Archivio del Tag ‘civili’
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Chiesa: Kiev, i massacri della storia scritta dai vincitori
Mentre il neogoverno europeo dell’Ucraina (che credevamo occupata da Putin e scopriamo occupata dalla Nato) sta massacrando definitivamente i russi suoi cittadini che vivono nel Donbass (già venduto alla Shell tutto intero da Yanukovic, che credevamo un “uomo di Mosca” e invece era un uomo della Shell), mi vengono alla mente episodi lontani che ho avuto la sorte di vedere mentre avvenivano. Penso a quell’8 dicembre 1991, quando le agenzie del mio ufficio di corrispondenza di Mosca cominciarono a battere la notizia che l’Unione Sovietica aveva “cessato di esistere”. Lo decisero tre ometti, ubriachi di vodka e di potere, che non avevano la minima idea di quello che stavano facendo e delle onde lunghe e grandi che alzavano e che si sarebbero rovesciate, anche dopo molti decenni, su tutte le spiagge del pianeta. Ho già scritto qui queste righe, scoprendo che qualche lettore le interpretava come segno di “nostalgia”, di una qualche “mia” nostalgia. Niente affatto. E’ una constatazione.Ci sono atti politici che hanno enormi conseguenze. Che spesso non si vedono (non le vedono coloro che li compiono). La differenza tra i leader politici è che ve ne sono di totalmente incapaci di calcolare gli effetti di ciò che fanno. Oppure che sono del tutto indifferenti a tutto ciò che fuoriesce dai confini modesti dei loro interessi contingenti. Io penso che in quell’8 dicembre 1991 si posero le basi per il massacro dei russi di Ucraina di oggi. Lo penso oggi, ma lo pensai anche allora. E posso dirlo perché lo scrissi. In un libro che in Italia passò quasi inosservato, che si intitolava “Russia Addio!”. Quel libro fu pubblicato anche per il pubblico russo. Con lo stesso titolo: “Proshchai Rossija!”. Il libro fu letto, in Russia, da decine di migliaia di persone. Lo lesse tutta l’élite politica. Fui attaccato, allora, dai liberali democratici filo-occidentali e dai comunisti sovietici ultra ortodossi. Per motivi opposti, naturalmente.Da osservatore straniero fui l’unico che ebbe il coraggio e la libertà intellettuale di dire tutta la verità che, con quel gesto, si spalancava davanti alla Russia (quella che si poteva immaginare e intuire, ovviamente). In tutti questi anni – ne sono passati 23 – nessuno degli scrittori russi, dei giornalisti russi, degl’intellettuali russi, ha avuto la forza di raccontare, neanche a posteriori, ciò che poteva essere visto già allora. C’è ovviamente un’enorme pubblicistica in merito: memorie, racconti, romanzi, tomi, cronache, interviste. Ma una visione d’insieme manca ancora. E la ragione è semplice: quasi nessuno di coloro che videro, agirono, assunsero responsabilità, può raccontare senza censurarsi. Questo in Russia. In Occidente tutta quella storia è stata raccontata dai “vincitori”. Ed è ovviamente falsa. E, essendo falsa, produce conseguenze catastrofiche nei comportamenti dei dirigenti di oggi. Quelli che prendono le decisioni di oggi. E che, per la loro ignoranza, per la loro superficialità, provocano i massacri di oggi. E di domani.(Giulietto Chiesa, “Ucraina, la storia secondo i vincitori e i massacri di oggi”, da “Il Fatto Quotidiano” del 6 luglio 2014).Mentre il neogoverno europeo dell’Ucraina (che credevamo occupata da Putin e scopriamo occupata dalla Nato) sta massacrando definitivamente i russi suoi cittadini che vivono nel Donbass (già venduto alla Shell tutto intero da Yanukovic, che credevamo un “uomo di Mosca” e invece era un uomo della Shell), mi vengono alla mente episodi lontani che ho avuto la sorte di vedere mentre avvenivano. Penso a quell’8 dicembre 1991, quando le agenzie del mio ufficio di corrispondenza di Mosca cominciarono a battere la notizia che l’Unione Sovietica aveva “cessato di esistere”. Lo decisero tre ometti, ubriachi di vodka e di potere, che non avevano la minima idea di quello che stavano facendo e delle onde lunghe e grandi che alzavano e che si sarebbero rovesciate, anche dopo molti decenni, su tutte le spiagge del pianeta. Ho già scritto qui queste righe, scoprendo che qualche lettore le interpretava come segno di “nostalgia”, di una qualche “mia” nostalgia. Niente affatto. E’ una constatazione.
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Gaza top secret, massacro made in Italy firmato Alenia
Chi vince, nella gara di ipocrisia? Obama che “non può fare nulla” per fermare Israele, che ha armato fino ai denti, o l’insignificante Italia, che pure ha fornito a Tel Aviv i velivoli-scuola per addestrare i piloti dei caccia che fanno piovere missili sulle case di Gaza? I cacciabombardieri che martellano Gaza sono F-16 e F-15 forniti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed elicotteri da guerra), insieme a migliaia di missili e bombe a guida satellitare e laser, scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto”. Come documenta lo stesso Congresso Usa l’11 aprile 2014, Washington si è impegnata a fornire a Israele, tra il 2009 e il 2018, un aiuto militare di 30 miliardi di dollari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo sviluppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washington di una sorta di “cassa continua” per l’acquisto di armi statunitensi, tra cui sono previsti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inoltre usare, in caso di necessità, le potenti armi stoccate nel “Deposito Usa di emergenza in Israele”.«Al confronto, l’armamento palestinese equivale a quello di chi, inquadrato da un tiratore scelto nel mirino telescopico di un fucile di precisione, cerca di difendersi lanciandogli il razzo di un fuoco artificiale», aggiunge Dinucci, nel servizio ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ma attenzione: un consistente aiuto militare a Israele viene anche dalle maggiori potenze europee. «La Germania gli ha fornito 5 sottomarini Dolphin (di cui due regalati) e tra poco ne consegnerà un sesto. I sottomarini sono stati modificati per lanciare missili da crociera nucleari a lungo raggio, i “Popeye Turbo” derivati da quelli Usa, che possono colpire un obiettivo a 1.500 km». E l’Italia, che consente ai top gun di Tel Aviv di condurre esercitazioni con armamenti letali in Sardegna, sta fornendo a Israele i primi dei 30 velivoli M-346 da addestramento avanzato, costruiti da Alenia Aermacchi (Finmeccanica). Aerei che possono essere usati anche come caccia per l’attacco al suolo in operazioni belliche reali.La fornitura dei caccia M-346, continua Dinucci, costituisce solo una piccola parte della cooperazione militare italo-israeliana, istituzionalizzata dalla legge 94 promulgata nel 2005. Legge che «coinvolge le forze armate e l’industria militare del nostro paese in attività di cui nessuno (neppure in Parlamento) viene messo a conoscenza». La norma stabilisce infatti che tali attività sono «soggette all’accordo sulla sicurezza», e quindi segrete. «Poiché Israele possiede armi nucleari – conclude il giornalista del “Manifesto” – alte tecnologie italiane possono essere segretamente utilizzate per potenziare le capacità di attacco dei vettori nucleari israeliani», e inoltre «possono essere anche usate per rendere ancora più letali le armi “convenzionali” usate dalla forze armate israeliane contro i palestinesi», che come vediamo sono soprattutto civili, donne e bambini inclusi, sacrificati anche questa volta per la pulizia tecnica di stampo terroristico mirata a sfrattare la popolazione palestinese da quella che viene definita “la più grande prigione a cielo aperto esistente al mondo”.«La cooperazione militare italo-israeliana – aggiunge Dinucci – si è intensificata quando il 2 dicembre 2008, tre settimane prima dell’operazione israeliana “Piombo Fuso” a Gaza, la Nato ha ratificato il “Programma di cooperazione individuale”». Il programma comprende lo scambio di informazioni tra i servizi di intelligence, la connessione di Israele al sistema elettronico Nato, la cooperazione nel settore degli armamenti e l’aumento delle esercitazioni militari congiunte. In quel quadro rientra “Blue Flag”, la più grande esercitazione di guerra aerea mai svoltasi in Israele, cui hanno partecipato nel novembre 2013 Stati Uniti, Italia e Grecia. «La “Blue Flag” è servita a integrare nella Nato le forze aeree israeliane, che avevano prima effettuato esercitazioni congiunte solo con singoli paesi dell’Alleanza, come quelle a Decimomannu con l’aeronautica italiana». Le forze aeree israeliane, sottolinea il generale Amikam Norkin, stanno sperimentando nuove procedure per potenziare la propria capacità, «accrescendo di dieci volte il numero di obiettivi che vengono individuati e distrutti». Ciò che sta facendo in questo momento a Gaza, grazie anche al contributo italiano, di cui la stampa mainstream evita accuratamente di parlare.Chi vince, nella gara di ipocrisia? Obama che “non può fare nulla” per fermare Israele, che ha armato fino ai denti, o l’insignificante Italia, che pure ha fornito a Tel Aviv i velivoli-scuola per addestrare i piloti dei caccia che fanno piovere missili sulle case di Gaza? I cacciabombardieri che martellano Gaza sono F-16 e F-15 forniti dagli Usa a Israele (oltre 300, più altri aerei ed elicotteri da guerra), insieme a migliaia di missili e bombe a guida satellitare e laser, scrive Manlio Dinucci sul “Manifesto”. Come documenta lo stesso Congresso Usa l’11 aprile 2014, Washington si è impegnata a fornire a Israele, tra il 2009 e il 2018, un aiuto militare di 30 miliardi di dollari, cui l’amministrazione Obama ha aggiunto nel 2014 oltre mezzo miliardo per lo sviluppo di sistemi anti-razzi e anti-missili. Israele dispone a Washington di una sorta di “cassa continua” per l’acquisto di armi statunitensi, tra cui sono previsti 19 F-35 del costo di 2,7 miliardi. Può inoltre usare, in caso di necessità, le potenti armi stoccate nel “Deposito Usa di emergenza in Israele”.
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Donbass: via i russi, a cannonate, per far posto alla Shell
Programmata a tavolino, la pulizia etnica nel Donbass, per sfrattare la popolazione e far posto agli 80-140.000 pozzi di estrazione del gas di scisto, “prenotati” già nel gennaio 2013 dalla Shell grazie all’accordo firmato con l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich. Secondo Olga Četverikova, la Royal Dutch Shell sta semplicemente attendendo l’esecusione del programma – cioè la strage nell’Est Ucraina – per poter mettere le mani sul sottosuolo, per la precisione i ricchissimi giacimenti di Yuzosk, al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Questo il motivo per cui avanza spedita la pulizia contro russi e russofoni, cioè gli abitanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dove vengono rasi al suolo interi quartieri con missili Grad senza che nessuna autorità internazionale intervenga. Liberare il terreno per l’estrazione del gas di scisto: questo il vero motivo delle violentissime operazioni belliche scatenate dal regime golpista insediato dagli Usa nella capitale ucraina.Con la Shell, ricorda la Četverikova in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, l’Ucraina ha firmato un contratto agevolato della durata di 50 anni, con obbligo di proroga. Oggi, la compagnia petrolifera che l’inizio dello sfruttamento del giacimento è previsto «dopo la de-escalation del conflitto e la stabilizzazione della situazione», cioè quando sarà stata sterminata o cacciata di casa a cannonate la popolazione che vive nell’area del giacimento. Un territorio immenso, che si espande su 7.886 chilometri quadrati, che comprende la città di Slavyansk (situata al centro del giacimento), Izyum, una grossa parte di Kramatorsk, così come centinaia di piccoli insediamenti: Krasnyj Liman, Seversk, Yasnogorka, Kamyševka. Sempre secondo l’accordo, «gli abitanti che risiedono su questo territorio, come da contratto, devono vendere la proprietà della loro terra». In caso di rifiuto, la terra «verrà loro tolta con la forza a favore di Shell». E tutte le spese della società per l’“appropriazione del territorio” verranno risarcite dallo Stato ucraino con il ricavato dell’estrazione del gas. Per questo, Kiev è tenuta a garantire il rispetto di tutte le clausole, imponendole alle autorità locali.Oltre alla Shell, a dividersi la torta ci sono la Eurogas Ucraina (di proprietà della britannica Mc Callan Oil & Gas, a sua volta acquistata dalla statunitense Euro Gas) e la Burisma Holdings, nella quale Hunter Biden, figlio del vicepresidente americano Joe Biden, è da poco diventato uno dei membri del consiglio direttivo. Vero obiettivo della “operazione antiterrorismo”, cioè la carneficina del Donbass, è «stabilire il pieno controllo delle regioni di Donetsk e Lugansk», scrive Olga Četverikova. Missione: «La totale “bonifica” della sua superficie totale per avviare, senza intoppi, il lavoro di estrazione dello “shale gas”: sul territorio, “ripulito” dalla popolazione, è prevista l’installazione di 80-140 mila pozzi)». Ciò significa «la distruzione della terra seminabile, la demolizione di impianti industriali, di edifici residenziali, di luoghi di culto, per il mantenimento delle infrastrutture del gas». Altra preda di guerra, le fertilissime “terre nere”, di cui l’Ucraina possiede il 27% del patrimonio mondiale: «In tempo di pace sarebbe difficile realizzare tutto ciò, ma la guerra copre tutto».Kiev punta dunque a «ottenere una brusca riduzione del numero della popolazione locale, e lasciare sul territorio dei giacimenti solo le persone necessarie per i lavori di estrazione del gas». I sindaci insediati dal governo golpista ucraino già promettono nuovi posti di lavoro, al posto del lavoro perso in seguito alla distruzione delle industrie. Per cui, «sopprimere la resistenza degli abitanti di Donetsk e Lugansk e ristabilire il controllo sul territorio» consentirà presto di «tagliar fuori la Russia da gran parte del mercato europeo del gas». Carte scoperte dall’autunno 2014: il segretario Nato, Rasmussen, il 20 giugno a Londra ha accusato Mosca di aver complottato per interrompere la produzione di gas di scisto, mentre già il 1° maggio al Congresso Usa è stato proposto un progetto di legge “prevenzione delle aggressioni dalla Russia – 2014”. «Proprio il desiderio di mantenere il controllo da parte delle grandi corporazioni transnazionali sui giacimenti petroliferi del Dnepr-Donets ha portato alla guerra contro il popolo di Donetsk e Lugansk, una guerra di sterminio», accusa la Četverikova.«Il massacro di civili e il clima di paura che costringe le persone a lasciare la loro patria per diventare profughi sono stati i principali strumenti per attuare gli interessi delle multinazionali, per le quali il potere installatosi a Kiev dopo il colpo di Stato è solo un abbellimento per coprire la grande pulizia etnica della popolazione russa e russofona del Donbass». In un drammatico video-messaggio diffuso il 4 luglio, il presidente della regione Donetsk, Igor Strelkov, è stato chiarissimo: «Se la Russia non otterrà un cessate il fuoco, o se non inizierà un’operazione di pace, Slavyansk con la sua popolazione di oltre 30.000 abitanti sarà distrutta in una settimana, al massimo due». Come da contratto con la Shell, nel silenzio totale dell’Europa e del resto del mondo.Programmata a tavolino, la pulizia etnica nel Donbass, per sfrattare la popolazione e far posto agli 80-140.000 pozzi di estrazione del gas di scisto, “prenotati” già nel gennaio 2013 dalla Shell grazie all’accordo firmato con l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich. Secondo Olga Četverikova, la Royal Dutch Shell sta semplicemente attendendo l’esecusione del programma – cioè la strage nell’Est Ucraina – per poter mettere le mani sul sottosuolo, per la precisione i ricchissimi giacimenti di Yuzosk, al confine delle regioni di Donetsk e Kharkov nella zona petrolifera del Dnepr-Donets. Questo il motivo per cui avanza spedita la pulizia contro russi e russofoni, cioè gli abitanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, dove vengono rasi al suolo interi quartieri con missili Grad senza che nessuna autorità internazionale intervenga. Liberare il terreno per l’estrazione del gas di scisto: questo il vero motivo delle violentissime operazioni belliche scatenate dal regime golpista insediato dagli Usa nella capitale ucraina.
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Ben Gurion, padre di Israele: massacrate donne e bambini
«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba». Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard – pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema: la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che pretende di negare l’abominio di Auschwitz.
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Non credete a Obama, è pronto a usare la bomba atomica
«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».Secondo Roberts, la Casa Bianca si è fatta convincere dai neo-conservatori che le forze nucleari russe sono ferme e impreparate, quindi un ottimo bersaglio per un attacco. «Questa falsa opinione – scrive l’analista, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – si basa su informazioni vecchie di dieci anni», prima cioè del poderoso riarmo difensivo promosso da Putin, che ha permesso alla Russia di giocare un ruolo-chiave per impedire che la Siria diventasse la scintilla della possibile Terza Guerra Mondiale. In ogni caso, «indipendentemente dalle reali condizioni delle forze nucleari russe, dal successo del “primo attacco” di Washington e dal livello di protezione dello “shield” americano», uno studioso come Steven Starr conferma che «il carattere letale delle armi nucleari» non è arginabile: un conflitto atomico non avrebbe vincitori, perché tutti soccomberebbero nella catastrofe.Lo ribadiscono autorevoli scienziati atmosferici, in studi come quello pubblicato già nel 2008 da “Physics Today”: nonostante la riduzione degli arsenali nucleari programmata con Gorbaciov nel lontano 1986 (ridurre a circa 2.000 entro il 2012 le 70.000 testate dell’epoca) non si è ancora ridotta la minaccia che una guerra nucleare rappresenta per la vita umana sulla Terra. E’ scontata la distruzione simultanea di centinaia di milioni di persone, mentre il fumo atomico emanato dalle esplosioni nella stratosfera «causerebbe l’inverno nucleare e il collasso dell’agricoltura». Sicché, «gli esseri umani scampati alla morte e alle radiazioni morirebbero comunque di fame». Reagan e Gorbaciov l’avevano ben compreso, ma «purtroppo non c’e’ stato un degno successore tra i governi americani che seguirono», sostiene Craig Roberts. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, i 9 paesi dotati di armi nucleari ancora possiedono un totale di 16.300 testate atomiche.E il maggior pericolo viene proprio dagli Usa: «E’ ormai appurato che a Washington ci siano dei politici che pensano, erroneamente, che la guerra nucleare sia una guerra che si può vincere, e che sia un valido strumento per arrestare l’ascesa di Russia e Cina che mette a repentaglio l’egemonia americana nel mondo». Il governo degli Stati Uniti, indipendentemente dal partito in carica, è «una grossa minaccia per la vita sulla Terra», accusa Roberts. E i governi europei, «che si reputano civilizzati», in realtà «non lo sono affatto, poiché permettono a Washington di perseverare nella sua sete di egemonia». E’ quello il problema: «L’ideologia che concede all’eccezionale e indispensabile America questa supremazia è un’enorme minaccia per il mondo».Iraq e Afghanistan, Libia e Siria, Yemen e Somalia, per non parlare della Jugoslavia. «La distruzione parziale o totale di sette paesi del mondo operata dall’Occidente nel 21° secolo, con l’appoggio di altre “civiltà e mezzi d’informazione occidentali”, è la prova lampante che la leadership del mondo occidentale è completamente svuotata di coscienza morale e di compassione per il genere umano», dichiara Craig Roberts. «Ora che Washington è armata della sua falsa dottrina di “supremazia nucleare”, si prospetta un triste futuro per l’umanità». Secondo l’ex consigliere di Reagan, infatti, «Washington ha dato il via alla preparazione di una Terza Guerra Mondiale, e gli europei sembrano ben disposti a prenderne parte». A fine 2012, il danese Rasmussen a capo dell’Alleanza Atlantica aveva detto che la Nato non considerava la Russia come un nemico, ma «ora che la folle Casa Bianca insieme ai suoi folli vassalli ha dimostrato alla Russia che l’Occidente è ancora un nemico», Rasmussen ha cambiato posizione, dichiarando: «Dobbiamo accettare il fatto che la Russia ci considera suoi avversari», per aver sostenuto militarmente l’Ucraina (golpista) insieme agli altri paesi dell’Europa orientale.L’escalation è ormai avviata: per Alexander Vershbow, ex ambasciatore statunitense in Russia e attuale vicesegretario Nato, la Russia è «un nemico». Pertanto, «i contribuenti americani ed europei devono sostenere l’ammodernamento degli armamenti, non solo per Ucraina ma anche per Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaijan». L’apparato militare americano sta riesumando la guerra fredda, scrive Roberts, proprio perché ha appena perso la cosiddetta “guerra al terrore” in Iraq e Afghanistan. «Questo probabilmente è il punto di vista delle industrie di armamenti e di qualcuno a Washington». Ma i neocon sono ancora più ambiziosi: «Non perseguono solo il profitto nel sistema della sicurezza e degli armamenti, il loro scopo è l’egemonia degli Stati Uniti nel mondo, ovvero azioni sconsiderate come la minaccia strategica che il regime di Obama, con la complicità dei vassalli europei, ha lanciato contro la Russia in Ucraina».Dall’autunno scorso, continua Roberts, il governo americano «non ha fatto che mentire sull’Ucraina, dando la colpa alla Russia per le conseguenze delle azioni di Washington e demonizzando Putin nello stesso modo in cui Washington ha demonizzato Gheddafi, Saddam Hussein, Assad, i Talebani e l’Iran». Il governo conta su formidabili complici: «La stampa “prostituita” e le capitali dei paesi europei hanno assecondato queste menzogne e questa propaganda, ripetendole senza sosta». Così, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Russia è diventato apertamente negativo. «Come pensate che vedano tutto questo Russia e Cina? La Russia ha visto la Nato spingersi fino ai suoi confini, una violazione degli accordi sottoscritti da Reagan e Gorbaciov». Peggio: Mosca «ha visto gli Stati Uniti violare gli accordi del trattato “Shield” e costituire un proprio “scudo” da guerre stellari». Se poi questo “shield” funzioni o meno «è del tutto irrilevante: il suo scopo è quello di convincere i politici e l’opinione pubblica che gli americani sono al sicuro».La notizia peggiore, continua Craig Roberts, è che i russi hanno visto gli Stati Uniti cambiare il ruolo delle armi nucleari, da mezzi deterrenti a strumenti di attacco preventivo. «E ora la Russia sente ogni giorno fiumi di menzogne ripetute in Occidente e assiste al massacro di civili nell’Ucraina russa da parte del vassallo ucraino degli Stati Uniti». Civili che Washington definisce “terroristi”, e che invece vengono sterminati «con armi come il fosforo bianco». E tutto questo «senza alcuna protesta da parte dei paesi dell’Occidente». E’ cronaca, benché oscurata dai media mainstream: «Attacchi massicci di artiglieria e aerei sulle case dell’Ucraina russa si sono compiuti nel giorno del 25° anniversario di Piazza Tienanmen, mentre Washington e i suoi paesi-marionetta hanno condannato la Cina per un evento che non è mai accaduto». La farsa della presunta “strage” di Pechino è infatti stata smascherata da fonti diplomatiche Usa: il governo cinese non ha mai sparato sulla folla degli studenti, ma ha contrattato con loro l’abbandono della piazza.«Come oggi sappiamo, non c’era stato alcun massacro in piazza Tienanmen», sottolinea Craig Roberts. «Era solo un’altra bugia di Washington, come quella del Golfo del Tonchino, come le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, come l’uso di armi chimiche di Assad, come le armi nucleari iraniane». Si stupisce, l’ex viceministro di Reagan: «E’ davvero sorprendente vedere come il mondo stia vivendo una falsa realtà creata dalle bugie di Washington. Il film “Matrix” è una fedele rappresentazione della vita in Occidente: la popolazione vive in una falsa realtà creata dai suoi governanti». L’opinione pubblica è così assuefatta da non riuscire a distaccarsene, come spiega – in quel film – Morfeo, il capo dei ribelli “risvegliati”: «La maggior parte della gente non è pronta a staccare la spina», molti di loro sono «così completamente schiavi del sistema che lotteranno per proteggerlo».Confessa Craig Roberts: «Vivo quest’esperienza ogni volta che scrivo un articolo: ecco che arrivano le proteste di quelli che non sono disposti a staccare la spina, attraverso e-mail o dai quei siti che nella sezione dei commenti accusano gli scrittori di calunnia verso i loro governi-troll». Se non altro, aggiunge l’analista, ad abboccare è l’Occidente, ma non le popolazioni russe e cinesi, quelle che vedono benissimo il cappio che si sta stringendo giorno per giorno. «Come pensate che reagirà la Cina quando Washington dichiarerà che il Mar Cinese Meridionale è una zona di interesse nazionale degli Stati Uniti, e invierà il 60% della sua flotta nel Pacifico e costruirà nuove basi aeree e navali americane dalle Filippine al Vietnam?». Finora, aggiunge Roberts, russi e cinesi «si sono comportati in modo ragionevole». Sergej Lavrov, il ministro degli esteri di Putin, è estremamente chiaro: «In questa fase, vogliamo dare ai nostri partner la possibilità di calmare gli animi. Vedremo cosa succederà in seguito. Se continueranno le accuse contro la Russia e i tentativi di pressione su di noi attraverso la leva economica, allora potremo rivalutare la situazione».«Se la folle Casa Bianca, le prostitute mediatiche di Washington e i vassalli d’Europa convinceranno la Russia che la guerra è inevitabile, la guerra diventerà davvero inevitabile», avverte Craig Roberts. «E poiché non esiste possibilità alcuna che la Nato sia in grado di montare un’offensiva convenzionale contro la Russia nemmeno lontanamente vicina alle dimensioni e alla potenza delle forze d’invasione tedesche del 1941, che poi incontrarono la distruzione, la guerra non potrà che essere nucleare, e questo significa la fine per tutti. Tenetelo bene a mente, mentre Washington e i suoi canali d’informazione continuano a far rullare i tamburi di guerra». La storia è lì a dimostrare che, oltre ogni dubbio, «tutto quello che Washington e le sue prostitute mediatiche hanno detto e dicono, non sono che bugie al servizio di un fine non dichiarato». E la cosa, purtroppo, «non si risolve votando democratico invece che repubblicano». Thomas Jefferson suggerì una soluzione: «L’albero della libertà di tanto in tanto si deve bagnare con il sangue dei patrioti e dei tiranni. E’ il suo concime naturale». Per Roberts, il guaio è che oggi «a Washington ci sono pochi patrioti e molti tiranni».«E’ cambiata la dottrina di guerra degli Stati Uniti: le armi nucleari americane non sono più limitate alla controffensiva, ma sono state elevate al ruolo di attacco preventivo». Lo sostiene Paul Craig Roberts, editorialista e già viceministro di Reagan, citando un recente servizio di Eric Zuesse su “Op-Ed News”: Washington sta mettendo a punto i piani per un primo attacco nucleare contro la Russia di Putin, come se non sapesse che anche un attacco atomico “limitato”, secondo in maggiori esperti, porterebbe a sconvolgimenti planetari capaci di causare la morte di non meno di 2 miliardi di persone nel mondo. Craig Roberts accusa l’America di Obama: si è tirata fuori dai trattati anti-balistici e sta sviluppando il suo “scudo anti-missile” in Europa con l’obiettivo di intercettare l’eventuale reazione russa a un attacco contro Mosca. Attacco che non avverrebbe comunque a freddo: «Washington sta demonizzando la Russia e il suo presidente con una vergognosa propaganda diffamatoria, preparando la popolazione statunitense e i suoi Stati-sudditi alla guerra contro la Russia».
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Pentagono, strano dossier: vi salveremo dagli zombie
Il Pentagono pensa proprio a tutto in fatto di sicurezza: persino a difendersi dai morti, o meglio dai morti viventi. Nei piani del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti c’è un dossier chiamato “Conop 8888”, ovvero un piano di sopravvivenza in caso di attacco degli zombie. Secondo quanto riferisce la rivista “Foreign Policy”, il protocollo è stato pensato per addestrare i comandanti delle forze armate ad adottare opportune strategie in caso di una catastrofi particolari, ovvero di «apocalisse dei morti viventi». Uno scenario che sembra più il soggetto di una pellicola sul filone di “The Walking Dead”, scrive Francesco Semprini su “La Stampa”. Il protocollo, non secretato, è conosciuto come “Counter-Zombie Dominance”: un vero e proprio piano di sopravvivenza per contrastare ogni minaccia legata a «un’offensiva dei morti viventi» e aiutare «qualsiasi popolazione del mondo, compresi gli avversari tradizionali», come Cina, Russia o Corea del Nord.Il documento, aggiunge la “Stampa”, porta la firma di alcuni strateghi militari di Omaha, sede del comando strategico del Nebraska, ed è frutto di un lavoro durato circa due anni e terminato nell’aprile del 2011. “Conop 8888” non è solo un protocollo che individua direttive e linee guida per «aiutare le autorità nel mantenere l’ordine pubblico e ripristinare i servizi di base durante e dopo un attacco degli zombie». E’ anche un preciso censimento delle tipologie di zombie: dai “pathogenic zombie” ai “radiation zombie”, figli di agenti patogeni e del nucleare, dagli “evil magic zombie”, il risultato di sperimentazioni, ai futuristici “space zombie”, passando per i “vegetarian zombies”, i meno pericolosi perché si nutrono solo di vegetali, e i “chicken zombie”, cioè vecchie galline ovaiole soppresse col gas, sotterrate e tornate alla luce come pollastre morte-viventi.Pamela Kunze, capitano della marina Usa e portavoce del comando strategico, spiega che si tratta di «uno sforzo creativo a scopo formativo, per insegnare agli studenti i concetti basilari delle risposte militari a ipotetici scenari di guerra». Non si tratta di una novità assoluta per le autorità americane, aggiunge Semprini, visto che il Center for Disease Control (Cdc) – la massima autorità in campo sanitario – ha già utilizzato gli zombie per la formazione, «costruendo un’intera campagna di sensibilizzazione per la preparazione di un kit di emergenza contro l’invasione dei morti viventi». Una simulazione in ogni caso sinistra e, volendo, carica di allusioni – solo virtuali, certo, a patto che non si scopra che siamo proprio noi gli zombie a cui pensano i ghostbusters americani, cioè i militari di un paese e conduce guerre segrete, organizza golpe, prepara la guerra climatica e intanto fa strage di civili, coi missili dei droni, nei cieli di paesi che non sono in guerra con nessuno. Il giorno che si ribellassero, però, i militari americani sono pronti: nessuno “zombie” pakistano, siriano, somalo o russo potrà opporsi al formidabile “ripristino dell’ordine pubblico”.Il Pentagono pensa proprio a tutto in fatto di sicurezza: persino a difendersi dai morti, o meglio dai morti viventi. Nei piani del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti c’è un dossier chiamato “Conop 8888”, ovvero un piano di sopravvivenza in caso di attacco degli zombie. Secondo quanto riferisce la rivista “Foreign Policy”, il protocollo è stato pensato per addestrare i comandanti delle forze armate ad adottare opportune strategie in caso di una catastrofi particolari, ovvero di «apocalisse dei morti viventi». Uno scenario che sembra più il soggetto di una pellicola sul filone di “The Walking Dead”, scrive Francesco Semprini su “La Stampa”. Il protocollo, non secretato, è conosciuto come “Counter-Zombie Dominance”: un vero e proprio piano di sopravvivenza per contrastare ogni minaccia legata a «un’offensiva dei morti viventi» e aiutare «qualsiasi popolazione del mondo, compresi gli avversari tradizionali», come Cina, Russia o Corea del Nord.
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Pilger: quella che sta iniziando si chiama guerra mondiale
Perchè tolleriamo di minacciare un’altra guerra mondiale in nostro nome? Perchè permettiamo menzogne che giustifichino questo rischio? La portata del nostro indottrinamento, scrisse Harold Pinter, è un «brillante, persino arguto, atto di ipnosi di immenso successo», come se la verità «non fosse mai accaduta nemmeno mentre stava accadendo». Ogni anno lo storico statunitense William Blum pubblica il suo “Riassunto aggiornato della politica estera degli Usa”, il quale mostra come, dal 1945, essi abbiano provato a sollevare più di 50 governi, molti dei quali democraticamente eletti, abbiano massicciamente interferito nelle elezioni di 30 paesi, abbiano bombardato la popolazione civile di 30 nazioni, abbiano fatto uso di armi chimiche e biologiche e abbiano attentato alla vita di leader stranieri.In molti casi il Regno Unito ne è stato complice. Il grado di sofferenza umana causato, per non parlare dei crimini perpetrati, è ben poco conosciuto in Occidente, malgrado la presenza del sistema di comunicazioni più avanzato del mondo e del giornalismo nominalmente più libero. Il fatto che la maggior parte delle vittime del terrorismo – il “nostro” terrorismo – sia musulmana non può essere detto. L’informazione che il jihadismo estremo, che portò all’11 Settembre, era stato coltivato come arma dalla politica anglostatunitense (“operazione ciclone” in Afghanistan) è stata soppressa. In aprile, il Dipartimento di Stato Usa ha reso noto che, in seguito alla campagna della Nato del 2011, «la Libia è divenuta un rifugio per terroristi».Il nome del “nostro” nemico è cambiato nel corso degli anni, dal comunismo all’Islam, ma generalmente esso è incarnato da qualsiasi società indipendente dall’egemonia dell’Occidente che occupi un territorio strategicamente utile o disponga di abbondanti risorse naturali. I leader di queste nazioni scomode vengono generalmente deposti con la violenza, come i democratici Muhammad Mossedeq in Iran e Salvador Allende in Cile, o uccisi come Patrice Lumumba in Congo. Tutti loro vengono sottoposti a campagne denigratorie dai media occidentali – pensiamo a Fidel Castro, Hugo Chavez e ora Vladimir Putin. Il ruolo di Washington in Ucraina differisce solo per le sue implicazioni nei nostri confronti. Per la prima volta dalla presidenza Reagan, gli Stati Uniti stanno minacciando di ricondurre il mondo in guerra. L’Europa dell’est e i Balcani sono avamposti della Nato e l’ultimo “Stato cuscinetto” al confine con la Russia viene fatto a pezzi.Noi occidentiali stiamo sostenendo dei neonazisti nel paese in cui i nazisti ucraini sostennero Hitler. Dopo aver architettato il colpo di Stato di febbraio contro il governo democraticamente eletto a Kiev, il piano di Washington per la conquista della storica e legittima base navale Russa in Crimea è fallito. I russi si sono difesi, come hanno fatto per oltre un secolo di fronte ad ogni minaccia e invasione da parte dell’Occidente, ma l’accerchiamento da parte della Nato ha avuto un’accelerazione, insieme agli attacchi orchestrati dagli Stati Uniti contro gli ucraini di etnia russa. Se Putin venisse provato ad accorrere in loro aiuto, il suo ruolo di paria predestinato giustificherebbe la Nato ad intraprendere una guerriglia che potrebbe trasferirsi all’interno dello stesso territorio russo.Putin ha invece frustrato il partito della guerra cercando una distensione con Washington e l’Ue, ritirando le truppe russe dal confine e invitando gli ucraini di etnia russa a non partecipare ai provocatori referendum nelle regioni dell’Est. Questa parte di popolazione russofona e bilingue – un terzo del totale – aspira da tempo a una federazione democratica che rispecchi le differenze etniche del paese e che sia al contempo autonoma e indipendente da Mosca. Molti di loro non sono né separatisti né ribelli, ma cittadini che vogliono vivere sicuri nella loro patria.Come le rovine di Iraq e Afghanistan, l’Ucraina è stata ridotta a un parco divertimenti della Cia – diretto dal direttore della Cia John Brennan a Kiev, assieme ad “unità speciali” che sovrintendano ad attacchi selvaggi su coloro i quali si oppongono al golpe di febbraio. Guardate i video, leggete le denunce dei testimoni oculari del massacro di Odessa di questo mese. Squadre di criminali fascisti hanno bruciato la sede dell’unione del commercio, uccidendo le 41 persone intrappolate al suo interno. Guardate la polizia starsene a guardare. Un dottore ha raccontato di aver tentato di salvare alcune persone, «ma sono stato fermato dai sostenitori dei nazi. Uno di loro mi ha spinto via rudemente, promettendomi che presto io e gli altri ebrei di Odessa avremmo avuto la medesima sorte… mi chiedo perchè il mondo intero se ne stia in silenzio».Gli ucraini russofoni stanno lottando per la loro sopravvivenza. Quando Putin ha annunciato il ritiro delle truppe russe dal confine, il segretario della difesa della giunta di Kiev – un membro fondatore del partito fascista Svoboda – ha rincarato dicendo che gli attacchi contro “i ribelli” sarebbero proseguiti. In perfetto stile orwelliano, la propaganda in Occidente ha ribaltato il tutto in “Mosca cerca di fomentare il conflitto e la provocazione”, secondo il segretario degli Esteri britannico William Hague. Il suo cinismo fa da pari con i grotteschi complimenti di Obama alla giunta per la sua «notevole compostezza» nel seguire il massacro di Odessa. Benchè sia fascista e illegale, la giunta è descritta da quest’ultimo come «propriamente eletta». Ciò che conta non è la verità, ha detto una volta Henry Kissinger, ma ciò che è percepito essere vero.Nei media statunitensi, le atrocità di Odessa sono state presentate come «confuse» e «una tragedia» in cui i «nazionalisti» (neonazisti) hanno attaccato i «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum a sostegno della Federazione Ucraina). Il “Wall Street Journal” di Rupert Murdoch ha condannato le vittime: “La sparatoria è stata probabilmente innescata dai ribelli ucraini, dice il governo”. La propaganda in Germania è stata guerra fredda allo stato puro, con il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” che avvertiva i suoi lettori della “guerra ancora non dichiarata dalla Russia”. Per i tedeschi è una fantastica ironia che Putin sia l’unico leader a condannare l’ascesa del fascismo nell’Europa del 21° secolo.Una popolare banalità è che “il mondo sia cambiato dopo l’11 Settembre”, ma cosa è veramente cambiato? Secondo il grande informatore Daniel Ellsberg, un golpe silenzioso è già avvenuto a Washington e ora a governare è un militarismo rampante. Il Pentagono ultimamente svolge “operazioni speciali” – guerre segrete – in 124 paesi. In patria, una povertà crescente e una morente libertà sono il corollario ad uno stato di guerra perpetua. Aggiungiamo il rischio di una guerra nucleare e la domanda è: perchè tolleriamo tutto ciò?(John Pilger, “Rompere il silenzio, la guerra mondiale sta iniziando”, da “Asia Times” del 14 maggio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Perchè tolleriamo di minacciare un’altra guerra mondiale in nostro nome? Perchè permettiamo menzogne che giustifichino questo rischio? La portata del nostro indottrinamento, scrisse Harold Pinter, è un «brillante, persino arguto, atto di ipnosi di immenso successo», come se la verità «non fosse mai accaduta nemmeno mentre stava accadendo». Ogni anno lo storico statunitense William Blum pubblica il suo “Riassunto aggiornato della politica estera degli Usa”, il quale mostra come, dal 1945, essi abbiano provato a sollevare più di 50 governi, molti dei quali democraticamente eletti, abbiano massicciamente interferito nelle elezioni di 30 paesi, abbiano bombardato la popolazione civile di 30 nazioni, abbiano fatto uso di armi chimiche e biologiche e abbiano attentato alla vita di leader stranieri.
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Ue, Mosca e Pechino soci perfetti: è l’incubo degli Usa
E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».L’elemento saliente di quel periodo, ricorda Helevi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è la seconda guerrra cecena, combattuta tra il 1999 e il 2001. «La strategia militare elaborata da Putin implicò delle perdite fortissime tra i civili residenti in Cecenia (sia ceceni che russi) e questa violazione dei diritti umani non venne mai denunciata politicamente e formalmente dagli “occidentali” perchè troppo importante era Putin in relazione ad un possibilissimo ritorno al potere dei neo-comunisti». Altro errore, analogo: «Trattare la Cina come “qualcosa di rosso” perché c’è il Pcc al potere». Altro caso di miopia che, sempre secondo Halevi, «rende una grossa parte della sinistra completamente scema senza possibilità d’appello». Il modo migliore di intepretare la nuova Cina? «E’ vederla come un fenomeno ultra-bismarckiano», pur tenendo conto del fatto che «la formazione di una potenza bismarckiana delle dimensioni della Cina pone dei problemi per l’altra potenza», quella americana.Una visione, questa, elaborata già nel 1999 dalla Rand Corporation. Cina ultra-bismarckiana? A coniare la formula fu Zalmay Khalilzad, afghano emigrato negli Usa diventato sotto Bush figlio e ambasciatore Usa a Kabul dopo il 2001, poi ambasciatore in Iraq dopo il 2003 ed infine ambasciatore statunitense all’Onu. Sul versante geopolitico, Khalilzad spiega perchè – con la Cina di oggi – gli Usa non possono avere rapporti di sola cooperazione amichevole o di solo conflitto. «Pochi hanno colto la dimensione duale e contraddittoria degli interessi Usa in Cina, ma per coglierli basta studiare – leggendo il “Wall Street Journal” e l’“International New York Times” – Walmart, Apple e la General Electric». Quei colossi «sono in Cina per rifornire in primo luogo il mercato Usa, in secondo luogo il resto del mondo, in terzo luogo per vendere sul mercato cinese in crescita asfissiante (letteralmente)». Il successo della loro presenza in Cina «dipende dalla crescita cinese, che è organizzata dallo Stato bismarckianamente».Questa crescita, continua Halevi, significa «capacità di mettere in piedi in breve tempo grosse strutture industriali con ampie economie di scala e con ritmi di lavoro parossistici». Tutto ciò «conferisce una dimensione concreta alla globalizzazione». Esempio, il caso Apple, con iPad e iPhone «progettati negli Usa, prodotti da una società di Taiwan ma localizzata in Cina», perchè «a Taiwan e nemmeno negli Usa avrebbero potuto costruire, in poco tempo e con tutte le infrastrutture di collegamento, un insieme di impianti che occupano oltre 700 mila persone». Così, si è generato «uno iato crescente tra gli interessi economici del capitale Usa e la capacità dello Stato Usa di garantirne gli interessi in maniera coerente». Per esempio, negli Usa si discute la necessità di far rivalutare la moneta cinese, lo yuan: «A non volerlo sono proprio le società Usa che operano dalla Cina».Fino alla fine degli anni ‘90, prosegue Halevi, il mantenimento dell’egemonia statunitense si fondava sul ruolo della spesa pubblica federale (senza la quale il sistema militare, politico e finanziario non funzionerebbe) e sul ruolo del dollaro. Due elementi che permettevano e permettono il controllo delle cruciali zone energetiche del Medio Oriente. Un analista come Zbigniew Brzezinski sostenne che il controllo dell’arco energetico che va dall’Arabia Saudita all’insieme del Medio Oriente pemette di “tenere al guinzaglio” simultaneamente sia il Giappone che l’Unione Europea. «Giustissimo, per quel periodo», dice Halevi. «Da allora, la Russia è emersa come superpotenza energetica e la Cina come fulcro della produzione industriale mondiale, nonchè come asse dei meccanismi finanziari sui mercati delle materie prime, come il carbone».«Insieme alla finanziarizzazione degli Oceani e soprattutto dell’Artico – conclude Halevi – la dinamica dei prodotti finanziari globali non è certo determinata dal debito pubblico italiano e dallo spread, bensì dalla Cina». Sicché, la formazione di un “continuum” economico tra Cina, Russia ed Europa, Germania in primis, «è nei piani sia cinesi che tedeschi e russi». La parte più debole meno coordinata è quella russa, «perchè il processo di disgregazione dell’Urss apertosi nel 1991 è lungi dall’essersi concluso: la Russia è una superpotenza energetica, ma come forza statuale è ancora nel day-after del 26 dicembre del 1991». Per gli Stati Uniti, dunque, «è essenziale che non si formi alcun “continuum” euroasiatico, altrimenti entrerebbe seriamente in crisi la capacità dello Stato americano di proteggere coerentemente gli interessi del capitale Usa».E’ ovvio che Obama attacca Putin perché teme che la Russia – immenso serbatoio energetico – faccia da ponte tra l’Europa e la superpotenza cinese. Ma sarebbe pazzesco pensare, solo per questo, che Putin sia “qualcosa di sinistra”, e così il regime di Pechino. Lo sostiene l’economista Joseph Halevi, riflettendo sui retroscena della crisi mondiale, che lo scontro sull’Ucraina ha reso evidente. Trattare Putin «come una specie di surrogato progressista»? Errore: «E’ questo che rende la sinistra ovunque totalmente imbecille – dice Halevi – e comincio a credere che lo sia sempre stata». L’attuale capo del Cremlino, infatti, venne scelto dalla vecchia nomenklatura del Kgb, l’unica che riuscì a tenere insieme la Russia che Eltsin stava mandando in pezzi. Ma l’obiettivo era uno solo: «Bloccare la sicura vittoria dei neo-comunisti alle prime elezioni post-Eltsin». Tutto questo «venne fatto dagli Usa, direttamente e soprattutto “via Europa”, per sostenere e rafforzare il potere di Putin, prima come premier e poi come presidente succeduto a Eltsin».
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Giannuli: Hollande e Merkel complici dei nazisti di Odessa
In Ucraina, «la Ue sta facendo un gioco ignobile al servizio degli Usa, non cercando di porsi come mediatore, ma schierandosi apertamente con una delle parti in conflitto, in nome di principi inesistenti come quello dell’intangibilità delle frontiere», che in questo caso sono un puzzle interetnico, data la labilità storica dell’identità nazionale ucraina. Accusa Aldo Giannuli: «Da Merkel e da Hollande non è venuta una parola di condanna per il pogrom di Odessa, il che li rende complici morali di esso». Giannuli cita il breve, terribile documentario montato da Giulietto Chiesa su “Pandora Tv”, che dimostra che la strage di Odessa è stata pianificata: un massacro di civili inermi, alcuni bruciati vivi ma altri trucidati a colpi di pistola, o strangolati nel proprio ufficio, come accaduto a una donna incinta i cui assassini si sono vantati di aver “ucciso una russa e il piccolo russo che aveva in grembo”.«Quando ricompaiono i nazisti con le loro atrocità – scrive Giannuli nel suo blog – non è possibile alcuna neutralità e non c’è dubbio sulla parte da scegliere: contro di loro e a fianco delle vittime». Il pogrom di Odessa è illuminante: «E’ in corso in Ucraina una partita strategica mondiale che va molto oltre gli attori che occupano il palcoscenico». Premessa fondamentale: «L’Ucraina, così come la conosciamo, non è mai esistita: non c’è mai stata un’Ucraina indipendente con questa conformazione territoriale e, soprattutto, non c’è mai stata questa distribuzione etnica», che è frutto di «due secoli di dominazione russa», con imponenti migrazioni interne. La Crimea, poi, non è mai stata Ucraina; fu “regalata” da Kruscev alla maggiore repubblica dell’Urss, dopo quella russa, come parte di un pacchetto di concessioni fatte per isolare e battere la guerriglia indipendentista dei seguaci di Stephan Bandera, eponente dell’ultra-destra.Se sotto l’Urss l’Ucraina era «poco più di un’unità amministrativa, dotata di una sua fittizia autonomia politica», con la dissoluzione dell’Unione Sovietica l’Ucraina è diventata uno Stato, senza però mai riuscire a diventare una nazione. Resta «un aggregato disomogeneo di regioni poco amalgamate, con zone prevalentemente russofone, zone propriamente ucrainofone e un nucleo centrale misto con percentuali variabili da provincia a provincia». Quanto ai confini veri e propri, la Russia disastrata di Eltsin non era in condizione di ridefinirli. La contrapposizione inter-etnica? Molto enfatizzata dai media, ma la reatà è diversa: non tutti gli ucraini sono russofobi, non tutti i russofoni sono anti-ucraini, e in diverse regioni la coesistenza è perfettamente pacifica. In compenso, in questi vent’anni di indipendenza, i pessimi politici di Kiev non sono stati capaci di costruire un vero e proprio senso di appartenza nazionale. Gli anti-russi? «Più che di indipendentisti ucraini, ha senso parlare di eurofili che sognano di diventare una nuova Germania o una nuova Francia sol che si compia il miracolo dell’ammissione nella Ue».A dividere il paese, continua Giannuli, è proprio la proiezione economica verso l’Europa da parte di regioni non amalgamate tra loro, e non pronte a reggere l’impatto dell’occidentalizzazione forzata. «Tutto questo è anche il prodotto di una classe politica che è peggiore persino di quella italiana: i vari Kravchuk, Jushenko, Tymoscenko, Yanukovich, che si sono succeduti alla presidenza, sono stati personaggi assolutamente impresentabili, che, invece di costruire un’identità nazionale, hanno cavalcato le contrapposizioni, inasprendole per quanto potevano, allo scopo di mietere voti e conquistare un governo che poi non hanno saputo usare. Yanukovich – aggiunge Giannuli – è stato il più ladro e cialtrone dei governanti di quello sventurato paese: aveva promesso ai russofoni una parificazione linguistica che si è ben guardato dal realizzare, aveva accettato l’integrazione nella Ue per poi fare marcia indietro. Non stupisce che sia caduto in disgrazia presso tutti. Anche Mosca non sapeva come fare per liberarsi di lui».Nel frattempo la crisi mondiale rendeva i margini finanziari sempre più stretti: oggi l’Ucraina è un paese virtualmente fallito, con un debito enorme verso la Russia, dalla quale ha preso molto più gas di quanto potesse pagare, approfittando del passaggio del gasdotto attraverso il suo territorio. «Che si arrivasse a una mobilitazione di piazza era nell’ordine delle cose», ma le milizie neonaziste hanno preso il sopravvento «solo dopo che quell’incapace di Yanukovich ha iniziato a giocare al “dittatore cattivo”, scatenando una repressione che non era neppure in grado di reggere a lungo». Le violenze di Kiev a quel punto hanno innescato il riflesso separatista. «Le regioni orientali, in riva al Mar Nero, dove le percentuali dei russofoni sono elevate, hanno iniziato a manifestare umori separatisti, ci sono stati scontri sempre più frequenti, cui gli accordi di Ginevra hanno vanamente cercato di porre fine, perché il governo di Kiev, neppure 48 ore dopo, ne ha fatto strame, partendo con una spedizione punitiva contro le regioni orientali che, nel frattempo, organizzavano il referendum».Il pogrom di Odessa va inserito in questo quadro, conclude Giannuli, e dimostra come «governo e bande fasciste siano sulla stessa linea: terrorizzare i russofoni e provocare Mosca ad intervenire, nella speranza di un allargamento del conflitto che tiri dentro la Nato», come se l’Europa morisse dalla voglia di confrontarsi militarmente con il temibile esercito di Putin. Il vuoto spaventoso è quello della politica europea, che anziché cercare un ruolo di interposizione strategica si allinea agli estremisti più pericolosi. Neppure la Germania della Merkel ha finora assunto una posizione accettabile, autorevole e indipendente da Washington. Ma c’è chi è riuscito a fare persino peggio: «Hollande è il più spregevole in questa gara a chi è il servo più servo degli americani». L’augurio di Giannuli è che alle elezioni europee «il Ps francese sprofondi sotto il 10% e si disintegri».In Ucraina, «la Ue sta facendo un gioco ignobile al servizio degli Usa, non cercando di porsi come mediatore, ma schierandosi apertamente con una delle parti in conflitto, in nome di principi inesistenti come quello dell’intangibilità delle frontiere», che in questo caso sono un puzzle interetnico, data la labilità storica dell’identità nazionale ucraina. Accusa Aldo Giannuli: «Da Merkel e da Hollande non è venuta una parola di condanna per il pogrom di Odessa, il che li rende complici morali di esso». Giannuli cita il breve, terribile documentario montato da Giulietto Chiesa su “Pandora Tv”, che dimostra che la strage di Odessa è stata pianificata: un massacro di civili inermi, alcuni bruciati vivi ma altri trucidati a colpi di pistola, o strangolati nel proprio ufficio, come accaduto a una donna incinta i cui assassini si sono vantati di aver “ucciso una russa e il piccolo russo che aveva in grembo”.
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Odio nucleare: era Israele il peggior nemico di Kennedy
Natural born killers, assassini nati. Tesi più che ardita, ma storicamente supportata da prove: cinque diversi primi ministri israeliani, prima di approdare alla politica, si erano fatti le ossa nel terrorismo sionista, firmando omicidi e stragi, per poi passare al Mossad. Perché mai non avrebbero potuto organizzare proprio loro l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, ovvero il più grande mistero irrisolto – dopo cinquant’anni – nella storia americana del secolo scorso? Se lo domanda Said Alami su “Rebelion”, citando nuovi dossier desecretati e libri-denuncia come “Final Judgment, the Missing Link in the Jfk assassination controversy”, del giornalista investigativo Michael Collins Piper. La tesi esplora un possibile movente: la centrale nucleare semi-clandestina che Israele stava allora costruendo a Dimona, nel deserto del Neghev, con tecnologia francese. Kennedy, molto contrariato, fece scendere il gelo sui rapporti con Tel Aviv. Ma non aveva calcolato che la Cia – con la quale era in guerra – era largamente infiltrata dal Mossad.La teoria secondo sui sarebbe stata proprio la Cia ad assassinare Kennedy si basa sulla profonda inimicizia che regnava tra Jfk e l’intelligence, dopo che il presidente si era rifiutato di sostenere militarmente l’agenzia durante l’invasione della Baia dei Porci nel 1963, fallita poi miseramente, causando il rafforzamento del regime rivoluzionario di Fidel Castro a Cuba. Stanco degli eccessi della Cia, Kennedy confidò al suo collaboratore Clark Clifford di voler smantellare la Cia in mille pezzi. E Israele, attraverso i suoi uomini nell’agenzia di Langley, era a conoscenza di questi rapporti di tensione tra Kennedy e l’intelligence, scrive Alami in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Possibile manovalanza dell’omicidio messo a segno a Dallas il 22 novembre 1963, la vasta rete criminale facente capo al gangster Meyer Lansky, boss della potentissima mafia ebraica negli Usa, anch’essa in stretto collegamento col servizio segreto israeliano.Le tensioni tra Usa e Israele cominciano tre anni prima dell’omicidio Kennedy, nel 1960, quando già il presidente uscente, Eisenhower, chiede spiegazioni al premier israeliano Ben Gurion sul misterioso impianto di Dimona, in pieno deserto. Gli israeliani mentono, sostenendo che si tratta di una innocua fabbrica tessile. La Cia però indaga fino a ottenere fotografie dell’installazione, classificate “top secret” ma poi pubblicate in prima pagina sul “New York Times”. Quando si insedia Kennedy, il 20 gennaio 1961, il caso Dimona è ormai diventato «un’autentica bomba a orologeria nelle relazioni fra Tel Aviv e Washington», ricorda Alami. La Casa Bianca aumenta le pressioni, e ottiene la prima ammissione: l’impianto in effetti è nucleare, ma “per scopi pacifici”. Kennedy allora rifiuta di invitare Ben Gurion a Washington, così il premier israeliano – per allentare la tensione – autorizza un’ispezione di due scienziati statunitensi, Ulysses Staebler e Jess Croach, che in un rapporto confermano la versione israeliana: Dimona non è un impianto militare. Questo sblocca il veto di Kennedy, che finalmente incontra Ben Gurion il 30 maggio e si fa promettere che Israele consentirà agli Usa (che non si fidano dell’alleato mediorientale) un monitoraggio costante dell’installazione.«Nei due anni successivi al colloquio, però – scrive Alami – la volpe israeliana non mantenne le promesse». Così, Kennedy si spazientisce e il 13 maggio 1963 intima a ben Gurion di riaprire alle ispezioni il sito di Dimona, pena l’isolamento mondiale di Israele. Per tutta risposta, Ben Gurion si dimette da primo ministro. A metà giugno, Jfk rivolge lo stesso ultimatum al successore di Ben Gurion, Levi Eshkol. Ed è qui – suggerisce Said Alami – che forse nasce il cambio radicale di strategia: far fuori il presidente-nemico, con l’aiuto della Cia. Il curriculum dei premier israeliani non è certo rassicurante, aggiunge Alami, ricordando le responsabilità della leadership di Tel Aviv nell’attività terroristica condotta per anni in Palestina, dalla pulizia etnica contro la popolazione civile agli attentati per colpire il protettorato britannico e ottenere lo status di paese indipendente.Ben Gurion, padre dello Stato di Israele, è responsabile di genocidio contro i civili palestinesi: il leader sionista fondò il primo gruppo armato, Hashomer, già nel 1909. Il suo successore al governo di Tel Aviv, Levi Eshkol, era uno dei capi dell’Haganah, organizzazione terroristica generata da Hashomer. Entrambi erano considerati «due criminali», peraltro «reclamati negli anni ’30 e ’40 dalla polizia britannica in Palestina e nel resto del mondo per i loro numerosi omicidi e attentati», ricorda Alami. Terzo illustre terrorista e futuro primo ministro di Israele è Yitzhak Shamir: era membro del gruppo terroristico ebraico Irgun e poi del gruppo Lehi, altra organizzazione terroristica in Palestina. Quando Eshkol diventò primo ministro, Shamir era a capo del comando omicidi del Mossad, dove ha servito dal 1955 al 1965, periodo in cui risiedeva per la maggior parte del tempo a Parigi, sede europea del Mossad.«Shamir serviva il Mossad, tra le altre cose, per eseguire l’Operazione Damocle, operazione in cui vennero uccisi vari scienziati tedeschi trasferiti in Egitto dopo la Rivoluzione degli Ufficiali Liberi in Egitto nel 1952 e l’arrivo al potere di Nasser», continua Alami. L’elenco prosegue col nome del quarto uomo, Menachem Beghin, anch’egli prima terrorista e poi premier. Già ricercato dalla giustizia britannica, Begin aveva militato fra i terroristi dell’Irgun fino a diventarne leader nel 1943. «E’ stato colui che ordinò la mattanza all’Hotel Rey David, a Gerusalemme, nel 1946, dove morirono 91 persone». Due anni più tardi, aggiunge Alami, 132 terroristi di Irgun, comandati proprio da Begin, furono protagonisti della famosa strage di Deir Yasin, in cui vennero assassinate centinaia di persone in due villaggi palestinesi, donne e bambini compresi. E’ dimostrato, dice Alami, che proprio Beghin abbia incontrato un gangster della mafia ebraica statunitense due settimane prima dell’omicidio di Kennedy: si tratta di Micky Cohen, uomo di fiducia di Meyer Lansky nella West Coast. Secondo Collins Piper, fu proprio Cohen a reclutare un altro ebreo, Jack Rubenstein, meglio conosciuto come Jack Ruby, per assassinare Lee Harvey Oswald, l’uomo accusato di essere l’autore materiale dell’omicidio di Dallas.Dalla ricostruzione, tacciata di “antisemitismo” dall’epoca dell’uscita del libro di Collins Pipier, negli anni ‘90, non si salva neppure il quinto futuro premier israeliano, il coraggioso Yitzhak Rabin, protagonista della storica pace con Arafat (gli accordi di Oslo del 1993) che gli valsero il Premio Nobel per la Pace ma anche la “condanna a morte”, eseguita nel ‘95 da un colono ebreo estremista. La notizia è che Rabin si trovava a Dallas il giorno dell’omicidio Kennedy. «Non sarebbe proprio una coincidenza – sostiene Alami – tenendo conto del fatto che anche Rabin lavorava per il Mossad». Collins Pipier ipotizza che proprio Rabin, in veste di giornalista, abbia intervistato Jack Ruby il giorno prima dell’assassinio di Oswald nel quartier generale della polizia di Dallas. Anche il dossier di Said Alami mette in luce un clamoroso intreccio di potenti uomini d’affari americani collegati a Israele, al Mossad, alla Cia e alla criminalità ebraica negli Usa. «In realtà, la teoria che Israele stia dietro all’omicidio Kennedy non è né nuova né strana», ammette Alami. La “notizia”, semmai, è che Washington e i media l’hanno semplicemente dimenticata. Magico potere della mitica “lobby ebraica” che presidia Wall Street? Una cosa è certa: i tempi in cui la Casa Bianca osa fare la voce grossa con Israele, pretendendo trasparenza, sono finiti esattamente cinquant’anni fa, nella stessa tomba di Kennedy.Natural born killers, assassini nati. Tesi più che ardita, ma storicamente supportata da prove: diversi primi ministri israeliani, prima di approdare alla politica, si erano fatti le ossa nel terrorismo sionista, firmando omicidi e stragi, per poi passare al Mossad. Perché mai non avrebbero potuto organizzare proprio loro l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, ovvero il più grande mistero irrisolto – dopo cinquant’anni – nella storia americana del secolo scorso? Se lo domanda Said Alami su “Rebelion”, citando nuovi dossier desecretati e libri-denuncia come “Final Judgment, the Missing Link in the Jfk assassination controversy”, del giornalista investigativo Michael Collins Piper. La tesi esplora un possibile movente: la centrale nucleare semi-clandestina che Israele stava allora costruendo a Dimona, nel deserto del Neghev, con tecnologia francese. Kennedy, molto contrariato, fece scendere il gelo sui rapporti con Tel Aviv. Ma non aveva calcolato che la Cia – con la quale era in guerra – era «largamente infiltrata dal Mossad».
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Kiev, la guerra sporca di Obama per fermare la Cina
«Le provocazioni degli Stati Uniti in Ucraina non possono essere comprese se si prescinde dal “Pivot Asiatico”», ovvero il grande piano strategico concepito da Washington «porre sotto controllo la crescita cinese, in modo da renderla compatibile con le ambizioni egemoniche degli Stati Uniti». I “cacciatori di draghi”, sostiene Mike Whitney, sono per una strategia di contenimento, mentre i “panda huggers”, cioè gli occidentali filo-Pechino, vorrebbero un “fidanzamento”. Non si sa chi riuscirà a prevalere, ma è chiaro fin d’ora che «dipenderà in modo pesante dalla forza militare», considerando anche le ostilità in atto nel Mar Cinese Meridionale e nelle isole Senkaku, contese al Giappone. Cos’ha a che fare il controllo della Cina con il polverone alzato in Ucraina? Facile: Washington teme la Russia come formidabile fornitore di energia, lungo l’asse eurasiatico. Ecco perché «ha deciso di utilizzare l’Ucraina come banco di prova per un attacco contro la Russia: una Russia forte ed economicamente integrata con l’Europa è una minaccia per l’egemonia degli Stati Uniti».Washington, scrive Whitney in un post su “Counterpunch” ripreso da “Come Don Chisciotte”, vuole una Russia debole, impossibilitata a sfidare la presenza americana in Asia Centrale, dove gli Usa puntano a controllare le risorse energetiche vitali. «La Russia fornisce attualmente circa il 30% del gas naturale necessario all’Europa Centrale e all’Occidente, il 60% del quale transita attraverso l’Ucraina. Le popolazioni e le imprese europee dipendono dal gas russo per riscaldare le loro case e per fornire energia ai loro macchinari». Il rapporto di scambio tra Ue e Russia? E’ «reciprocamente vantaggioso», perché «rafforza sia il compratore che il venditore», mentre escude gli Usa, che «non guadagnano nulla dal partenariato Ue-Russia, ragione per cui Washington vuole bloccare l’accesso di Mosca ai mercati “critici”: questa forma di sabotaggio commerciale va considerato come un atto di guerra».I rappresentanti delle “Big Oil”, le più grandi multinazionali del settore energetico, conosciute anche come “supermajors”, tempo fa pensavano di poter competere con Mosca attraverso la costruzione di sistemi alternativi, come il Nabucco. «Ma il piano è fallito, e così Washington è passata al piano-B, ovvero al taglio del flusso di gas dalla Russia verso l’Ue». Interponendosi tra i due partner commerciali, continua Whitney, gli Stati Uniti «sperano di poter sovrintendere alla futura distribuzione delle forniture energetiche, e di controllare la crescita economica dei due continenti». Il problema che Obama sta per avere? «Convincere i cittadini dell’Ue che i loro interessi siano stati effettivamente serviti, visto che dovranno pagare il gas, nel 2015, il doppio di quanto hanno fatto nel 2014 – che è quello che succederà se il piano statunitense dovesse riuscire». Per centrare l’obiettivo, gli Stati Uniti «stanno facendo di tutto per attirare Putin in un “confronto”, in modo che i media lo possano trattare alla stregua di un vizioso aggressore che minaccia la sicurezza europea».La demonizzazione di Putin, aggiunge Whitney, fornirà le giustificazioni necessarie per fermare il flusso di gas fra la Russia e l’Ue, indebolendo ulteriormente l’economia russa e dando nuove opportunità alla Nato per impiantare basi operative sul perimetro occidentale della Russia. «Non fa alcuna differenza, per Obama, se le persone saranno strozzate dai prezzi del gas, o se dovranno semplicemente morire congelate dal freddo. Ciò che conta davvero è la politica del “pivot” nei riguardi dei mercati più prosperi e promettenti del prossimo secolo». Ciò che conta, per la Casa Bianca, «è schiacciare Mosca tagliando le sue vendite di gas naturale, erodendo al contempo la sua capacità di difesa ed i suoi interessi». Per cui, «seguire gli incidenti giornalieri in Ucraina come se fossero separati dal quadro generale è semplicemente ridicolo», osserva Whitney. «Fanno tutti parte della stessa folle strategia».Ne parla apertamente uno stratega come Zbigniew Brzezinski, che a “Foreign Affairs” spiega che «l’Eurasia è ora la scacchiera geopolitica decisiva: non si può più adottare una politica per l’Europa ed un’altra per l’Asia», visto che l’obiettivo è «il primato globale dell’America». Per questo, dice Whitney, «la Cia ed il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti hanno attuato il colpo di Stato per rovesciare il presidente ucraino Viktor Yanukovich, per poterlo rimpiazzare con un loro fantoccio», il premier Arseniy Yatsenyuk, che a sua volta ha ordinato due “operazioni antiterrorismo” per «reprimere gli attivisti disarmati dell’Ucraina Orientale che si oppongono alla giunta di Kiev». Obama, inoltre, «ha evitato d’impegnarsi con Putin in un dialogo costruttivo, volto a trovare una soluzione pacifica alla crisi attuale», perché «vuole impegnare il Cremlino in una lunga guerra civile per indebolire la Russia, screditare Putin e spostare l’opinione pubblica dalla parte degli Stati Uniti e della Nato».Putin sa già quello che vuole Obama: la guerra. «Ecco perché il direttore della Cia, John Brennan, è apparso a Kiev il giorno precedente a quello in cui il premier-golpista Yatsenyuk ha ordinato il primo giro di vite sui manifestanti pro-russi nell’est del paese». Ed ecco perché il vicepresidente americano Joe Biden è apparso a Kiev «solo poche ore prima che Yatsenyuk lanciasse il suo secondo giro di vite su quei manifestanti». Alimentare l’incendio: è quello a cui mira Washington, cercando di coinvolgere l’Europa in sempre nuove sanzioni contro Mosca. Dettaglio decisivo: a rimetterci è soprattutto l’Europa. Il peggio, ovviamente, è l’escalation militare. «Sembra che Washington abbia la necessità di attirare le truppe russe in un conflitto», aggiunge Whitney. «Putin ha dichiarato ripetutamente che “risponderà”, se dei russi dovessero essere uccisi in Ucraina. E’ questa la linea rossa da non superare». L’ha ripetuto il ministro degli esteri Sergej Lavrov, solitamente pacato, definendo «criminale» l’attacco di Yatsenyuk ai civili ucraini: «Un attacco ai cittadini russi – avverte Lavrov – sarà considerato come un attacco alla Federazione Russa». Putin finirà nella mischia? Nel caso, è meglio non dimentare la posta in gioco: Mosca, per Obama, è solo l’antipasto. Poi viene Pechino.«Le provocazioni degli Stati Uniti in Ucraina non possono essere comprese se si prescinde dal “Pivot Asiatico”», ovvero il grande piano strategico concepito da Washington «porre sotto controllo la crescita cinese, in modo da renderla compatibile con le ambizioni egemoniche degli Stati Uniti». I “cacciatori di draghi”, sostiene Mike Whitney, sono per una strategia di contenimento, mentre i “panda huggers”, cioè gli occidentali filo-Pechino, vorrebbero un “fidanzamento”. Non si sa chi riuscirà a prevalere, ma è chiaro fin d’ora che «dipenderà in modo pesante dalla forza militare», considerando anche le ostilità in atto nel Mar Cinese Meridionale e nelle isole Senkaku, contese al Giappone. Cos’ha a che fare il controllo della Cina con il polverone alzato in Ucraina? Facile: Washington teme la Russia come formidabile fornitore di energia, lungo l’asse eurasiatico. Ecco perché «ha deciso di utilizzare l’Ucraina come banco di prova per un attacco contro la Russia: una Russia forte ed economicamente integrata con l’Europa è una minaccia per l’egemonia degli Stati Uniti».
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Terza Guerra Mondiale: ci stanno abituando all’idea
Barack Obama e gli strateghi alla Dottor Stranamore: il genio profetico del film di Stanley Kubrick, che negli anni ‘60 «ha rappresentato con precisione la follia e i pericoli della guerra fredda» mettendo in scena «personaggi basati su persone reali e maniaci veri», oggi illumina la drammatica attualità mondiale, con gli Usa che minacciano le frontiere russe tradendo la solenne promessa fatta nel 1990 a Gorbaciov – la Nato non avanzerà di un pollice verso est – e si preparano ad assediare la Cina. In un arco che si estende dall’Australia al Giappone, Pechino dovrà affrontare i missili e bombardieri nucleari Usa. Una base navale strategica è in costruzione sull’isola coreana di Jeju a meno di 400 chilometri dalla metropoli cinese di Shanghai, il cuore industriale dell’unico paese il cui potere economico sta per superare quello degli Stati Uniti. Il “Pivot” di Obama, sostiene John Pilger, è stato progettato per minare l’influenza della Cina nella regione: «È come se fosse cominciata un’altra guerra mondiale, ma con altri mezzi».L’obiettivo dell’ultima missione asiatica di Obama, scrive Pilger in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è quello di convincere i suoi “alleati” nella regione, principalmente il Giappone, a riarmarsi e a prepararsi per una eventuale possibilità di guerra con la Cina. «Entro il 2020, quasi i due terzi di tutte le forze navali statunitensi in tutto il mondo saranno trasferite nella zona Asia-Pacifico. Dopo la seconda guerra mondiale, questa è la più grande concentrazione militare in quella vasta regione». Non è una fantasia da Stranamore: il segretario alla difesa di Obama, Charles “Chuck” Hagel, è stato a Pechino per consegnare un avvertimento minaccioso: la Cina, come la Russia, potrebbero trovarsi isolate e in pericolo di guerra se non si piegheranno alle richieste degli Stati Uniti. Hagel paragona l’annessione russa della Crimea con la ben più complessa disputa territoriale che ha in atto la Cina con il Giappone sulle isolette disabitate nel Mar Cinese Orientale, da tempo contese.La situazione è sempre più pericolosa, avverte Pilger, considerata la capacità di menzogna della Casa Bianca e dei media mainstream: se negli anni ‘60 finsero di sopravvalutare la potenza missilistica dell’Urss per creare il “terrore rosso”, oggi lo stesso scenario si ripete nei confronti di Russia e Cina. E’ un copione, quello della “false flag”, che è stato adottato in modo sistematico negli ultimi 13 anni: il ruolo-fantasma di Bin Laden nell’11 Settembre, le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam, le stragi di Gheddafi e quelle di Assad. Lo scorso febbraio, continua Pilger, gli Usa hanno messo a punto uno dei loro favolosi “colpi per procura” contro il governo dell’Ucraina, regolarmente eletto. «Le truppe d’assalto, però, stavolta erano fasciste. Per la prima volta dal 1945 un partito nazista, apertamente antisemita, ha preso il controllo delle aree-chiave del potere statale in una capitale europea. E non c’è stato un solo leader dell’Europa occidentale che abbia condannato questa rinascita del fascismo sui confini della Russia».Morirono trenta milioni di russi, ricorda Pilger, quando i nazisti di Hitler invasero il loro paese, appoggiati dall’esercito collaborazionuista ucraino, l’Upa, che si rese responsabile di tanti massacri di ebrei e polacchi. L’Upa era il braccio armato che ispira oggi il partito Svoboda, insediato al potere a Kiev dai miliziani addestrati dalla Nato. «Dal putsch di Washington a Kiev – e la risposta inevitabile di Mosca nella Crimea russa, per proteggere la sua Flotta del Mar Nero – la provocazione e l’isolamento della Russia hanno sostituito nelle notizie la “minaccia russa” del 1964. Un piano d’azione per l’adesione alla Nato, «orchestrato direttamente dalla stanza della guerra di Stranamore», è il regalo americano «alla nuova dittatura in Ucraina». Un “Attacco a Tridente” porterà le truppe Usa sul confine russo dell’Ucraina e una “Brezza di Mare” metterà navi da guerra americane in vista dei porti russi. «Allo stesso tempo, i giochi di guerra della Nato in tutta l’Europa orientale serviranno a intimidire la Russia: non è difficile immaginare quale sarebbe stata la reazione se questa follia fosse avvenuta a ruoli invertiti». Ed è solo l’inizio. La minaccia si sta già estendendo alla Cina. La miccia è pronta: le isolette contese dal Giappone.Barack Obama e gli strateghi alla Dottor Stranamore: il genio profetico del film di Stanley Kubrick, che negli anni ‘60 «ha rappresentato con precisione la follia e i pericoli della guerra fredda» mettendo in scena «personaggi basati su persone reali e maniaci veri», oggi illumina la drammatica attualità mondiale, con gli Usa che minacciano le frontiere russe tradendo la solenne promessa fatta nel 1990 a Gorbaciov – la Nato non avanzerà di un pollice verso est – e si preparano ad assediare la Cina. In un arco che si estende dall’Australia al Giappone, Pechino dovrà affrontare i missili e bombardieri nucleari Usa. Una base navale strategica è in costruzione sull’isola coreana di Jeju a meno di 400 chilometri dalla metropoli cinese di Shanghai, il cuore industriale dell’unico paese il cui potere economico sta per superare quello degli Stati Uniti. Il “Pivot” di Obama, sostiene John Pilger, è stato progettato per minare l’influenza della Cina nella regione: «È come se fosse cominciata un’altra guerra mondiale, ma con altri mezzi».