Archivio del Tag ‘civili’
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Il golpe mondiale avanza, ora testano la nostra obbedienza
In questo momento, le élite stanno testando le reazioni delle persone e il loro grado di sottomissione alle loro prevaricazioni. Stanno, in altre parole, preparando la popolazione mondiale al livello di obbedienza assoluta che sarà richiesto per entrare a far parte del Nuovo Ordine Mondiale. Non ci sarà infatti spazio per il dissenso. I dissidenti saranno messi al bando e trattati alla stregua di elementi indesiderati da eliminare. In questo senso, l’imposizione delle mascherine, oltre a verificare il grado di sottomissione del popolo, aiuta il regime a comprendere facilmente chi non si allinea alla dittatura. E’ un modo per poterli individuare rapidamente e vessarli con abusi e sanzioni illegali e incostituzionali. In questo modo, la dittatura cerca di spezzare anche la volontà di chi non vuole allinearsi, avvertendolo del futuro che lo attende se non si adegua. Questa seconda fase, per quanto potrà sembrare difficile da credere, si annuncia persino più autoritaria di quella di marzo. I controlli che stanno per arrivare saranno non molto dissimili da quelli previsti per la legge marziale. Si inizia già a parlare dell’esercito per le strade per far rispettare le imposizioni della dittatura.Occorre che la popolazione venga “educata” e sottomessa completamente per poter procedere spediti verso il governo unico mondiale sognato dai Rockefeller. I governi nel mondo si stanno attenendo fedelmente all’agenda di questo piano. Nuove chiusure sono già state decise. A New York hanno già chiuso nove quartieri. Parigi sembra destinata a seguire la stessa strada. Il governo eversivo Pd-M5S sembra orientato a seguire la stessa strategia, stavolta servendosi delle Regioni per avviare delle chiusure locali che produrranno quasi lo stesso effetto di una chiusura generalizzata a livello nazionale. A quel punto, l’economia italiana e mondiale rischierà davvero di implodere. Solo per quello che riguarda l’Italia, quest’anno si attende un calo del Pil del 13%. A Roma hanno già chiuso 5.000 negozi, e a Venezia è già partito lo shopping delle attività fallite da parte degli albanesi e dei capitali stranieri. Il porto di Taranto è finito in mani cinesi, mentre quello di Trieste è stato comprato da una società tedesca. Il paese è stato messo all’asta e i danni delle precedenti chiusure sono stati già pesantissimi. Se si chiude nuovamente, si rischia di raggiungere crolli del Pil pari a quelli del 1944, dove questo indicatore scese del 18,7%.Il pane mancherà sulla tavola e le rivolte a questo punto si faranno sempre più inevitabili. Non ci sarà da sorprendersi se, una volta giunti a questo scenario di disordini generali, la dittatura ricorrerà alle forze armate contro civili inermi. L’operazione Covid dunque sta per toccare un punto ancora più alto di destabilizzazione che servirà a generare il caos desiderato dal sistema per arrivare verso l’ordine mondiale autoritario voluto dalle élite. A questo punto, l’unico intralcio sui piani del mondialismo è rappresentato solamente dall’America. Solo la superpotenza di questa nazione può mettere un freno all’avanzare del nuovo autoritarismo globale. Senza gli Stati Uniti, è praticamente impossibile arrivare al compimento di un governo unico mondiale. In questo senso, Trump è stato l’elemento imprevisto e non calcolato dal sistema, che il Deep State vuole disperatamente togliere dalla scena. Il giornale di riferimento della sinistra progressista internazionale, il “Washington Post”, pochi giorni fa pubblicava un tweet nel quale scriveva di immaginare come sarebbe il mondo se non si dovesse più pensare a Trump.E’ questo ciò che vuole il sistema. Vuole togliere di mezzo l’ultimo grande ostacolo che separa il mondo dal Nuovo Ordine Mondiale, ovvero Donald Trump. Dopo resterebbe la sola Russia di Putin, che verrebbe attaccata come ha già fatto capire il candidato democratico Joe Biden. In America, il Deep State militare sta suggerendo apertamente di rovesciare il presidente con un colpo di Stato qualora non volesse lasciare spontaneamente la Casa Bianca anche in caso di una sua rielezione. Dipende tutto da questo, dunque. In queste ore si decide se si avrà ancora la possibilità di vivere in un mondo libero o sotto il giogo dell’autoritarismo globale. Quali saranno le sorti dell’umanità, dunque? Molti anni fa, nel 1983, Thomas Zimmer, un prete cattolico mistico, predisse l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, quando ancora questa ipotesi era praticamente impensabile. Padre Zimmer disse che il compito di Trump, una volta eletto presidente, sarebbe stato quello di riportare l’America a Dio. La prima parte di quella previsione si è avverata. Ora resta da capire se sarà così anche per la seconda parte.(Cesare Sacchetti, estratto da “Trump positivo al Covid: la mossa per mettere fine all’operazione terroristica Covid e fermare il Nuovo Ordine Mondiale?”, post pubblicato sul blog “La Cruna dell’Ago” il 5 ottobre 2020).In questo momento, le élite stanno testando le reazioni delle persone e il loro grado di sottomissione alle loro prevaricazioni. Stanno, in altre parole, preparando la popolazione mondiale al livello di obbedienza assoluta che sarà richiesto per entrare a far parte del Nuovo Ordine Mondiale. Non ci sarà infatti spazio per il dissenso. I dissidenti saranno messi al bando e trattati alla stregua di elementi indesiderati da eliminare. In questo senso, l’imposizione delle mascherine, oltre a verificare il grado di sottomissione del popolo, aiuta il regime a comprendere facilmente chi non si allinea alla dittatura. E’ un modo per poterli individuare rapidamente e vessarli con abusi e sanzioni illegali e incostituzionali. In questo modo, la dittatura cerca di spezzare anche la volontà di chi non vuole allinearsi, avvertendolo del futuro che lo attende se non si adegua. Questa seconda fase, per quanto potrà sembrare difficile da credere, si annuncia persino più autoritaria di quella di marzo. I controlli che stanno per arrivare saranno non molto dissimili da quelli previsti per la legge marziale. Si inizia già a parlare dell’esercito per le strade per far rispettare le imposizioni della dittatura.
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Guerra (mondiale) contro di noi. L’ultimo ostacolo è Trump
Il discorso tenuto da Trump dall’ospedale militare Walter Reed verrà ricordato probabilmente come il più alto e profondo del suo mandato. Il presidente è riuscito a ricompattare le divisioni di un paese profondamente lacerato da mesi di disordini provocati dai gruppi terroristici degli Antifa e di Black Lives Matter, finanziati entrambi da George Soros, che hanno seminato un’ondata di violenza tale da portare l’America sull’orlo della guerra civile. La strategia del Deep State era ed è quella di destabilizzare l’America e l’amministrazione di Trump, ma il presidente annunciando di essersi preso il coronavirus è riuscito a stringere la nazione intorno a sé. Alcuni ambienti della sinistra radicale americana hanno avanzato il sospetto che Trump in qualche modo abbia inscenato un falso contagio per smontare la pericolosità del Covid, e dimostrare a tutti che questo agente patogeno non è il mostro che in realtà i media hanno descritto. A leggere le parole che il presidente ha consegnato a Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York e suo consigliere già durante la sua prima campagna elettorale nel 2016, viene quasi da pensare che effettivamente possa essere così. Trump scrive a Giuliani: «Ho dovuto affrontare il virus, così che il popolo americano smettesse di averne paura e per poterlo trattare responsabilmente».
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Silverstein: è stato Israele a bombardare il porto di Beirut
Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio, sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevao, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.Ovviamente è inconcepibile che gli agenti israeliani non si siano curati di appurare tutto ciò che riguardava il loro obiettivo, incluso ciò che si trovava nelle immediate vicinanze. La tragedia che Israele ha provocato è un crimine di guerra di immensa grandezza. La Corte Penale Internazionale ha già stabilito di indagare su Israele per i crimini di guerra commessi a Gaza nel 2014 durante Protective Edge. Ora, immagino che amplierà la portata delle indagini, includendo il criminale massacro, causato da negligenza, del 4 agosto. Sebbene Israele abbia regolarmente attaccato Hezbollah e depositi e convogli di armi iraniani in Siria, raramente ha intrapreso attacchi così sfacciati all’interno del Libano. Questo attacco nella capitale del paese segna un’escalation maggiore. La pura incoscienza di questa operazione è sorprendente. Un’operazione di questo tipo può avvenire solo in mezzo a disfunzioni politiche interne. Bibi (Natanyahu) è alle corde, e cerca disperatamente di cambiare argomento. Quando i suoi ufficiali dell’intelligence gli hanno portato il piano, probabilmente si è fregato le mani con gioia e ha detto: «Vai!».L’intelligence israeliana era naturalmente pronta a soddisfare il capo, e probabilmente ha “smussato” gli angoli per portare a termine l’attacco. Quando nessuno al volante dice “stop”, la barca colpisce un iceberg e affonda. Questo è probabilmente quello che è successo in questo caso. L’attentato israeliano ne richiama alla memoria altri simili, orchestrati dai suoi agenti a Beirut nel periodo precedente e successivo all’invasione del 1982. Il libro di Ronen Bergman sugli omicidi del Mossad, come pure Remy Brulin, hanno documentato molteplici attentati israeliani, durante questo periodo, che hanno provocato molte morti e distruzioni ai danni della popolazione civile della città. In questo caso, il danno è stato accidentale, ma questo non sarà di conforto per le migliaia di abitanti di Beirut, le cui vite sono diventate un inferno vivente a causa di questo crimine israeliano. Per inciso, l’ex membro della Knesset per il Likud, Moshe Feiglin, ha twittato una citazione della Bibbia sul disastro: «Non ci sono mai stati giorni così grandi in Israele come il 15 di Av [il giorno dell'attentato] e lo Yom Kippur».Certo, mi duole ammettere che il presidente Trump aveva ragione nella sua affermazione che l’esplosione è stata «un attacco terribile», e che l’informazione gli era stata trasmessa dai «suoi generali». In questo caso, avevano ragione loro. Potrebbero (e dovrebbero) esserci ripercussioni politiche interne, per questo disastro. Quando Netanyahu ha approvato l’attacco, è divenuto responsabile delle conseguenze. Nel 1982, una commissione d’inchiesta trovò Ariel Sharon colpevole dell’invasione del Libano e del massacro di Sabra e Shatila. Fu mandato in esilio politico per un decennio. Per lo meno, questo dovrebbe escludere Bibi dal guidare il paese. Questo sarebbe il risultato in qualsiasi nazione democratica in cui il leader fosse ritenuto responsabile dei suoi fallimenti. Ma ahimè, Israele non è un paese del genere, e Bibi sembra sempre riuscire a sottrarsi alle responsabilità per i suoi errori. La differenza adesso è che il leader israeliano è già sotto pressione, a causa della disastrosa risposta del suo governo al Covid-19 e dell’incombente processo per corruzione, con tre capi d’accusa. Questo potrebbe essere il punto di svolta.Normalmente, gli israeliani non batterebbero ciglio di fronte a un simile massacro. Sono affascinati dalla sofferenza che infliggono ai loro vicini arabi. Ma data la decrescente popolarità di Netanyahu, questo accadimento potrebbe accelerarne la fine. Israele non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per infliggere tale sofferenza al Libano. Il paese è in profonda crisi economica. Le aziende falliscono, le persone non hanno nulla da mangiare, i politici litigano e si incolpano a vicenda, mentre non fanno nulla. Il Libano è come un cestino da basket. La sofferenza è ovunque. C’è poco interesse da parte dei suoi fratelli arabi, come l’Arabia Saudita, ad andare in suo aiuto. Se un paese non aveva bisogno di questa tragedia aggiuntiva, questo è il Libano. Ma ecco qui: Israele non sembra avere alcun senso di vergogna o moderazione quando si tratta di infliggere dolore ai suoi vicini. Naturalmente ci saranno degli scettici, persone che non crederanno alla mia fonte. Ma a loro faccio notare due evidenze.Di solito, se Israele ha intrapreso con successo un attacco terroristico (come quelli contro l’Iran), o rifiuterà di commentare, oppure una figura militare o politica di alto livello dirà qualcosa del genere: «Noi rifiutiamo di commentare, ma intanto qualcuno ha fatto un favore al mondo». In questo caso, Israele ha immediatamente negato ogni responsabilità. Perfino Hezbollah avrebbe detto che Israele non aveva causato il danno (probabilmente per proteggersi dall’inevitabile colpa di aver conservato le sue armi accanto a un edificio pieno di materiale esplosivo). Il secondo segnale rivelatore è che Israele non offre mai aiuti umanitari ai suoi vicini arabi. Durante la guerra civile siriana, l’unico gruppo a cui Israele offrì assistenza umanitaria furono i suoi alleati islamisti anti-Assad. Israele non ha mai offerto aiuti del genere in Libano, fino ad oggi. Ha invece causato decenni di morte e distruzione. Farlo ora è degno della sua faccia tosta.(Richard Silverstein, “Israele ha bombardato Beirut”, dal blog di Silverstein del 4 agosto 2020; post tradotto e ripreso l’indomani da Paola Di Lullo su “L’Antidiplomatico”. Silverstein, giornalista e blogger ebreo-americano, si definisce un «sionista progressista (critico)» che sostiene un «ritiro israeliano ai confini pre-67 e un accordo di pace internazionalmente garantito con i palestinesi». La stessa di Lullo segnala tre indizi: un video postato da “Repubblica”, in cui si vede un oggetto volante nero che lascia la zona, e i sospetti dell’esperto Danilo Coppe, intervistato dal “Corriere della Sera” e da “Fanpage”).Israele ha fatto esplodere un deposito di munizioni di Hezbollah nel porto di Beirut. Ma non sapendo che un deposito vicino conteneva un’enorme quantità di nitrato di ammonio, sopraffatto dalle dimensioni della carneficina e della distruzione, il governo ha immediatamente negato il proprio coinvolgimento – ancor prima che qualcuno in Libano incolpasse Israele. Una fonte israeliana altamente informata mi ha detto, in via confidenziale, che Israele ha causato la massiccia esplosione nel porto di Beirut che ha ucciso oltre 100 persone e ne ha ferite migliaia. Il bombardamento ha anche praticamente raso al suolo il porto stesso e causato danni ingenti in tutta la città. Israele aveva preso di mira un deposito di armi di Hezbollah nel porto e aveva pianificato di distruggerlo con un dispositivo esplosivo. Tragicamente, l’intelligence israeliana non è stata sufficientemente diligente, perché non sapeva (o se lo sapevano, non gliene importava) che c’erano 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio in un magazzino proprio lì accanto. L’esplosione del deposito di armi ha incendiato il magazzino accanto, provocando la catastrofe che ne è derivata.
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5G, vaccini e “fake”: la post-verità, nell’Era del Coronavirus
Vaccini e 5G sono di gran voga, in tempi di coronavirus, nella cosiddetta narrativa complottista. Ne parla anche Massimo Mazzucco, denunciando il “ministero della verità” allestito a Palazzo Chigi e la spettacolare, duplice manovra in atto da parte dell’establishment: da un lato si raccomanda la fruizione dei soli media ufficiali (spesso i primi a spacciare “fake news”) e dall’altro si criminalizzano le fonti alternative di informazione. Esemplare il caso del Patto per Scienza di Burioni, che chiede addirittura ai magistrati di spegnere “ByoBlu”, reo di avere ospitato uno scienziato “eretico” come Stefano Montanari. L’allarme di Mazzucco è esplicito: c’è da temere che si approfitti del coprifuoco imposto dal coronavirus per poi magari limitare la nostra libertà di informazione anche domani, quando l’emergenza sarà finita. Motivo: social, video e blog vantano ormai milioni di visualizzazioni, dunque rappresentano una potenziale minaccia per chi volesse mentire agli italiani attraverso i canali ufficiali della comunicazione tradizionale.Nella sua ricostruzione giornalistica, Mazzucco – autore di importanti documentari sull’11 Settembre, trasmessi anche da Canale 5 in prima serata – cita alcune clamorose “fake news” veicolate dai grandi network televisivi: dagli inesistenti “200 bambini morti a Londra per il morbillo” (evocati da Beatrice Lorenzin negli studi di Vespa e Formigli) alle affermazioni di Rex Tillerson su Putin “criminale di guerra” (distorte da Giovanna Botteri). Il record – nella classifica di Mazzucco – spetta ad Andrea Purgatori, che su La7 ha spacciato le sequenze di un videogame per “le immagini dell’uccisione del generale Soleimani”. In studio ha assicurato: sembra un videogioco, ma non lo è. Smascherato, su Twitter ha ammesso: sì, è vero, quelle immagini erano di un videogame. E questi, si domanda Mazzucco, sarebbero i campioni dell’informazione seria, gli unici di cui dovremmo fidarci, come ripete lo spot che Mediaset sta trasmettendo a ciclo continuo?Mazzucco, naturalmente, passa per complottista. La sua colpa? E’ stato il primo a realizzare un film che demolisce, prove alla mano, la versione ufficiale sull’11 Settembre. L’Oscar del Complottismo gli è stato tributato per il documentario “American Moon”. I suoi detrattori lo accusano di negare l’avvenuto sbarco sulla Luna del 1969. Se invece uno si prende la briga di visionare il filmato, scopre che Mazzucco – suffragato dal parere dei alcuni tra i più importanti fotografi, da Peter Lindbergh a Oliviero Toscani – si limita, per così dire, a dimostrare che quelle storiche immagini sarebbero state realizzare in studio, sulla Terra (per quale motivo, non è dato saperlo). Comunque la si pensi, socraticamente, il contributo di Mazzucco invita a coltivare il dubbio: cosa che lo stesso giornalismo per primo dovrebbe sempre fare, come ricorda lo statunitense Seymour Hersh, secondo cui negli ultimi anni il mondo ha vissuto troppe guerre, con troppe vittime civili, anche a causa della reticenza della stampa, che secondo Hersh ha permesso ai decisori di avventurarsi nelle peggiori imprese manipolando l’opinione pubblica grazie alle “fake news” veicolate dai grandi media.Sono proprio le “fake news ufficiali” a scatenare la degenerazione complottistica, che inonda il web di vere e proprie bufale: un regalo favoloso, per chi volesse spegnere (insieme a quelle dei “terrapiattisti”) anche le voci autorevoli, onestamente impegnate a cercare verità irrintracciabili nel mainstream. Il cospirazionismo appare perfettamente funzionale al peggior potere: incrementa la credulità dei più ingenui e, al tempo stesso, squalifica i ricercatori seri. Nella sua ottusità dogmatica, il complottismo è speculare al negazionismo: i complottisti pensano che qualsiasi evento sia sempre e solo il frutto di una bieca cospirazione, mentre i loro apparenti avversari negano, semplicemente, che i complotti esistano. E’ la stessa storia a insegnarci che i complotti si susseguono, da sempre, ma non è detto che poi vadano in porto. In una infinita scala di grigi, come si può pensare che tutto sia soltanto bianco o nero? Questo non-pensiero semplificato, automatico, fa sicuramente comodo a chi maneggia il consenso in modo spregiudicato, fabbricando nemici su misura per ogni stagione, con il relativo corollario di odio, paura e tifo calcistico.Il problema, avverte Mazzucco, è che ora la situazione starebbe cambiando a vista d’occhio: sotto la fortissima pressione psicologica e sociale dell’emergenza da coronavirus, si annuncia un progressivo soffocamento, anche governativo, delle voci indipendenti. Il che – statistiche alla mano – potrebbe preludere a qualcosa di francamente inquietante: un futuro in cui, come già avviene in Cina, sia espressamente vietato far circolare idee eterodosse? Ovvero: siamo alla vigilia del peggior incubo distopico di matrice orwelliana, coi cittadini sorvegliati passo passo, elettronicamente? Domande che pesano, e che Mazzucco propone agli ascoltatori. Dato il coprifuoco imposto per via del Covid-19, non c’è bisogno di ricordare che, in guerra, la prima vittima è sempre la verità. Sul misteriosissimo coronavirus, finora, si è detto tutto e il contrario di tutto: medici e ricercatori stanno lottando, ogni giorno, per venirne a capo e trovare una cura risolutiva e rassicurante. Nel frattempo, il complottismo si scatena: il Covid-19 sarebbe il frutto di una cospirazione mondiale, e la virulenza del morbo sarebbe accentuata dalle microonde della rete 5G. In parallelo, specularmente: silenzio assoluto, dai grandi media, sia sulle problematiche da vaccino che sui potenziali rischi del wireless di quinta generazione.In Italia, negli ultimi anni, la grande stampa ha regolarmente silenziato le notizie allarmanti via via emerse, da fonti autorevoli, riguardo alla somministrazione improvvisamente obbligatoria di vaccini polivalenti di ultima generazione. Sulla scorta di consulenze mediche, la commissione parlamentare guidata da Gian Piero Scanu additò alcuni vaccini come concausa di gravi patologie a danno dei nostri militari. La Regione Puglia – unica, ad aver istituito un monitoraggio speciale (farmacovigilanza attiva) dopo l’introduzione dell’obbligo vaccinale in Italia, ha fornito le percentuali – altissime – delle reazioni avverse registrate dai bambini vaccinati. E il presidente dell’ordine dei biologi italiani, Vincenzo D’Anna, ha rilevato la presenza di vaccini “sporchi”, tra le dosi distribuite in Italia. Voci autorevoli e argomentazioni serie: non per negare l’utilità dei vaccini, ma verificare le condizioni particolari della loro attuale somministrazione obbligatoria. Se ne avessero parlato diffusamente, giornali e televisioni, magari avrebbero scoperto – come ricorda lo stesso Mazzucco – che negli Usa gli eventuali errori delle aziende produttrici di vaccini sono “depenalizzati” per legge: a indennizzare le eventuali vittime provvede lo Stato. E dagli anni ‘80, l’amministrazione Usa ha già dovuto sborsare 4 miliardi di dollari per risarcire persone che la giustizia ha riconosciuto vittime di “danni da vaccino”.La parola magica – fake news – incombe anche su chi si azzardasse a menzionare il fantasma del 5G, cioè “l’Internet delle cose” appena bloccato da paesi come Svizzera e Slovenia, preoccupati per l’assenza di prove certe – per ora, almeno – sull’innocuità di questa nuovissima tecnologia, connessa con i satelliti appena messi in orbita, a migliaia, da Elon Musk. Fa male alla salute, il 5G? I complottisti ne sono certissimi. Gli scienziati invece sono divisi: alcuni escludono pericoli, altri temono che le frequenze del 5G possano nuocere alle nostre cellule. In molti esprimono dubbi: sostengono che siano necessari test più approfonditi, per giungere a conclusioni incontrovertibili, in un senso o nell’altro. Intanto, a mettere in relazione il 5G addirittura con il coronavirus è anche Gunter Pauli, consigliere economico di Giuseppe Conte. Ma la vera notizia, probabilmente, è un’altra: per i grandi media, il 5G è come se non esistesse. Semplicemente non ne parlano, anche se l’avvenimento pubblico di cui parlare ci sarebbe: sono ormai quasi 200 i Comuni italiani che si sono opposti all’installazione delle antenne.Daccapo: se un tema è dibattuto presso l’opinione pubblica, perché non parlarne con precisione e serenità? Se i timori legati all’eventuale abuso di alcuni vaccini fossero infondati, perché non smontarli – una volta per tutte – sulla base di prove inoppugnabili? Idem: se quelle sul fantomatico 5G sono soltanto bufale, perché non demolirle – in modo serio, scientifico – a reti unificate? Il silenzio, viceversa, alimenta inevitabilmente ogni tipo di illazioni. Ragiona Mazzucco: alle domande scomode si evita di rispondere, preferendo tacciare comodamente di complottismo chi osa rilanciarle, quelle domande. Attenzione: domande, non tesi dogmatiche. L’obiettivo non è propagandare verità prefabbricate, magari apocalittiche, ma raggiungere una verità ragionevolmente accertabile. E non è nemmeno questione di vaccinazioni e antenne: la vera posta in gioco è la trasparenza, su tutto. Dove finisce, la democrazia, se l’opinione pubblica non è innanzitutto informata dei fatti che la riguardano? Il lavoro dei tanti ricercatori che in questi anni hanno offerto analisi disponibili solo sul web, purtroppo, mina una volta di più il prestigio dell’informazione mainstream. E questa non è affatto una buona notizia.Messi finalmente da parte complottismi e negazionismi, simmetriche deformazioni della conoscenza, una quota accettabile di verità dovrebbe emergere dal terreno intermedio della vera informazione, laica, onesta, in buona fede. Avvertiva Indro Montanelli: guardatevi da chi dichiara di diffondere notizie “oggettive”; fidatevi invece di chi si limita a fornire narrazioni sincere (magari anche erronee, ma sbagliando in proprio). Sbagliare fa parte del mestiere: la stessa scienza deve il suo progresso proprio all’ammissione dei suoi errori. Torna in mente l’immagine usata dal filosofo Bertrand Russell: più cresce il fascio di luce che rischiara il buio, più cresce la consapevolezza della vastità delle tenebre, cioè dell’ignoto. Di fronte all’ignoto che oggi minaccia di colpo miliardi di individui – la strana comparsa del Covid-19 – forse è bene concludere che non esistono risposte semplici, e che le testi preconcette (complottiste e negazioniste) non aiutano a risolvere il problema. Se poi i decisori mostrano apertamente di temere la proliferazione di voci incontrollate, forse c’è di che preoccuparsi. Quanta strada avrebbero fatto, i peggiori complotti, se l’opinione pubblica non fosse stata ipnotizzata dai suoi incantatori? Il pifferaio più celebre, Hitler, riuscì a far credere ai tedeschi che le loro disgrazie fossero imputabili agli ebrei. Il film “Il tamburo di latta”, di Volker Schlöndorff, tratto dall’omonimo romanzo di Fassbinder, si conclude con queste parole: credevamo di aver aperto la porta a Babbo Natale, e invece era l’uomo del gas.(Giorgio Cattaneo, “5G, vaccini e Ministero della Verità: complottismo e negazionismo nell’Era del Coronavirus”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 aprile 2020).Vaccini e 5G sono di gran voga, in tempi di coronavirus, nella cosiddetta narrativa complottista. Ne parla anche Massimo Mazzucco, denunciando il “ministero della verità” allestito a Palazzo Chigi e la spettacolare, duplice manovra in atto da parte dell’establishment: da un lato si raccomanda la fruizione dei soli media ufficiali (spesso i primi a spacciare “fake news”) e dall’altro si criminalizzano le fonti alternative di informazione. Esemplare il caso del Patto per la Scienza di Burioni, che chiede addirittura ai magistrati di spegnere “ByoBlu”, reo di avere ospitato uno scienziato “eretico” come Stefano Montanari. L’allarme di Mazzucco è esplicito: c’è da temere che si approfitti del coprifuoco imposto dal coronavirus per poi magari limitare la nostra libertà di informazione anche domani, quando l’emergenza sarà finita. Motivo: social, video e blog vantano ormai milioni di visualizzazioni, dunque rappresentano una potenziale minaccia per chi volesse mentire agli italiani attraverso i canali ufficiali della comunicazione tradizionale.
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Tulsi Gabbard, l’unica politica non complice del Deep State
Mentre succede di tutto, in America…. Mentre l’impunito Israele bombarda la Siria un giorno sì e l’altro pure, nel compiacimento generale e con i russi zitti; mentre forse l’accordo tra Usa e Taliban, che taglia fuori i fantocci corrotti del teatrino di Kabul, pone fine (malvista dal “Manifesto”: “le donne!”) a 19 anni di stragi Usa-Nato di civili afghani e di maxi-produzione di eroina per l’Occidente; mentre non passa giorno che gli Usa non facciano stragi di civili in Somalia, “effetti collaterali” dei bombardamenti sugli Shabaab; mentre le milizie Isis allevate da Usa, Israele, Erdogan e petrotiranni terrorizzano Siria, Egitto, Libia, Africa, Europa; mentre l’Occidente sostiene il regime golpista di Al Serraj in Libia, tenuto in piedi dalla peggiore feccia jihadista di Misurata, garante anche del traffico Ong di sradicati africani ma caro alle nostre sinistre imperiali e di destra; mentre un virus, trasformato da normale influenza in peste bubbonica, serve a satanizzare la Cina, bloccare la Via della Seta, sperimentare stati d’assedio e di neutralizzazione sociale… mentre succede tutto questo, qualcuno inizia a fare il tifo per l’uno o l’altro candidato nelle primarie del Partito Democratico statunitense.Burattini di Bilderberg sul campo: ci si divide tra un supermiliardario, 9° al mondo per ricchezza, Bloomberg, che le primarie e, forse, la presidenza, se le compra a suon di milionate, a dispetto delle sue performance Tv da brocco azzoppato, e una “liberal”, Warren, che però è simpatica al Pentagono e da Wall Street è la più foraggiata. Oppure tra uno scaturito sindaco di un villaggio dell’Indiana, Buttigieg, che sembra un fumetto da Cocco Bill, epperò per tutta la vita ha bazzicato più i servizi segreti che non il saloon del paese e quindi ha i voti della Cia, e un totalmente rincoglionito malvivente, Biden, che ricattava, lui sì, il governo ucraino perché non processasse il figliolo lestofante, e però gode del consenso afroamericano, dato che è stato vice di un presidente nero. La crème de la crème delle primarie democratiche: pian piano i nostri sinistri imperialisti di destra, “Manifesto” in testa, devono – il distintivo esibito lo impone– rassegnarsi ad abbandonare queste ipotesi, pur viste finora con simpatia, e schierarsi con il sinistro vero, socialdemocratico, forse addirittura socialista, sconfitto nel 2016 da Hillary a forza di trucchetti sporchi del Comitato Nazionale Democratico (Dnc). Che non è altri che il 77enne Sanders. Bernie, per i fan.Sanders, il neocon sociale! Dice, ma come? Ma se questo Sanders, dopo aver chiesto sanità per tutti e aumenti salariali, s’è detto pronto (al “New York Times”) ad appoggiare un attacco preventivo a Iran e Corea del Nord? Ma come, se ha concluso, con Pompeo e tutti i neocon, che Putin è un farabutto e che ha messo le zampe sulle elezioni americane di ieri e di oggi e fa da sgabello a Trump? Ma come, se – pur dopo aver affermato che Netanyahu é uno zotico – dichiara che tutto il resto di Israele gli sta bene e che l’ambasciata Usa deve restare trasferita a Gerusalemme? Cosa rispondono i sinistri imperiali su questo vecchietto in piena sintonia con l’imperialismo neocon e dello Stato Profondo? Ma cosa devono rispondere, se la pensano come lui! Dopo il ticket Bloomberg-Hillary, allucinazione apocalittica di cui qualcuno però già vocifera e lei non smentisce, cosa ci sarebbe di meglio del “socialista” Sanders? Ma c’è un’altra concorrente alle primarie, anche se non va ai battibecchini Tv. L’avete mai sentita nominare?Si chiama Tulsi Gabbard, senatrice dell’Alaska; è giovane e bella, ma è già una veterana di ripetute missioni militari in Iraq da ufficiale della Guardia Nazionale. Dalle quali ha tratto l’unica posizione anti-guerra e antimperialista di tutto il cucuzzaro democratico-repubblicano che concorre alla presidenza. Ha compiuto l’indicibile: è andata da Bashar al Assad, presidente della Siria in resistenza da 10 anni, e ha detto che ha ragione. Ha detto che è una vergognosa mistificazione chiamare i terroristi Isis e Al Qaida “ribelli” e cianciare di “guerra civile”. Ha detto che tutte le guerre e tutti gli ammazzamenti Usa devono finire. E ha sbagliato ancora una volta, definendo il vecchio compare degli Usa nell’allevamento dei ratti terroristi e neo-alleato in Nato grazie ai massacri compiuti in Idlib, «dittatore turco aggressivo, integralista ed espansionista», e intimando a Trump di «non farsi trascinare in una guerra contro la Russia». Tutto il contrario di quanto da parte degli altri bravi candidati si auspica. Non ha perso l’attimo, Hillary, per sentenziare (per questo da Tulsi querelata) che la senatrice Gabbard non è altro che un arnese dei russi. Come tutti quelli fuori dal giro euro-atlantico. Soros l’ha definita la massima sciagura che possa capitare agli Usa e al mondo. Una garanzia, per noi. E non volete che campioni del giornalismo indipendente, come “New York Times”, “Washington Post” e Cnn, non abbiano subito rilanciato l’infamante, incapacitante anatema? Ora sapete perché in Italia non se ne parla. Men che mai sul “Manifesto”.(Fulvio Grimaldi, “Altro che Sanders o altri fasulloni: zitti zitti, negli Usa spunta un’antimperialista vera”, dal blog “Mondocane” del 1° marzo 2020. Nel frattempo, alcuni candidati citati – Bloomberg, la Warren, Buttigieg – si sono ritirati, ma l’analisi di Grimaldi offre un ritratto impietoso dei candidati scesi in campo per arginare Trump).Mentre succede di tutto, in America…. Mentre l’impunito Israele bombarda la Siria un giorno sì e l’altro pure, nel compiacimento generale e con i russi zitti; mentre forse l’accordo tra Usa e Taliban, che taglia fuori i fantocci corrotti del teatrino di Kabul, pone fine (malvista dal “Manifesto”: “le donne!”) a 19 anni di stragi Usa-Nato di civili afghani e di maxi-produzione di eroina per l’Occidente; mentre non passa giorno che gli Usa non facciano stragi di civili in Somalia, “effetti collaterali” dei bombardamenti sugli Shabaab; mentre le milizie Isis allevate da Usa, Israele, Erdogan e petrotiranni terrorizzano Siria, Egitto, Libia, Africa, Europa; mentre l’Occidente sostiene il regime golpista di Al Serraj in Libia, tenuto in piedi dalla peggiore feccia jihadista di Misurata, garante anche del traffico Ong di sradicati africani ma caro alle nostre sinistre imperiali e di destra; mentre un virus, trasformato da normale influenza in peste bubbonica, serve a satanizzare la Cina, bloccare la Via della Seta, sperimentare stati d’assedio e di neutralizzazione sociale… mentre succede tutto questo, qualcuno inizia a fare il tifo per l’uno o l’altro candidato nelle primarie del Partito Democratico statunitense.
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Paura e morte, la dittatura della superpotenza democratica
Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi tentacoli, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco continua, imperterrito, a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultimo residuo del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in questo caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.Nel 2020, tecnicamente, in molte regioni del mondo la parola democrazia non significa niente, nella migliore delle ipotesi (nella peggiore, equivale al rituale ricorrente di bombardamenti, guerre, milioni di esuli e rifugiati, tra inconfessabili calcoli economici e reciproche convenienze, tacitamente stipulate da oligarchie formalmente nemiche ma in realtà alleate, sottobanco). Il capolavoro della superpotenza democratica, in Medio Oriente, negli ultimi anni è stata la sua micidiale doppiezza: massimo appoggio alla peggiore di tutte le dittature dell’area, l’Arabia Saudita, e guerra sporca contro ogni altro attore della regione, destabilizzato dalle rivoluzioni colorate o brutalmente devastato attraverso bande armate di tagliagole. Lo spettacolo della democrazia atlantica in versione mediorientale lo hanno lungamente scontato, sulla loro pelle, prima gli iracheni e poi i siriani. Questi ultimi, in particolare, sono stati letteralmente assaliti dalle milizie terroristiche organizzate, protette, armate e finanziate dalla superpotenza democratica e dai suoi camerieri regionali. I tagliagole hanno seminato orrore, terrore e morte, fino a quando non è intervenuta la Russia. Liberata la Siria e restituito il territorio ai siriani, il turco Erdogan – uno dei manovali terroristici reclutati dalla superpotenza democratica – ora non accetta il verdetto militare, e prova a negare ai siriani il diritto a una vittoria compiutamente definitiva.Un vero e proprio eroe del riscatto nazionale siriano, il generale Qasem Soleimani – numero due del regime teocratico di Teheran, fiero avversario dell’Isis prima in Iraq e poi in Siria – è stato assassinato in modo brutale, a tradimento, con un raid terroristico a suon di missili ordinato dalla superpotenza democratica. La colpa di Soleimani? Una: era abile, stimato, autorevole. Legato all’oligarchia medievale dell’Iran, credeva nell’espansione della Mezzaluna Sciita come contrappeso geopolitico alla legge del taglione imposta dalla superpotenza democratica. Soleimani ha fatto la fine di Saddam, di Gheddafi, e di chiunque altro si opponesse – a vario titolo – alla spietata dittatura della superpotenza democratica. La cosiddetta opinione pubblica, nella patria mondiale della democrazia, è dominata da quattro famiglie, cui fanno capo centinaia di reti televisive. Un unico telegiornale, declinato in più modi, trasmette – 24 ore su 24 – le stesse notizie, distillate dalle medesime fonti. Ogni quattro anni, naturalmente, si vota. George Walker Bush divenne presidente a tavolino, per decreto, grazie a clamorosi brogli in Florida. Il suo successore, Barack Obama, aveva promesso – mentendo – di cambiare le regole del gioco: è stato il presidente che ha fatto assassinare più persone, nel mondo, attraverso gli omicidi mirati affidati ai droni.Obama, che ha dichiarato di aver ucciso anche Osama Bin Laden (spegnendo così il clamore sulle indiscrizioni riguardanti la sua vera origine – si sospettava che non fosse nato alle Hawaii, ma in Africa, cosa gli avrebbe impedito di candidarsi alla Casa Bianca) è stato anche il presidente che, dopo aver amnistiato i bari di Wall Street, si è inventato i Russiagate contro Putin, ha spintonato l’Europa per imporre le sanzioni alla Russia, ha fatto spiare anche il telefono privato di Angela Merkel. Poi la superpotenza democratica ha voltato pagina, con una nuova entusiasmante sfida elettorale: da una parte la cannibale Hillary Clinton, dall’altra il rozzo Donald Trump. Ora sono tutti d’accordo, ai piani alti, nel tagliare le unghie alla Cina: erano stati loro a delocalizzare in Asia (in paesi senza democrazia) la grande industria americana, ma adesso – visto che la Cina ha superato il maestro – pensano sia giunta l’ora di fare retromarcia, e intanto si godono le delizie del coronavirus. Nel frattempo, tra poco si rivota. Un candidato, Bernie Sanders, spara a zero sugli abusi razzisti del governo israeliano e si schiera con i palestinesi. Secondo tutti i bookmaker, non ha nemmeno una possibilità su mille di diventare il nuovo presidente della superpotenza democratica. Ecco il gioco: post-democrazia contro non-democrazia. Trovare la differenza.(Giorgio Cattaneo, 1° marzo 2020).Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi terminali, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco, imperterrito, continuava (e continua) a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultima residua incarnazione del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in quel caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.
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Mai sprecare un’arma: virus, la guerra ibrida contro la Cina
La politica delle nuove Vie della Seta, o Belt and Road Initiative (Bri), era iniziata con il presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Nur-Sultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta). Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa. La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni. Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinazia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025. La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati Stem [scienze, tecnologia, ingegneria e matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
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Le altre foibe: furono i fascisti a inaugurare l’orrenda strage
Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.Dalle terre annesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale – cioè all’ampliamento ad est dei territori di Trieste e di Gorizia, all’Istria intera, alla provincia di Fiume detta del Quarnaro ed all’enclave dalmata di Zara – le violenze fasciste e la snazionalizzazione forzata costrinsero ad andarsene più di 80.000 sloveni, croati, tedeschi e ungheresi, ma anche alcune migliaia di italiani antifascisti. Nel 1939, un anno prima che l’Italia fosse gettata nella seconda guerra mondiale, le autorità fasciste della Venezia Giulia attuarono in segreto un censimento della popolazione di quelle terre annesse venti anni prima, accertando che in esse vivevano 607.000 persone, delle quali 265.000 italiani e cioè il 44%, e 342.000 slavi detti allogeni, ovvero il 56%. Una cifra notevole nonostante l’esodo degli ottantamila, nonostante che agli slavi fossero stati italianizzati i cognomi, fosse stato vietato di parlare la loro lingua, fossero state tolte le scuole e qualsiasi diritto nazionale.Nonostante le persecuzioni subite, nonostante che migliaia di loro fossero finiti nelle carceri o al confino, e che alcuni dei loro esponenti – Vladimir Gortan, Pino Tomazic ed altri – fossero stati fucilati in seguito a condanne del Tribunale speciale fascista oppure uccisi dalle squadre d’azione fasciste a Pola (Luigi Scalier), a Dignano (Pietro Benussi), a Buie (Papo), a Rovigno (Ive) e in altre località istriane. Emblematici di queste persecuzioni contro slavi e antifascisti italiani in Istria e Venezia Giulia sono i sistemi coercitivi per inviare i contadini al lavoro nelle miniere di carbone di Arsia-Albona dove, per duplicare la produzione senza però adeguate protezioni dei minatori sui posti di lavoro, nel 1938 ci fu una tragedia (allora taciuta dalla stampa) in cui persero la vita 180 minatori, lasciando oltre mille vedove ed orfani. Emblematica di quel periodo in Istria è anche una canzoncina cantata dei gerarchi che diceva: “A Pola xe l’Arena / la Foiba xe a Pisin: butaremo zo in quel fondo / chi ga certo morbin”. E alludendo alle foibe, un’altra poesiola minacciava chi si opponeva al regime: “… la pagherà / in fondo alla Foiba finir el dovarà”.Nell’aprile del Quarantuno, infine, si arrivò all’aggressione alla Jugoslavia senza dichiarazione di guerra, seguita dall’occupazione di larghe regioni della Slovenia e della Croazia, dall’intero Montenegro e del Kosovo, infine dall’annessione al Regno d’Italia di una grossa fetta della Slovenia ribattezzata Provincia di Lubiana, di una lunga fascia della costa croata che formò il Governatorato della Dalmazia con tre provincie da Zara fino alle Bocche di Cattaro, e la creazione della nuova provincia allargata di Fiume detta “Provincia del Quarnaro e dei Territori annessi della Kupa” comprendente tutta la parte montana della Croazia alle spalle del Quarnero più le isole di Veglia ed Arbe che si univano a quelle di Cherso e Lussino. Così l’Italia incorporò nel proprio territorio nazionale regioni abitate al 99% da sloveni e croati con una popolazione di oltre mezzo milione di persone che si aggiungevano al 342.000 “allogeni” già assoggettati all’Italia ed al fascismo italiano da due decenni. Il Montenegro intero fu trasformato a sua volta in un Governatorato italiano. Il Kosovo, territorio della Macedonia, fu annesso invece alla cosiddetta Grande Albania che già dal ’39 era una colonia dell’Italia.Le violenze contro i civili dei territori annessi o occupati furono compiuti in base a “una ben ponderata politica repressiva” come ci rivela una ben nota circolare del generale Roatta del marzo 1942 nella quale si legge: «Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente». A sua volta il generale Robotti, ordinando rastrellamenti a tappeto nel giugno e agosto 1942, indicava queste soluzioni alle truppe dell’XI Corpo d’Armata: «Internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani» e per «far coincidere le frontiere razziali e politiche»: «Esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali». Infine, «Si ammazza troppo poco!». Mi limiterò a un piccolo territorio alle spalle di Fiume e ad un solo mese, luglio del 1942. Nelle borgate di Castua, Marcegli, Rubessi, Viskovo e Spincici furono incendiate centinaia di case e fucilate decine di persone come “avvertimento”. Nel Comune di Grobnik, il villaggio di Podhum fu completamente raso al suolo per ordine del prefetto Temistocle Testa.All’alba del 13 luglio, per “vendicare” due fascisti scomparsi il giorno prima da quel villaggio, furono dapprima saccheggiate e poi incendiate 484 case, portati via mille capi di bestiame grosso e 1300 pecore, deportati nei campi di concentramento in Italia 889 persone (412 bambini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fucilate altre 108 persone. Uno sterminio. I fascisti italiani, passati al servizio del tedeschi dopo il settembre 1943, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Fra tanti sia ricordato l’episodio di Lipa (30 aprile 1944) dove 269 vecchi, donne e bambini sorpresi quel giorno in paese, furono sterminati: parte fucilati, parte rinchiusi in un edificio e dati alle fiamme. Di tali eccidi ce ne furono a centinaia in Istria, nel territorio quarnerino, in Slovenia, in Dalmazia, in Montenegro, ovunque arrivarono i militari fascisti e le altre formazioni inviate da Mussolini. Nei miei scritti ho documentato lo sterminio di 340.000 civili slavi fucilati e massacrati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre 1943 nel corso dei cosiddetti “rastrellamenti” ed operazioni di rappresaglia contro le forze partigiane insorte.Ho anche scritto, ma non sono stato il solo in Italia, di altri 100.000 civili montenegrini, croati e sloveni deportati nei capi di concentramento approntati dalla primavera all’estate del 1942 dall’esercito italiano per rinchiudervi vecchi, donne e bambini colpevoli unicamente di essere congiunti e parenti dei “ribelli”. In quei campi disseminati dalle isole di Molat e Rab/Arbe in Dalmazia fino a Gonars nel Friuli ed altri in tutto lo Stivale, morirono di fame, di stenti e di epidemie circa 16.000 persone nel giro di poco più di un anno di deportazione. Tutto questo viene taciuto nella Giornata del Ricordo che si celebra in Italia da una decina d’anni. Si ricordano soltanto le nostre perdite: il dolore dei nostri connazionali costretti a lasciare le terre concesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale, il dolore delle famiglie degli infoibati nel settembre 1943 in Istria e nel maggio 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito.È giusto, è doveroso ricordare foibe ed esodo, le nostre vittime, i nostri dolori, ma non si dovrebbero tacere il contesto storico, le colpe del fascismo che portarono alla sconfitta ed alla perdita di quelle regioni. Non si dovrebbero tacere o volutamente ignorare le vittime delle popolazioni slave oppresse, martoriate e decimate dapprima nel ventennio fascista in Istria ed a Zara, ma soprattutto nella seconda guerra mondiale. Sulla bilancia e nel contesto storico vanno messi, dunque, anche i dolori che noi abbiamo arrecato agli altri.(Giacomo Scotti, estratto dal’articolo “Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi”, apparso sul “Manifesto” il 5 febbraio 2014 e ora ripubblicato integralmente il 10 febbraio 2020, vista la sua scottante attuatità. Saggista e storico, da giovane antifascista emigrò in Istria e visse tra Pola e Fiume. Dal 1986 vive tra Italia e Croazia, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti).Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.
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Foibe a senso unico: così il Mago nasconde la verità storica
Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia entica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.Di foibe, come aperta minaccia terroristica, i primi a parlare furono proprio i fascisti. Ma è come se fosse vietato ricordarlo, oggi, mentre il paese commemora gli italiani atrocemente inghiottiti dalle cavità carsiche. Si dimentica regolarmente che quel massacro, per decenni oscurato, fu una vendetta: spaventosamente inaccettabile, ma pur sempre innescata da eventi predecenti, altrettanto abominevoli. Il periodo sembra particolarmente favorevole, per cancellare interi capitoli del passato. Oggi l’Unione Europea tenta di equiparare il comunismo al nazifascismo: pessima idea, secondo un storico come Alessandro Barbero. Mentre il fascismo durò vent’anni in Italia e il nazismo poco più di un decennio in Germania, la parola comunismo cominciò a risuonare nell’Ottocento come sinonimo di riscatto degli oppressi: 150 anni di speranze, in tutto il mondo, per lo più tradite in modo spietato dove il comunismo è andato al potere imponendo una feroce dittatura, ma comunque coltivate da milioni di persone, convinte di poter liberare l’umanità dalle catene dello sfruttamento. Sempre oggi, in modo sfrontato, Israele tenta di equiparare il virus razzista dell’antisemitismo alla semplice avversione per gli eccessi politici del sionismo, calpestando così anche i milioni di ebrei sterminati – in quanto ebrei, non sionisti – dal nazismo hitleriano, in quell’inarrivabile unicum nella storia umana che fu la lucida pianficazione dell’annientamento su base “razziale”.In un mondo in cui è “normale” che una superpotenza si permetta di assassinare impunemente un leader ostile in visita in un paese terzo, seppellendolo sotto una pioggia di missili, l’ultima cosa che può sorprendere è il coro nazionale italiano che, nel rendere giustamente omaggio alle vittime delle foibe titine, dimentica di interrogarsi sulle eventuali ragioni di quella tragedia: non certo per giustificarla, ovviamente, ma almeno per provare a decifrarne la genesi. La domanda mancante è quella fondamentale: perché. Nel suo studio sulla costante manipolazione della realtà, il simbologo Gianfranco Carpeoro mette a fuoco una dicotomia rivelatrice: da una parte quello che chiama “pensiero magico”, dall’altra il razionale “pensiero simbolico”. Carpeoro chiama “magico” il pensiero manipolatorio offerto dal “mago”, l’illusionista. La sua missione: indurre gli altri a fare quello che vuole lui, spiegando solo come farlo, e non anche perché. Al contrario, il “pensiero simbolico” costringe a domandarsi il perché di tutto. Come mai i partigiani di Tito gettarono nelle foibe migliaia di italiani in Istria e nella Venezia Giulia? Perché i titini erano mostri comunisti e slavi, cioè due volte cattivi. E’ imbarazzante il fatto che questa risposta – fornita dal “mago” – sia l’unica, oggi, in circolazione. Se non ci si vaccina, dal “pensiero magico”, domani colpirà ancora (non importa chi). E nessuno si accorgerà del trucco.(Giorgio Cattaneo, 17 febbraio 2020).Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia etnica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.
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Gli eroi di Stalingrado: vinsero la Seconda Guerra Mondiale
Il 2 febbraio di quest’anno è stato il 75° anniversario della fine della più grande, più lunga e sanguinosa battaglia della storia del genere umano: uno scontro che aveva distrutto la punta di lancia di quella invincibile macchina da guerra nazista che aveva conquistato tutta l’Europa in soli tre anni e che sembrava in procinto di conquistare il mondo intero: eppure, incredibilmente, tutti i media occidentali, specialmente negli Stati Uniti, lo hanno fino ad ora completamente ignorato. La battaglia di Stalingrado era stata la svolta definitiva del destino: aveva deciso il risultato della Seconda Guerra Mondiale. La scala colossale di quello straordinario scontro, all’epoca, era ben nota agli americani e ai britannici, ma da allora è stata completamente dimenticata. Le nazioni occidentali l’hanno seppellita in fondo al buco nero dei ricordi proibiti, che George Orwell riconoscerebbe fin troppo bene. Nonostante ciò, Stalingrado ha fatto passare in secondo piano tutte le altre battaglie di quella guerra. Era iniziata nell’agosto del 1942 come ultima, disperata difesa di quella che sembrava essere un’Armata Rossa condannata alla sconfitta da una invincibile Wehrmacht che, in meno di tre anni, aveva conquistato l’intero continente europeo, dalla punta settentrionale della Norvegia a Creta e il deserto del Sahara libico. Ma a Stalingrado era cambiato tutto.“Al di là del Volga non c’è niente!”, era il grido di battaglia sovietico, e non c’era veramente nulla. Ancora oggi, guardando ad est dall’alto della collina di Mamayev Kurgan, è inquietante vedere che, dall’altra parte del grande Volga, l’incarnazione dell’anima russa, non c’è letteralmente niente. Mamayev Kurgan è un monumento ai caduti come nessun altro sulla Terra, perchè è dominato da una dea irata. La statua più gigantesca, impressionante ed inquietante del mondo, Rodina-Mat, la dea madre della Russia, si eleva per quasi 50 metri senza piedistallo, 6 metri più in alto della Statua della Libertà. Pesa 1.000 tonnellate, oltre 15 volte la Statua della Libertà. Ma questo è il meno. A New York, Lady Liberty è tranquilla e serena, ma Rodina-Mat è dinamica e furiosa. Il suo viso bellissimo e sorprendentemente giovanile trasmette shock, rabbia e una furia da incubo. Il braccio di Rodina-Mat non è rilassato e disteso e non porta una torcia come quello di Lady Liberty. È sollevato e regge una spada lunga più di 20 metri, e la alza così in alto nel cielo che sulla punta hanno dovuto installare una luce di navigazione rossa per allertare gli aerei che volano a bassa quota.Visto da lontano, lo spettacolo è ancora più impressionante, persino terrificante. Perché Rodina-Mat è nel punto più alto delle alture che dominano la città, il luogo dove si era combattuto con più accanimento. La si può vedere da qualunque parte lungo le principali arterie nord-sud che costeggiano il Volga. Sembra sempre in movimento, viva, pronta a calare sugli invasori la sua incredibile spada. È come se Atena o Afrodite fossero uscite dalle pagine dell’Iliade di Omero e, attraverso il tempo, dai campi di battaglia di Troia, o come se un gigantesco dio-astronauta idealizzato da Erich von Daniken fosse nuovamente giunto sulla Terra. Nei 200 giorni della Battaglia di Stalingrado, a Mamayev Kurgan si era combattuto per 130. Oggi è il luogo dove riposano 35.000 soldati sovietici. Gli storici militari occidentali riconoscono che nella battaglia di Stalingrado erano morti 1,1 milioni di soldati sovietici, e questo calcolo non include almeno 100.000 civili (e forse il triplo) massacrati dai bombardamenti aerei indiscriminati della Luftwaffe.Nella prima settimana di incursioni aeree a Stalingrado erano morti il doppio dei civili rispetto ai bombardamenti alleati di Dresda. Quando gli interrogatori sovietici avevano chiesto al maresciallo di campo Friedrich Paulus, il comandante catturato della Sesta Armata, perché avesse autorizzato un massacro così inutile, aveva risposto che stava solo eseguendo gli ordini. Anche le perdite naziste erano state colossali. Secondo le stime russe, 1,5 milioni di soldati tedeschi e dell’Asse avevano perso la vita durante l’intera campagna, più di cinque volte i morti in combattimento degli Stati Uniti durante tutta la guerra, e più del doppio dei morti combinati dell’Unione e dei Confederati nella Guerra Civile Americana. Neanche uno dei resti dei soldati dell’Asse, trovati e identificati, sono sepolti all’interno della città. È terreno sacro per il popolo russo. Solo gli eroici difensori di Stalingrado e della patria, o Rodina, hanno il massimo onore di riposarvi.L’intera Sesta Armata tedesca, 300.000 uomini, all’epoca considerata la forza militare più invincibile della Terra, era stata distrutta a Stalingrado. Solo 90.000 di loro erano sopravvissuti ed erano stati fatti prigionieri quando Paulus si era arreso. Il quartier generale di Paulus, nel seminterrato dell’Univermag, il grande magazzino nel centro della città, è stato trasformato in museo, uno dei più strani al mondo e in sorprendente contrasto con l’imponenza primordiale, eroica, epica della statua e dei monumenti di Mamayev Kurgan. Nel 2005, quando l’avevo visitato l’ultima volta, Univermag era ancora un grande magazzino, molto simile a quelli che si trovano nel cuore degli Stati Uniti, in luoghi come Sioux City o Iowa City, costruiti negli anni ’20 e che avevano prosperato fino a quando Wal-Mart non li aveva inghiottiti tutti. Si entra nell’Univermag di Volgograd attraverso l’ingresso principale, si passa accanto ai giocattoli per bambini, si gira a sinistra, oltre i pigiami per signora e gli oggetti in vetro e, senza alcun preavviso, si è lì.Il seminterrato è pieno di ricostruzioni dell’ultima resistenza della Sesta Armata. Dietro una porta, i manichini di due soldati tedeschi morenti giacciono in quella che sembra veramente una sala operatoria di emergenza. Dietro un’altra porta, un robotico Paulus continua ad alzarsi dalla sua scrivania per ascoltare da un altro ufficiale le ultime notizie della catastrofe. Dappertutto, il lamento dell’impietoso vento invernale della steppa e lo spietato sibilo delle Katyushe sovietiche, i lanciarazzi “Caterina,” fanno da accompagnamento. Ilya Ehrenburg, il più grande di tutti i corrispondenti di guerra, aveva scritto che i soldati arroccati nei seminterrati e fra le macerie e che resistevano sulle rive del Volga a pochi metri dall’acqua, adoravano quei lanciarazzi. Ed era ancora vero nel 2005: i volti dei veterani ottantenni e superdecorati si erano illuminati di entusiasmo e di gioia fanciullesca quando avevo chiesto loro quale fosse stata la loro arma preferita dell’intera guerra. “Katyusha!” avevano gridato quei meravigliosi vecchietti, saltando su e giù, mentre gli anni sparivano come per magia. “Katyusha!”.Settantacinque anni dopo la resa di Paulus e dopo più di settant’anni dalla sconfitta del Terzo Reich, i ricordi e le cicatrici di quella lotta fanno ancora parte della Russia moderna. Il comunismo è morto. Ma il patriottismo russo no. Ed è per questo che, in questa era di crescenti differenze e alienazione tra la Russia e l’Occidente, lo straordinario eroismo e il sacrificio di tutti quei soldati dell’Armata Rossa e il prezzo terribile che avevano pagato per salvare il mondo devono essere ricordati dai vecchi alleati della Russia. Le emozioni selvagge, feroci ma assolutamente autentiche che appaiono sullo straordinario volto di Rodina-Mat testimoniano gli incredibili sacrifici che si erano consumati sulle rive del Volga per distruggere il male estremo. I leader e i popoli occidentali devono ricordare, ancora una volta, coloro avevano distrutto quel male, il prezzo terribile che avevano pagato e la gratitudine che ancora dobbiamo loro.(Martin Sieff, “Gli eroi di Stalingrado e il debito che abbiamo con loro”, da “Strategic Culture” del 31 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”. Analista geopolitico e reporter per testate come “Washington Times” e “The Globalist”, Sieff è stato dirigente della United Press International e tre volte candidato al Premio Pulitzer).Il 2 febbraio di quest’anno sarà il 75° anniversario della fine della più grande, più lunga e sanguinosa battaglia della storia del genere umano: uno scontro che aveva distrutto la punta di lancia di quella invincibile macchina da guerra nazista che aveva conquistato tutta l’Europa in soli tre anni e che sembrava in procinto di conquistare il mondo intero: eppure, incredibilmente, tutti i media occidentali, specialmente negli Stati Uniti, lo hanno fino ad ora completamente ignorato. La battaglia di Stalingrado era stata la svolta definitiva del destino: aveva deciso il risultato della Seconda Guerra Mondiale. La scala colossale di quello straordinario scontro, all’epoca, era ben nota agli americani e ai britannici, ma da allora è stata completamente dimenticata. Le nazioni occidentali l’hanno seppellita in fondo al buco nero dei ricordi proibiti, che George Orwell riconoscerebbe fin troppo bene. Nonostante ciò, Stalingrado ha fatto passare in secondo piano tutte le altre battaglie di quella guerra. Era iniziata nell’agosto del 1942 come ultima, disperata difesa di quella che sembrava essere un’Armata Rossa condannata alla sconfitta da una invincibile Wehrmacht che, in meno di tre anni, aveva conquistato l’intero continente europeo, dalla punta settentrionale della Norvegia a Creta e il deserto del Sahara libico. Ma a Stalingrado era cambiato tutto.
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Coronavirus, la Cina sa che il Pentagono prepara la guerra
Paolo Liguori, direttore di TgCom24, ha detto che il coronavirus sarebbe uscito da un laboratorio militare cinese di Wuhan? Siamo alle prese con mille incertezze: non possiamo ancora fare affermazioni precise. Illustri virologi, tra cui Burioni, ritengono che il vettore originario possa essere un pipistrello. “Ritengono”: prove, non ce ne sono. Altra questione: Xi Jinping è sincero oppure no? La mia tesi è questa: il problema è troppo grande, perché Xi Jinping possa scherzare, su questo, o far finta di niente. Il problema colpisce la Cina duramente, la colpirà ancora più duramente e ci colpirà tutti. Non credo sia possibile pensare che il presidente cinese sia un irresponsabile. Credo che Xi Jinping ci abbia detto la verità, o meglio quello che sa lui. Non sono sicuro che tutto quello che sa Xi Jinping sia la verità: la stanno cercando, anche loro. In secondo luogo, credo che qualunque alto dirigente cinese non possa ignorare che, nei documenti ufficiali del Pentagono, c’è scritto – nero su bianco, e in modo esplicito – che la Cina, insieme alla Russia, è un nemico decisivo degli Stati Uniti d’America. In questi documenti, ufficialmente presentati al Parlamento, il Pentagono aggiunge che gli Stati Uniti devono «prepararsi a una guerra imminente» con la Cina.Hanno ragione? Hanno torto? Non è importante. L’importante è che lo dicano, che gli Stati Uniti si stanno preparando a una guerra “imminente” con la Cina, che «implicherà grandi perdite per la stessa popolazione civile degli Stati Uniti». Sono cose che cito da un documento ufficiale del Pentagono, sottoposto al giudizio e al voto del Senato degli Stati Uniti e della Camera dei rappresentanti. Quindi: se io fossi un dirigente cinese, potrei trascurare questo fatto? No, ovviamente. Dobbiamo trascurarlo, noi? Non credo: è uno dei fattori del problema, e quindi dovrà essere tenuto sotto la lente d’ingrandimento, con la massima attenzione. C’è chi pensa che qualcuno, per conto degli Usa, possa essersi “lasciato scappare” quel virus per mettere in ginocchio quello che è il maggior competitore economico dell’America a livello mondiale? Come si sa, io non nascondo una mia precisa opinione: ritengo che il gruppo dirigente degli Stati Uniti sia dominato da un gruppo di dementi. Lo ritenevo prima dell’attuale presidente, e lo ritengo tuttora. Dico “dementi”, perché tutti i loro atti conducono a una situazione di guerra, nel mondo. Quindi, di fronte a un caso come quello del coronavirus, non posso dimenticare quello che penso. Insisto: penso che siano dei dementi, e dai dementi non ci può aspettare nulla di buono né di rassicurante.Mi limito a questo, perché non conosciamo con precisione la situazione. Posso semmai aggiungere una considerazione che ci riguarda da vicino. In tanti, ormai, stanno cominciando a capire che stiamo vivendo in un mondo assolutamente vulnerabile. A prescindere da tutte le teorie e dalle ipotesi che si possono fare, su quello che sta accadendo, davanti ai nostri occhi dovrebbe balenare, chiara come il sole, la constatazione che questo mondo è straordinariamente vulnerabile. Se ad esempio le cose che stiamo vedendo in questo momento dovessero andare male, noi ci troveremmo di fronte a un mondo radicalmente diverso, da quello che conosciamo, e questo avverrebbe nello spazio di poche decine di settimane. Di fronte a emergenze di questo tipo siamo tutti impreparati, a partire da chi deve prendere le decisioni. Quello che vediamo dice che le cose accadono più velocemente di quanto l’organizzazione economica, politica, sociale e militare del paese sia in grado di fronteggiare. Siamo colti di sorpresa, clamorosamente. Quando è stata proclamata la chiusura del collegamento Cina-Italia, erano già in volo 5 aerei italiani appena decollati dalla Cina. Che ne è stato, di quei passeggeri (italiani e cinesi) virtualmente a rischio di contagio? Sono stati posti in stato di osservazione?Tralasciando le polemiche, il fatto è che stiamo vivendo in una società vulnerabile – che è anche impazzita, visto che non è in grado di governare se stessa. E questo dovrebbe porre dei problemi, al governo delle grandi corporations e dei grandi Stati. Possiamo andare avanti in questa direzione senza introdurre dei cambiamenti radicali, in tempi rapidi? Su La7, Mentana si è scandalizzato per l’ultima indagine sociologica dell’Eurispes, secondo cui il 15% degli italiani non crede all’Olocausto, ritiene che la Shoah sia stata un’invenzione (o comunque un’esagerazione). Ma perché tanto sdegno? Caro Mentana, chi è il responsabile del fatto che il 15% degli italiani non sa niente della storia della Seconda Gerra Mondiale? Ma siete voi, che avete fatto la televisione. Siete voi, che avete dato la disinformazione. E adesso, Mentana, ti stupisci che il 15% degli italiani non ti creda? Ma tu agli italiani hai raccontato un sacco di bugie, in tutti questi anni. E non li hai formati, non li hai informati, non ti sei scandalizzato per la loro ignoranza. E così anche adesso, di fronte all’evidenza di un collasso organizzativo e intellettuale della società in cui viviamo, c’è ancora gente che dice che è tutto normale, e che le cose devono andare avanti così.(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate il 31 gennaio 2020 a “Contro Tv”, in video-chat con Massimo Mazzucco; video ripreso su YouTube e pubblicato sul blog “Luogo Comune”).Paolo Liguori, direttore di TgCom24, ha detto che il coronavirus sarebbe uscito da un laboratorio militare cinese di Wuhan? Siamo alle prese con mille incertezze: non possiamo ancora fare affermazioni precise. Illustri virologi, tra cui Burioni, ritengono che il vettore originario possa essere un pipistrello. “Ritengono”: prove, non ce ne sono. Altra questione: Xi Jinping è sincero oppure no? La mia tesi è questa: il problema è troppo grande, perché Xi Jinping possa scherzare, su questo, o far finta di niente. Il problema colpisce la Cina duramente, la colpirà ancora più duramente e ci colpirà tutti. Non credo sia possibile pensare che il presidente cinese sia un irresponsabile. Credo che Xi Jinping ci abbia detto la verità, o meglio quello che sa lui. Non sono sicuro che tutto quello che sa Xi Jinping sia la verità: la stanno cercando, anche loro. In secondo luogo, credo che qualunque alto dirigente cinese non possa ignorare che, nei documenti ufficiali del Pentagono, c’è scritto – nero su bianco, e in modo esplicito – che la Cina, insieme alla Russia, è un nemico decisivo degli Stati Uniti d’America. In questi documenti, ufficialmente presentati al Parlamento, il Pentagono aggiunge che gli Stati Uniti devono «prepararsi a una guerra imminente» con la Cina.
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Antisionismo e antisemitismo, per Salvini tutto fa brodo
Visto che in Europa sopravvive la vergogna strisciante dell’antisemitismo, la follia criminale che attribuisce responsabilità politiche agli ebrei in quanto tali, Matteo Salvini coglie la palla al balzo per confondere l’antisemitismo con le critiche agli eccessi del sionismo, l’ideologia che consente a una potenza nucleare (lo Stato di Israele) di perseguitare con ogni mezzo i palestinesi, destabilizzando il Medio Oriente da mezzo secolo. Il leader della Lega, scrive Amedeo La Mattina su “La Stampa”, «ha puntato su Gerusalemme da quando, lo scorso anno, è stato accolto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con tutti gli onori». In quell’occasione, l’ex ministro dell’interno «aveva sostenuto che la Città Santa dovrà essere la capitale di Israele, come ha sempre detto il presidente americano Donald Trump». Salvini lo ha ripetuto il 16 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un convegno sulle “nuove forme dell’antisemitismo”. La “Stampa” segnala «un costante riallineamento a Washington e un conseguente allontanamento da Mosca», da parte del leghista. Barra dritta su alcuni concetti, ripetuti come un mantra: «L’antisemitismo di certa destra tradizionalista e di certa sinistra è nostro nemico», dichiara Salvini. «Abbiamo il dovere di combattere chi dice che gli ebrei siano i nazisti di oggi: c’è chi lo pensa nel mondo islamico ma anche in certi mondi in Europa».Attenti alle parole: è noto che nessuno, sano di mente, dice o pensa che “gli ebrei” siano “i nazisti di oggi”. Semmai, l’accusa investe il governo israeliano, da decenni dominato dalla destra. E’ stato Netanyahu a compiere spaventosi abusi verso i palestinesi, come i bombardamenti su Gaza costati 1.400 morti tra la popolazione civile (e la coraggiosa protesta dei Refuseniks, i militari israeliani che esercitano l’obiezione di coscienza rifiutandosi di partecipare ad azioni che rischiano di provocare vittime tra i civili). Le cronache di questi anni sono gremite di proteste: a quelle degli arabi e degli occidentali si aggiungono quelle degli stessi ebrei, scandalizzati per la brutalità della violenza israeliana. L’olandese Henk Zanoli (che salvò ebrei dalle persecuzioni naziste) ha chiesto che il suo nome venisse rimosso dal sacrario dei Giusti di Israele, dove si commemorano gli eroi che misero in salvo innocenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Il giovanissimo soldato Udi Segal ha preferito andare in carcere, pur di non partecipare alle operazioni militari di repressione contro la popolazione di Gaza. «Ho letto i libri di Ilan Pappe», ha spiegato Segal, alludendo al maggiore storico israeliano contemporaneo, ora costretto a insegnare lontano da Israele dopo aver ricordato che la “pulizia etnica” contro gli arabi in Palestina fu avviata ben prima dell’avvento di Hitler.A descrivere la radice violenta di una certa declinazione del sionismo – sostiene Paolo Barnard – bastano i diari di David Ben Gurion: se il sionismo originario era il sogno di Theodor Herzl (una patria ebraica in Palestina, capace di convivere con gli altri popoli della regione), Ben Gurion lo interpretò in modo anche brutale, non esistando a raccomandare di sterminare donne e bambini nei villaggi palestinesi. Solo più tardi l’immane catastrofe della Shoah spinse il mondo a concedere agli ebrei il loro Stato (accompagnato però dalla nascita di quello parallelo per i palestinesi: uno Stato mai nato, quest’ultimo, in seguito alle guerre che costrinsero il neonato Israele a difendersi dai paesi arabi, che non accettarono la costituzione dello Stato israeliano). La pace separata dell’Egitto con Tel Aviv costò la vita al presidente egiziano Anwar Sadat, assassinato da fondamentalisti islamici, mentre l’unico vero accordo strategico tra israeliani e palestinesi, a metà degli anni ‘90, fu sabotato dall’omicidio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, ucciso da un estremista ultra-sionista. Da allora il conflitto non ha fatto che marcire, impugnato come eterno alibi per giustificare la reciproca ostilità arabo-israeliana, costringendo i palestinesi a pagare un prezzo smisurato. Bombe al fosforo bianco su Gaza, dopo che la Striscia è finita sotto il controllo degli islamisti di Hamas, e incentivo (senza più freni) alla politica degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati in Cisgiordania.Recenti gli ultimi due atti, fortemente simbolici: Gerusalemme promossa come futura “capitale israeliana” con la benedizione di Trump, e la trasformazione costituzionale di Israele in “Stato ebraico”, a danno della popolazione non ebrea. Protesta un grande artista come Moni Ovadia, promotore in Occidente della cultura ebraica: «La propaganda più sleale continua ad accusare di antisemitismo chi, come me, si batte semplicemente contro la politica violenta e razzista del governo israeliano». Uno dei leader occidentali del movimento che contesta gli abusi del sionismo contemporaneo è l’inglese Roger Waters: il frontman dei Pink Floyd accusa apertamente Israele di “apartheid” ai danni dei palestinesi, e invita a boicottare i prodotti israeliani. Durissimi con Tel Aviv anche musicisti come Brian Eno e il jazzista ebreo Gilad Atzmon, secondo cui non sono in alcun modo giustificabili le vessazioni quotidiane e le violenze a cui il governo di Israele sottopone l’inerme popolazione palestinese. Con Israele non si scherza: durante l’Operazione Piombo Fuso, i devastanti bombardamenti su Gaza a cavallo tra 2008 e 2009, i Refuseniks furono costretti a ricorrere ad annunci a pagamento, sul quotidiano “Haaretz”, per informare i cittadini della loro protesta: non c’era posto per la voce dei militari dissidenti nella decantata democrazia di Israele, per decenni unico paese a non proporre nelle scuole “Se questo è un uomo” data la posizione di Primo Levi, estremamente critico rispetto al sionismo.Tutt’altra storia è invece quella delle cronache europee che, specie in paesi come la Francia, ripropongono l’abominio dell’antisemitismo, un sentimento che infetterebbe ancora alcuni strati dell’opinione pubblica. Nel convegno romano di Palazzo Giustiniani, a denunciarlo è Dore Gold, presidente del Jerusalem Center for Pubblic Affairs: la lordura antisemita riemerge «nel cuore dell’Occidente», e questo «fa capire che combattere l’antisemitismo significa combattere in difesa della nostra civilizzazione». Oltre al neonazismo fanatico, Gold accusa anche una certa sinistra, che nel difendere i palestinesi tollera l’estremismo islamista, che nega ancora a Israele il diritto di esistere. Ma è proprio lo Stato di Israele, ha precisato l’ambasciatore in Italia Eydar Dror, «la polizza assicurativa di tutti gli ebrei del mondo: grazie a esso – dice Dropr – possono andare a testa alta in tutto il mondo, e in caso di necessità tornare a casa». Per l’ambasciatore, l’antisemitismo è una cartina di tornasole: «Indica il declino della società e ne prevede il crollo». È in questa chiave, sottolinea la “Stampa”, che la presidente Casellati ha parlato della necessità di preservare «una società forte della propria identità, che ripudia l’intolleranza e il razzismo».Temi tornati di attualità, secondo la Casellati, anche a causa di una globalizzazione esasperata che tende a sacrificare le nostre tradizioni e radici culturali. «Ma sono temi che chiamano in ballo Salvini e un pezzo del suo elettorato che viene dalla destra anche estrema», scrive Amedeo La Mattina sulla “Stampa”. «Il leader leghista rifiuta accostamenti con CasaPound e Forza Nuova», e nega di alimentare intolleranza e razzismo. «Accuse assurde», precisa, aggiungendo che il contrasto all’immigrazione e la difesa dei confini non c’entrano nulla con l’intolleranza, il razzismo, la Shoah. Salvini si è detto dispiaciuto che «qualcuno non sia venuto» al convegno. Chiaro il rifermento alla senatrice a vita Liliana Segre, che non ha accettato di partecipare. «Lei ha tanto da insegnare, Carola Rackete no», ha scandito l’ex ministro. La “capitana” viene dunque presa a simbolo di quella sinistra “antisionista e antisemita” che inquieterebbe gli israeliani. Ma ad essere messa alla prova – scrive ancora La Mattina – sarà la sinistra di casa nostra: «Salvini chiede che presto il Parlamento voti sul documento dell’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) che identifica l’antisemitismo oggi».Da Salvini, non una parola sugli abusi di Israele verso i palestinesi. Al contrario: per il leader della Lega, il vero problema è rappresentato da «una Ue che nega le radici giudaico-cristiane ed etichetta i prodotti israeliani, una Onu che nel 2018 dedica alla condanna di Israele 18 risoluzioni e neanche una a Iran e Turchia». Salvini fa l’ultra-israeliano, schierandosi con il blocco di potere che fa capo a Netanyahu, ignorando le posizioni critiche che emergono dalla stessa società israeliana. Quanto a Gerusalemme capitale, nell’antichissima “città santa” (per ebrei, arabi e cristiani) gli abitanti ultra-ortodossi del quartiere Mea Shearim condannano il sionismo, sostenendo che nemmeno la Bibbia autorizza in alcun modo l’esistenza di uno Stato ebraico. Ma si tratta di argomenti non abbordabili per il capo della Lega, abituato a tagliare tutto a fette grosse. Dopo aver suscitato imbarazzo anche tra i cattolici per l’ostentazione del crocifisso nei comizi politici, è stato l’unico politico europeo (insieme all’inglese Johnson) ad esultare pubblicamente per l’omicidio terroristico del generale Soleimani, eroe nazionale dell’Iran ed emblema di un paese di cui l’Italia resta, a quanto a pare, il primo partner economico. Assediato dalle indagini (tra cui quella sulla missione russa di Savoini), il leghista che ambisce a guidare l’Italia chiede aiuto all’asse Usa-Israele e confonde volutamente l’antisionismo con l’antisemitismo, dopo aver insultato 80 milioni di iraniani.Visto che in Europa sopravvive la vergogna strisciante dell’antisemitismo, la follia criminale che attribuisce responsabilità politiche agli ebrei in quanto tali, Matteo Salvini coglie la palla al balzo per confondere l’antisemitismo con le critiche agli eccessi del sionismo, l’ideologia che consente a una potenza nucleare (lo Stato di Israele) di perseguitare con ogni mezzo i palestinesi, destabilizzando il Medio Oriente da mezzo secolo. Il leader della Lega, scrive Amedeo La Mattina su “La Stampa“, «ha puntato su Gerusalemme da quando, lo scorso anno, è stato accolto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con tutti gli onori». In quell’occasione, l’ex ministro dell’interno «aveva sostenuto che la Città Santa dovrà essere la capitale di Israele, come ha sempre detto il presidente americano Donald Trump». Salvini lo ha ripetuto il 16 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un convegno sulle “nuove forme dell’antisemitismo”. La “Stampa” segnala «un costante riallineamento a Washington e un conseguente allontanamento da Mosca», da parte del leghista. Barra dritta su alcuni concetti, ripetuti come un mantra: «L’antisemitismo di certa destra tradizionalista e di certa sinistra è nostro nemico», dichiara Salvini. «Abbiamo il dovere di combattere chi dice che gli ebrei siano i nazisti di oggi: c’è chi lo pensa nel mondo islamico ma anche in certi mondi in Europa».