Archivio del Tag ‘consumi’
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Miracolo Islanda: è bastato fermare i parassiti del rigore
Per circa tre anni, i nostri governi, la cricca dei banchieri e i media industriali ci hanno garantito che loro conoscevano l’approccio corretto per aggiustare le economie che loro avevano in precedenza paralizzato con la loro mala gestione. Ci è stato detto che la chiave stava nel balzare sul Popolo Bue imponendo “l’austerità” al fine di continuare a pagare gli interessi ai Parassiti delle Obbligazioni, a qualsiasi costo. Dopo tre anni di questo continuo, ininterrotto fallimento, la Grecia è già insolvente per il 75% dei suoi debiti e la sua economia è totalmente distrutta. La Gran Bretagna, la Spagna e l’Italia stanno tutte precipitando in una spirale suicida, in cui quanta più austerità quei governi sadici infliggono ai loro stessi popoli tanto peggiore diventa il problema del loro debito/deficit. L’Irlanda e il Portogallo sono quasi nella stessa condizione.
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Custodi dell’Appennino: l’importanza di essere piccoli
L’importanza di essere piccoli, nelle periferie della montagna italiana: fino a trasformare gli abitanti in spettatori partecipi, e poi addirittura in “custodi” dei loro spazi ricolonizzati e della loro cultura. Territorio e comunità, ovvero: l’ultima vera frontiera civile che ci resta, nel supermarket-mondo assediato dalla crisi globale, tra le macerie di istituzioni politiche in via di smantellamento, sotto il ricatto della crisi finanziaria. Sovranità democratica dei territori: è l’obiettivo di “SassiScritti”, coraggiosa associazione culturale attiva sull’Appenino tosco-emiliano, impegnata in una missione fondata sulla devozione civica, il recupero di borghi montani da far rivivere attraverso la cultura popolare. “Custodi” è in titolo del progetto, in lizza al concorso nazionale “Che Fare”, che mette in palio centomila euro per realizzare un sogno: è una vera e propria gara basata sull’eccellenza e fondata sulla democrazia del tele-voto, via web.
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Noi, lo zoo degli zombie e l’assedio della mediocrità
Ti guardi attorno, e vedi quasi solo mediocrità. Cialtroneria, mancanza di rispetto, ignoranza. L’amore per il lavoro libero, fatto bene: è roba in via di estinzione. Il piacere del lavoro ben fatto, lo chiamava Primo Levi. Tutto è fatica mentale: scostarsi dal binario, aggregare anime affini. Fatica sterminata. Psicologica, prima ancora che politica. Paure, dipendenze, pigrizia. Siamo stati rincoglioniti con sapienza, con metodo. Letterati, filosofi, poeti e teologi si occupano di parole come valori, dignità. Uno zoo di addetti ai lavori. Lo siamo tutti, addetti ai lavori. Siamo noi, lo zoo. E tuttavia: trovo la mediocrità infallibilmente offensiva. C’è una sciatteria universale fatta di imprecisione, intempestività, approssimazione. La banale, semplice puntualità è stata derubricata. Le parole viaggiano velocissime, ma non contengono quasi più niente.
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Ci vendono di tutto, tranne quello che ci serve: la felicità
Come governanti, esprimiamo la sincera volontà di accompagnare tutti gli accordi che questa nostra povera umanità possa sottoscrivere. Tuttavia, ci venga concesso di porci qualche domanda a voce alta. Per tutto il pomeriggio si è parlato di “sviluppo sostenibile”, per togliere masse immense dalla povertà. A cosa ci riferiamo? Il modello di sviluppo e di consumo che abbiamo in mente è quello attuale delle società ricche? Un’altra domanda: cosa succederebbe, a questo pianeta, se gli indiani avessero la stessa proporzione di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno ci rimarrebbe per respirare? In altre parole: il mondo possiede oggi gli elementi materiali per fare in modo che 7-8.000 milioni di persone possano avere lo stesso livello di consumo e di spreco delle più ricche società occidentali? Sarà possibile, o dovremmo forse mettere la discussione su un altro piano?
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Debito, vero affare per le banche: tanto, paghiamo noi
E’ un documento da conservare con cura il rapporto “Moneta e banche” redatto dalla Banca d’Italia. Perché se si vuole vuole sapere per che cosa facciamo i sacrifici, subiamo le stangate, gli aumenti, il blocco dei servizi e dei diritti, parte della risposta è data dai numeri, un po’ complessi e fitti, che la banca centrale italiana pubblica sul proprio sito. Al 31 ottobre 2012, infatti, la proprietà di titoli di Stato da parte delle banche italiane ammontava a 340 miliardi di euro, in aumento del 63% rispetto all’anno precedente (208 miliardi ma, nel 2009 a ridosso dell’esplosione della crisi, erano solo 147 miliardi). Una fetta importante del debito pubblico, quindi, si trova nella pancia delle banche: i Bot, nell’ultimo anno (ottobre 2011-ottobre 2012) sono passati da 32 miliardi a 54, i Btp da 106 a 182 miliardi ma anche Cct e Ctz sono cresciuti sia pure in misura minore.
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Stato di piena occupazione: e la crisi sarebbe un ricordo
«L’atto di governo in assoluto più cruciale in un ritorno dell’Italia alla sovranità monetaria è la realizzazione nel paese della Piena Occupazione». E’ il punto-cardine del programma di resurrezione nazionale messo a punto da Warren Mosler insieme ad Alan Parguez e Matthew Forstater, gli economisti della “Modern Money Theory” convocati da Paolo Barnard per studiare un piano organico anti-crisi. Il governo, dicono gli economisti democratici, deve istituire un programma nazionale di pieno impiego per chiunque non abbia un lavoro, maschi e femmine, abili o disabili, senza limiti. Proprio il Plg, “programma di lavoro garantito”, innescherebbe nel paese «il massimo circolo virtuoso di aumento dei redditi, dei consumi, della produzione, dei profitti, delle assunzioni, del risparmio e degli investimenti, sia nazionali che esteri». Il pilastro di economia su cui questa politica si basa è il seguente: «Uno Stato che possegga una sua moneta sovrana può permettersi di acquistare tutto ciò che è prezzato in quella moneta e senza limiti. Questo include la forza lavoro».
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Uccidere la democrazia: piano perfetto, nato 40 anni fa
C’è una domanda centrale, assillante, che tutti ci facciamo: perché le cose non cambiano? Perché, nonostante decenni di manifestazioni, gruppi organizzati e proteste, le cose in realtà tendono a non cambiare mai? E’ una domanda che ci sta alla gola. Vorremmo tutti saper rispondere, vorremmo tutti vedere che c’è una risposta immediata o almeno decente, a questa movimentazione di società civile (che peraltro è in aumento) contro il cosiddetto potere, contro le malefatte del potere. E la risposta è semplicissima: le cose non cambiano perché noi non sappiamo chi è il potere. E quindi stiamo combattendo contro un obiettivo sbagliato. Se non sai chi è veramente chi governa la tua vita, combatti contro quelli che, in realtà, non governano la tua vita. Il potere, il vero potere, è stato di un’astuzia incredibile. E’ riuscito, negli ultimi 35 anni, a rimanere completamente nascosto; a proporre alle opinioni pubbliche un volto del potere che è falso, cioè a proporre le cosiddette marionette del potere.
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Nessuno come l’Italia ci guadagnerebbe, lasciando l’euro
Un aglosassone fuori dal coro: mentre “Financial Times” e “Wall Street Journal” hanno fatto un endorsement per un Monti-Bis, Ambrose Evans-Pritchard la pensa all’opposto. E spiega perché dovremmo applicare una terapia opposta a quella, suicida, di Monti. In termini pro capite, l’Italia è una nazione più ricca della Germania , con circa 9 trilioni (9.000 miliardi) di ricchezza privata. Abbiamo il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7, mentre il nostro debito “combinato”, quello che si ottiene facendo la media tra debito pubblico ed esposizione privata, ammonta al 265% del Pil ed è quindi inferiore a quello di Francia, Olanda, Gran Bretagna, Usa e Giappone. Per l’indice del Fmi, il punteggio dell’Italia è il migliore per “sostenibilità a lungo termine del debito” tra i principali paesi industrializzati. «Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario», dice Andrew Roberts di “Rbs”. «Se c’è un paese dell’Eurozona che potrebbe trarre beneficio dall’abbandonare l’euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l’Italia».«I numeri parlano da soli», aggiunge Roberts. «Pensiamo che nel 2013, non si tratterà di sapere quali paesi saranno costretti a lasciare l’euro, ma chi sceglierà di andarsene». Uno studio basato sulla “teoria dei giochi” e condotto da Bank of America ha concluso che l’Italia, sganciandosi e ripristinando il controllo sovrano sulle sue leve politiche, guadagnerebbe più di altri membri dell’unione monetaria. La nostra posizione patrimoniale sull’estero è vicina all’equilibrio, in netto contrasto con Spagna e Portogallo, entrambi in deficit per oltre 90% del Pil. L’avanzo primario, aggiunge Evans-Pritchard in un intervento sul “Telegraph” ripreso dal blog “Informare per Resistere”, implica che l’Italia «può lasciare l’Eurozona in qualsiasi momento lo desideri, senza dover affrontare una crisi di finanziamento». Un tasso di risparmio elevato, aggiunge il grande economista inglese, significa che qualsiasi shock del tasso di interesse dopo il ritorno alla lira rifluirebbe nell’economia attraverso maggiori pagamenti a obbligazionisti italiani: spesso ci si dimentica che in Italia i tassi reali erano molto più bassi sotto la Banca d’Italia.«Roma possiede una serie di carte vincenti», sostiene Evans-Pritchard. «Il grande ostacolo è il premier Mario Monti, installato a capo di una squadra di tecnocrati grazie al golpe del novembre del 2011 voluto dal cancelliere tedesco Angela Merkel e dalla Banca Centrale Europea, tra gli applausi dei media e della classe politica europea». Monti «potrebbe essere uno dei grandi gentlemen d’Europa», ma sfortuna vuole che sia anche «un sommo sacerdote del progetto Ue» e, in Italia, «un promotore decisivo dell’adesione all’euro». Per cui: «Prima se ne va, prima l’Italia può fermare la diapositiva in depressione cronica». I “mercati” sono ovviamente inorriditi all’idea che si dimetta una volta approvata la legge di bilancio 2013, visto che i rendimenti sul debito italiano sono cresciuti. «L’armistizio è durato 13 mesi. Ora la guerra continua. Il mondo ci guarda con incredulità», scrive il “Corriere della Sera”.Il rischio immediato per gli investitori obbligazionari sta nel Parlamento fratturato, sostiene Evans-Pritchard, con almeno il 25% dei seggi attributi a «forze euroscettiche», cioè Berlusconi, la Lega Nord e lo stesso Grillo, quotato attorno al 18% . «Siamo condannati, se non vi sarà chiara maggioranza in Parlamento», avverte il professor Giuseppe Ragusa dell’università Luiss Guido Carli di Roma. «Qualsiasi risultato del genere – ammette Evans-Pritchard – lascerebbe i mercati obbligazionari palesemente esposti, come lo erano nel luglio scorso, durante l’ultimo spasimo della crisi del debito in Europa. Roma avrebbe ancora meno probabilità di richiedere un salvataggio e firmare un “Memorandum” rinunciando alla sovranità fiscale», che poi è la pre-condizione già prevista dal Fiscal Compact affinché entri in azione la Bce per tenere a bada i rendimenti dei titoli italiani.Tutti quegli investitori che si sono esposti sul debito italiano (e quello spagnolo) dopo la promessa di Mario Draghi che la Bce avrebbe fatto tutto il possibile per salvare l’Eurozona ora potrebbero scoprire che Draghi non è in grado di tener fede alla sua promessa, perché ha le mani legate dalla politica. I detentori dei titoli italiani sono preoccupati, «ma gli interessi della democrazia italiana e quelli dei creditori stranieri non sono più allineati», dice Evans-Pritchard. «Le politiche deflazionistiche stile anni ’30 imposte da Berlino e Bruxelles hanno spinto il paese in un vortice greco». Confindustria ha detto che la nazione è ridotta in macerie, e gli ultimi dati confermano che la produzione industriale in Italia è in caduta libera, giù del 6,2% rispetto all’ottobre dell’anno prima. «Abbiamo visto, negli ultimi 12 mesi, un crollo completo del settore privato», conferma Dario Perkins, del Lombard Street Research. «La fiducia delle imprese è tornata ai livelli dei momenti più bui della crisi finanziaria. La fiducia dei consumatori è la più bassa di sempre. Berlusconi ha ragione a dire che l’austerità è stata un completo disastro».I consumi sono è scesi del 4,8% anche a causa della stretta fiscale. «Questi numeri non hanno precedenti: il rischio per il 2013 è che la caduta sarà ancora peggiore», avverte la Confcommercio. Le origini di questa crisi, per Evans-Pritchard, risalgono a metà degli anni ’90, quando il marco e la lira sono stati inchiodati per sempre ad un tasso di cambio fisso. L’Italia, che aveva la “scala mobile” salariale ed era abituata all’inflazione, ha così perduto progressivamante dal 30% al 40% di competitività del lavoro rispetto alla Germania. E il surplus commerciale storico con la Germania è diventato un grande deficit strutturale. «Il danno ormai è fatto: non è possibile riportare indietro le lancette dell’orologio. Eppure – insiste Evans-Pritchard – questo è esattamente ciò che le élite politiche dell’Ue stanno cercando di fare con l’austerità e la drastica “svalutazione interna”».Una simile politica può funzionare in una piccola economia aperta come quella irlandese, con alti ingranaggi commerciali, mentre in Italia «significa replicare l’esperienza della Gran Bretagna dopo che Winston Churchill fece tornare la sterlina all’ancoraggio all’oro, tornando così al tasso sopravvalutato del 1925». Come Keynes disse acidamente, i salari sono condannati a scendere. Difatti, gli inglesi pagarono con gli stenti i cinque anni successivi. «L’effetto principale di questa politica è quello di portare alle stelle il tasso di disoccupazione», che per i giovani italiani ha superato il 36% e va aumentando ancora. «Il commissario Monti, con la stretta fiscale, si è mangiato quest’anno il 3,2% del Pil, tre volte la dose terapeutica». Eppure, non c’era alcuna ragione economica per farlo: «L’Italia ha avuto un budget vicino al saldo primario nel corso degli ultimi sei anni. È stata, sotto Berlusconi, un raro esempio di rettitudine».L’avanzo primario raggiungerà quest’anno il 3,6% del Pil, per poi passare addirittura al 4,9% l’anno prossimo. «Non si potrebbe essere più virtuosi, eppure il dolore è stato più dannoso che inutile». L’inasprimento fiscale, aggiunge Evans-Pritchard, ha spinto in zona-pericolo il debito pubblico italiano, che era in equilibrio stabile. Il Fmi conferma: il nostro debito sta crescendo molto più velocemente di prima, saltando dal 120% dello scorso anno al 126% di quest’anno per salire al 128% nel 2013. E l’economia? Ha subito una contrazione per cinque trimestri consecutivi: secondo Citigroup, l’economia italiana non si riprenderà fino al 2017. «Sarebbe straordinario se gli elettori italiani tollerassero questa débacle per lungo tempo», dice Evans-Pritcahrd, anche se Bersani – come pare probabile – vincerà le elezioni con un centrosinistra pro-euro.Gli ultimi sondaggi rivelano che ormai solo il 30% della popolazione pensa ancora che l’euro sia “una cosa buona”. «Il coro in favore dell’uscita dell’Eurozona è stato silenziato dopo la promessa di salvezza di Draghi». E ora, cinque mesi dopo, «è chiaro che la crisi è più profonda è ancora purulenta». Berlusconi «gioca maliziosamente con il tema»: un giorno accenna alla sua “pazza idea” di autorizzare Bankitalia a stampare euro con aria di sfida, aggiungendo che «non è una bestemmia dire di lasciare l’euro». Poi, gli affondi più recenti: l’Italia «sull’orlo del baratro», la «spirale senza fine» della recessione. In un anno, un vero e proprio crollo: milioni di disoccupati, debito alle stelle, imprese che chiudono, industrie ko come quella dell’auto. «Non possiamo continuare ad andare avanti in questo modo», dice il bellicoso Berlusconi elettorale, prima dell’ennesimo folle dietrofront pro-Monti. Impossibile continuare così? «Infatti: non si può», conferma Evans-Pritchard. Che invita l’Italia a svegliarsi, e scrollarsi di dosso il parassita che la sta dissanguando: l’euro e la setta finanziaria che l’ha imposto, azzoppando un paese dall’economia solida e dalla ricchezza ragguardevole.Un aglosassone fuori dal coro: mentre “Financial Times” e “Wall Street Journal” hanno fatto un endorsement per un Monti-Bis, Ambrose Evans-Pritchard la pensa all’opposto. E spiega perché dovremmo applicare una terapia opposta a quella, suicida, di Monti. In termini pro capite, l’Italia è una nazione più ricca della Germania , con circa 9 trilioni (9.000 miliardi) di ricchezza privata. Abbiamo il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7, mentre il nostro debito “combinato”, quello che si ottiene facendo la media tra debito pubblico ed esposizione privata, ammonta al 265% del Pil ed è quindi inferiore a quello di Francia, Olanda, Gran Bretagna, Usa e Giappone. Per l’indice del Fmi, il punteggio dell’Italia è il migliore per “sostenibilità a lungo termine del debito” tra i principali paesi industrializzati. «Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario», dice Andrew Roberts di “Rbs”. «Se c’è un paese dell’Eurozona che potrebbe trarre beneficio dall’abbandonare l’euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l’Italia».
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Crolla l’edilizia. Unica salvezza: riconversione energetica
Centinaia di migliaia di disoccupati-fantasma: sono i lavoratori dell’edilizia, lasciati a casa dalla crisi. Una strage silenziosa, denunciano gli organismi di categoria, perché nel “mattone” il lavoro è organizzato per piccoli gruppi e, quando si esaurisce, fa meno rumore. Anche se in questo caso si tratta ormai di un crollo, di proporzioni storiche: secondo l’Istat, supera il 40% la caduta di mutui, finanziamenti e altre obbligazioni immobiliari nel secondo semestre del 2012. Il mercato delle costruzioni, conferma il blog “Cado in piedi”, segna un nuovo e più pesante crollo: nel secondo trimestre le convenzioni relative a compravendite di unità immobiliari risultano in calo del 23,7% su base annua. Lo rileva sempre l’Istat, con riferimento a dati sulla statistica notarile. Nel secondo trimestre si registrano così le variazioni tendenziali più sfavorevoli dal primo trimestre del 2008: nel dettaglio, le compravendite di immobili residenziali diminuiscono del 23,6%.
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La moneta? Un bene comune, tranne che nell’Eurozona
È un particolare curioso del dibattito in Francia: mentre i Paesi anglosassoni, per combattere la crisi, discutono apertamente e serenamente di monetizzazione per lottare contro la crisi, in Francia questo resta un tabù, malgrado le quantità colossali di monetizzazione realizzate in favore delle banche. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, come riferisce un lungo e appassionato saggio dell’“Economist”, si può dibattere in merito alla monetizzazione con calma. È così che il settimanale inglese pone la questione del bisogno di una nuova ondata di “Quantitative Easing” (Qe) a sostegno di una crescita solida. La Banca d’Inghilterra ha appena aumentato il suo programma da 50 miliardi a 375 miliardi di sterline – a partire dall’inizio della crisi – ossia circa il 5% del Pil per ogni anno.
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Addio lavoro: sta semplicemente finendo, in tutto il mondo
“Lavorerai con sudore, partorirai con dolore”. «Chissà se la maledizione biblica vedeva un collegamento tra le due cose», si domanda Debora Billi, dando un’occhiata agli ultimi dati – non certo entusiasmanti – che provengono direttamente dal ministero statunitense del lavoro: se il mese di novembre registra una boccata d’ossigeno, basta «guardare i dati da una distanza un po’ meno vicina che ieri mattina» per scoprire che i numeri sono quelli di «un crollo senza possibilità di scuse». Occupazione addio: «Che sia per l’aumento della popolazione, o per la crisi economico-finanziaria, la situazione del lavoro è tragica per tutto il pianeta». A partire, ovviamente, dall’Italia: «Le notizie recenti riportano come la disoccupazione stia crescendo a livelli record, e che il 2013 sarà se possibile anche peggio».
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Noi, spiati e depistati: come i servizi segreti usano i media
«Sospettiamo tutti che il traffico di telefonate e mail sia intercettato e controllato, ma non ci siamo ancora resi conto di quale rivoluzione si stia preparando». E’ infatti in arrivo l’applicazione dei programmi di trattamento automatico della lingua ai social network: «Facebook o Twitter producono ogni giorno milioni di dati che, opportunamente trattati, possono segnalare tempestivamente il montare di una protesta sociale, il gradimento di una moda, la formazione di una tendenza culturale, la curva dei consumi che si prospetta, i comportamenti di borsa dei piccoli risparmiatori. Avete idea di quali conseguenze possa avere tutto questo?». Se lo domanda Aldo Giannuli che, dopo il grande successo di “Come funzionano i servizi segreti”, torna a scrivere d’intelligence, affrontando uno degli aspetti meno conosciuti e più controversi dell’attività dei servizi: il modo in cui manipolano e utilizzano l’informazione.