Archivio del Tag ‘complotto’
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La Francia ci calpesta? Ovvio: siamo lo zerbino del mondo
«In questo momento – scandisce Gianfranco Carpeoro – l’Italia è lo zerbino del mondo». Lo dimostra la disinvoltura con cui la gendarmeria doganale francese ha condotto un’operazione contro i migranti a Bardonecchia, in valle di Susa, su suolo italiano e senza neppure avvisare la nostra polizia. «L’Italia non conta nulla. Ed è tutta colpa è nostra», aggiunge Carpeoro: «Se il problema oggi sono i francesi è solo perché sono confinanti, e quindi ci sono più possibilità che commettano degli abusi. Ma nei confronti dell’Italia gli abusi li fanno tutti». Immediata (ma rituale) la reazione della Farnesina, che ha convocato l’ambasciatore francese. A stretto giro, Parigi difende i gendarmi: hanno agito in base ad accordi transfrontalieri stipulati negli anni ‘90. E’ vero solo a metà, sostiene Roma: gli agenti francesi hanno “invaso”, armi in pugno, un locale assegnato dall’Italia alle Ong che sostengono i migranti in difficoltà, i disperati che tentano di raggiungere la Francia (dove peraltro vige lo “ius soli”). Dal Viminale, Minniti avverte: potremmo stracciare quegli accordi e impedire ai poliziotti francesi di varcare la frontiera italiana. Se Di Maio approva la convocazione dell’ambasciatore di Macron, Salvini va oltre: anziché espellere diplomatici russi dopo l’opaco affare Skripal, dice, sarebbe il caso di allontare da Roma il personale diplomatico francese.In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro taglia corto: inutile sperare che cambi qualcosa, dato il peso internazionale dell’Italia – ormai pari a zero. «D’altro canto, qui da noi, appena uno canta l’inno nazionale lo prendono in giro. Se noi stessi non abbiamo rispetto per quello che siamo, perché ne dovrebbero avere gli altri?». Avvocato e scrittore, nonché esperto simbologo, Carpeoro è un originale osservatore della situazione contemporanea. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” svela i retroscena (interamente occidentali, atlantici) dell’odierna strategia della tensione internazionale. Punta il dito sulla “sovragestione” occulta del massimo potere, che ogni tanto fa vittime eccellenti anche tra i suoi stessi esponenti – come Nicolas Sarkozy, ora nella bufera. Ma se il caso Sarkozy è un’eccezione, la regola nel Belpaese è un’altra: «L’Italia ha consentito che i suoi massimi esponenti politici fossero trascinati nel fango, senza tutelarli in nulla: ha consentito che dall’estero si pigliassero per il culo il propri leader».Proprio di Sarkozy si ricordano le grasse risate alle spalle di Berlusconi, condivise con Angela Merkel, di fronte alla compiacente stampa italiana, deliziata all’idea che i “paesi seri” si prendessero gioco del proprio premier “impresentabile”. «L’Italia è questo», insiste Carpeoro: «Noi per primi abbiamo utilizzato l’odio degli stranieri per “fottere” i nostri stessi connazionali». E’ una storia lunga e ripetitiva, che risale a Craxi e, prima ancora, a Mattei. Nel saggio “Il compasso, il fascio le la mitra”, che illumina gli aspetti più oscuri all’origine del fascismo, Carpero descrive i legami internazionali (Francia, Gran Bretagna) del faccendiere massone Filippo Naldi, uomo-chiave dell’ascesa e poi della caduta di Mussolini, nonché della spietata liquidazione di Giacomo Matteotti, che aveva scoperto (a Londra) la corruzione del sovrano, Vittorio Emanuele III, implicato nello scandalo petrolifero della Sinclair Oil. Sulla stessa nascita della repubblica italiana, Carpeoro ha manifestato perplessità: «Il socialdemocratico Pierluigi Romita ha potuto fare il ministro “a vita” perché suo padre, Giuseppe Romita, ministro dell’interno nel ‘46, custodì il segreto del vero risultato del referendum che ufficialmente bocciò la monarchia».Se la repubblica “antifascista” è nata già fragile, il resto l’hanno fatto gli italiani: «Non dobbiamo lamentarci di nulla, perché noi per primi non abbiamo avuto rispetto dell’Italia. Non possiamo pretendere che altri ce l’abbiano: non siamo in questa condizione», aggiunge Carpeoro. «L’italiano accetta questa situazione perché non assoggetta mai la propria individualità agli interessi generali, come invece avviene all’estero». Umiliazioni come quella appena inferta dai gendarmi francesi? Ne usciremo solo «quando cominceremo ad avere più rispetto del nostro Stato e delle nostre istituzioni, senza assoggettarle continuamente a trame e complotti dove abbiamo regolarmente chiesto noi l’aiuto per diffamare leader politici di fronte a fonti di informazioni estere».«In questo momento – scandisce Gianfranco Carpeoro – l’Italia è lo zerbino del mondo». Lo dimostra la disinvoltura con cui la gendarmeria doganale francese ha condotto un’operazione contro i migranti a Bardonecchia, in valle di Susa, su suolo italiano e senza neppure avvisare la nostra polizia. «L’Italia non conta nulla. Ed è tutta colpa è nostra», aggiunge Carpeoro: «Se il problema oggi sono i francesi è solo perché sono confinanti, e quindi ci sono più possibilità che commettano degli abusi. Ma nei confronti dell’Italia gli abusi li fanno tutti». Immediata (ma rituale) la reazione della Farnesina, che ha convocato l’ambasciatore francese. A stretto giro, Parigi difende i gendarmi: hanno agito in base ad accordi transfrontalieri stipulati negli anni ‘90. E’ vero solo a metà, sostiene Roma: gli agenti francesi hanno “invaso”, armi in pugno, un locale assegnato dall’Italia alle Ong che assistono i migranti in difficoltà, i disperati che tentano di raggiungere la Francia (dove peraltro vige lo “ius soli”). Dal Viminale, Minniti avverte: potremmo stracciare quegli accordi e impedire ai poliziotti francesi di varcare ancora la frontiera italiana. Se Di Maio approva la convocazione dell’ambasciatore di Macron, Salvini va oltre: anziché espellere diplomatici russi dopo l’opaco affare Skripal, dice, sarebbe il caso di allontare da Roma il personale diplomatico francese.
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Bugie su Mosca da un’Europa in pezzi. L’Italia? Obbedisce
Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».Quanto alle dichiarazioni del governo britannico, la stessa May continua a dire che «è altamente probabile» che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. «Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi», aggiunge Foa. E nel comunicato congiunto diffuso da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma “sviluppato” non significa prodotto in Russia: «Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come “fabbricato” – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa», che pertanto «andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa, non come un verdetto». La stampa dovrebbe mostrare maggior cautela, specie dopo le maggiori “fake news” che ha propagato, dalle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein fino alle prove “incontrovertibili” (ma altrettanto inesistenti) della responsabilità di Assad nella strage coi gas nel 2013 (armi chimiche in realtà usate dai “ribelli” siriani per provocare un intervento della Nato).Come risalire addirittura a Putin nel giro di poche ore, soprattutto conoscendo l’efficienza dell’ex Kgb? Molto eloquente, sottolinea Ivan Giovi sul blog di Aldo Giannuli, la volontà di non mostrare la provetta che dimostrarebbe la produzione russa del gas nervino utilizzato contro Skripal, nonostante Boris Johson si sia scagliato contro il Cremlino, non a caso alla vigilia delle elezioni russe. Marcello Foa insiste: siamo regolarmente sommersi da “fake news” veicolate non dal web, ma dai grandi media. Penultimo esempio: sempre in Siria, nel 2107, Amnesty International e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un “formo crematorio” in cui venivano “bruciati i ribelli”, «rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano». Avverte Foa: «Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”».Le istantanee adesioni europee alla condanna unilaterale inglese contro la Russia, scrive Giovi, fanno pensare a un tentativo di compattamento dei ranghi della Nato, «che sembra ormai tutto tranne che un’alleanza». Ovvero: più che un alleato, la Turchia «ormai sembra sempre più una spina nel fianco di Europa e Usa», mentre la Germania «ha intrapreso una guerra commerciale con gli Stati Uniti trascinando con sé tutta Europa». Dal canto loro, gli Usa «si lamentano in continuazione con gli Stati europei perché non contribuiscono abbastanza alla difesa comune». Tendenza in corso: ricompattare i ranghi della Nato ingigantendo il reale potere dei russi e «trovando pretesti assurdi per incolparli di qualsivoglia evento accaduto nel mondo occidentale (leggasi hacker russi che interferiscono con elezioni di mezzo mondo)». Senza peraltro riuscire nello scopo, «perché l’influenza russa negli ultimi anni si è estesa sempre di più, basti pensare alla Turchia che ha palesemente cambiato sponda o alla in Siria dove il vincitore a breve sarà nettamente Vladimir Putin». In questo quadro, Maurizio Blondet inserisce anche il giro di vite contro l’uomo che per primo ha smontato la propaganda militare Usa, mettendo in piazza i crimini commessi in Iraq: Julian Assange. L’averlo isolato – senza più Internet – per ragioni diplomatiche (buon vicinato con gli inglesi) rappresenta «una stretta imposta dal governo britannico nell’ambito dell’offensiva europea e americana contro tutte le voci libere».Per Blondet, si tratta di «un atto di barbarie identico (e connesso) alle espulsioni dei diplomatici russi sotto accuse spudoratamente false: una vera congiura della dittatura totalitaria occidentale in corso di consolidamento, una volontà di precipitare il conflitto con la Russia». Lo stesso Blondet ricorda che la Commissione Europea ha appena presentato un “Piano d’azione sulla Mobilità Militare” che obbligherà tutti i paesi membri a lasciare libero il passo agli eserciti Nato sul proprio territorio. Come sottolinea Thierry Meyssan, non si parla solo di eserciti europei: nella Nato, oltre agli Usa, c’è la Turchia. Per Blondet, questa misura «è l’identificazione finale della “Unione Europea” con l’Alleanza Atlantica, l’inglobamento dell’organizzazione essenzialmente economica nella lega militare oggi in postura offensiva». A 25 Stati membri viene ordinato di fornire carte delle loro vie di comunicazione (ferrovie, porti, aeroporti) nonché di precisare i lavori necessari per rendere praticabili ponti e le loro gallerie per i mezzi cingolati. «Dovranno anche cancellare le leggi e i regolamenti in vigore che vietano – o regolamentano – il trasporto di armamenti e materiali bellici sul loro territorio: è una Schengen per la guerra».Trionfante, Federica Mogherini – ancora lei, benché il governo che l’ha piazzata a Bruxelles non esista più – accoglie il progetto con entusiasmo: «Facilitando la mobilità militare nella Ue, siamo più efficaci nel prevenire crisi, più efficienti nel dispiegare le nostre missioni e più rapidi nel reagire quando sorgono delle sfide». “Prevenire crisi”, secondo Blondet, va inteso nei due sensi: «Secondo documenti interni all’Alleanza, la mobilità militare non serve solo per far correre le forze alle frontiere contro la Russia; servirà anche in caso di sollevazione popolare all’interno di uno degli Stati membri». Noi italiani non potevamo fare altrimenti che espellere diplomatici russi, pur con il già defunto governo Gentiloni? Non è vero, sottolinea Blondet: sono sono tutti così servili. Austria, Grecia e Portogallo si sono rifiutati di accodarsi a Londra, Parigi, Berlino e Roma. L’ha fatto anche la Repubblica Ceca: «Voglio vedere le prove», ha avvertito il presidente ceco Milos Zeman, rifiutando di compiere azioni ostili contro Mosca. Una dignità politica inesistente in Italia, la cui nave della Saipem per trivellazioni marittime è stata allontanata dalle acque di Cipro (sotto minaccia della flotta turca) senza che fiatasse il governo di Roma, in cui soccorso non è intervenuto nessuno – né l’Ue, né la Nato, cioè le potenze che dall’Italia poi ottengono obbedienza immediata se si tratta di colpire Mosca.E vogliamo parlare del “partner” Germania? «Mentre noi applichiamo le sanzioni alla Russia – aggiunge Blondet – Berlino ha appena firmato e confermato il North-Stream 2, il gasdotto baltico con la Russia, a dispetto delle proteste di Polonia, paesi baltici e Usa. Con quale motivazione? Che il gasdotto è una realizzazione “economica”, non politica». Dalla “guerra” con la Russia, invece, l’Italia ha riportato enormi danni. Secondo dati ufficiali Eurostat, fino a inizio 2017 il trend delle esportazioni italiane nella Federazione Russa era in crescita, con 10,8 miliardi di euro. Le importazioni, invece, ammontano a circa 20 miliardi di euro, principalmente nel settore degli idrocarburi e delle materie prime. Oltre 400 sono le imprese italiane che operano in Russia e circa 70 gli stabilimenti produttivi realizzati nella Federazione (tra questi le installazioni Eni, Indesit, Marcegaglia, più le filiali Intesa SanPaolo e Unicredit). «E’ chiaro che il vero nostro partner è la Russia», non certo i nostri “alleati” euro-atlantici. E se il Pd è rimasto sempre allineato ai diktat “imperiali”, solo Salvini ha eccepito sull’ultima offensiva antirussa. Di Maio? «Sulla questione degli espulsi russi ha taciuto: zitto zitto, per non dispiacere all’ambasciatore Usa e ai padroni del vapore in generale». In sostanza: neppure la nuova politica emersa il 4 marzo protegge l’Italia dalle “pazzie” geopolitiche in corso, riesplose subito dopo l’annuncio di Putin: grazie a nuovissimi missili nucleari iper-sonici “imparabili”, la Russia è al riparo da attacchi atomici. Putin chiede pace? L’Occidente risponde con una guerra di menzogne.Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti, contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».
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Pantani ucciso dai boss del doping che lanciarono Armstrong?
Vuoi vedere che Pantani è stato distrutto e poi eliminato anche per evitare che facesse ombra a Lance Armstrong, il super-campione (artificiale) vicino ai Bush? Doping, ciclismo e morte: secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’industria segreta del doping usa i ciclisti come cavie per sperimentare nuove, micidiali droghe, destinate a soldati e guerriglieri: un business colossale, realizzato con la copertura di case farmaceutiche e gestito da poteri “supermassonici” pronti a eliminare fisicamente chiunque osi ribellarsi. Come Pantani, per esempio. La sua fine? Un monito, per qualsiasi altro ciclista che avesse provato a rifiutare la siringa. Supermassoni reazionari i Bush, “padrini” di Armstrong. Esoteristi, probabilmente, anche i killer di Pantani: lo afferma Lara Pavanetto, analizzando lo strano messaggio “alchemico” rinvenuto nella stanza in cui il campione romagnolo morì. Per Paolo Franceschetti, avvocato per lunghi anni, quel delitto è “firmato” Rosa Rossa, potente associazione occultistica all’origine di svariati crimini eccellenti, come quello del Mostro di Firenze: il delitto rituale come pratica “magica”, e il clamore mediatico come utile mezzo per spaventare l’opinione pubblica, rendendola più docile verso l’autorità costituita. Il ribelle Pantani? Andava puntito e infangato con la pena del contrappasso. Hai denunciato il doping? Bene, morirai disonorato: spacciato per cocainomane.Sono in tanti, a livello internazionale, ad aver ormai capito che il delitto Pantani era a doppio fondo. Lo sostiene la Pavanetto, autrice di originali ricerche storiche. Sul suo blog cita due giornalisti: il francese Pierre Ballester, già inviato de “L’Equipe”, e l’inglese David Walsh, del “Sunday Times”. Nel loro libro “L.A. Confidential, i segreti di Lance Armstrong”, avanzavano già nel 2004 pesanti sospetti sulle sei vittorie consecutive di Armstrong al Tour, dal 1999 al 2004, dopo il primo campionato del mondo vinto nel ‘92. Successi strabilianti, quelli del Tour, che avevano sollevato pesanti dubbi, dopo la gravissima malattia che aveva tolto Armstrong dalle corse per un paio d’anni, dalla fine del ‘96 a metà del ‘98. Tumore: asportazione di un testicolo, intervento chirurgico su gravi metastasi ai polmoni e al cervello, pesantissime cure chemioterapiche. Vengono in mente le parole del Pirata, citate nel libro del giornalista francese Philippe Brunel, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani” (Bur, 2008): «Non hai fatto il corridore? Tu lo sai cosa vuol dire scalare una montagna, correre sotto il caldo. Credi davvero che si possa vincere il Tour dopo aver battuto il cancro?». Con il loro libro, annota Pavanetto, Ballester e Walsh avevano anticipato un’inchiesta pubblicata nel 2001 dallo stesso Walsh sul “Sunday Times”, dal titolo “Suspicion”. Il giornalista era partito dalla denuncia di un ex corridore junior, Greg Strock: secondo i suoi allenatori, Armstrong «aveva valori biologici eccezionali che non si trovavano in Usa dai tempi di Lemond».Nel 2000, ricorda Lara Pavenetto, Strock si era laureato in medicina. Grazie alle competenze acquisite, aveva denunciato la Federazione americana per averlo sottoposto a un doping sistematico che lo aveva fatto ammalare, fino a costringerlo allo stop dell’attività. Anche Armstrong, nota Walsh, era in nazionale in quel periodo. Strock chiamava in causa due tecnici della nazionale, uno dei quali, Chris Carmichael, era uno dei personaggi più vicini ad Armstrong da sempre. Nell’inchiesta si parlava anche del licenziamento improvviso dalla Us Postal (la squadra di Armstrong sponsorizzata dal ministero delle Poste statunitense) nel 1996. Fu licenziato anche il medico Steffen Prentice, che secondo Strock si era rifiutato di dopare dei ciclisti della squadra. Walsh raccolse anche la dichiarazione di un ex professionista, compagno di Armstrong alla Motorola dal 1992 al 1996, che sotto anonimato dichiarò: «Passammo all’epo nel 1995 perché non si vinceva, e avevamo avuto un 1994 nero». In “L.A. Confidencial”, Ballester e Wash hanno ricostruito anche il caso del litigio fra Armstrong e Greg Lemond a proposito di Michele Ferrari, il medico italiano coinvolto in numerosi processi di doping in Italia e difeso a spada tratta dal corridore texano. Ma la parte più interessante del racconto, scrive Lara Pavanetto, riguarda la testimonianza di Emma O’Really, massaggiatrice per tre anni (a partire dal 1998) dell’Us Postal, la squadra del trionfatrice al Tour.Nel giugno del 1999, la O’Really registra sul suo diario un colloquio con Lance. L’americano le dice che, con l’ematocrito basso, non si possono fare grosse performace. Lei allora gli chiede cosa intenda fare: «Quello che fanno tutti gli altri», ribatte lui, che più tardi, durante il Tour, le chiederà anche di coprire con fondotinta i segni delle iniezioni sulle braccia. L’americano fu trovato positivo ai corticoidi ad un controllo al Tour de France del 1999, ma fu discolpato dall’Uci (Unione ciclismo internazionale) dopo aver spiegato di aver «utilizzato una pomata contenente una sostanza vietata per curare una ferita procuratagli dal sellino della bicicletta». Armstrong affermò sempre di non avere mai assunto prodotti vietati, neppure a causa del suo tumore, che gli provocava una carente produzione fisiologica di testosterone, con la necessità dunque di assumerlo. Il libro riporta anche i pareri di scienziati illustri, i quali ritenevano umanamente impossibile – dopo un tumore, metastasi, operazioni, chemioterapie – andare forte come Armstrong, e vincere sei Tour de France.A Philippe Brunel, per il libro uscito nel 2002, Marco Pantani confida: «E’ strano, ogni volta che si parla di Armstrong tutti stanno zitti, come se nessuno avesse un’opinione. Io, in ogni caso non ci credo. E non ci crederò mai. È un personaggio finto, una specie di eroe dei fumetti – guarda, è Spiderman. Ora, chi l’ha creato? Chi lo ha voluto così? Non ne so nulla. Ma sono troppo realista per credere alla sua storia». Ma Lance Armstrong in quegli anni poteva fare e dire di tutto, e – come diceva Pantani – nessuno sembrava vedere nulla. Era “invicibile”, Armstrong. «L’amico dei repubblicani, l’amico di George W. Bush. L’amico di tanti politici e tante star di Hollywood. Armstrong sognava di correre un giorno per la poltrona di governatore del Texas e magari in seguito puntare anche alla Casa Bianca», scrive Pavanetto. Le sue perfomance “aliene” «avevano accelerato la mondializzazione di uno sport che storicamente era di matrice europea: grazie a lui, nel mondo del ciclismo la lingua inglese soppiantò il francese». Con Lance Armstrong diventarono volti abituali quelli dei cronisti del “New York Times”, del “Financial Times”, del “Wall Street Journal”, e quelli degli inviati di reti televisive come la “Cnn” o la “Cbs”, «che non perdevano una tappa se targata Armstrong: il re assoluto e incontrastato del ciclismo, temuto e idolatrato».Armstrong fu anche «l’amico di tanti potenti dello sport mondiale», e donò all’Uci centomila dollari nel 2000 per comprare dei macchinari antidoping. «Tutto quello che ha fatto Armstrong è stato possibile perché qualcuno gliel’ha permesso». Parafransando le parole di Pantani: «Chi lo ha creato? Chi l’ha voluto così?». Il doping serve a vincere, ma soprattutto a fare moltissimi soldi, ricorda Lara Pavanetto. «In due decenni di attività come ciclista professionista, grazie alle sponsorizzazioni, Lance Armstrong ha accumulato un patrimonio stimato attorno ai 125 milioni di dollari». Ma anche gli sponsor fanno fiumi di soldi col doping, «per cui la diffusione del fenomeno non è attribuibile solo ad atleti, allenatori, medici o direttori sportivi, ma anche a chi alimenta l’ingranaggio». Come l’Us Postal Service: «Fu lo sponsor di Armstrong tra il 2001 e il 2004, spese 32,27 milioni di dollari per sponsorizzare il team di Armstrong e ricevette benefici di immagine e marketing per 103,63 milioni». Come sottolineò l’avvocato di Armstrong, Tim Herman, a scandalo doping ormai scoppiato, «il ritorno per il ministero delle Poste statunitensi fu del 320% in quattro anni».I guai di Pantani, ricorda Pavanetto, iniziano il 5 giugno 1999 subito dopo l’arrivo a Madonna di Campiglio, penultima tappa di un Giro d’Italia che il Pirata aveva dominato e praticamente già vinto. «Sottoposto a un controllo del sangue, il suo ematocrito fu trovato fuori norma e, da regolamento, gli fu vietato di gareggiare per i seguenti 15 giorni. Il Giro dunque era perso». Anche le sue vittorie passate, a questo punto, vengono messe in discussione. «Tutta la sua carriera è messa in dubbio», tanto che Pantani non partecipò al Tour de France un mese dopo. «In quel momento era un campione nella sua fase di massimo rendimento: l’anno prima, il 1998, aveva vinto sia il Giro che il Tour. La sua popolarità era enorme e internazionale». Nel 2000, Pantani riuscì a prepararsi per partecipare al Tour e ne fu ancora un protagonista. Ma nel 2001 al Giro d’Italia ci fu la vicenda della siringa di insulina trovata nell’albergo dei ciclisti e attribuita a lui, che fu condannato. «Per questo episodio Leblanc, l’organizzatore del Tour, rifiutò l’iscrizione di Pantani all’edizione di quell’anno». Nel Giro del 2003, Pantani arrivò quattordicesimo, un risultato normale considerata la preparazione per forza scadente. «Quando Leblanc rifiutò nuovamente la sua iscrizione al Tour di quell’anno, Pantani gettò la spugna». Pochi mesi dopo, il 14 febbraio 2004, fu trovato morto nel residence “Le Rose” di Rimini, dove aveva soggiornato per una settimana, confermando l’alloggio giorno per giorno.Il motivo della morte fu fissato dal medico legale in overdose di cocaina, e ancora ad oggi questa è la versione ufficiale. «Nel frattempo c’erano anche stati i procedimenti giudiziari aperti contro di lui dalla giustizia ordinaria italiana, sempre per illecito uso di sostanze dopanti», scrive Pavanetto. «Alla fine Pantani era stato assolto da ogni reato, ma intanto sette Procure lo avevano portato a giudizio e le sue spese legali erano ammontate in totale a un miliardo e mezzo di lire». Nel frattempo comincia a brillare la stella di Lance Armstrong, che proprio a partire dal 1999 inizia a vincere “facile”: cinque Tour de France di fila (dal 1999 al 2003). «Ogni volta succede qualcosa che gli toglie di mezzo l’avversario più forte, cioè Marco Pantani: nell’edizione del ‘99 Pantani era assente per la vicenda di Madonna di Campiglio; in quella del 2000 era presente ma psicologicamente sotto pressione, il 2 marzo si era ritirato dalla Vuelta de Murcia per “stato acuto di stress”; al Giro aveva subito gli umilianti controlli medici a sorpresa dell’Uci; nelle successive gare Pantani era assente perché la sua iscrizione era stata respinta». Lara Pavanetto fa notare che nel 2000, pur nelle condizioni in cui era, il Pirata era stato l’unico ad attentare alla leadership di Armstrong: «Vinse due importanti tappe di montagna, una scalando il Mont Ventoux e l’altra a Courchevel». E’ indubbio che l’assenza di Pantani spianò la strada ad Armstrong.Alcuni mesi dopo la conclusione del Giro del 1999, continua Pavanetto, emerse l’ipotesi che Pantani fosse stato boicottato dall’ambiente delle scommesse clandestine italiane. Un’ipotesi che è ritornata prepotentemente in auge con due libri usciti di recente: “Pantani è tornato. Il complotto, il delitto, l’onore”, di Davide de Zan (Piemme, 2014), e “Il caso pantani. Doveva morire”, di Luca Steffenoni (Chiarelettere, 2017). Quella delle scommesse clandestine «resta sempre sullo sfondo ormai come unica ipotesi, quasi unico movente, assieme alla cocaina, della carriera rovinata del campione e poi della sua morte». Ma se lo scopo era quello di far perdere a Pantani, a due giornate dalla fine, un Giro che aveva già vinto per guadagnare sulle puntate, perché poi – si domanda Pavanetto – continuare il complotto negli anni successivi e nei vari livelli in Italia e in Francia, e presso l’Unione Ciclistica Internazionale? «E chi mai, nell’ambiente delle scommesse clandestine italiane, avrebbe avuto tali poteri di manipolazione a livello mondiale?». Ancora: «Il fatto che il ministero delle Poste americano sponsorizzasse uno squadrone ciclistico che, si può ben dire, andò all’attacco del ciclismo europeo, non è mai sembrato strano a nessuno?».Soltanto dopo la morte di Pantani si seppe che la “prodigiosa” ascesa di Lance Armstrong «fu viziata da un uso criminale del doping, per vincere a tutti i costi». Ma, appunto: «Nessuno all’epoca vide nulla?». Come disse Pantani: «E’ strano, ogni volta che si parla di Armstrong tutti stanno zitti, come se nessuno avesse un’opinione». Forse, conclude Lara Pavanetto, «era molto pericoloso avere un’opinione sullo squadrone e sulla star della Us Postal Service». E a quanto sembra, «ancora oggi è meno pericoloso avere un’opinione sulle scommesse della criminalità organizzata, che sulla storia dell’Us Postal Service». Si può parlare con una certa tranquillità delle scommesse clandestine gestite dalla mafia attorno al ciclismo delle gare truccate, mentre resta estremamente rischioso, ancora oggi, aprir bocca «sulla strana sincronicità degli eventi che videro tramontare la stella del Pirata e sorgere, luminosa e prepotente, quella di Lance Armstrong».Sulla misteriosa morte di Pantani, dice Pavanetto, resta fondamentale l’analisi offerta da Paolo Franceschetti sul suo blog: un delitto “rituale”, firmato Rosa Rossa nel residence “Le Rose” con quel sibillino biglietto: “Oggi le rose sono contente, la rosa rossa è la più contata”. In realtà, sottolinea la ricercatrice ricorda che nessun esame grafologico ha finora attestato che quelle frasi – su carta intestata dell’hotel – siano state scritte proprio da Pantani. «Io ne dubito fortemente – dice – anche perché secondo me in quelle poche, apparenti sconnesse righe potrebbero esserci la firma e il movente dell’assassino, seppure espresso in un modo allegorico e per certi versi burlesco, quasi si trattasse di un macabro gioco». A parte il passaggio sulle “rose”, il libro di Philippe Brunel sostiene che, in quel foglio, Pantani (o chi per lui) parla di «coincidenze saline» e di «una strana alchimia, dove si mette in relazione il fosforo con il potassio, la linfa, la “clorofilla di sangue”», e si legge: «Tutto passa come il mare». L’alchimia è la prima cosa che salta all’occhio, conferma Pavanetto. «Queste parole sembrano descrivere una trasmutazione alchemica. Il fosforo, simbolo dell’illuminazione spirituale; il potassio, la linfa; e soprattutto la “clorofilla di sangue”, e infine quel “tutto passa con il mare”».La clorofilla è chiamata anche “sangue vegetale” e può essere considerata un vero rigeneratore per le cellule, in quanto apporta ossigeno. «Può essere utile in varie forme di anemia, migliora la contrazione cardiaca e si rivela utile soprattutto per gli sportivi poiché ne aumenta la resistenza». E’ chiamata “sangue vegetale”, spiega Pavanetto, perché la sua struttura chimica è simile a quella dell’emoglobina, con la sola differenza che la clorofilla contiene magnesio anziché ferro. «Sin dal 1936 fu studiata come fattore per la rigenerazione del sangue, soprattutto in relazione all’emofilia». Studi che poi «servirono molto nel mondo del doping, dove appunto si “esercita” la rigenerazione del sangue». Sembra un macabro gioco di specchi e scatole cinesi, continua Lara Pavanetto: sapete qual è il simbolo alchemico del magnesio? La lettera D. E Pantani soggiornava (e morì) nella camera D5.Attenzione: il numero 5, «essenza del Pentacolo, è ricondotto al numero degli elementi, la quintessenza spirituale e i quattro elementi abituali: Acqua, Fuoco, Terra e Aria». I quattro elementi alchemici. “E tutto passa come il mare”: il mare «fu per gli alchimisti l’acqua mercuriale, l’elisir, l’oceano increato dove la materia prima subì il processo di trasformazione e di maturazione fino allo stato di perfezione». E, a proposito di “contrappasso” dantesco, Lara Pavanetto ricorda il canto primo del Purgatorio, nella “Divina Commedia”, in cui Virgilio lava Dante dalla “nerezza” dell’Inferno: «Con le mani bagnate dalla rugiada del mattino, Virgilio rimuove dalle guance lacrimose di Dante quella nerezza che l’Inferno gli aveva lasciato. Poi lo cinge con un giunco sottile che cresce nel limo del mare, giunco che nasce miracolosamente là dove viene reciso. E’ un nuovo battesimo, una nuova purificazione eseguita questa volta con la rugiada, cioè acqua che viene dal cielo, simbolo di doni spirituali». Recita quel fatidico biglietto: “E tutto passa come il mare”. Firma e chiave “rituale”, con spiegazione simbolica, dell’omicidio del campione ribelle che doveva essere punito in modo esemplare?Vuoi vedere che Pantani è stato distrutto e poi eliminato anche per evitare che facesse ombra a Lance Armstrong, il super-campione (artificiale) vicino ai Bush? Doping, ciclismo e morte: secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’industria segreta del doping usa i ciclisti come cavie per sperimentare nuove, micidiali droghe “performanti”, destinate a soldati e guerriglieri: un business colossale, realizzato con la copertura di case farmaceutiche e gestito da poteri “supermassonici” pronti a eliminare fisicamente chiunque osi ribellarsi. Come Pantani, per esempio? La sua fine: un monito, per qualsiasi altro ciclista che avesse provato a rifiutare la siringa? Supermassoni reazionari i Bush, “padrini” di Armstrong. Esoteristi, probabilmente, anche i killer di Pantani: lo afferma Lara Pavanetto, analizzando lo strano messaggio “alchemico” rinvenuto nella stanza in cui il campione romagnolo morì. Per Paolo Franceschetti, avvocato per lunghi anni, quel delitto è “firmato” Rosa Rossa, potente associazione occultistica all’origine di svariati crimini eccellenti, come quello del Mostro di Firenze: il delitto rituale come pratica “magica”, e il clamore mediatico come utile mezzo per spaventare l’opinione pubblica, rendendola più docile verso l’autorità costituita. Il ribelle Pantani? Andava punito e infangato con la pena del contrappasso. Aveva evocato lo spettro del doping? Bene, sarebbe morto disonorato: spacciato per cocainomane.
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Scie chimiche: se sono innocue, perché non ce le spiegano?
Mi pare che l’argomento “geoingegneria” sia molto più serio e degno di studio di quel sottoprodotto che ha come nome divulgativo “scie chimiche”. L’altro giorno, per alcune ore nel pomeriggio, mi sono divertito a identificare i voli che tracciavano scie lunghe e persistenti che erano visibili nel cielo sopra casa mia, sull’Appenino centrale. Grazie ad un sito di flight tracking live, ho identificato tutti i voli che stavo osservando. Erano 5-6 ed erano tutti voli di linea, internazionali (dal Napoli-Francoforte al Cagliari-Varsavia, dal Zante-Londra al Mosca-Roma), gli aerei erano Airbus o Boeing 737, compagnie low cost ma anche di bandiera (come Lufthansa e Aeroflot). Ho potuto dunque facilmente dedurre che queste scie anomale sono rilasciate da normali aerei di linea commerciali. Forse anche aerei di altro tipo (droni, militari, ecc.) rilasciano queste scie, ma quelli che stavo osservando con i miei occhi erano aerei del tutto normali. Questa considerazione faceva il paio con un’altra che tutti hanno potuto osservare in questi ultimi venti anni. Dagli anni 2000 in poi le scie rilasciate dagli aerei sono del tutto diverse da quelle che osservavamo da ragazzi, negli anni ‘70-’80: le classiche scie di condensa, bianche e di breve vita, che seguivano da vicino l’aereo e si disperdevano nell’arco di alcuni secondi.Ogni tanto capita ancora di vedere quel tipo di scia, ma ormai sempre più di frequente esse sono sostituite da scie più rarefatte, più frastagliate, particolarmente persistenti (durano anche per ore) e che tendono a trasformarsi in un velo che scherma la luce solare, una foschia nuvolosa che spesso ingloba scie rilasciate da altri aerei o corpi nuvolosi. Dunque, nel corso degli anni ‘90 qualcosa è cambiato. Non so dire cosa, magari qualcosa di spiegabile molto semplicemente. I motori di alcuni aerei, ad esempio, che formano una scia diversa con cristalli molto più durevoli; oppure la qualità/composizione del combustibile dell’aereo. Questo potrebbe significare che in corso non c’è alcun complotto ma semmai che gli aerei moderni sono tecnologicamente più inquinanti dei loro predecessori. Oppure si potrebbe argomentare che una relazione tra scie anomali e geoingegneria esiste, e questa seconda utilizza alcuni sviluppi tecnologici dell’aviazione per perseguire altri e ulteriori scopi oltre quelli immediati. Su questo non ho risposte e finora non ho trovato studi completamente convincenti.Svolgo però una valutazione personale: se le attuali scie “anomale” derivano da sviluppi tecnologici “neutrali”, sarebbe molto facile mettere a tacere una volta per tutte il vociare sui complotti e le scie chimiche a cui assistiamo sul web. Questo non viene fatto. Sembra quasi esserci qualcuno che si diverte a confondere le acque, lasciando che si propaghino le teorie più fantasiose che inquinano quelle che si pongono invece domande molto più problematiche. In tal caso il chiacchiericcio affoga e neutralizza gli approfondimenti più seri. Così le scie chimiche, a livello di percezione diffusa e comune, scacciano via gli interrogativi sulla geoingegneria. Una classica metodologia di deception, per chi ha una qualche domestichezza con questi argomenti. Per ristabilire un po’ di sana ricerca riprendiamo dunque questo articolo di approfondimento di Giulietto Chiesa e del prematuramente scomparso Paolo De Santis, fisico, professore universitario, persona seria e rigorosa, umanamente straordinaria, che ho avuto l’onore di conoscere personalmente. Buona lettura.(Simone Santini, “Scie chimiche e geoingegneria – In ricordo di Paolo De Santis”, dal blog “Ora Zero” del 3 novembre 2017).Mi pare che l’argomento “geoingegneria” sia molto più serio e degno di studio di quel sottoprodotto che ha come nome divulgativo “scie chimiche”. L’altro giorno, per alcune ore nel pomeriggio, mi sono divertito a identificare i voli che tracciavano scie lunghe e persistenti che erano visibili nel cielo sopra casa mia, sull’Appenino centrale. Grazie ad un sito di flight tracking live, ho identificato tutti i voli che stavo osservando. Erano 5-6 ed erano tutti voli di linea, internazionali (dal Napoli-Francoforte al Cagliari-Varsavia, dal Zante-Londra al Mosca-Roma), gli aerei erano Airbus o Boeing 737, compagnie low cost ma anche di bandiera (come Lufthansa e Aeroflot). Ho potuto dunque facilmente dedurre che queste scie anomale sono rilasciate da normali aerei di linea commerciali. Forse anche aerei di altro tipo (droni, militari, ecc.) rilasciano queste scie, ma quelli che stavo osservando con i miei occhi erano aerei del tutto normali. Questa considerazione faceva il paio con un’altra che tutti hanno potuto osservare in questi ultimi venti anni. Dagli anni 2000 in poi le scie rilasciate dagli aerei sono del tutto diverse da quelle che osservavamo da ragazzi, negli anni ‘70-’80: le classiche scie di condensa, bianche e di breve vita, che seguivano da vicino l’aereo e si disperdevano nell’arco di alcuni secondi.
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I fotografi: sono un falso le immagini dell’uomo sulla Luna
«Se le avessero chieste a me, quelle immagini da studio le avrei fatte molto meglio», cioè con le ombre “giuste”, simulando bene l’effetto del sole. Parola di Oliviero Toscani. Il film del presunto allunaggio? La madre di tutte le fake news: «Un falso al 200%». A dirlo è un altro principe della fotografia mondiale, Peter Lindbergh, il numero uno nel campo della moda, “inventore” delle top-model degli anni ‘90, da Cindy Crawford a Naomi Campbell. La domanda: da dove arrivano quelle luci (artificiali) che rischiarano gli astronauti? Proiettori, spot da cinema, pannelli riflettenti: attrezzature di cui l’equipaggio di Apollo 11 non disponeva. L’esame dei fotografi è la prova regina del test condotto da Massimo Mazzucco, autore del documentario “American Moon”. Oltre tre ore di film, che inchiodano lo spettatore di fronte a una verità incontrovertibile: a prescindere dal fatto che ci siamo stati o meno, sulla Luna, le immagini dell’allunaggio – trasmesse dalla Nasa in mondovisione nel 1969 – sono un falso, palese e grossolano. I sospetti crescono ulteriormente, scoprendo che l’ente aerospaziale ha dichiarato di aver “smarrito” i film originali di un evento che, se fosse reale, sarebbe una pietra miliare nella storia dell’umanità. Per non parlare degli astronauti: anziché essere celebrati a vita come eroi, hanno trascorso il resto dei loro giorni a nascondersi.
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Odiavano Silvio, hanno sfasciato l’Italia e oggi tifano per lui
Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?E come mai tutto questo ben di Dio dovrebbe costituire un argine ai populisti, Frau Merkel, e aggiungiamo noi, a una crescita spropositata del debito pubblico italiano? Raccontiamoci tutte le fregnacce che vogliamo, dai, ma almeno non prendiamoci per i fondelli: Berlusconi oggi è molto peggio di quanto non lo fosse nel 1994, nel 2001, nel 2006, nel 2008 e nel 2013 e un suo ritorno a Palazzo Chigi, da king o da kingmaker, sarebbe una tragedia in qualunque paese con un minimo di serietà. Allora aveva una classe dirigente, piacesse o meno, con titoli e competenze per prendere in mano il timone di un paese; oggi è costretto a improvvisare un nome come quello dell’ex generale Gallitelli come possibile presidente del Consiglio, o Maurizio Gasparri come presidente del Senato o della Regione Lazio. Allora aveva una piattaforma programmatica perlomeno coerente e proporzionata, ancorata a un principio di realtà, oggi accatasta proposte che nemmeno Trump. Allora, perlomeno a sprazzi, aveva la volontà di cambiare il paese a immagine e somiglianza della sua visione del mondo, oggi è mosso solo dal desiderio di mettere al sicuro Mediaset e di garantire un happy ending alle sue aziende, per evitare vengano spolpate vive appena lui e Confalonieri non saranno più in grado di occuparsene. Allora vi faceva schifo, oggi è un simpaticone. Molto bene.Anzi no, non va bene un bel niente. Fatevelo dire da chi anti-berlusconiano non è mai stato. L’unica differenza, cari nostri, è che oggi Berlusconi vi serve come l’aria. Perché con le sue sparate è l’argine perfetto a Salvini e Di Maio. Perché pensate che se la gente si beve le sue sparate, meglio ancora se sono patacche, non si berrà le loro. Perché siete convinti che potrà fare solo da stampella, non certo tornare a comandare. Perché avete la certezza, sotto sotto, che sia solo una carcassa di Caimano, vecchio, stanco, incapace di fare danni. Una notizia: i danni li state facendo voi, a questo giro, e sono più grandi di quel che potete immaginare. Perché i prossimi saranno anni di sacrifici e lo sapete benissimo. Perché la gente è stupida finché volete, ma si accorge se la state fregando e se una volta al governo Berlusconi non farà quel che ha promesso, o non gli sarà concesso di farlo dai vincoli di bilancio che oggi tutti fingono di non vedere, ci penseranno Grillo e Salvini ad accogliere a braccia aperte tutti i delusi dal Cavaliere. Perché state distruggendo tutta la poca o tanta credibilità che vi ha accompagnato per vent’anni abbondanti, investendola, tutta in una volta sola, nella speranza (vana?) di cinque anni tranquilli. Perché il prezzo che dovrete pagare sarà ciò contro cui avete combattuto per un quarto di secolo, quel conflitto d’interessi vulnus primordiale del vostro feroce anti-berlusconismo. Perché anche prendendo il 15-20% Berlusconi stravincerà la sua lunga partita politica. Perché tutta questa melassa ipocrita è un distillato purissimo di doppia verità, ancora peggio del venticinquennale perbenismo moralista che ha accompagnato Re Silvio come un’ombra. E no, non servirà a nulla, se non a lui.(Francesco Cancellato, “Berlusconi è diventato ‘buono’? La peggiore bugia di questa campagna elettorale”, da “Linkiesta” dell’11 gennaio 2018).Spiegatecelo, davvero, Angela Merkel e Bill Emmott, Eugenio Scalfari, Romano Prodi ed Elsa Fornero, sinceri democratici e antiberlusconiani d’antan: esattamente, in cosa Berlusconi, oggi, sarebbe migliore rispetto a ieri? Perché un Berlusconi manovratore occulto dovrebbe essere più “fit” di un Berlusconi premier, caro Bill Emmott? Cosa la induce a pensare, caro Eugenio Scalfari, che oggi, improvvisamente, il populismo di quello che lei definì «un bananiere a ventiquattro carati, cioè un uomo d’affari che fa i suoi affari con la politica» oggi abbia «almeno una sua sostanza»? E ancora: come mai, professor Prodi, solo ora ha sentito il bisogno di ricordarci che quella sua defenestrazione ingloriosa, nell’autunno del 2011, fosse una specie di complotto internazionale, per fargli pagare «la posizione italiana a favore di Putin, di Gheddafi e della stabilità iraniana»? Cosa la induce a credere, cara Elsa Fornero, che quel Cavaliere «conosca bene la realtà economica, e sappia distinguere tra le cose che sono possibili», dopo che ha promesso, nell’ordine, di cancellare «gli effetti deleteri» della riforma delle pensioni che porta il suo nome, di pagare le dentiere agli anziani, di alzare le pensioni minime a mille euro, di affiancare all’euro un’altra moneta di conio nazionale, di introdurre una generica “flat tax” (senza specificare a quale aliquota intenda porre l’asticella), di ampliare la “no-tax area” per chi guadagna meno di mille euro al mese e di abolire il Jobs Act?
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Il coraggio di Imposimato, in quest’Italia senza giustizia
«Un paese si salva dalla rovina solo se tutti i cittadini vivono in una condizione di dignità». E’ il testamento spirituale di Ferdinando Imposimato, alto magistrato e uomo libero, senza paura di affrontare il vero potere: nell’Italia politica delle anime morte ha attaccato il decreto Lorenzin sui vaccini, ha denunciato il ruolo della mafia nella rete ferroviaria Tav e ha accusato la cupola Gladio-Bilderberg per il caso Moro, evento simbolo della strategia della tensione che manipolò le Brigate Rosse per azzoppare il paese. E’ arrivato a minacciare di trascinare gli Stati Uniti al Tribunale dell’Aja, per aver deliberatamente ignorato i preparativi terroristici del maxi-attentato dell’11 Settembre, che poi ha proiettato la “guerra americana” in mezzo mondo. Già presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Imposimato – spentosi a Roma il 2 gennaio all’età di 81 anni – non amava i giri di parole. «Ormai sappiamo tutto della strategia del terrore», disse, presentando il recente saggio “La repubblica delle stragi impunite”. Quella strategia «fu attuata dalla struttura Gladio (Stay Behind) in supporto ai servizi segreti (non deviati) italiani. Serviva a scoraggiare l’instaurarsi di governi di sinistra ed era orchestrata dalla Cia».
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I Protocolli dei Savi di Sion: mistero indicibile, profezie vere
L’archetipo della lettura complottista: i “Protocolli dei Savi di Sion”. Un libro maledetto su cui molto è stato scritto e molto resta ancora da scrivere. Pubblicati per la prima volta nel 1905, i “Protocolli” furono accolti dall’opinione pubblica internazionale in modo ambivalente. Da un lato si fa notare che tutte le profezie in essi contenute si sono puntualmente avverate; e ciò dimostrerebbe la veridicità della congiura ebraica e massonica. Dall’altro si punta il dito sul fatto che quella congiura è in realtà il frutto della fantasia di Maurice Joly, che nel 1864 pubblicò un pamphlet, di cui i “Protocolli” sono un plagio evidente; e ciò dimostrerebbe la non-autenticità dell’opera. A mio avviso un’analisi serena e obiettiva del libro dovrebbe incentrarsi su questa inspiegabile contraddizione: come può un documento palesemente falso affermare fatti veri e verificabili? Poiché dei “Protocolli dei Savi di Sion” si fece immediatamente un uso politico, questo interrogativo fu messo da parte e i termini del discorso furono spostati dal problema non-autenticità/veridicità verso una strada sdrucciolevole: quello della verità trascendente. In Germania, dove la congiura ebraico-massonica fu ritenuta reale, i “Protocolli” furono usati dai nazionalsocialisti come una “licenza per un genocidio”, per usare le parole dell’israelita inglese Norman Cohn.In Russia, dove gli ebrei costituivano il 90% del governo bolscevico, bastava il solo possesso del libro per condannare il possessore alla fucilazione immediata, senza processo. Tra i due estremi si collocano i paesi cosiddetti democratici. In Inghilterra e negli Stati Uniti fin dal lontano 1920 la stampa sionista si batté per propagandare la tesi del complotto antisemita, usando l’argomento della non autenticità. In Svizzera si tenne un processo che dimostrò una verità processuale: ossia che ciò che non è autentico non può essere definito vero in aula di tribunale e quindi è una calunnia. Anche la sentenza fu però oggetto di speculazioni politiche, perché la verità processuale contraddiceva la verità dei fatti storici. A questo punto la parola dovrebbe passare proprio agli storici, ma pure costoro si sono lasciati manipolare dalla politica: poiché la storia si fa sui documenti e quelli in questione non sono autentici, gli storici hanno battuto la via a senso unico di indagare chi e perché compose i falsi “Protocolli”. Ancora una volta restava inevasa la questione della veridicità: come facevano questi malvagi calunniatori e falsari a predire con sbalorditiva esattezza tutti gli avvenimenti più importanti del Ventesimo secolo? Possedevano forse una sfera di cristallo?Ammettiamo per un attimo che qualcuno, conosciuto da tutti come un bugiardo, vi dica che possedete due braccia e due gambe: egli non ha forse detto, almeno per una volta, la verità? O la verità ha forse cessato di essere tale in bocca a un bugiardo (o presunto tale)? Crederete dunque di avere sei braccia come il dio Shiva solo perché tutti vogliono convincervi che colui che vi ha detto il contrario è un bugiardo? Ho posto queste domande retoriche per spiegare al lettore la molla che mi ha spinto a compiere ricerche più approfondite: quanto segue è il risultato dei miei studi. Per quanto è dato sapere, i Protocolli furono pubblicati per la prima volta in Russia da Sergey Nilus nel 1905 in appendice al libro “Il piccolo nel grande”. In realtà singole parti dei “Protocolli” iniziarono a circolare in forma privata già a partire dal 1897: l’anno del Primo Congresso Sionista a Basilea. In un primo momento Nilus affermò che i “Protocolli” erano il verbale delle riunioni segrete del congresso. Quando gli fu fatto notare che il congresso si tenne a porte aperte e che non tutti gli ebrei vi avevano partecipato, egli cadde nel tranello e cambiò versione. Nilus, insomma, mentiva e ciò bastò agli storici per parlare di un complotto politico. A nessuno venne in mente un’altra ipotesi: che Nilus, semplicemente, non conoscesse l’origine di quei documenti e che li avesse considerati autentici in virtù della loro veridicità.I due termini, come ho dimostrato, non hanno lo stesso significato; ma procediamo oltre. I primi protocolli furono pubblicati in forma non integrale su un giornale russo a partire dal 1903. Essi si basavano, come detto, su documenti che iniziarono a circolare privatamente dal 1897 e che provenivano dalla Francia. A Parigi operava in quel momento una sezione della polizia segreta zarista, la Okhrana, diretta dal noto antisemita Pyotr Ivanovich Rachkovsky. Una delle spie zariste a Parigi era Matvei Vasilyevich Golovinski, amico del figlio di Joly, che copiò (con minime differenze) interi passi del “Dialogo all’inferno tra Machiavelli e Montesquieu” confezionando così i “Protocolli dei Savi di Sion”. Secondo gli storici il capo dell’Okhrana Rachkovsky e il ministro degli esteri, conte De Witte, si sarebbero serviti dei falsi documenti per contrastare la diffusione di idee liberali, anarchiche, socialiste e nichiliste. I “Protocolli”, quindi, avrebbero proposto un’interpretazione artificiosa delle dinamiche storiche: avrebbero semplificato i fatti fino a distorcerli, facendo leva su pregiudizi anti-semiti e anti-massonici che erano largamente diffusi nella società europea.Storici e giornalisti si sono fermati qui, paghi di aver dimostrato la tesi del complotto antisemita. Io invece non mi ritengo soddisfatto, dal momento che nessuno parla mai di Maurice Joly, il vero ispiratore – suo malgrado – dei “Protocolli”. Questo silenzio è quantomeno sospetto. I “Dialoghi all’inferno tra Machiavelli e Montesquieu” non contengono alcuna accusa contro gli ebrei. Si tratta invece di un pamphlet satirico contro Napoleone III. L’opera mette a raffronto due modi di agire in politica: quello del diritto, identificato con Montesquieu, e quello del potere e cioè il tradimento, l’inganno, la corruzione e la violenza. Erano questi i sistemi raccomandati da Machiavelli al principe ideale, che per Maurice Joly era proprio Napoleone. L’autore dei “Dialoghi” era un socialista utopico e un massone affiliato alla loggia La Clémente Amitié: non sorprende perciò la sua avversione per i circoli cattolici e nazionalisti che sostenevano l’imperatore. Completiamo questa sommaria biografia ricordando che il principale finanziatore del giornale di Joly, Le Palais, era Crémiuex. Di trent’anni più vecchio, questo scaltro uomo politico israelita fu per lui un vero e proprio mentore.Adolphe Isaac Crémieux fu il fondatore dell’Alleanza Israelitica Universale, una organizzazione politica e culturale che sintetizza i principi massonici della Rivoluzione Francese con l’ebraismo. Cremiuex fu inizialmente un seguace dell’imperatore. La sua ambizione si spingeva fino a sognare di diventare primo ministro ed era sostenuta dai generosi finanziamenti del barone De Rothschild. Quando però Napoleone III si orientò sui servizi di un altro banchiere ebreo, questo importante uomo politico divenne un oppositore e tale rimase fino alla caduta della monarchia. Infatti nel 1871 troviamo proprio lui al fianco del barone De Rothschild a trattare la pace con il cancelliere Bismarck dopo la guerra franco-prussiana, che era costata il trono all’imperatore. Crémieux fu anche gran maestro del Rito Scozzese e membro dell’Ordine di Memphis e Mizraim, due Riti del Grand Orient de France: la massoneria più anticlericale d’Europa. A testimonianza del suo odio per i gentili citerò un aneddoto. In occasione dell’omicidio rituale di padre Tommaso a Damasco, un episodio che nel 1848 fece inorridire i salotti della borghesia europea, Crémieux usò tutta la sua influenza per ottenere la liberazione dell’assassino (ebreo) del missionario.Ora la faccenda appare molto diversa da come ci è stata raccontata: sebbene i “Protocolli dei Savi di Sion” siano un falso, la loro fonte principale, che è il “Dialogo all’inferno tra Machiavelli e Montesquieu”, fu realmente composta in ambito ebraico, socialista e massonico. Proprio per questo il filo conduttore dei “Protocolli” è tipicamente massonico: il sovvertimento della società cristiana per affermare un nuovo ordine sociale – ordo ab chao è il motto dei massoni. Inoltre lo stesso mondo ebraico a cui alludono i “Protocolli” ha le sembianze di un ordine segreto gerarchicamente organizzato, con a capo un gruppo di iniziati: i Savi di Sion. Infine i “Protocolli”, ricopiando i “Dialoghi”, rilanciano l’archetipo della congiura segreta contro l’umanità, che era proprio delle leggende nere che circolavano sui gesuiti negli ambienti anticlericali. Forse non è azzardo ipotizzare che Golovinski, inventando la congiura giudeo-massonica, tentasse di dare un nome agli interessi che Joly serviva, sfiorando la verità senza riuscire a catturarla in tutte le sue infinite sfaccettature.E’ importante comprendere che tutti i protagonisti di questa vicenda sono individui opachi e difficilmente etichettabili, come spesso si incontrano nel mondo dello spionaggio. Per esempio Rachkovsky, il famigerato antisemita a capo dell’Okhrana, era stato in precedenza un agitatore studentesco e aveva persino diretto un giornale ebraico: “L’Ebreo russo”. Non meno sorprendente è sapere che egli favorì la carriera, in seno alla polizia segreta zarista, di un terrorista ebreo di nome Abraham Hackelman. Che dire poi del suo agente Golovinski, che passò al servizio dei bolscevichi dopo la Rivoluzione del 1917? Forse è meglio usare cautela prima di attribuire intenzioni politiche a soggetti che sono mossi dall’avidità, dalla sete di potere e dall’amore per intrigo piuttosto che dalle ideologie. Per queste ragioni non mi sento di affermare con certezza che i “Protocolli dei Savi di Sion” siano stati creati con l’unico scopo di fomentare l’antisemitismo: chi può dirlo con certezza?Curiosamente Rachkovsky e il conte De Witte risposero alle accuse di essere gli istigatori dei “Protocolli”, attribuendone la paternità al grande illuminato Gérard Encausse detto Papus, il fondatore dell’Ordine Martinista. Infatti costui, già prima della pubblicazione dei “Protocolli”, aveva scritto di una congiura segreta che costringeva i governi delle nazioni a fare le guerre e a dettava i termini dei trattati di pace per il profitto del “sindacato della finanza” e cioè dell’oligarchia finanziaria internazionale. La congiura, a suo dire, mirava a favorire la fortuna di pochi uomini: i promotori della congiura. Perché mai Papus lanciò un’accusa tanto ardita? Perché egli aveva conosciuto lo zar Nicola II e si era guadagnato la sua fiducia. Per conservarla e per sfruttarla a vantaggio degli interessi che serviva, Papus inviò alla corte di San Pietroburgo il suo maestro Nizier Anthelme Philippe, alias Maître Philippe da Lione. Quest’ultimo usò i poteri taumaturgici di cui si diceva investito per proteggere la famiglia imperiale e iniziò lo zar al martinismo. Secondo gli storici dell’esoterismo, Maître Philippe mise in piedi le logge martiniste in Russia, nelle quali attirò ricchi aristocratici e potenti burocrati.A capo della massoneria martinista russa si pose Nicola II in persona. Le accuse di Rachkovsky e del conte De Witte (un cugino della Blavatsky) contro Papus si devono quindi contestualizzare in una faida interna alla corte di San Pietroburgo, che si concluse con l’allontanamento di Maître Philippe e l’ingresso in scena del mistico Rasputin. Se le rivelazioni di Papus arrivarono all’orecchio dello zar, la sua reazione potrebbe aver spinto l’Okhrana ad agire, utilizzando il testo di Joly per fini che a questo punto non sono affatto chiari. Accenno appena al fatto che nel 1905 (o poco prima) la polizia segreta zarista aveva stretto un’alleanza inconfessabile con la Grand Lodge de France per portare avanti un progetto politico che resta tuttora avvolto nel mistero. Questa, però, è una storia che ci porterebbe molto lontano: meglio fermarsi qui, per il momento. Con questo articolo credo di aver svelato l’identità di coloro che si nascondono dietro l’espressione “Savi di Sion”: gli alti dignitari della massoneria del Rito di Memphis e Mizraim e dell’Alleanza Israelitica Universale, patrocinate dal denaro dei Rothschild. L’esistenza di questo centro di potere occulto rimase celato dietro l’ipotesi di una generica congiura dell’intera razza ebraica: in altre parole i “Protocolli dei Savi di Sion” fabbricarono una copertura perfetta per i veri congiurati.Se ciò sia stato intenzionale o meno non posso affermarlo con certezza. Quando però l’industriale israelita Walter Rathenau rivelò alla stampa l’esistenza di un complotto di «trecento persone che si conoscono tra loro» e si sono autonominate padrone dell’Europa, il vaso di Pandora fu finalmente scoperchiato. Rathenau divenne nel 1922 ministro degli esteri della Repubblica di Weimar e a quel punto si trovò nella posizione di rivelare importanti retroscena della congiura – quella vera, intendo – ai governi europei. Bisognava richiudere il vaso di Pandora prima che fosse troppo tardi: quattro mesi dopo la sua nomina, Rathenau fu ucciso da terroristi di estrema destra. Così nessuno più si domandò chi fossero i membri del “Comitato dei Trecento”: il mondo pianse invece l’ennesima vittima dell’antisemitismo agitato dal libro maledetto, i “Protocolli dei Savi di Sion”. Riassumendo: 1) i “Protocolli” non sono documenti autentici, ma il loro contenuto è in gran parte vero e verificabile; infatti 2) la fonte principale a cui attingono i “Protocolli” è un pamphlet scritto in ambito massonico ed ebraico; e infine 3) l’idea di una generica congiura ebraica e massonica (o viceversa di un complotto antisemita) ha finora occultato l’esistenza di una reale congiura, che da oltre un secolo viene condotta dal casato dei Rothschild e dai suoi agenti.(Enrico Montermini, “I Protocolli dei Savi di Sion: un segreto indicibile!, dal blog di Montermini del 6 novembre 2017).L’archetipo della lettura complottista: i “Protocolli dei Savi di Sion”. Un libro maledetto su cui molto è stato scritto e molto resta ancora da scrivere. Pubblicati per la prima volta nel 1905, i “Protocolli” furono accolti dall’opinione pubblica internazionale in modo ambivalente. Da un lato si fa notare che tutte le profezie in essi contenute si sono puntualmente avverate; e ciò dimostrerebbe la veridicità della congiura ebraica e massonica. Dall’altro si punta il dito sul fatto che quella congiura è in realtà il frutto della fantasia di Maurice Joly, che nel 1864 pubblicò un pamphlet, di cui i “Protocolli” sono un plagio evidente; e ciò dimostrerebbe la non-autenticità dell’opera. A mio avviso un’analisi serena e obiettiva del libro dovrebbe incentrarsi su questa inspiegabile contraddizione: come può un documento palesemente falso affermare fatti veri e verificabili? Poiché dei “Protocolli dei Savi di Sion” si fece immediatamente un uso politico, questo interrogativo fu messo da parte e i termini del discorso furono spostati dal problema non-autenticità/veridicità verso una strada sdrucciolevole: quello della verità trascendente. In Germania, dove la congiura ebraico-massonica fu ritenuta reale, i “Protocolli” furono usati dai nazionalsocialisti come una “licenza per un genocidio”, per usare le parole dell’israelita inglese Norman Cohn.
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Delitto Matteotti: vero mandante il Re, socio dei petrolieri
Non fu Mussolini il vero mandante del delitto Matteotti, ma il Re: Vittorio Emanuele III decretò la morte del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, assassinato a Roma il 10 giugno 1924 dalla squadraccia fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, nel suo nuovissimo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, che ricostruisce – sulla base di archivi inediti – il vero ruolo dei due massimi sponsor occulti del fascismo, la massoneria e il Vaticano. Due poteri che “coltivarono” un regime che forse mostrò il suo vero volto, per la prima volta, proprio con l’omicidio Matteotti. Il leader socialista, si disse per decenni, fu punito per il suo straordinario coraggio: il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera i brogli e le intimidazioni che avevano permesso ai fascisti di vincere le elezioni, il 6 aprile. Solo in questi ultimi anni è progressivamente emerso l’altro movente, più segreto: la maxi-tangente pagata al governo italiano dalla società petrolifera Sinclair Oil, per lo sfruttamento del greggio in Emilia e in Sicilia. Lo stesso Matteotti, dopo un viaggio a Londra, aveva scoperto la verità e stava per renderla pubblica. Lo scandalo avrebbe travolto il neonato regime, dato che risultava implicato anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ma quello era solo il “primo livello” della tangente: perché il maggiore beneficiario dell’affare non sarebbe stato Mussolini, bensì il Re.Era lui, Vittorio Emanuele III, il vero dominus del business petrolifero, e quindi anche del delitto Matteotti. A gettare nuova luce sul “peccato originale” del fascismo sono le carte dell’obbedienza massonica di Piazza del Gesù, il Rito Scozzese italiano, di cui lo stesso Carpeoro è stato “sovrano gran maestro”. «Attenzione: lo stesso Matteotti era un 33° grado del Rito Scozzese», premette l’autore, presentando alcune anticipazioni del libro nel corso della diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Massone Matteotti, e massoni i “fratelli” inglesi che lo informarono dell’affare Sinclair Oil, spiegandogli – carte alla mano – che a intascare il grosso della colossale tangente petrolifera (addirittura una ingente quota azionaria della compagnia) non sarebbe stato il Duce, ma direttamente il numero uno di casa Savoia. A indagare sul ruolo occulto della massoneria all’origine del fascismo è anche il recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, del giovane Enrico Montermini, suffragato da un politologo del calibro di Giorgio Galli.Montermini ricostruisce il ruolo delle società segrete nell’affermazione del fascismo “antemarcia”, a partire dalla manifestazione di piazza San Sepolcro, fino al macabro epilogo di piazzale Loreto, dove il cadavere del Duce viene simbolicamente “capovolto”, appeso a testa in giù, dopo esser stato fotografato con in mano uno scettro (come l’Imperatore dei tarocchi) e poi un ramo di acacia, inequivocabile “firma” massonica. Carpeoro conferma: prima di concorrerre ad abbattere il Duce, «la massoneria ha certamente appoggiato il primo fascismo, anche perché era Mussolini stesso a presentarsi come “vero socialista”». Poi, come sappiamo, il dittatore – mai iniziato alla libera muratoria – arrivò a mettere al bando le logge, in ossequio agli accordi di potere con il Vaticano che avrebbero portato ai Patti Lateranensi. C’era stato un piccolo precedente antimassonico del Duce, quando ancora era un dirigente socialista: impegnò il partito a escludere i massoni dai propri ranghi. «Ma era solo una ritorsione: Mussolini aveva ripetutamente chiesto di essere accolto, nella massoneria, ma non era stato accettato».Un’anomalia episodica, quell’improvvisa allergia socialista per i grembiulini: «E’ stata proprio la massoneria a partorire il socialismo», sostiene Carpeoro: «Anche all’epoca del fascismo, erano massoni i maggiori esponenti del partito socialista, a cominciare dal leader storico, Filippo Turati». Autore di accurati studi sui Rosacroce, leggendaria confraternita iniziatica, Carpeoro spiega che furono proprio i manifesti rosacrociani – come la “Fama Fraternitatis” del 1614 – a delineare l’orizzonte sociale egualitario (la fine dei privilegi di casta) che peraltro si riverbera in opere altrettanto “rosacrociane” del periodo, come “Utopia” di Thomas More, “La nuova Atlantide” di Francis Bacon e “La città del sole” di Tommaso Campanella. La stessa “Fama Fraternitatis” accenna, per la prima volta, a un mondo senza più la proprietà privata né i confini tra le nazioni: sono gli albori del futuro internazionalismo socialista, che riflette le sue luci persino nel primissimo fascismo delle origini, quello di piazza San Sepolcro, tenuto a battesimo dal Grande Oriente d’Italia (Domizio Torrigiani) e poi anche da Piazza del Gesù, il cui gran maestro era Raoul Palermi – ma il vero capo del Rito Scozzese, ipotizza lo stesso Montermini, probabilmente era il sovrano in persona, Vittorio Emanuele III.Di origine scozzese è la stessa famiglia Sinclair: gli antenati dei petrolieri coinvolti nell’affare costato la vita a Matteotti, racconta Carpeoro, in qualità di eminenti rappresentanti del network rosacrociano britannico, alla fine del ‘700 avrebbero fatto segretamente tradurre nel Regno Unito le spoglie del “confratello” Mozart, ufficialmente sepolto in una fosse comune in Austria. Ma, a parte i Sinclair – passati dalla musica al petrolio – il saggio di Carpeoro ricostruisce i passaggi cruciali (e occulti) all’origine del fascismo, mettendo a fuoco il ruolo della massoneria, e non solo. Se Montermini accende i riflettori sulle società segrete che allevarono il regime fascista, Carpeoro segnala il ruolo dell’altro grande potere, antagonista della massoneria eppure suo “socio in affari” durante il ventennio: il Vaticano. Entrambi i centri potere, quello massonico e quello cattolico, puntarono su Mussolini e cercarono di pilotarlo. E il Duce, «peraltro già a libro paga dei servizi segreti inglesi, nonché collaboratore dell’intelligence statunitense e di quella francese», tentò a sua volta di destreggiarsi, ritagliandosi una sua autonomia: «Si passò così dal masso-fascismo iniziale al catto-fascismo seguente», quello dei Patti Lateranensi.Figura cruciale e onnipresente, in quegli anni di precario equilibrio, il massone Filippo Naldi, che Carpeoro definisce «il Licio Gelli dell’epoca», capace di passare con disinvoltura da un tavolo all’altro, uscendone sempre indenne e traendone il massimo vantaggio personale. Carpeoro ricorda una celebre intervista televisiva all’anziano Naldi, a cura del grande Sergio Zavoli: «Riuscì a ottenere quell’intervista perché era massone anche Zavoli», rivela Carpeoro, che ricostruisce un altro momento decisivo della parabola del Duce, la destituzione del 25 luglio ‘43: «Era un piano progettato dallo stesso Mussolini, che voleva farsi arrestare per poi uscire dall’alleanza con Hitler, instaurando a Salò una vera repubblica di orientamento socialista». Ma fu tradito, Mussolini, proprio dall’uomo-ombra della massoneria (e della monarchia), che svelò gli intenti del Duce alla segreteria pontificia. A sua volta, la diplomazia vaticana si rivolse prontamente ai nazisti: temenva che a Salò potesse davvero nascere una repubblica anticlericale.“Il fascio, il compasso e la mitra” getta luce sui retroscena più oscuri del ventennio mussoliniano, rivelando il peso dei due superpoteri – massoneria e Vaticano – nelle decisioni del governo Mussolini. Anche la monarchia giocò le sue carte, comprese quelle (coperte) su cui aveva messo le mani Giacomo Matteotti. «Io il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me», disse il deputato ai colleghi socialisti, in aula, consapevole che gli sarebbe costata carissima la sua clamorosa denuncia sui brogli elettorali. «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere», rispose Mussolini, mesi dopo, di fronte alle proteste per l’insabbiamento delle indagini sull’omicidio. Ma non si trattò solo di una denuncia politica sulla regolarità delle elezioni del ‘24: il primo a rivelarlo, alla fine degli anni ‘80, è stato un ricercatore fiorentino, Paolo Paoletti, dopo aver scovato negli archivi di Washington una lettera in cui Dumini, il capo del commando omicida, rivela che Matteotti fu ucciso soprattutto per impedirgli di mettere in piazza lo scandalo petrolifero, che coinvolgeva Arnaldo Mussolini.Poche settimane prima del delitto, proprio alla Sinclair Oil (John Davison Rockefeller), il governo italiano aveva concesso l’esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento per 50 anni di tutti i giacimenti petroliferi presenti in Emilia e in Sicilia. La compagnia aveva ottenuto condizioni di esclusivo vantaggio, tra cui l’esenzione da imposte. Per questo Matteotti doveva essere ucciso: aveva saputo della super-tangente. Tesi confermata dallo storico Mauro Canali nel ‘97 e poi da un ex dirigente Eni, Benito Li Vigni, nel saggio “Le guerre del petrolio” uscito nel 2004. All’inizio degli anni Venti, in Italia, l’80% del fabbisogno di idrocarburi era garantito dalla Standard Oil, tramite la “Società Italo-Americana pel Petrolio”, mentre la restante quota era fornita dalla filiale italiana della Royal Dutch Shell. Secondo Canali, la Standard Oil avrebbe stipulato un accordo sottobanco con la Sinclair Oil, delegando ad essa un’operazione strategica: bloccare la temuta espansione del Regno Unito sul mercato italiano. Guardando al Medio Oriente, a Londra faceva gola la posizione geografica dell’Italia, nel cuore del Mediterraneo: perfetta, per il trasporto del greggio. Per questo gli inglesi avevano sviluppato progetti con l’Italia, anche l’impianto di una raffineria, al punto da preoccupare gli Usa – che a quel punto risposero mettendo in campo la Sinclair Oil, a suon di dollari pagati sottobanco.Lo stesso Canali documenta come a intascare una maxi-rata dell’affare Sinclair fu Filippo Filippelli, un personaggio molto influente, legato ad Arnaldo Mussolini e fondatore del “Corriere Italiano”, giornale a cui – fra l’altro – era stato intestato il noleggio dell’auto con cui venne prelevato Matteotti. Gli accordi con la Sinclair Oil furono stipulati il 29 aprile del ‘24: sempre in cambio di cospicue mazzette, la compagnia ottenne dall’Italia la garanzia che nessun ente petrolifero statale avrebbe intrapreso trivellazioni nel deserto libico. All’accordo, Londra reagì a modo suo: tramite politici laburisti, rivelò a Matteotti i veri termini dell’accordo. Lo stesso Canali conferma che il leader socialista acquisì le carte che provavano la corruzione del governo italiano. Dopo l’omicidio, il “Daily Herald” accusò apertamente Arnaldo Mussolini di essere tra i politici destinatari di una tangente di 30 milioni di lire pagata dalla Sinclair Oil per ottenere la concessione. Sulla rivista “English Life” venne pubblicato (postumo) un articolo dello stesso Matteotti, in cui il deputato affermava di avere la certezza che vi era stata corruzione tra la Sinclair Oil e alcuni esponenti del governo.Tutto giusto? Sì, ma è una verità incompleta, spiega Carpeoro: perché finora le ricostruzioni sul delitto Matteotti non hanno inquadrato il principale colpevole, il Re d’Italia. «Mettendo a disposizione i killer, Mussolini ha fatto un favore innanzitutto alla monarchia», afferma Carpeoro, nel colloquio in streaming su YouTube con Fabio Frabetti. «Matteotti aveva fiutato che sull’Italia, tramite il fascismo, stavano mettendo le mani determinati poteri, in particolare petroliferi – uno su tutti, quello della Siclair Oil». Il leader socialista, continua Carpeoro, «andò a Londra con regolari referenze massoniche e venne accolto con tutti gli onori da una loggia inglese». Loggia che gli mise a disposizione una documentazione decisiva, che gli permise di scoprire «che la Sinclair Oil aveva dato delle quote azionarie a Vittorio Emanuele III». Tornò in patria di corsa, per far scoppiare lo scandalo. «E guardacaso, venne assassinato proprio al ritorno da quel viaggio quasi clandestino». Il regista dell’assassinio? «E’ colui che affittò le auto a noleggio e si fece dare da Mussolini i manovali del delitto: il massone Filippo Naldi, rappresentante degli interessi della Sinclair Oil in Italia ma, soprattutto, fedelissimo del Re».Lui, l’uomo-ombra: «E’ vero che Naldi aiutò Mussolini a uscire dal Psi e gli finanziò il “Popolo d’Italia”, ma sempre e soltanto per conto di poteri forti che volevano che in Italia rimanesse la monarchia e ci fosse sempre un certo tipo di regime». Tant’è vero che i soldi per finanziare il “Popolo d’Italia”, oltre a quelli della Sinclair Oil, sono quelli di Eridania (colosso mondiale dello zucchero) e di Ansaldo, leader dell’acciaio. «Sono i soldi che creano il fascismo, ma lo creano per mantenere un preciso assetto politico rispetto a forze che rischiavano di metterlo in discussione, come i socialisti e i repubblicani». Baricentro del potere, la monarchia. Clamorosa, la rivelazione di Carpeoro: sua maestà in persona era addirittura diventato socio della Sinclair, mentre il governo Mussolini si apprestava a favorire la compagnia. E da dove ricava, Carpeoro, le sue esplosive informazioni? Ovvio: dagli stessi archivi (massonici) ai quali, nel 1924, ebbe accesso l’eroe socialista Giacomo Matteotti, massone del 33° grado del Rito Scozzese.Non fu Mussolini il vero mandante del delitto Matteotti, ma il Re: Vittorio Emanuele III decretò la morte del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, assassinato a Roma il 10 giugno 1924 dalla squadraccia fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, nel suo nuovissimo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, che ricostruisce – sulla base di archivi inediti – il vero ruolo dei due massimi sponsor occulti del fascismo, la massoneria e il Vaticano. Due poteri che “coltivarono” un regime che forse mostrò il suo vero volto, per la prima volta, proprio con l’omicidio Matteotti. Il leader socialista, si disse per decenni, fu punito per il suo straordinario coraggio: il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera i brogli e le intimidazioni che avevano permesso ai fascisti di vincere le elezioni, il 6 aprile. Solo in questi ultimi anni è progressivamente emerso l’altro movente, più segreto: la maxi-tangente pagata al governo italiano dalla società petrolifera Sinclair Oil, per lo sfruttamento del greggio in Emilia e in Sicilia. Lo stesso Matteotti, dopo un viaggio a Londra, aveva scoperto la verità e stava per renderla pubblica. Lo scandalo avrebbe travolto il neonato regime, dato che risultava implicato anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ma quello era solo il “primo livello” della tangente: perché il maggiore beneficiario dell’affare non sarebbe stato Mussolini, bensì il Re.
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‘Edoardo Agnelli era un Sufi, ma con parenti nel B’nai B’rith’
Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».L’impatto sulla famiglia, di una scelta così radicale? «Per l’Avvocato, bastava che Edoardo non mettesse piede in azienda», dichiara Carpeoro a Fabio Frabetti di “Border Nigths”. «Poi lì c’è un entourage, però, che mal sopportava questo, sicuramente». E aggiunge: oggi siamo passati da un Sufi a una famiglia il cui capostipite, «che poi è il marito di Margherita Agnelli», cioè lo scrittore e giornalista Alain Alkann, appartiene al B’nai B’rith, espressione «di un certo sionismo reazionario che ha fatto tanti danni alla cultura israeliana». Il primo che si è scagliato contro questo tipo di potere «è un grande personaggio della cultura ebraica che si chiama Moni Ovadia», dice Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. B’nai B’rith? Per Wikipedia, si tratta di una innocua loggia di ebrei, di prevalente origine tedesca, nata un secolo prima dello Stato di Israele: fondata il 13 ottobre del 1843 a New York. Da allora, i “figli dell’alleanza” hanno una missione ufficiale: assistere i poveri. «L’organizzazione partecipa a numerose attività legate ai servizi sociali, tra cui la promozione dei diritti degli ebrei, l’assistenza negli ospedali e alle vittime dei disastri». Inoltre, la “lega dei fratelli” stanzia premi per gli studenti di scuole ebraiche e combatte l’antisemitismo tramite il suo Center for Human Rights and Public Policy.Oltre alle sue attività sociali, continua Wikipedia, il B’nai B’rith è anche un sostenitore dello Stato di Israele: insieme all’Aipac, potente lobby ebraica di Washington, la super-massoneria ebraica ha finanziato associazioni giovanili e studentesche. Ma, secondo Carpeoro, non sono soltanto umanitari gli scopi del B’nai B’rith, che apparterrebbe a pieno titolo al panorama delle potentissime superlogge internazionali, in strettissimo contatto con il Mossad, l’intelligence di Tel Aviv: sempre secondo Carpeoro, oltre ad Alain Elkann (cognato di Edoardo Agnelli), al B’nai B’rith apparteneva l’anziano Lion Klinghoffer, ucciso dal commando palestinese che dirottò la nave la crociera Achille Lauro nel 1985, da cui poi la crisi di Sigonella, con i carabinieri inviati da Craxi a proteggere i dirottatori, che i marines volevano catturare. Una tensione senza precedenti, in ambito Nato, che probabilmente costò il futuro politico dello stesso Craxi: «La sua telefonata con Reagan – racconta Carpeoro, allora vicino al leader socialista – fu deliberatamente mal tradotta, in diretta, dal politologo statunitense Michael Ledeen: cosa che Craxi non gli perdonò mai, perché compromise i suoi rapporti col presidente Usa».Di Ledeen, Carpeoro ha parlato spesso, anche nel suo saggio (uscito nel 2016) che denuncia la manipolazione atlantica dell’opaco neo-terrorismo europeo targato Isis. Ledeen? «All’epoca era vicino a Craxi, ma al tempo stesso anche a Di Pietro. Poi, in tempi assai più recenti, è stato al fianco di Renzi ma anche del grillino Di Maio». L’altra notizia? «Lo stesso Ledeen è un autorevole esponente del B’nai B’rith». Dunque il giovane Edoardo Agnelli, già scomodo anche per la Fiat (durissima una sua lettera al padre, all’epoca di Tangentopoli) poteva non essere più facilmente tollerato in una famiglia con componenti fortemente sioniste? La verità è più complessa, spiega Carpeoro, ricordando che Gianni Agnelli ha sposato la principessa Marella Caracciolo, sorella del fondatore de “L’Espresso”: «La linea materna di Edoardo è particolare: colta, raffinata, un po’ decadente». Il giovane Agnelli, semplicemente, «era molto più simile al ramo di sua madre che non a quello di suo padre». Lo conferma, nel modo più estremo possibile, il motto dei Sufi: “Nel mondo, ma non del mondo – nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”.Quando a Torino si impose il ramo Elkann, ricorda Lapo in un’intervista rilasciata a Giovanni Minoli per “La Storia siamo noi”, Edoardo Agnelli era già stato “bruciato” una prima volta dalla scelta del cugino Giovannino (Giovanni Alberto, figlio di Umberto Agnelli) come successore dell’Avvocato al vertice dell’impero Fiat. Poi Giovannino morì e al suo posto, pochi giorni dopo il funerale nel dicembre 1997, ricorda Gigi Moncalvo su “Lo Spiffero”, nel consiglio di amministrazione della Fiat venne nominato John Elkann, che di anni ne aveva appena 22 e nemmeno era laureato. Nella sua ultima intervista, rilasciata a Paolo Griseri per il “Manifesto”, il 15 gennaio 1998, Edoardo Agnelli boccia la designazione di “Jaky”: «Considero quella scelta uno sbaglio e una caduta di stile, decisa da una parte della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di mio padre». E aggiunge: «Non si nomina un ragazzo pochi giorni dopo la morte di Giovanni Alberto, per riempire un posto». E ancora: «Si è preferito farsi prendere dalla smania con un gesto che io considero offensivo anche per la memoria di mio cugino».Nel documentario di Minoli, è lo stesso Lapo Elkann – non ancora travolto dal suo secondo scandalo sessuale, quello di New York – ad avere parole umanissime per Edoardo Agnelli: «Era una persona bella dentro e bella fuori. Molto più intelligente di quanto molti l’hanno descritto: un insofferente che soffriva, che alternava momenti di riflessività e momenti istintivi». Nella villa di famiglia a Villar Perosa, in val Chisone, non lontano dal Sestriere, «ci sono state tante gioie ma anche tanti dolori». Dice Lapo, di Gianni Agnelli: «Con tutto l’affetto e il rispetto che ho per lui e con le cose egregie che ha fatto nella vita, mio nonno era un padre non facile. Quel che ci si aspetta da un padre – dei gesti di tenerezza, non parlo di potere: i gesti normali di una famiglia normale – probabilmente mancavano». Lapo Elkann riconosce quanto abbia pesato, su Edoardo, l’indicazione di far entrare suo fratello, John Elkann, nell’impero Fiat: «Credo che la parte difficile sia stata prima, la nomina di Giovanni Alberto. Poi, “Jaky” è stata come una seconda costola tolta. Ma Edoardo si rendeva conto che non era una posizione per lui», così portato per l’introspezione filosofica e religiosa – addirittura pervasa del misticismo Sufi, quello dei Dervisci rotanti, la confraternita iniziatica fondata dal sommo poeta afghano Rumi nel 1200.A ben altra scuola esoterica, secondo Carpeoro, appariene invece l’ebreo Alain Elkann, classe 1950, nato a New York da padre francese e madre italiana, giornalista e scrittore, docente universitario in Pennsylvania. Suo padre, il rabbino Jean-Paul Elkann, banchiere e industriale, è stato presidente del Concistoro ebraico di Parigi. La madre di Alain, Carla Ovazza, discende da una famiglia di banchieri torinesi (e nel 1976 fu vittima di un sequestro di persona). Un suo zio, il banchiere Ettore Ovazza, fascista fino al 1938 e amico di Mussolini, aveva fondato il giornale ebraico antisionista “La Nostra Bandiera”, prima di essere assassinato nel 1943 dai nazisti. Giornalista e scrittore, Alain Elkann è stato sodale di Alberto Moravia e Indro Montanelli. Ha scritto romanzi e saggi, anche in collaborazione con personaggi prestigiosi come Elio Toaff, storico rabbino capo emerito di Roma, nonché l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini e il Re di Giordania Abdullah. Tema a lui caro: la fede ebraica in rapporto alle altre religioni, e l’essere ebrei oggi. Dal 2004 è presidente della Fondazione del Museo Egizio di Torino, e ha collaborato con l’allora ministro Sandro Bondi (beni culturali).Alain Elkann è membro della Fondazione Italia-Usa e fa parte del comitato scientifico del Meis di Ferrara, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, nonché di istituzioni universitarie italo-americane. Nel 2009 è stato anche insignito della Legion d’Onore, massima onorificenza francese. Ma ovviamente nel suo curriculum non c’è traccia dell’appartenenza al B’nai B’rith. Suo figlio, John, è oggi il reggente dell’impero industriale Fca, Fiat-Chrysler. Suo cognato Edoardo Agnelli morì suicida, senza un cenno di addio, o fu assassinato? E’ la domanda irrisolta a cui cerca di rispondere Minoli, nel suo reportage televisivo. «Se qualcuno mi dimostrasse che Edoardo è stato ucciso ne sarei in qualche modo felice, perché significherebbe che non era così disperato da fare questo gesto», dice il cugino, Lupo Rattazzi, convinto però che Edoardo fosse proprio deciso a farla finita. «L’inchiesta giornalistica sulla figura dell’erede mancato della famiglia Agnelli, e sulla sua tragica scomparsa – scrive Mario Baudino sulla “Stampa” – mette in fila tutti gli elementi, anche quelli controversi, di un avvenimento che, data la notorietà del protagonista, ha avuto negli anni anche interpretazioni assai dietrologiche».Soprattutto, aggiunge il giornalista, Minoli ricostruisce una personalità complessa e tormentata, e una vicenda umana dolorosa. A tenere aperto il giallo sulla fine di Edoardo Agnelli è la testimonianza di un pastore, che la mattina del 15 novembre del 2000 pascolava i suoi animali sulle rive del fiume Stura di Demonte: l’uomo sostiene di aver visto il cadavere di Edoardo Agnelli verso le 8.30, cioè molto prima che l’auto – abbandonata sul viadotto soprastante – avesse varcato il casello autostradale. Ma l’ex capo dei Ris di Parma, Luciano Garofalo, non dà credito alla testimonianza: la ritiene un tipico caso di auto-inganno della memoria. Se invece il pastore avesse ragione, scrive Baudino, «bisognerebbe pensare che sulla Croma di Edoardo Agnelli ci fosse, in quel momento, qualcun altro; anzi, che ci fosse sempre stato qualcun altro a bordo. Un giallo troppo complicato e inverosimile». C’è poi la tesi di una televisione iraniana, che aveva fatto scalpore con un documentario in cui prospettava l’ipotesi di un omicidio “sionista”, «commesso per eliminare un erede della dinastia italiana convertitosi all’Islam». Edoardo Agnelli, ricorda Baudino, era affascinato dalle fedi: si era laureato in storia delle religioni, con una tesi su quelle orientali. Era «affascinato dalla mistica Sufi», anche se «nessuno degli amici più intimi ha mai avuto il più lontano sentore che fosse diventato musulmano». A ricordarlo, oggi, c’è invece quella foto inequivocabile, postata su Facebook da Carpeoro.Edoardo Agnelli era un Sufi: lo scomodo figlio dell’Avvocato, morto il 15 novembre del 2000, era approdato all’ala mistica dell’Islam. Una mosca bianca, nell’impero Fiat, oggi retto da una famiglia «il cui capostipite fa parte del B’nai B’rith», cioè dell’élite massonica del sionismo più reazionario. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che pubblica su Facebook una foto del giovane Agnelli raccolto in preghiera: «Se le fonti sono giuste», scrive Carpeoro, la foto è stata scattata a Teheran il 27 marzo 1981 durante la Preghiera del Venerdì, condotta dall’ayatollah Seyyed Khamenei, “guida suprema” della repubblica islamica. Edoardo, in prima fila sulla destra, prega insieme a un Imam «che è famoso per aver avuto forme di collaborazione anche con Battiato». Si tratta di un religioso musulmano che, «appartenendo alla parte sciita dell’ambiente islamico, era anche uno dei capi del movimento Sufi». Molto si è detto sul mistero della fine di Edoardo Agnelli, trovato morto ai piedi di un viadotto dell’autostrada Torino-Savona 17 anni fa. Si era anche parlato della sua insofferenza verso il potere, delle sue inclinazioni mistiche e della sua vicinanza all’Islam. In diretta web-streaming, Carpeoro mette a fuoco il problema in modo più preciso: «Che risulti a me, Edoardo Agnelli era diventato Sufi».
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Militari e Cia, Fbi e Israele: la verità sulla fine di Kennedy
Cari lettori, alcuni di voi stanno insistendo perché io continui a occuparmi della storia della sparatoria di Las Vegas, mentre altri mi chiedono come agire per sostenere il rilascio dei documenti relativi all’assassinio del presidente Kennedy. Apprezzo il fatto che voi siate interessati e insoddisfatti delle dichiarazioni ufficiali. La mia risposta è che già sappiamo molto di più di quanto sia scritto nei file, grazie ad esaurienti ricerche, quali il libro di James W. Douglass “Jfk and the Unspeakable” (Simon&Schuster, 2008). La mia risposta è anche che, indipendentemente da cosa sappiamo o quali siano i fatti, la versione ufficiale non verrà mai cambiata. Per esempio, sappiamo come fatto inconfutabile che Israele attaccò la Uss Liberty, infliggendo enormi perdite fra il personale della Us Navy, mentre il governo degli Stati Uniti continua a sostenere che si sia trattato solo di un errore, nonostante le dichiarazioni inequivocabili a sostegno del contrario da parte della Moorer Commission, diretta da Tom Moorer, ex comandante delle Operazioni Navali e capo degli Stati Maggiori Riuniti statunitensi.La mia risposta è anche che sarebbe meglio spendere tempo tentando di prevenire sul nascere le cospirazioni, come quella dell’infinita sequenza di bugie e accuse contro la Russia, che stanno trasformando un paese amico in un nemico e stanno rinnovando il rischio di un Armageddon nucleare. Infatti, la più grande teoria cospiratoria in corso è quella – che viene dal complesso militare e di sicurezza, dal Comitato Democratico Nazionale, e dalla “presstituzione” mediatica – secondo la quale la Russia, in combutta con Donald Trump, abbia manomesso le elezioni presidenziali statunitensi. Il governo russo sa che questa è una bugia, e nel momento in cui vede una bugia, ripetuta infinitamente da ormai un anno senza nemmeno uno straccio di prova a sostegno, il governo russo concluderà ovviamente che Washington sta preparando alla guerra il popolo americano. Mi è impossibile immaginare una politica più incosciente e sconsiderata di quella di distruggere la fiducia della Russia verso le intenzioni di Washington. Come ha detto Putin, la più grande lezione che gli ha insegnato la vita è che «se una battaglia è inevitabile, colpisci per primo».Se davvero volete sapere chi abbia ucciso il presidente Kennedy e perché, leggete “Jfk and the Unspeakable”. Sì, ci sono anche altri libri, con ricerche accurate, che potete leggere. Douglass conclude che Kennedy fu ucciso perché optò per la pace. Stava per iniziare a lavorare con Chruščëv per far finire la Guerra Fredda. Rifiutò la copertura della Cia per l’invasione della Baia Dei Porci. Respinse l’operazione Northwoods predisposta dagli Stati Maggiori: un piano per condurre attacchi sotto falsa bandiera contro gli americani per accusare Castro e giustificare un cambio di regime. Rifiutò di confermare il generale Lyman Lemnitzer al comando degli Stati Maggiori Riuniti. Disse al comandante generale della Marina statunitense David Shoup che era sua intenzione ritirare le truppe dal Vietnam. Disse che dopo la sua rielezione avrebbe «rotto la Cia in 1000 pezzi». Tutto questo era una minaccia per il complesso militare e della sicurezza, e fu questo che convinse esponenti di quei due apparati che egli era troppo morbido verso il comunismo e ciò rappresentava un rischio per la sicurezza nazionale.Il filmato del corteo, girato da Zapruder, mostra che il proiettile che uccise Kennedy lo colpì di fronte, facendo esplodere il retro della sua testa. Si vede la moglie di Kennedy, Jackie, alzarsi dal sedile della limousine per recuperare un pezzo della testa finito sul cofano. Altri filmati di turisti mostrano che pochi attimi prima dello sparo gli agenti del Secret Service vennero rimossi dalle vicinanze della limousine presidenziale per lasciare aperta la traiettoria dello sparo che doveva avere come bersaglio il presidente Kennedy. Esiste un filmato dove si vede un agente del Secret Service che protesta per l’ordine ricevuto. Ai dottori venne ordinato di falsificare le “prove” mediche, in modo che si potesse sostenere che Kennedy fu colpito da dietro. Addetti del corpo medico della Navy che assistevano i medici nel corso dell’autopsia testimoniarono che, con loro costernazione, ricevettero degli ordini dall’ammiraglio Calvin Galloway di ignorare qualunque ferita d’entrata nella parte anteriore del corpo. Uno di costoro disse, nel corso di una testimonianza: «All’improvviso capii che il mio paese non era molto meglio di un paese del terzo mondo. Da quel momento in poi non ho più avuto fiducia, né rispetto, per il governo».Il dottor Charles Crenshaw, uno dei dottori che furono costretti a mentire, successivamente ruppe il suo silenzio con un libro. Ne ricevette una violenta campagna mediatica di discredito. Il tenente comandante William Pitzer, direttore del reparto audiovisivo del Bethesda Naval Hospital, filmò l’autopsia. Il filmato mostra chiaramente il foro d’entrata sulla faccia. Pitzer venne trovato morto sul pavimento dello studio di produzione del National Naval Medical Center. Fu classificato come suicidio, dovuto a un colpo di proiettile. Come al solito. J. Edgar Hoover e l’Fbi sapevano che Oswald — che Douglass ritiene fosse a libro paga sia della Cia che dell’Fbi — fu mandato a Cuba su ordine della Cia per predisporre in anticipo un suo ruolo come capro espiatorio. Ovviamente a sua insaputa. Tuttavia, Hoover, assieme a Lyndon B. Johnson, Earl Warren e i membri della Warren Commission era consapevole dell’impossibilità di comunicare al popolo americano che il loro presidente era stato assassinato dai militari e dalle agenzie di sicurezza statunitensi.In una fase rischiosa della Guerra Fredda, sarebbe stato chiaramente sconsiderato distruggere la fiducia degli americani nel loro stesso governo. Finian Cunningham ha composto il riassunto di gran parte delle prove accumulate. Tutti gli esperti da tempo sono giunti alla conclusione che le affermazioni della Warren Commission furono una copertura. Io non sono un esperto. Non ho speso 30 anni o più, come Douglass, investigando, intervistando testimoni, esaminando le risultanze di morti non chiarite di altri testimoni, e ricostruendo i fatti con le voluminose informazioni disponibili. Se volete sapere cosa è successo, posate il vostro smartphone, spegnete il vostro schermo, e leggete il libro di Douglass o un altro libro analogo.(Paul Craig Roberts, “L’omicidio Kennedy”, dal blog di Craig Roberts del 28 ottobre 2017, ripreso da “Megachip” con traduzione a cura di Leonardo Mazzocchi e Giulietto Chiesa).Cari lettori, alcuni di voi stanno insistendo perché io continui a occuparmi della storia della sparatoria di Las Vegas, mentre altri mi chiedono come agire per sostenere il rilascio dei documenti relativi all’assassinio del presidente Kennedy. Apprezzo il fatto che voi siate interessati e insoddisfatti delle dichiarazioni ufficiali. La mia risposta è che già sappiamo molto di più di quanto sia scritto nei file, grazie ad esaurienti ricerche, quali il libro di James W. Douglass “Jfk and the Unspeakable” (Simon&Schuster, 2008). La mia risposta è anche che, indipendentemente da cosa sappiamo o quali siano i fatti, la versione ufficiale non verrà mai cambiata. Per esempio, sappiamo come fatto inconfutabile che Israele attaccò la Uss Liberty, infliggendo enormi perdite fra il personale della Us Navy, mentre il governo degli Stati Uniti continua a sostenere che si sia trattato solo di un errore, nonostante le dichiarazioni inequivocabili a sostegno del contrario da parte della Moorer Commission, diretta da Tom Moorer, ex comandante delle Operazioni Navali e capo degli Stati Maggiori Riuniti statunitensi.
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Veneto e Lombardia: liberi da Roma ma schiavi di Bruxelles
Super-autonomia di Veneto e Lombardia? Già, ma autonomia da cosa? Si sono dimenticati, Zaia e Maroni, di essere “sudditi” dell’Unione Europea? Non vendano facili illusioni, i governatori leghisti del Nord-Est, che oggi cantano vittoria per l’esito dei referendum consultivi indetti per chiedere lo statuto autonomo per le due Regioni: l’Italia non è più un paese sovrano, a prescindere dai margini regionali di autogoverno relativo. «Vogliamo tenerci il 90% delle tasse», annuncia Luca Zaia, forte del quasi-plebiscito appena incassato da quasi sei veneti di dieci. Minore l’affluenza in Lombardia, appena sopra il 38%, ma Maroni considera comunque un successo l’aver portato alle urne tre milioni di lombardi, lasciando capire che il governo Gentiloni sarebbe pronto a concessioni inedite. «Ma siamo sicuri che sia una cosa seria?». Se lo domanda Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, convinto di assistere a una sorta di recita che rischia di assomigliare a una farsa, proprio mentre «accadono cose surreali in Catalogna», dove il confronto tra Barcellona e Madrid appare «ben più gravido di conseguenze immediate», in una situazione nella quale «non si capisce chi abbia sbagliato di più, e chi soffi sul fuoco di chi».La sfida spagnola, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «è una vicenda talmente grossa che va riletta alla luce degli smottamenti più che sospetti che in tutta Europa si stanno verificando, in questo momento davvero cruciale». Di fronte a ciò, l’autonomismo del Lombardo-Veneto appare «stucchevole, strumentalizzabile». E poi: «Qual è la sua dimensione reale? Quali saranno le effettive conseguenze del voto?». Di una cosa, Magaldi è sicuro: «Stiamo perdendo il senso del reale, perché non è certo di più autonomie e statuti speciali che l’Italia ha bisogno». Un tempo, ammette Magaldi, «lo Stato centrale aveva competenze esorbitanti». Ma ora la situazione è completamente cambiata: «Lo Stato ha perso sovranità esattamente come l’ha persa il popolo, non solo in Italia ma in tutta l’Unione Europea: non si capisce più dove sia, oggi, la sovranità». E quindi, sostiene, anziché rifugiarsi nella dimensione regionalistica (e vale anche per Barcellona, probabilmente) sarebbe il caso di affrontare di petto l’intero problema della sciagurata governance europea: quindi non conta tanto «chi ha le prerogative per gestire», quanto «se lo fa nell’interesse della sovranità del popolo» oppure, come avviene ora, «per interessi che con il popolo hanno poco a che vedere».E chi dovrebbe aprirla, la vertenza vera – quella con Bruxelles? La politica, ovviamente: e qui arrivano le dolenti note. Rosatellum alla mano, l’immediato futuro non prospetta nient’altro che personaggi come Minniti o Gentiloni, ovvero «un qualche pesce lesso che vada bene sia per il centrodestra e che per il centrosinistra, verso l’ennesimo governo di bassissimo profilo». Renzi? Non l’ha ancora capito, ma si è auto-affondato: «E’ stato un grande bluff, ha capovolto l’iniziale simpatia in antipatia, che oggi diventa risentimento». Ha venduto una sorta di rivoluzione, ma poi ha partorito solo il Jobs Act, «che ha mostrato la faccia dura della precarizzazione del lavoro», e infine ha abortito una pessima riforma costituzionale. «Nel frattempo l’Italia continua a essere in discesa libera, con una burocrazia sempre asfissiante, una tassazione inverosimile e invereconda. E una disoccupazione crescente». Bilancio nero: «Non vedere questo è la follia di Renzi, e questa follia lo perderà, la discesa sarà rovinosa: non ha più alcuna chance di tornare a Palazzo Chigi».Intorno, comunque, il nulla, tra Salvini che serra i ranghi tornando sotto l’ala dell’inclassificabile Berlusconi, e i 5 Stelle che «non ci hanno ancora spiegato come vorrebbero davvero governare l’Italia». I “cespugli” attorno al Pd? Peggio che andar di notte: «Renzi, quantomeno, non ha sulle spalle le responsabilità di D’Alema, che ha governato male, né quelle di Bersani, incapace di farsi regista di un’alleanza coi 5 Stelle e, prima ancora, colpevole di aver supportato il governo Monti». Magaldi è tra i promotori di un nuovo progetto politico ancora in divenire (il Pdp, Partito Democratico Progressista) ma prende atto del fatto che, in Italia, sembra mancare il lessico fondamentale per voltare davvero pagina. Esempio: fa notizia che rinunci a candidarsi un uomo come Piercamillo Davigo, magistrato della Cassazione e già segretario dell’Anm, bandiera della lotta anti-corruzione dai tempi del pool milanese di Mani Pulite. «Non credo che la corruzione – che i magistrati come lui fanno bene a perseguire – sia il peggiore dei problemi italiani», precisa Magaldi, che aggiunge: «Sulla grande retorica della corruzione è stata distrutta una classe politica che era molto migliore di quella che l’ha sostituita».Nei giorni scorsi, la polemica su Tangentopoli ha vissuto l’ennesima fiammata nello scontro tra il filosofo Diego Fusaro e Antonio Di Pietro: il primo accusa il secondo di esser stato lo strumento di un “golpe bianco” per abbattere la Prima Repubblica, mentre per il leader dell’Italia dei Valori «il problema erano i politici ladri, non i magistrati». Politici che, secondo un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro, andavano comunque tolti di mezzo, ma non certo per ragioni morali: «A decapitare la Prima Repubblica non fu un colpo di Stato, ma un complotto internazionale». Il movente? Si voleva un’Italia completamente indifesa rispetto al progetto oligarchico dell’euro e dell’Unione Europea. Magaldi concorda: «Rispetto a questa traballante e pessima Seconda Repubblica, sarà sempre meglio una classe politica diversa, magari con sacche di corruzione, ma con un progetto chiaro». L’Italia era una potenza industriale tra le prime al mondo, con indicatori tutti in crescita. Poi, negli ultimi 25 anni, il declino. Atto d’inizio: la «macelleria politica fatta da Tangentopoli, con un risultato fallimentare: oggi abbiamo un’altra Repubblica, ugualmente corrotta, ma – a differenza della prima – senza più un progetto sovrano per il paese». E ora, data per persa l’Italia, c’è chi pensa davvero di rifugiarsi tra Brescia e Verona?Super-autonomia di Veneto e Lombardia? Già, ma autonomia da cosa? Si sono dimenticati, Zaia e Maroni, di essere “sudditi” dell’Unione Europea? Non vendano facili illusioni, i governatori leghisti del Nord-Est, che oggi cantano vittoria per l’esito dei referendum consultivi indetti per chiedere lo statuto autonomo per le due Regioni: l’Italia non è più un paese sovrano, a prescindere dai margini regionali di autogoverno relativo. «Vogliamo tenerci il 90% delle tasse», annuncia Luca Zaia, forte del quasi-plebiscito appena incassato da quasi sei veneti di dieci. Minore l’affluenza in Lombardia, appena sopra il 38%, ma Maroni considera comunque un successo l’aver portato alle urne tre milioni di lombardi, lasciando capire che il governo Gentiloni sarebbe pronto a concessioni inedite. «Ma siamo sicuri che sia una cosa seria?». Se lo domanda Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, convinto di assistere a una sorta di recita che rischia di assomigliare a una farsa, proprio mentre «accadono cose surreali in Catalogna», dove il confronto tra Barcellona e Madrid appare «ben più gravido di conseguenze immediate», in una situazione nella quale «non si capisce chi abbia sbagliato di più, e chi soffi sul fuoco di chi».