moglie Afef, l’ex direttore di Canale 5 Giorgio Gori, il patron di Eataly Oscar Farinetti, Francesco Gaetano Caltagirone, Cesare Romiti, Martina Mondadori, Barbara Berlusconi, il banchiere Claudio Costamagna, il numero uno di Assolombarda Gianfelice Rocca, il patron di Lega Coop Giuliano Poletti, Patrizio Bertelli di Prada e Fabrizio Palenzona di Unicredit.Fracassi cita anche il Monte dei Paschi di Siena, collegato al leader del Pd attraverso il controllo della Fondazione Montepaschi gestita dal renziano sindaco di Siena Bruno Valentini. Con Renzi anche l’amministratore delegato di Mediobanca, Albert Nagel, erede di Cuccia nell’istituto di credito. «Proprio sul giornale controllato da Mediobanca, il “Corriere della Sera”, da sempre schierato dalla parte dei poteri forti, è arrivato lo scoop su Monti e Napolitano, sui governi tecnici. Il “Corriere” ha ripreso alcuni passaggi dell’ultimo libro di Alan Friedman, altro uomo Rcs. Lo scoop ha colpito a fondo il governo Letta e aperto la strada di Palazzo Chigi a Renzi». Fracassi conclude citando il defunto segretario del Psi, Bettino Craxi, che diceva: «Guarda come si muove il “Corriere” e capirai dove si va a parare nella politica».Gad Lerner, recentemente, ha detto: «Non troverete alla Leopolda i portavoce del movimento degli sfrattati, né le mille voci del Quinto Stato dei precari all’italiana. Lui (Renzi) vuole impersonare una storia di successo. Gli sfigati non fanno audience». Ormai è tardi per tutto: il Pd – già in coma, da anni – si è completamente arreso all’ex Rottamatore. «Dove mai andrà il “voto utile” in mano a Renzi? In quale manovra di palazzo, in quale strategia dell’alta finanza verrebbe bruciato? In quale menzogna da Piano di rinascita democratica?», si domanda Pino Cabras. «Ogni complicità con il nuovo Sovversore dall’alto diventa intollerabile ogni minuto di più». Fine della cosiddetta sinistra italiana. Fuori tempo massimo, ora, «in tanti saranno costretti ad aprire gli occhi, e a comprendere la differenza fra militanti e militonti. Ma hanno riflessi troppo lenti. La riscossa – a trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer – passerà da altre parti».«Matteo Renzi è un mentitore pericoloso», taglia corto Pino Cabras su “Megachip”. «Ha illuso milioni di elettori con la narrazione del Rottamatore, ma ha rottamato solo chi gli si opponeva, imbarcando ogni genere di boss e sotto-boss nella sua scalata». Una lunga sequenza di menzogne: aveva «dichiarato solennemente di non voler andare a Palazzo Chigi senza legittimazione popolare», mentre ora – abbattendo Letta – disegna il nuovo scenario «con un Parlamento eletto con una legge incostituzionale», peraltro peggiorata con l’aiuto del Cavaliere, «con il quale – altra bugia per prendere i voti – diceva che non si potevano mai fare accordi». Il nuovo capo del Pd tradisce sistematicamente chi gli ha dato fiducia? «Certo, Renzi ha un disegno. Ma questo disegno non è nelle mani di alcuno che gli abbia dato fiducia dal basso. È nelle mani dei veri potenti che detengono le cambiali politiche che Renzi ha firmato durante la fase ascendente della sua parabola». E gli “azionisti” di Renzi non sono soltanto italiani.
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La Germania sta spolpando le nostre migliori aziende
«Si chiama Spirale della Deflazione Economica Imposta. Ne ho scritto per la prima volta 4 anni fa ne “Il Più Grande Crimine”», ricorda Paolo Barnard. «Dissi che la Germania e la Francia avevano progettato la distruzione dei paesi industrializzati del sud Europa con l’adozione dell’euro, in particolare dell’Italia, perché era la Piccola Media Impresa italiana che aveva stroncato quella tedesca, al punto che nel 2000, prima dell’euro, l’Italia era il maggior produttore e la Germania l’ultimo (dati Banca d’Italia)». Oggi lo scenario si è ribaltato, puntualmente. E le imprese tedesche vengono a fare shopping da noi, perché «in quel comparto industriale abbiamo il miglior sapere al mondo». E, grazie alla trappola dell’euro, che ha «deprezzato l’economia italiana a livello albanese», i tedeschi comprano le aziende italiane a prezzi stracciati. Lo conferma un recente report del “Financial Times”: «Le piccole medie imprese tedesche si sono gettate in un’abbuffata trans-alpina, rendendole le più attraenti acquirenti straniere in Europa di aziende italiane».«Aziende della base industriale del Mittelstand tedesco ottengono accesso al sapere tecnologico di aziende italiane in difficoltà, mentre in alcuni casi spostano i loro quartieri generali oltr’alpe», scrive il quotidiano finanziario il 27 gennaio, sottolineando l’importanza del “sapere tecnologico italiano”. «Le aziende tedesche stanno afferrando opportunità d’espansione mentre la recessione sospinge verso il basso il prezzo degli affari nel sud Europa in difficoltà». Per Barnard, è esattamente «la Spirale della Deflazione Economica Imposta, per comprarci con due soldi» grazie alle restrizioni promosse dal sistema Ue-Bce. Marcel Fratzscher, direttore dell’istituto economico tedesco Diw, ammette che il terreno di caccia del business tedesco è soprattutto l’area in crisi, dove i tedeschi possono “aiutare” le piccole e medie aziende italiane, che «spesso faticano a ottenere credito». Ovvio: «A noi la Germania ha proibito di avere una “banca pubblica” come la tedesca Kfw», protesta Barnard. Una banca che, «barando sui deficit di Stato tedeschi, ha versato miliardi in crediti alle aziende tedesche».«Le acquisizioni – continua il “Financial Times – sono spesso descritte come accordi strategici, ma degli insider ci dicono che il linguaggio nasconde una serie di acquisizioni aggressive». Di fatto, è la “conquista” di aziende italiane, contro la volontà dei proprietari italiani costretti a vendere. «In alcuni casi gli accordi sono strutturati in modo che il marketing e il management sono esportati dall’Italia, spogliando l’azienda acquistata fino alle sue strutture produttive». Carlos Mack, di Lehel Invest Bayern, dice al “Financial Times” che la logica dietro al trasferimento delle sedi delle aziende italiane «è di avere sia i beni di valore che il marketing e il management in Germania, perché così si ha accesso più facile al credito bancario da banche non italiane». Sempre Mack dice che le aziende tedesche «non sono interessate al mercato italiano, ma solo al prodotto italiano». Ovvero, «sono interessate a vendere il prodotto italiano altrove». Per Barnard, è «la conferma che noi abbiamo le più straordinarie piccole medie imprese del mondo, e ora ci portano via i gioielli della nostra produzione».«A differenza delle aziende italiane – continua il “Financial Times” – le tedesche hanno poche difficoltà a trovare crediti». Una ricerca ha evidenziato che «le banche italiane lavorano bene con le succursali tedesche in Italia, facendogli credito, per proteggersi dai loro investimenti nelle aziende italiane in difficoltà». Ma come, non erano in difficoltà le nostre banche? «Perché prestano ai tedeschi e non a noi?». E’ un “trucco”, innescato dalla Deflazione Economica Imposta dall’euro: «Le nostre aziende affogano, quindi le banche italiane strangolano le aziende italiane perché sono in difficoltà, e arrivano i tedeschi a papparsi i nostri marchi di prestigio a 2 soldi, e le banche italiane ci fanno affari». Norbert Pudzich, direttore della Camera di Commercio Italo-Tedesca a Milano, dice che anche prima della recessione le aziende italiane avevano difficoltà a trovare crediti, perché ad esse manca lo stretto rapporto con le banche “di casa”, che invece le aziende tedesche del Mittelstand hanno. Infatti, osserva Barnard, la stessa Kfw «ha versato miliardi di euro di spesa pubblica sottobanco alle aziende tedesche, barando, mentre costringevano noi a rantolare senza un centesimo dal governo».«Tutto questo – conclude Barnard – io lo denunciai 4 anni fa, e mi davano del pazzo. Questa è la distruzione pianificata di una civiltà, quella italiana, delle nostre famiglie, dei nostri ragazzi. Questo è un crimine contro l’umanità, perché lo stesso accade in altri paesi europei. Questo è nazismo economico». I tedeschi? «Non cambieranno mai», sono «sterminatori nell’anima», andrebbero «commissariati dall’Onu per sempre». Barnard l’ha ripetuto in decine di conferenze, mostrando una slide dell’“Economist”: ora, con la nostra economia retrocessa a condizioni da terzo mondo «proprio a causa dell’Eurozona voluta da Germania e Francia», la Germania e altre potenze vengono a rastrellare aziende italiane pagandole quattro soldi. Tutto previsto: era un piano preciso. Se cessi di immettere denaro nel sistema, proibendo allo Stato di spendere, vince chi bara – in questo caso la Germania, in cu lo Stato finanzia (di nascosto) le aziende, creando un enorme vantaggio competitivo, completamente sleale. La politica italiana? Non pervenuta. E’ per questo che i “predatori” hanno campo libero. E il paese precipita.«Si chiama Spirale della Deflazione Economica Imposta. Ne ho scritto per la prima volta 4 anni fa ne “Il Più Grande Crimine”», ricorda Paolo Barnard. «Dissi che la Germania e la Francia avevano progettato la distruzione dei paesi industrializzati del sud Europa con l’adozione dell’euro, in particolare dell’Italia, perché era la Piccola Media Impresa italiana che aveva stroncato quella tedesca, al punto che nel 2000, prima dell’euro, l’Italia era il maggior produttore e la Germania l’ultimo (dati Banca d’Italia)». Oggi lo scenario si è ribaltato, puntualmente. E le imprese tedesche vengono a fare shopping da noi, perché «in quel comparto industriale abbiamo il miglior sapere al mondo». E, grazie alla trappola dell’euro, che ha «deprezzato l’economia italiana a livello albanese», i tedeschi comprano le aziende italiane a prezzi stracciati. Lo conferma un recente report del “Financial Times”: «Le piccole medie imprese tedesche si sono gettate in un’abbuffata trans-alpina, rendendole le più attraenti acquirenti straniere in Europa di aziende italiane».
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Electrolux, ricatto asimmetrico: addio operai italiani
Nella «lotta di classe asimmetrica» scatenata dalla multinazionale svedese Electrolux, i lavoratori sono ridotti a variabile marginale. Stoccolma, osserva Gad Lerner, ha il potere di giocarsi gli operai polacchi contro gli operai italiani. E inoltre può mettere ogni stabilimento a rischio chiusura in competizione con l’altro, azionando così una corsa al ribasso no limits del costo della manodopera. Libera concorrenza senza regole e su un orizzonte mondiale. Stesso obiettivo, ovunque: svincolarsi dai contratti localmente stipulati con la parte più debole. E quindi si tagliano gli stipendi, anche «se ciò comporta una vera e propria retrocessione di civiltà». Prendere o lasciare. «Parliamoci chiaro: se il ricatto occupazionale dovesse funzionare all’Electrolux, costringendo i sindacati ad accettare per cause di forza maggiore un taglio generalizzato dei salari, dal giorno dopo le ripercussioni si manifesterebbero su tutto il sistema manifatturiero italiano.Decisiva, scrive Lerner su “Repubblica” in un post ripreso da “Megachip”, è «la nuova centralità finanziaria del rapporto creditore/debitore», centralità che «prosciuga le risorse pubbliche necessarie all’esercizio della mediazione nel più antico conflitto capitale/lavoro». Così, «la lotta di classe diviene asimmetrica». E il lavoro, «reso precario, tende a precipitare sempre più spesso nella povertà». Se la casamadre di Stoccolma l’avrà vinta sugli operai italiani, «migliaia di aziende in difficoltà» seguiranno l’esempio del battistrada svedese, «generando un’imponente decurtazione di reddito a danno di lavoratori che già percepiscono salari al di sotto della media europea». È vero che il costo del lavoro pesa in misura eccessiva sui bilanci delle nostre imprese, «ma la scorciatoia escogitata – tagliare i salari, altrimenti chiudiamo gli stabilimenti – sortirebbe effetti sociali ed economici dirompenti».Nessuna indicazione utile dal Pd di Renzi: in questa drammatica circostanza, continua Lerner, «aiuta poco il Jobs Act che si voleva sfoderare in campagna elettorale, perché nulla dice sul bivio cui siamo giunti: cosa deve rispondere, il governo, a una multinazionale che per restare nel nostro paese pretende la sospensione del contratto nazionale e dei patti integrativi vigenti?». La richiesta brutale dell’Electrolux suscita reazioni opposte se la si guarda benevolmente dalla city di Londra, come il finanziere renziano Davide Serra che definisce «razionale» lo scambio fra decurtazioni salariali e salvaguardia occupazionale; o viceversa se la si guarda dal Friuli condannato a perdere 1.100 posti di lavoro, come tocca all’altrettanto renziana Debora Serracchiani, schierata con i “suoi” operai di Pordenone. Forse, Renzi «non si rende conto che il dilemma degli operai polacchi d’Italia, sbattuto in faccia alla politica, non è di quelli aggirabili con dei ghirigori verbali. Al contrario, è la priorità delle priorità».Le statistiche sulla ricchezza nazionale divulgate dalla Banca d’Italia ci confermano che stiamo vivendo una metamorfosi sociale, con l’acuirsi delle disuguaglianze e la diffusione della povertà. Ma ancora non fotografano a sufficienza il dato nuovo rappresentato dall’estendersi dell’area che i sociologi definiscono “labouring poor”: ovvero i titolari di un posto di lavoro fisso, la cui busta paga però non li sottrae all’indigenza. Condizione che verrebbe generalizzata da eventuali accordi consensuali di taglio dei salari, che finirebbero per «suggellare una gigantesca opera di espropriazione di ricchezza ai danni del lavoro dipendente, già in atto da anni in tutto l’Occidente». Se l’Italia dovesse quindi subire il ricatto della multinazionale svedese, le conseguenze sarebbero gravissime. «La lotta di classe asimmetrica produce solo declassati e secerne rancore», conclude Lerner. «Sottoscrivere oggi un taglio dei salari significa mettere a repentaglio una già fragile democrazia».Nella «lotta di classe asimmetrica» scatenata dalla multinazionale svedese Electrolux, i lavoratori sono ridotti a variabile marginale. Stoccolma, osserva Gad Lerner, ha il potere di giocarsi gli operai polacchi contro gli operai italiani. E inoltre può mettere ogni stabilimento a rischio chiusura in competizione con l’altro, azionando così una corsa al ribasso no limits del costo della manodopera. Libera concorrenza senza regole e su un orizzonte mondiale. Stesso obiettivo, ovunque: svincolarsi dai contratti localmente stipulati con la parte più debole. E quindi si tagliano gli stipendi, anche «se ciò comporta una vera e propria retrocessione di civiltà». Prendere o lasciare. «Parliamoci chiaro: se il ricatto occupazionale dovesse funzionare all’Electrolux, costringendo i sindacati ad accettare per cause di forza maggiore un taglio generalizzato dei salari, dal giorno dopo le ripercussioni si manifesterebbero su tutto il sistema manifatturiero italiano.
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Vattimo: i grillini han ragione, per questo fanno paura
Lasciatelo dire a me, che non meno di un mese fa, all’annuncio che, in nome del mio comunismo ermeneutico, avrei voluto candidarmi alle elezioni europee con i Cinque Stelle, sono stato oggetto di una durissima campagna telematica da parte di militanti del Movimento che non mi hanno risparmiato nessuna delle ingiurie che ora scandalizzano tanto la stampa di regime. Le ingiurie e gli insulti, sessisti e no (ma non mi hanno nemmeno rinfacciato di essere gay, peraltro), non mi fanno piacere, e credo che in generale siano controproducenti, come insegna il caso Berlusconi, che dalle sue malefatte sessual-politico-barzellettesche ha sempre tratto enormi vantaggi in termini di popolarità anche elettorale.Ma il diluvio di accuse, insulti, deprecazioni, allarmi in difesa della democrazia, che tutti i media dell’arco “costituzionale” rovesciano ogni mattina su Grillo il suo movimento non dovrebbero più lasciare indifferenti i benpensanti. I quali non possono non vedervi la prova che i grillini hanno ragione da vendere, e per questo il mondo dell’informazione mainstream ne ha tanta paura. Come si fa a qualificare a gran voce come “sgangherata” la costituzionalissima richiesta di messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, che a partire dalla nomina di Monti a senatore a vita e poi a primo ministro non avrà attentato alla Costituzione, ma l’ha almeno applicata con molta elasticità e arbitrarietà, sempre nello spirito di un atlantismo addirittura servile (pensiamo alla grazia per il colonnello Romano).Fino all’ultimo decreto che, dopo tanti altri, ha lasciato passare senza battere un colpo, alla faccia della manifesta disomogeneità tra l’Imu e il regalo alle banche, non mitigato nemmeno da un richiamo al dovere di sostenere l’economia con una politica creditizia meno rapinatoria. Quanto all’ostruzionismo, che qualche zelante democratico ha addirittura pensato di perseguire penalmente, sarebbe il caso di capire che mentre si chiude sempre più un blocco renziano-berlusconiano teso a perpetuare il regime delle larghe intese che strangolano la nostra economia, è fin troppo poco ciò che si è visto in Parlamento. La legge elettorale che si progetta è l’anticamera del regime, una sorta di legge truffa costituzionalizzata, come il Fiscal Compact che minaccia di ridurci alla miseria e forse alla guerriglia urbana. Salviamoci almeno dall’ipocrisia dei tanti democratici di complemento che si stracciano le vesti in nome della dignità di un Parlamento che sembra sempre più avviato a una indecorosa eutanasia.(Gianni Vattimo, “M5S, i grillini hanno ragione da vendere. Per questo fanno paura”, da “Il Fatto Quotidiano” del 4 febbraio 2014).Lasciatelo dire a me, che non meno di un mese fa, all’annuncio che, in nome del mio comunismo ermeneutico, avrei voluto candidarmi alle elezioni europee con i Cinque Stelle, sono stato oggetto di una durissima campagna telematica da parte di militanti del Movimento che non mi hanno risparmiato nessuna delle ingiurie che ora scandalizzano tanto la stampa di regime. Le ingiurie e gli insulti, sessisti e no (ma non mi hanno nemmeno rinfacciato di essere gay, peraltro), non mi fanno piacere, e credo che in generale siano controproducenti, come insegna il caso Berlusconi, che dalle sue malefatte sessual-politico-barzellettesche ha sempre tratto enormi vantaggi in termini di popolarità anche elettorale.
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Ghigliottina esangue: perché la Boldrini deve dimettersi
Dev’essere tutta colpa del nipote di Magozurlì, quel tal Carloconti che imperversa la sera su Rai-uno trainando l’ascolto del Tiggì più caro agli italiani con un programma – l’eredità – in cui una ghigliottina cala sul gruzzolo dei concorrenti che si sono sudati la vincita rispondendo a domande impegnative sostenendo che Hitler salì al cancellierato di Germania nel 1970… Il ritorno di moda di una “invenzione” talmente micidiale che ne finì vittima persino il suo ideatore deve aver affascinato una predestinata ad alte cariche istituzionali come la presidente protempore della Camera dei deputati. La butto sull’ironico perché ho letto attentamente e con rispetto una lunga e profonda discussione che alcuni “amici” si sono scambiati sul mio “profilo facebook” scatenata da un post che a mia volta avevo condiviso dal social network.Dico subito che stimo molto coloro che conosco (al di la dell’“amicizia virtuale”) e che altrettanta stima ritengo si debba accordare anche a chi non conosco personalmente ma vedo che si appassiona a ragionare – (oggi!) – di democrazia a rischio! Ma francamente non immaginavo di provocare tanta rovente discussione, raccogliendo la segnalazione di un pezzo uscito su un blog dichiaratamente caustico nei confronti di tutto ciò che pretende di essere “politicamente corretto”. Qualunque commento rischia quindi di essere inadeguato, ma se non lo si fa nell’arena virtuale – potendosi sbagliare e correggere senza aver provocato danni irreparabili – non vedo come si possa auspicare che ciò possa avvenire nelle assemblee elettive di ogni ordine e grado. In tali consessi infatti tutti, anche i migliori, devono difendere la propria squadra non fosse altro in quanto strumento per lavorare al conseguimento dei più nobili obiettivi.Io non conosco la Boldrini se non attraverso la stima di persone che ci hanno avuto direttamente a che fare nella delicata esperienza legata alla sorte degli “ultimi”, dei migranti vittima di tante tragedie consumatesi nella indifferenza quando non nell’ostilità di buona parte dell’opinione pubblica. Ma a maggior ragione chi ha alle spalle quel tipo di storia non può permettersi di “dare scandalo” quando cambia mestiere: io non so e non mi permetto di dire che meglio sarebbe stato se si fosse legata una pietra al collo piuttosto che azionare – per la prima volta in Italia – la lama di una ghigliottina. E non è possibile cavarsela dicendo che non è corso sangue e nessuna testa è caduta nella cesta.Io sto ai fatti perché, mentre “la cosa” stava succedendo, quello che lei ha fatto passare stroncando l’“abominevole ostruzionismo grillino” (ma anche di alcuni suoi “ex compagni” di Sel e degli eletti di Fratellid’italia) è un provvedimento incoerente come tutti i decreti che lo hanno preceduto, un pezzo del quale poteva anche aver requisiti di “necessità e urgenza”, quello relativo alla soppressione dell’Imu, giusta o sbagliata che sia, ma l’altro – il grazioso regalo alle peggio banche italiane e non (vedi Unicredit) – oltre ad essere a dir poco discutibile era sicuramente rinviabile (e proprio con lo scopo di poterne discutere fino in fondo). E’ di queste stesse ore la notizia dell’apposizione di una sorta di segreto di Stato sulla richiesta di Bruxelles che il Monte dei Paschi di Siena restituisca 3 dei 4 miliardi di aiuti ottenuti dal Governomonti…Ora, mentre quel che arriva dalla Commissione Ue diventa sacro e immediatamente esecutivo se si tratta di tagliare pensioni, rientrare dal deficit eccessivo o rinunciare alla italianità della mozzarella, ecco che su questa “trascurabile raccomandazione” cala il più classico dei silenzi assordanti. Che le banche siano importanti (che sia fondamentale che tornino a svolgere la funzione del credito per cui si può considerare un bene da difendere anche la loro “italianità” alla faccia della globalizzazione) è fuor di dubbio. Ma quale uso sia meglio fare di sette miliardi e mezzo di riserve valutarie della Banca d’Italia deve essere materia su cui l’opposizione possa esercitare il diritto regolamentarmene disciplinato ad opporsi. Differentemente tale decisione, come quella su Mps o l’acquisto degli F-35 diventano prerogativa dell’Abi o una scelta insindacabile dell’esecutivo, o materia del Comitato per la Difesa Nazionale presieduto da un post-comunista che si è fatto monarca!Cose ognuna delle quali rappresenta un delitto contro la democrazia assai più grave di turpiloquio, sessismo, e – secondo me – persino delle più volgari e vergognose minacce. Che condanno, sia chiaro, come hanno fatto anche molti eletti a 5stelle – nonostante l’“obbligo di difesa della casamadre” cui ho fatto cenno. Ma che sono il sintomo, non la causa della malattia. Come lo è il tentativo (sin qui fallito) dei forconi che magari (come qualcuno paventava) credevano di avere dalla loro poliziotti e camionisti, ma non sapevano che i primi si sono tolti il casco per ravviarsi i capelli e i secondi erano garantiti da Palenzona & Lupi che di banche, pedaggi autostradali e rimborsi delle accise sul gasolio sono da sempre “razzapadrona”.Ora io credo che se la Boldrini non perde occasione per rincarare la dose affermando (virgolettato) che quello dei parlamentari 5stelle è stato un “attacco eversivo”, farebbe bene a dimettersi senza bisogno che glielo chieda nessuno, perché non può non sapere che sta seduta su una polveriera incomparabilmente più destabilizzante, i cui fuochisti sono quelli che hanno manovrato i pentiti per depistare i magistrati dallo scoprire chi sono stati se non i mandanti almeno i complici “istituzionali” dalle stragi di Capaci e via d’Amelio; perché è circondata da lobbysti che decidono indisturbati in che modo usare le risorse pubbliche per i loro affari privati e quali emolumenti attribuirsi.Allora delle due l’una: o ammetti di essere inadeguato per un ruolo imparziale e ne trai le conseguenze o sei complice di un disegno che è eversivo (quello sì) di quella stessa Costituzione su cui hai giurato. E siccome di spergiuri è piena la lista di attesa, meglio se a compiere (o avallare) le inevitabili nefandezze prossime venture saranno persone dal curriculum politico spregevole e riconoscibili come tali. Spiacente, ma di difensori della classe operaia che passavano da una festa all’altra della nobiltà romana ne abbiamo gia avuto uno, e non era neanche una donna, per cui chi – giustamente – lo attaccava, se non altro, non poteva essere tacciato di sessismo.(Claudio Giorno, “La ghigliottina esangue”, dal blog di Giorno del 2 febbraio 2014).Dev’essere tutta colpa del nipote di Magozurlì, quel tal Carloconti che imperversa la sera su Rai-uno trainando l’ascolto del Tiggì più caro agli italiani con un programma – l’eredità – in cui una ghigliottina cala sul gruzzolo dei concorrenti che si sono sudati la vincita rispondendo a domande impegnative sostenendo che Hitler salì al cancellierato di Germania nel 1970… Il ritorno di moda di una “invenzione” talmente micidiale che ne finì vittima persino il suo ideatore deve aver affascinato una predestinata ad alte cariche istituzionali come la presidente protempore della Camera dei deputati. La butto sull’ironico perché ho letto attentamente e con rispetto una lunga e profonda discussione che alcuni “amici” si sono scambiati sul mio “profilo facebook” scatenata da un post che a mia volta avevo condiviso dal social network.
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Grazzini: la Germania sta per mangiarsi le nostre banche
«Quando, alla fine del 2014, le regole dell’unione bancaria cominceranno ad essere applicate, una banca in grande e seria difficoltà come in Italia Mps incontrerebbe dei problemi ancora maggiori e potrebbe rischiare veramente di chiudere se non fosse nazionalizzata o ceduta all’estero». Lo stesso Draghi avverte: molte banche dovranno chiudere, con le nuove regole decise a dicembre dai governi europei. Con l’unione bancaria in arrivo, secondo Enrico Grazzini la Bce annuncia di fatto «un’altra crisi potenzialmente dirompente dopo quella drammatica dei debiti sovrani». Soluzione che «favorisce l’inasprimento della crisi europea, non risolve la deflazione in corso e indebolisce le banche del sud a favore delle banche dei paesi più ricchi, Germania in testa». Lo riconosce anche Wolfgang Munchau, grande esperto di euro-economia. Che sul “Financial Times” scrive: «Perché i paesi europei si accontentano di stringere questi patti disgustosi? Per usare una metafora: perché i tacchini continuano a votare a favore del Natale?».L’unione bancaria europea, spiega Munchau, «è esattamente quella voluta dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble», il super-falco di Angela Merkel. «I contribuenti tedeschi non pagheranno nulla per la ristrutturazione delle banche estere e nessuna banca tedesca verrà mai chiusa». Sicché, «la Germania ha ottenuto tutto quello che voleva senza concedere nulla», proprio come per il Fiscal Compact: «Ha imposto la disciplina fiscale a tutta l’Europa in cambio di niente». Munchau è sconcertato: tutti i ministri – tra cui ovviamente il nostro Fabrizio Saccomanni – hanno gridato alla “svolta storica” «solo per non perdere la faccia di fronte al loro completo fallimento», perché «nulla di quello che avevano proposto è stato accettato». Volevano un fondo pubblico europeo in grado di provvedere alle ristrutturazioni bancarie in caso di “crisi sistemiche” e di garantire i correntisti? Niente da fare. La verità, dice Munchau, è che non hanno ottenuto nulla «semplicemente perché non sono in grado di coalizzarsi contro i diktat della Germania – la quale non vuole nessun fondo comune che metta a rischio le sue finanze per coprire i problemi altrui».I governi del sud Europa non hanno fiducia l’uno dell’altro, dice Munchau: non vogliono coalizzarsi, e quindi il governo Cdu-Spd riesce facilmente a imporre la sua ferrea volontà. «Il dramma è che non esiste alcuno statista europeo in grado di opporre una cooperazione solidale ed efficace di fronte alla visione unilaterale tedesca». L’unione bancaria «è la dimostrazione di come il governo tedesco delle larghe intese vuole l’Unione Europea: una unione centralizzata, diretta dalle élite finanziarie tedesche, a vantaggio esclusivo della Germania e a svantaggio degli altri paesi deboli e debitori del sud Europa. Una unione foriera di crisi senza fine». Perché il governo italiano dovrebbe rifiutare questa unione bancaria? «Perché non solo non risolve nulla – annota Grazzini su “Micromega” – ma potrebbe avere un micidiale effetto boomerang, ovvero amplificare le difficoltà delle banche». Non a caso, Draghi ha già avvertito che «con l’esame della Bce le banche deboli dovranno chiudere».A monte, la trappola è sempre la stessa e si chiama euro: l’impossibilità di emettere moneta sovrana costringe i governi a ricorrere ai titoli di Stato per finanziare il proprio debito pubblico (il debito funzionale e fisiologico, quello che serve per garantire i servizi e quindi sostenere l’economia vitale), e questo alla lunga – il caso di insolvenza – mette in pericolo le banche che quei titoli pubblici detengono. In teoria, ricorda Grazzini, il progetto di unione bancaria doveva servire a questo: spezzare il legame tra il rischio rappresentato dalle grandi banche sistemiche e quello degli stati dell’Eurozona – ovvero non indebolire le banche del Sud Europa, piene di titoli di Stato dei loro paesi. L’unione, inoltre, sarebbe dovuta servire a proteggere i risparmiatori europei con un fondo comune europeo di garanzia (per evitare la fuga all’estero dei correntisti in caso di una crisi nazionale), garantendo anche l’uniformità delle condizioni del credito: oggi le aziende italiane pagano tassi d’interesse bancari più alti rispetto a quanto pagano le aziende tedesche alle banche del loro paese. Bene, nessuno di questi regionevoli obiettivi sarà raggiunto, sostiene Grazzini: l’unico risultato sarà un ulteriore vantaggio dell’economia tedesca a spese di quella del resto d’Europa.Schäuble ha rifiutato in partenza ogni meccanismo di mutualizzazione con copertura di fondi pubblici, togliendo ossigeno a qualsiasi possibilità anti-crisi. E i ministri europei delle finanze «hanno deciso quello che perfino Draghi aveva implorato segretamente la Commissione Europea di non fare – cioè far pagare gli obbligazionisti e i creditori – per non rischiare di far precipitare le crisi bancarie», secondo il modello Cipro. Così, grazie a Schäuble, i privati (azionisti, obbligazionisti e correntisti con oltre 100.000 euro di deposito) si faranno carico in prima persona delle difficoltà delle banche in crisi, e solo in seconda battuta interverranno i fondi nazionali: non sostenuti con moneta sovrana – missione impossibile nell’Eurozona – ma creati grazie a nuove tasse. In ultimissima istanza, tra dieci anni, interverrebbe «un esiguo fondo europeo di 55 miliardi, sempre di origine bancaria – cioè solo lo 0,2% circa del patrimonio complessivo delle banche europee – anche se si prevede che le banche dovranno ricapitalizzarsi per circa 100 miliardi».L’accordo fa acqua da tutte le parti, insiste Grazzini: appena una banca sarà percepita in difficoltà, «i correntisti, gli azionisti e i creditori fuggiranno, creando un circolo vizioso di diminuzione del valore e di ulteriore fuga». Il caso Cipro insegna: «Si incentiva il meccanismo di panico che condanna le banche dei paesi deboli a vantaggio delle banche dei paesi forti». In Italia, continua l’analista, ci sono 2,7 miliardi di bond bancari subordinati in scadenza nel 2014 e 4,6 nel 2015. Gli investitori a rischio reagirebbero al timore di essere colpiti vendendo i bond. Interverrebbero allora gli speculatori e i fondi-avvoltoio per “salvare le banche”. Probabilmente nascerebbe una serie infinita di ricorsi in tribunale. Al che, «per evitare il fallimento delle banche e la corsa al ritiro dei depositi, gli Stati nazionali dovranno intervenire» nell’unico modo ormai possibile, ovvero «con i soldi dei contribuenti», ottenuti a suon di tasse. Risultato: «I paesi deboli si indeboliranno ancora di più e si avvicineranno all’orlo del baratro».Ma c’è di più, continua Grazzini: Draghi sta avviando gli stress test (ovvero degli esami preventivi di solvibilità in caso di crisi) su circa 130 banche europee, tra cui 13 italiane – ma sono escluse le casse di risparmio tedesche, che Schäuble non ha voluto comprendere negli stress test – per verificare se sarebbero in grado di sopportare un grave peggioramento della situazione economica. E quali saranno i criteri applicati dalla Bce per gli stress test? I fattori di rischio che potrebbero portare le nostre banche al fallimento sono sostanzialmente tre. Pirmo: la leva finanziaria troppo elevata rispetto al capitale proprio – leva che di solito viene usata dalle banche per speculare sui mercati finanziari “ombra”, come quello dei derivati e dei titoli tossici. Secondo: l’acquisto di titoli di debito sovrano di paesi con elevato debito pubblico, come l’Italia. Terzo: i crediti in sofferenza e inesigibili.«Le banche del nord Europa, in particolare quelle tedesche e francesi, hanno una leva spropositata. Hanno un attivo pari a 30-40-50 volte il loro capitale». Per intenderci: «Deutsche Bank e Credit Suisse hanno una leva di circa 50, la francese Crédit Agricole del 62, contro una leva di circa 18 di Intesa e Unicredit. La leva – legata a capitali presi a prestito – amplifica enormemente i rischi sistemici e delle singole banche, anche perché serve soprattutto a investire nel trading, cioè su titoli obbligazionari, azionari e derivati ad alto rendimento ma, appunto, molto volatili e ad alto rischio. I ricavi di Deutsche Bank derivano per esempio al 75% circa dal trading, e non da prestiti alle imprese e alle famiglie. In pratica gran parte dei maggiori istituti europei fanno le banche d’affari invece di prestare denaro alle imprese e alle famiglie». Al contrario, «le banche del sud Europa (Italia compresa) fanno meno attività speculativa, hanno in pancia meno titoli tossici, ma hanno invece il problema di avere investito molto sui titoli pubblici del loro paese e di avere molti crediti in sofferenza, a causa della crisi economica pesante attraversata dai loro paesi: in Italia le banche hanno in pancia circa 450 miliardi di titoli pubblici e hanno sofferenze per circa 150 miliardi».Domanda: quanto peseranno i diversi fattori di rischio negli stress test? La Bce considererà più rischioso – come dovrebbe essere – avere una leva abnorme e molti titoli tossici, o avere invece investito sui titoli pubblici del proprio paese? «Se, come sembra possibile, verrà sottovalutato il rischio derivato dalla leva finanziaria, dal trading e dalla speculazione, le banche del nord Europa si salveranno e supereranno l’esame senza troppe difficoltà. Se invece sarà considerato molto rischioso detenere titoli di debito pubblico del proprio paese, allora parecchie banche dei paesi del sud Europa verranno praticamente condannate (insieme ai bilanci pubblici dei loro paesi)». A quel punto, «le banche del sud che non supereranno l’esame della Bce dovranno ricapitalizzarsi, cioè aumentare ulteriormente il loro capitale», ma è facile immaginare che «troverebbero pochi capitalisti nazionali pronti a mettere il loro denaro in banche in difficoltà».Ecco allora che «le banche meno solide del sud Europa potrebbero semplicemente fallire, come ha avvertito Draghi. O potrebbero essere facilmente acquisite a poco prezzo da quelle del nord Europa». Così, «parte del risparmio nazionale potrebbe finire in mano alle banche estere dei paesi “meno stressati”». Ecco perché questa unione bancaria non s’ha da fare: certo «non risolve il problema del credito alle imprese e alle famiglie», e inoltre «rischia di premiare le banche maggiori che speculano e di bocciare le banche che investono nell’economia reale». Verità sanguinosa: il problema delle banche italiane – il debito pubblico – sarebbe risolvibile di colpo, all’istante, uscendo dall’euro o trasformando l’euro in moneta sovrana. «Ma la sinistra raramente si accorge delle minacce che vengono dalla Ue», avverte Grazzini. «Sull’unione bancaria perfino il “Manifesto” riportava: “Certo a volte è meglio qualcosa invece di niente ed è forse meglio tardi che mai”». Ora basta, però: è tempo di «abbandonare una visione idilliaca della Ue e di avere un approccio più realistico sull’egemonia tedesca». C’è solo da augurarsi che l’offerta politica alle elezioni europee di maggio riesca almeno a mettere a fuoco il problema, da cui dipende il futuro di tutti.«Quando, alla fine del 2014, le regole dell’unione bancaria cominceranno ad essere applicate, una banca in grande e seria difficoltà come in Italia Mps incontrerebbe dei problemi ancora maggiori e potrebbe rischiare veramente di chiudere se non fosse nazionalizzata o ceduta all’estero». Lo stesso Draghi avverte: molte banche dovranno chiudere, con le nuove regole decise a dicembre dai governi europei. Con l’unione bancaria in arrivo, secondo Enrico Grazzini la Bce annuncia di fatto «un’altra crisi potenzialmente dirompente dopo quella drammatica dei debiti sovrani». Soluzione che «favorisce l’inasprimento della crisi europea, non risolve la deflazione in corso e indebolisce le banche del sud a favore delle banche dei paesi più ricchi, Germania in testa». Lo riconosce anche Wolfgang Munchau, grande esperto di euro-economia. Che sul “Financial Times” scrive: «Perché i paesi europei si accontentano di stringere questi patti disgustosi? Per usare una metafora: perché i tacchini continuano a votare a favore del Natale?».
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Il Fatto: Renzi è stato finanziato con 4 milioni. Da chi?
Tutto in cinque anni. Dal 2009 a oggi. Tanto è durata la scalata al potere di Matteo Renzi che da assistente di Lapo Pistelli, poi insediato nel 2004 dalla coalizione di centrosinistra alla guida della Provincia di Firenze, è riuscito a sfidare tutti. Centrodestra e centrosinistra. E a vincere. In cinque anni Renzi è riuscito a sostenere due campagne nel 2009 (primarie e amministrative a Firenze), una nel 2012 e un’altra nel 2013, entrambe per la segreteria del Pd. Il tutto senza sostegno economico da parte del partito: niente rimborsi elettorali né fondi pubblici. Come c’è riuscito? Grazie ad associazioni, società, comitati e rapporti (alcuni finora sconosciuti) che ruotano attorno a Renzi e ai suoi due “fund raiser”, Marco Carrai e Alberto Bianchi, incaricati di raccogliere soldi. Missione compiuta: oltre 4 milioni di euro per coprire le spese della corsa alla guida del paese. Lo racconta sul “Fatto Quotidiano” Davide Vecchi, che – conti alla mano – ripercorre l’ascesa del rottamatore.«Bianchi e Carrai – scrive Vecchi – oggi fanno parte del consiglio direttivo della Fondazione Open, cioè l’evoluzione della Fondazione Big Bang a cui lo scorso novembre è stato cambiato nome e composizione: Renzi ha azzerato il vecchio consiglio, confermando solo Bianchi e Carrai, inserendo Luca Lotti e Maria Elena Boschi, nominando quest’ultima segretario generale». Nel 2013 la fondazione ha raccolto 980.000 euro di donazioni, 300.000 euro in più rispetto all’anno precedente, quello della sua fondazione. Negli anni precedenti, continua Vecchi, l’attività politica di Renzi era passata attraverso altre due associazioni: Link e Festina Lente, che «non hanno mai avuto siti Internet né rendicontazione pubblica». Ultima iniziativa di Festina Lente: 120.000 euro raccolti a Milano in una cena per Renzi nel gennaio 2012 al Principe di Savoia. «Questa associazione è citata solamente una volta: nel resoconto delle spese elettorali sostenute da Renzi per le amministrative del 2009».Il comitato dell’allora candidato sindaco dichiarò di aver speso 209.000 euro, 137.000 raccolti tra i sostenitori e gli altri 72.000 coperti da un mutuo acceso e garantito dalla Festina Lente. Mutuo concesso dalla banca di credito cooperativo di Cambiano (presieduta dal potente sostenitore Paolo Regini e usata anche per le ultime primarie) con a garanzia una fidejussione firmata da Bianchi. Ben più attiva, invece, la Link, nata nel 2007 quando Renzi era presidente della Provincia di Firenze. Oltre a Carrai, tra i fondatori figura buona parte dell’attuale staff del rottamatore: come Lucia De Siervo, direttore della cultura ed ex capo segreteria di Renzi, nonché figlia di Ugo, presidente della Corte Costituzionale, e moglie di Filippo Vannoni, presidente di Publiacqua. C’è Vincenzo Cavalleri, ora direttore servizi sociali di Palazzo Vecchio, e c’è Andrea Bacci, oggi presidente della Silvi (società pubblica partecipata dal Comune), intercettato nel dicembre 2008 al telefono con Riccardo Fusi (ex patron del gruppo Btp condannato a due anni in primo grado per i lavori alla Scuola marescialli e imputato per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino di Denis Verdini e indagato per bancarotta fraudolenta) per organizzare un viaggio in elicottero a Milano per Renzi.Nell’atto costitutivo della Link, aggiunge il “Fatto”, oltre al presidente Marco Seracini compare anche Simona Bonafè, ex assessore e oggi onorevole. L’associazione ha la propria sede in via Martelli 5, dove poi nascerà la fondazione Big Bang. Nei primi due anni di vita la Link ha chiuso in attivo, dopo aver raccolto 200.000 euro. «Tutt’altra musica nel 2009, anno delle primarie e delle amministrative, quindi fondi che vanno ad aggiungersi a quelli dichiarati dal Comitato». Link ha speso 330.000 euro, perdendone 154.000. Perdita «in parte appianata nel 2010 attraverso erogazioni liberali ricevute per 156.350 euro e in parte nel 2011, ultimo anno di vita dell’associazione». Complessivamente, la Link ha sostenuto l’attività politica di Renzi con circa 750.000 euro. «Da dove arrivano queste “erogazioni liberali”?», si domanda Vecchi. «Abbiamo cercato per giorni inutilmente il presidente Marco Seracini sia nel suo studio, dove venne registrata l’associazione, sia al cellulare. Ci siamo rivolti a Carrai che pur rispondendo molto gentilmente al telefono e rendendosi inizialmente disponibile a incontrarci, ha poi preferito non rispondere né in merito alla Link né ad altro». Ha invece risposto Vincenzo Cavalleri, anche che «non alle domande sui donatori – “dei quali”, ha detto, “non so niente”». Però ha spiegato al “Fatto” che l’associazione è una “scatola”, costruita per organizzare incontri. Di che tipo? «Raccolta fondi ma non solo, non faceva attività politica però, erano incontri sociali diciamo». Sociali? «Sì, eventi promozionali per diciamo sviluppare le idee di cui Renzi era portatore». E cene elettorali? «Non ricordo».Nel 2009, continua Vecchi, dopo aver vinto le primarie fiorntine Renzi partecipò ad alcune iniziative organizzate anche da Denis Verdini, all’epoca coordinatore regionale di Forza Italia. Oggi, Verdini è l’uomo che deve scegliere il candidato sindaco da contrapporre a Renzi per le prossime amministrative di maggio. «Nel 2009 – racconta il “Fatto” – l’allora rottamatore sedette al tavolo d’onore insieme a Verdini e consorte alla festa de “Il Giornale della Toscana”, presenti tutti i parlamentari forzisti dell’epoca». Mesi dopo, Renzi partecipò a un evento organizzato dalla signora Verdini, Maria Simonetti Fossombroni. «Molti del Pdl ricordano inoltre che la scelta di candidare sindaco nel 2009 l’ex calciatore Giovanni Galli fu considerato un “regalino” al giovane prodigio Renzi. Che lo asfaltò. Verdini non ha mai negato la propria simpatia per il rottamatore». E dal centrodestra sono mai arrivati fondi alle associazioni di Renzi? «Gentile e disponibile quanto Carrai si dimostra anche Alberto Bianchi, che come Carrai alla domanda non risponde».Domande: da dove arrivano i fondi e come ha coperto il mutuo Festina Lente? E come è riuscito ad appianare il debito della Fondazione e a raccogliere il 30% in più l’anno successivo? «Neanche a queste domande riceviamo risposte», aggiunge Vecchi. «Una cosa è certa: l’imprenditore e l’avvocato fanno benissimo il loro lavoro di fund raiser. Sempre dall’ombra, mai in prima fila. Meno si parla di loro meglio è». La cena di finanziamento di Renzi a Milano nell’ottobre 2012, «che passò come un evento organizzato da Davide Serra», secondo “Il Fatto” «in realtà è stata opera esclusiva di Carrai». L’amico di Renzi «mal sopporta la pubblicità, i suoi interessi sono nel privato». Oggi, Carrai è presidente di Aeroporto Firenze, della C&T Crossmedia, della Cambridge Management Consulting e della D&C, mentre ha appena lasciato la carica di amministratore delegato della Yourfuture srl. Inoltre è socio dell’impresa edile di famiglia Car.im, società che ha realizzato la trasformazione della storica libreria fiorentina Martelli in un negozio Eataly, proprio davanti alla sede della Fondazione Open. «Ma certo, sono affari privati».Tutto in cinque anni. Dal 2009 a oggi. Tanto è durata la scalata al potere di Matteo Renzi che da assistente di Lapo Pistelli, poi insediato nel 2004 dalla coalizione di centrosinistra alla guida della Provincia di Firenze, è riuscito a sfidare tutti. Centrodestra e centrosinistra. E a vincere. In cinque anni Renzi è riuscito a sostenere due campagne nel 2009 (primarie e amministrative a Firenze), una nel 2012 e un’altra nel 2013, entrambe per la segreteria del Pd. Il tutto senza sostegno economico da parte del partito: niente rimborsi elettorali né fondi pubblici. Come c’è riuscito? Grazie ad associazioni, società, comitati e rapporti (alcuni finora sconosciuti) che ruotano attorno a Renzi e ai suoi due “fund raiser”, Marco Carrai e Alberto Bianchi, incaricati di raccogliere soldi. Missione compiuta: oltre 4 milioni di euro per coprire le spese della corsa alla guida del paese. Lo racconta sul “Fatto Quotidiano” Davide Vecchi, che – conti alla mano – ripercorre l’ascesa del rottamatore.