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Mistero della Fed, il super-potere che domina il mondo
Le potenze del capitalismo finanziario avevano un piano chiarissimo, un obiettivo di lungo termine: «Creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, capace di dominare il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo». Questo sistema «doveva essere controllato con modalità feudali delle banche centrali del mondo, attraverso accordi segreti». Cardine del sistema, la Banca per i regolamenti internazionali di Basilea, privata e controllata dalle banche centrali mondiali, a loro volta privatizzate. «Ogni banca centrale punta a dominare il suo governo attraverso la capacità di controllare i prestiti sui titoli di Stato, manipolare le valute estere, influenzare il livello di attività economica del paese e condizionare politici cooperativi e compiacenti attraverso ricompense economiche nel mondo del business». A scattare questa fotografia dello scenario attuale è il globalista Carroll Quigley, nel libro “Tragedia e speranza. Una storia del mondo nel nostro tempo”. L’aspetto sconvolgente, fa notare Mauro Bottarelli, è che quel libro uscì nel lontano 1966.Tutto chiaro: nuovo ordine mondiale. Ovvero: il capitalismo finanziario sfratta le sovranità nazionali, cioè l’economia pubblica e democratica, smantellando il potere degli Stati. Scomparso nel ’77, Quigley era un membro molto influente del “Council on Foreign Relations”, il super-salotto che detta l’agenda economica, finanziaria e geopolitica americana attraverso le sue sedi di Washington e New York. Tra i suoi 1.4000 membri, il vero super-potere mondiale, figurano militari e grandi banchieri, rettori universitari e direttori di giornali e televisioni, i vertici delle fondazioni Ford e Rockefeller, presidenti americani (Hoover, Eisenhower, Johnson e Nixon) e segretari di Stato come Edward Reilly Stettinius, Dean Acheson, John Foster Dulles, Christian Archibald Herter e Dean Rusk. Essendo la banca centrale più potente al mondo, la Federal Reserve – che ha appena compiuto cent’anni – era dunque destinata, fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, a un ruolo egemone per portare a termine il progetto globalista. Obiettivo: imporre la sua agenda ai governi, scavalcando la funzione pubblica.Murray Rothbard, economista americano di scuola austriaca, descrive così la banca centrale Usa: «L’operazione più segreta e meno riconducibile al governo federale non è, come ci si potrebbe aspettare, la Cia, la Dia, o qualche altra agenzia di intelligence super-segreta», perché tutte le strutture di intelligence sono comunque sottoposte al controllo democratico del Congresso. In segretezza, la Fed batte ogni altra struttura: «Il Federal Reserve System non è riconducibile a nessuno, non ha un budget, non è soggetto a nessun controllo e nessuna commissione del Congresso conosce le sue operazioni o le può davvero supervisionare». La Federal Reserve, che ha il controllo totale del sistema monetario statunitense, «non deve rendere conto a nessuno». Ecco perché per la Fed, come anche per le altre banche centrali, «è sempre stato importante investirsi di un’aura di solennità e di mistero». Infatti, «se la popolazione sapesse ciò che sta succedendo, se fosse in grado di strappare la tenda che copre l’imperscrutabile Mago di Oz, scoprirebbe ben presto che la Fed, lungi dall’essere la soluzione indispensabile al problema dell’inflazione, è essa stessa il cuore del problema».Nessuna sorpresa che un liberale puro con Rothbard abbia in odio la Fed, ammette Bottarelli su “Il Sussidiario”, ma il cuore del problema è: le banche centrali, Fed in testa, anche grazie a questa crisi sono oggi il potere principale a livello politico ed economico. «Cosa sarebbe oggi Wall Street senza la Fed e la sua liquidità? Dove sarebbero i tassi dei Treasuries e quindi il cuore stesso del sistema immobiliare dei mutui, già massacrato dai subprime? Cosa sarebbe l’America senza gli stop-and-go della Fed sul “taper”, capaci di livellare tassi e far sgonfiare e rigonfiare – evitando l’esplosione – la bolla di liquidità? Temo sarebbe un paese schiantato dalla più colossale crisi finanziaria dal 1929, superata – un eufemismo, vista l’economia reale e le sue grida di dolore – creando la più grossa bolla speculativa e di credito della storia. E, di fatto, rendendo il Congresso poco più che un’appendice, cui far recitare melodrammi a soggetto come quello dello “shutdown” o del “debt ceiling”, pantomime che tornano ciclicamente».La leva del comando è nelle mani della Fed, molto più che all’epoca di Alan Greenspan: «Lo sta diventando ora, grazie a questa crisi che ha reso tutti – finanza, economia, politica – dipendenti dalla Fed e dalle sue azioni. Se la Fed vuole crolla tutto, se non vuole gonfia bolle come bambini durante una festa e fa sfondare a Wall Street un record dopo l’altro, visto che comunque i suoi “azionisti di maggioranza” grazie a quei record e a quella liquidità fuori controllo, macinano soldi su soldi». E la stessa Bce? «Non è forse diventata il fulcro dell’intero sistema Europa, politico ed economico, grazie a questa crisi?». Unione bancaria, supervisione unica, regolamenti per i fallimenti e le nazionalizzazioni di istituti, tassi d’interesse, operazioni di finanziamento e rifinanziamento: «Quale Stato può andare contro la Bce? Nessuno, e l’Italia ne sa qualcosa. Chi ha creato, infatti, se non l’Eurotower, il cordone ombelicale tra debito sovrano e sistema bancario, con la liquidità offerta a costo zero alle banche affinché con quei soldi comprassero titoli di Stato dei paesi in crisi, abbassando artificialmente lo spread?».Quello che Bottarelli chiama «incesto» è oggi sotto gli occhi di tutti: «Solo le banche italiane hanno 450 miliardi di debito pubblico nei bilanci, quelle greche hanno ricomprato il 99% del debito ellenico detenuto da soggetti esteri, spalancando le porte al fallimento del paese senza conseguenze, quelle spagnole pure, quelle portoghesi anche». I governi di questi paesi possono forse fare qualcosa al riguardo? «No, devono sottostare alle regole della Bce, la quale può uccidere o lasciare in vita un governo come una banca con una semplice decisione sui tassi, visto che non esiste più alcuna leva di sovranità per le nazioni». La Bce di Trichet era così forte? «No, lo sta diventando sempre più e sempre più in fretta quella di Mario Draghi, uomo Goldman Sachs». Eccesso dietrologico? «Forse, ma rileggete le parole di Carroll Quigley, datate 1966». Nient’altro che un’unica, colossale “coincidenza”? Certo, ha il suo peso l’insaziabile avidità dei banchieri affaristi. Ma c’era soprattutto un duplice obiettivo da centrare: «Far purgare un sistema ormai marcio, tra derivati e altre porcherie, e contestualmente preparare il campo per l’ascesa della Fed e delle altre banche centrali a nuovi riferimenti politici».Perché chi ha visto nascere questa crisi è stato deriso e isolato? Evidente: rischiava di rivelare la vera natura dell’operazione. La verità è che il 15 settembre 2008 qualcuno ha deciso che la crisi doveva prendere un’altra piega e un’altra velocità, insiste Bottarelli. Chi ha deciso di far morire Lehman Brothers, salvando tutti gli altri? E’ stata proprio la Fed di Ben Bernanke, di concerto con l’ex segretario al Tesoro, Henry Paulson. Quel fallimento, aggiunge Bottarelli, aveva un scopo preciso: «Tramutare la Fed nel motore immobile del sistema economico-politico-finanziario Usa e mondiale». Inutili le proteste di Dick Fuld, già capo di Lehman Brothers: «Paulson ha fornito dati compromessi agli altri istituti di credito quando c’era bisogno di aiutarci, non avevamo problemi di liquidità». Il riferimento di Fuld è noto: nella notte del 14 settembre 2008, quindi il giorno prima della bancarotta, ci fu un meeting fra Paulson e i vertici delle principali banche di Wall Street. Erano presenti anche il presidente della Fed di New York, Timothy Geithner, il numero uno di Bank of America, Kenneth Lewis, e il capo della Sec, Christopher Cox. Per tenere in piedi la Lehman Brothers servivano 100 miliardi di dollari. Ma a porre il veto furono Paulson e la Merrill Lynch. Gli altri non mossero un dito e Lehman fallì.Attenzione: nella stessa settimana della bancarotta di Lehman Brothers, aggiunge Bottarelli, sono state salvate American International Group e la stessa Merrill Lynch, mentre fu concesso a Goldman Sachs e Morgan Stanley di diventare holding bancarie. Perché invece a Lehman Brothers fu impedito di cambiare statuto? La Lehman non era certo la sola a ottenere liquidità a breve termine “esternalizzando” le perdite, «ma la differenza è che affondando Lehman Brothers si affondava un simbolo e si rimetteva Wall Street, così come il Congresso, nelle mani della Fed, inviando anche uno scossone globale agli altri sistemi finanziari esposti verso l’ex gigante». All’epoca, un maxi-salvataggio pubblico non sarebbe ancora stato facilmente digeribile dagli americani, dalla politica e dai mercati. «Ma poi i tempi cambiano», e alla Casa Bianca arriva il primo presidente di colore, che «promette di far pagare il conto della crisi a Wall Street», e invece «la facilita con ogni mossa, lasciando campo sempre più libero allo strapotere della Fed». Un altro democratico, Bill Clinton, grande alfiere della globalizzazione, fu il primo «a creare le condizioni della crisi subprime con la sua politica di mutui a cani e porci con garanzie zero», facendo «pagare il conto dei fallimenti ai cittadini che compravano qualsiasi cartaccia gli venisse proposta come investimento». Tutte coincidenze?Le potenze del capitalismo finanziario avevano un piano chiarissimo, un obiettivo di lungo termine: «Creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, capace di dominare il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo». Questo sistema «doveva essere controllato con modalità feudali delle banche centrali del mondo, attraverso accordi segreti». Cardine del sistema, la Banca per i regolamenti internazionali di Basilea, privata e controllata dalle banche centrali mondiali, a loro volta privatizzate. «Ogni banca centrale punta a dominare il suo governo attraverso la capacità di controllare i prestiti sui titoli di Stato, manipolare le valute estere, influenzare il livello di attività economica del paese e condizionare politici cooperativi e compiacenti attraverso ricompense economiche nel mondo del business». A scattare questa fotografia dello scenario attuale è il globalista Carroll Quigley, nel libro “Tragedia e speranza. Una storia del mondo nel nostro tempo”. L’aspetto sconvolgente, fa notare Mauro Bottarelli, è che quel libro uscì nel lontano 1966.
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Chomsky: liberarsi dagli Usa, lo Stato-canaglia impunito
Durante l’ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe “de-americanizzarsi” – separarsi dallo Stato-canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori. La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica. In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente – ma non erroneamente – come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani. Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito-azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).Esiste ancora una organizzazione repubblicana, ma essa da lungo tempo ha abbandonato qualsiasi pretesa di essere un partito parlamentare normale. Il commentatore conservatore Norman Ornstein, dello Enterprise Institute, descrive i repubblicani di oggi come «una rivolta radicale – ideologicamente estrema, sdegnosa dei fatti e dei compromessi, che disprezza la legittimità della sua opposizione politica»: un grave pericolo per la società. Il partito è al servizio dei più ricchi e delle imprese. Siccome i voti non possono essere ottenuti a quel livello, il partito è stato costretto a mobilitare settori della società che per gli standard mondiali sono estremisti. Pazza è la nuova norma tra i membri del Tea Party e una miriade di altri gruppi, al di là della corrente tradizionale. La classe dirigente repubblicana e i suoi sponsor d’affari avevano previsto di usarli come ariete nell’assalto neoliberista contro la popolazione – privatizzare, deregolamentare e limitare il governo, pur mantenendo quelle parti che sono al servizio della ricchezza e del potere, come i militari.La classe dirigente repubblicana ha avuto un certo successo, ma ora si accorge che non riesce più a controllare la sua base, con sua grande costernazione. L’impatto sulla società americana diventa così ancora più grave. Un esempio: la reazione virulenta contro l’Affordable Care Act (Atto sulla Salute Conveniente, è il piano nazionale per la sanità, più noto in Italia come ObamaCare, ndt) e il quasi shutdown del governo federale. L’osservazione del commentatore cinese non è del tutto nuova. Nel 1999, l’analista politico Samuel Huntington avvertiva che, per gran parte del mondo, gli Usa stavano diventando «la superpotenza canaglia», visti come «la più grande minaccia esterna per le loro società». A pochi mesi dall’inizio del mandato di Bush, Robert Jervis, presidente della American Political Science Association, avvertiva che «agli occhi di gran parte del mondo, il primo Stato-canaglia oggi sono gli Stati Uniti». Sia Huntington che Jervis hanno avvertito che un tale corso è imprudente. Le conseguenze per gli Stati Uniti potrebbero essere deleterie.Nell’ultimo documento emanato da “Foreign Affairs”, uno dei principali giornali, David Kaye esamina un aspetto dell’allontanamento di Washington dal mondo: il rifiuto dei trattati multilaterali, «come se si trattasse di sport». Kaye spiega che alcuni trattati vengono respinti in modo definitivo, come quando il Senato degli Stati Uniti «ha votato contro la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità nel 2012 e il Comprehensive Nuclear – Test Ban Treaty (il trattato sulla messa al bando del nucleare – Ctbt), nel 1999». Per altri trattati si preferisce non agire, se riguardano «temi come il lavoro, i diritti economici e culturali, le specie in pericolo di estinzione, l’inquinamento, i conflitti armati, il mantenimento della pace, le armi nucleari, la legge del mare, la discriminazione contro le donne». Il rifiuto degli obblighi internazionali è cresciuto in modo così radicato, scrive Kaye, che «i governi stranieri non si aspettano più la ratifica di Washington o la sua piena partecipazione nelle istituzioni create dai trattati. Il mondo va avanti; le leggi vengono fatte altrove, con limitato (quando c’è) coinvolgimento americano».Anche se non è nuova, la pratica si è effettivamente consolidata in questi ultimi anni, insieme con la tranquilla accettazione, all’interno della nazione, della dottrina secondo cui gli Usa hanno tutto il diritto di agire come uno Stato-canaglia. Per fare un esempio, un paio di settimane fa le forze speciali Usa hanno preso un sospetto, Abu Anas al-Libi, dalle strade della capitale libica Tripoli, portandolo su una nave da guerra per l’interrogatorio, senza avvocato o diritti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha informato la stampa che quelle azioni sono “legali” perché sono conformi con il diritto americano, senza suscitare alcun particolare commento. I principi sono validi solo se sono universali. Le reazioni sarebbero un po’ diverse, manco a dirlo, se le forze speciali cubane avessero rapito il prominente terrorista Luis Posada Carriles a Miami, portandolo a Cuba per l’interrogatorio e il processo in conformità alla legge cubana.Tali azioni sono limitate agli Stati-canaglia. Più precisamente, a quegli Stati-canaglia abbastanza potenti da agire impuniti, in questi ultimi anni, fino a svolgere aggressioni a volontà e terrorizzare le grandi regioni del mondo, con gli attacchi dei droni e molto altro. E a sfidare il mondo in altri modi, ad esempio persistendo nel suo embargo contro Cuba, nonostante l’opposizione di lunga durata di tutto il mondo, oltre a Israele, che ha votato con il suo protettore quando le Nazioni Unite hanno condannato ancora una volta l’embargo nel mese di ottobre. Qualunque cosa il mondo possa pensare, le azioni degli Usa sono legittime perché diciamo così. Il principio fu enunciato dall’eminente statista Dean Acheson nel 1962, quando diede istruzioni alla Società americana di diritto internazionale, in base alle quali nessun problema giuridico si pone quando gli Stati Uniti rispondono a una sfida per il loro «potere, posizione e prestigio». Cuba ha commesso quel delitto quando ha sconfitto un’invasione proveniente dagli Stati Uniti e poi ha avuto l’ardire di sopravvivere a un assalto progettato per portare «i terroristi della terra» a Cuba, nelle parole dello storico Arthur Schlesinger, consigliere di Kennedy.Quando gli Stati Uniti hanno ottenuto l’indipendenza, hanno cercato di unirsi alla comunità internazionale del tempo. E’ per questo che la Dichiarazione d’Indipendenza si apre esprimendo la preoccupazione per il “rispetto delle opinioni dell’umanità”. Un elemento cruciale fu l’evoluzione da una confederazione disordinata verso un’unica «nazione degna di stipulare trattati», secondo l’espressione storica del diplomatico Eliga H. Gould, che osservava le convenzioni dell’ordine europeo. Con il raggiungimento di questo status, la nuova nazione otteneva anche il diritto di agire a suo piacimento a livello nazionale. Poteva quindi procedere a liberarsi della popolazione indigena e ad espandere la schiavitù, una istituzione così “odiosa” che non poteva essere tollerata in Inghilterra, come l’illustre giurista William Murray, conte di Mansfield, stabilì nel 1772. L’evoluzione del diritto inglese era un fattore che spingeva la società schiavista a sfuggire alla sua portata. Il diventare una “nazione degna di stipulare trattati” conferì molteplici vantaggi: il riconoscimento da parte degli altri Stati e la libertà di agire senza interferenze a casa propria. Il potere egemonico fornisce l’opportunità di diventare uno Stato-canaglia, sfidando liberamente il diritto internazionale e le sue norme, mentre affronta una crescente resistenza all’estero e contribuisce al proprio declino attraverso ferite auto-inflitte.(Noam Chomsky, “De-americanizzare il mondo”, intervento pubblicato su “Truth Out” il 5 novembre 2013 e ripreso da “Come Don Chisciotte”).Durante l’ultima puntata della farsa di Washington che ha stupito e divertito il mondo, un commentatore cinese ha scritto che se gli Usa non possono essere un membro responsabile del sistema mondiale, forse il mondo dovrebbe “de-americanizzarsi” – separarsi dallo Stato-canaglia che regna tramite il suo potere militare, ma sta perdendo credibilità in altri settori. La fonte diretta dello sfacelo di Washington è stato il forte spostamento a destra della classe politica. In passato, gli Usa sono stati talvolta descritti ironicamente – ma non erroneamente – come uno Stato avente un unico partito: il partito degli affari, con due fazioni chiamate democratici e repubblicani. Questo non è più vero. Gli Usa sono ancora uno Stato a partito unico, il partito-azienda. Ma hanno una sola fazione: i repubblicani moderati, ora denominati New Democrats (come la coalizione al Congresso Usa designa se stessa).
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Grazie a Putin, il mondo allontana l’incubo della guerra
Due missili Tomahawk, sparati contro la Siria ma intercettati dalla flotta russa schierata di fronte a Damasco: citato da molte fonti (ma non confermato da nessuna autorità) questo episodio potrebbe aver “convinto” gli americani a rinunciare all’attacco. Da quel momento, sostiene lo scrittore ebreo russo Israel Shamir, tutto è cambiato di colpo: Obama è giunto a parlare direttamente col presidente dell’Iran, irritando Tel Aviv, e l’Esercito Siriano Libero ha accettato di dialogare con Assad, spiazzando gli alleati jihadisti. Ora il presidente Usa ha potuto utilizzare il rischio-collasso della finanza federale per depennare la guerra (e i suoi costi folli) dall’agenda della Casa Bianca. La crisi siriana tra America e Russia è stata «rapida e rischiosa quanto la crisi dei missili a Cuba nel 1962: le probabilità di un conflitto mondiale erano alte». E i contraccolpi saranno epocali, sostiene Shamir, che quando crollò il Muro di Berlino era a Mosca e scriveva per il quotidiano israeliano “Haaretz”. Potrebbe essere la fine dell’Urss, disse ai dirigenti del Politburo. Gli risero in faccia, ma due anni dopo l’Unione Sovietica non c’era più.Ben lieto, Obama, di scrollarsi di dosso la casta militare-industriale? Di sicuro ha colto al volo l’assist di Londra (Cameron bloccato dal Parlamento) per chiedere a sua volta l’ok del Congresso, come alibi per fermare la macchina da guerra. «Non aveva nessuna voglia di dare il via all’Armageddon da solo», e dopo aver «tentato di intimorire Putin al G-20 di San Pietroburgo, ma senza successo», il capo della Casa Bianca «ha salvato la faccia» proprio grazie alla proposta russa di rimuovere le armi chimiche siriane. Disavventura che «ha inferto un colpo magistrale all’egemonia, alla supremazia e all’eccezionalità degli Usa». Attenzione: «Con la fine dell’egemonia statunitense, i giorni del dollaro come valuta delle riserve mondiali sono contati». E se la Terza Guerra Mondiale stava quasi per scoppiare, «dobbiamo dire grazie ai banchieri: hanno troppi debiti, compreso l’insostenibile debito estero degli Stati Uniti». Sicché, «se quei Tomahawk fossero volati, i banchieri si sarebbero appellati alla causa di forza maggiore e non avrebbero più onorato il debito. Milioni di persone sarebbero morte, ma miliardi di dollari si sarebbero salvati nei caveau di Jp Morgan e Goldman Sachs». Sono loro, gli uomini di Wall Street, i veri sconfitti: «Gli Stati Uniti dovranno trovare delle nuove occupazioni per tantissimi banchieri, carcerieri, militari e anche politici».Il mondo è cambiato, avverte Shamir, e ce ne accorgeremo. «La ribellione russa all’egemonia americana è iniziata a giugno, quando il volo dell’Aeroflot da Pechino che portava Ed Snowden è atterrato a Mosca», dove il dissidente Cia-Nsa minacciato da Obama ha ricevuto asilo politico. Niente a che vedere con la Russia in macerie degli anni ’90, troppo debole per opporsi alla devastazione Nato della Jugoslavia e all’irruzione delle truppe occidentali verso Est, condotta «infrangendo la promessa fatta a Gorbaciov». Altro passo cruciale, la distruzione della Libia: per nessuna ragione Putin avrebbe sarebbe rimasto alla finestra anche in Siria, dove però la decisiva resistenza di Mosca «non sarebbe stata possibile senza il sostegno della Cina», anch’essa “scesa in campo” per la prima volta, con navi militari inviate nel Mediterraneo. «Miracolosamente, in questo tiro alla fune bellico, i russi hanno avuto la meglio», osserva Shamir. Le alternative sarebbero state tremende: «La Siria sarebbe stata distrutta come la Libia, i cristiani d’Oriente avrebbero perso la loro culla e l’Europa sarebbe stata invasa di milioni di rifugiati».La Russia ha capito che, se stavolta non avesse agito con fermezza, «sarebbe apparsa come potenza inutile, incapace di difendere i propri alleati», incoraggiando così l’inesauribile aggressività degli Usa. «Tutto quello per cui Putin aveva lavorato per tredici anni sarebbe sfumato: la Russia sarebbe tornata indietro al 1999, quando Clinton fece bombardare Belgrado». Il punto più critico dello scontro tra i due presidenti? «Putin era infastidito dall’ipocrisia e dall’insincerità che avvertiva in Obama». La Siria, ha chiarito il capo del Cremlino a Bridget Kendall della Bbc, si era dotata di armi chimiche per cautelarsi dalla minaccia nucleare di Israele: per l’Occidente le bombe atomiche di Netanyahu non sono un problema? «Putin ha tentato di parlare amichevolmente con Obama», racconta Shamir. Gli ha chiesto: «Che pensi della Siria?». E Obama: «Sono preoccupato che il regime di Assad non osservi i diritti umani», cioè i diritti infranti dai miliziani jihadisti armati dagli Usa, che hanno scatenato la guerra civile in Siria. «A Putin sarà quasi venuto da vomitare di fronte alla sconcertante ipocrisia di quella risposta». Così, il Cremlino ha deciso di varcare il Rubicone: sfidare apertamente l’America, per evitare la Terza Guerra Mondiale. Il futuro è più che mai incerto, conclude Shamir, ma negli Usa ci sono anche politici come il senatore Ron Paul, che sollecita l’abbandono delle basi militari all’estero e il taglio alla spesa bellica, restituendo sovranità al pianeta. Se così fosse, «il mondo potrà ancora amare l’America».Due missili Tomahawk, sparati contro la Siria ma intercettati dalla flotta russa schierata di fronte a Damasco: citato da molte fonti (ma non confermato da nessuna autorità) questo episodio potrebbe aver “convinto” gli americani a rinunciare all’attacco. Da quel momento, sostiene lo scrittore ebreo russo Israel Shamir, tutto è cambiato di colpo: Obama è giunto a parlare direttamente col presidente dell’Iran, irritando Tel Aviv, e l’Esercito Siriano Libero ha accettato di dialogare con Assad, spiazzando gli alleati jihadisti. Ora il presidente Usa ha potuto utilizzare il rischio-collasso della finanza federale per depennare la guerra (e i suoi costi folli) dall’agenda della Casa Bianca. La crisi siriana tra America e Russia è stata «rapida e rischiosa quanto la crisi dei missili a Cuba nel 1962: le probabilità di un conflitto mondiale erano alte». E i contraccolpi saranno epocali, sostiene Shamir, che quando crollò il Muro di Berlino era a Mosca e scriveva per il quotidiano israeliano “Haaretz”. Potrebbe essere la fine dell’Urss, disse ai dirigenti del Politburo. Gli risero in faccia, ma due anni dopo l’Unione Sovietica non c’era più.
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Susan George: poteri occulti, la Terra è sotto scacco
Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la stessa sicurezza finanziaria, la vostra e quella della vostra famiglia, così come le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, ci sono pessime notizie: un gruppo di golpisti ha preso il potere e ormai domina il pianeta. Legalmente: perché le nuove leggi che imbrigliano i popoli, i governi e gli Stati se le sono fatte loro, per servire i loro smisurati interessi, piegando le democrazie con l’aiuto di “maggiordomi” travestiti da politici. La grande novità si chiama: “ascesa di autorità illegittima”. Parola di Susan George, notissima sociologa franco-statunitense, già impegnata nel movimento no-global e al vertice di associazioni mondiali come Greenpeace. I governi legali, quelli regolarmente eletti, ormai vengono di fatto «gradualmente soppiantati da un nuovo governo-ombra, in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana». L’Europa è già completamente nelle loro mani, tramite i tecnocrati di Bruxelles, i subdoli “inventori” dell’aberrante euro. Ma anche nel resto del mondo la libertà ha le ore contate.I nuovi oligarchi, spiega la George nell’intervento pronunciato al Festival Internazionale di Ferrara, ottobre 2013, possono agire attraverso le lobby o oscuri “comitati di esperti”, attraverso organismi ad hoc che ottengono riconoscimenti ufficiali. Talvolta operano «attraverso accordi negoziati in segreto e preparati con cura da “executive” delle imprese al più alto livello». Sono fortissimi, arrivano ovunque: «Lavorano a livello nazionale, europeo e sovranazionale, ma anche all’interno delle stesse Nazioni Unite, da una dozzina di anni nuovo campo di azione per le attività delle “corporate”». Attenzione, averte la George: «Non si tratta di una sorta di teoria paranoica della cospirazione: i segni sono tutti intorno a noi, ma per il cittadino medio sono difficili da riconoscere». Questo, in fondo, è il “loro” capolavoro: «Noi continuiamo a credere, almeno in Europa, di vivere in un sistema democratico». Non è così, naturalmente. Le sole lobby ordinarie, rimaste «ai margini dei governi per un paio di secoli», ormai «hanno migliorato le loro tecniche, sono pagate più che mai e ottengono risultati».Negli Stati Uniti, le lobby devono almeno dichiararsi al Congresso, dire quanto sono pagate e da chi. A Bruxelles, invece, «c’è solo un registro “volontario”, che è una presa in giro, mentre 10-15.000 lobbysti si interfacciano ogni giorno con la Commissione Europea e con gli europarlamentari». Che fanno? «Difendono il cibo-spazzatura, le coltivazioni geneticamente modificate, prodotti nocivi come il tabacco, sostanze chimiche pericolose o farmaci rischiosi». In più, «difendono i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra», oltre naturalmente ai loro clienti più potenti: le grandi banche. Meno conosciuti delle lobby tradizionali, cioè quelle favorevoli a singole multinazionali, sono in forte crescita specie nel comparto industriale le lobby-fantasma, solitamente definite “istituti”, “fondazioni” o “consigli”, spesso con sede a Washington. Sono pericolose e subdole: pagano esperti per influenzare l’opinione pubblica, fino a negare l’evidenza scientifica, per convincere i consumatori del valore dei loro prodotti-spazzatura.A Bruxelles il loro dominio è totale: decine di “comitati di esperti” preparano regolamenti dettagliati in ogni possibile settore. «Dalla metà degli anni ’90 – accusa Susan George – le più grandi compagnie americane dei settori bancario, pensionistico, assicurativo e di revisione contabile hanno unito le forze e, impiegando tremila persone, hanno speso 5 miliardi dollari per sbarazzarsi di tutte le leggi del New Deal, approvate sotto l’amministrazione Roosevelt negli anni ’30», tutte leggi «che avevano protetto l’economia americana per sessant’anni». Un contagio: «Attraverso questa azione collettiva di lobbying, hanno guadagnato totale libertà per trasferire attività in perdita dai loro bilanci, verso istituti-ombra, non controllati». Queste compagnie hanno potuto immettere sul mercato e scambiare centinaia di miliardi di dollari di titoli tossici “derivati”, come i pacchetti di mutui subprime, senza alcuna regolamentazione. «Poco è stato fatto dopo la caduta di Lehman Brothers per regolamentare nuovamente la finanza. E nel frattempo, il commercio dei derivati ha raggiunto la cifra di 2 trilioni e 300 miliardi di dollari al giorno, un terzo in più di sei anni fa».Quello illustrato da Susan George, nell’intervento tenuto a Ferrara e ripreso da “Come Don Chisciotte”, è un viaggio nell’occulto. «Ci sono organismi come l’International Accounting Standards Board, sicuramente sconosciuto al 99% della popolazione europea». E’ una struttura di importanza decisiva, di cui non parla mai nessuno. Nacque con l’allargamento a Est dell’Unione Europea, per affrontare «l’incubo di 27 diversi mercati azionari, con diversi insiemi di regole e norme contabili». Ed ecco, prontamente, l’arrivo dei soliti super-consulenti, provenienti dalle quattro maggiori società mondiali di revisione contabile. In pochi anni, il gruppo «è stato silenziosamente trasformato in un organismo ufficiale, lo Iasb». E’ ancora formato dagli esperti delle quattro grandi società, ma adesso sta elaborando regolamenti per 66 paesi membri, tra cui l’intera Europa. Attenzione: «Lo Iasb è diventato “ufficiale” grazie agli sforzi di un commissario Ue, il neoliberista irlandese Charlie MacCreevy». Commissario dell’Ue, cioè: “ministro” europeo, non-eletto da nessuno. E per di più, egli stesso esperto contabile. Naturalmente, ha potuto agire sotto la protezione di Bruxelles, cioè «senza alcun controllo parlamentare». L’alibi? Il solito: la Iasb è stato presentato come un’agenzia «puramente tecnica». La sua vera missione? Organizzare, legalmente, l’evasione fiscale dei miliardari.«Fino a quando non potremo chiedere alle imprese di adottare bilanci dettagliati paese per paese, queste continueranno a pagare – abbastanza legalmente – pochissime tasse nella maggior parte dei paesi in cui hanno attività». Le aziende, aggiunge la sociologa, possono collocare i loro profitti in paesi con bassa o nessuna tassazione, e le loro perdite in quelli ad alta fiscalità. Per tassare in maniera efficace, le autorità fiscali hanno bisogno di sapere quali vendite, profitti e imposte sono effettivamente di competenza di ciascuna giurisdizione. «Oggi questo non è possibile, perché le regole sono fatte su misura per evitare la trasparenza». E quindi: «Le piccole imprese nazionali o famigliari, con un indirizzo nazionale fisso, continueranno a sopportare la maggior parte del carico fiscale». Susan George ha contattato direttamente lo Iasb per chiedere se una rendicontazione dettagliata, paese per paese, fosse nella loro agenda. Risposta: no, ovviamente. «Non c’è di che stupirsi. Le quattro grandi agenzie i cui amici e colleghi fanno le regole, perderebbero milioni di fatturato, se non potessero più consigliare i loro clienti sul modo migliore per evitare la tassazione».L’altro colossale iceberg che ci sta venendo addosso, dal luglio 2013, si chiama Ttip, cioè Transatlantic Trade and Investment Partnership. In italiano: protocollo euro-atlantico su commercio e investimenti. «Questi accordi definiranno le norme che regolamenteranno la metà del Pil mondiale – gli Stati Uniti e l’Europa». Notizia: le nuove regole di cooperazione euro-atlantica «sono in preparazione dal 1995», da quando cioè «le più grandi multinazionali da entrambi i lati dell’oceano si sono riunite nel Trans-Atlantic Business Dialogue», la maggiore lobby dell’Occidente, impegnata a «lavorare su tutti gli aspetti delle pratiche regolamentari, settore per settore». Il commercio transatlantico ammonta a circa 1.500 miliardi di dollari all’anno. Dov’è il trucco? In apparenza, si negozierà sulle tariffe: ma è un aspetto irrilevante, perché pesano appena il 3%. Il vero obiettivo: «Privatizzare il maggior numero possibile di servizi pubblici ed eliminare le barriere non tariffarie, come per esempio i regolamenti e ciò che le multinazionali chiamano “ostacoli commerciali”». Al centro di tutti i trattati commerciali e di investimento, c’è «la clausola che consente alle aziende di citare in giudizio i governi sovrani, se la società ritiene che un provvedimento del governo danneggi il suo presente, o anche i suoi profitti “attesi”». Governi sotto ricatto: comandano loro, i Masters of Universe.Il Trans-Atlantic Business Dialogue, la super-lobby che ha incubato il trattato euro-atlantico, ora ha cambiato nome: si chiama Consiglio Economico Transatlantico. E non si nasconde neppure più. Ammette qual è la sua missione: abbattere le regole e piegare il potere pubblico, a beneficio delle multinazionali. Si definisce apertamente «un organo politico», e il suo direttore afferma con orgoglio che è la prima volta che «il settore privato ha ottenuto un ruolo ufficiale nella determinazione della politica pubblica Ue-Usa». Questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc, includerà modifiche decisive sui regolamenti che proteggono i consumatori in ogni settore: sicurezza alimentare, prodotti farmaceutici e chimici. Altro obiettivo, la “stabilità finanziaria”. Tradotto: la libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso. «I governi – aggiunge la George – non potranno più privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto», e il processo negoziale «si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini».E come se non bastasse l’infiltrazione nel potere esecutivo, in quello legislativo e persino nel potere giudiziario, le multinazionali ora puntano direttamente anche alle Nazioni Unite. Già nel 2012, alla conferenza Rio + 20 sull’ambiente, i super-padroni formavano la più grande delegazione, capace di allestire un evento spettacolare come il “Business Day”. «Siamo la più grande delegazione d’affari che mai abbia partecipato a una conferenza delle Nazioni Unite», disse il rappresentante permanente della Camera di Commercio Internazionale presso l’Onu. Parole chiarissime: «Le imprese hanno bisogno di prendere la guida e noi lo stiamo facendo». Oggi, conclude Susan George, le multinazionali arrivano a chiedere un ruolo formale nei negoziati mondiali sul clima. «Non sono solo le dimensioni, gli enormi profitti e i patrimoni che rendono le Tnc pericolose per le democrazie. È anche la loro concentrazione, la loro capacità di influenzare (spesso dall’interno) i governi e la loro abilità a operare come una vera e propria classe sociale che difende i propri interessi economici, anche contro il bene comune». E’ un super-clan, coi suoi tentacoli e i suoi boss: «Condividono linguaggi, ideologie e obiettivi che riguardano ciascuno di noi». Meglio che i cittadini lo sappiano. E i politici che dovrebbero tutelarli? Non pervenuti, ovviamente.Se avete a cuore il vostro cibo, la vostra salute e la stessa sicurezza finanziaria, la vostra e quella della vostra famiglia, così come le tasse che pagate, lo stato del pianeta e della stessa democrazia, ci sono pessime notizie: un gruppo di golpisti ha preso il potere e ormai domina il pianeta. Legalmente: perché le nuove leggi che imbrigliano i popoli, i governi e gli Stati se le sono fatte loro, per servire i loro smisurati interessi, piegando le democrazie con l’aiuto di “maggiordomi” travestiti da politici. La grande novità si chiama: “ascesa di autorità illegittima”. Parola di Susan George, notissima sociologa franco-statunitense, già impegnata nel movimento no-global e al vertice di associazioni mondiali come Greenpeace. I governi legali, quelli regolarmente eletti, ormai vengono di fatto «gradualmente soppiantati da un nuovo governo-ombra, in cui enormi imprese transnazionali (Tnc) sono onnipresenti e stanno prendendo decisioni che riguardano tutta la nostra vita quotidiana». L’Europa è già completamente nelle loro mani, tramite i tecnocrati di Bruxelles, i subdoli “inventori” dell’aberrante euro. Ma anche nel resto del mondo la libertà ha le ore contate.
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Dopo la Siria, sollevazione anti-Usa: non fate più paura
Nel 1991, gli Stati Uniti avevano considerato che la fine del loro grande rivale liberava il loro budget militare e permetteva loro di sviluppare la propria prosperità. Il presidente George H. Bush (il padre) aveva cominciato, dopo l’operazione Desert Storm, a ridurre le dimensioni delle sue forze armate. Il suo successore, Bill Clinton, rafforzò questa tendenza. Tuttavia, il Congresso repubblicano, eletto nel 1995, rimise in questione questa scelta e impose un riarmo senza nemici da combattere. I neo-conservatori lanciarono il loro paese all’assalto del mondo per creare il primo impero globale. Fu solo in occasione degli attentati dell’11 settembre 2001 che il presidente George W. Bush (il figlio ) decise di invadere successivamente l’Afghanistan e l’Iraq, la Libia e la Siria, poi la Somalia e il Sudan, e di terminare con l’Iran, prima di volgersi verso la Cina.
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Da Bin Laden a Vickers, il macellaio della guerra di Obama
Prima regola, le “verità indiscusse”: noi siamo il Bene, loro il Male, ed è bene i media ne prendano nota senza discutere. Seconda regola: pace e ordine mondiale richiedono la presenza militare globale degli Usa. Terza regola: solo un interventismo globale, anche sotto forma di guerra preventiva, può sconfiggere le minacce esistenti. E’ il credo imperiale che Andrew J. Bacevich, già alto ufficiale degli Stati Uniti e ora storico dell’università di Boston, chiama “la Sacra Trinità” sui cui si regge il potere Usa, che da almeno tre decenni, in Medio Oriente, viaggia a fari spenti: «Obama improvvisa, non ha una strategia. Persino nel coinvolgere il Congresso, punta solo a condividere l’impiccio. E non vedo la Siria come una svolta. Penso che ormai sia chiaro, e non da oggi, come la politica americana nel mondo islamico abbia fallito. Intervenire in Siria perpetuerà semplicemente questo fallimento».
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Zero prove nel ridicolo dossier-Siria presentato da Obama
Solo sospetti, senza uno straccio di prova. Motivo: i siriani le avrebbero cancellate, bombardando a lungo, nelle ore seguenti, i quartieri di Damasco che sarebbero stati attaccati con armi chimiche il 21 agosto. Il governo Obama «valuta altamente probabile» che il regime di Assad abbia sferrato l’attacco, dichiara di avere indizi precisi ma rifiuta di diffonderli per «proteggere le fonti». Fine. Altro non ha dire, l’amministrazione che – sulla base di queste scarne note – pretende di coinvolgere il mondo in una guerra pericolosa, fondata sulla propaganda e sull’ipocrisia oltre che sulla menzogna: il regime di Washington infatti continua a definire “opposizione” le milizie che ha reclutato, armato e addestrato sul campo, da almeno due anni, con l’obiettivo di rovesciare il governo di Damasco trasformando in sanguinosa guerra civile l’iniziale rivolta democratica e pacifica dei cittadini siriani ostili al potere autoritario di Assad.
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Bugiardi senza vergogna, questa è la loro guerra. Mondiale
Con tutta probabilità il 2013 finirà in guerra. Il colpo contro Damasco viene presentato come “limitato”, “breve”, come un “avvertimento”. In realtà è solo un trucco (questa è una storia di trucchi) per cominciare una guerra lunga. Quanto lunga? Infinita. Cioè fino alla fine. La nostra fine, quella di coloro che leggono queste righe. In realtà è la prosecuzione di una guerra che cominciò l’11 settembre 2001, ma furono in pochi ad accorgersene. E non se ne accorsero perché non avevano capito che l’Impero era entrato in una crisi ormai irreversibile, e che stava cercando di predisporre gli strumenti politici, militari, psicologici per cambiare il corso della storia, e prolungare a tutti i costi (nostri) il suo potere. Siamo dunque in guerra da dodici anni, ma facciamo fatica a capire come mai le cose vanno sempre peggio e come mai gli eventi accelerano la loro caduta verso il basso. È perché, di nuovo, non abbiamo capito bene quello che sta succedendo.
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Banks: la gente è contro la guerra, Obama sarà fermato
Gli Usa non hanno il dovere di attaccare la Siria, soprattutto se unilateralmente. Le conseguenze sarebbero imprevedibili e si rischia di causare ancora più vittime. Per un attacco del genere, Obama avrebbe dovuto ottenere prima l’ok dell’Onu, facendo ricorso alla diplomazia con Russia, Cina e, perché no, anche Iran. Ma purtroppo la sua amministrazione ha sbagliato tutto dall’inizio. La minaccia della “linea rossa” contro l’uso di armi chimiche è stato un grave errore, che oggi nessuno ammette. Ora Obama è in un vicolo cieco. Invece doveva negoziare dietro le quinte per raggiungere un compromesso. Senza fare annunci così deleteri.
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Raid sulla Siria? La cosa sbagliata, al momento sbagliato
E’ sempre difficile dire cosa si può fare in casi disperati come quello siriano, dove da due anni è in corso una insopportabile mattanza della popolazione civile. Ma quello che si prepara sembra «la cosa sbagliata, nel momento sbagliato, nel modo sbagliato». In primo luogo, sostiene Aldo Giannuli, è inaccettabile che ad intervenire sia, una mini-coalizione di “volenterosi”, ormai ridottisi a Usa e Francia, senza nemmeno uno straccio di risoluzione Onu che autorizzi l’intervento: «E questo lo capisce perfino la Bonino, che non è esattamente Camillo Benso di Cavour». In Libia, erano modesti i rischi di allargamento del conflitto: Russia e Cina restarono defilate. Qui invece siamo fra tre confini caldissimi – Israele, Turchia e Iraq – seduti sul barile di dinamite iraniana, con Cina e Russia apertamente coinvolte in funzione filo-Assad. Sarebbe forse servita una forza multinazionale di interposizione, estesa anche al fantasma-Europa, da mobilitare però almeno 20 mesi fa, prima della “macelleria” alla quale hanno contribuito “ribelli” non più così genuini, ma manipolati e armati sottobanco dall’Occidente.
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Il mondo non vuole la guerra? La fermi: ecco come
La rivolta del Parlamento britannico contro il progetto coloniale di David Cameron, seguita dalla trasmissione del fascicolo siriano da Barack Obama al Congresso degli Stati Uniti, modifica profondamente i rapporti di forza internazionali, anche se il Congresso dovesse infine consentire il ricorso ai bombardamenti. Attualmente, tutti gli Stati ritrovano la loro libertà di parola. Solo la Francia è ancora in grado di mettere sotto pressione i propri vassalli per imporre loro una politica bellicista. Né il Regno Unito, né gli Stati Uniti fino al voto del loro Congresso, possono farlo. Ora, la maggior parte degli Stati del mondo è consapevole degli effetti a catena che l’intervento occidentale è in grado di provocare nel Vicino Oriente. Che sostenga la Siria o desideri rovesciare le sue istituzioni, la maggioranza può soltanto opporsi a un bombardamento, fosse anche “chirurgico”, della Siria.
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Damasco: “Abbattuti missili e un F-22, Usa sotto choc”
Guerra di nervi, guerra diplomatica. Ma soprattutto, per ora, guerra di informazioni non confermate, come la paternità siriana del presunto attacco del 21 agosto con armi chimiche alla periferia di Damasco, oggetto delle indagini Onu. Il falso più evidente: gli Usa pretendono di intervenire militarmente in Siria dopo “due anni di inazione”. E’ vero il contrario: da almeno 15 mesi, gli Usa e i loro alleati stanno già combattendo il regime di Assad, attraverso una sanguinosa guerra segreta, che stanno perdendo. L’intervento aereo servirebbe proprio a invertirne l’esito, fornendo ai guerriglieri – come in Libia – il decisivo vantaggio dell’aviazione. Ma la Siria non è la Libia: è difesa dalla Russia e, in caso di attacco, anche dall’Iran e dalle milizie di Hezbollah al confine tra Libano e Israele. In questo quadro si inserisce la fuga di notizie incontrollate che, alla vigilia del possibile raid, parlano addirittura di prove di guerra aerea già in corso: test cruciali, per sondare le reali capacità siriane di difesa? Fra il 30 e il 31 agosto, Damasco avrebbe addirittura abbattuto un sofisticato caccia F-22 Raptor, nonché quattro missili cruise lanciati subito dopo, forse per rappresaglia.