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Tso universale totalitario, la nuova normalità è psichiatrica
La gente vuole tornare alla “normalità”, dopo lunghi mesi di chiusura, depressione, distanziamento sociale, mascherine e paura. Accogliamo con sollievo la notizia, benché poco convinti della saggezza popolare al tempo della comunicazione di massa e della società-spettacolo, in cui le folle sono manovrate dall’alto con straordinaria facilità. La domanda, tuttavia, è un’altra: qual è la normalità nell’Occidente terminale degli anni Venti del secolo XXI? La questione è dirimente poiché tutto è stato capovolto, revocato in dubbio, sottoposto al giudizio impietoso della decostruzione, poiché la vita individuale e collettiva è tanto mutata in pochi anni, la nostra vita sottoposta a una serie di condizionamenti sempre più simili ad altrettante dittature: finanziaria, tecnologica, della sorveglianza, adesso anche sanitaria. Vogliamo fare qualche esempio della normalità a cui aspiriamo? Se un bimbo è attivo, vivace, è iperattivo o ipercinetico. Se, al contrario, è tranquillo e silenzioso, forse ha qualche sintomo di autismo. Se si annoia e si distrae a scuola è perché superdotato oppure ha un deficit di attenzione. Non è buono il generoso e malvagio il criminale: entrambi sono un po’ matti. Non siamo più tristi, ma depressi. Non siamo vigili, sempre all’erta, ma stressati.Se inventi una storia con l’immaginazione, non hai più fantasia di altri, ma deliri. Se per caso ti capita di pensare ad alta voce, hai una crisi psicotica. Se preghi, hai manie religiose. Se ti imponi con grande sforzo di sorridere dopo aver versato lacrime, sei bipolare. Le sofferenze sono traumi, le paure, fobie. Le abitudini sono compulsioni e i progetti, ossessioni. Usiamo a briglia sciolta il linguaggio della psichiatria: non se ne può concludere altro se non che viviamo in una società malata. E la malattia consiste precisamente nel fatto che abbiamo cessato di essere società, tanto meno comunità. Chiamiamo normalità, dopo il sinistro lockdown e il terrore distillato dal potere per i rischi di contagio, il ritorno alla condizione nevrotica cui ci eravamo assuefatti. Logico: siamo un aggregato casuale di bolle soggettive, aspiranti al reddito di cittadinanza, senza linguaggio né consistenza. Non sappiamo più che non si può condividere nulla senza un linguaggio comune, codici riconosciuti, sguardi che vanno nella stessa direzione.Ci fu bisogno di secoli di parole per consolidare il cristianesimo e decenni di libri ed enciclopedie per suscitare i Lumi. Adesso siamo invasi dai barbari, e conviene rammentare che il principale nemico dei barbari (in greco “coloro che balbettano”) è il linguaggio. Il nostro tallone d’Achille è la sensazione – infondata – di sicurezza e superiorità. Sono bastati meno di ottant’anni di relativa pace (pochi per una civiltà, solo la vita di un uomo, in fin dei conti), accompagnata dal progressivo disprezzo per la Storia, per dimenticare la linea, sempre troppo sottile, che separa la civilizzazione dalla barbarie. Distruggiamo le statue perché sono statue e stanno in piedi, erette, stabili. Se sono di santi, perché sono cristiani; se sono scrittori, perché furono uomini; se sono donne, perché sono bianche. Presto abbatteremo anche i lampioni, il cui torto è fare luce. La menzogna esiste dalla notte dei tempi, come scandalo e come contrasto alla verità. Ci hanno insegnato a riconoscerla, ma subito dopo a tollerarla. Ci siamo abituati e alla fine l’abbiamo trasformata in virtù. Siamo andati oltre: l’abbiamo abolita.Con la menzogna, abbiamo abrogato anche la verità: senza un linguaggio comune, sono indistinguibili entrambe. Avanziamo verso la decostruzione della stessa grammatica: già è considerato sospetto costruire una proposizione con soggetto, verbo e predicato. Asserire che due più due fa quattro è il segno sicuro di una mentalità reazionaria. Non abbiamo ritenuto sufficiente umiliare la semantica, abbiamo tagliato la testa alla grammatica e la esibiamo sulla punta della spada come prezioso trofeo. In nome di una nuova civilizzazione sempre più civilmente civilizzata, i barbari hanno preso il potere e hanno cominciato a dare un nuovo nome alle cose. Dopo la secolarizzazione, poteva arrivare solo la decostruzione e, finalmente, l’atto finale: il balbettio indistinto. Abbiamo ascoltato in un programma televisivo un uomo adulto bianco affermare di essere nero e una ragazza in gravidanza asseverare con inusitata serietà di sentirsi uomo. Tutti e due avevano l’apparenza di parlare, ma in realtà balbettavano.Se tutto è una costruzione sociale e più di ogni altra cosa lo è il linguaggio, si impone l’impresa di costruire un mondo nuovo sulla pura soggettività. Pochi, nel baccano indistinto di Babilonia, tentano invano di convincere che nel nuovo mondo nessuno sarà capace di capire alcunché per evidente, totale mancanza di codici comuni e significati accettati. La chiusura della mente va di pari passo con l’impossibilità di riconoscere spazi comuni e intendere linguaggi. In linguistica, una parola difficile pressoché sconosciuta, idioletto, indica l’insieme degli usi linguistici soggettivi, la particolare varietà del sistema linguistico propria di ogni singolo parlante. Ovviamente, milioni di idioletti individuali non costituiscono alcun alfabeto comune. Sappiamo di uomini che, sentendosi donne, pretendono di utilizzare le toilettes e gli spogliatoi femminili; non è lontano il momento in cui qualcuno pretenderà di essere capito parlando in aramaico.Dicono che Churchill fu colpevole di discriminazione e la regina Isabella di Castiglia ancor di più, nonostante abbia vietato la schiavitù: deserto, cancellazione della cultura. I barbari di ogni tempo amano il deserto, forse perché è piano. Impongono perciò la prassi rivoluzionaria-nichilista, innamorata della tabula rasa – di trasformare la civiltà in un immenso deserto. Se gliene hanno dedicate, siano abbattute le statue di Friedrich Nietzsche, che fece dire a Zarathustra: «Il deserto avanza. Guai a chi in sé cela deserti». Quando il deserto è grande come un’intera civilizzazione, quello è il tempo degli ultimi uomini. «Allora la terra si sarà rimpicciolita e su di essa andrà salticchiando l’ultimo uomo, colui che tutto rimpicciolisce. La sua schiatta è inestirpabile, come la pulce di terra; l’ultimo uomo è il più longevo. Abbiamo scoperto la felicità, dice ammiccando» (Friedrich Nietzsche, “Così parlò Zarathustra”). Una ben strana felicità, alla quale dobbiamo opporre la difficile arte di restare in piedi tra le rovine, sapendo che «è ritornato il tempo delle negazioni assolute e delle affermazioni sovrane» (Julius Evola, “Gli uomini e le rovine”).Il panorama è sconvolgente: uomini contro donne, femministe contro quelle che non lo sono in misura sufficiente, transessuali contro omosessuali e omosessuali contro eterosessuali. E tutti e tutte – peccato che nella lingua italiana manchi il genere neutro – contro il fantasma di una struttura razzista, maschilista, patriarcale e capitalista che, lo hanno finalmente scoperto, abita in ogni angolo del cervello dei bianchi. L’identitarismo soggettivo (!!!) è la forma patologica, sottilmente psichiatrica, per recuperare un senso di appartenenza che l’Occidente ha gettato dalla finestra da mezzo secolo. Agisce come elemento distruttivo che sprigiona una rabbia coltivata da tempo: da quando l’uomo europeo ha deciso che la miglior maniera di essere tale era smettere di esserlo. Dopotutto, Robespierre, Marx, Hitler, Lenin e Stalin erano di questa parte del mondo e ambivano – con notevole esito – a fare tabula rasa.Ciò che verrà dopo l’apoteosi iconoclasta sarà un totalitarismo narcotico diretto da un’Onu diffusa, dalle grandi Ong e da istituzioni dominate da privati straricchi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità. I governi non saranno più che delegazioni consolari del potere e la popolazione mondiale, atomizzata e insieme omogeneizzata nei gusti, nelle idee e nell’aspetto, senza tradizioni né famiglia, si raggrupperà per autodifesa in identità artificiose, ostili, costantemente in lite tra loro. In nome del Bene Supremo Universale e della Pace Perpetua, si occuperà di soffocare i conflitti una fragile religione new age – liquida, estranea alla verità e aliena a qualsiasi intenzione di “tenere insieme”: religare, legare insieme, è la radice originaria della parola.La cultura odierna, che avvolta nei suoi stracci disprezza quanto ignora, è già ciò che aveva inteso Zarathustra: [gli uomini] «hanno qualcosa della quale vanno superbi. Come chiamano, però, ciò che li fa superbi? La chiamano cultura: essa li distingue dai pastori di capre». La filosofia – scienza della conoscenza, pensiero meditante – sarà tollerata solo come ancella della teologia dominante, climatica, animalista e Lgbt. Si provvederà a sfrattare definitivamente l’antropologia e la sociologia a favore della zoologia, mentre la storia sarà sostituita dall’isteria e la geografia gioiosamente abolita. Resisterà la psichiatria, scienza delle scienze nell’ardimentoso mondo nuovo. Aiuterà a sopportare tutto, tra pillole, dipendenze assortite e le etichette tassonomiche che ci raggrupperanno a seconda delle deviazioni indicate dalla Bibbia. Non quella di Gerusalemme, ma il Dsm, il manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali, tanto caro all’industria farmaceutica. Non esisteranno più i fatti, ma le interpretazioni, con l’eccezione delle Verità imposte sul momento dal Progresso. Ex cathedra, ma nel nome del Bene, dell’Uguale e del Neutro.La civiltà occidentale sta civettando con la decostruzione dal secolo XVIII, con spettacolare intensificazione dalla seconda metà del XX. Il salto di qualità attuale è una fase consistente nel distruggere la semantica, ossia la scienza dei significati destinati a essere definiti e cristallizzati da parole significanti e dalle relazioni fra le espressioni linguistiche e il mondo che dovrebbero descrivere. Colpa di una cultura politica addormentata, corriva, interessata solo all’amministrazione economica, che ci ha lasciato alle prese con codici truffaldini imposti affinché il linguaggio non serva alla verità. Si imporrebbe un duro lavoro di ricostruzione delle menti a partire dal linguaggio, un’opera alla quale nessuno pare interessato. Finanche il virus è stato combattuto con le parole più che con atti concreti: pensiamo al sintagma obbligato del “distanziamento sociale”. Un codice perverso e acrobatico: in una comunità la distanza è per costituzione a-sociale o anti-sociale. E’ un autentico genio del male l’inventore linguistico del distanziamento sociale.Citiamo Wikipedia, vangelo digitale politicamente correttissimo: «Il distanziamento fisico o distanziamento personale, mal conosciuto anche come distanziamento sociale, consiste in una serie di misure non farmaceutiche di controllo delle infezioni, con l’obiettivo di bloccare o ritardare la propagazione di una malattia contagiosa». Qualcosa di estremo, provvisorio, finalizzato, sta diventando la bandiera di un mutamento sostanziale nei rapporti tra le persone. Si tratta di un controsenso, degno della normalità psichiatrica a cui ci stiamo assuefacendo. Indovinò Basaglia con l’anti psichiatria, per cui la pazzia non esiste poiché malata è la società intera? Come si può definire “sociale” interporre distanze all’atto più normale, comune e umano di tutti, quello di vivere con gli altri? Dovrebbe saltare agli occhi – se li usassimo per vedere anziché per essere spettatori passivi di futili frammenti imposti dal sistema di comunicazione – che siamo vittime di un esperimento di ingegneria sociale su carne viva. Torniamo all’inizio, alla nuova normalità medicalizzata, dolcemente psichiatrica. Non siamo più solo conformisti, ma disciplinati. Per paura, pendiamo dalle labbra di un potere protettivo.Nel Sessantotto avevano abolito l’autorità. Sotto forma di rassicurazione contro una paura largamente enfatizzata, l’autorità è tornata, più insidiosa, pervasiva e indiscutibile di prima. Ben ti sta, stupido uomo bianco occidentale senza Dio, senza padri, senza eredi, senza storia, senza passato, stolto imbrattatore di statue col paraocchi di Oggi e del Progresso, credulo adoratore degli “esperti”. Sei passato dall’Ipse dixit di Aristotele a quello dei professori in camice bianco, dei ciarlatani a reti unificate, dei tecnici, degli “influencer”, delle ragazzine ecologiste con turbe psichiche. Sì, la nuova normalità è un grande Tso universale, il trattamento sanitario obbligatorio praticato a un’umanità di servi tremebondi e balbuzienti. Una servitù volontaria su cui scrisse pagine indelebili Etienne de La Boètie: qualunque tiranno detiene il potere fintanto che i sudditi glielo concedono. La libertà umana originaria è stata abbandonata come rifiuto tossico da una società corrotta che preferisce la comoda servitù del cortigiano alla dura condizione dell’uomo libero che rifiuta di essere sottomesso. Per i più, meglio la rassicurante mascherina distribuita dal potere che il volto libero esposto al sole e alle intemperie. C’è un bando di arruolamento tra i ribelli?(Roberto Pecchioli, “La nuova normalità psichiatrica”, dal blog di Maurizio Blondet del 16 luglio 2020).La gente vuole tornare alla “normalità”, dopo lunghi mesi di chiusura, depressione, distanziamento sociale, mascherine e paura. Accogliamo con sollievo la notizia, benché poco convinti della saggezza popolare al tempo della comunicazione di massa e della società-spettacolo, in cui le folle sono manovrate dall’alto con straordinaria facilità. La domanda, tuttavia, è un’altra: qual è la normalità nell’Occidente terminale degli anni Venti del secolo XXI? La questione è dirimente poiché tutto è stato capovolto, revocato in dubbio, sottoposto al giudizio impietoso della decostruzione, poiché la vita individuale e collettiva è tanto mutata in pochi anni, la nostra vita sottoposta a una serie di condizionamenti sempre più simili ad altrettante dittature: finanziaria, tecnologica, della sorveglianza, adesso anche sanitaria. Vogliamo fare qualche esempio della normalità a cui aspiriamo? Se un bimbo è attivo, vivace, è iperattivo o ipercinetico. Se, al contrario, è tranquillo e silenzioso, forse ha qualche sintomo di autismo. Se si annoia e si distrae a scuola è perché superdotato oppure ha un deficit di attenzione. Non è buono il generoso e malvagio il criminale: entrambi sono un po’ matti. Non siamo più tristi, ma depressi. Non siamo vigili, sempre all’erta, ma stressati.
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Bizzi: patto col diavolo, ecco perché vogliono farci crollare
«Dal Britannia ormeggiato a Civitavecchia sbarca Emma Bonino, fa un bel sorriso e spiega che, a bordo, s’è discusso di cose interessanti e costruttive. Poi sbarca Beppe Grillo, ma rifiuta di rilasciare dichiarazioni al reporter, Enrico Mentana. Io quel servizio l’ho visto, me lo ricordo benissimo. Era il 2 giugno 1992. Il servizio è scomparso: fatto sparire persino dagli archivi del Tg5. E lo stesso Mentana oggi arriva a dire pubblicamente che quel servizio non è mai esistito». E’ uno dei passaggi-chiave dell’intervista in cui Nicola Bizzi, storico fiorentino nonché editore di Aurora Boreale, ha rilasciato alla web-tv di “Come Don Chisciotte”. Tema: perché l’Italia è sul lastrico. Risposta: colpa del “patto col diavolo” stipulato dall’ex sinistra alla vigilia della caduta del Muro di Berlino. «Si prostituirono: avrebbero svenduto il paese al nemico storico dei lavoratori, l’élite finanziaria speculativa. Nel frattempo, il Deep State americano – tramite l’operazione Mani Pulite (appena 7-8 condanne definitive, nonostante i 2.500 indagati) – avrebbe distrutto Craxi, la Dc e i loro alleati. Partiti ad alto tasso di corruzione, che però facevano gli interessi dell’Italia. Andavano sostituiti con qualcuno che cedesse a poteri esterni il timone del paese: da trent’anni, infatti, nessuna decisione viene più presa in Italia. Grazie appunto al “patto col diavolo” siglato allora da politici come Violante, Napolitano, Occhetto e D’Alema».L’Italia, sostiene Bizzi, è stata semplicemente “disarticolata” come sistema-paese: con Craxi era diventata la quarta potenza industriale del mondo, e questo era intollerabile per entità come la Germania. Lo Stato Profondo puntò sull’ex Pci proprio perché era debolissimo: sarebbe stato portato al governo solo a condizione che svendesse il paese. Operazione che andò in porto – ribadisce lo storico – grazie al consenso garantito dai grandi giornali, dalla magistratura influenzata dall’ex Pci e dal sistema culturale e universitario, dominato dall’ex sinistra. «Il patto: vi aiutiamo ad andare finalmente al governo, ma farete solo quello che vorremo noi. Cosa che continua tuttora. E mentre personaggi come Amato, Scalfaro, Ciampi e Napolitano verrano giudicati dalla storia – aggiunge Bizzi – mi auguro che gente come Conte, Zingaretti e Speranza vengano presto processati, per quello che hanno appena fatto agli italiani, creando le premesse per la distruzione definitiva del paese sulla base di un allarme pandemico gonfiato». Bizzi prevede una nuova Tangentopoli in arrivo, sempre innescata dal Deep State statunitense ma stavolta di segno opposto: «A far cadere tutto sarà Renzi, sospettato di aver imposto ai servizi segreti italiani – su ordine di Obama – di fabbricare prove false contro Trump per mettere in piedi il Russiagate».Autore del saggio “La Crisi della Repubblica dei partiti” (Dal crollo del Muro di Berlino a Tangentopoli), Bizzi offre una lettura urticante della nostra storia recente, che tuttavia fornisce una spiegazione coerente dell’altrimenti inspiegabile declino italiano: «A Prodi è stato chiesto di smantellare il colosso Iri, su cui poggiava la nostra economia, mentre tra le vittime di Tangentopoli caddero Gabriele Cagliari dell’Eni e Raul Gardini della Montedison». In altre parole, «l’Italia andava sabotata e messa in condizioni di non nuocere». Di male in peggio: «Oggi scontiamo la classe dirigente peggiore della storia, e abbiamo il peggior governo che sia mai stato insediato a Roma da quando esiste la repubblica: tutte le decisioni dell’esecutivo Conte sono prese fuori dall’Italia e contro l’Italia». Bizzi non si fa illusioni neppure sull’opposizione: «In pratica, un’opposizione non esiste: Salvini e Meloni si limitano a sussurri, solo per restare visibili sul piano elettorale, ma senza contestare il governo, ovvero i poteri forti che lo pilotano». Per Bizzi, il problema è antico: «Da trent’anni, salvo poche eccezioni, tutti i leader e persino i singoli parlamentari sono innocui per il sistema, perché ricattabili dai lobbisti che li “coltivano”, a suon di soldi, dal momento della loro elezione». E il dramma è che gli italiani non se ne accorgono. «Ancora oggi, nonostante tutto, c’è chi approva Conte. La musica cambierà a ottobre, quando sarà chiaro che la cassa integrazione non arriverà mai, e lo Stato sarà costretto a prendere in esame la necessità di tagliare le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici, esattamente come avvenuto in Grecia».(”Bizzi: patto col diavolo, Italia all’inferno grazie all’élite che da trent’anni impone ai nostri governanti di rovinare il paese”, dalla pagina Facebook di Giorgio Cattaneo del 24 luglio 2020).«Dal Britannia ormeggiato a Civitavecchia sbarca Emma Bonino, fa un bel sorriso e spiega che, a bordo, s’è discusso di cose interessanti e costruttive. Poi sbarca Beppe Grillo, ma rifiuta di fare dichiarazioni al reporter, Enrico Mentana. Io quel servizio l’ho visto, me lo ricordo benissimo. Era il 2 giugno 1992. Il servizio è scomparso: fatto sparire persino dagli archivi del Tg5. E lo stesso Mentana oggi arriva a dire pubblicamente che quel servizio non è mai esistito». E’ uno dei passaggi-chiave dell’intervista in cui Nicola Bizzi, storico fiorentino nonché editore di Aurora Boreale, ha rilasciato alla web-tv di “Come Don Chisciotte”. Tema: perché l’Italia è sul lastrico. Risposta: colpa del “patto col diavolo” stipulato dall’ex sinistra alla vigilia della caduta del Muro di Berlino. «Si prostituirono: avrebbero svenduto il paese al nemico storico dei lavoratori, l’élite finanziaria speculativa. Nel frattempo, il Deep State americano – tramite l’operazione Mani Pulite (appena 7-8 condanne definitive, nonostante i 2.500 indagati) – avrebbe distrutto Craxi, la Dc e i loro alleati. Partiti ad alto tasso di corruzione, che però facevano gli interessi dell’Italia. Andavano sostituiti con qualcuno che cedesse a poteri esterni il timone del paese: da trent’anni, infatti, nessuna decisione viene più presa in Italia. Grazie appunto al “patto col diavolo” siglato allora da politici come Violante, Napolitano, Occhetto e D’Alema».
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Inferno in arrivo: Italia, senza soldi una famiglia su tre
«Se si dà uno sguardo all’ultima indagine della Banca d’Italia sulle condizioni economiche del paese dopo il Covid, si avvertirà probabilmente un brivido freddo che percorre la schiena. Il 55% degli italiani si trova ad un passo dalla soglia di povertà. Un terzo delle famiglie italiane tra tre mesi non avrà più sufficienti riserve. L’ossigeno finirà in autunno e molti non avranno più nemmeno le risorse necessarie per comprare il pane. Quella che sta per arrivare è una ondata tale che trascinerà il paese in un vortice di caos e violenza mai visti dalla fine del secondo conflitto mondiale». Lo scrive Cesare Sacchetti, autore di un’articolata analisi del dramma italiano sul blog “La Cruna dell’Ago”. Sacchetti cita Massimo Cacciari, definito «uomo da sempre vicino agli ambienti globalisti», il quale «non ha avuto pudori nel descrivere ciò che sta per arrivare in Italia». Le sue parole infatti non lasciano spazio a dubbi: «In autunno la situazione sociale ed economica sarà drammatica, con pericoli per l’ordine sociale», ha detto il filosofo veneziano. «Per stare a galla, il governo dovrà coprirsi dietro il pericolo della pandemia e tenere le redini in qualche modo. Una dittatura democratica sarà inevitabile». A parte la definizione paradossale e ipocrita di “dittatura democratica”, è chiaro – sottolinea Sacchetti – a cosa si sta andando incontro.Secondo l’analista, quello nel quale stiamo piombando «è uno scenario da guerra civile, accuratamente voluto e preparato dal governo e dalle élite internazionali che lo dirigono». Lucida la fotografia: «L’attenzione del pubblico è stata interamente rivolta contro un virus che ad oggi non è stato in grado di fare più morti nel mondo della comune influenza stagionale, al netto di tutte le falsificazioni fatte sui numeri». Mentre le masse sono state messe le une contro le altre «magistralmente, e in maniera criminosa», per i dettagli del distanziamento, cioè l’uso di guanti e mascherine, «il regime è andato avanti e ha portato una sospensione delle libertà personali senza precedenti dal 1945». Per il momento, sembra che la prevista proroga dello stato di emergenza non ci sarà. Ma questo non cambia nulla, rispetto allo scenario che sta per arrivare: «La crisi ci sarà e sarà devastante, così come le possibili rivolte», scrive Sacchetti. «E’ a quel punto che la proroga oggi messa nel cassetto potrebbe essere ritirata fuori domani, per portare ad un’altra durissima repressione. Il pretesto sarà ancora una volta il Covid-19, e su questo avranno un ruolo fondamentale i media nel regolare al massimo la manopola del terrore del virus».Il punto massimo di rottura, aggiunge Sacchetti, sarà probabilmente raggiunto nei prossimi mesi: al che, il rischio di tumulti sarà estremamente elevato. Ecco perchè il virus “serve”, sostiene l’analista: «Serve a mantenere in vita il colpo di Stato consumatosi lo scorso gennaio». L’autore si domanda perchè «le élite mondialiste», che stanno «coordinando in diverse parti del mondo uno scenario di dittatura globale», si siano accanite così tanto, in modo particolare, contro l’Italia, che sarebbe uno snodo centrale per l’instaurazione del cosiddetto “nuovo ordine mondiale”. Sacchetti cita l’ex agente dei servizi segreti britannici, John Coleman, che nel libro “Il comitato dei 300” denunciò come la “morte” del nostro paese «fosse stata decretata molti anni prima da uno dei circoli più importanti del mondialismo, il Comitato dei 300, che a sua volta controlla fermamente il Club di Roma, fondato da Aurelio Peccei, uomo degli Agnelli, e il club Bilderberg, un altro gruppo globalista del quale fanno parte tra gli altri l’attuale capo della task-force del governo, Colao».L’attacco all’Italia, sempre secondo Sacchetti, sarebbe articolato anche sul piano religioso, colpendo il paese che ospita e custodisce la tradizione cristiana. In linea con il tradizionismo ottocentesco di monsignor Carlo Maria Viganò, l’analista accusa Bergoglio di essere complice «della strategia di secolarizzazione e scristianizzazione perseguita dalle élite contro l’Italia». In primo piano, nella riflessione di Sacchetti, resta però l’aspetto economico: il “colpo di grazia” impartito dal folle lockdown imposto dal governo Conte sarebbe solo l’ultimo passo della devastazione avviata negli anni ‘80 dalla privatizzazione dell’Iri, con Romano Prodi, e proseguita negli anni ‘90 da Mario Draghi. «Infine, il passaggio al disastroso modello economico ordoliberale, l’ingresso della moneta unica e la conseguente adozione di un cambio troppo pesante per i parametri dell’economia italiana – aggiunge Sacchetti – hanno dato un’ulteriore accelerazione al processo di deindustrializzazione del paese, a tutto beneficio del cartello mercantilista nord-europeo, rappresentato dall’industria tedesca e olandese, che di converso hanno beneficiato di un cambio artificialmente svalutato».Ora siamo alle battute finali, secondo Sacchetti. «E’ stato fatto un lavoro scientifico di demolizione di una nazione dal punto di vista materiale e spirituale, ma non si è ancora giunti al suo annichilimento totale. Serve qualcosa di ancora più devastante. In questo senso, la crisi da Covid si è rivelata perfetta, perché le previsioni economiche parlano di un crollo verticale del Pil pari a -12%». L’Italia, prosegue l’analista, sarà il paese che subirà quella che sarà considerata probabilmente «la più grave repressione economica della storia economica internazionale». Di fronte ad una situazione così drammatica, i disordini potrebbero essere inevitabili, «e il governo fantoccio nelle mani delle élite lo sa perfettamente: per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, mancherà il pane a milioni di persone». Ecco perché, secondo Sacchetti, «è necessaria la farsa della seconda ondata: per disinnescare qualsiasi tentativo di rivolta e usare il pugno duro della repressione dittatoriale contro le rivolte di piazza».Quando questa crisi raggiungerà l’apogeo e l’instabilità sarà totale, «allora con ogni probabilità questo traballante governo uscirà di scena, e i segnali di una sua dipartita precoce sembrano esserci già adesso». Lo stesso Sacchetti nota l’anomalo comportamento del viceministro della sanità, il grillino Pierpaolo Sileri: «Durante la crisi da Covid non osava pronunciare una parola contro il governo di cui fa parte», e ora invece «sembra essere investito da una sorta di incontinenza verbale acuta, che lo sta portando praticamente a rinnegare tutto quanto fatto dal suo stesso governo in materia di gestione Covid». Prove di fuga dalla nave che sta per affondare? La verità è che le l’élite che hanno sovragestito il Covid, manovrando il governo Conte, «stanno permettendo deliberatamente che il paese venga travolto dalla crisi», per poi passare alla “soluzione” già pronta: «Un altro governo tecnico, stavolta nelle mani di quello che appare ancora essere il candidato preferito dall’establishment, ovvero Mario Draghi, sicario economico che ha avuto un ruolo da protagonista nell’accompagnare il processo di smantellamento dell’Italia».Sacchetti non crede al “pentimento” dell’ex presidente della Bce: «Draghi a Palazzo Chigi darebbe il via all’ultima stagione di saccheggio della nazione, e gli ultimi residui gioielli in mano allo Stato verrebbero messi sul mercato a prezzi di saldo: non sarebbe altro che l’esecuzione del piano Colao», che prevede di cedere agli stranieri anche gli asset stratetgici, trasporti e infrastrutture, porti e aeroporti. «Sarebbe una privatizzazione di massa dell’intero sistema-paese». Qualcuno sostiene che Draghi sarebbe tornato alle sue origini progressiste e keynesiane? Sacchetti non ci crede: sul “Financial Times”, Draghi ha invitato a espandere i debiti pubblici, «senza dire però a quali condizioni e senza sottolineare che quella espansione, senza un ombrello della banca centrale che inietta moneta per garantire la solvibilità del debito, si rivelerebbe disastrosa».Secondo Sacchetti, quella clamorosa sortita sul quotidiano finanziario ha l’aria di essere un’abile mossa essenzialmente tattica e ingannevole, per evocare «la narrazione di una immaginaria conversione di Draghi», che nel frattempo ha incontrato di Di Maio e presto vedrà il vero capo del Pd (Franceschini), mentre Bergoglio lo ha appena “promosso” nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. «Dal caos sociale ed economico, volutamente preparato e orchestrato dai mondialisti, uscirà il governo che dovrà infliggere il colpo di grazia al paese», insiste Sacchetti: «In autunno si consumerà quindi l’aggressione finale del clan globalista contro l’Italia». In sostanza, «si sta per combattere una battaglia decisiva, che deciderà il destino di milioni di persone, non solo in Italia, ma nel mondo». Attenzione: «La madre di tutte le battaglie si combatterà in Italia, nel cuore dell’Occidente cristiano dove tutto ebbe inizio 2000 anni fa, e dove tutto sembra di nuovo finire oggi».«Se si dà uno sguardo all’ultima indagine della Banca d’Italia sulle condizioni economiche del paese dopo il Covid, si avvertirà probabilmente un brivido freddo che percorre la schiena. Il 55% degli italiani si trova ad un passo dalla soglia di povertà. Un terzo delle famiglie italiane tra tre mesi non avrà più sufficienti riserve. L’ossigeno finirà in autunno e molti non avranno più nemmeno le risorse necessarie per comprare il pane. Quella che sta per arrivare è una ondata tale che trascinerà il paese in un vortice di caos e violenza mai visti dalla fine del secondo conflitto mondiale». Lo scrive Cesare Sacchetti, autore di un’articolata analisi del dramma italiano sul blog “La Cruna dell’Ago“. Sacchetti cita Massimo Cacciari, definito «uomo da sempre vicino agli ambienti globalisti», il quale «non ha avuto pudori nel descrivere ciò che sta per arrivare in Italia». Le sue parole infatti non lasciano spazio a dubbi: «In autunno la situazione sociale ed economica sarà drammatica, con pericoli per l’ordine sociale», ha detto il filosofo veneziano. «Per stare a galla, il governo dovrà coprirsi dietro il pericolo della pandemia e tenere le redini in qualche modo. Una dittatura democratica sarà inevitabile». A parte la definizione paradossale e ipocrita di “dittatura democratica”, è chiaro – sottolinea Sacchetti – a cosa si sta andando incontro.
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Della Luna: Conte e i frugali, una recita penosa. Ciao Italia
Nel Risorgimento l’unificazione d’Italia fu un progetto franco-britannico in funzione anti-germanica, coperto con ideali fabbricati privi di riscontro nei popoli coinvolti, giustificato e portato avanti da un clero intellettuale massonico-progressista. Questo progetto ha prodotto l’Italia, un organismo politico artificioso, fallimentare a causa della sua composizione, con parti non adatte a stare insieme per loro caratteristiche storiche consolidate, che perciò ha prodotto impoverimento e violenze, dapprima, ai danni del Meridione, e poi una meridionalizzazione africaneggiante dello Stato e della politica ai danni del Settentrione. Simile per concetto e per effetti è il progetto dell’unificazione europea: creare un blocco in funzione di contenimento dell’Urss-Russia al servizio degli Usa, guidato dalla Franco-Germania, mettendo questa in condizioni di rastrellare le risorse dai paesi subalterni; il tutto ammantato da ideali fasulli, propagandati da un clero mercenario pseudo-intellettuale, massonico-progressista. Anche questo progetto ha prodotto un organismo artificiale, fallimentare a causa della sua composizione con parti non adatte a stare insieme per loro caratteristiche storiche consolidate, che perciò ha prodotto e produce impoverimento e violenze, per ora ai danni dei paesi meridionali e a vantaggio di quelli egemoni del Nord.Nella corrente trattativa per i soccorsi all’Italia e ad altri paesi molto danneggiati dalla gestione della pandemia, vediamo Mark Rutte fare il poliziotto cattivo per consentire alla Merkel con Macron di fare il poliziotto buono – ma il disegno non è cambiato, è sempre quello predatore-accentratore sopra indicato, del famoso Piano Funk, ratio essendi della ‘costruzione europea’. Sarebbe una buona cosa se le condizioni richieste dai paesi rigoristi all’Italia per concederle prestiti e aiuti fossero condizioni idonee ad assicurare un uso produttivo, anziché partitico-clientelare-assistenziale-elettorale, di quei soldi, inclusa l’abolizione del demenziale reddito di cittadinanza, della moralmente giusta ma insostenibile Quota 100, dei criminali sprechi per i clandestini. Ma quelle condizioni paiono essere grecificanti: tagli agli investimenti, tasse più alte, servizi peggiori – quindi un colpo alla domanda interna per distruggere del tutto l’economia, e un colpo alle possibilità di aumento della produttività, per relegare l’Italia al ruolo di protettorato.Si auspica il compromesso, che può essere nei seguenti termini: i paesi virtuosi concedono a Conte e ai suoi una certa quantità di soldi da spendere in funzione elettorale, così da farlo restare in sella; e in cambio Conte accetta di aprire un pertugio per una futura Trojka e si accontenta di aiuti che la gente senta come già acquisiti, ma che saranno concretamente disponibili tra due o tre anni (tra allocazione europea e spendita in Italia passano anni, per ragioni tecnico-burocratiche). Vi è chi ipotizza, in caso di mancato accordo, la sostituzione di Conte con Draghi e il supporto di Berlusconi (reso pro-Mes e pro-Eu dalla speme di sentenze propizie contro Vivendi e dall’ottenuto permesso di acquisire il 15% di ProSiebenSat1, così da divenirne il primo azionista e da inserirla nel suo Media to Europe). Così acconciamente rilegittimato, il regime potrà evitare le elezioni (magari anche quelle amministrative di settembre, importando immigrati contagiatori e lasciandoli evadere dalla quarantena così da giustificare un nuovo lockdown) e completare la riforma in senso autoritario ed esterocratico dello Stato-protettorato italia (la minuscola è intenzionale).Un governo italiano culturalmente onesto e politicamente leale al paese chiamerebbe il bluff austro-olandese, spiegando che non ha senso ragionare in termini di risparmio di moneta, dato che la moneta oggi è creata a costo zero, essendo simbolica e non convertibile, e non costituendo obbligazione. E’ invece necessario usarla in modi validi, produttivi, al fine di prevenire inflazione monetaria e il diffondersi del parassitismo. Allora, se i virtuosi, ossia i ciarlatani economici, si incaponiscono sulle loro posizioni (in realtà, perché vogliono mettere l’Italia in ginocchio per costringerla a svendere i suoi ‘pezzi’ migliori ai loro ‘investitori’), nessun problema: l’Italia può, entro i vigenti trattati, generare moneta interna statale a costo zero, e smascherare così, assieme ai ciarlatani del risparmio, tutto il bluff delle regole finanziarie europee, del Mes, dei vincoli, del 3%, rendendo evidente la finzione criminale applicata dall’Unione alla Grecia a tutela dei banksters, con tutte le migliaia di morti che ha causato. E che causerà anche all’Italia. Altro che solidarietà europea: genocidio.(Marco Della Luna, “Il bluff genocida dei frugali”, dal blog di Della Luna del 20 luglio 2020).Nel Risorgimento l’unificazione d’Italia fu un progetto franco-britannico in funzione anti-germanica, coperto con ideali fabbricati privi di riscontro nei popoli coinvolti, giustificato e portato avanti da un clero intellettuale massonico-progressista. Questo progetto ha prodotto l’Italia, un organismo politico artificioso, fallimentare a causa della sua composizione, con parti non adatte a stare insieme per loro caratteristiche storiche consolidate, che perciò ha prodotto impoverimento e violenze, dapprima, ai danni del Meridione, e poi una meridionalizzazione africaneggiante dello Stato e della politica ai danni del Settentrione. Simile per concetto e per effetti è il progetto dell’unificazione europea: creare un blocco in funzione di contenimento dell’Urss-Russia al servizio degli Usa, guidato dalla Franco-Germania, mettendo questa in condizioni di rastrellare le risorse dai paesi subalterni; il tutto ammantato da ideali fasulli, propagandati da un clero mercenario pseudo-intellettuale, massonico-progressista. Anche questo progetto ha prodotto un organismo artificiale, fallimentare a causa della sua composizione con parti non adatte a stare insieme per loro caratteristiche storiche consolidate, che perciò ha prodotto e produce impoverimento e violenze, per ora ai danni dei paesi meridionali e a vantaggio di quelli egemoni del Nord.
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Recovery, cioè super-rigore: d’ora in poi ci governa Berlino
Come sarebbe andata a finire lo si poteva capire già nella notte di domenica, quando Giuseppe Conte, rivolgendosi all’olandese Mark Rutte, ha detto: «Il mio paese ha una sua dignità. C’è un limite che non va superato», aggiungendo il dubbio che «si voglia piegare il braccio a un paese perché non possa usare i fondi». In quel momento è stato inevitabile ripensare ad Alexis Tsipras, in un’altra notte di luglio, quella del 2015, che nella stessa sede (solo qualche faccia diversa) si era alzato togliendosi la giacca per porgerla alla Merkel sbottando: «A questo punto, prendetevi anche questa…». Poi, com’è noto, la Troika si precipitò rapace su Atene, assumendone il pieno controllo e dando il via al saccheggio di tutto quel che di pubblico poteva essere svenduto (porti, aeroporti, centrali, ecc), tagliato (salari, sanità e pensioni), impegnato. All’Italia di Conte è andata leggerissimamente meglio, in apparenza, visto il diverso peso economico in Europa – terza economia dell’Unione – che renderebbe il tracollo senza freni di questo Paese un detonatore devastante per tutti, più della pandemia. Ma per separare con chiarezza la realtà di quanto “concordato” dalla “narrazione” che ne viene fatta già a botta calda, sarà bene vedere i singoli punti del compromesso finale, firmato alle 5.32 del mattino, al quinto giorno di un vertice che doveva durarne due.Il “successo” della Ue sta solo nel fatto che ne sia stato firmato uno, cosa che ad un certo punto sembrava persino improbabile. Ma nessuno dei 27 leaderini spaventati e feroci poteva tornare a casa senza questo risultato. Avrebbe significato la fine di un sistema di trattati e istituzioni, sanzionato pesantemente dai “mercati” e quindi un moltiplicatore degli effetti negativi della pandemia che avrebbe alla fine travolto anche chi si sente meno esposto. Qui si consuma tutta la “vittoria” del povero Conte. Alla fine viene confermata la cifra di 750 miliardi complessivi, 390 dei quali in “trasferimenti” (dovevano essere 500, definiti impropriamente “a fondo perduto”) e 360 in normali prestiti (e relativo aumento del debito pubblico). Per l’Italia, viene detto con grande enfasi su tutti i canali, c’è addirittura una cifra superiore alle attese, almeno sul piano astratto: 209 miliardi, invece degli originari 170, anche se con una ripartizione parecchio diversa tra trasferimenti (grants, 81 miliardi) e prestiti (loans, 127). La differenza è quasi 38 miliardi, ossia quelli ottenibili con il famigerato Mes, ma con condizioni pressoché identiche, se non anche peggiori (lo sapremo da un esame più dettagliato).Da dove vengono fuori questi soldi, lo abbiamo spiegato molte volte e dunque non ci dilunghiamo nei dettagli. Vengono reperiti sui mercati tramite “titoli europei”, garantiti dai singoli Stati pro quota, in percentuale sul Pil. In questo senso, si tratta di una “condivisione del debito” una tantum, limitatamente a questo episodio che si vorrebbe irripetibile. Dunque neanche la parte “a fondo perduto” è fatta di “soldi regalati”. Anzi, si tratta di “soldi nostri” che possono essere spesi solo col permesso altrui e secondo “direttive” che, come quasi sempre, ci massacrano come popolazione. Ogni paese dovrà versare la sua parte – sotto forma di interessi sul debito comune, e il normale rimborso a scadenza dei titoli, quindi nel futuro più o meno lontano – e ricevere una percentuale leggermente diversa a seconda della gravità dei danni ricevuti dalla pandemia. Su questa parte, dicevamo altrove, va fatto il calcolo del dare e dell’avere, e vedere se c’è una differenza positiva oppure no. Non c’è, già secondo il meccanismo originariamente proposto da Merkel, Macron e von der Leyen. Vedremo il quanto non appena avremo fatto i calcoli con la versione appena firmata. Il vero cuore del lunghissimo conflitto è stato su questo punto, in tutta evidenza politico.Nessuno contestava la necessità di un “intervento straordinario”, visto che tutti i paesi sono stati duramente colpiti dalla crisi. Ma tutti capivano che questa era una straordinaria occasione per riscrivere le gerarchie dei poteri fra i 27 e dentro le istituzioni comunitarie, stabilendo con chiarezza definitiva chi comanda e chi si impoverisce. Che l’Unione Europea sia soltanto un ring dove partner teorici si scambiano calci sotto la sedia, sgambetti, agguati dietro ogni angolo, per guadagnarci a scapito degli altri (in una “economia chiusa”, almeno in parte, il gioco è sempre a somma zero), lo abbiamo spiegato spesso. Ma ora si è visto con chiarezza. Per quattro lunghi giorni che hanno messo “europeisti” media mainstream in fortissimo imbarazzo. Il nocciolo dello scontro, come riferito con disarmante sconforto da ogni inviato a Bruxelles, riguardava il “potere di veto” preteso dall’olandese Mark Rutte su ogni tranche di erogazione del fondo ad ogni singolo paese (ma in primo luogo all’Italia, eletta a “sorvegliato speciale”, e non da ora).Un meccanismo folle – uno qualsiasi dei 27 avrebbe potuto bloccare tutto in ogni momento, in un infermo di veti incrociati e prevedibili ritorsioni che avrebbe significato la paralisi del Recovery Fund e della stessa Ue – che metteva in discussione le stesse istituzioni comunitarie create per questo (Commissione Europea, Eurogruppo, Mes, ecc). Su questo, non a caso, c’è stata l’ultima sospensione del vertice – intorno alla mezzanotte – per cercare un “compromesso specifico” che accontentasse chi voleva poter tirare un “fremo d’emergenza” e chi, comprensibilmente, riteneva questo “un’offesa alla dignità” del proprio paese, oltre che una stronzata sul piano istituzionale. Alla fine la posizione contraria di Conte (condivisa da Spagna, Grecia, Portogallo) è stata schiacciata senza pietà. Segno certo che dietro il gruppetto dei sedicenti “frugali” c’è la ben più potente mano tedesca, che ha usato i “nanerottoli uniti” per imbavagliare un “paese grande” senza doversi esporre più di tanto (anzi, facendo la parte del “poliziotto buono”).Vediamo il meccanismo infine approvato: quando, in autunno, ogni governo proporrà il suo “Piano nazionale di riforme”, precondizione per accedere al Recovery Fund, la Commissione deciderà entro due mesi se promuoverlo in base a quanto rispetta le indicazioni comunitarie in materia di politiche verdi, digitali e, soprattutto, delle raccomandazioni Ue 2019-2020. Per l’Italia, in particolare, si tratterà di mettere in campo le riforme di pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. A scanso di equivoci, visto che si tratta di ridurre sul lungo periodo un debito pubblico che in questo frangente necessariamente aumenta, si parla di tagli draconiani su tutti questi capitoli (che costituiscono del resto, come in ogni paese europeo, il grosso della spesa pubblica). Altro che “autunno caldo”, potremmo avere parecchi anni vulcanici, come temperatura sociale oggettiva…Fin qui, il giudizio sulla “ammissibilità” o meno dei singoli piani nazionali spettava alla Commissione Europea, insomma il “governo” comunitario guidato dalla von der Leyen. Ora, accettando di fatto la posizione olandese (e tedesca, altrimenti non sarebbe mai passata), il giudizio di Bruxelles sarà però votato anche dai ministri a maggioranza qualificata. In pratica basta un gruppo di paesi che rappresenta il 35% della popolazione dei 27 a bloccare ogni singola erogazione delle “rate” del Recovery. I “frugali” non dispongono di quelle dimensioni, perciò è chiarissimo che questo meccanismo prevede l’intervento di un “grande paese”, con capitale Berlino. A sua discrezione… Nei fatti, le singole decisioni sui pagamenti della Commissione dovranno essere confermate dagli sherpa dei ministeri delle finanze della zona euro (Efc) «per consenso»: non proprio un “diritto di veto”, ma qualcosa che ci somiglia molto. Non a caso, al momento dell’ennesima sospensione notturna, il testo dell’accordo recitava: «Se uno o più governi» dovessero vedere «serie deviazioni dai target», avrebbero potuto chiedere che la situazione di un singolo paese venga poi discussa al successivo Consiglio Europeo, mentre la Commissione avrebbe dovuto bloccare i pagamenti.Al di là dei giochini da azzeccagarbugli – classici, anche a questo livello, visto che la Ue è un sistema di “contratti”, più che di trattati – ne esce rafforzatissima la “sorveglianza” sui singoli paesi, a partire ovviamente da quelli mediterranei, che hanno gli scostamento più significativi rispetto ai parametri di Maastricht. Lo si vede anche dalla dimensione dei “rebates” (sconti sui contributi nazionali da versare nella “cassa comune europea”) di cui usufruiscono da anni molti “frugali” e che escono fortemente aumentati da questo “accordo”. Il tutto con una torsione dello stesso funzionamento istituzionale della Ue, perché il baricentro della governance viene spostato dalle strutture comunitarie a “gruppi di paesi” sufficientemente decisi a inchiodare un “partner” considerato un concorrente da disossare. Una furbata, in apparenza, ma che rischia di diventare ben presto una miscela esplosiva per tensioni interne che, si è visto, nessuno è in grado di governare davvero con soddisfazione di tutti gli interessi in campo. Naturalmente la narrazione subito messa in campo dice l’esatto opposto. “Vittoria”, “isolamento dei frugali” e sciocchezze varie inventate di sana pianta. Un cerotto su ferite sanguinose che si vedranno a breve termine, peraltro.Già alla fine dell’anno, infatti, ci potrebbe essere il primo stop sulla prima rata da riscuotere – ben che vada – a metà del prossimo anno, quando gli effetti della crisi sul sistema produttivo e la tenuta sociale di molti paesi, a partire dal nostro, saranno già esplosi. Che questa narrazione sia fasulla, lo si è visto proprio dagli schieramenti in campo a Bruxelles, dove “europeisti” e “populisti” si sono allegramente mescolati tra loro per affermare, semplicemente, il massimo dell’interesse puramente nazionale. E altrettanto avviene in Italia, con Berlusconi e Meloni “comprensivi” con il governo e il solo Salvini a fingere una bellicosità critica a fini puramente elettorali. I capitoli su cui ogni governo dovrà mettere le mani sono chiarissimi, scritti neri su bianco: pensioni (quelle in essere, visto che quelle future sono già quasi azzerate), istruzione, sanità, mercato del lavoro, amministrazione pubblica e “giustizia” da efficientare per garantire che le imprese non restino impigliate in processi civili dalla durata decennale. Le “misure impopolari” che anche il governo Conte aveva in preparazione (ma non annunciate, chissà perché…), e che anche Mark Rutte apprezzava, saranno la quotidianità per lungo tempo. La Grecia del 2015, del resto, è stata sacrificata proprio per costituire un precedente inequivocabile. Ora tocca a noi, e non solo a noi…(Dante Barontini, “Da oggi in poi ci governa Berlino”, analisi pubblicata da “Contropiano” e ripresa da “Come Don Chisciotte” il 21 luglio 2020).Come sarebbe andata a finire lo si poteva capire già nella notte di domenica, quando Giuseppe Conte, rivolgendosi all’olandese Mark Rutte, ha detto: «Il mio paese ha una sua dignità. C’è un limite che non va superato», aggiungendo il dubbio che «si voglia piegare il braccio a un paese perché non possa usare i fondi». In quel momento è stato inevitabile ripensare ad Alexis Tsipras, in un’altra notte di luglio, quella del 2015, che nella stessa sede (solo qualche faccia diversa) si era alzato togliendosi la giacca per porgerla alla Merkel sbottando: «A questo punto, prendetevi anche questa…». Poi, com’è noto, la Troika si precipitò rapace su Atene, assumendone il pieno controllo e dando il via al saccheggio di tutto quel che di pubblico poteva essere svenduto (porti, aeroporti, centrali, ecc), tagliato (salari, sanità e pensioni), impegnato. All’Italia di Conte è andata leggerissimamente meglio, in apparenza, visto il diverso peso economico in Europa – terza economia dell’Unione – che renderebbe il tracollo senza freni di questo Paese un detonatore devastante per tutti, più della pandemia. Ma per separare con chiarezza la realtà di quanto “concordato” dalla “narrazione” che ne viene fatta già a botta calda, sarà bene vedere i singoli punti del compromesso finale, firmato alle 5.32 del mattino, al quinto giorno di un vertice che doveva durarne due.
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Addio Italia, Conte ha prenotato la fine del sistema-paese
Solo un demente può scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo vertice di Bruxelles: il paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non certo gratis: per averla, il paese dovrà obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le tasse. Stiamo parlando di un paese che da tre decenni è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse. Per inciso: il paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle blocco imposto all’economia da un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati all’idea di affrontare le elezioni. Secondo Bankitalia, si profila un autunno allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello, delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.Dettaglio tragicomico, di fronte all’immane disastro che si annuncia, il tempo che una parte del pubblico ancora spreca attorno a quella pericolosa nullità politica chiamata Giuseppe Conte, piccolo passacarte allevato tra i palazzi vaticani e le italiche baronie universitarie, per poi essere sistemato – nel caso tornasse utile – nelle retrovie del movimento finto-giustizialista creato a colpi di “vaffa” dall’ex comico democristiano Beppe Grillo, presente (Bonino dixit) sul panfilo Britannia nel 1992 insieme a Mario Draghi e al gotha finanziario che puntava a spolpare il Balpaese, devastato dal ciclone Tangentopoli. Negli ultimi anni, l’Italia politica ha digerito comparse e prestanome al servizio di stranieri, rivoluzionari all’amatriciana e lacchè gallonati. Nomi pallidi, tutti, per politiche pallide: Veltroni e Renzi, Salvini, Letta e Gentiloni, fino agli inguardabili figuranti del grillismo di lotta e di poltrona. L’unico segno di vita, nell’Obitorio Italia, s’era intravisto all’esordio dei gialloverdi, con due richieste: Paolo Savona all’economia, e una timidissima espansione del deficit. Risultato: il “niet” dello Stato Profondo italo-europeo. Mesto ripiego, l’incresciosa insistenza sullo scandaloso business dei migranti, da cui lo sdegno “antirazzista” degli “antifascisti” (che dormivano, quando il neonazismo vero, finanziario – quello dei poteri forti – si sbranava il loro paese).Ed è proprio su un’Italia agonizzante e trasformata in farsa – il derby deprimente tra Salvini e le Sardine – che è stata sganciata la bomba nucleare, la palingenesi antropologica del coronavirus. Forse gli apprendisti stregoni non erano così certi, di riuscire a trasformare gli uomini in topi. Il risultato ha superato ogni aspettativa: ancora oggi, si vede gente circolare all’aperto con il volto travisato dalla museruola raccomandata dall’Oms, e quindi dai suoi camerieri italiani travestiti da ministri. Se esistesse la macchina del tempo, sarebbe esilarante paracadutare in questa Italia personaggi del secolo scorso come Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer. Vivevano in un paese dove esistevano ancora leader e statisti, partiti, sindacati, editori puri, giornalisti. Era un paese vitale e invidiato, che arricchiva i cittadini stimolando l’economia col deficit, per creare servizi avanzati e realizzare infrastrutture strategiche. Aveva tare enormi: il divario Nord-Sud, l’elefantiaco para-Stato improduttivo, la mafia, un’elevatissima corruzione e il record europeo di lavoro nero ed evasione fiscale. Quell’Italia era comunque la quinta potenza industriale del pianeta. Un paese rispettato, capace di stabilire relazioni speciali con gli arabi e con l’Urss, nonché di rivendicare la sua quota di sovranità in modo anche clamoroso, come a Sigonella.Da trent’anni, l’Italia gira per l’Europa col cappello in mano (e il conto lo fa pagare innanzitutto agli italiani). Amato, Ciampi, Draghi, Prodi, Napolitano, Berlusconi, D’Alema, Letta: è lunghissimo l’elenco dei personaggi cedevoli, complici di poteri extra-nazionali o comunque proni allo stillicidio della spietata precarizzazione sapientemente imposta dal potere ordoliberista e mercantilista spacciato per Unione Europea. Un progetto pluridecennale, pianificato a tavolino a partire dal Memorandum Powell del lontano 1971 passando per il manifesto “La crisi della democrazia”, fino all’invenzione francese del tetto del 3% alla spesa pubblica e agli infernali trattati (Maastricht, Lisbona) che hanno segnato la condanna delle economie sud-europee, in primis quella italiana. Colpo di grazia, il governo Monti e l’obbligo del pareggio di bilancio che annulla – di fatto – il ruolo dello Stato, riducendolo a mero esattore e rendendo carta straccia la Costituzione antifascista del 1948.Ora siamo alle comiche finali: quel che ancora resta in piedi, dell’Italia, verrà divorato a stretto giro (leggasi: piano Colao) per far fronte agli impegni-capestro che “Giuseppi” ha appena contratto coi soliti strozzini, intenzionati a “finire il lavoro” cominciato trent’anni fa a bordo del Britannia. Con la differenza che oggi l’Italia è allo stremo: avrebbe bisogno, subito, di centinaia di miliardi; e invece vedrà solo briciole, col contagocce, a partire dal 2021. La catastrofe incombente, lungamente preparata con decenni di guerra sporca contro i diritti sociali (a proposito di antifascismo), ora rischia di far collassare il sistema-paese grazie al disastro planetario della gestione terroristica del Covid, in cui l’Italia ha offerto la peggior performance in assoluto: in percentuale abbiamo avuto più morti del Brasile, e siamo l’unica nazione industriale europea messa in ginocchio dalla mancanza di aiuti governativi. Col passare dei mesi, o forse soltanto delle settimane, sarà chiara a tutti la verità che i grandi media fingono di non conoscere: e cioè che da questo orrore si può uscire soltanto stracciando i trattati europei, a partire da Maastricht, e gettando al macero anche la cartaccia appena firmata dall’infimo Giuseppe Conte.(Giorgio Cattaneo, “Addio Italia, Conte prenota la fine del sistema-paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 luglio 2020).Solo un demente può scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo vertice di Bruxelles: il paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non certo gratis: per averla, il paese dovrà obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le tasse. Stiamo parlando di un paese che da tre decenni è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse. Per inciso: il paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle blocco imposto all’economia da un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati all’idea di affrontare le elezioni. Secondo Bankitalia, si profila un autunno allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello, delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.
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Fallimento Immuni: gli italiani sono meno fessi del previsto
E’ ufficiale: l’App Immuni è un flop. Dopo mille polemiche, problemi e ritardi, l’applicazione governativa anti-Covid per tracciare le persone è stata respinta dagli italiani: è stata scaricata da appena 4 milioni di utenti, nonostante i piccoli focolai estivi che fanno ancora parlare del virus grazie al quale si è “imprigionato” il paese, decretandone il disastro economico. Tutto questo, senza neppure riuscire a minimizzare l’impatto della patologia: statistiche alla mano, ricorda Marcello Veneziani, l’Italia registra – per ora – la peggior performance al mondo: 35.000 morti, su 60 milioni di abitanti. L’App Immuni, scrive “Money.it“, è stata scaricata solamente da 8 italiani su 100. Di fatto, non ha convinto: «Oltre a non poter essere scaricata da 1 persona su 4, dal momento che non è supportata da smartphone datati, molti italiani ancora non si fidano a rilasciare i propri dati». Sfiducia ben motivata, secondo un hacker come Max Uggeri: «Chi gestisce il database, ovvero Sogei, su questo fronte ha già fatto figure non proprio bellissime, in passato. Il primo rischio è quello che qualche malintenzionato lo attacchi per generare dei falsi positivi». Non confortano le notizie provenienti da Israele: ben 12.000 “falsi positivi” costretti alla quarantena per un banale errore dell’applicazione, gemella di quella italiana.
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Magaldi: gli apprendisti stregoni del Covid hanno già perso
«Gli apprendisti stregoni che hanno provato a usare il Covid come cavallo di Troia per cinesizzare l’Occidente possono rassegnarsi: hanno già perso, anche nel caso in cui il loro nemico numero uno, Donald Trump, non dovesse essere rieletto». Se lo dice Gioele Magaldi, sostenitore di Trump nel 2016 – quando si trattava di fermare Hillary Clinton – c’è da drizzare le antenne: significa che l’establishment Usa, anche quello anti-trumpiano, ha varcato il Rubicone. Ovvero: indietro non si torna. Fine dell’accondiscendenza illimitata verso lo strapotere di Pechino, “drogato” dal decisivo aiuto (occidentale, americano) fornito a suo tempo dai massoni reazionari della “Three Eyes”, in primis il fuoriclasse Kissinger, decisi a fare della Cina post-maoista una specie di Frankenstein, un mix di turbo-capitalismo di Stato in mano a un regime dittatoriale. Modello perfetto, per gli amanti dell’horror: il paradiso degli oligarchi, ideale per rimpiazzare la democrazia occidentale. Fino a ieri, c’erano riusciti truccando le regole: la Cina fu ammessa nel Wto senza obblighi democratici, senza sindacati, senza leggi a tutela dell’ambiente e con clamorosi aiuti in termini di know-how industriale. Il piano: farne la manifattura del mondo, mettendo in crisi i lavoratori occidentali e i loro diritti. Dumping spietato: concorrenza sleale, grazie a prodotti a bassissimo costo. Poi è arrivato Trump, con il suo “America First”. Cocente, l’umiliazione inflitta Xi Jinping con l’imposizione dei dazi. Un minuto dopo, è esploso il coronavirus a Wuhan. La notizia? Ormai l’hanno capito tutti, a cosa doveva servire il Covid.Chi crede ancora alla Befana e ai giochini per la prima infanzia – Trump il puzzone, cattivo e razzista, combattuto da legioni di eroici paladini della giustizia – può a fare a meno di seguire le esternazioni di Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché frontman italiano del circuito massonico progressista sovranazionale. Nel saggio “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere sulla scorta di 6.000 pagine di documenti riservati, ha chiarito qual è il campo di gioco: a tirare le fila sono una quarantina di superlogge mondiali, da cui discendono – a valle – le tante entità paramassoniche (dal Bilderberg alla Trilaterale, dalla Chatham House al Council on Foreign Relations) erroneamente considerate onnipotenti. Ancora più sotto stanno governi, partiti, singoli leader. I loro margini operativi sono minimi: destra o sinistra, le decisioni che contano vengono prese a monte. Tra i grandi centri del potere visibile, aperto e contendibile con le elezioni, il più importante resta la Casa Bianca. «Trump è un “cavallo pazzo”, e siede a Washington grazie alla massoneria progressista che lo appoggiò perché, a differenza di Hillary, poteva sparigliare le carte, mettere fine all’ipocrisia finto-progressista dei democratici e tutelare i lavoratori americani massacrati da questa globalizzazione taroccata». Missione compiuta: ha tagliato le tasse, aumentato il deficit e realizzato la piena occupazione. Restava la mossa finale, fermare Pechino. Detto fatto: ed ecco il freno all’export cinese. Una dichiarazione di guerra, a cui gli oligarchi – dietro il paravento dell’Oms – hanno riposto con il virus e la sua gestione “terroristica”.«La prima vittima dell’operazione-Covid – dice Magaldi, in web-streaming su YouTube – doveva essere proprio Trump, “colpevole” di aver fermato l’avanzata neo-imperiale della Cina. Nel mirino però c’era l’intero Occidente, dove si sperava di ridurre stabilmente la libertà con la scusa della sicurezza sanitaria». Magaldi però annuncia che ora il peggio è passato: «L’establishment Usa, non solo quello trumpiano, ha ormai compreso che non è possibile rassegnarsi all’egemonia politico-economica della Cina di Xi Jinping, dove non c’è ombra di democrazia». Un obiettivo storico: creare un “mostro” di efficienza economica che fungesse da modello per un Occidente non più democratico. «Di fronte allo “stop” imposto finalmente da Trump – accusa Magaldi – un minuto dopo è scattata la pandemia a Wuhan, sotto gli occhi dell’Oms: e ormai, nel potere americano, tutti si sono accorti di questa clamorosa sincronicità». Magaldi è ottimista: «Indietro non si tornerà, neppure nel caso dovesse finire alla Casa Bianca l’evanescente Joe Biden: non rivivremo più la situazione pre-Covid, in cui alla Cina si consentiva di invadere impunemente i nostri mercati grazie al poderoso sostegno delle banche statali di Pechino».Nella sua analisi, Magaldi ribadisce che Trump era (e resta) il primo obiettivo del “partito del Covid”: «Si erano illusi – dice – che bastasse abbattere l’attuale presidente, per ripristinare lo strapotere del network, anche occidentale e statunitense, che conta sulla Cina come modello alternativo al nostro, verso una società meno libera e dominata da una durissima disciplina sociale». Insiste il leader “rooseveltiano”: «Questi nemici di Trump, che sono massoni “neoaristocratici”, hanno già perso in partenza, anche qualora Trump dovesse mancare l’obiettivo della rielezione alla Casa Bianca». Certo, ci sarà comunque da ballare parecchio: «Prepariamoci a vivere un’estate ricca di colpi di scena, a livello mondiale ma anche europeo e italiano». A proprosito di Belpaese: a Giuseppe Conte, nelle prossime ore il Movimento Roosevelt presenterà il suo “ultimatum”, lungamente annunciato: in pratica, si tratta di una serie di misure salva-Italia, applicabili subito. Il pacchetto di proposte sarà presentato «non appena sarà terminata questa grottesca messinscena dell’ultimo vertice Ue, che servirà solo a propiziare “botte da orbi” per il governo italiano». Magaldi boccia Conte senza riserve: «E’ un personaggio stucchevole, un narcisista che vive di superficialità assoluta e tradisce la sua imbarazzante insipienza. Oggi poi in Europa fa una voce grossa che non ha, ed è seduto su un ramo che gli stanno già segando».In sintesi: «L’umiliazione non è di Conte ma dell’Italia, che ha un premier a cui non affiderei nemmeno un condominio». Scontato che torni a Roma con in mano un pugno di mosche, mentre nelle retrovie del grande potere – quello che conta – si segnala «l’altissimo profilo che sta tenendo Mario Draghi, candidato naturale alla successione a Mattarella». Non a caso, Papa Bergoglio ha appena inserito Draghi nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, prestigiosa consulta vaticana «retta da un prodiano», il bolognese Stefano Zamagni. Per Magaldi, il messaggio di Bergoglio è esplicito: «Promuovendo Draghi, il pontefice chiede a Romano Prodi – che brama il Quirinale, e per questo è pronto a “riabilitare” persino Berlusconi, sperando di procacciarsene i voti – di dimostrarsi all’altezza dell’ex presidente della Bce, che nell’ultimo anno è stato capace di ammettere i suoi gravi errori, mettendosi a disposizione di un progetto di rinascita nazionale, socio-economica e democratica». Lo storico liquidatore dell’Iri resta ben lontano dalle vette toccate da Draghi: «Romano Prodi è un massone conservatore e oligarchico, quindi un contro-iniziato di lusso», afferma il presidente “rooseveltiano”, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico.«Come Draghi, l’ex leader dell’Ulivo ha partecipato alla disastrosa privatizzazione dell’Italia e all’instaurazione dell’ordoliberismo eurocratico fondato sull’austerity, ma a differenza di Draghi – che se n’è emendato, giungendo a cambiare a casacca impegnandosi con la massoneria progressista – Prodi non ha mostrato la capacità di ammettere i suoi errori: anzi, nel suo ambire al Quirinale (per la terza volta) dimostra solo di essere dominato dal desiderio, che in termini esoterici è la base della cattiva stregoneria». Per Magaldi, «Prodi resta un nemico di abbattere, a meno che non si arrenda e compia una conversione come quella di cui è stata capace Christine Lagarde, altra esponente della massoneria reazionaria passata al fronte progressista». Quanto a Conte, pesce piccolissimo nell’acquario del potere visto che «si limita a eseguire ordini», nelle prossime ore riceverà “l’ultimatum” del Movimento Roosevelt. «Conterrà indicazioni precise su come agire, in modo immediato, per evitare in autunno il disastro socio-economico della nazione. Qualora non ci ascoltasse – avverte Magaldi – Conte se la vedrà con la Milizia Rooseveltiana, nelle piazze: se gli “apprendisti stregoni” del Covid e la loro “polizia sanitaria” speravano di trasformare gli italiani in pecore ubbidienti, si accorgeranno di dover fare i conti con lupi gagliardi e determinati».Chi crede alla Befana può anche continuare a credere che Giuseppe Conte sia una specie di leader, anziché un cameriere destinato a sparire dalla scena senza lasciare traccia. Può pensarlo chi è così cieco da immaginare che sia un semplice incidente, l’enormità del lockdown mondiale: un cortocircuito epocale, senza precedenti nella storia, con ripercussioni mostruose sugli equilibri economici, sociali e geopolitici del pianeta. E sono ancora le famose fette di prosciutto davanti agli occhi a suggerire, ai non vedenti, l’idea che il premier olandese Mark Rutte, «massone reazionario», sia davvero frenato in qualche modo dalla collega e “sorella” Angela Merkel, che finge di mediare tra falchi e colombe con l’unico obiettivo di inguaiare l’Italia, cioè l’unico peso massimo europeo rimasto senza aiuti, con imprese alla canna del gas e un governo-fantasma, agli ordini delle direttive “cinesi” dell’Oms. Uno spettacolo penoso, dal finale scontato: il disastro economico. «Proprio per questo – chiosa Magaldi – c’è chi sogna una “seconda ondata” per poter imporre in autunno un nuovo lockdown». Ma ha fatto male i suoi conti, avverte il leader “rooseveltiano”: ogni mossa, in questa recita drammatica, avrà un prezzo carissimo. E in ogni caso, “lassù”, la decisione è presa: Trump o non Trump, il “partito del rigore” (ieri finanziario, oggi psico-sanitario) non riuscirà a trasformarci in neo-sudditi orwelliani.«Gli apprendisti stregoni che hanno provato a usare il Covid come cavallo di Troia per cinesizzare l’Occidente possono rassegnarsi: hanno già perso, anche nel caso in cui il loro nemico numero uno, Donald Trump, non dovesse essere rieletto». Se lo dice Gioele Magaldi, sostenitore di Trump nel 2016 – quando si trattava di fermare Hillary Clinton – c’è da drizzare le antenne: significa che l’establishment Usa, anche quello anti-trumpiano, ha varcato il Rubicone. Ovvero: indietro non si torna. Fine dell’accondiscendenza illimitata verso lo strapotere di Pechino, “drogato” dal decisivo aiuto (occidentale, americano) fornito a suo tempo dai massoni reazionari della “Three Eyes”, in primis il fuoriclasse Kissinger, decisi a fare della Cina post-maoista una specie di Frankenstein, un mix di turbo-capitalismo di Stato in mano a un regime dittatoriale. Modello perfetto, per gli amanti dell’horror: il paradiso degli oligarchi, ideale per rimpiazzare la democrazia occidentale. Fino a ieri, c’erano riusciti truccando le regole: la Cina fu ammessa nel Wto senza obblighi democratici, senza sindacati, senza leggi a tutela dell’ambiente e con clamorosi aiuti in termini di know-how industriale. Il piano: farne la manifattura del mondo, mettendo in crisi i lavoratori occidentali e i loro diritti. Dumping spietato: concorrenza sleale, grazie a prodotti a bassissimo costo. Poi è arrivato Trump, con il suo “America First”. Cocente, l’umiliazione inflitta Xi Jinping con l’imposizione dei dazi. Un minuto dopo, è esploso il coronavirus a Wuhan. La notizia? Ormai l’hanno capito tutti, a cosa doveva servire il Covid.
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Per gli idioti, la pandemia colpisce solo gli scettici sovranisti
Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald Trump, Boris Johnson e Jair Bolsonaro, e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati. Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del Covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”.Se Johnson o Bolsonaro risultano positivi al virus è un peana euforico degli umanitari, un inno progressista al Covid, un’ola di liberazione che fa il tifo per la Bestia, che in questo caso è il virus, anche se per loro la Vera bestia è la sua vittima sovranità. È inutile dire che la traduzione dei Tre Porcellini in Italia è Prosciutto & Meloni, ove per Prosciutto s’intende Salvini-Suini e per Meloni s’intende Giorgia regina de’ Coatti. Avvertenza d’obbligo, anche se più volte espressa: nessuna simpatia per Trump e Bolsonaro (un po’ per Johnson), antipatia per i loro nemici e competitori. Ogni giorno, a partire da quella cloaca grillo-contina che è il Tg1, lo schema è sempre lo stesso: i Buoni sono la Cina e la Contea d’Italia da cui arrivano notizie radiose e profilassi efficaci, mentre i cattivi sono gli Usa, il Brasile, la Russia, ecc., da cui arrivano sempre notizie sinistre condite da errori colossali dei leader. L’impressione che lasciano ai cittadini italiani è che quei paesi stiano toccando vertici pazzeschi di contagio e di vittime e siano esposti al male per una scelta ideologica folle prima che sanitaria: sono stati liberisti con il virus, hanno lasciato proseguire l’economia, hanno lasciato a piede libero le popolazioni, dunque vanno puniti e intubati.Allora vorrei fare una piccola riflessione che non è un pensiero profondo ma un calcolo elementare e banale di quelli che si fanno sui libri delle scuole elementari. Dunque, prendiamo la tabella delle vittime e paragoniamo. Il Brasile, che dai nostri media sembra il paese più devastato, ha attualmente 66mila morti. La popolazione brasiliana è composta di 209 milioni di persone, cioè tre volte e mezzo circa l’Italia. In Italia sono morte circa 36mila persone su 60 milioni: la percentuale di vittime da noi è decisamente più alta, almeno finora. Ma la nostra percentuale è più alta persino degli Stati Uniti, se si considera che gli Usa hanno una popolazione cinque volte superiore all’Italia e hanno 130mila morti. In percentuale, l’Italia ha lo 0,60, gli Usa lo 0,43, il Brasile lo 0,33 di deceduti rispetto alle popolazioni. Ancora: la malefica, devastata Russia ha “solo” 11mila morti su una popolazione di 150 milioni. Nell’India sotto Covid i morti sono 15mila, su un miliardo e quattrocento milioni d’abitanti…Facile e giusta l’obiezione: ci sono paesi in cui i morti non si contano, almeno non in relazione al Covid. Certo, vale per il Brasile come per la Russia e l’India, ma come per la Cina, che dichiara un numero di morti inattendibile rispetto alla realtà, e Cuba e tanti altri paesi del Terzo Mondo, per non dire dell’Africa. Dai dati ufficiali risulta che il nostro paese è stato tra i più colpiti al mondo, nonostante il lockdown e le vanterie governative. E ha, non mi stancherò di ripeterlo, una percentuale altissima di deceduti nel rapporto tra contagiati e morti. Nel mondo, tuttora, siamo con gli inglesi ai vertici della classifica. Dipenderà dai tamponi praticati, o come dicono alcuni ridicoli fintopatrioti, dipende dal fatto che noi abbiamo dichiarato i dati veri, perché noi siamo notoriamente onesti, universalmente noti come i più onesti al mondo, mentre tutti gli altri no… A parte che non è vero, anche da noi sia i contagiati che le vittime in Lombardia erano in realtà molte di più; non c’è dunque una spiegazione razionale, o almeno ragionevole, alla tesi che nelle classifiche mondiali di contagiati e deceduti noi soli avremmo dato i numeri veri e perciò risultiamo quelli dove ci sono più morti in relazione al numero dei contagiati.Tutto questo non ci porta a capovolgere la pantomima dei media ma a ripristinare perlomeno la verità: non possiamo reputarci meno colpiti dei brasiliani, degli statunitensi, dei russi, degli indiani e di chi volete voi. Siamo nelle stesse condizioni, anche se in tempi diversi e nonostante le profilassi diverse. Sul piano delle responsabilità bisogna certo rimarcare i ritardi, le sottovalutazioni, gli errori, e poi i falsi ottimisti, perniciosi quanto i catastrofisti e i terroristi sanitari. Ma evitiamo per favore di dare una lettura politica, ideologica o addirittura elettorale (vedi Trump) alla pandemia. Altrimenti stabiliamo pure un nesso tra il Covid è le repressioni cinesi a Hong Kong (su cui tacciono tutti in Italia, e il ministro degli esteri Di Maio evidentemente crede che la Cina stia combattendo eroicamente contro King Kong).Non dimentichiamo che i paesi in questione sono stati i destinatari incolpevoli del virus e il mittente colposo, almeno così possiamo chiamarlo, è la Repubblica Popolare Cinese; e se non vogliamo tirare ancora in ballo la questione dei laboratori e dei ritardi e omertà nel dare notizia del virus, dobbiamo almeno dire che le abitudini alimentari cinesi sono ancora pericolosamente incuranti dei rischi provenienti da alcune carni e alcuni animali. Perché se tutto si riduce alla fatua, manichea, puerile distinzione politica, allora dite pure che i sovranisti sono stati attaccati dal morbo, ma aggiungete che a veicolarlo nel mondo è stato la Cina comunista, che sta usando tutte le armi, dal virus al 5G, per conquistare l’egemonia planetaria. Agli idioti in malafede si parla nel loro lessico e si usano le loro stesse equazioni.(Marcello Veneziani, “La pandemia colpisce gli scettici e i sovranisti”, da “La Verità” del 10 luglio 2020).Hanno trasformato la pandemia in pantomima. Una tragedia mutata in pagliacciata globale. Dunque, lo schema della fiaba con intenti moralistici e punitivi è il seguente. La pandemia nata in Cina, cresciuta in Asia, infuria nel mondo ma ci sono tre nazioni carogne guidate da tre canaglie che sono paladini, impresari e veicoli della pandemia. I tre porcellini in questione si chiamano Donald Trump, Boris Johnson e Jair Bolsonaro, e guarda caso sono tutti “sovranisti”, conservatori o nazional-populisti. Una mezza scomunica arriva pure all’India dove c’è un mezzo nazionalista, Narendra Modi. E una velenosa maledizione scende sulla Russia del Maledetto Zarista-sovranista Vladmir Putin. Il Covid ha una sua morale progressista, secondo i media, punisce chi dubita della sua virulenza ed è sovranista. Fa eccezione la Svezia dove un governo socialdemocratico ha usato la linea aperta sul Covid ma per questi non vale la punizione divina né l’allarme sui dati. Sugli altri paesi si dice poco e niente, le stragi del Covid in Africa, in Asia o nei Caraibi vengono dimenticate, i contagi tra i migranti passano in sordina, e comunque mai col tono usato per i Tre Porcellini, che è riassunto nell’espressione “ben ti sta”, “te lo sei cercato”.
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Rispunta Draghi, e brucia un’altra cattedrale in Francia
Tanti anni fa, Guido Ceronetti scrisse che in fondo al cuore malato di ogni piromane c’è sempre un impulso irrefrenabile e sacrilego, forse neppure consapevole, nel fare strage dell’ancestrale sacralità del bosco, a lungo venerato come antica dimora delle divinità. Nel medioevo furono i maestri massoni, dall’alto delle loro conoscenze vitruviane e pitagoriche, a erigere spettacolari cattedrali dominate da imponenti colonnati, vere e proprie “foreste di pietra” che ricordano da vicino la maestà dei grandi alberi. Lo sottolinea Michele Giovagnoli, nel saggio “La messa è finita” (UnoEditori): dopo aver sterminato gli alberi secolari, il culto romano sostituì il bosco naturale con quello artificiale, urbano e marmoreo. Giovagnoli cita il Concilio di Nantes, che si svolse attorno all’anno 890, quando le campagne europee brulicavano ancora di ferventi pagani: all’epoca, scrive l’autore, l’albero millenario – meta di pellegrinaggio – era venerato come un’entità divina. Per questo, la Chiesa medievale dispose che le grandi querce venissero abbattute, eradicate, fatte a pezzi e infine bruciate: un rogo rituale, come quello destinato agli eretici. Fa notizia, oggi, l’incendio che il 18 luglio ha devastato proprio la cattedrale di Nantes, irrequieta città storicamente incline a essere associata alla Bretagna, più che alla Francia.E’ il secondo incendio, nel giro di un anno, che colpisce una cattedrale francese: il 15 aprile 2019 andò in fumo il tetto di Notre Dame de Paris, monumento-simbolo della capitale e grandiosa chiesa di origine templare consacrata alla Maddalena, patrona della Francia, paese che ancora oggi coltiva la memoria leggendaria del presunto sbarco in Camargue, a Sainte-Marie-de-la-Mer, delle “Marie venute dal mare”, dopo i fatti di Gerusalemme, a diffondere il cristianesimo in Europa. Una missione che si vuole propiziata dal misterioso Giuseppe d’Arimatea, il potente armatore che secondo la tradizione evangelica riscattò da Pilato le spoglie del Nazzareno dopo la crocifissione. Un evento su cui in tanti hanno ricamato storie, fino al “Codice da Vinci” di Dan Brown, ipotizzando una discendenza terrena di Jeoshua-Gesù. Il templarismo, che sognava una sorta di unità europea ante litteram basata sul superamento delle frontiere, custodiva probabilmente il ricordo della primissima Chiesa cristiana, quella di Giacomo, lungo la rotta del “campo di stelle” (Compostela), un tratto di Via Lattea destinato a unire idealmente Gerusalemme a Roma. Sulle rive del Tevere, invece, in capo a tre secoli si sarebbe poi insediato il potere cattolico, per volere dell’imperatore Costantino: una solidissima burocrazia religiosa basata sull’alleanza – storicamente infondata – degli apostoli Pietro e Paolo, quelli a cui è dedicata la cattedrale di Nantes ora colpita dalla furia incendiaria.Era l’8 aprile 2020 quando prese fuoco, a Città della Pieve, il tetto della dimora umbra di Mario Draghi: dell’ex presidente della Bce si parlava con insistenza, come possibile successore di Giuseppe Conte. A fine marzo, con una clamorosa lettera pubblicata dal “Finacial Times”, Draghi aveva annunciato una svolta copernicana per uscire dalla crisi economica prodotta dall’austerity europea e aggravata dal lockdown imposto in occasione del coronavirus. La sua ricetta: emissione illimitata di moneta, per soccorrere Stati, aziende e famiglie con aiuti immediati e a fondo perduto. In passato artefice di primissimo piano dell’euro-sistema basato sul rigore finanziario, Draghi ha compiuto un dietrofront inaudito, richiamandosi al New Deal di Roosevelt e alla lezione di Keynes basata sull’intervento diretto dello Stato nell’economia. Afferma Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014): già distintosi tra i massimi leader del fronte massonico reazionario, protagonista del neo-feudalesimo europeo basato sull’austerity, Draghi ha abbandonato i circuiti massonici “neoaristocratici” per essere accolto nei ranghi della massoneria sovranazionale “progressista”, che predica la fine dell’attuale governance Ue dominata da oligarchie finanziarie neoliberiste e post-democratiche. Si tratta di un network massonico sovranazionale che, secondo Magaldi, è lo sponsor occulto del nuovo superpotere globale cinese, vero protagonista dell’evento-Covid interpretato come laboratorio anche sociale, fondato sulla sospensione delle libertà occidentali.Sui giornali, lo stesso Draghi è tornato il 10 luglio scorso, quando Papa Francesco lo ha nominato tra i membri eccellenti della prestigiosa Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: un “endorsement” decisamente vistoso, che sembra preludere a un imminente ingresso di Draghi alla guida dell’Italia. Evento che pare confermato dai recenti, reclamizzati colloqui con politici italiani, tra cui lo stesso Di Maio, proprio mentre Giuseppe Conte (vicinissimo all’Oltretevere) annaspa ancora nella palude di Bruxelles, senza riuscire a portare a casa alcun risultato utile a risollevare l’economia nazionale, ormai in stato di drammatica emergenza. Segnali incrociati: luce verde a Draghi, che in ultima analisi punterebbe al Quirinale dopo Mattarella, e fuoco doloso – ancora – ad accompagnare, in qualche modo, il ritorno sulla scena pubblica dell’ex banchiere centrale europeo? E’ forse un oscuro messaggio indirizzato al Vaticano, il rogo della cattedrale consacrata a Pietro e Paolo in un paese come la Francia, oggi retto dall’oligarca Macron, già banchiere della scuderia Rothschild? Semplici coincidenze, curiose analogie o precise suggestioni cifrate? Solo due anni fa, Bergoglio accolse Macron in Vaticano con tutti gli onori, proprio mentre il presidente francese conduceva un durissimo attacco contro il governo italiano, allora “gialloverde”, col pretesto della politica contro i migranti (a cui però la Francia, per prima, aveva chiuso le frontiere).Negli ultimi anni, sempre la Francia è stata al centro di eventi oscuri come l’opaco “neoterrorismo” targato Isis, dalla strage di Charlie Hebdo (gennaio 2015) alla carneficina di Nizza (14 luglio 2016), passando per la mattanza del Bataclan. Identico il copione: il terrorista spara sulla folla – mai sui simboli del potere – per poi essere ucciso dalle forze di sicurezza, prima di poter essere interrogato. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016) il simbologo Gianfranco Carpeoro ha svelato la precisa simbologia – non islamica, ma massonica – dietro a quei sanguinosi attentati europei, imputati a una torbida “sovragestione” favorita da settori dell’intelligence, come quelli risultati coinvolti nel fornire le armi al commando di Charlie Hebdo (da cui la decisione del governo francese di “tombare” le indagini sul caso, apponendo il segreto di Stato). Oggi, l’Europa vive un momento decisivo: l’Italia, allo stremo, chiede soccorso all’Ue degli oligarchi ma rimedia l’ennesimo rifiuto, con l’alibi dell’intransigenza olandese. Nel frattempo, Mario Draghi si scalda in panchina, anche col placet del Papa. E pochi giorni dopo va a fuoco la cattedrale di Nantes. Il rogo è doloso: gli inquirenti hanno rinvenuto tre inneschi. Dal canto suo, Magaldi annuncia: sono in vista rivolgimenti epocali, nel mondo massonico fino a ieri dominato dall’ala reazionaria, fautrice del rigore. C’è dunque un nesso, con gli incendi? Nel paese più amato dai neo-terroristi, c’è chi fa sapere di non gradire l’ipotetica svolta che si preparerebbe?Tanti anni fa, Guido Ceronetti scrisse che in fondo al cuore malato di ogni piromane c’è sempre un impulso irrefrenabile e sacrilego, forse neppure consapevole, nel fare strage dell’ancestrale sacralità del bosco, a lungo venerato come antica dimora delle divinità. Nel medioevo furono i maestri massoni, dall’alto delle loro conoscenze vitruviane e pitagoriche, a erigere spettacolari cattedrali dominate da imponenti colonnati, vere e proprie “foreste di pietra” che ricordano da vicino la maestà dei grandi alberi. Lo sottolinea Michele Giovagnoli, nel saggio “La messa è finita” (UnoEditori): dopo aver sterminato gli alberi secolari, il culto romano sostituì il bosco naturale con quello artificiale, urbano e marmoreo. Giovagnoli cita il Concilio di Nantes, che si svolse attorno all’anno 890, quando le campagne europee brulicavano ancora di ferventi pagani: all’epoca, scrive l’autore, l’albero millenario – meta di pellegrinaggio – era venerato come un’entità divina. Per questo, la Chiesa medievale dispose che le grandi querce venissero abbattute, eradicate, fatte a pezzi e infine bruciate: un rogo rituale, come quello destinato agli eretici. Fa notizia, oggi, l’incendio che il 18 luglio ha devastato proprio la cattedrale di Nantes, irrequieta città storicamente incline a essere associata alla Bretagna, più che alla Francia.
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Sale lo spread e arriva Draghi: soluzione pronta per l’Italia
«Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rendere noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso». Questa la lettura che, sul “Sussidiario”, offre dell’ultimo round italo-europeo un giornalista di lunga esperienza come come Sergio Luciano, già responsabile delle pagine politico-economiche della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e di “Repubblica”. Punto di partenza, l’ennesimo pugno di mosche rimediato da Conte a Bruxelles. In primis, Luciano chiarisce un equivoco legato all’espressione Recovery Fund: «Letteralmente “recovery” significa recupero», e quindi «soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte». Più prestito che dono, insomma. E dato che «i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste».Paesi come l’Olanda di Mark Rutte, che assorbono immense risorse italiane grazie al dumping fiscale, «contrastano senza mezzi termini la pretesa italiana (e non solo) di poter prendere questi soldi senza dare alcuna garanzia sulle modalità attraverso le quali ciascuno Stato debitore può ragionevolmente impegnarsi a restituirli». Proprio l’Olanda, aggiunge Luciano, «è un vergognoso caso di paradiso fiscale infra-europeo, uno di quelli che se i Trattati fossero stati scritti con la testa e non con i piedi, avrebbe dovuto essere messo al bando o ricondotto a disciplina fiscale ordinaria». Ma tant’è: gli olandesi ci sono, restano, pesano e passano pure per frugali. In sostanza, Rutte dice che l’Italia deve impegnarsi con un piano di riforme serissimo, «tanto più severo quanto meno credibile è la buona volontà italiana di por mano agli handicap pluridecennali che stanno soffocando la nostra economia». E quindi un piano particolareggiato, da monitorare nel suo andamento. «Il governo italiano pretende di poter incassare l’abbondante fetta di Recovery Fund che ci spetterebbe, 172 miliardi su 750, senza prendere in cambio alcun impegno gestionale sull’economia». Gli olandesi, invece, ripetono che prima dobbiamo presentare riforme credibili, poi dimostrare di essere capaci di attuarle (e solo dopo saremo finanziati).Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, sta mediando. E ora, scrive sempre Luciano, ha proposto una cosa che sembra un assist al governo italiano. Cioè: ogni paese fa i piani che vuole e li presenta senza dover temere il “niet” degli altri. Strada facendo, i partner potranno controllare l’attuazione delle riforme nello Stato sotto indagine e, se necessario, bloccare l’erogazione dei fondi. «Insomma: luce verde per avere i soldi, luce rossa – se serve – qualora li spendessimo male». In realtà, aggiunge Luciano, il diavolo è nei dettagli: «A Bruxelles sanno perfettamente che l’Italia, accalappiata com’è in un nodo gordiano di ingestibile burocrazia, non sarà mai in grado di presentare un piano sostenibile. Quindi, per carità di patria, anzi di Unione, possono addivenire all’idea che sui piani non si va per il sottile e si sganciano i primi soldi, riservandosi però il diritto di chiudere i rubinetti quando sarà palese che le promesse della prima ora sono state vane».Nel frattempo, si fa notare la presidente della Bce, Christine Lagarde: «Ai giornalisti che le chiedevano se i modesti importi (relativamente modesti) che settimanalmente la banca centrale tramite le sue affiliate spende per rilevare Bond statali sono sufficienti, ha detto di sì. E se considera sufficienti importi che non riescono a ridurre sotto la soglia dei 170 punti base lo spread italiano – scrive ancora Luciano – vuol dire che si prepara a utilizzare la leva dello spread, lo spauracchio numero uno, per costringere l’Italia a rientrare ne ranghi. Ma con quale governo? Con questa compagine di sprovveduti? Improbabile». Per Luciano, «rimane una speranza e anche un’incognita», cioè il governo Draghi. Innescato dalla crisi dello spread come quello (nafasto) di Monti nel 2011, ma stavolta dal segno opposto: sempre dallo spread si partirebbe – questa è l’ipotesi – ma per invertire la rotta: sarebbe dunque Draghi il garante ideale, l’uomo giusto per convincere l’Ue a cambiare le regole. A fine marzo, l’ex capo della Bce mise le carte in tavola in un editoriale sul “Financial Times”: di fronte al Covid (cioè al lockdown) c’è solo una possibilità, e cioè finanziare gli Stati con miliardi da non restituire più. Sarà dunque lo spread manovrato dalla Lagarde a spingere Mattarella a licenziare Conte e invitare Draghi a Palazzo Chigi?«Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rendere noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso». Questa la lettura che, sul “Sussidiario“, offre dell’ultimo round italo-europeo un giornalista di lunga esperienza come Sergio Luciano, già responsabile delle pagine politico-economiche della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e di “Repubblica”. Punto di partenza, l’ennesimo pugno di mosche rimediato da Conte a Bruxelles. In primis, Luciano chiarisce un equivoco legato all’espressione Recovery Fund: «Letteralmente “recovery” significa recupero», e quindi «soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte». Più prestito che dono, insomma. E dato che «i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste».
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Pura magia: la scienza diventa religione, negando la verità
Il metodo socratico rappresenta un elemento portante nello sviluppo epistemologico, cui si ispireranno sia l’età dell’Umanesimo che quella dell’Illuminismo, dove l’interesse per la scienza troverà massima espressione, elevandosi a ideale contro l’oscurantismo, l’intolleranza e ogni forma di assolutismo. L’approccio odierno alla scienza la allontana notevolmente dal suo fine massimo di raggiungimento del sapere quale emancipazione dell’essere umano, attraverso il percorso arduo e incessante della ricerca della conoscenza. Al contrario, lo scientismo attuale costringe l’individuo dentro una gabbia ristretta di norme e dogmi che appaiono imperscrutabili al comune intelletto, divenendo roccaforte di un gruppo di eletti, forti del prestigio conferito loro dall’appartenenza a enti rappresentativi del sapere in quello specifico settore. Rinnegando la strada percorsa dai grandi scienziati del passato che pagarono con la propria vita l’aver messo in dubbio le credenze contemporanee, gli attuali preferiscono muoversi nel solco del conformismo e dell’omologazione. Non c’è spazio per il dubbio, elemento fondamentale della ricerca della sapienza, ma solo per l’assertività, la dogmaticità inconfutabile e autoreferenziale delle proprie affermazioni. Uno scientismo imperante e anti-dialogico sta contaminando tutti gli ambiti della conoscenza, con una smania positivista che ha pervaso persino le scienze umane.