Archivio del Tag ‘civiltà’
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Il chip Nato che spia gli scolari e fa schiantare le auto
Michael Hastings, giornalista investigativo pluripremiato, è morto tra le fiamme il 18 giugno 2013 a Los Angeles mentre guidava una Mercedes del 2013. La notte prima aveva chiesto a un’amica, Jordana Thigpen, di prestargli la sua Volvo, poiché credeva che la sua Mercedes C250 fosse stata manomessa. Secondo la vedova, Elise Jordon, Michael aveva cominciato a indagare la “nuova guerra alla stampa” del direttore della Cia, John Brennan. Facendo eco allo scandalo Watergate, Hastings ha sostenuto che la Cia, con o senza autorizzazione, abbia iniziato a usare sofisticate tecniche militari di guerra psicologica contro giornalisti e politici. Anche per l’ex coordinatore dell’antiterrorismo Usa, Richard Clarke, un incidente stradale come quello costato la vita a Michael Hastings sarebbe “coerente con un attacco informatico all’auto”. Come per gli infarti, dice Tony Gosling, si ritiene ormai che questi “incidenti” ai freni delle vetture siano i preferiti dal crimine organizzato e dai servizi di intelligence, dal momento che sono così facili da spacciare per fatali guasti tecnici.«Il nostro sistema giudiziario, la polizia e i nostri giornalisti investigativi – sostiene Gosling in un post su “Rt”, ripreso da “Come Don Chisciotte” – non sono capaci di capire la tecnologia complessa», in continua evoluzione, «per non parlare della raccolta di prove sufficienti a decidere se questi eventi disastrosi siano incidenti o omicidi». La strana morte di Hastings? Un monito: le nostre libertà stanno andando in frantumi. Succede, dice Gosling, perché «in Occidente la tecnocrazia sta lentamente rimpiazzando la democrazia». Da quando «i mercati finanziari e gli oscuri gnomi di Zurigo hanno cominciato a scegliere i nostri leader politici», i super-tecnocrati, «strozzini e simpatizzanti della Goldman Sachs, la piovra che sta venendo fuori quale vero potere del mondo occidentale», utilizzano anche compagnie poco note, che però «detengono brevetti di valore» e, come prestigiatori, «producono e immettono sul mercato nuovi sfavillanti dispositivi scientifici».Tecnologia che in mano pubblica sarebbe liberatoria, mentre in mano ai “predoni” può fare disastri. E senza che ce ne rendiamo conto: «Quando i nostri deputati, giornalisti e avvocati memorizzano i dati della loro rubrica telefonica usando un servizio di sincronizzazione, o fanno un backup di documenti su “The Cloud”, non hanno nessuna idea di dove vada a finire il loro prezioso lavoro. Condividono i loro dati senza pensarci troppo con aziende che potrebbero tranquillamente copiarli, rivenderli a terzi o perfino corromperli prima di farglieli riavere». I super-tecnocrati della “rivoluzione digitale”, continua Gosling, hanno precisi progetti per i prossimi decenni: «Rubano terreno ai governi eletti usando la “riservatezza commerciale” per tenere all’oscuro la stampa, i politici e il pubblico». E oggi, cioè nell’era della sorveglianza di massa, con l’opinione pubblica narcotizzata dal mainstream, «possono acquistare le informazioni per sapere ciò che i politici eletti stanno per fare, o perfino quello che hanno intenzione di fare, e investire così vaste risorse in contromosse».Tecnologia invisibile per controllare tutti. E anche per uccidere, per esempio chi è al volante della propria auto? A confermare indirettamente i pesanti sospetti sulla fine di Michael Hastings è la rivista “Autoweek Magazine”, che si domanda: «Chi è al controllo della tua auto? Governo e privati adesso possono controllarla a distanza». I computer di bordo sono penetrabili da hacker? E se il dispositivo si inchioda, causando un’accelerazione involontaria e un incidente mortale? «Più una tecnologia è poco visibile – aggiunge Gosling – e più è alta la probabilità che rimanga non regolamentata». Non solo: a utilizzarla saranno soprattutto giovani, portati ad accettarla «senza porsi troppe domande, in quanto “cool”». Tra le tecnologie segrete meno comprese e praticamente non regolamentate c’è l’insidioso chip Rfid, “Radio Frequency Identifcation”, che rileva i movimenti tramite le frequenze radio. «Si tratta di piccoli “trasponder” wireless a circuito stampato, usati perlopiù per tracciare i movimenti in magazzino, sebbene siano in aumento per quanto riguarda il pagamento tramite carte di credito “contactless”, senza contatto». Questi chip, continua Gosling, sono elettricamente attivi per anni, alcuni anche per tempi indefiniti.Dal settembre 2013, gli scolari inglesi sono schedati in modo digitale: il governo britannico ha eseguito la scansioni dell’iride oculare, del riconoscimento facciale, dell’impronta del dito e del palmo – in una parola, la “biometria” degli alunni. Solo che sta crescendo il numero di minori che rifiutano di sottoporsi alla schedatura, introdotta per automatizzare i sistemi di ingresso alle mense e alle biblioteche. Nel caso la “biometria” venisse abbandonata, assicura Gosling, è già pronta la tecnologia Rfid: «Dal 2010 al febbraio 2013, il West Cheshire College vicino Liverpool ha dato a tutti i suoi studenti dei cartellini da indossare con dei chip compatibili, 433 Mhz». Certo, quei cartellini «permettono agli studenti di usufruire dei servizi». Ma i sensori disseminati in tutta la scuola «consentono di tracciare i movimenti degli studenti nel campus, come dei puntini da seguire sullo schermo». Attenzione: quando un giornale nel febbraio 2013 chiese chiarimenti al preside, il fornitore dei chip li fece sparire dalla scuola, eliminando ogni traccia di sensori e cartellini.Quei sensori, forniti da un’azienda che si chiama Zebra, offrivano la possibilità di monitorare i ragazzi non solo da parte delle autorità scolastiche, ma anche dai militari: l’origine Nato della tecnologia, e quindi la necessità di proteggerne la segretezza, secondo “Rt” spiega la rapidità della “sparizione delle prove” dal college inglese usato come area-test. La Nato, racconta Gosling, dispone di un sistema Rfid riservato, chiamato “In Transit Visibility Network”, con sensori 433 Mhz sparsi in tutto il nord America e l’Europa occidentale. Una mappatura che serve a «tenere d’occhio le munizioni, i serbatoi e altri armamenti quando si spostano da un posto all’altro». Fin qui, tutto bene. A patto però che, a finire “microchippate” a nostra insaputa, già al momento della fabbricazione, non siano anche le nostre auto, insieme ai nostri telefoni, le carte di credito e magari anche «i nostri figli, quando durante il giorno vanno in giro innocentemente».Anziché proteggerci, conclude Gosling, la Nato e i tecnocrati dell’industria militare «stanno trasformando ogni singolo essere umano in un sospetto criminale». E questo, senza l’autorizzazione di nessun giudice. Più che una “rivoluzione digitale”, «la loro idea è quella di una gabbia digitale: mai gli incubi malati dei peggiori tiranni sono stati così vicini all’essersi realizzati». Il mondo civile ora deve assolutamente «bloccare i veicoli computerizzati e questa tecnologia Rfid, e renderla soggetta al consenso del singolo e dei genitori, così come ha fatto la Gran Bretagna con la “biometria”». Meglio agire in fretta, «prima che le nostre scuole e le nostre strade diventino prigioni digitali e i nostri figli siano seguiti dai militari ovunque vadano».Michael Hastings, giornalista investigativo pluripremiato, è morto tra le fiamme il 18 giugno 2013 a Los Angeles mentre guidava una Mercedes del 2013. La notte prima aveva chiesto a un’amica, Jordana Thigpen, di prestargli la sua Volvo, poiché credeva che la sua Mercedes C250 fosse stata manomessa. Secondo la vedova, Elise Jordon, Michael aveva cominciato a indagare la “nuova guerra alla stampa” del direttore della Cia, John Brennan. Facendo eco allo scandalo Watergate, Hastings ha sostenuto che la Cia, con o senza autorizzazione, abbia iniziato a usare sofisticate tecniche militari di guerra psicologica contro giornalisti e politici. Anche per l’ex coordinatore dell’antiterrorismo Usa, Richard Clarke, un incidente stradale come quello costato la vita a Michael Hastings sarebbe “coerente con un attacco informatico all’auto”. Come per gli infarti, dice Tony Gosling, si ritiene ormai che questi “incidenti” ai freni delle vetture siano i preferiti dal crimine organizzato e dai servizi di intelligence, dal momento che sono così facili da spacciare per fatali guasti tecnici.
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Il Club di Sofia: falsa Europa, in guerra contro di noi
Quello che, per molti decenni, è stato considerato il cuore della civilizzazione europea è il modello sociale europeo. Esso viene ora demolito dall’offensiva neo-liberistica delle politiche estreme di austerità. L’istituto della famiglia come sorgente naturale di valori morali e come strumento essenziale di educazione e di socializzazione della persona umana è stato anch’esso demolito. Queste politiche minacciano l’idea stessa di Europa. L’imperativo presente è di ritornare alle radici dell’Europa unita, che nacquero già 200 anni fa, come idee di pace e di cooperazione. Come europei che credono nell’importanza dei diritti umani, noi sosteniamo l’idea di una Europa che muova verso valori sociali, democratici, pacifici e rispettosi dell’ambiente naturale, un’Europa del popoli e dei cittadini. Una tale visione dell’Europa è incompatibile con ogni forma di egemonismo, di xenofobia, di razzismo e di nazismo.Ora la competizione, che è stata la macchina dello sviluppo degli ultimi tre secoli, sta diventando la macchina che produce la guerra. Ciò è l’effetto dei limiti dello sviluppo, nel frattempo emersi, e della fine dell’“era dell’abbondanza”. Ciò si sta verificando in condizioni di profonda e generale disuguaglianza: nel campo della potenza militare; nel campo delle tecnologie; nel campo del consumo e dei redditi; nel campo del denaro; nel campo delle risorse, nel campo delle istituzioni. Se questi vincoli noi li mettiamo assieme alla vecchia idea della competizione è ovvio che il mondo sarà fatalmente spinto verso l’uso della forza. È ciò cui stiamo assistendo: coloro che sono più forti saranno spinti dalla circostanze a usare la loro forza. Lo faranno. Lo hanno già fatto. Lo stanno facendo ora in Siria. Chi sarà il prossimo della lista?Il contesto globale è orientato verso la falsa idea della società di consumatori. Noi riteniamo che muoversi in questa direzione significhi promuovere una successione di conflitti, sia globali, sia regionali – che condurranno il mondo intero in un vicolo cieco, in fondo al quale c’è la catastrofe di una nuova guerra mondiale. Una tale guerra sarà simile a quella che il mondo conobbe 100 anni orsono, ma ingigantita dall’esistenza di armi nucleari e di altro genere, dotate di un potere tremendamente distruttivo. I pericoli di guerra stanno aumentando. Molti segnali sono già visibili, ma molti preferiscono non vederli. Il collasso di una civilizzazione moderna basata sul consumo è inevitabile. Non è questione di buona o cattiva volontà. Il fatto è che la crisi mondiale si va estendendo sia in termini di complessità, e di dimensione, sia in termini di profondità, e non vi è chi abbia una soluzione in vista: non gli Stati, non la scienza del XX secolo, non le differenti culture e religioni.Siamo in presenza di una tremenda carenza di comprensione proprio della complessità della crisi. Essa non si riduce a una semplice somma di fattori, come la crisi finanziaria, quella dei cambiamenti climatici, quella dell’energia, dell’acqua, della disoccupazione, della crescita demografica, degli ecosistemi violati, della diversità biologica compromessa. Inoltre noi non siamo di fronte a una crisi lineare. Al contrario noi vediamo i rischi di una catastrofe senza precedenti che richiede, prima di tutto, di essere compresa e, insieme, controllata. Stiamo già assistendo a un accelerato percorso verso una catena di collassi interconnessi tra di loro e che possono demolire i pilastri portanti della civilizzazione umana. Noi riteniamo che soltanto una Nuova Europa Unita possa essere uno dei pilastri di una coesistenza pacifica multipolare nel XXI secolo.È un’Europa multiculturale che si adopera per gettare un ponte tra il Nord e il Sud, specialmente nell’area mediterranea. Un’Europa che venisse concepita come una fortezza dovrebbe affrontare non solo una ma molte Lampedusa tutto attorno ai suoi confini e perfino all’interno di essi. Noi siamo contro ogni tentativo di costruire un nuovo “Muro di Berlino” nella forma di “arco Mar Baltico-Mar Nero-Mar Caspio”, utilizzando i partner orientali dell’Unione Europea. La Russia – nonostante le differenze tra regimi politici – è già sotto molti profili interconnessa con l’Europa ed è il grande vicino che l’Unione Europea deve considerare partner affidabile. La Russia, la Turchia, l’Unione Europea e i suoi partner dell’est – Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia, Ucraina – devono considerare se stessi come componenti decisive di una indivisibile sicurezza europea. Questo sarà il contributo dell’Europa alla pace e alla sicurezza del mondo intero. Gli Stati Uniti d’America, che durante la Guerra Fredda hanno svolto il ruolo di un alleato “privilegiato e protettore” dell’Unione Europea, devono ora diventare partner con eguali diritti.Una Nuova e Unita Europa, capace di svolgere un attivo ruolo di pace, deve essere forte e autonoma nelle sue decisioni. Una Nuova e Unita Europa costruita su questi principi non ha nemici. Ciò significa che essa deve avere un proprio esercito, che dovrà essere utilizzato solo ed esclusivamente sotto l’autorizzazione delle Nazioni Unite. È giunto il tempo di abbandonare lo schema amici-nemici che fu caratteristico della Guerra Fredda. Esso è ormai il passato. La sicurezza è di ciascuno e di tutti. Ogni tentativo di costruire la sicurezza solo per noi stessi senza tenere contro di quella degli altri produrrà soltanto tensioni e conflitti. Il compito primario è dunque quello di costruire amicizie di lunga durata, cooperazioni strategiche in tutte le direzioni. Una nuova guerra globale sarebbe la fine dell’umanità e ogni piano che la preveda come possibile è un’idea folle. Noi, membri del Club di Sofia, ci impegniamo a costruire un tale approccio e a proporlo a tutti i soggetti di tutti i continenti, a trovare una via comune per la comprensione della nuova epoca che irrompe ad alta velocità nelle nostre vite e che tratteggia il destino delle future generazioni. Noi vogliamo agire non solo per il loro benessere, ma per la loro stessa sopravvivenza.(Sintesi della Dichiarazione costitutiva del “Club di Sofia”, think-tank paneuropeo costituitosi nella capitale bulgara il 26 ottobre, su iniziativa di Giulietto Chiesa, presidente del laboratorio politico “Alternativa”, con Antonio Ingroia di “Azione Civile”, il greco Panos Trigazis di “Syriza” e la lettone Tatjana Zdanoka, europarlamentare dei Verdi e co-presidente del “Partito per i diritti umani nella Lettonia Unita”. Tra i promotori anche altri parlamentari come l’ucraino Vadim Kolesnichenko, del “Partito delle Regioni”, e il deputato comunista moldavo Zurab Todua. Completano la lista dei fondatori del “Club di Sofia” il russo Sergey Kurginyan, presidente del partito “Essenza del Tempo”, il polacco Mateusz Piskorski, direttore esecutivo dell’“European Centre of Geopolitical Analysis”, il lituano Algirdas Paleckis, del partito “Fronte Socialista del Popolo” e il bulgaro Zakhari Zakhariev, presidente della “Sklavyani Foundation” e dirigente del Partito Socialista di Bulgaria).Quello che, per molti decenni, è stato considerato il cuore della civilizzazione europea è il modello sociale europeo. Esso viene ora demolito dall’offensiva neo-liberistica delle politiche estreme di austerità. L’istituto della famiglia come sorgente naturale di valori morali e come strumento essenziale di educazione e di socializzazione della persona umana è stato anch’esso demolito. Queste politiche minacciano l’idea stessa di Europa. L’imperativo presente è di ritornare alle radici dell’Europa unita, che nacquero già 200 anni fa, come idee di pace e di cooperazione. Come europei che credono nell’importanza dei diritti umani, noi sosteniamo l’idea di una Europa che muova verso valori sociali, democratici, pacifici e rispettosi dell’ambiente naturale, un’Europa del popoli e dei cittadini. Una tale visione dell’Europa è incompatibile con ogni forma di egemonismo, di xenofobia, di razzismo e di nazismo.
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La fine di Lizzani: vivere è un diritto, non un dovere
«Poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge». L’oncologo Umberto Veronesi commenta così il tragico suicidio dell’ultranovantenne regista Carlo Lizzani, gettatosi dalla finestra come Mario Monicelli. Ex ministro della sanità e autore di testi sul diritto all’eutanasia, Veronesi chiede che si torni a parlare di “fine vita” perché morti come quella di Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. Purtroppo, invece – in Italia come anche in molte parti d’Europa – il diritto di spegnersi con dignità non è ancora riconosciuto, dice Veronesi. «Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù, o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio».Un terzo dei suicidi, annota Flavia Amabile della “Stampa”, è a carico di chi ha più di 65 anni: metà degli anziani soffre di depressione. «E’ un problema vero», conferma Veronesi, che più che di “depressione” preferisce parlare di “demotivazione alla vita”: «Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso alla società e alla famiglia, perché devo vivere?». Sul tema, è stata presentata una richiesta di legge di iniziativa popolare, supportata dalle necessarie firme. «Se si dovesse avviare l’iter di legge si parlerà finalmente di questo complesso tema», osserva il professor Veronesi, anche se poi la legge non dovesse essere approvata. «Non dimentichiamo quello che accadde negli anni Settanta con l’interruzione di gravidanza». Sia in quel caso che ora, si tratta di un problema molto sentito dagli italiani: in tanti hanno un parente anziano che “non ce la fa più” e minaccia di farla finita. «Abbiamo tremila suicidi in Italia, tutti purtroppo tragici. La maggior parte si impiccano o si buttano giù dalla finestra. Sono un po’ di meno quelli che si asfissiano con il gas perché è un’operazione lunga, complessa. Ancora di meno quelli che usano i barbiturici perché spesso non funzionano. Rari quelli che si ammazzano con un colpo di pistola perché le armi non si trovano facilmente».È un insieme di vicende tragiche su cui dovremmo ricominciare a riflettere, aggiunge Veronesi. «Se si è stanchi di vivere si ha anche il diritto di andarsene, la vita è un diritto ma non un dovere. Nessuno può toglierti la vita, ma decidere di troncarla da soli è un diritto». I cattolici, osserva la giornalista della “Stampa”, sostengono che la vita sia un dono e di conseguenza non si è liberi di interromperla, né prima della nascita né dopo. Verissimo, risponde lo scienziato, «ma esiste anche l’autodeterminazione». Ed in Italia, oltre ai cattolici, «esistono dieci milioni di atei e agnostici», senza contare «milioni di persone che professano religioni diverse». Quindi: «Chi è fedele agli insegnamenti della Chiesa li segua, ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha il diritto di non ascoltare i dettami della religione».Certo, bisognerebbe provare a vivere sempre e comunque, ma «la decisione spetta solo a noi», e perciò «non è giusto mettere la nostra vita nelle mani di medici che ci torturano con macchine capaci di far vivere un corpo senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri». La sopravvivenza artificiale garantita dal cosiddetto “accanimento terapeutico” «è una forzatura», quando invece «bisognerebbe assecondare la natura». Per Veronesi, “eutanasia” è un pessimo termine: «Preferisco parlare di desistenza dalle cure, di aiutare a morire». E qualsiasi sia il termine, che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere? «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo, perché uccidersi non è reato. Anche il tentato suicidio non è punibile. Allora, perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?».«Poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge». L’oncologo Umberto Veronesi commenta così il tragico suicidio dell’ultranovantenne regista Carlo Lizzani, gettatosi dalla finestra come Mario Monicelli. Ex ministro della sanità e autore di testi sul diritto all’eutanasia, Veronesi chiede che si torni a parlare di “fine vita” perché morti come quella di Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. Purtroppo, invece – in Italia come anche in molte parti d’Europa – il diritto di spegnersi con dignità non è ancora riconosciuto, dice Veronesi. «Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù, o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio».
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Migranti: diritti e traghetti sicuri, o non siamo più umani
Traghetti. La prima cosa che ci vuole sono traghetti sicuri verso porti accoglienti. Quand’anche i politici non possano dirlo apertamente, è questa la prima ovvia necessità se si vuole evitare che il Canale di Sicilia si trasformi in una nuova Fossa delle Marianne. Quel tratto di mare non è di per sé insidioso per la navigazione; diventa tale quando lo solcano barche malconce e stipate all’inverosimile. Peggio dei vagoni merci diretti a Auschwitz esattamente settant’anni fa, se proprio vogliamo fare il calcolo del numero di persone ammucchiate in una superficie più o meno analoga. La differenza è che ad Auschwitz ci si andava deportati a morire, contro la propria volontà. Mentre sulle carrette del mare le persone si imbarcano volontariamente, pagando cifre con cui sugli aerei si viaggia in business class, nella speranza di vivere.
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Tav, bombe e menzogne: storia di una vergogna nazionale
Massimo Numa, destinatario di un misterioso pacco-bomba recapitatogli alla redazione della “Stampa”, è il giornalista più noto in valle di Susa, e il più temuto. Nella rovente estate 2011, gli attivisti lo accusarono direttamente: sostennero che proprio dal suo computer era partita una email-fantasma, firmata “Alessio”, nella quale si tentava di sostenere che un militante No-Tav, gravemente ferito al volto da un lacrimogeno il 23 luglio, fosse in realtà finito all’ospedale per essere semplicemente “caduto da solo”. Lo stesso Numa ammise che quella velenosa mail, palesemente destinata a inquinare la verità, era stata davvero inviata dal suo ufficio, anche se – disse – non era stato lui a spedirla. Nonostante questo increscioso episodio, non solo Numa è rimasto regolarmente in servizio alla redazione della “Stampa”, ma il direttore del giornale, Mario Calabresi, gli ha consentito di continuare a occuparsi quotidianamente della drammatica vertenza della valle di Susa, come se nulla fosse accaduto.
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Comunque vada, siamo rovinati: il dopo-Silvio è la Troika
Il dopo-Silvio? Uno solo: Bruxelles. E’ ormai evidente che l’Italia «non è in crisi contingente, ma in sfacelo strutturale». Le nostre istituzioni sono «completamente sottomesse e governate dalla Trojka e da Berlino». Per effetto del blocco dei cambi intra-Eurozona e delle sue conseguenze, la situazione porterà a uno scontro tra paesi euro-forti e paesi euro-deboli, data la crescente contrapposizione degli interessi e la polarizzazione dell’Unione Europea: da una parte il blocco centro-settentrionale (coi suoi satelliti orientali), che ha l’iniziativa politica ormai in esclusiva, e dall’altra una periferia sempre più povera, de-capitalizzata e indebitata. Marco Della Luna non ha dubbi: «Credo che i poteri forti (non facciamo i nomi, italiani e non – sarebbe superfluo) lavorino da tempo per evitare il secondo scenario e per realizzare il primo: fare dell’Italia un protettorato, cioè una povera donna di marciapiede spoliata, sfruttata e pestata dai suoi fratelli forti europei».
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Salvare l’Italia? Dimentichiamoci Letta, Renzi e Berlusconi
La parola d’ordine è una sola: vincere. Così Mussolini dal fatale balcone, tanti anni fa. Oggi che il Duce non c’è più, resta comunque una parola d’ordine – un’altra: sopravvivere – ed è sempre l’indizio di un gioco truccato. Chi parla per proclami, oggi più di ieri, sta barando: sa benissimo che la verità è lontana anni luce dalle parole. Non solo non si può “vincere”, ma non si può più nemmeno sopravvivere. E’ matematico, pallottoliere alla mano: se non hai più moneta da creare e quindi da spendere, e se ormai è lo straniero a gestire addirittura la tua borsa, le speranze di continuare a galleggiare – lavoro, consumi, servizi – sono ridotte a zero. La beffa suprema è che la verità seguita e restare fuori dalla porta, oscurata con zelo dai mattatori della disinformazione, oscuri manovali e pallidi eredi del Solista del Balcone. Agli ordini delle grandi lobby che dominano le comparse della democrazia – cartelli elettorali e semi-leader, sindacati e ras industriali complici della finanza – giornali e televisioni parlano di Letta, Napolitano e Berlusconi come di autorità politiche in grado di gestire davvero la crisi italiana, senza mai neppure domandarsi da dove venga, questa maledetta crisi.
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Vogliono spezzare la val Susa per poi piegare tutti noi
Assistiamo increduli alla militarizzazione e, nel contempo, alla riesumazione di fenomeni appartenenti agli oscuri recessi del secolo scorso (il terrorismo, le Brigate Rosse), per recintare, isolare e distruggere la solidarietà civile e politica nata intorno al movimento No-Tav che, va ricordato, è movimento di massa, che coinvolge buona parte del popolo della val di Susa con in testa molti dei suoi sindaci. Proviamo a mettere in fila alcuni fatti che, in questi ultimi giorni, hanno assunto un’improvvisa ma non inaspettata accelerazione. Due sconosciuti detenuti per fatti di terrorismo – e che dunque si suppone siano sottoposti ad un regime particolarmente severo di isolamento comunicativo – mettono tranquillamente su Internet un messaggio eversivo che oggettivamente ha il solo scopo (cui prodest?) di disegnare un’equazione tra terrorismo e movimento No-Tav, che – ribadiamolo – è opposizione di massa, non violenta, a un inutile e costoso progetto di scempio ambientale, che vuole prepotentemente e militarmente imporsi sul diritto alla salute e ad altri superiori valori costituzionali difesi strenuamente da un’intera comunità.
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Generazione decrescente, costretta a reinventarsi la vita
«Faccio parte di un generazione formata da moltissimi individui che vogliono più dei propri avi, pur essendo meno (o per nulla) in grado di accontentarsi di poco». Giovani che spesso «vogliono ottenere troppo senza sforzarsi molto», ma allo stesso tempo «hanno meno mezzi a livello caratteriale per ottenere ciò che vogliono». Più che “bamboccioni” troppo viziati durante l’infanzia e l’adolescenza, sono ragazzi che «hanno la sfortuna di vivere in un momento storico in cui le maggiorate esigenze non combaciano con un’economia che non può crescere all’infinito». Fine corsa: il sistema «non può dare le stesse possibilità di guadagno e di gratificazione dei decenni passati». Così Andrea Bertaglio tratteggia la sua “generazione decrescente”, quella che – per la prima volta – sa che non potrà avere a disposizione più risorse di quella che l’ha preceduta. Ormai è ufficiale: la Grande Crisi non fa sconti. Ma proprio la sua durezza suggerisce una soluzione: imparare a consumare meno (e meglio) per vivere un’altra vita, lontano dalla solitudine della pulsione consumistica.
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Germania disonesta, è il debitore più insolvente d’Europa
Angela Merkel è nota per saper interpretare come pochi altri politici le idee e gli umori del cittadino medio del suo paese, che si possono così riassumere: noi lavoriamo sodo, sappiamo fare il nostro mestiere e amministriamo con cura il denaro pubblico e privato, mentre quasi tutti gli altri, nella Ue, lavorano poco, sono degli incapaci e vivono al di sopra dei loro mezzi. In piena campagna elettorale, scrive Luciano Gallino, la Merkel difende calorosamente le politiche di austerità e delle riforme imposte agli altri paesi dell’Unione Europea affinché “risanino” i bilanci pubblici e riducano il debito pubblico: «I paesi Ue sono pieni di debiti e noi no, per cui ci tocca insegnargli come si fa ad uscirne». Ma se si guarda alla sua storia, replica Gallino, la Germania non ha nessun titolo per impartire lezioni in tema di debiti: come rivelato dallo stesso Albrecht Ritschl, storico dell’economia tedesca, la Germania è «il debitore più inadempiente del XX secolo».
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Trower: wi-fi pericoloso, verità nascosta a scopo di lucro
Come affermato da ricercatori universitari, scienziati governativi e consulenti scientifici internazionali, almeno il 57,7% delle studentesse esposte a radiazioni a microonde di basso livello (wi-fi) sono a rischio di avere aborti, malformazioni fetali o bambini con tare genetiche. I danni genetici possono essere trasmessi alle generazioni successive. Il professor John Goldsmith è consulente internazionale per le comunicazioni in Rf (radio-frequenze), consulente per l’Organizzazione Mondiale della Sanità in epidemiologia e scienze della comunicazione, consulente militare e universitario nonché ricercatore; a proposito dei bassi livelli di esposizione (sotto il livello termico) all’irraggiamento da microonde aventi le donne come bersaglio, ha scritto: «Nelle donne esposte a radiazioni di microonde, nel 47.7% dei casi ci sono stati aborti prima della settima settimana di gravidanza». E’ al di sotto di quello che la maggior parte delle studentesse riceve in un’aula dotata di trasmettitori wi-fi, a partire dall’età di circa cinque anni in su.
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Grillo e l’alternativa all’ultimo mangime per polli: Renzi
«Caro Giulietto, perché non ti unisci a Beppe Grillo? In fondo la pensate allo stesso modo, e l’unione fa la forza». Appunto, replica Giulietto Chiesa su “Megachip” a un lettore del suo spazio Facebook, Christian Bata Batildi: proprio perché non basterebbe neppure il 51%, come disse Berlinguer dopo il golpe in Cile, serve un’alleanza più vasta del 25% di Grillo: «Troppo forte è il nemico e lo sono i mezzi che ha a disposizione, nazionali e internazionali: guai a sottovalutare la forza dei Padroni Universali e dei loro maggiordomi locali». Tra essi primeggia il sindaco di Firenze: «Che qualcuno possa seguire addirittura con stima e attenzione le sorti del signor Renzi, conferma solo l’inveterata abitudine di una parte degli italiani a fare la parte dei polli», taglia corto sempre su “Megachip” Paolo Bartolini. «Se la nuova politica passa di qui siamo finiti». Eppure, è proprio su Renzi che sono puntati, ogni giorno, i riflettori dei media. Mentre l’Italia sta affrontando un disastro epocale, senza via d’uscita.