Archivio del Tag ‘Covid-19’
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Falsi positivi prigionieri dell’app impazzita: disastro Immuni
L’app Immuni continua a far discutere e adesso inizia a mietere i suoi primi prigionieri, imponendo a chi riceve l’alert di chiudersi in casa alla ricerca dell’agognato tampone. Molti si stupiscono, ma era tutto piuttosto prevedibile. Vediamo cosa e perché sta accadendo. I primi segnali che ci fosse qualche problema con le segnalazioni di contatto con un positivo effettuate da Immuni le avevamo avute dalla Regione Marche, dove durante la prima sperimentazione dell’app di Stato era stata resa nota una comunicazione e-mail che la stessa Regione aveva inviato in via riservata alle Direzioni Sanitarie per «dare indicazioni agli operatori sanitari di disattivare il Bluetooth durante l’orario di lavoro al fine di evitare segnalazioni di falsi contatti». Poi è toccato alla Puglia e qualche giorno fa a una signora barese è toccato disperarsi a causa dell’app Immuni, scaricata come dovere civico e poi diventato strumento di “prigionia di Stato”. E, solo dopo circa una settimana (e avrebbero potuto essere 14 giorni) di isolata disperazione, le è stata donata la libertà perché – come lei stessa aveva a gran voce segnalato – non aveva contratto il virus.
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Zangrillo: nessuna seconda ondata, ora il Covid è curabile
Il messaggio che voglio dare anche a nome dei miei colleghi è: siamo tutti dalla stessa parte della scienza; la nostra iniziativa, pacata e responsabile, non è di contrapposizione, ma di divulgazione scientifica obiettiva. È innanzitutto una notizia positiva, che le autorità sanitarie devono recepire per quello che è: un messaggio da chi la clinica la vive quotidianamente, perché noi abbiamo vissuto in mezzo alla malattia, perché io mi sono spaventato personalmente, ho rischiato di prenderla, ho lavorato fin dall’inizio a fianco dei miei collaboratori per salvare delle vite umane. Secondo l’Oms, il Covid si comporterà come la Spagnola, tornando in autunno e mietendo molte vittime? Non ci sarà una seconda ondata perché nessuno di noi vuole rivederla. Poi non posso negare che in autunno inoltrato, con la ripresa del freddo, come per tutti i virus respiratori, si possa verificare un risveglio del Covid. Ma sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia. Il crollo dei malati di coronavirus è ormai inequivocabile. Abbiamo verificato che la carica virale naso-faringea dei tamponi eseguiti in maggio era assolutamente più bassa rispetto a una popolazione omogenea, cioè con le stesse caratteristiche, di quanto lo fosse due-tre mesi fa. Questo warning della virologia è stato poi verificato a livello italiano e internazionale, trovando più conferme.Io non ricovero un paziente in terapia intensiva dal 18 aprile e non ricovero di fatto dall’inizio di maggio pazienti che arrivano al pronto soccorso del San Raffaele, grande ospedale metropolitano con uno dei pronto soccorsi più importanti della città, per una sintomatologia clinica da Covid. Al San Raffaele eseguiamo il tampone a tutti i malati che vengono ricoverati per le più diverse patologie: organiche, internistiche, chirurgiche, cardiovascolari, oncologiche. Ebbene, di questi pazienti non ce n’è uno nell’ultimo mese che sia stato ricoverato qui per ragioni correlate con l’infezione da Covid. Non siamo un caso isolato: dai contatti avuti con i colleghi di diversi ospedali, da Crema a Parma, da Bergamo al Niguarda, tutti dicono la stessa cosa. La malattia in Italia è completamente cambiata e come l’abbiamo conosciuta nelle sue forme gravi non c’è più. Tant’è vero che tutti i trial che prevedevano la somministrazione di farmaci per andare a perlustrare l’efficacia nella malattia di taluni antinfiammatori, antivirali o immunomodulatori, sono stati sospesi. Perché? Per mancanza di questi pazienti Covid. È da qui che nasce la mia dichiarazione “il virus è clinicamente morto”. Se l’ho fatto è perché ho veramente vissuto questa epidemia fin dal primo giorno, ho le idee chiare e forse anche un po’ di severità, di intolleranza verso coloro che parlano per sentito dire o verso coloro che non hanno mai visto un malato in corsia.Il lockdown ha dunque funzionato? Il documento firmato con Remuzzi, Bassetti, Gattinoni, Lorini e gli altri non è stato fatto per andare contro Brusaferro o Locatelli. Anzi, ho detto e confermo che non avrei voluto essere al posto del premier Conte; ho detto e confermo che Conte ha tenuto, sanitariamente parlando, il timone saldo; ho detto e confermo che ha dovuto compiere delle scelte che nella sostanza si sono rivelate vincenti e hanno fatto scuola, perché abbiamo chiuso il paese prima degli altri e forse lo abbiamo riaperto tempestivamente. Dal momento che gli italiani si sono comportati bene e abbiamo ribadito quali sono le norme da rispettare, ora arriva un supporto straordinario dall’evidenza clinica, che conferma i meriti dell’Iss e del governo sul fatto che le misure di contenimento hanno funzionato, meglio che in Francia, in Spagna, in Inghilterra o negli Stati Uniti. Abbiamo difeso Milano e abbiamo circoscritto l’epidemia in Lombardia nonostante il virus circolasse già tre mesi prima che fosse scoperto il paziente-1. Perché questo virus ha colpito come uno tsunami la Lombardia? Hanno giocato vari fattori: la densità demografica della regione, l’età media di talune zone e l’alta concentrazione di polveri sottili in Pianura Padana, che possono aver influito in misura negativa sul rapporto virus-recettore.Ci accusano di mandare segnali fuorvianti e incitare al “liberi tutti”? Due cose. Innanzitutto, ci tengo a dire che noi non ci poniamo in una logica di contrapposizione, perché le nostre osservazioni si basano su un paradigma inviolabile che è la definizione di scienza. La scienza è osservazione, valutazione, calcolo, esperienza. In secondo luogo, il nostro documento non dice “liberi tutti, d’ora in avanti ognuno faccia come crede”. Noi diciamo: se continuiamo a comportarci con buon senso, la situazione, come si vede, clinicamente sta migliorando. E penso che in determinate circostanze ambientali – gli spazi aperti o i luoghi tipici della vita estiva, in montagna o al mare – si possa abbandonare col tempo anche l’uso della mascherina. Oltre al buon senso, però, la prima misura deve essere quella dell’igiene personale: stare molto attenti alla detersione delle mani. La curva dei contagi ha ripreso a risalire? È quella che io chiamo la tempesta dei numeri: anche oggi 250 positivi, anche oggi 50 morti… Bisogna operare una netta separazione tra la positività al tampone e la malattia. Essere positivi oggi vuol dire, il più delle volte, essere debolmente positivi: non vuol dire essere malati. Non è corretto dare per automatico il passaggio tra numero dei positivi (che allo stato attuale sono per lo più debolmente positivi) e numero dei malati. Altrimenti li avrei in ospedale.Focolai in Germania, a Roma, in Calabria, a Mondragone nel Casertano e presso un’azienda di Bologna? Io non ho mai detto che il virus è scomparso, né che si sia modificato; e se qualcuno osa dire il contrario, dice una falsità. Ma dobbiamo altresì riconoscere che la carica virale ha una sua importanza. E a mio avviso la carica virale si è abbassata, per le mascherine e per il distanziamento sociale. Ma questo non impedisce al virus di svilupparsi in contesti ambientali di un certo tipo: che sono, appunto, quelli dei casi sopra citati. Ripeto: dobbiamo stare attenti, usare norme igieniche che evidentemente in quei contesti non sono state rispettate e fare in modo che all’interno degli spazi di associazione lavorativa vengano prese le opportune precauzioni. Ma a parte qualche ricovero, non si è verificato nulla di particolare. Sapere che la curva epidemica in Lombardia non si azzererà mai, a me importa relativamente, se coincide con il fatto che non ci si tornerà ad ammalare gravemente come una volta. Ancora oggi, però, si continuano a spaventare troppo le persone: è da irresponsabili, come ha fatto il professor Crisanti, continuare a dire che a settembre l’Italia tornerà come è oggi il mattatoio in Germania.L’Oms fa il paragone con la Spagnola? Non ci sarà una seconda ondata, in autunno: sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia, perché conosciamo il virus, sappiamo come affrontarlo terapeuticamente, come gestirlo dal punto di vista organizzativo e soprattutto perché ci sarà una maggiore coesione tra l’istituzione ospedaliera e i medici del territorio, che prima non c’è stata. Al San Raffaele abbiamo studiato tutti i malati, eseguendo prelievi sierologici e prelievi a campione, per cui abbiamo creato una banca dati con migliaia di soggetti; e da questi nostri studi emergeranno evidenze fondamentali per sviluppare adeguati processi terapeutici utili a tenere sotto controllo le epidemie del futuro. Se è consigliabile che il prossimo autunno ci si vaccini contro l’influenza? Sì, invito caldamente le categorie a rischio a vaccinarsi contro l’influenza. Sono stato il primo, a metà aprile, a dire: prepariamoci a convivere con il Covid. E convivere con il Covid non vuol dire suicidarsi. Dire adesso “forse non faremo tornare i bambini a scuola, non dobbiamo prendere gli aerei, dobbiamo rimanere a casa” equivale a dire che dobbiamo morire.(Alberto Zangrillo, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella nell’intervista “Nessuna seconda ondata perché sappiamo cosa fare”, pubblicata dal “Sussidiario” il 27 giugno 2020. Primario di anestesia e rianimazione generale all’ospedale San Raffaele di Milano, già a maggio il professor Zangrillo fece scalpore definendo “clinicamente morto” il virus responsabile della sindrome Covid. Nei giorni scorsi, per ribadire che il virus non fa più paura perché i contagiati sono ormai solo “debolmente positivi” e inoltre i medici hanno trovato le opportune contromisure terapeutiche, Zangrillo ha firmato un documento insieme ad altri 9 colleghi scienziati: Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Luca Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi e Roberto Rigoli).Il messaggio che voglio dare anche a nome dei miei colleghi è: siamo tutti dalla stessa parte della scienza; la nostra iniziativa, pacata e responsabile, non è di contrapposizione, ma di divulgazione scientifica obiettiva. È innanzitutto una notizia positiva, che le autorità sanitarie devono recepire per quello che è: un messaggio da chi la clinica la vive quotidianamente, perché noi abbiamo vissuto in mezzo alla malattia, perché io mi sono spaventato personalmente, ho rischiato di prenderla, ho lavorato fin dall’inizio a fianco dei miei collaboratori per salvare delle vite umane. Secondo l’Oms, il Covid si comporterà come la Spagnola, tornando in autunno e mietendo molte vittime? Non ci sarà una seconda ondata perché nessuno di noi vuole rivederla. Poi non posso negare che in autunno inoltrato, con la ripresa del freddo, come per tutti i virus respiratori, si possa verificare un risveglio del Covid. Ma sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia. Il crollo dei malati di coronavirus è ormai inequivocabile. Abbiamo verificato che la carica virale naso-faringea dei tamponi eseguiti in maggio era assolutamente più bassa rispetto a una popolazione omogenea, cioè con le stesse caratteristiche, di quanto lo fosse due-tre mesi fa. Questo warning della virologia è stato poi verificato a livello italiano e internazionale, trovando più conferme.
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Dylan parla dal futuro: sconfiggeremo tutto questo orrore
“Ho attraversato il Rubicone il quattordicesimo giorno, nel mese più pericoloso dell’anno, nel momento peggiore dei giorni più brutti. E’ tutto quello che vedo qui, ho fatto un voto così posso pregare il dio greco di mandare l’alba…”. C’è un senso di pericolo imminente, di stordimento collettivo ma anche di spietata difesa del proprio passato, dell’esperienza di un’intera esistenza, in “Rough and Rowdy Ways”, nuovo album di Bob Dylan (uscito il 19 giugno). Il titolo è un warning, un avvertimento ai poveri di spirito, agli arroganti, agli artisti, politici, intellettuali che non accettano cambi di guardia: i miei modi saranno ruvidi e turbolenti. E “Crossing the Rubicon” è uno di questi passaggi, con l’immagine terribile e solenne di “un fiume dove molte ceneri fluttuano nelle correnti”. Non era facile prevedere il Dylan del suo 79° anno, perché non siamo più abituati a una visione enciclopedica, a trovare la strada, il filo d’Arianna in un mondo prossimo al crollo, più per incapacità a reagire che per difetti strutturali. Crisi economica, pandemia, razzismo non giustificano per Dylan l’abdicazione a qualsiasi principio morale: “Io posso redimere il mio tempo, tempo così sprecato che alla fine potrei durare”.Armatevi di pazienza, un vocabolario, uno smartphone multifunzione, soprattutto astenetevi dall’improvvisarvi esperti in cultura, animatori dei sogni altrui: in dieci canzoni rugginose e fluenti come i grandi fiumi, Dylan spiega perché sapere e studiare, questa è per i più giovani, è l’unica difesa al dilagare di corruzione, violenza, odio. Non siamo più alle battaglie per i diritti civili di sessant’anni fa, e al “New York Times” Dylan confessa tutto il suo orrore per George Floyd «torturato a morte in quel modo». Si dice «nauseato». E proprio alla sua generazione, quella che doveva arginare le derive autoritarie e di totale disprezzo per l’individuo, raccomanda uno scatto d’orgoglio perché proprio le nuove generazioni «non vivendo alcun passato, tendono a credere a qualsiasi cosa. Il punto è che fra venti, trent’anni saranno in prima linea». È il punto centrale di questo album magistrale, irripetibile anche per un Nobel alla Letteratura negli anni a venire: quanto pesa il tempo e come condividerlo con più generazioni?“Rough and Rowdy Ways” non è un disco da esporre in un museo e far ascoltare a un singolo individuo per volta. La cultura non è mai divisiva, al contrario è una traversata del deserto; “Dio, sono in lotta, Dio, potrei sbagliarmi, viaggio nella luce e sono lento a tornare a casa”, canta in “Mother of Muses”, è il coraggio di mostrare debolezze e furori esemplari. “Questo è il regno della potenza e della gloria”, annuncia in “Goodbye Jimmy Reed”: “Racconta la vera storia, raccontala senza fronzoli, nelle ore mistiche quando le persone sono deboli”. Dylan non pubblicava un album di inediti da otto anni, quando “Tempest” si impose come una delle sculture guerriere tipiche di un amante di arti figurative. E il presagio di un mondo più debole che sfortunato faceva allusione al Titanic piuttosto che a John Lennon. Oggi Dylan esclude che le piaghe capitali che affliggono l’umanità, senza limiti geografici, abbiano un riferimento biblico. «Vorrebbe dire che ci tocca una punizione divina», afferma Dylan. «Certo, l’arroganza più estrema può generare effetti disastrosi. Forse siamo arrivati a un’epoca di distruzione, ma rimango convinto che tutto passerà».Ho qualche dubbio che operatori culturali da fast food, produttori e discografici assillati da picchi di follower e febbre gialla da social riescano a comprendere il tesoro inestimabile di “Rough and Rowdy Ways”, annunciato in pieno lockdown da “Murder Most Foul”, 17 minuti di ballata sulla morte di John F. Kennedy proiettata come un drone al primo posto in classifica, e poi da “I Contain Multitudes”, titolo di una splendida poesia di Walt Whitman, quindi da “False Prophet”. Tutto on line, mentre da noi i padri della patria della canzone, per non dire dei confusi nipotini rapper, non riuscivano proprio a cantare il loro tempo. Come se il tempo non te lo debba conquistare, per il semplice fatto che sei davvero un poeta. O un cantautore. O, appunto, una voce del futuro. Ma per avere un futuro, devi sapere come stare in equilibrio. Solo così puoi scrivere “il mio cuore è come un fiume, un fiume che affonda… vedo il sorgere del sole, vedo il tramonto”. E rimanere nell’arena a batterti. Però di Bob Dylan ne esiste uno solo.(Renato Tortarolo, “Ruvido e impetuoso, così Bob Dylan ci rimette in riga”, dal “Secolo XIX” del 13 giugno 2020. «Di questi giorni non ci sono buone notizie», ha dichiarato Dylan al “New York Times”. «Le buone notizie nel mondo di oggi sono come un fuggiasco, trattato come un bandito e messo in fuga. Per questo dobbiamo ringraziare i media: agitano la gente con pettegolezzi e biancheria sporca. Cattive notizie che deprimono e creano orrore». Quanto alla pandemia, per Dylan è «il precursore di qualcos’altro che sta per venire», ma non necessariamente una piaga biblica: «Significherebbe che nel mondo sta arrivando un castigo divino. L’estrema arroganza che porta punizioni disastrose. Forse siamo alla vigilia della distruzione. Ci sono molti modi per pensare al virus. Io penso che occorra lasciargli fare il suo corso»).“Ho attraversato il Rubicone il quattordicesimo giorno, nel mese più pericoloso dell’anno, nel momento peggiore dei giorni più brutti. E’ tutto quello che vedo qui, ho fatto un voto così posso pregare il dio greco di mandare l’alba…”. C’è un senso di pericolo imminente, di stordimento collettivo ma anche di spietata difesa del proprio passato, dell’esperienza di un’intera esistenza, in “Rough and Rowdy Ways”, nuovo album di Bob Dylan (uscito il 19 giugno). Il titolo è un warning, un avvertimento ai poveri di spirito, agli arroganti, agli artisti, politici, intellettuali che non accettano cambi di guardia: i miei modi saranno ruvidi e turbolenti. E “Crossing the Rubicon” è uno di questi passaggi, con l’immagine terribile e solenne di “un fiume dove molte ceneri fluttuano nelle correnti”. Non era facile prevedere il Dylan del suo 79° anno, perché non siamo più abituati a una visione enciclopedica, a trovare la strada, il filo d’Arianna in un mondo prossimo al crollo, più per incapacità a reagire che per difetti strutturali. Crisi economica, pandemia, razzismo non giustificano per Dylan l’abdicazione a qualsiasi principio morale: “Io posso redimere il mio tempo, tempo così sprecato che alla fine potrei durare”.
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Saper lottare per la libertà: Giulietto Chiesa in valle di Susa
«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.E’ un mese stranissimo, quel giugno 2011, nella valle piemontese dove gli amici di Bersani intendono tornare, dopo il primo clamoroso sfratto subito nel 2005 a furor di popolo: migliaia di manifestanti in strada, con davanti i sindaci in fascia tricolore. Scene mai viste, in Italia, dai tempi dei Moti di Reggio Calabria. Sembrava fatta, allora: progetto ritirato, bocciato come inutile e dannoso, oltre che inviso alla popolazione. «Se qualcuno mi riparla ancora di Tav Torino-Lione – aveva scritto Giorgio Bocca – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito dopo il 25 aprile del ‘45». Una favola, quella del Villaggio di Asterix che si oppone alla potenza di Roma. A dire il vero, l’Impero aveva già tuonato minaccioso: il G8 di Genova, l’11 Settembre, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Giulietto Chiesa, altro glorioso giornalista italiano, non era certo rimasto in silenzio: alla sua età non più verde, come inviato della “Stampa” era stato tra i primi a entrare a Kabul con i carri armati dell’Alleanza del Nord, quelli dell’unica fazione presentabile: i Tagiki dell’appena assassinato Ahmad Shad Massud, eroe nazionale. E poi aveva scritto la sua versione dei fatti in un libro memorabile, edito da Feltrinelli ma silenziato dai giornali: “La guerra infinita”. Rivelazione: una tragica barzelletta, la versione ufficiale del maxi-attentato alle Torri Gemelle. Così, il prestigioso inviato (una vita a Mosca, per le testate più importanti) si era guadagnato la nomea di visionario complottista.Di tutti i big del giornalismo italiano – gli ha reso omaggio Paolo Barnard, cofondatore di “Report” – Giulietto Chiesa è il solo che abbia saputo mettere a repentaglio la sua carriera per amore della verità, rinunciando a onori e privilegi. Oggi, i tremila architetti e ingegneri americani che si sono dannati l’anima per ricostruire gli eventi di quel maledetto 11 settembre 2001 sono pervenuti a una certezza: le Twin Towers (insieme all’Edificio 7) crollarono per demolizione controllata, non certo per l’impatto di aerei di linea dirottati. Era così indistruttibile, il World Trade Center, che il Comune di New York pretese che il progetto edilizio venisse corredato con un piano obbligatorio per l’eventuale demolizione: in quel caso, i tecnici stabilirono che solo delle bombe atomiche – installate nelle fondamenta – avrebbero potuto garantirne il crollo. Non è un mistero: costruirono dei bunker per alloggiare all’occorrenza le famose mini-nukes. E’ tutto scritto, nelle carte dell’ufficio edilizia newyorkese. Ma guai a ricordarlo: si passa per malati di mente. Ormai va così, il mondo: il giornalismo mainstream diventa “embedded”, abdicando alla sua antica funzione di “cane da guardia della democrazia”. Restano in circolazione solo i battitori liberi. Ragazzi coraggiosi, qualche raro “senatore”. Ma uno solo – ricorda Barnard – capace di rischiare tutto. Uno che da perdere aveva tantissimo: gli appoggi nell’editoria, l’ospitalità dei talkshow e molto altro.Giugno 2011, si diceva: valle di Susa. Che succede, in quei giorni? Semplice: ripartita la Banda del Buco, la grande cordata politico-finanziaria che vuole il tunnel ferroviario italo-francese, perfetto e inutile doppione del Traforo del Fréjus lungo la linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle, i NoTav si sono accampati tra i vigneti alpini della Maddalena di Chiomonte, prescelti per il cantiere-bis. Una tendopoli festosa, formato famiglia, come quelle dei boy-scout. La Libera Repubblica della Maddalena. Canti e balli, concerti, assemblee. E un profumo stranissimo di libertà: l’orgoglio di chi pensa di essere dalla parte del giusto, e si illude di rappresentare un’avanguardia per l’Italia intera, a cui manda un avvertimento. In spiccioli: attenzione, oggi tocca a noi montanari, ma domani ci rimetterete tutti. Ormai siamo alle prese con un potere brutale, senza volto, sempre meno democratico, che ne se infischia di tutti. I partiti? Scomparsi. Il cittadino è solo, di fronte alla minaccia. Non ci sono più corpi intermedi, nessuno che tuteli i diritti sociali elementari. Sembra quasi l’antipasto di una possibile dittatura orchestrata da tecnocrati. Prendere o lasciare, non c’è alternativa: quel che è stato deciso si deve fare, punto e basta. E voi toglietevi di mezzo, altrimenti vi spazziamo via con le cattive. Oggi, le orecchie si sono abituate: dal “ce lo chiede l’Europa” all’attuale “è il coronavirus, bellezza, e tu non puoi farci niente”. Suona familiare?Domenica 26 giugno, Torino, aeroporto di Caselle. Mezzanotte. Tanto per cambiare, il volo Alitalia atterra con un’ora di ritardo. Il Vecchio è di ottimo umore: non vede l’ora di vederla, la Libera Repubblica, prima che alla Maddalena – di lì a poche ore – irrompano le truppe antisommossa spedite fin lassù dal ministro dell’interno Roberto Maroni e dal capo della polizia, Antonio Manganelli. La valle è avvolta nel buio, la vecchia Volvo arranca lungo la salita. Una volta a Chiomonte, lo spettacolo di una luminaria infinita: cinquemila fiaccole che sciamano dalla Maddalena, sfollando verso il paese. «Ma che fanno, se ne vanno via?». «Sì, hanno paura: temono che domattina la polizia arrivi davvero». A fermare la Volvo, una barricata in mezzo alla strada. «Ah, siete voi? Un attimo di pazienza, e vi apriamo». Il varco si spalanca, così l’auto si può arrampicare tra i vigneti scuri e la processione delle ultime fiaccole in ritirata. In cima alla salita, c’è una specie di stato maggiore ad accogliere l’Anziano. Strette di mano, silenzi. L’aria è tesa. Presidiano l’area quasi mille manifestanti, rimasti sul posto per attendere l’alba. Ci sono le tende, ma nessuno chiude occhio. Tutti in allerta: chi sul prato, chi a sorvegliare barricate e sbarramenti. Una specie di assedio medievale, ma senza armi. «Speravamo di cenare: si può avere almeno un panino?». Macché: chiusa la cucina da campo, sprangato anche il chiosco delle bibite. Tutta la notte, senza nemmeno il conforto di una birra.Uno alla volta, al Vecchio venuto da Roma si avvicinano in tanti. Qualche sindaco, che vuole ringraziarlo di essersi preso la briga di infilarsi, alla sua veneranda età, in un pasticcio come quello. Tra i più entusiasti c’è un coetaneo, Enzo Debernardi: ha scoperto che, in gioventù, con l’Anziano aveva condiviso la stessa scuola di partito, le mitiche Frattocchie. A proposito di comunisti: ecco Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione; inganna l’attesa sotto un tendone, giocando a carte. Sono tanti, i visi amici che popolano l’ultima notte della Libera Repubblica. Per esempio il sociologo Marco Revelli e i giovani giornalisti del “Fatto Quotidiano”, Cosimo Caridi e Lorenzo Gaelazzi. Il clima cambia quando compaiono Maurizio Tropeano della “Stampa” e Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, poi autore di un esemplare reportage. Colpisce il loro abbigliamento: scarponi e caschetti, fazzoletto per proteggersi il volto, scorte di limone per resistere ai lacrimogeni. Alle quattro di mattina, nel buio ancora fondo, c’è chi si ostina a sperare che si sia trattato solo di un falso allarme, illudendosi che lo sgombero non ci sarà. Mezz’ora dopo, i primi sms: «Attenti, i poliziotti hanno lasciato gli alberghi: si stanno preparando». Duemila in tutto: tra agenti, carabinieri e finanzieri.Prima del sorgere del sole, compaiono le colonne blindate. I NoTav prendono posto sulle barricate. La consegna è precisa: opporre una resistenza passiva, senz’ombra di violenza. I sindaci fanno da tramite con la Digos: «Se non voleranno pietre, non ci sarà nessuna carica». La missione della polizia: conquistare il pratone della Maddalena lentamente, senza fretta, prima di sera. Una giornata che si annuncia lunghissima, snervante, infinita. Rischio: qualche spintone, al massimo. Questo, almeno, in teoria. Perché poi, in pratica, non si può mai sapere come andrà a finire. Il Vecchio scruta lo spettacolo dall’alto, dal belvedere della Maddalena. Tutto come da copione: la polizia che avanza con calma, mentre gli elicotteri presidiano il cielo. Se appena qualche sconosciuto afferra una pietra, le sentinelle NoTav gli volano addosso per disarmarlo. Le ore scorrono lentissime, e gli agenti ormai sono di fronte agli sbarramenti. Urla, concitazione, nuvole di lacrimogeni. E il Vecchio? Eccolo là, stanchissimo, sprofondato su una poltroncina di plastica. E’ avvolto in un poncho rosso, che gli hanno gettato sulle spalle: sembra Garibaldi. E’ provato: il volo serale, la pancia vuota. Tutta la notte in piedi, e poi l’intera mattinata in stato di tensione. In quei momenti, anche solo un caffè farebbe miracoli. Ma non c’è tempo. Di colpo, il pratone viene invaso dai NoTav in fuga, inseguiti. Bisogna scappare. Dove? Su per il bosco, decide Garibaldi, d’istinto.Un attimo, ed è già tardi: l’aria diventa grigia, visibilità zero. E’ la nebbia chimica dei gas Cs. Così si brancola, accecati. Manca il respiro: quel gas regala un’autentica sensazione di soffocamento. Panico e caos, in mezzo alla marea dei NoTav in rotta: corrono a centinaia, nella nebbia, incalzati agli agenti. Sono una grandine, i lacrimogeni che piovono da ogni parte. Nel nebbione, una ragazza si accorge del Vecchio che tossisce, rantola, non riesce a riaprire gli occhi. Gli passa una bottiglia d’acqua. Torna la vista, e pian piano anche il fiato. Bisogna risparmiarlo: il sentiero nel bosco – unica via di fuga – è roba da alpinisti (e il Vecchio scivola tra i sassi, zampettando sui mocassini). Lentamente, si forma una colonna di profughi. Un serpentone in rotta, tra gli alberi, tallonato dagli elicotteri. Una fatica devastante, nel caldo che intanto si è fatto insopportabile. Finito il bosco, compare una borgata. Gli abitanti sembrano caschi blu dell’Onu: offrono caffè e un bicchiere di vino. I profughi, stremati, si tuffano nelle fontane. Sollievo generale: è davvero finita, a quanto pare? Non ancora: dalla borgata alpina lo si vede benissimo, quello che sta succedendo laggiù. Nel fondovalle, centinaia di manifestanti NoTav hanno bloccato la statale, per protesta. Chi ha raggiunto le case in cima al bosco è rimasto intrappolato: non potrà allontanarsi in auto.Poco più in là, gli sherpa che guidano l’Anziano bussano a una baita, a dieci minuti di strada, che funziona anche come ristorante. C’è davvero bisogno, finalmente, di mettere qualcosa sotto i denti. «Oggi siamo chiusi», è la risposta. Sguardi interrogativi. «Ma voi venite dalla Maddalena?». E certo, non si vede? «Entrate, allora. Vediamo cos’è rimasto, da mangiare». In un amen, prende forma una specie di banchetto. Dalla dispensa esce ogni ben di Dio, taglieri di salumi e formaggi, persino uno spettacolare arrosto con patate di montagna. A un certo punto, l’oste si accorge che il Vecchio è sparito. «E’ fuori, dev’essere uscito a telefonare». Va ad avvertirlo che il suo arrosto è pronto, ma rimane interdetto: «Dorme, non oso svegliarlo. Si è addormentato, seduto sui gradini». Naturale: tutti stanno crollando dal sonno. Solo che non hanno settant’anni suonati, e non sono partiti da Roma la sera prima. «Scusate, ma chi è? Mi sembra di averlo giù visto, in televisione».Esatto, è proprio lui: Giulietto Chiesa. L’unico grande veterano dell’informazione, capace di spingersi in quella valle della malora per viverla fino in fondo, in prima persona, l’ultima notte di quella avventurosa Libera Repubblica. Tutti bravi, i colleghi, a storcere poi il naso di fronte alle prime violenze esplose in seguito, generate dalla rabbia, dopo anni di proteste prima accorate e poi disperate, sempre inascoltate. Nel frattempo dov’erano, i giornalisti? Comodo, a cose fatte, liquidare la questione: mera faccenda di ordine pubblico. Inaccettabile, lasciar degradare una battaglia civile tollerando la comparsa di frange violente? Giusto, ma nessuno s’è domandato il perché di tutto questo? Lui sì, l’aveva fatto. L’unico, davvero, a rispondere «presente, eccomi qua». Capace addirittura di tornare a Torino, anni dopo, a deporre in tribunale. La differenza? Sta nel coraggio di non tirarsi indietro, di fronte a rogne che chiunque altro eviterebbe. Significa saper entrare nel cuore delle cose, scoprire i fatti, guardare negli occhi le persone. Specie se sono sole, senza amici che contino, senza difensori. E alle prese con un avversario onnipotente, che poi alla fine tanti altri italiani – col tempo – riconosceranno come problema comune: un nemico subdolo e bugiardo, pronto a a mentire a reti unificate pur di calpestare qualsiasi residua sovranità, trasmettendo il seguente messaggio: tu, semplice cittadino, ormai non conti più niente. Descansate, niño.Un anno più tardi, ci volle l’eroismo solitario e nonviolento di Luca Abbà, precipitato dal traliccio in cima al quale s’era arrampicato, per scomodare la mitica troupe di Michele Santoro: vuoi vedere che in valle di Susa c’è un problema grosso come una casa, per la democrazia italiana? Archiviato intanto il Cavaliere, il paese – con Letta, Renzi e Gentiloni – scivolava sul piano inclinato del meno peggio, fino all’attuale molto peggio: l’incubo della polizia sanitaria e gli arresti domiciliari di massa, il Distanziamento, il suicidio dell’economia stabilito per decreto. Qualcuno decide tutto, lassù, sopra la testa di sessanta milioni di persone. L’alibi può cambiare, la sostanza no: fine della libertà, attraverso l’imposizione (a mano armata, anche) dei voleri di un potere oscuro – finanziario, addirittura sanitario – che nessuno ha mai scelto, votato, approvato. Si può cominciare con un’inutile super-ferrovia, e si finisce con le museruole imposte ai bambini ai giardinetti, in attesa del vaccino universale obbligatorio, del tracciamento orwelliano, del microchip sottopelle. Dove portasse, quel vicolo maledetto – sbarrato dalle innocue barricate dimostrative della valle di Susa – erano stati davvero in pochi, a capirlo. Quel memorabile lunedì 27 giugno del 2011, a tarda sera, Giulietto Chiesa era ancora nella vallata in rivolta. Volle raggiungere Bussoleno, la cittadina del fondovalle dove i reduci NoTav erano radunati in assemblea. Una folla oceanica. Quando lo videro, esplose un’ovazione. Era per pronunciare l’unica frase possibile: grazie, Giulietto.Chi esce dai ranghi per affrontare l’ignoto va sempre incontro a grossi guai, e finisce per collezionare insulti: la destra ottusa ha accusato il Vecchio di essere una specie di incorreggibile nostalgico del comunismo sovietico, mente la sinistra l’ha detestato (altrettanto cordialmente) per la sua lucida, imperdonabile diserzione. «Non avete capito niente, della mutazione del mondo», ripeteva, agli ex compagni: «Quelli di voi che sono in buona fede perdono ancora tempo ad accanirsi contro i piccoli politici italiani, che non contano nulla, senza vedere che i leader “riformisti” si sono venduti all’élite mondialista, ai Padroni dell’Universo: quelli che se decidono di costruire una ferrovia miliardaria e inutile sono capaci di schiacciare la popolazione, senza nessuna pietà e senza dare spiegazioni». Ai NoTav, secoli prima dell’avvento della Salvini-Fobia, regalò queste parole: «E’ stata l’élite neoliberista, appoggiata anche dalla sinistra, a impoverire tutti, esasperando gli animi: al punto che, domani, avrà buon gioco il primo cialtrone che si metterà a incolpare i neri, gli zingari o qualsiasi altro disgraziato». Veniva dalla Luna, Giulietto Chiesa? «Canto l’uomo che è morto, non il Dio che è risorto», recita Lucio Dalla tra i versi di quella sua canzone, “Comunista”, riflettendo sull’eroismo di chi si dispone controvento, a proprio rischio, perché sente – prima e meglio degli altri – che soccorrere l’umanità in pericolo è l’unico modo dignitoso di essere uomini, prima ancora che giornalisti.(Giorgio Cattaneo, 27 giugno 2020).«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.
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Conte cade a luglio, governo-tampone e poi Draghi al Colle
Conte avrà gioco facile nel dire che non ha abbassato l’Iva perché il Pd non ha voluto. Qualcosa si sta rompendo, perché in questa situazione, in cui si sa che il Pil andrà sotto del 10% e il rapporto debito-Pil arriverà al 160%, ormai i politici populisti vanno a briglie sciolte. Siamo al “tana libera tutti”. È come mettere un obeso in pasticceria. Nel disastro totale, che differenza fa spendere 10 miliardi in più o in meno? È per questo che il Pd sente tremare la terra sotto i piedi. Gualtieri deve stare attento, perché è lui quello che paga le pensioni e gli stipendi degli statali. Questo potrebbe indurre il Pd ad accelerare la resa dei conti, cioè a tentare la strada della crisi. Potrebbe: le certezze sono poche. L’unica cosa che si sa del Recovery Fund è che non arriverà prima del 2021. Il Mes provocherà una scissione nel M5S, ci saranno almeno 20-30 parlamentari grillini che voteranno contro. Finché possiamo emettere Btp a tassi bassi grazie all’aiuto della Bce, il gioco regge. Ma potrebbe anche scatenarsi la speculazione, e a quel punto cambierebbe tutto. Ci ritroveremmo nel 2011 con Monti o nel 1992 con Amato.Il Pd si è imbarcato in questa avventura di governo nella convinzione di condizionare Conte, ma non pare ci stia riuscendo. Sta accadendo l’opposto: la linea di Bettini e Zingaretti è fallita anche sul fronte 5 Stelle. Il Pd sperava di completare l’annientamento dei grillini realizzato a metà da Salvini, che li ha fatti scendere dal 32 al 17%. Invece il M5S si mantiene intorno al 15-16% nei sondaggi. C’è un precedente storico che dovrebbe preoccupare il Pd: esattamente cento anni fa, i liberali di Giolitti si illudevano di addomesticare i fascisti. Fecero il listone e Mussolini se li mangiò. Sarà Berlusconi a salvare Conte sul Mes e non solo, se dovessero esserci defezioni nei 5 Stelle? Sì. Forza Italia – e non solo la Carfagna, da sempre favorevole – è pronta a subentrare, e direi che non vede l’ora. Ovviamente non gratis. A quali condizioni? Via Conte da Palazzo Chigi, e Forza Italia puntella la maggioranza Pd-M5S in cambio di un nuovo premier. Noi vi appoggiamo, ma si apre una nuova fase politica, eccetera. Potrebbe essere prima di settembre? Difficile dirlo. La politica è imprevedibile. Anche la crisi economica.Se a Conte va male, va avanti fino a luglio, se gli va bene può durare fino a settembre. Anche le regionali, non solo la crisi economica, potrebbe scalzarlo da Palazzo Chigi. Il 20 settembre i grillini verranno ulteriormente massacrati, al Nord scenderanno sotto il 10%, quindi non si capirà perché debbano esprimere il premier. Chi accreditare come capo del governo? Guerini o Franceschini? Sono nomi possibili. Girano anche outsider tipo Cantone. Salvini ha lanciato un amo al M5S, auspicando l’elezione del prossimo presidente della Repubblica con il centrodestra, ma il M5S non vuole escludere il Pd. Salvini tecnicamente ha ragione: dopo la terza votazione non ci vogliono più i due terzi, basta la maggioranza assoluta. Quella di Pd e M5S sarebbe risicata. Potrebbero riuscire ad imporre il Capo dello Stato se anche Fi votasse con loro. Le danze sono già iniziate. Alcuni nomi? Prodi, Veltroni… Anche Mattarella ci crede? Non penso ci possa essere un bis del Napolitano-bis. Se a un anno e mezzo di distanza dovessi scommettere, direi Draghi. Avrebbe con sé la maggioranza assoluta degli italiani.Non è la prima volta che si parla di uno scenario in cui lo Stato non ha più soldi per pagare gli stipendi agli statali. Cosa succederebbe? La stessa cosa del novembre 2011, quando lo spread arrivò a 500 e cadde il governo Berlusconi. Come allora si arrivò subito a una unità nazionale con Monti, così adesso salterebbe il quadro politico e si farebbe un governo di emergenza. È il rischio cui andiamo incontro. Adesso i lavoratori privati sono protetti dal divieto di licenziamento, ma vietare i licenziamenti significa dover pagare miliardi di cassa integrazione. Quando cadrà il divieto, i disoccupati fioccheranno a decine di migliaia. Subentrerà il sussidio di disoccupazione, il Naspi, che però dura 6 mesi, e a scalare. Allora il M5S dovrà elargire ad altri il suo reddito di cittadinanza, ma non si sa con quali soldi.(Mauro Suttora, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Conte sfiduciato a luglio e governo Fi-Pd-M5S”, pubblicata sul “Sussidiario” il 23 giugno 2020. Già redattore per “L’Europeo” e “Oggi”, Suttora ha lavorato come inviato e corrispondente per varie testate, italiane e americane).Conte avrà gioco facile nel dire che non ha abbassato l’Iva perché il Pd non ha voluto. Qualcosa si sta rompendo, perché in questa situazione, in cui si sa che il Pil andrà sotto del 10% e il rapporto debito-Pil arriverà al 160%, ormai i politici populisti vanno a briglie sciolte. Siamo al “tana libera tutti”. È come mettere un obeso in pasticceria. Nel disastro totale, che differenza fa spendere 10 miliardi in più o in meno? È per questo che il Pd sente tremare la terra sotto i piedi. Gualtieri deve stare attento, perché è lui quello che paga le pensioni e gli stipendi degli statali. Questo potrebbe indurre il Pd ad accelerare la resa dei conti, cioè a tentare la strada della crisi. Potrebbe: le certezze sono poche. L’unica cosa che si sa del Recovery Fund è che non arriverà prima del 2021. Il Mes provocherà una scissione nel M5S, ci saranno almeno 20-30 parlamentari grillini che voteranno contro. Finché possiamo emettere Btp a tassi bassi grazie all’aiuto della Bce, il gioco regge. Ma potrebbe anche scatenarsi la speculazione, e a quel punto cambierebbe tutto. Ci ritroveremmo nel 2011 con Monti o nel 1992 con Amato.
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Quasi un italiano su due rifiuta l’idea del vaccino anti-Covid
Oltre 4 italiani su 10 sarebbero poco propensi a vaccinarsi. È quanto emerge da una recente ricerca dell’Università Cattolica di Milano, scrive Andrea Pegoraro sul “Giornale”. Lo studio evidenzia che il 41% degli individui intervistati ritiene tra il “per niente probabile” o a metà tra “probabile e non probabile” la possibilità di una futura vaccinazione. L’indagine è stata condotta tra il 12 e il 18 maggio su un campione di 1000 persone, rappresentativo di tutta la popolazione italiana, ed è stata realizzata attraverso interviste web assistite da computer. La ricerca si è svolta nell’ambito del progetto Craft della Cattolica, campus di Cremona, ed è stata coordinata dalla professoressa Guendalina Graffigna insieme a Greta Castellini, Lorenzo Palamenghi, Mariarosaria Savarese e Serena Barello. Lo studio analizza la propensione al vaccino da un punto di vista territoriale, di età e di professione, senza dimenticare l’aspetto psicologico. A livello geografico le differenze non sono così marcate. Basti pensare che rispetto al dato nazionale, l’orientamento a non vaccinarsi risulta leggermente maggiore nel Centro Italia (43%).Qualche dato in più emerge incrociando il dato di base con i fattori socio-demografici. «In generale – spiega la profesoressa Graffigna, docente di psicologia dei consumi e direttore del centro di ricerca EngageMinds Hub dell’Università Cattolica – i più giovani (34% contro il 41% del totale campione) e i più anziani (29% contro il 41% del totale campione) sono meno esitanti nei confronti della vaccinazione. Più cariche di dubbi, invece, risultano le persone tra i 35 e i 59 anni (48% contro il 41% del totale campione)». La professoressa sottolinea poi che i pensionati e gli studenti si confermano più fiduciosi verso il vaccino, mentre gli operai e nella media impiegati e imprenditori sono più perplessi. «Arrivano informazioni interessanti dal profilo psicologico, in particolare dal giudizio sulla vaccinazione come atto di responsabilità sociale», osserva il “Giornale”: «Dalla ricerca emerge che chi ha un atteggiamento individualista nella gestione della salute e non considera il vaccinarsi come atto responsabile, tende a essere ancora più scettico verso un futuro programma vaccinale per il coronavirus (71% contro 41% del totale campione)».Al contrario, appaiono decisamente più propensi della media quanti ritengono che i loro comportamenti abbiano un valore importante per la salute collettiva. «Questi dati sono un campanello di allarme di cui tenere conto», conclude Graffigna, che è favorevole alla prospettiva del vaccino, «soprattutto perché segnalano la necessità di iniziare sin da subito con una campagna di educazione e sensibilizzazione dedicata alla popolazione in cui aiutare a comprendere l’importanza di vaccinarsi contro la Covid-19». Ipotesi che peraltro è caldamente sconsigliata da autorevoli clinici, per almeno due ragioni. La prima: non è affatto scontato che si possa sperimentare l’efficacia di una vaccinazione contro un virus così mutevole come quello che ha originato la sindrome Covid. La seconda: non si vede la ragione di ricorrere al vaccino per un problema che ormai – da moltissimi medici – è stato ridimensionato, come patologia perfettamente curabile con tranquillità: lo certifica implicitamente la stessa Oms, che ha appena convalidato l’efficacia delle cure con farmaci cortisonici. Una terapia inutilmente segnalata al ministro Speranza, due mesi fa, da 30 medici italiani. Se basta il cortisone per scacciare l’incubo-Covid, perché mai vaccinarsi?Oltre 4 italiani su 10 sarebbero poco propensi a vaccinarsi. È quanto emerge da una recente ricerca dell’Università Cattolica di Milano, scrive Andrea Pegoraro sul “Giornale“. Lo studio evidenzia che il 41% degli individui intervistati ritiene tra il “per niente probabile” o a metà tra “probabile e non probabile” la possibilità di una futura vaccinazione. L’indagine è stata condotta tra il 12 e il 18 maggio su un campione di 1000 persone, rappresentativo di tutta la popolazione italiana, ed è stata realizzata attraverso interviste web assistite da computer. La ricerca si è svolta nell’ambito del progetto Craft della Cattolica, campus di Cremona, ed è stata coordinata dalla professoressa Guendalina Graffigna insieme a Greta Castellini, Lorenzo Palamenghi, Mariarosaria Savarese e Serena Barello. Lo studio analizza la propensione al vaccino da un punto di vista territoriale, di età e di professione, senza dimenticare l’aspetto psicologico. A livello geografico le differenze non sono così marcate. Basti pensare che rispetto al dato nazionale, l’orientamento a non vaccinarsi risulta leggermente maggiore nel Centro Italia (43%).
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Gli Stati Generali servirebbero all’opposizione: è scomparsa
Gli Stati generali sono un assurdo per un governo in carica perché sostituiscono il fare col dire, e questo soprattutto nella nostra emergenza è un gravissimo tradimento; sarebbero invece utili alle opposizioni se mettessero a fuoco una risposta organica, una compagine e una proposta alternativa di governo. E sarebbero il segno di un’iniziativa politica dell’opposizione, non solo di una piazzata. Ci sono in Italia tre forze principali all’opposizione che formano il cosiddetto centro-destra, due sovraniste e una intermittente. Ci sono tre principali quotidiani d’opposizione, quasi nella stessa situazione, più qualche programma televisivo, che battagliano contro il potere in carica. C’è mezza Italia con loro, anche se i lettori sono una piccola minoranza di questo popolo. Nel mezzo, però, tra l’opposizione e la gente, c’è un vuoto, un deserto, manca qualcosa d’essenziale: mancano classi dirigenti o luoghi di formazione e di selezione, mondi, imprese, movimenti, culture, visioni, strategie. E manca soprattutto un racconto diverso sull’Italia, sul mondo, sulla storia passata e presente, differente da quello che passa il regime. Come mai?La soluzione al problema è facile e pure vistosa: l’egemonia culturale ha il monopolio della narrazione, ed è tutta dall’altra parte, un tempo marxista e gramsciana, poi sessantottina, radical-progressista e antifascista, e ora pure grillo-trasformista. Il potere culturale si annoda all’establishment ed è nelle mani sinistre, non solo da noi; ed è esercitato, non ci stancheremo mai di ripeterlo, come una cupola mafiosa, con gli stessi metodi, protezioni, esclusioni, ostracismi e omertà, anche se incruenti. Possono fallire le loro idee, finire gli slanci rinnovatori, mancare gli autori all’altezza; e sostituirli coi palloni gonfiati, gli slogan, i riflessi condizionati, i pugni chiusi, le sentenze di qualche magistrato, i precetti della nuova religione politically correct, il catechismo del nuovo bigottismo progressista. Ma il quadro non cambia. E allora torniamo a un nostro tormento che ad alcuni di voi sembrerà un tormentone. Ma perché a quel consenso politico alle forze d’opposizione che sono tuttora maggioranza nel paese e dunque governo potenziale d’Italia, non corrisponde poi nulla a livello sociale, culturale, mediatico, narrativo?Perché non c’è un altro racconto oltre quello unico, globale, ossessivo, che ci viene propinato ogni giorno? Perché l’agenda dei temi e delle narrazioni, il senso della nostra epoca, è sempre in quelle mani e chi vi si oppone al più gioca di rimessa, avversa i loro discorsi, contrasta le loro dominazioni, ma senza lanciare modelli, linguaggi, valori, racconti alternativi? C’è chi si consola dicendo che va così, loro dominano la cultura e l’ideologia, ma ad altri tocca governare e affrontare la realtà, con spirito pratico. Loro parlano parlano ma poi perdono al voto, sono una minoranza. Versione finto-consolatoria, perché sappiamo bene quanto invece siano impediti e condizionati coloro che vanno a governare, avendo contro la bolla ideologica di scomunica; ne subiscono la fatwa, la pubblica interdizione. E sappiamo pure quanto conta in termini d’intimidazione e dominazione il monopolio del discorso rispetto a chi ne è bersaglio e vittima. Vedete che succede a Trump, la violenta campagna a tutti i livelli per impedire la sua rielezione con ogni mezzo.Se parli di opposizione, alla fine non vai oltre i nomi, le facce, la gag dei leader; e quando immagini un’Italia alternativa non riesci ad andare oltre la piazza del 2 giugno, del 4 luglio o poco altro. E magari, a ulteriore conforto, ti soccorrono i nomi di alcuni governatori, sindaci e giunte. Ma finisce lì. L’opposizione in Italia è una forza politico-elettorale, un paio di facce e cognomi; la sinistra invece non ha leader ma è una forza socio-culturale, ideologico-politico-morale diffusa, ramificata, a ogni livello. La destra è realtà nuda e cruda, la sinistra è rappresentazione, molteplice e polivalente. La destra è piazza e urna, la sinistra è salotto, terrazza, poteri, cattedra, pulpito, sacrestia, editoria, libro, premio, film, tribunale, teatro, tendenza, regime, anarchia, eccetera. Viviamo, non solo in Italia, in una democrazia asimmetrica, squilibrata.Non si può far nulla, allora? Lasciate che io vi dica una cosa. Parlo a titolo personale. Preferisco anch’io che al governo ci vadano forze di destra, sovraniste, nazional-popolari, antisinistra, antigrilline. Penso che farebbero poco di quel che dicono ma almeno un po’ meglio di quel che dicono e fanno i loro avversari; meno danni perlomeno, più qualche piccolo tentativo di riforma (avendo l’inferno contro). Però, tenetevi forte: considero quei cambiamenti, quei correttivi meno importanti della mancata sfida sul piano delle idee, dei valori, dei linguaggi, dei comportamenti. Ovvero, più che governare, prima che governare, a me piacerebbe un serio tentativo di cambiare la mentalità dominante, di rovesciare l’egemonia e i suoi derivati o perlomeno di contenderla in modo adeguato. Perché quello sarebbe un vero cambiamento, strutturale, epocale, non effimero e occasionale; un cambiamento destinato a durare e non a passare con una folata di leggi e poi controleggi.E quel che più sconforta è che questo tema non viene minimamente sfiorato o solo compreso da chi potrebbe da un giorno all’altro trovarsi a governare l’Italia. Non dico che si debba creare un’egemonia culturale uguale e contraria, ma almeno avere due chiavi di lettura diverse della realtà. Non dico che si debba riuscire nella titanica impresa, ma nemmeno provarci, però, è imperdonabile. E se non si affronta questa contesa su questo piano, l’atteso cambiamento si riduce a una piccola roba di breve respiro, che non lascia tracce. Non ci cambia la vita se Salvini o Meloni vanno al governo; invece cambia davvero se qualcosa muta nelle idee dominanti, nella vita reale, nella mentalità dell’epoca.(Marcello Veneziani, “Gli Stati Generali ci vorrebbero all’opposizione”, da “La Verità” del 22 giugno 2020).Gli Stati generali sono un assurdo per un governo in carica perché sostituiscono il fare col dire, e questo soprattutto nella nostra emergenza è un gravissimo tradimento; sarebbero invece utili alle opposizioni se mettessero a fuoco una risposta organica, una compagine e una proposta alternativa di governo. E sarebbero il segno di un’iniziativa politica dell’opposizione, non solo di una piazzata. Ci sono in Italia tre forze principali all’opposizione che formano il cosiddetto centro-destra, due sovraniste e una intermittente. Ci sono tre principali quotidiani d’opposizione, quasi nella stessa situazione, più qualche programma televisivo, che battagliano contro il potere in carica. C’è mezza Italia con loro, anche se i lettori sono una piccola minoranza di questo popolo. Nel mezzo, però, tra l’opposizione e la gente, c’è un vuoto, un deserto, manca qualcosa d’essenziale: mancano classi dirigenti o luoghi di formazione e di selezione, mondi, imprese, movimenti, culture, visioni, strategie. E manca soprattutto un racconto diverso sull’Italia, sul mondo, sulla storia passata e presente, differente da quello che passa il regime. Come mai?
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Immuni? No, grazie. Gli italiani snobbano l’App che li traccia
Gli italiani sono sempre più incerti rispetto all’utilizzo di Immuni, l’applicazione di tracciamento dei movimenti personali creata per localizzare e isolare i possibili nuovi focolai di coronavirus in Italia. Ad oggi l’app Immuni è stata scaricata da circa 3,3 milioni di italiani (poco più del 6% della popolazione adulta). Ma cala la fiducia nell’approccio tecnologico alla lotta al coronavirus: solo il 39% del campione rappresentativo della popolazione maggiorenne si dichiara disponibile a scaricare e dunque utilizzare (era il 44% a fine maggio, poco prima dell’avvio della sperimentazione in alcune Regioni). Questi i risultati di un sondaggio realizzato da Emg Acqua per conto di Public Affairs Advisors. Per l’istituto demoscopico guidato da Fabrizio Masìa cresce la quota di coloro i quali affermano che «certamente la scaricheranno» (il 22% invece del 16% registrato il 29 maggio) ma cala di parecchio la quota di coloro i quali «probabilmente la scaricheranno» (dal 28% di fine maggio al 17% registrato oggi), mentre la percentuale di coloro i quali «probabilmente non la scaricheranno», sale dal 16% al 24%.«Gli italiani sono ancora scettici sull’uso di Immuni», dichiara Giovanni Galgano, managing director di Public Affairs Advisors: «Il campione è sostanzialmente spaccato a metà ma dal panel completo di risposte trapela tanta incertezza». Non giova certo la storia di una 63enne barese che era stata messa in quarantena dall’Asl, dopo che aveva avvisato il suo medico di aver ricevuto la notifica da parte dell’App Immuni di un contatto sospetto con un positivo al coronavirus. Il tampone è risultato negativo è di nuovo “in libertà”, ma sulle pagine de “La Gazzetta del Mezzogiorno” è stato pubblicato il suo sfogo in cui assusa di essere stata posta ai domiciliari «senza ragione». Lo ha confermato il professor Pierluigi Lopalco, a capo della Task Force Epidemiologica della Regione Puglia, nel corso del programma “Centocittà” in onda su Rai Radio1 e condotto da Gianluca Semprini e Duccio Pasqua. Lopalco ha spiegato che ci sono state anche altre segnalazioni errate nei giorni: «In un caso – dice – si trattava di un messaggio di Android scambiato per messaggio di avvenuto contagio, in un altro caso ci hanno detto che si trattava di un errore tecnico».«In una fase di rodaggio come questa è importante mantenere sul telefonino il messaggio, possibilmente fare lo screenshot in maniera da verificare ogni volta che si tratti di un vero positivo e di un errore di interpretazione». L’epidemiologo, nel corso del programma, ha anche spiegato la situazione epidemiologica in Italia, dopo la fase acuta dell’epidemia: «Grazie a tutte le misure di prevenzione – dice – il virus oggi circola in un’altra popolazione. Quindi non è oggi che il virus attacca il giovane, ma abbiamo messo in sicurezza gli anziani, gli ospedali, la popolazione più fragile e quindi il virus trova spazio per circolare, ormai a bassa intensità, in una popolazione più sana, che è quella più giovane. Quindi – ha aggiunto Lopalco – ecco perché oggi il virus sembra indebolito, è perché questa è la coda dell’epidemia, effetto delle misure di prevenzione». Di conseguenza molti positivi hanno «una carica bassa» e molto spesso, rimarca l’epidemiologo, «si tratta di persone che non sono nemmeno contagiose».(”Immuni, italiani sempre più scettici: «Io in quarantena con una notifica»”, da “Today” del 22 giugno 2020).Gli italiani sono sempre più incerti rispetto all’utilizzo di Immuni, l’applicazione di tracciamento dei movimenti personali creata per localizzare e isolare i possibili nuovi focolai di coronavirus in Italia. Ad oggi l’app Immuni è stata scaricata da circa 3,3 milioni di italiani (poco più del 6% della popolazione adulta). Ma cala la fiducia nell’approccio tecnologico alla lotta al coronavirus: solo il 39% del campione rappresentativo della popolazione maggiorenne si dichiara disponibile a scaricare e dunque utilizzare (era il 44% a fine maggio, poco prima dell’avvio della sperimentazione in alcune Regioni). Questi i risultati di un sondaggio realizzato da Emg Acqua per conto di Public Affairs Advisors. Per l’istituto demoscopico guidato da Fabrizio Masìa cresce la quota di coloro i quali affermano che «certamente la scaricheranno» (il 22% invece del 16% registrato il 29 maggio) ma cala di parecchio la quota di coloro i quali «probabilmente la scaricheranno» (dal 28% di fine maggio al 17% registrato oggi), mentre la percentuale di coloro i quali «probabilmente non la scaricheranno», sale dal 16% al 24%.
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Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende
Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?Lo scorso 26 aprile l’Italia ha perso uno dei suoi osservatori più scomodi, Giulietto Chiesa: emarginato come complottista, quasi che i complotti non esistessero. Davvero? La Guerra del Vietnam esplose dopo l’incidente del Golfo del Tonchino; nel 1964, gli Usa accusarono la marina nordvietnamita di aver attaccato l’incrociatore statunitense Uss Maddox. Ci ha messo quarant’anni, la verità, a emergere: nel 2005, tramite la Nsa, l’intelligence di Washington ha finalmente ammesso che quello scontro navale non era mai avvenuto: era solo una fake news, per inscenare il casus belli. Molto più recentemente, siamo stati capaci di invadere l’Iraq, disastrando un’area che poi sarebbe diventata il brodo di coltura del cosiddetto terrorismo “islamico”, grazie alla maxi-bufala mondiale delle inesistenti armi di distruzione di massa in dotazione a Saddam Hussein. Era anche quella un’invenzione, rilanciata in mondovisione dalla “fialetta di antrace” agitata all’Onu da Colin Powell.La preparazione della realtà virtuale da somministrare al pubblico era stata accuratissima, come sempre. Il britannico Tony Blair, in primis, si era dato da fare per accreditare la bufala, in collaborazione con l’intelligence (anche italiana) che fabbricò la falsa pista del Nigergate, in base alla quale il regime di Baghdad – già armato dagli Usa contro l’Iran, anni prima – avrebbe cercato di approvvigionarsi di uranio in quel paese africano. Non che qualcuno possa rimpiangere (a parte molti iracheni, forse) un regime dispotico come quello di Saddam. Ma possibile che loro, i “padroni del discorso”, debbano ricorrere in modo sistematico alla manipolazione, fondata su clamorose menzogne, per ottenere il consenso necessario a supportare grandi cambiamenti? Non potrebbero autorizzare i nostri governanti a dire semplicemente la verità, ancorché sgradevole? Gliene manca il coraggio?Retropensiero: se tanto impegno viene profuso per raccontare il contrario del vero, non viene il sospetto che la nostra opinione in fondo conti parecchio, nonostante si cerchi di declassarla a fenomeno irrilevante? Certo, votiamo inutilmente: i partiti – tutti – poi si piegano sempre a direttive sovrastanti. Parla da sola la vicenda incresciosa dei 5 Stelle, che hanno tradito per intero le loro promesse elettorali. Idem, la storia tutta italiana dei recenti referendum: regolarmente celebrati, ma poi ignorati; il risultato quasi mai applicato, spesso annacquato se non aggirato e sostanzialmente azzerato. Eppure: se il cosiddetto potere ormai scavalca impunemente la democrazia, mortificandola e sterilizzandola nei suoi effetti, perché si affanna così tanto a imporci la sua narrazione disonesta? Non sarà che teme, nonostante tutto, che prima o poi possa insorgere una reazione, da parte del pubblico?Negli anni Ottanta, agli italiani è stato raccontato che era meglio che Bankitalia smettesse di finanziare direttamente lo Stato, a costo zero: era più trendy avvalersi della finanza privata speculativa, pagandole i salatissimi interessi che fecero esplodere di colpo il famoso debito pubblico. Negli anni Novanta, i medesimi narratori hanno cantato le magnifiche sorti e progressive della sottospecie deforme di Unione Europea fabbricata a Maastricht, quella che oggi impedisce all’Italia – devastata dalle conseguenze del lockdown – di rimettere in piedi le aziende che non riescono a riaprire o che chiuderanno tra poco, quelle che licenzieranno i dipendenti in autunno, quelle che scapperanno all’estero o, meglio ancora, si svenderanno agli attuali committenti esteri, specie tedeschi, prima di cedere il timone al capitale cinese o alla mafia nostrana, che già pregusta il banchetto.Tutti a ridere, nel 2020, quando Giulietto Chiesa scrisse – per primo – che non era possibile credere alla versione ufficiale dell’11 Settembre. Ora la voglia di ridere è passata, dopo che i pompieri di New York hanno cercato di far riaprire le indagini, in base alle loro testimonianze personali e alle evidenze scientifiche schiaccianti fornite dai tremila ingegneri e architetti americani del comitato “Verità sull’11 Settembre”: le torri di Manhattan non potevano crollare in quel modo, su se stesse e in pochi secondi, se non fossero state “minate” ben prima dell’impatto degli aerei. Una cosa però è la verità, e un’altra il suo sdoganamento. Tanto per cominciare, certe verità sono troppo indigeste: se anche venissimo scoperti, dicevano i nazisti, nessuno crederà mai che siamo stati capaci di inventarci una cosa come Auschwitz. E’ un fatto che la mente umana, semplicemente, non accetta. La prima risposta è invariabile: non può essere vero, mi rifiuto di crederlo.Il tempo è galantuomo, si dice; solo che se la prende comoda. Caso classico: John Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963. Tuttora, le fonti manistream – da Wikipedia in giù – seguitano a incolpare Lee Harvey Oswald, presentato come una specie di squilibrato solitario, confinando nelle “ipotesi cospirazionistiche” la nuda verità dei fatti, fiutata da subito ma emersa solo quando l’allora numero due della Cia, Howard Hunt, scomparso nel 2007, ha confessato in punto di morte che quello di Dallas fu un complotto del Deep State, attuato attraverso varie complicità: la Cia, l’Fbi, la manovalanza della mafia di Chicago e ben tre futuri presidenti degli Stati Uniti (Lyndon Johnson, Richard Nixon e George Bush). A sparare a Kennedy non fu Oswald, ma il mafioso Chuck Nicoletti. Ma a far saltare il cervello al presidente della New Frontier fu il killer di riserva, James Files: reo confesso, tuttora detenuto per altri reati e mai interrogato, su quei fatti, da nessun magistrato.Di Kennedy ha riparlato due mesi fa il grande Bob Dylan, con l’epico brano “Murder Most Foul”. L’omicidio di Dallas messo in relazione addirittura con il coronavirus: come se la pandemia che ha paralizzato il mondo nascesse da una regia occulta, direttamente ispirata dagli eredi dei criminali al potere che organizzarono il complotto costato la vita a Jfk. Il 19 giugno è finalmente uscito “Rough and Rowdy Ways”, il disco che contiene la denuncia kennedyana: non si contano gli elogi che la grande stampa profonde per quest’opera musicale del 79enne Premio Nobel per la Letteratura, ma nessun giornalista s’è peritato di scavare tra le righe per decifrare il codice esoterico attraverso cui Dylan lancia un’accusa esplicita, accennando al 33esimo grado che contrassegnava i massoni oligarchici e reazionari che vollero spegnere il sogno di un mondo libero, giusto mezzo secolo fa.Quanto ci vorrà, ancora, prima che un nuovo Howard Hunt confessi il suo ruolo nella strage dell’11 Settembre? Meno di quanto si pensi, forse, calcolando la velocità della crisi in corso e il prestigio dei personaggi che, in vario modo – da Dylan a Mario Draghi, fino a Christine Lagarde e Joseph Stiglitz – si stanno mettendo di traverso, rispetto al copione (emergenza, dunque crisi) messo in scena a livello planetario con la presunta pandemia frettolosamente dichiarata da una strana Oms, supportata dalla Cina. Proprio l’Oms ha provato a imporre ovunque il modello Wuhan, lockdown e coprifuoco, anche a paesi come l’Italia: non avendo più sovrantià finanziaria, a differenza di Pechino, noi non ce lo possiamo proprio permettere, un blocco di tre mesi che già quest’anno costerà 15 punti di Pil e chissà quanti milioni di disoccupati. Questo, almeno, è quello che sta finalmente emergendo, giorno per giorno, agli occhi di tutti: non è stato un affare, rinunciare a Bankitalia. E non era d’oro, la promessa europea che i super-privatizzatori come Prodi avevano fatto luccicare.Unire i puntini? Non è mai facilissimo, specie in mezzo al frastuono assordante di un mainstream che tace l’essenziale e ridonda di gossip politico irrilevante. In primo e piano, ora e sempre, la superficie epidermica della realtà: viene esibita la rozzezza retorica e spesso inaccettabile di Donald Trump, mettendo in ombra il cuore del fenomeno. Un vero e proprio incidente della storia, che ha proiettato alla Casa Bianca un outsider incontrollabile, capace di imporre uno stop alla super-globalizzazione che ha schiantato i lavoratori americani. Istrionico, ambiguo, già aggregato ai democratici, nel 2016 Trump s’è travestito da repubblicano sui generis, riuscendo a fermare il pericolo pubblico numero uno, Hillary Clinton, grande sponsor della nuova guerra fredda contro la Russia. Poi Trump – teoricamente, “di destra” – ha fatto cose che la sinistra (americana ed europea) si poteva solo sognare, negli ultimi decenni: ha dimezzato le tasse e raddoppiato il deficit. Risultato: disoccupazione azzerata. Infine, ha imposto uno storico stop – con i dazi – alla creatura preferita dei globalizzatori atlantici più reazionari e guerrafondai: la Cina.Manco a dirlo, l’emergenza Covid è esplosa a Wuhan un minuto dopo il “niet” inflitto da Trump a Xi Jinping, facendo dilagare la crisi giusto alla vigilia delle presidenziali americane. Come dire: è in gioco qualcosa di enorme, due versioni del mondo. La prima ce l’hanno fatta intravedere anche i prestanome italiani del governo Conte, peraltro non ostacolati minimamente dall’altrettanto farsesca opposizione: lockdown e niente aiuti, repressione orwelliana, distanziamento, mascherine, panico amplificato (bare sui camion militari) e cure efficaci contro il Covid regolarmente oscurate, emarginando i medici che per primi erano riusciti a sconfiggere il nuovo morbo, trasformandolo in malattia normalmente curabile. La seconda ipotesi di mondo – quella per la quale morì Kennedy – è tutta da difendere e da ricostruire, dopo il “golpe” mondiale della finanza neoliberista che s’è inventata persino l’eurocrazia stracciona che impoverisce i popoli e oggi li avvelena, mettendoli l’uno contro l’altro. Di Nuova Frontiera, probabilmente, si può riparlare solo se rivince Trump: se invece perde, prepariamoci a farci spiegare da Bill Gates come sarà la nostra vita domani.(Giorgio Cattaneo, “Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 giugno 2020).Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?
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Magaldi: fermiamo Zingaretti, vuole imporre il Tso al Lazio
Ma che razza di paese siamo? Nella sua circolare per impostare le campagne vaccinali d’autunno, il ministero della sanità sposa la “forte raccomandazione” della Regione Lazio, che invita a vaccinare contro l’influenza anche i bambini dai 6 mesi ai 6 anni, anche se – come scrive lo stesso ministero – a sconsigliarlo sono voci autorevoli della comunità scientifica. «Esilarante: anziché ai cittadini del Lazio, che Zingaretti vorrebbe sottoporre al trattamento sanitario obbligatorio, io il Tso lo prescriverei per i funzionari che scrivono cose come quelle. Ma come: la comunità scientica sconsiglia, e noi – impunemente – raccomandiamo?». Gioele Magaldi annuncia l’ennesima azione, sulla crisi Covid, intrapresa dal Movimento Roosevelt: un ricorso al Tar del Lazio, affidato all’avvocato “rooseveltiamo” Vanni Oddino, per annullare l’ordinanza che, nella regione, impone da ottobre l’obbligo del vaccino antinfluenzale per medici, infermieri e over-65. Un atto «assurdo, rischioso e ingiusto, perché incostituzionale». Magaldi condanna il “trattamento sanitario obbligatorio” imposto da Zingaretti, che ha spinto gli stessi medici laziali a rivolgersi alla magistratura. Attenti: il Lazio – già imitato dalla Calabria – potrebbe fare da battistrada per l’Italia intera. Tanti i denari in ballo: 115 milioni di euro, per prenotare i vaccini antinfluenzali destinati alle due Regioni. E i soldi dei vaccini, avverte Magaldi, spesso finanziano gli apparati politici.Di fronte all’ordinanza della giunta Zingaretti, osserva il presidente “rooseveltiamo”, «si capisce perché molti sono esacerbati e scivolano nell’insensato antivaccinismo: le autorità politiche e sanitarie hanno abdicato al principio scientifico e anche a quello del buon senso». Secondo Magaldi, ormai «è passata l’idea che più vaccini imponiamo, e meglio tuteliamo la popolazione. In realtà – obietta – a essere tutelato è chi ha approfittato di questa situazione: a chi arrivano poi tutti questi milioni? E chi ha avuto interesse a muovere un tale flusso di denaro? L’unica cosa certa – aggiunge Magaldi – è che queste vaccinazioni plurime, con gli inconvenienti che si iniziano a comprendere e i benefici che non sempre si comprendono, hanno foraggiato potentemente il sistema politico. E questo può spiegare anche la crociata ideologica dei No-Vax». Beninteso, precisa Magaldi: «Non sono mai stato No-Vax e non ho mai apprezzato quella canea di strepiti, alimentati da suggestioni antiscientifiche, ma nemmeno ho apprezzato l’obbligo di tanti vaccini imposti ai bambini con motivazioni friabili». Motivazioni che poi, nel caso dell’ordinanza laziale, diventano ridicole e insostenibili, sia dal punto di vista legale che sotto l’aspetto medico-scientifico.«C’è una diffusa indignazione per le modalità dello strumento adottato dal Lazio», conferma Monica Soldano, coordinatrice del servizio di Sostegno Legale del Movimento Roosevelt, sportello che difende gratuitamente i cittadini colpiti da sanzioni ingiuste durante il lockdown: «L’ordinanza regionale non può imporre un Tso, visto che l’articolo 32 della Costituzione lo consente solo se c’è un pericolo imminente: e l’influenza stagionale non rappresenta certo un pericolo così grave, né tantomeno imminente, al punto da imporre un trattamento sanitario obbligatorio». Non solo: «Sempre in base alla Costituzione, un ente come la Regione non ha il potere di emanare una simile ordinanza: chiediamo infatti al Tar che venga annullata per eccesso di attribuzione di potere (abuso di potere, quasi) e per assenza di competenza costituzionale». Il Lazio, poi, si rifà al Dpcm sull’emergenza Covid firmato da Giuseppe Conte lo scorso 27 aprile, «quando ormai la pandemia si stava attenuando», mentre l’obbligo vaccinale nel Lazio scatterebbe solo a ottobre, «cioè 5 mesi dopo l’emergenza». Infine, serviva almeno un cospicuo avallo scientifico: invece, il Lazio dichiara solo di aver “sentito per vie brevi” il Comitato tecnico-scientifico del governo. Solo una telefonata? «Questa ordinanza – sottolinea Monica Soldano – è nata in maniera preoccupante, sul piano del rispetto delle procedure».Tante le perplessità, a livello sanitario: il vaccino antinfluenzale può essere un rimedio peggiore del male, avverte il dottor Antonino Laudani, direttore del Dipartimento Salute del Movimento Roosevelt. «Esistono vaccini sicuri e più che giustificati, come quello contro la poliomielite: ma paragonare l’antinfluenzale all’antipolio non ha senso, visto che molti studi evidenziano come i benefici, in questo caso, non siano affatto rilevanti». Azzardato, quindi, puntare sull’obbligo del vaccino antinfluenzale, specie in relazione al Covid. «La Sars è scomparsa da sola, e senza “seconde ondate”: nessuno può sapere se il Covid tornerà in autunno, oppure no». Avverte il dottor Laudani: «L’antinfluenzale, oltretutto, è tra i vaccini meno efficaci: lo dicono i dati clinici». Meglio essere prudenti: «Oltre i 65 anni, la mortalità aumenta del 12%». Vaccinare contro l’influenza nel caso in cui dovesse riapparire il Covid, insiste Laudani, potrebbe essere deleterio: «Dove gli anziani sono stati vaccinati in maniera massiccia, quella degli over-65 è stata la fascia di popolazione che ha avuto il maggior numero di morti per Covid: anche questo dovrebbe costringerci a essere cauti, evitando le “vie brevi” adottate dalla Regione Lazio».Semplificare è sempre un errore, aggiunge il medico: «Ogni anno muoiono 12.000 persone per polmonite di origine batterica, e chi è defedato potrebbe aver bisogno di una vaccinazione specifica per lo streptococco, non per il virus influenzale». Altra complicazione: «Il vaccino antinfluenzale viene sviluppato sulla base di un gruppo di virus che sono già vecchi, relativi a una precedente infezione: quindi non è detto che il vaccino sia efficace sul ceppo di virus in circolazione durante l’inverno». Inoltre, la stessa Aifa ricorda che, nei vaccini, è sempre da valutare il rapporto rischio-beneficio, «e nel caso dell’influenza il rischio è basso». Inoltre, il vaccino antinfluenzale sfugge al diritto del paziente (e anche a quello del medico, di curare “secondo scienza e coscienza”). «Medico e paziente vengono cioè esautorati da questo loro diritto naturale», sostiene Laudani. «Mi sembra una violazione dei diritti della categoria: se il vaccino viene imposto, i medici non possono prendere la decisione che reputano migliore». Dover far firmare al paziente un consenso informato per un trattamento che magari non gli servirà, ribadisce il dottor Laudani, è un aspetto medico-legale tutto da valutare: «Stando all’ordinanza del Lazio, il medico dovrebbe assumersi la responsabilità di vaccinare una persona che invece ha altre problematiche, che magari sconsigliano di somministrare il vaccino».Dal canto suo, Gioele Magaldi punta l’indice contro quelli che hanno messo in piedi «questa sorta di dittatura vaccinista, aumentando a dismisura la retorica sul vaccino come chiave risolutiva di ogni malattia», senza contare «il bombardamento di vaccini a cui sono stati sottoposti i bambini». E aggiunge: «Attraverso queste derive, poi si arriva a dire che devono essere vaccinati anche gli adulti, gli insegnanti, i medici, gli anziani. Si finirà per proporre una vaccinazione plurima per tutti? Siamo all’assurdo». Quello del Movimento Roosevelt – sottolinea il presidente – resta un approccio laico, «non basato sulla fede o sull’abbraccio mortale con qualche suggestione alla quale aggrapparsi, e per la quale militare in modo fazioso e tribale: noi vogliamo ragionare, e vogliamo che la dignità umana possa mostrarsi anche nell’esercizio dello spirito critico». Per questo, conclude, «intendiamo combattere contro l’ordinanza iniqua e anticostituzionale promossa dalla Regione Lazio per imporci un vaccino antinfluenzale che molto probabilmente non serve a nessuno: se vogliamo vivere in Italia e non in un sistema come quello cinese, certe imposizioni lasciamole alla Cina».Ma che razza di paese siamo? Nella sua circolare per impostare le campagne vaccinali d’autunno, il ministero della sanità sposa la “forte raccomandazione” della Regione Lazio, che invita a vaccinare contro l’influenza anche i bambini dai 6 mesi ai 6 anni, anche se – come scrive lo stesso ministero – a sconsigliarlo sono voci autorevoli della comunità scientifica. «Esilarante: anziché ai cittadini del Lazio, che Zingaretti vorrebbe sottoporre al trattamento sanitario obbligatorio, io il Tso lo prescriverei per i funzionari che scrivono cose come quelle. Ma come: la comunità scientifica sconsiglia, e noi – impunemente – raccomandiamo?». Gioele Magaldi annuncia l’ennesima azione, sulla crisi Covid, intrapresa dal Movimento Roosevelt: un ricorso al Tar del Lazio, affidato all’avvocato “rooseveltiamo” Vanni Oddino, per annullare l’ordinanza che, nella regione, impone da ottobre l’obbligo del vaccino antinfluenzale per medici, infermieri e over-65. Un atto «assurdo, rischioso e ingiusto, perché incostituzionale». Magaldi condanna il “trattamento sanitario obbligatorio” imposto da Zingaretti, che ha spinto gli stessi medici laziali a rivolgersi alla magistratura. Attenti: il Lazio – già imitato dalla Calabria – potrebbe fare da battistrada per l’Italia intera. Tanti i denari in ballo: 115 milioni di euro, per prenotare i vaccini antinfluenzali destinati alle due Regioni. E i soldi dei vaccini, avverte Magaldi, spesso finanziano gli apparati politici.
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Bugiardi, spiegateci perché il Covid ha colpito la Lombardia
Inquinamento, antenne 5G e sovra-vaccinazioni (influenza e meningite). Tutto ciò ha a che fare con la strage Covid che ha devastato la Lombardia? «Soprattutto a causa degli inceneritori, quella tra Bergamo e Brescia è la zona più inquinata d’Europa: e tra fine 2019 e inizio 2020, in quell’area, ci sono stati 180.000 inoculi vaccinali, somministrati agli anziani», dice Marcello Pamio, nutrizionista, presente – fra gli altri – alla grande manifestazione (12.000 persone) organizzata a Firenze il 21 giugno dal Movimento 3V (Vaccini Vogliamo Verità), con oratori come Mauro Scardovelli e la coraggiosa parlamentare ex grillina Sara Cunial, promotrice del progetto di mobilitazione popolare R2020. Il tema: l’emergenza coronavirus nasconde un disegno totalitario. E nessuno, intanto, ci ha ancora spiegato perché la Lombardia è finita nell’occhio del ciclone: 238.000 contagi e oltre 16.500 morti, a fronte dei 4.000 di Piemonte e Veneto. Colpite in misura minore altre Regioni non lontane (1500 vittime in Liguria e 1000 nelle Marche), mentre nel resto d’Italia i numeri oscillano: da qualche centinaio a poche decine di decessi, ben al di sotto del bilancio di una normale influenza stagionale. Cosa c’è, dunque, dietro all’esplosione lombarda del fenomeno Covid? «Non lo sappiamo ancora, perché non ci vengono forniti i dati essenziali», dice un medico rianimatore, Stefano Manera.
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Italia tradita e svenduta, e le stellette stanno a guardare
Dopo gli Stati Generali tenuti in segreto, il Conte annuncia che gli interventi per l’economia dovranno aspettare ancora mesi. Il Quirinale sta a guardare, come pure i militari, che hanno giurato di difendere la Patria e la Costituzione, mentre il governo abbandona e tradisce l’Italia. La tradisce in senso non giuridico, ma etimologico: il verbo tradire, tradisco, vene dal latino tràdere, trado, che significa passare di mano, consegnare. Conte, il Pd, i 5S, stanno spezzando le reni all’Italia, cioè rinviano, rinviano, non intervengono, la lasciano precipitare economicamente e socialmente, come da mandato europeo, in modo che poi cada in mano ai capitali stranieri, soprattutto tedeschi: riempiti di debiti, fallimenti e disoccupati, gli italiani fra un poco accetteranno, anzi invocheranno qualsiasi cosa, qualsiasi ‘condizionalità’, per tirare un poco il fiato: accetteranno Mes, Troika, diktat, grecizzazione, cessione di infrastrutture e assets strategici. Forse anche dei monumenti. Era questo l’obiettivo, no?Il grande presidente Napolitano mi correggerebbe: «Non è tradimento, perché non esiste più una sovranità, una fedeltà nazionale italiana: esiste solo una sovranità e una fedeltà europea». Lo vada a insegnare alla Corte Costituzionale tedesca, la quale, nella storica sentenza del 5 maggio scorso, ha detto che la sovranità e la Costituzione tedesca esistono ancora e prevalgono su quelle europee. Dopo il disastro in arrivo, Conte & soci non saranno molto popolari, non avranno più possibilità di farsi rieleggere normalmente dagli italiani; potranno continuare la loro carriera politica solo in un modo: facendosi sostenere dalla forza dei conquistatori stranieri, ed è appunto con essi che si sono alleati: Colao innanzitutto, che li rappresenta oggi come li ha sempre rappresentati nelle operazioni di cessione di industrie strategiche agli stranieri. Conte & soci si sono alleati con gli stranieri contro gli italiani. Cacciano il ferro a fondo.Nel Parlamento snobbato da Conte, che fa proclami senza lasciarsi interrogare, la Boschi si vanta che Mattarella ipsissimus avrebbe esortato a questo nuovo corso. E le stellette stanno a guardare. Forse è meno peggio così. L’importante è che resti aperta la dogana per andarsene da questo schifo.(Marco Della Luna, “Le stellette stiano a guardare” dal blog di Della Luna del 18 giugno 2020).Dopo gli Stati Generali tenuti in segreto, il Conte annuncia che gli interventi per l’economia dovranno aspettare ancora mesi. Il Quirinale sta a guardare, come pure i militari, che hanno giurato di difendere la Patria e la Costituzione, mentre il governo abbandona e tradisce l’Italia. La tradisce in senso non giuridico, ma etimologico: il verbo tradire, tradisco, vene dal latino tràdere, trado, che significa passare di mano, consegnare. Conte, il Pd, i 5S, stanno spezzando le reni all’Italia, cioè rinviano, rinviano, non intervengono, la lasciano precipitare economicamente e socialmente, come da mandato europeo, in modo che poi cada in mano ai capitali stranieri, soprattutto tedeschi: riempiti di debiti, fallimenti e disoccupati, gli italiani fra un poco accetteranno, anzi invocheranno qualsiasi cosa, qualsiasi ‘condizionalità’, per tirare un poco il fiato: accetteranno Mes, Troika, diktat, grecizzazione, cessione di infrastrutture e assets strategici. Forse anche dei monumenti. Era questo l’obiettivo, no?