Archivio del Tag ‘clima’
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Climate change e siccità, verso l’estate più calda di sempre?
Dal punto di vista climatico, luglio è il mese più caldo dell’anno sulla Terra. Luglio 2015 era stato il mese più caldo di sempre, ossia da quando ci sono dati sufficienti a calcolare delle statistiche globali affidabili. Così aveva affermato la National oceanic and atmospheric administration (Noaa), l’agenzia americana che fornisce ogni mese una sintesi climatica del pianeta in base alle osservazioni a scala globale. Nel rapporto, Noaa sottolineava che in buona parte del mondo si era registrato un caldo anomalo. La temperatura di luglio 2015 (16,6°C) era stata quasi un grado superiore (+0,81°C) alla media del XX secolo (15,8°C) superando di 0,08°C perfino il record del 1998, l’anno fino ad allora più caldo dal 1880, cioè da quando si dispone di dati affidabili a scala globale. Con una temperatura più alta di 0,87°C, luglio 2016 aveva battuto l’anno precedente, il quarantesimo luglio in cui, senza soluzione di continuità, la temperatura terrestre era stata superiore alla media del XX secolo. La temperatura mensile (16,7°C) aveva superato di quasi un grado la media del XX secolo.Non è poco, perché vanno considerate tutte le temperature del mondo (emisfero australe incluso, dove ora è inverno) e comunque i primi sette mesi del 2016 avevano segnato una media di temperature superiore di più di un grado (1,03° C) rispetto alla media di tutto il XX secolo. Il 2016 e il 2015 avevano battuto anche il record del 2010 quando la variazione era stata di 0,16 gradi in più, con buona pace dei vati di uno iato climatico che non è mai esistito. E l’analisi regionale mostrava che, per tutti e sei i continenti, il mese di luglio 2016 si posizionava tra gli otto più caldi mai osservati. Invero, luglio 2016 era stato il più caldo in Austria dal 1767 e in Francia degli ultimi 40 anni, ma non in Svezia e Norvegia, sottolineando la crescente frattura geografica che caratterizza la dinamica del clima. Come andrà quest’anno? Nel trimestre da marzo a maggio la temperatura registrata a scala globale è stata la seconda più alta dal 1880, seconda solo a quella dello stesso periodo dell’anno precedente. La primavera austriaca è stata tra le dieci più calde degli ultimi 251 anni, in Francia la terza più calda dal 1900, nel Regno Unito la seconda più calda degli ultimi 108 anni.Le previsioni a medio termine del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf) indicano un’anomalia termica positiva in tutta Europa, esclusa la Scandinavia. Particolarmente elevata in Spagna; Francia centro-meridionale e Corsica; Italia tirrenica centrale, Piemonte e Lombardia, Puglia settentrionale e Sardegna; Peloponneso e Turchia. Ma la previsione a medio termine è tuttora un esercizio molto incerto e, riguardo all’estate del 2012, nel mio libro “The star grabber. L’uomo che rastrellava le stelle” scrissi: «Fu anche un’estate meno torrida di quanto previsto dai meteorologi. Come disse Mark Twain, il clima è quello che ti aspetti, il tempo quello che ti becchi. In verità, non è proprio sicuro che lo abbia detto lui, ma nulla è certo; e domani, magari, un altro esperimento confuterà pure l’esistenza del bosone». Non resta che vivere per sapere quanto caldo farà, mentre per il bosone ci si può rivolgere alla Commissione Grandi Rischi.Secondo Anton Céchov la gente non fa caso al freddo o al caldo, all’estate o all’inverno quando è felice. È lo stesso concetto che Riccardo del Turco cantava quasi 50 anni fa: «Luglio ha ritrovato il sole, non ho più freddo al cuore, perché tu sei con me». Era il 1968, l’epoca in cui l’umanità iniziava ad acquistare una nuova consapevolezza sulle minacce ambientali, ma dopo tutto questo tempo le minacce non sono diminuite, anzi. Perché insistere allora su posizioni ambientaliste senza futuro, se il prossimo futuro sarà scandito dal nuovo ordine mondiale iniziato nel 2017? Non sarà forse meglio cercare la felicità per resistere alla sfida del clima?(Renzo Rosso, “Siccità, quanto caldo farà a luglio? Dipende dal grado di felicità”, dal “Fatto Quotidiano” del 27 giugno 2017. Il professor Rosso è docente di idrologia a Milano).Dal punto di vista climatico, luglio è il mese più caldo dell’anno sulla Terra. Luglio 2015 era stato il mese più caldo di sempre, ossia da quando ci sono dati sufficienti a calcolare delle statistiche globali affidabili. Così aveva affermato la National oceanic and atmospheric administration (Noaa), l’agenzia americana che fornisce ogni mese una sintesi climatica del pianeta in base alle osservazioni a scala globale. Nel rapporto, Noaa sottolineava che in buona parte del mondo si era registrato un caldo anomalo. La temperatura di luglio 2015 (16,6°C) era stata quasi un grado superiore (+0,81°C) alla media del XX secolo (15,8°C) superando di 0,08°C perfino il record del 1998, l’anno fino ad allora più caldo dal 1880, cioè da quando si dispone di dati affidabili a scala globale. Con una temperatura più alta di 0,87°C, luglio 2016 aveva battuto l’anno precedente, il quarantesimo luglio in cui, senza soluzione di continuità, la temperatura terrestre era stata superiore alla media del XX secolo. La temperatura mensile (16,7°C) aveva superato di quasi un grado la media del XX secolo.
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Potere terrorista: teme il nostro risveglio e sa che perderà
Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.In una lunga conversazione con David Gramiccioli ai microfoni di “Radio Roma Capitale”, già qualche anno fa, Carotenuto esponeva dati precisi: «Fino a vent’anni fa, a puntare consapevolmente sull’impulso a migliorare le cose era solo il 7-8% della popolazione, piccoli gruppi, nicchie, mistici. Oggi invece siamo alla riscoperta diffusa dell’ecologia, del cibo sano a chilometri zero, delle terapie alternative, dei “corpi sottili”. Fino a due o tre generazioni fa, un animale era soltanto cibo, per noi. E un albero era destinato solo a diventare un mobile, o legna da ardere». E’ cambiato tutto, alla velocità della luce, per almeno un essere umano su tre: «Si sta diffondendo una enorme cultura nuova. E’ l’ingresso dell’amore nel pensiero: si chiama coscienza. E questa rivoluzione avanza, cresce del 3% ogni anno». Attenzione: «Quella della coscienza non è l’unica rivoluzione che può cambiare il mondo: è l’unica che lo sta cambiando. Sta già avvenendo». Secondo Carotenuto, la “voglia di migliorare il mondo” è qualcosa di epocale: «E’ l’evento storico di massa più importante dell’umanità in duemila anni, anche se nessun talkshow ne parla. Al contrario: i media sono intasati di notizie infernali: crisi, guerra, terrorismo. Non a caso, secondo Carotenuto: «Il sistema dei poteri oscuri sta cercando di difendersi, mettendoci paura. Ma non ci riuscirà. E’ lui ad avere paura, perché vede benissimo quello che sta accadendo, e che i media non raccontano».Poteri oscuri: quelli per cui lo stesso Carotenuto ha lavorato, dapprima inconsapevolmente, per molti anni. Oggi, nella visione spiritualistica a cui è approdato, li chiama “forze dell’ostacolo”. E spiega: «In fondo, il male è una tattica del bene. In qualche modo ci aiuta a svegliarci. Se non avessimo qualcuno che ci dà il cattivo esempio, la nostra coscienza continuerebbe a dormire». Traduzione politico-spirituale: anche se l’élite “oscura” è ben lontana dal capirlo, «il ruolo ultimo di questa minoranza così cattiva, che ci governa da millenni, è proprio quello di svegliare la nostra coscienza». Un “training” involontario nonché spietato, feroce: «Dai campi magnetici, ai vaccini, alla politica: tutto è fatto per impedire il nostro risveglio». Ma i super-poteri sono in difficoltà: stanno verticalizzando i centri di controllo proprio per sottrarre sovranità e democrazia a questa nuova umanità “pericolosa”, che si starebbe svegliando. «Riducono i partiti, svuotano le Province, tolgono potere ai Comuni, alle Regioni. Ma è un’operazione difensiva: stanno perdendo pezzi. Questi poteri sono gli stessi che, ieri, controllavano le mafie, le lobby, la corruzione locale, i politici. Pur di verticalizzare, stanno obiettivamente combattendo lobby, mafie, scandali: per dare una ripulita, altrimenti la verticalizzazione non si può fare. Abbattono una classe politica corrotta, che era la loro, per sostituirla con una classe politica più pulita, più verticale e più forte contro le coscienze».Inforcando gli occhiali del suo vecchio mestiere, Carotenuto osserva l’evoluzione geopolitica in corso: «Hanno distrutto il laicismo nei paesi islamici. Iran, Egitto, Iraq, Siria, Tunisia, persino Libia. Obiettivo: radicalizzare l’Islam per fabbricare nemici, indispensabili per giustificare guerre e armamenti. Dopo il crollo dell’Urss dovevamo smontarla, la Nato. E invece quella struttura è cresciuta ancora, grazie a nemici artificiali: molti paesi islamici sono stati assegnati ai peggiori nemici dell’Occidente». L’ultima “invenzione” si chiama Isis. Serviva, «per rimpiazzare quella cosa ormai ridicola, non credibile, che era Al-Qaeda». Ma è tutto inutile, giura Carotenuto: «La gente, ad ogni latitudine, continua a svegliarsi giorno per giorno. Capisce che non può più fidarsi del mondo del potere. Si sta creando un mondo parallelo, solidale, senza più commistioni. Tutti ormai capiscono che il livello decisionale non è quello dei politici: la stanza dei bottoni è altrove». Il politico si limita a eseguire decisioni superiori, imposte da chi «decide di autorizzare un vaccino particolare, o un Ogm», anche con l’aiuto di «forme-pensiero orribili, devastanti», quotidianamente alimentate dal mainstream, «in trasmissioni come quelle di Bruno Vespa».Controllo dei circuiti e delle strategie: sono «coperture culturali, che poi vengono affiancate ai capi politici per guidarne i passi». Il frontman di turno magari si chiama Giuliano Amato o Romano Prodi, ma ha alle spalle «think-tanks politici, culturali e finanziari». Insiste Carotenuto: «Non se ne parla mai. Ma sopra il livello della politica c’è quello dei professori. Quando la politica viene ritenuta inadatta, si prende un professore e lo si mette a fare il politico. Ciampi, Prodi, Monti. In altri paesi si mette un Kissinger vicino a Nixon, un Brzezinski vicino a Carter. Proprio Brzeziznki l’ha detto chiaramente: il principale pericolo, per il potere, è il risveglio delle coscienze. E’ stato lucido: per la prima volta, una cosa così vera è stata affermata da un professore del potere», cioè del circuito universitario internazionale, «controllato da elementi religiosi e massonici», che svolge «un’operazione di fondo, molto forte, sulle forme-pensiero: e noi viviamo, in quelle forme-pensiero». Come sottrarsi alla morsa di questa manipolazione? «Basta guardarsi intorno, e dire: voglio migliorare la scuola dei miei figli, il parco vicino a casa. Voglio fare un’associazione che lo protegga, voglio alimentare il biologico. Mettiamo l’amore nella nostra vita quotidiana. Questa è l’unica arma per rivoluzionare veramente il mondo. E sta già funzionando: non facciamoci distrarre».Sul piano ufficiale e pubblico è una rivoluzione ben poco visibile, ammette Carotenuto: «Sui media non c’è, perché su questo c’è una congiura del silenzio. Non ci fanno talkshow, non ne parlano i giornali. Ma noi abbiamo occhi e orecchie. Se guardiamo le nostre famiglie, vediamo benissimo quanta gente ha cambiato orientamento o lo sta facendo. Anni fa, se facevi questi discorsi ti prendevano per matto. Adesso invece c’è sempre qualcuno che ti ascolta. Questa è la rivoluzione». Il risveglio è così forte, dice Carotenuto, da spingere i poteri a cercare in ogni modo di controllarlo. E’ stato fatto fin dall’inizio, infiltrando le associazioni pionere, portatrici di valori positivi. «Hanno detto: facciamole noi, le organizzazioni che si occupano dei loro temi. E così, appena nato l’ecologismo, hanno preso il principe Filippo (cacciatore) e il principe Bernardo d’Olanda (fondatore del Bilderberg, commerciante d’armi, piduista, petroliere Shell) e gli hanno fatto fondare il Wwf nel 1961».Carotenuto poi accende i riflettori su una «figura stranissima» come quella di Maurice Strong, grande petroliere canadese, «condannato negli Usa perché voleva appropriarsi di risorse idriche». Bene, quel signore è stato al vertice per 30-40 anni dell’ecologismo in sede Onu: è stato lui a organizzare le conferenze sul clima, da Kyoto a Stoccolma. Sono tutte fallite? «Logico: erano state create apposta per fallire. Per indurre l’idea che gli Stati sono incapaci. Per risolvere i grandi problemi, dicono, serve il super-Stato mondiale, il loro vero obiettivo». Sempre Strong ha redatto anche la Carta della Terra insieme a Gorbaciov, «che tutti considerano un santo», e di cui invece Carotenuto fornisce un profilo in controluce: «Era il pupillo di Andropov, ha messo ovunque uomini del Kgb trasformando l’Urss nel regno dei servizi segreti. Poi, con la Perestrojka, ha dato loro – privatamente – le risorse del paese. Adesso chi governa la Russia? Putin, che era un uomo del Kgb. Questa è stata l’operazione di Gorbaciov, e gli hanno dato il Nobel per la Pace».Gorbaciov se non altro ha “liberato” l’Est Europa, contribiendo ad archiviare l’incubo della guerra fredda. Ma il Nobel per la Pace l’hanno dato anche a Obama, «che per la pace nel mondo non ha fatto assolutamente niente». La vera funzione del Nobel? «Creare dei “santi” laici, con una credibilità fittizia». Il problema sta nel manico: Alfred Nobel, l’industriale della dinamite, aveva pessima fama. «Si era sparsa la voce, falsa, che fosse improvvisamente morto. Lui lesse i “coccodrilli” sui giornali: l’avevano trattato malissimo. Così, con l’Accademia di Stoccolma istituì il premio, per “ripulire” la propria immagine. Quindi il Nobel, in partenza, nasce da una non-verità». E’ l’ennesima maschera dei lupi che si travestono da agnelli: il potere che si accaparra il monopolio dei buoni sentimenti. Dal Nobel ai grandi think-tanks, stessa dinamica: centralizzare il futuro, sottrarlo alle persone comuni. Aurelio Peccei, braccio destro di Vittorio Valletta, esportò la Fiat nell’Urss. Poi negli anni ‘70 venne incaricato di fondare il Club di Roma. Tanti professori, grandi esponenti politici. E spuntò la tesi del super-Stato mondiale.«Verticalizzare il potere per frenare le coscienze, vecchia storia», osserva Carotenuto. «Dalla Prima Guerra Mondiale si uscì con la Società delle Nazioni, che non funzionò. Dalla Seconda si uscì con l’Onu. Il Club di Roma disse: non ce la faremo, la sovrappopolazione esplode, i consumi esauriranno le risorse della Terra in pochi anni. Ne avessero azzeccata una… Così, avendo sbagliato tutte le previsioni, si sono dedicati ad altro: il mutamento climatico, con Al Gore, uno dei loro». Beninteso: «Non è che questi problemi non esistano, sono importanti. Ma vengono forzati nel ragionamento: catastrofe assicurata, se in pochi anni non si arriva al super-Stato mondiale». Cioè la tattica in apparenza autolesionista di Maurice Strong all’Onu: far fallire le conferenze sul clima. Il guaio è che «il potere è in tutti i poteri», sintetizza Carotenuto. «Più è centrale e multinazionale, e più è facile che lobby, massonerie e congreghe varie riescano a determinare le nomine, figurarsi a livello di Ue. Ma voi Van Rompuy l’avete mai conosciuto? E Barroso? Chi sono? Perché stavano lì? Sono stati imposti da poteri che non si possono definire chiari».Peccano di scarsa chiarezza, secondo Carotenuto, anche movimenti che sembrano trasparenti come quello di Grillo: «I militanti sono bravi ragazzi, vorrebbero davvero migliorare il mondo. Ma non vedono che la “casa” del loro leader non è di vetro. E il non chiaro, il non conosciuto, è sempre lo spazio di una coscienza che non è la tua, ma è quella di qualcun altro». Certo il Belpaese è un po’ un caso a parte: «L’Italia è veramente un rebus, per il mondo dei poteri, perché è quasi incontrollabile. Gli italiani hanno una immensa risorsa, che è la fantasia». In qualche modo, sono riusciti a sopravvivere anche all’attacco più duro, l’omicidio di Aldo Moro, che per Carotenuto «era rimasto il coagulo di quello straordinario gruppo di uomini usciti dalla Resistenza, gli artefici della Costituzione: tutto volevano, tranne che svendere l’indipendenza dell’Italia, la sovranità e la dignità umana». Eliminato Moro, «c’è stato il dilagare dei poteri oscuri, che volevano togliere di mezzo l’indipendenza e la dignità italiana, la dignità umana in Italia». Hanno vinto? No, perché «tutti noi, oggi, siamo in grado di raccogliere quel messaggio: sempre di più vediamo chi sono questi poteri. E quindi la risposta è: mettiamo più amore in quello che facciamo».Non è una passeggiata: «Una delle cose che vogliono questi poteri è suscitare l’odio. Se uno odia, pensa che la colpa è sempre degli altri, e non fa mai niente. Pensa sempre di essere migliore, e non si migliora. E così il suo livello di coscienza rimane basso». La soluzione più semplice? «Amare di più, intorno a sé. E questo distrugge il mondo del potere, veramente». Un grande intellettuale dissidente come il linguista Noam Chomsky si chiede spesso: cosa possiamo fare? «La differenza rispetto a me – dice Carotenuto – è che Chomsky non ha una visione spirituale, quindi non ha speranza, in fondo. Io ho più di una speranza: ho una certezza. Perché il risveglio è già in corso. L’amore sta già trasformando il mondo: ce ne dobbiamo solo accorgere. E organizzarlo un po’ alla volta, senza la pretesa di abbattere il potere: perché il potere si scioglie dal di dentro». Qual è la base delle grandi piramidi di potere? Siamo noi: «Sono le nostre stesse scelte quotidiane, in favore del potere: compro il prodotto sbagliato, esprimo il voto sbagliato». Il rimedio? La crescita della coscienza: «Man mano che noi cresciamo, le piramidi crollano. E i grandi poteri lo sanno: per questo hanno paura, e stanno diventando sempre più violenti. Basta non farsi impressionare dal loro frastuono: stanno per cadere a pezzi, travolti dalla nostra rivoluzione inarrestabile, fondata sulla consapevolezza». Conclude Carotenuto: l’arma segreta si chiama amore, ed è invincibile: «Amore significa: voler fare un bene che ancora non c’è. E’ una forza inarrestabile, che silenziosamente sta già trionfando».Il mondo sta saltando in aria? No: stanno cercando di far saltare in aria noi, che è diverso. «Ma non ci riusciranno. Saranno loro, invece, ad arrendersi. E questa è la buona notizia: la migliore, da duemila anni a questa parte». Fausto Carotenuto, analista geopolitico di lungo corso, esibisce un incrollabile ottimismo: da quando ha abbandonato la sua vita precedente, di consigliere “senior” a livello mondiale per le reti di intelligence della Nato, ha imboccato una via senza ritorno, quella che definisce «il risveglio delle coscienze, cioè la cosa che i grandi poteri più temono, in assoluto». E avverte: «Siamo di fronte a un evento storico inedito, senza precedenti: un terzo dell’umanità si sta semplicemente risvegliando. E non era mai accaduto, in passato, con queste proporzioni, a livello di massa». E’ una tesi sulla quale Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, insiste ormai da anni, forte anche delle ammissioni di organismi internazionali come il Club di Budapest: è tutto vero, almeno il 30% dell’umanità, in ogni continente, ha smesso di “farsi la guerra”, alla competizione preferisce la collaborazione. Non si fida più della politica e dell’economia. Pratica la solidarietà, ama la natura, fa precise scelte di vita. Va verso un orizzonte che al potere fa orrore: ed è per questo che i grandi poteri, oggi più che mai, puntano sulla guerra e sul terrorismo. Hanno paura.
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Harry Potter all’Eliseo: partiti (e cittadini) non servono più
Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.E’ la fotografia – inquietante – che ormai scattano, sul fronte web, gli analisti più critici e pessimisti, allarmati da quello che appare uno scenario quotidiano di guerra, alimentato da crisi continue (economiche, finanziarie, climatiche, demografiche) e devastazioni sempre più dirompenti, di cui l’esodo biblico dei migranti sembra solo la vetta di un iceberg che persino gli osservatori meglio documentati faticano a misurare per intero, data la sua imponderabile vastità, in continua evoluzione. Un terremoto costante, senza più argini da parte di alcuna istituzione: il diritto internazionale sembra un residuato archeologico, smarrito nel feroce caos quotidiano, tra proiezioni, statistiche e “fake news” televisive, dove nessuno sembra in grado allungare davvero lo sguardo nemmeno sul semestre seguente, nell’unica certezza che il potere – quello dei veri decisori – sia lontanissimo, irraggiungibile e neppure coeso, ma dilaniato al suo interno da scontri durissimi. Guerre segrete senza quartiere, di cui al pubblico, qualche volta, può arrivare soltanto l’eco. Nonostante questo, si recita – ancora – lo spettacolo delle elezioni, la democrazia rappresentativa, che sa ancora generare fenomeni di auto-ipnosi fino alla tifoseria, dalla Brexit al referendum italiano, dal voto per la Casa Bianca a quello per la presidenza francese.I soliti esperti si affrettano a dichiarare chiusa la partita, in Francia, con la scontata vittoria di Macron, mentre altri osservatori – come il direttore di “Limes”, Lucio Caracciolo – preferiscono la prudenza: messi insieme, i due candidati antisistema (Le Pen e Mélenchon) sono il “primo partito” francese, e non è detto che i grandi sconfitti del primo turno riescano a far convergere i loro voti sul “maghetto” dei Rothschild. Che cosa poi riuscirebbe davvero a fare la Le Pen, se eletta, non è dato immaginarlo. Se non altro, il suo Front National è un super-partito a tutto tondo, tradizionale, fatto di sezioni e votazioni congressuali. Un “luogo della democrazia” dove il consenso cresce per gradi, confrontando opzioni e programmi. Cioè esattamente quello che è andato scomparendo altrove, dall’ectoplasma post-politico del Pd renziano fino all’estremo esperimento “apartitico” di Macron, che celebra l’estinzione definitiva dell’entità-partito come ponte, teorico e pratico, tra il cittadino e l’istituzione. Sembra il compimento del Vangelo di Lewis Powell, 1971: svuotare la democrazia per demolire la sinistra dei diritti sociali, da cui l’azione della Trilaterale e i cantori della “crisi della democrazia”. Un piano inclinato, inesorabile: la Guerra del Golfo, e l’11 Settembre, il Medio Oriente trasformato in inferno per profughi. Fino alla follia della guerra con la Russia, subita da un’Europa letteralmente frastornata, messa in croce dall’Eurozona.Rassegnatevi: i partiti non servono, non serviranno più. E’ il messaggio che proviene dal mezzo successo francese di Macron. Mettetevi l’anima in pace: è finita per sempre l’epoca delle assemblee, dei delegati. E’ già nella spazzatura della storia, insieme ai sindacati. E in Italia, la presunta alternativa in campo – il Movimento 5 Stelle – è guidato da un leader che licenzia chiunque non gli piaccia. Non è mai stato celebrato un solo congresso. Le periodiche votazioni, che pure avvengono, si svolgono online. E chi partecipa può scegliere solo in base a un menù predefinito, a monte, da un vertice-fantasma che nessuno ha eletto. L’avatar Macron è il futuro che ci aspetta? Certamente sì, scommettono i più esasperati, se i cittadini non si decidono a riappropriarsi della loro sovranità essenziale, fondata sulla partecipazione. Gli strumenti di ieri sono tutti caduti, archiviati, rottamati. Per contro, cresce la frustrazione degli esclusi, che sospettano di essere ormai la grande maggioranza. Un vastissimo popolo, ancora immobile. Strattonato dalle crisi a testata multipla – lavoro, sicurezza – e intimidito ogni giorno da notizie spaventose, attentati, previsioni angoscianti. La scomparsa del futuro è ormai spacciata per normalità. Il calcio tiene ancora banco, più che mai. E nelle tabaccherie furoreggia il Superenalotto. C’è chi sostiene che i grandi decisori siano inquieti, che temano la rabbia dei delusi, elettoralmente espressa dai cosiddetti populismi. Ma basta fare un giro su Facebook, su WhatsApp, per scoprire che non ci sono rivoluzioni culturali in vista.Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo, funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.
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Harvard ammette: scie chimiche per “raffreddare” il sole
Oscurare il cielo, per raffreddare la Terra. Contrordine, ragazzi: le scie chimiche esistono, e sono utili, anzi utilissime. A spiazzare i “negazionisti” ora è un team di ricercatori dell’università statunitense di Harvard, che ha messo nero su bianco un progetto già in fase di attuazione: mettere in volo palloni sonda al fine di disseminare il cielo di una nube chimica di particolato, allo scopo dichiarato di ridurre le temperature terrestri. “Uno scudo chimico contro il global warming”: la notizia è stata prontamente ripresa da tutti i principali media, dalla “Bbc” al “New York Times”, e in Italia anche dal mensile “Focus”, «in passato tra i più feroci oppositori di queste teorie», scrive Riccardo Pazzirani su “Luogo Comune”. «Come sostenuto dai ricercatori “complottisti” che studiano la geoingegneria clandestina e l’effetto di “global dimming” delle scie chimiche, basta irrorare una piccola percentuale del cielo per aumentare significativamente la capacità dell’atmosfera di riflettere i raggi solari: basterebbe l’1% del cielo». Ma il progetto di Harvard si spinge anche più in là, proponendo di «irrorare dal 2 al 4% del cielo per abbassare le temperature di 1,5 gradi centigradi, per riportare la temperatura ai livelli terresti pre-industriali».Afferrato il senso della proposta, continua Pazzirani, bisognerebbe chiedersi «se è opportuno, etico e giusto» portare avanti un progetto così estremo e rischioso, concepito per «controbilanciare l’imponente consumo di petrolio e altri combustibili fossili, senza minimamente ridurlo». Di fatto, con le scie chimiche, «aggiungiamo altro inquinamento volontario per oscurare il cielo», sperando di «restare al fresco e continuare a bruciare carburanti». Non solo: «La parte più ridicola della stesura del progetto dev’essere stata quella di evitare di menzionare l’uso degli aereoplani, che sono il mezzo più logico per fare queste irrorazioni rapidamente e dove serve, per cercare di dissimulare il fatto che queste cose vengano fatte anche adesso». Eppure, appena tre anni fa, quando il progetto era ancora in fase di sviluppo, la pubblicazione ufficiale di Harvard non si faceva grossi problemi a mettere nelle immagini gli aerei. Anche la recentissima intervista di “The Verge” all’ideatore del progetto mostra che alcuni velivoli vengono mandati oltre la troposfera, nella stratosfera (a 15 chilometri di altitudine) per rilasciare i composti chimici selezionati: le scie che poi restano visibili nel cielo.La versione con i palloni al posto degli aerei «è stata quindi ripescata dal progetto del 2011 con cui collaborava anche Cambridge, dove palloni sonda delle dimensioni dello stadio di Wembley sarebbero dovuti restare in volo e collegati con un tubo di 20 chilometri con la nave sottostante, che avrebbe pompato in atmosfera più di un milione di tonnellate di composto chimico all’anno». Fino allo scorso anno, continua “Luogo Comune”, il progetto prevedeva il rilascio di solfati, che – assieme all’ossigeno e all’acqua presenti in sospensione nella stratosfera – si sarebbero combinati insieme per realizzare acido solforico in sospensione: «Un vero incubo per le relazioni pubbliche, dover spiegare che per combattere il global warming dovevamo accettare di spargere acido solforico in atmosfera». Così ora si racconta di prevedere «una prima fase esplorativa, in cui verrà rilasciato innocuo vapore acqueo», ma è già stabilito che «dal 2022 si provvederà ad irrorare ossido d’alluminio, cioè l’allumina: un sottorpodotto della bauxite usato nell’industria del vetro per aumentare la riflettività delle superfici». Un video trasmesso dal Tg2 «si premura di ricordarci che queste particelle saranno piccolissime: un millesimo di millimetro». Obiettivo: «Sminuire il pensiero che questo materiale, una volta inalato, possa causare dei problemi».Dopotutto, sottolinea Pizzirani, anche la polvere dell’eruzione del Pinatubo, il vulcano delle Filippine “esploso” del 1991, era rimasta in aria per un paio d’anni: poi è ricaduta al suolo, sulle persone, sui corsi d’acqua, sulle coltivazioni. Il giornalista del Tg2 dice che le particelle saranno piccolissime? Male: «Più piccole sono le particelle e più strati protettivi del nostro apparato respiratorio esse riescono ad oltrepassare». Il particolato Pm1 (un millesimo di millimetro) «può oltrepassare il naso, la laringe e i bronchi, per andare a fissarsi proprio negli alveoli». Curiosamente, «c’è anche qualche scienziato che è contrario all’idea del progetto: pare che ci sia un motivo se le modificazioni climatiche su scala planetaria sono proibite dall’Onu». Il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite ricorda infatti che «alterare la temperatura può portare scompensi imprevisti nel ciclo naturale delle precipitazioni». E uno studio del 2013 del Met Office mette esplicitamente in relazione le polveri sottili in sospensione con una posibile carestia da siccità in Africa. E anche senza pensare alle ricadute di ossido d’alluminio, cosa accade alla vegetazione se si oscura il cielo? E cosa succede alle alghe e all’intero ecosistema marino?Il costo iniziale del progetto è irrisorio: appena 20 milioni di dollari. Già trovati i primi finanziatori: 7 milioni li versa un consorzio di Ong e fondazioni, tra cui quella dell’immancabile Bill Gates. «Ma questo è solo l’inizio: a regime, il progetto dovrebbe costare intorno a 10 miliardi di dollari all’anno». Amara conclusione: le rivelazioni ufficiali sul progetto di Harvard mettono finalmente in ridicolo le schiere (chilometriche) di autorevolissimi “esperti”, come quelli del Cicap di Piero Angela, che parlavano di “complotto delle scie chimiche” per screditarne i sostenitori. “La bufala delle scie chimiche”, la chiamava, fino a poco fa, anche una rivista come “Wired”. «Harvard oggi ci spiega che con le scie chimiche ci guadagna il consumismo sfrenato, e in particolare chi può continuare a vendere carbone e petrolio, a discapito degli umani, degli animali e della vegetazione di tutta la terra», chiosa Pizzirani. «Fa un po’ meno ridere così, vero? Farà ridere ancor meno la prossima volta, quando ci diranno che questa scelta era così obbligata che sono anni che è stata già presa, e queste cose già le fanno».Oscurare il cielo, per raffreddare la Terra. Contrordine, ragazzi: le scie chimiche esistono, e sono utili, anzi utilissime. A spiazzare i “negazionisti” ora è un team di ricercatori dell’università statunitense di Harvard, che ha messo nero su bianco un progetto già in fase di attuazione: mettere in volo palloni sonda al fine di disseminare il cielo di una nube chimica di particolato, allo scopo dichiarato di ridurre le temperature terrestri. “Uno scudo chimico contro il global warming”: la notizia è stata prontamente ripresa da tutti i principali media, dalla “Bbc” al “New York Times”, e in Italia anche dal mensile “Focus”, «in passato tra i più feroci oppositori di queste teorie», scrive Riccardo Pizzirani su “Luogo Comune”. «Come sostenuto dai ricercatori “complottisti” che studiano la geoingegneria clandestina e l’effetto di “global dimming” delle scie chimiche, basta irrorare una piccola percentuale del cielo per aumentare significativamente la capacità dell’atmosfera di riflettere i raggi solari: basterebbe l’1% del cielo». Ma il progetto di Harvard si spinge anche più in là, proponendo di «irrorare dal 2 al 4% del cielo per abbassare le temperature di 1,5 gradi centigradi, per riportare la temperatura ai livelli terresti pre-industriali».
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Clima impazzito: c’è il rischio di mezzo miliardo di profughi
Succede in Louisiana, Brasile, New York, Australia, Thailandia, Filippine, Alaska. Succede un po’ dappertutto per le comunità di mare. Gente che vive sulle coste e che deve abbandonare le proprie case per colpa di erosione, innalzamento dei livelli del mare, tempeste violente, perdita di terreno. Secondo un recente articolo pubblicato su “Nature Climate Change”, sono circa 1 milione le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Per la precisione 1 milione e 300mila. E mentre fino a pochi anni fa si cercava di proteggere quello che c’era, adesso l’atteggiamento prevalente è di andare via. Cosa fare infatti con l’arrivo di mareggiate senza precedenti, allagamenti e continuo innalzarsi del mare? Si possono alzare le strade e le case, cercare di proteggere le lagune, migliorare i codici con cui si costruisce. Ma si può anche decidere di lasciare perdere, visto che i costi sono elevati, ed è certo che il clima e l’ambiente non torneranno quelli di prima. È questo il dilemma delle comunità costiere.Storicamente, migrazioni di massa collegate alle condizioni climatiche sono molto ben documentate, e quello che viviamo adesso – appunto il milione e trecentomila anime che hanno dovuto lasciare le proprie case – è la manifestazione dei nostri tempi del problema. Durante il secolo 1900-2000 i livelli del mare si sono innalzati di ben dodici centimetri. Le previsioni sono di varie decine di centimetri in questo secolo. Secondo alcuni studi circa 470 milioni di persone perderanno la casa. Alcuni ricorderanno l’uragano Sandy che colpì le coste del New Jersey nel 2012: molte delle case sono state rasate al suolo e mai piu ricostruite. Dopo il tifone Haiyan del 2013 le Filippine hanno messo il divieto di costruire a cinquanta metri dalla costa e hanno forzato l’evacuazione di 80.000 persone. Dopo lo tsunami del 2004, almeno 22.000 case sono state perse e non più ricostruite in zone costiere. A volte la gente via via in modo preventivo, e cioè prima che ci siano i disastri: le città vengono evacuate perché i cambiamenti climatici stanno piano piano portando via coste e case e non si vuole aspettare “il grande evento”.In Louisiana accade lo stesso: qui l’erosione dovuta alle estrazioni di petrolio e di gas ha fatto perdere case, terreni e coste. Il caso più eclatante è quello di Shishmaref in Alaska, città costruita sul ghiaccio e che è destinata a morire. Siamo a 160 miglia dalla Russia, il ghiaccio scompare. Nevica sempre di meno, e sempre più tardi e il ghiaccio si scioglie prima o neanche si forma. L’erosione monta. L’assenza di ghiaccio fa sì che durante le tempeste pezzi interi di costa vengono triturati e finiscono in mare, senza protezione. Una delle case è già crollata in mare nel 2006. Norman era un ragazzino che nel 2007 cadde risucchiato dal ghiaccio di Shishmaref che si scioglieva e morì. Ogni secondo pompiamo in atmosfera 1.200 metri cubi di CO2. Il pianeta si è surriscaldato, in media di un grado centigrado dalla rivoluzione industriale ad oggi, una enormità. L’Artico ha avuto livelli di aumento di temperatura doppi che il resto del pianeta. In Alaska ci sono almeno trentuno villaggi a rischio di scomparire, come Shishmaref: dodici di questi villaggi stanno cercando di capire dove e come evacuare, perché sanno che non c’è speranza.Siamo noi a causare tutto ciò, bruciando fonti fossili a ritmi allarmanti. Se l’obiettivo è di contenere l’aumento della temperatura a due gradi centigradi, una sola cosa si deve fare: non pompare mai più petrolio. Dall’altra parte del mondo, le isole Kiribati, le isole Marshall, le isole Fiji. Lontanissme dall’Alaska ma tutte che rischiano di scomparire. Isle di Jean Charles in Louisiana che pure sprofonda a causa dei cambiamenti climatici. A Miami Beach, Florida, hanno dovuto installare pompe speciali per evitare allagamenti, collegati all’erosione. Non tutte le comunità hanno i soldi per programmare l’evacuazione e la risistemazione delle persone. È costoso, la gente è vulnerabile, è una strada a senso unico.A Shishmaref sanno che non hanno scelta, e cosi la città ha deciso di evacuare prima che il mare porti via tutto. Ma non hanno i soldi. E dove evacueranno? Non si sa, forse verso l’interno. Ma questo significa perdita di identità: la maggior parte delle persone qui vive di pesca e di caccia e di tradizioni Inupiat collegate al mare. Saranno lo stesso popolo? Perché devono evacuare loro, se il loro stile di vita, di indigeni, è molto meno impattante di quello di centinaia di milioni di persone che sprecano, bruciano, e generano molto più inquinamento e emettono molta più CO2 di loro?(Maria Rita D’Orsogna, “Un milione di profughi del clima”, da “Comune-info” del 10 aprile 2017. Fisica e docente all’Università statale della California, la professoressa D’Orsogna cura diversi blog, consapevole dell’importanza dell’informazione indipendente).Succede in Louisiana, Brasile, New York, Australia, Thailandia, Filippine, Alaska. Succede un po’ dappertutto per le comunità di mare. Gente che vive sulle coste e che deve abbandonare le proprie case per colpa di erosione, innalzamento dei livelli del mare, tempeste violente, perdita di terreno. Secondo un recente articolo pubblicato su “Nature Climate Change”, sono circa 1 milione le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Per la precisione 1 milione e 300mila. E mentre fino a pochi anni fa si cercava di proteggere quello che c’era, adesso l’atteggiamento prevalente è di andare via. Cosa fare infatti con l’arrivo di mareggiate senza precedenti, allagamenti e continuo innalzarsi del mare? Si possono alzare le strade e le case, cercare di proteggere le lagune, migliorare i codici con cui si costruisce. Ma si può anche decidere di lasciare perdere, visto che i costi sono elevati, ed è certo che il clima e l’ambiente non torneranno quelli di prima. È questo il dilemma delle comunità costiere.
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La fine del mondo c’è già stata: lo dice la stele dell’Avvoltoio
Undicimila anni prima di Cristo uno sciame di comete colpì la Terra devastandola, modificando l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, provocando l’estinzione di molte specie come quella dei mammut e causando un’era glaciale che durò mille anni. Lo afferma un gruppo di ricercatori dell’università di Edimburgo, che ha trovato la narrazione di questo cataclisma nel più antico libro di storia esistente: i bassorilievi portati alla luce nel 1995 nel sito archeologico di Gobekli Tepe, nel Sud della Turchia. All’annuncio della scoperta, i sostenitori della teoria secondo la quale antiche civiltà avanzate sono state distrutte da eventi catastrofici hanno esultato, e sono pronti a scrivere nuovi libri di successo. Una stele in particolare, quella chiamata “dell’avvoltoio”, ha attratto l’attenzione degli scienziati di Edimburgo. Riproduce attraverso simbolismi animali una serie di costellazioni, indicandone la posizione nel cielo. Grazie all’aiuto di un computer, è stato possibile stabilire che le stelle si trovavano in quel punto esattamente nel 10.950 a.C., alla fine del Pleistocene. Altri bassorilievi riproducevano la caduta dello sciame di comete e un uomo senza testa indicava la perdita di molte vite umane.La stele è importante perché conferma eventi che già conoscevamo, come il periodo glaciale noto come Dryas Recente (dal nome di un fiore della tundra) e l’anomalia dell’iridio osservata in Nord America, risalente all’11-10.000 a.C.: l’iridio è poco presente nel suolo e quando in uno strato geologico se ne trova molto di più, vuol dire che un meteorite o una cometa lo hanno portato sulla Terra, come avvenne nell’estinzione dei dinosauri. Per il professor Martin Sweatman, direttore della ricerca pubblicata su “Mediterranean Archaeology”, «questa scoperta, insieme all’anomalia dell’iridio, chiude il caso in favore dell’impatto di una serie di comete». Gobekli Tepe è il tempio più antico dell’umanità e pare fosse dedicato all’osservazione delle comete e dei meteoriti. I bassorilievi che narrano la catastrofe dell’11.000 a.C. erano tenuti in grande considerazione e conservati con cura, come se fosse importante non perderne la memoria. Inspiegabilmente, in epoca preistorica, il sito venne abbandonato e completamente ricoperto di terra, perché nessuno lo potesse individuare.Archeologi e antropologi collocano nel Dryas Recente l’inizio della civiltà umana, con le prime coltivazioni e i primi villaggi del Neolitico. Ma per altri ricercatori, che il mondo accademico non tiene in alcuna considerazione, la caduta delle comete ha causato la fine di una civiltà che già esisteva sulla Terra e ha costretto gli esseri umani sopravvissuti a un nuovo e faticosissimo inizio. Graham Hancock, nato a Edimburgo, ha scritto molti libri su questo tema e nell’ultimo, “Maghi degli dei: la saggezza dimenticata delle civiltà perdute”, ha sostenuto proprio la tesi che intorno al 12.000 a.C. l’impatto di una cometa abbia posto fine a una società molto evoluta, che ha lasciato tracce di sé nella perfezione delle piramidi di Giza e in altri inspiegabili monumenti ciclopici sparsi per il pianeta. Se l’asse della Terra si è davvero spostato a causa di quella catastrofe, forse l’Antartide era all’epoca libera da ghiacci e nasconde segreti che non tarderemo a scoprire, vista la progressione del riscaldamento globale.Hancock ha visitato il sito di Gobekli Tepe, giudicandolo uno dei grandi misteri dell’antichità. Se uno sciame di comete era in arrivo sulla Terra, gli astronomi del tempio le hanno sicuramente individuate in anticipo e forse quelle scie luminose arrivate nel Sistema solare interno sono state una presenza costante nel cielo per molti anni prima del loro devastante impatto. Forse da allora ci è stata tramandata la convinzione che tutte le comete (ma per lo meno bisogna salvare quella di Natale) portino sfortuna e siano messaggere di lutti e devastazioni. La teoria che grandi civiltà del passato siano state distrutte da eventi catastrofici è suggestiva e spiegherebbe le grandi costruzioni le cui rovine sono state trovate sui fondali dell’Oceano, dove Platone collocava Atlantide, così come la “piramide” sommersa che si trova vicino all’isola di Yonaguni, in Giappone. Ma c’è da sperare che i cultori delle civiltà perdute non abbiano ragione: gli sciami di comete sono infatti periodici e secondo Hancock quello descritto nella stele di Gobekli Tape potrebbe tornare nell’arco di qualche decennio. Meglio che l’autorevole e più rassicurante mondo accademico si affretti a rimettere ogni pietra, e ogni data, al suo posto.(Vittorio Sabadin, “La fine del mondo c’è gia stata: lo svela la stele dell’Avvoltoio”, da “La Stampa” del 24 aprile 2017).Undicimila anni prima di Cristo uno sciame di comete colpì la Terra devastandola, modificando l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, provocando l’estinzione di molte specie come quella dei mammut e causando un’era glaciale che durò mille anni. Lo afferma un gruppo di ricercatori dell’università di Edimburgo, che ha trovato la narrazione di questo cataclisma nel più antico libro di storia esistente: i bassorilievi portati alla luce nel 1995 nel sito archeologico di Gobekli Tepe, nel Sud della Turchia. All’annuncio della scoperta, i sostenitori della teoria secondo la quale antiche civiltà avanzate sono state distrutte da eventi catastrofici hanno esultato, e sono pronti a scrivere nuovi libri di successo. Una stele in particolare, quella chiamata “dell’avvoltoio”, ha attratto l’attenzione degli scienziati di Edimburgo. Riproduce attraverso simbolismi animali una serie di costellazioni, indicandone la posizione nel cielo. Grazie all’aiuto di un computer, è stato possibile stabilire che le stelle si trovavano in quel punto esattamente nel 10.950 a.C., alla fine del Pleistocene. Altri bassorilievi riproducevano la caduta dello sciame di comete e un uomo senza testa indicava la perdita di molte vite umane.
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Chomsky: ho paura, questa élite vuole ricorrere all’atomica
Donald Trump sa di non avere nessuna speranza di premiare i milioni di elettori che avevano creduto in lui. Per questo gioca l’ultima carta e indossa i panni dello sceriffo: per distrarre il pubblico, bombardando il mondo. Ma il gioco è pericoloso: tra una provocazione e l’altra, con il solito corredo di notizie false come le responsabilità di Assad sull’uso dei gas contro la popolazione siriana, la Russia stavolta potrebbe reagire. Mosca potrebbe sparare per prima i suoi missili a testata atomica contro l’America, prima che sia troppo tardi. Mai, nella sua storia, l’umanità ha corso un pericolo così grande. Lo afferma Noam Chomsky in un’intervista concessa al “Manifesto”, nella quale esprime la massima preoccupazione per i giorni che stiamo vivendo. La sua tesi: l’élite è semplicemente “impazzita”. E il terrore di perdere il potere può spingerla verso la catastrofe nucleare. Gli oligarchi sanno di non avere più alcuna possibilità di recuperare il consenso perduto, come dimostra il fallimento della loro ultima creazione illusionistica, Donald Trump. E allora premono sulla guerra: la vogliono davvero, come unica soluzione per mantenere il controllo totale sull’umanità.Ad aggravare il quadro, aggiunge Chomsky, intervistato da Patricia Lombroso, sarebbe la rottura dello storico equilibrio missilistico tra Usa e Russia, provocata dal colossale programma di riarmo nucleare varato anni fa da Barack Obama. Secondo il grande intellettuale americano, oggi la dotazione balistica degli Stati Uniti sarebbe superiore rispetto a quella di Mosca. E i russi, che sanno di essere minacciati, potrebbero decidere di sferrare per primi un attacco nucleare preventivo, prima che la loro deterrenza venga definitivamente cancellata dall’ipotetica supremazia atomica statunitense. Uno scenario da apocalisse, confermato da un altro acuto analista indipendente come Paul Craig Roberts, secondo cui i russi – che a suo parere non dispongono affatto di un arsenale inferiore a quello americano – potrebbero comunque scegliere di colpire per primi, dato che gli Usa e la Nato li stanno letteralmente assediando, in modo sempre più subdolo, ormai anche alle frontiere della Federazione Russa, sul Baltico e nell’Europa orientale.Altri osservatori, come il francese Thierry Meyssan, sono meno pessimisti: tendono a pensare che Trump stia essenzialmente “facendo teatro”. Per Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’eventuale bluff muscolare di Trump avrebbe lo scopo di illudere (e tacitare, a suon di commesse miliardarie) l’apparato militare-industriale che fa capo al potentissimo clan dei Bush. Lo stesso Carpeoro, tuttavia, non si nasconde la pericolosità del potere oligarchico mondiale ormai pronto a tutto, come dimostra l’auto-terrorismo targato Isis. Sullo sfondo, la situazione allarmante del pianeta: «Gli oligarchi sanno che le risorse terrestri si stanno esaurendo, a cominciare dalle fonti energetiche, e ciascun gruppo sgomita per prepararsi a imporre il suo Piano-B». Lo stesso Giulietto Chiesa teme gli effetti della doppia crisi in atto: la pericolosità di un’America in declino, arginata da Russia e Cina, in un mondo che non sa come affrontare né l’esplosione demografica, né l’incombente catastrofe climatica, che secondo l’Onu sta già innescando esodi mai visti prima, nella storia. Tante angolazioni diverse, molte analisi e una sinistra caratteristica comune: l’assenza di soluzioni, in vista.Nella sua visione, Chomsky si concentra sulla politica estera Usa: «Le aggressioni unilaterali da parte degli Stati Uniti in Siria e in Afghanistan – afferma – sono state preparate a tavolino da questa nuova amministrazione, incurante del crimine commesso, che viola tutte le norme del diritto internazionale». Obiettivo: nient’altro che «uno show rivolto all’opinione pubblica in attesa della promessa “America First”». Dietro la propaganda di Trump, Noam Chomsky vede un «progetto selvaggio di smantellamento, passo dopo passo, dell’intera legislazione federale istituita 70 anni fa per proteggere l’intera popolazione americana dalla logica dei profitti immediati e dalla massima concentrazione del potere». Operazione abilmente nascosta dallo “sceriffo” Trump, che prova a rassicurare gli americani «con questo messaggio diretto: i brillanti risultati conseguiti dai nostri uomini del Pentagono nelle ultime otto settimane sono superiori a quanto conseguito durante gli ultimi otto anni dalla presidenza Obama». E ancora: «Siamo in grado di effettuare operazioni coraggiose. Insomma, ecco il nuovo sceriffo che dimostra di essere l’uomo forte che voi volete. E che ha dato mano libera a chi voleva intraprendere le cosiddette azioni coraggiose. Come quella di sganciare la superbomba in Afghanistan senza aver neppure idea quale territorio abbiamo distrutto, né di quanti civili abbiamo ucciso».Paradossalmente – ma non è una novità – negli Stati Uniti «l’applauso è stato univoco e totale anche da parte dei democratici, visto che in Siria il nuovo sceriffo Trump ha inviato un messaggio alla comunità internazionale per dimostrare che l’America è ancora una superpotenza che sa reagire con la nuova forza dell’“America First”». Passo dopo passo, continua Chomsky, «dietro le quinte viene approvata una legislazione che toglie ogni speranza alla popolazione americana nel rivendicare i benefici di protezione sociale ed economica istituiti 70 anni fa». Per l’insigne linguista, «è questa l’organizzazione di potere più pericolosa nella storia del mondo». Una “cupola” che, «per continuare ad avere più profitti e sempre più potere, è capace anche di usare l’arma nucleare. Sino alla distruzione dell’umanità». Secondo Chomsky, grazie al riarmo nucleare finanziato in silenzio da Obama, oggi «l’arsenale atomico statunitense ha raggiunto un livello da strategia atomica avanzata e radicale, tale da poter annientare la deterrenza dell’arsenale atomico russo». E dato che Mosca non ne è certo all’oscuro, «con l’intensificarsi della tensione diretta, specialmente nei paesi baltici ai confini della Russia», tutto questo «determina il rischio di un confronto nucleare diretto con la Russia».Se così stanno le cose, secondo Chomsky, si sono «assottigliati i margini per la sicurezza mondiale» e ci stiamo pericolosamente avvicinando a una catastrofe nucleare provocata dalla “mutual destruction”, la distruzione reciproca. Si è infatti «messa in moto una situazione in base alla quale la Russia, con l’intensificarsi delle provocazioni degli Stati Uniti, possa decidere di sferrare un “preemptive strike”», un colpo preventivo nucleare, «nella speranza di sopravvivere, dal momento in cui non ha più la capacità di un arsenale deterrente». Per Chomsky, «ci troviamo in una situazione gravissima e pericolosa», dove «il rischio è dato dalle reazioni imprevedibili di Trump», sempre più debole sul piano della politica interna, e quindi preoccupatissimo. «Un Trump che, se non sarà in grado di mantenere le promesse di cambio fatte alla “working class” a cui si è riferito in campagna elettorale (e che sarà la prima vittima della sua presidenza), prima o poi seguirà un dilagare di accuse di terrorismo islamico verso gli immigrati per giustificare misure repressive eccezionali e nuovi bandi. Prefabbricando prove di un attacco all’America, tanto da giustificare il ricorso all’arma nucleare». I missili in Siria e la superbomba Moab sganciata in Afghanistan? «Sono l’esemplificazione dell’America di Trump pronta a ritorsioni militari che superano ogni più perversa immaginazione. Un disegno politico che è prassi storica, per questo paese, sin dai tempi della Guerra Fredda».Donald Trump sa di non avere nessuna speranza di premiare i milioni di elettori che avevano creduto in lui. Per questo gioca l’ultima carta e indossa i panni dello sceriffo: per distrarre il pubblico, bombardando il mondo. Ma il gioco è pericoloso: tra una provocazione e l’altra, con il solito corredo di notizie false come le responsabilità di Assad sull’uso dei gas contro la popolazione siriana, la Russia stavolta potrebbe reagire. Mosca potrebbe sparare per prima i suoi missili a testata atomica contro l’America, prima che sia troppo tardi. Mai, nella sua storia, l’umanità ha corso un pericolo così grande. Lo afferma Noam Chomsky in un’intervista concessa al “Manifesto”, nella quale esprime la massima preoccupazione per i giorni che stiamo vivendo. La sua tesi: l’élite è semplicemente “impazzita”. E il terrore di perdere il potere può spingerla verso la catastrofe nucleare. Gli oligarchi sanno di non avere più alcuna possibilità di recuperare il consenso perduto, come dimostra il fallimento della loro ultima creazione illusionistica, Donald Trump. E allora premono sulla guerra: la vogliono davvero, come unica soluzione per mantenere il controllo totale sull’umanità.
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Scie chimiche: schermare il Sole per “proteggere” la Terra?
Scie chimiche? La meno complottista delle teorie è forse anche la peggiore: irrorare il cielo per creare un velo persistente che attenui l’impatto del sole, scongiurando il cataclisma del surriscaldamento. Un’incognita immensa: nessuno sa che impatto possa avere, questo stratagemma, sull’ecosistema terrestre, continenti e oceani. E’ una riflessione che Giulietto Chiesa ha riproposto di recente, in un dibattito al Senato con politici e scienziati. Del “fenomeno” sappiamo pochissimo, tranne quello che si vede a occhio nudo: i nostri cieli sono ormai gremiti di scie bianche rilasciate dagli aerei. Scie che restano nell’aria per ore, espandendosi, fino a diventare nuvole. Sembra l’applicazione, alla lettera, delle teorie di Edward Teller, il fisico ungherese (naturalizzato statunitense), padre della bomba all’idrogeno e probabile ispiratore del Dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Si chiama Solar Radiation Management, l’ipotetico “scudo solare termico” che si andrebbe allestendo, da diversi anni, nel tentativo di ridurre l’effetto della radiazione solare facendola “rimbalzare” su un velo chimico chiaro, riflettente. Un’operazione necessariamente coperta, segreta, gestita da militari, impossibile da divulgare e ammettere.Non abbiamo prove, soltanto indizi: le scie nel cielo sono protette dal silenzio assoluto di qualsiasi istituzione, nonostante il proliferare di voci isolate, denunce, sospetti, qualche ammissione parziale, svariati indizi: Putin che vieta sorvoli di aerei Lufthansa, lo scienziato aerospaziale Douglas Rowland (Nasa) che dichiara che il carburante dei velivoli sarebbe addizionato con il litio, sostanza usata da decenni in ambito psichiatrico. Commentando lo studio dell’Us Air Force, “Owning the weather”, il generale Fabio Mini, già capo della missione Nato in Kosovo, spiega che “possedere il clima” significa utilizzarlo “as a force multiplier”, come moltiplicatore di forza, in ambito militare. Il sottilissimo “fim” creato nella ionosfera sarebbe uno “schermo artificiale” perfetto per ricevere le emissioni radio del sistema Haarp (stazioni in Alaska, Australia e Sicilia, la base Muos di Niscemi) destinate a coordinare in tempo reale le forze armate sparse in tutto il mondo – ma anche, si sospetta, a condizionare il clima di intere regioni del pianeta provocando siccità, inondazioni, forse anche terremoti e tsunami. Complottismo?Se ancora mancano le prove, Giulietto Chiesa si interroga sul possibile movente. Semplicissimo, terribilmente banale: il global warming è una realtà ormai anche scientifica, la Terra si sta velocemente surriscaldando a causa dell’emissione di gas serra provocati dal consumo di carbone e metano, e nessuno – nessun paese, nessun governo – è in grado di fermare le macchine, riducendo l’anidride carbonica e il metano. Per questo, forse, si ricorre alle teorie di Teller: attenuare l’azione del sole, senza però avere la minima idea dell’impatto che questo possa avere sul delicato equilibrio degli ecosistemi. Per questo, se l’operazione è davvero in corso, è impossibile averne conferma: nessuno potrebbe assumersene le responsabilità, ufficialmente. Se il “movente” è innanzitutto ecologico – prima che strategico, militare, geopolitico – allora la situazione è più grave del previsto: significherebbe che si sta tentando, alla cieca, si trovare soluzioni d’emergenza, disperate, a una situazione ormai fuori controllo, che preoccupa l’élite in modo inconfessabile. Ma questi, ribadisce Chiesa, sono soltanto interrogativi: oggi è impossibile pretendere risposte certe dai servizi segreti, perché non esistono forze politiche democratiche capaci di reclamare verità da offrire ai cittadini. Regna il silenzio, mentre il cielo si va riempiendo di scie bianche: domande mute, a cui nessuno vuole rispondere.Scie chimiche? La meno complottista delle teorie è forse anche la peggiore: irrorare il cielo per creare un velo persistente che attenui l’impatto del sole, scongiurando il cataclisma del surriscaldamento. Un’incognita immensa: nessuno sa che impatto possa avere, questo stratagemma, sull’ecosistema terrestre, continenti e oceani. E’ una riflessione che Giulietto Chiesa ha riproposto di recente, in un dibattito al Senato con politici e scienziati. Del “fenomeno” sappiamo pochissimo, tranne quello che si vede a occhio nudo: i nostri cieli sono ormai gremiti di scie bianche rilasciate dagli aerei. Scie che restano nell’aria per ore, espandendosi, fino a diventare nuvole. Sembra l’applicazione, alla lettera, delle teorie di Edward Teller, il fisico ungherese (naturalizzato statunitense), padre della bomba all’idrogeno e probabile ispiratore del Dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Si chiama Solar Radiation Management, l’ipotetico “scudo solare termico” che si andrebbe allestendo, da diversi anni, nel tentativo di ridurre l’effetto della radiazione solare facendola “rimbalzare” su un velo chimico chiaro, riflettente. Un’operazione necessariamente coperta, segreta, gestita da militari, impossibile da divulgare e ammettere.
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L’impero del terrore fatto in casa, il lungo sonno della verità
Un vecchio gioco sporco, sempre uguale. Guerra, o surrogati: crisi, esodi, dittature amiche, terrorismo. Cambia l’identità delle vittime – ieri militari, oggi civili – nonché la scala di grandezza dei danni collaterali, la quantità di morte e di paura, una capitale europea militarizzata o città come Gaza, come Fallujah, rase al suolo insieme ai loro abitanti, donne e bambini, bruciati vivi con il fosforo bianco. L’importante, poi, è dimenticare tutto. Alla fine, la colpa deve ricadere sul terrorista, ormai esclusivamente islamico, “radicalizzato”, immancabilmente sfuggito all’occhiuta sorveglianza della Cia, dell’Fbi, del Mossad, dell’Mi6 inglese, della Dgse francese. Il mostro è l’ex delinquente “coltivato” perché ricattabile, o addirittura spedito al fronte, armi in pugno. Non importa se poi si impone il segreto militare (Charlie Hebdo) bloccando le indagini dopo la scoperta del legame tra il commando, l’armaiolo e i servizi segreti. Non importa se salta in aria un ambasciatore americano (Bengasi) insieme alle ombre imbarazzanti sul trasferimento in Siria di guerriglieri e armi chimiche, all’epoca in cui gli ordini partivano da Hillary Clinton, che poi cancellò migliaia di email. Non importa, ai media mainstream, ricordare quello che è appenna successo: il pubblico, semplicemente, non deve ricordare, non deve fare collegamenti.Non deve ricordare, il pubblico, che l’abominevole Isis nasce nell’Iraq spianato dalle bombe e interamente controllato dagli Usa. Non si deve ricordare che il fantomatico “califfo” Al-Baghdadi venne stranamente scarcerato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, per ordini superiori, tra lo sconcerto dei carcerieri. Né si devono riproporre le foto che, qualche anno dopo, lo ritraggono in Siria in compagnia del senatore John McCain, inviato speciale di Obama per sostenere la “resistenza democratica” contro il brutale regime di Assad, resistenza affidata ai “moderati” tagliagole libici, sauditi, giordani, iracheni e anche caucasici, ceceni, cioè quasi mai siriani, tutti terroristi di professione, fraternamente accuditi, armati e protetti dalla Nato, attraverso la Turchia e Israele, nonché le petro-dittature del Golfo. No, il pubblico non deve ricordare chi ha fabbricato l’Isis, come e quando, sulla base di quali macerie, con quali soldi, con quale logistica, con quali armamenti, dopo quali rivoluzioni colorate.Il pubblico occidentale deve solo tremare di paura davanti al fantasma del commando kamikaze con passaporto al seguito da lasciare in bella vista, deve tremare davanti al pericolo incombente del lupo solitario che colpisce con il Tir, il camion, il Suv, per poi essere immediatamente ucciso e quindi messo a tacere, in attesa del killer seguente, già in agguato, pronto a colpire ancora, alla cieca, la folla inerme – mai un obiettivo “nemico”, solo e sempre la folla inerme, cioè noi. La cattiva notizia, tra le tante, è che il mondo ormai «è in mano a cinquanta pazzi, che continuano a giocare col fuoco, fabbricando nemici di comodo telecomandati, senza più capire che il gioco si va facendo pericoloso, fuori controllo, perché gli altri – tutti gli altri, a cominciare da Russia e Cina – non consentiranno più che il gioco duri all’infinito, sulla nostra pelle». Lo ha ripetuto Giulietto Chiesa a Londra, in un dibattito con Gioele Magaldi sulla natura eversiva del potere oligarchico che domina in pianeta ormai da decenni, spingendo sette miliardi di persone in un vicolo cieco – militare, energetico, economico, finanziario, ecologico, climatico.Uno scenario che è tragicamente sotto gli occhi di chi vuol vederlo: dove non cadono bombe, piovono i missili di una crisi senza fine, la finanza impazzita e l’economia in pezzi, l’Europa devastata dall’euro e presa d’assalto da milioni di disperati, sotto la regia di un pugno di banchieri e multinazionali. Mentre Magaldi scommette su una riscossa democratica dell’Occidente fondata sulla riconquista della sovranità impugnando le armi del socialismo liberale roosveltiano, Chiesa fa un’altra proposta, preliminare: costruire un think-tank internazionale, un trust di cervelli, che metta insieme le migliori menti del mondo, non solo americane ed europee ma anche russe, cinesi, indiane, africane, per avere una fotografia diversa da quella, unilaterale e integralmente falsa, proposta dal mainstream occidentale. Una lettura diversa della crisi, un’ottica multipolare, come unica possibilità per poi trovare, domani, soluzioni praticabili, lontano dalla “guerra infinita” che Giulietto Chiesa vide arrivare all’indomani del «colpo di Stato mondiale chiamato 11 Settembre».Uno spartiacque fatale, quello dell’attacco alle Torri: da allora, l’élite neocon ha imboccato la via della strategia della tensione, senza più abbandonarla. Iraq, Afghanistan, Yemen e Sudan, Somalia, Georgia, Egitto, Libia, Siria. Una strategia sanguinosa, stragista, preparata dalle “fake news” di regime: le bugie sulle Torri Gemelle, le favole sulle armi di distruzione di Saddam, le stragi inesistenti attribuite a Gheddafi, l’attacco coi gas attribuito ad Assad. Una strategia feroce, fondata sulla grande menzogna del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, da Al-Qaeda all’Isis, per innescare campagne militari destinate a mettere le mani sull’intero pianeta, abrogando diritti in Occidente e scatenando una guerra dopo l’altra nel resto del mondo. Ora siamo all’epilogo evocato dal Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, che prima ancora del Duemila annunciò che nel 2017 il nemico strategico degli Usa sarebbe stata la Cina. Quando cadde il Muro di Berlino, Gorbaciov sognava ad occhi aperti un mondo diverso, finalmente pacificato. Oggi siamo all’autismo del terrore fabbricato in casa, da un’élite che occulta le notizie e fa spiare miliardi di persone tramite Google, Facebook e le app dello smartphone. Un’oligarchia globale decisa a tutto, pronta a investire ormai solo sull’arma più antica, quella della paura, che nasce dalla manipolazione delle notizie, dal sonno della verità.Un vecchio gioco sporco, sempre uguale. Guerra, o surrogati: crisi, esodi, dittature amiche, terrorismo. Cambia l’identità delle vittime – ieri militari, oggi civili – nonché la scala di grandezza dei danni collaterali, la quantità di morte e di paura, una capitale europea militarizzata o città come Gaza, come Fallujah, rase al suolo insieme ai loro abitanti, donne e bambini, bruciati vivi con il fosforo bianco. L’importante, poi, è dimenticare tutto. Alla fine, la colpa deve ricadere sul terrorista, ormai esclusivamente islamico, “radicalizzato”, immancabilmente sfuggito all’occhiuta sorveglianza della Cia, dell’Fbi, del Mossad, dell’Mi6 inglese, della Dgse francese. Il mostro è l’ex delinquente “coltivato” perché ricattabile, o addirittura spedito al fronte, armi in pugno. Non importa se poi si impone il segreto militare (Charlie Hebdo) bloccando le indagini dopo la scoperta del legame tra il commando, l’armaiolo e i servizi segreti. Non importa se salta in aria un ambasciatore americano (Bengasi) insieme alle ombre imbarazzanti sul trasferimento in Siria di guerriglieri e armi chimiche, all’epoca in cui gli ordini partivano da Hillary Clinton, che poi cancellò migliaia di email. Non importa, ai media mainstream, ricordare quello che è appenna successo: il pubblico, semplicemente, non deve ricordare, non deve fare collegamenti.
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Media bugiardi: Trump fa un regalo al mondo, senza volerlo
Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe rivelato al mondo la verità sull’11 Settembre. Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe ristabilito un equilibrio geopolitico mondiale, togliendo alla Russia l’odiosa caratterizzazione di “Stato canaglia”. Molti si aspettavano (e tuttora sperano) che il presidente Trump riveli al mondo la verità sulla correlazione tra vaccini e autismo. Mentre probabilmente nessuna di queste speranze si avvererà fino in fondo, c’è il rischio che Donald Trump porti a termine, senza nemmeno volerlo, la completa demolizione della credibilità dei media mainstream. Trump infatti è talmente impegnato a portare avanti la battaglia per proteggere le bugie che lui stesso si inventa quotidianamente, che senza volerlo sta minando alle fondamenta il ruolo ultracentennale che ha avuto fino ad oggi la stampa di regime: quello di stabilire che cosa fosse “la verità”. Ecco alcuni esempi di come opera Trump. Quando si è inventato che «la questione del global warming è una invenzione dei cinesi per danneggiare la nostra economia», i giornalisti gli hanno chiesto di portare qualche prova di questa sua affermazione, ma Trump ha preferito mandarli al diavolo dicendo che «i giornaslisti non hanno la minima idea di come giri il mondo».Quando Trump si è inventato che la Clinton ha vinto il voto popolare «solo perché 3 milioni di elettori illegali hanno votato per lei», la stampa gli ha chiesto di dimostrare le basi di questa sua affermazione. Ma lui, invece di portare le prove di quello che sosteneva, ha attaccato la stampa dicendo che sono «le persone più disoneste che esistano sul pianeta». Quando Trump si è inventato che Obama ha fatto mettere sotto controllo i telefoni della Trump Tower durante le elezioni, i giornalisti gli hanno chiesto di portare le prove per queste sue affermazioni. Ma lui, invece di portare le prove di quello che sosteneva, ha preferito attaccare giornalisti, definendoli dei «miserabili bugiardi, nemici del popolo americano». Avanti di questo passo, è chiaro che la capacità della stampa mainstream di chiedere conto a chiunque di ciò che afferma si stanno affievolendo rapidamente. Se non riescono a far ammettere ad un presidente che ha detto una falsità plateale sotto gli occhi di tutti, come potranno mai riuscire a farlo in situazioni molto più ambigue e fumose di quelle – clamorose – che hanno visto Trump come protagonista?Negli anni ‘70 infatti, la percentuale di americani che considerava il mainstream media come “fonte affidabile di notizie” era intorno al 70%. Nel 2015, questa percentuale era calata al 40% circa. E nell’autunno del 2016, dopo che Trump aveva iniziato i suoi attacchi sistematici contro la “stampa bugiarda”, tale percentuale era scesa ancora, fino al 32%. E da un sondaggio effettuato dall’Emerson College in febbraio, è risultato che il 49% degli elettori americani ritiene oggi Trump “più veritiero” dei news media, contro il solo 39% che ha invece l’opinione contraria. La cosa paradossale è che, nel momento stesso in cui la stampa viene etichettata come “bugiarda”, la stampa stessa non ha più nessuna possibilità di dimostrare che ciò non è vero. E di certo non l’aiuta l’enorme camera di risonanza costituita oggi dai social media, che tendono sistematicamente a confondere e rendere ancora più fumose certe situazioni già poco chiare. Insomma, il bugiardo che ha deciso di difendere le proprie invenzioni dando del bugiardo agli altri, sta per fare un regalo enorme al mondo intero, senza volerlo: quello di togliere alla stampa mainstream – i veri bugiardi di professione – la autorevolezza e la credibilità di cui fino ad oggi ha goduto. Le conseguenze, da questo punto in poi, possono stare solo nell’immaginazione di chiunque.(Massimo Mazzucco, “Trump sta facendo un enorme regalo al mondo, senza volerlo”, da “Luogo Comune” del 12 marzo 2017).Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe rivelato al mondo la verità sull’11 Settembre. Molti si aspettavano che il presidente Trump avrebbe ristabilito un equilibrio geopolitico mondiale, togliendo alla Russia l’odiosa caratterizzazione di “Stato canaglia”. Molti si aspettavano (e tuttora sperano) che il presidente Trump riveli al mondo la verità sulla correlazione tra vaccini e autismo. Mentre probabilmente nessuna di queste speranze si avvererà fino in fondo, c’è il rischio che Donald Trump porti a termine, senza nemmeno volerlo, la completa demolizione della credibilità dei media mainstream. Trump infatti è talmente impegnato a portare avanti la battaglia per proteggere le bugie che lui stesso si inventa quotidianamente, che senza volerlo sta minando alle fondamenta il ruolo ultracentennale che ha avuto fino ad oggi la stampa di regime: quello di stabilire che cosa fosse “la verità”. Ecco alcuni esempi di come opera Trump. Quando si è inventato che «la questione del global warming è una invenzione dei cinesi per danneggiare la nostra economia», i giornalisti gli hanno chiesto di portare qualche prova di questa sua affermazione, ma Trump ha preferito mandarli al diavolo dicendo che «i giornaslisti non hanno la minima idea di come giri il mondo».
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De Benedetti: entro 5 anni l’Unione Europea sarà morta
Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.L’Europa “a più velocità”, che incoraggia alcuni paesi a integrarsi più velocemente di altri, è tornata di moda. Questa idea, attraente in special modo per alcune parti dell’Europa occidentale, ha ricevuto sostegno da Jean-Marc Ayrault e Sigmar Gabriel, i ministri degli esteri di Francia e Germania. Un’altra idea è di aumentare la collaborazione nella difesa, in modo che in questo campo l’Ue diventi per gli Stati Uniti un partner più credibile. Al di là di queste proposte relativamente prudenti, alcuni responsabili politici e analisti indipendenti stanno pensando l’impensabile. Un esempio è il report di MacroGeo, una società di consulenza presieduta da Carlo De Benedetti, un veterano della comunità imprenditoriale italiana. Il report “L’Europa al tempo di Trump e della Brexit: disintegrazione e riorganizzazione”, arriva a conclusioni coraggiose. Afferma che l’Ue nella sua forma attuale con ogni probabilità va incontro alla decomposizione, anche se dovessero vincere le elezioni di quest’anno politici pro-integrazione come Emmanuel Macron, il centrista indipendente francese, e Martin Schulz, il socialdemocratico tedesco.«Per il ciclo elettorale 2021-22, l’Ue potrebbe entrare negli ultimi cinque anni della sua ‘reale’ esistenza», dice il report, che considera che le strutture legali formali dell’Unione con sede a Bruxelles potrebbero resistere più a lungo. Il report sostiene che, al di là di shock quali il voto britannico per l’uscita dall’Ue, i trend geopolitici di lungo termine stanno portando l’unione valutaria all’atrofia. Ai confini orientali e meridionali dell’Unione si affacciano molti problemi: l’immigrazione clandestina, Stati prossimi al fallimento, terrorismo, cambiamenti climatici e revisionismo russo. Nel frattempo, gli Stati Uniti si stanno lentamente disimpegnando dall’Europa per focalizzarsi sulla Cina e l’estremo oriente. La Germania non occuperà il posto degli Stati Uniti come potenza egemone di riferimento per l’Europa: non lascerà mai che l’eurozona diventi una “unione di trasferimenti fiscali” e, nonostante le speculazioni riguardo a un deterrente nucleare tedesco, il suo passato nel ventesimo secolo dice chiaramente che né la Germania né i suoi vicini vogliono che essa diventi la potenza militare dominante dell’Europa.La disintegrazione dell’Ue scatenerebbe «i pericolosi demoni nazionalistici del passato europeo», come teme Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga? Gli autori del report di MacroGeo prevedono che non si avrà un’anarchica competizione tra gli Stati-nazione, bensì «l’affermazione di un nucleo centrale geoeconomico intorno alla Germania». Questo sarebbe formato dalla Germania e dai paesi che ne costituiscono la filiera industriale, cui si addice la cultura fiscale e monetaria tedesca. In maniera disarmante, gli autori suggeriscono che, «se l’Italia dovesse dividersi», l’Italia del Nord potrebbe unirsi al gruppo formato da Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni paesi scandinavi. Questa evoluzione presuppone la disgregazione dell’Eurozona a 19 paesi. I ministri delle finanze e i banchieri centrali europei ci ripetono che questo passo sarebbe devastante per le economie europee e per la stabilità finanziaria globale.Tuttavia, questa prospettiva è in discussione, e non solo nei circoli del partito di estrema destra francese, il Front National, o nel partito anti-estabilishment italiano M5S. Mediobanca, una banca d’investimenti che una volta era l’emblema del capitalismo del nord Italia, a gennaio ha pubblicato un rapporto controverso in cui suggeriva che, in termini di debito pubblico, l’Italia non soffrirebbe particolarmente lasciando l’Eurozona. Il mese scorso il Parlamento olandese ha votato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui pro e contro dell’appartenenza olandese all’Eurozona, una mossa che riflette la frustrazione nei confronti della politica di tassi ultra-bassi e del programma Qe della Banca Centrale Europea. Nel valutare il futuro dell’Europa, questi sviluppi vanno presi attentamente in considerazione – forse più attentamente del “libro bianco” di Juncker.(Tony Barber, “L’Europa inizia a pensare l’impensabile, smantellare l’Eurozona”, dal “Financial Times” del 3 marzo 2017, articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.
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L’oleodotto dei Sioux finanziato anche da Intesa Sanpaolo
Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.«I rischi sono alti: solo nel 2016 si sono registrati oltre 200 sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense e il petrolio è una delle principali cause del cambiamento climatico. I Sioux stanno protestando da mesi per difendere le loro terre sacre, ricevendo solidarietà e sostegno da ogni parte del mondo. La loro protesta è stata spesso contrastata con metodi brutali». A fine 2016 i Sioux hanno chiesto di poter incontrare gli istituti bancari che finanziano, a diverso titolo, il progetto. Gli appelli sono caduti quasi tutti nel vuoto. «Il 10 gennaio era la data limite per dare una risposta e le cose sono andate così: quattro banche hanno rifiutato l’invito (Bayern Lb, Bnp Paribas, Mizuho Bank e Suntrust), sei non hanno risposto (Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj, Bbva Compass, Icbc, Intesa Sanpaolo, Natixis e Sumitomo Mitsui Banking Corporation) mentre sette banche hanno accettato di incontrare le tribù (Citi, Crédit Agricole, Dnb, Ing, Société Générale, Td e Wells Fargo)».Tra le azioni intraprese dai Sioux e dagli attivisti che li sostengono c’è anche una campagna per invitare al “divestment” dagli istituti che finanziano il Dapl. Nelle scorse settimane uno dei finanziatori del progetto si è tirato indietro. L’olandese Abn Amro ha annunciato che smetterà di finanziare la Energy Transfer Equity (Ete) se il Dakota Access Pipeline verrà costruito senza il consenso della tribù Sioux di Standing Rock o se continuerà ad essere utilizzata violenza contro gli attivisti che si oppongono al progetto. «Tra le banche che finanziano direttamente il Dakota Access Pipeline figura anche Intesa Sanpaolo». Greenpeace Italia ha scritto una lettera ufficiale ad Intesa per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso. Intesa Sanpaolo non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante. Greenpeace ha lanciato una petizione online per rafforzare la propria richiesta a Intesa Sanpaolo.(“L’oleodotto dei Sioux finanziato da Intesa Sanpaolo, tu da che parte stai?”, da “Coscienze in Rete” del 2 marzo 2017).Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.