Archivio del Tag ‘cittadini’
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Mai successo prima: Bot a zero (in attesa del grande botto)
La notizia è da prima pagina. Ma siccome nessuno sa bene come trattarla quasi tutti spingono il tasto “ottimismo” e fanno finta di non vedere l’altra faccia della medaglia. Partiamo dunque dalla notizia semplice semplice: ieri il ministero del Tesoro (ora accorpato a quello dell’Economia) ha collocato Bot a scadenza di sei mesi a un tasso di interesse pari a zero. In pratica, il Tesoro chiede un prestito sui mercati e tra sei mesi non pagherà nulla come “retribuzione del capitale”, limitandosi a restituire la cifra ricevuta. L’Italia non è l’unico paese europeo a godere di questa eccezionale situazione finanziaria. Tutti i paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia, ecc), più paesi fuori dell’euro come Svizzera, Svezia e Danimarca, sono da qualche mese in una situazione ancora migliore perché possono addirittra restituire meno di quel che hanno ricevuto in prestito, visto che pagano interessi sia pur infinitesimamente negativi: -0,2%. Se si spinge il tasto “evviva” il quadro è splendido: un paese in queste condizioni può rifinanziare il proprio debito gratis, o addirittura guadagnandoci, togliendo così un peso enorme dai conti pubblici (chiamato “servizio del debito”, ossia interessi).Anche la spiegazione tecnica resta semplice: tutto merito della Bce, che da due mesi ha messo in moto il quantitative easing, cominciando ad acquistare sui mercati titoli di Stato dei paesi europei (ma non della Grecia, che invece non può rifinanziarsi perché altrimenti dovrebbe pagare interessi al di sopra del 20%). La domanda che apre la porta sul “lato oscuro” è altrettanto semplice: perché un investitore (una banca, un fondo di investimento, o persino un normale cittadino con qualche risparmio da parte) accetta di prestare i propri soldi sapendo in anticipo che non ci guadagnerà nulla o addirittura ci rimetterà qualcosina? Qui il lettore ci deve perdonare, ma siamo obbligati – come tutti quelli che cercano la risposta a questa domanda – ad addentrarci nei “massimi sistemi”. Non lo facciamo per motivi ideologici o passione teorica, ma per le identiche ragioni addotte da uno degli editorialisti di punta de “Il Sole 24 Ore”, Alessadro Plateroti: «Per gli economisti della scuola classica, il fenomeno è scioccante: non solo è definitivamente tramontato il cosiddetto “Lzb”, o Level Zero Boundary, il livello di supporto dei tassi che si pensava non sarebbe mai stato raggiunto e infranto, ma si è entrati in un territorio finanziario inesplorato, pieno di bolle finanziarie, insidie sistemiche e incognite macroeconomiche».«“Nella storia d’Europa – ha commentato Ambrose Evans Pritchard, noto commentatore economico inglese – dobbiamo tornare al Quattordicesimo secolo, quando il depauperamento delle miniere d’argento provocò una lenta contrazione monetaria, seguita dal default di Edoardo III sul debito contratto con le banche italiane e dall’epidemia della Morte Nera, innescando un devastante processo deflazionistico”. Frasi da apocalisse, certamente esagerate nei toni e negli obiettivi, ma anche suggestive e soprattutto indicative della confusione che regna sui mercati, dei timori sui rischi generati dalle “bolle” (ecco l’analogia con la peste in Europa…) e soprattutto della difficoltà di prevedere gli effetti collaterali della manovra della Bce». Il “livello zero” di rendimento del denaro, in regime capitalistico, è un limite concettuale, una sorta di assioma che non necessita di dimostrazione, anzi serve ad argomentare le dimostrazioni. E le esibizioni di “competenza professionale” di pupazzi come il capo dell’Eurogruppo, Dijsselbloem. Chiunque presti soldi si attende un guadagno da questo impiego, no? Siamo nel capitalismo e dunque può funzionare solo così… O no?Cosa significa? Che nessuno ha studiato cosa possa avvenire quando questo evento impossibile si verifica. Non è avvenuto sul piano teorico (perché era impossibile), tantomeno su quello empirico (non era mai avvenuto, se non nel Trecento, ma era il Medioevo, mica la modernità capitalistica…). Lo stesso sconcerto provato da Plateroti è stato descritto dal più autorevole Martin Wolf, nientepopodimeno che sulla bibbia del liberismo anglosassone, il “Financial Times”, con un titolo che molti avrebbero definito catastrofista se scelto da un marxista: “Ecco perché l’economia globale non brillerà più”. Senza se e senza ma. Renzi e Padoan non lo hanno letto, altrimenti non ciancerebbero di “ripresa in atto” («ma solo dello zero virgola»). Wolf, in particolare, indica come «stranezza incomprensibile» – oltre ai tassi di interesse sottozero – anche il fatto che la produzione reale sia mantenuta al suo livello potenziale solo al prezzo di un indebitamento finanziario crescente. Più precisamente: «La produzione è finanziariamente sostenibile quando i modelli di spesa e la distribuzione del reddito sono tali che il frutto dell’attività economica può essere assorbito senza creare pericolosi squilibri nel sistema finanziario. È insostenibile quando per generare abbastanza domanda da assorbire la produzione dell’economia si deve ricorrere una dose eccessiva di indebitamento, o quando i tassi di interesse reali sono molto al di sotto dello zero, oppure entrambe le cose».Possiamo anche dire che il mercato non riesce più ad allocare in modo ottimale risorse. Ovvero un altro assioma del liberismo teorico (ideologico?) che salta come un birillo davanti a una realtà impossibile. La finanza lavora per conto proprio, indipendentemente dall’andamento dell’economia reale, da molti decenni. Certamente dalla fine degli anni ‘90, quando Bill Clinton abolì il Glass-Streagall Act, ossia il divieto di cumulare nella stessa banca le normali attività di raccolta dei risparmi/prestiti a famiglie e imprese con quelle tipicamente speculative della “banca d’affari”. Era una legge degli anni ‘30, immaginata per limitare ed evitare il ripetersi del grande crack del 1929. Ma ora la realtà della produzione – ferma, non a caso – riprende il volatile per le zampe e lo tira giù. Il capitalismo non funziona più. I fenomeni considerati impossibii avvengono sotto i nostri occhi. I “professionisti” dell’accumulazione sono costretti ad accontentarsi di non guadagnare nulla o di rimetterci solo poco. Per quanto può durare? Non lo sa nessuno, perché si è entrati in un territorio finanziario inesplorato, pieno di bolle finanziarie, insidie sistemiche e incognite macroeconomiche. Allacciate le cinture…(Claudio Conti, “Bot a zero, in attesa del grande botto”, da “Contropiano” del 29 aprile 2015).La notizia è da prima pagina. Ma siccome nessuno sa bene come trattarla quasi tutti spingono il tasto “ottimismo” e fanno finta di non vedere l’altra faccia della medaglia. Partiamo dunque dalla notizia semplice semplice: ieri il ministero del Tesoro (ora accorpato a quello dell’Economia) ha collocato Bot a scadenza di sei mesi a un tasso di interesse pari a zero. In pratica, il Tesoro chiede un prestito sui mercati e tra sei mesi non pagherà nulla come “retribuzione del capitale”, limitandosi a restituire la cifra ricevuta. L’Italia non è l’unico paese europeo a godere di questa eccezionale situazione finanziaria. Tutti i paesi del Nord Europa (Germania, Olanda, Finlandia, ecc), più paesi fuori dell’euro come Svizzera, Svezia e Danimarca, sono da qualche mese in una situazione ancora migliore perché possono addirittra restituire meno di quel che hanno ricevuto in prestito, visto che pagano interessi sia pur infinitesimamente negativi: -0,2%. Se si spinge il tasto “evviva” il quadro è splendido: un paese in queste condizioni può rifinanziare il proprio debito gratis, o addirittura guadagnandoci, togliendo così un peso enorme dai conti pubblici (chiamato “servizio del debito”, ossia interessi).
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Caccia al nero, polizia killer: prove generali per Usa 2016
Stava durando a lungo, il silenzio dei media nostrani dagli Usa, che di solito riportano ogni piccolo soffio dal loro baricentro americano. Eppure hanno bucato per giorni una notizia di gran peso: un’importante città statunitense, Baltimora, vive ore di tensione drammatica dopo l’ennesimo episodio di violenza poliziesca, l’assassinio di Freddy Gray, un 25enne troppo poco bianco per gli standard della polizia d’oltreoceano. I nostri media, che cercano brutalità poliziesche solo ad Est, provano a non accorgersi di quel che accade a Ovest, né mettono in primo piano le esplosioni di rabbia che una folla inferocita di baltimoriani sta rivolgendo a ogni livello di autorità in risposta all’ennesima goccia di sangue che fa traboccare il vaso afroamericano. “La Repubblica” on line, per esempio, ha ammortizzato la notizia puntando tutto sul buffo video che mostra un’energica Big Mama prendere a ceffoni il figlio adolescente che partecipa alla sedizione. Il risultato è che il lettore sa poco della sedizione e si immerge nella melassa della “nuova icona social della rivolta”, senza nemmeno accedere allo hashtag autenticamente social del momento, #BaltimoreRiots.A volerle vedere, c’erano ben altre potenti icone. Come ci fa notare il blogger Zeroconsensus, i manifestanti si sono impadroniti perfino del municipio cittadino, ammainando la bandiera americana con i suoi tipici colori blu e rosso per issarne una dove i colori sono sostituiti dal nero. Provo a immaginare una scena simile in una metropoli russa, e immagino quale sarebbe stata la copertura dei nostri media. Secondo una recente statistica, oltre tremila persone sono state uccise dalla polizia statunitense a partire da maggio 2013, con una tendenza all’aumento degli episodi, punta dell’iceberg di un sistema vessatorio diffuso. Per rendersi conto di quanto questo sistema sia abnorme, si consideri che in Regno Unito nel 2013 la polizia non ha ucciso nessuno in un conflitto a fuoco, nel 2012 solo un individuo. “The Economist” calcola grosso modo che un cittadino britannico ha cento volte meno probabilità di un cittadino americano di essere ammazzato da un poliziotto. I dati europei non si discostano di molto. Questo tremendo calcolo di probabilità in Usa ha un’ulteriore distorsione: gli afroamericani sono poco meno del 13 per cento della popolazione, ma sono il 37 per cento delle vittime di uccisioni “legalmente giustificate”.Finisce qui? Macché. Frida Ghitis, in un editoriale sul sito della “Cnn”, spiega che il concetto di uccisioni “legalmente giustificate” contiene un’enorme rimozione, per la quale nessuna agenzia federale vuole fare uno straccio di statistica, ossia: quante sono le uccisioni che non sono legalmente giustificate? L’Fbi compila soltanto le statistiche che le inviano volontariamente appena 750 su 17.000 agenzie incaricate di far rispettare la legge. E le altre 16.250 agenzie che volontariamente non inviano nulla? Gli studiosi di criminologia analizzano in dettaglio queste discrepanze, sollevando di qualche migliaio il già spaventoso numero dei morti. In pratica, anche il “Washington Post” ha descritto una nuova strana forma di segreto di Stato: il non voler sapere. Che poi significa il non voler far sapere un ritratto spiacevole del potere in America. Ecco perché nelle dure manifestazioni di piazza sono tanti i giovani afroamericani che tengono un cartello: “Am I The Next?” (sono io il prossimo?).A Baltimora non bastano più nemmeno gli agenti in tenuta antisommossa. Bande numerose – composte sia da adolescenti sia da rivoltosi adulti – lanciano ogni tipo di oggetto anche sulla nuova generazione di agenti vestiti come Robocop, mentre rifiutano ogni tardiva offerta di dialogo. La polizia fa largo uso di lacrimogeni e proiettili di gomma, con centinaia di arresti e coprifuoco notturno (per i minorenni addirittura anche diurno), intanto che i grossi ipermercati e anche la University of Maryland serrano i loro cancelli. Eppure, non parliamo certo di una città degradata come Detroit, né di un ghetto di New Orleans, ma di una metropoli fra le più prospere degli Usa. Il biotech e l’elettronica militare a Baltimora hanno a disposizione catene brevettuali e centri di ricerca che assicurano lavoro e investimenti di qualità, all’avanguardia nel mondo. Cosa dimostra questo fatto? Dimostra che il caos può accadere ovunque negli Stati Uniti, data la postura della polizia americana, ovunque la stessa, ovunque con il grilletto facile, tanto nelle città scoppiate quanto nelle città in boom.Anche le autorità si sono accorte che la tenuta dell’ordine pubblico non regge alle condizioni attuali. Né tanto meno reggerebbe di fronte a un peggioramento dell’economia, ormai nell’ordine delle cose nonostante la vuota retorica sulla ripresa Usa. In risposta, però, il potere non sceglie “più democrazia”, ma “più tecnologia”, più Swat, più Robocop. Cioè una polizia più arcigna, invadente, militarizzata, meno capace di intelligence sociale, e perciò più pericolosa. Durante l’esercitazione militare denominata Jade Helm 15 – a partire da metà luglio fino a metà settembre 2015 – agenti militari si mescoleranno alla popolazione civile e potranno identificare eventuali “sacche ostili”. Come riassume “L’Antidiplomatico”, la cosa non è rassicurante: «Nonostante le smentite ufficiali dell’esercito che esclude l’introduzione della legge marziale negli Usa, esistono dei manuali operativi in proposito e uno è stato pubblicato nel 2006, utilizzato per un corso presso la scuola di polizia militare a Fort McClellan che fornisce le direttive per contrastare eventuali insurrezioni civili». Intanto a Baltimora sono stati inviati migliaia di soldati della Guardia Nazionale, preceduti da un’avanguardia di decine di automezzi Humvees blindati.Nei due anni finali del mandato del primo presidente nero, Barack Obama, la questione afroamericana ha tutta l’aria di dover pesare costantemente nella nuova campagna elettorale, ormai iniziata. Il clima tuttavia non è quello di una nuova stagione dei diritti civili, né a Baltimora né altrove negli Usa. Il sistema washingtoniano sembra pronto a usare questo clima incandescente per assecondare ogni nuovo salto verso l’aumento dei mezzi di sorveglianza-controllo-repressione, in coerenza con tutta la linea politica usata a partire dai mega-attentati dell’11 settembre 2001. Lo Usa Patriot Act, le nuove leggi liberticide, e poi il sistema totalitario di sorveglianza rivelato dallo scandalo Datagate erano appena i primi assaggi di una nuova strategia della tensione.(Pino Cabras, “Caos razziale a Baltimora, prove generali per Usa 2016”, da “Megachip” del 29 aprile 2015).Stava durando a lungo, il silenzio dei media nostrani dagli Usa, che di solito riportano ogni piccolo soffio dal loro baricentro americano. Eppure hanno bucato per giorni una notizia di gran peso: un’importante città statunitense, Baltimora, vive ore di tensione drammatica dopo l’ennesimo episodio di violenza poliziesca, l’assassinio di Freddy Gray, un 25enne troppo poco bianco per gli standard della polizia d’oltreoceano. I nostri media, che cercano brutalità poliziesche solo ad Est, provano a non accorgersi di quel che accade a Ovest, né mettono in primo piano le esplosioni di rabbia che una folla inferocita di baltimoriani sta rivolgendo a ogni livello di autorità in risposta all’ennesima goccia di sangue che fa traboccare il vaso afroamericano. “La Repubblica” on line, per esempio, ha ammortizzato la notizia puntando tutto sul buffo video che mostra un’energica Big Mama prendere a ceffoni il figlio adolescente che partecipa alla sedizione. Il risultato è che il lettore sa poco della sedizione e si immerge nella melassa della “nuova icona social della rivolta”, senza nemmeno accedere allo hashtag autenticamente social del momento, #BaltimoreRiots.
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Colpo di mano, Juncker autorizza gli Ogm anche in Europa
Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.Ovviamente sui giornaloni nazionali non troverete grandi titoli. Sopire, troncare. Fonti riportate dal “Figaro” spiegano che il presidente Juncker era «ossessionato dalla quantità di richieste di autorizzazione di Ogm bloccate» (dagli Stati membri, ndr). Bravo Juncker, è noto che i cittadini europei si torturano ogni giorno sul problema degli Ogm bloccati. Ue batte Natura 2 a 0. Andiamo a vedere la lista degli Ogm autorizzati da Juncker: sui 19 approvati, 17 sono per l’alimentazione umana e animale e 2 riguardano specie di garofani. Ben 11 sono brevetti dell’americana Monsanto (soia, mais, colza e cotone), gli altri 8 sono prodotti della statunitense Dupont e dei gruppi tedeschi Bayer e Basf. Tutto indica un’attenzione speciale delle istituzioni europee per gli interessi delle multinazionali a danno della biodiversità e della libera scelta. Ricordiamo infatti che sementi non incluse in una lista della Ue sono vietate. Lista i cui criteri privilegiano le sementi industriali ed escludono varietà antiche e tradizionali.A riprova, associazioni senza fini di lucro che come Kokopelli promuovevano la biodiversità sono state punite con multe astronomiche e la cessazione dell’attività per aver diffuso semenze tradizionali secondo una sentenza della Corte Europea del 2012. Una sentenza che rovesciava la posizione dell’Avvocatura Generale della stessa Corte Europea, la quale stimava che «il divieto di commercializzazione di sementi (…) è non valido in quanto viola i principi di proporzionalità e di libera impresa secondo l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la libera circolazione delle merci secondo l’articolo 34 Tfue così come il principio di uguaglianza di trattamento secondo l’articolo 20 della detta carta». Dunque la Corte ribalta il parere dell’Avvocatura e vieta le sementi tradizionali. Il terreno è pronto per la mossa successiva. E qui interviene Juncker, che motu proprio autorizza gli Ogm su tutto il territorio europeo.Per salvare le apparenze i singoli Stati potrebbero in teoria vietare gli Ogm sul proprio territorio – ma solo se accettano la riforma proposta tre giorni fa (guarda caso) dalla stessa Commissione Juncker, che rende più facile l’importazione di Ogm in Europa e allo stesso tempo permette ai singoli Stati di vietarle. Divieti che però devono essere motivati in base a pericolo per salute e ambiente (rovesciando l’onere della prova sugli Stati!), sono sempre impugnabili (cfr. Tttip e le prerogative del suo Regulatory Council) e difficilmente applicabili in pratica, vista la libera circolazione delle merci e le ambiguità europee sull’etichettatura degli alimenti. Nulla impedirebbe di trovarci in tavola carne di maiale nutrito con soia transgenica in Germania o Polonia. Poiché le multinazionali hanno tempi lunghi e costi elevati per dimostrare che gli Ogm sono innocui (quando ci riescono), saranno gli Stati a dover dimostrare che sono nocivi, in barba al principio di cautela che dovrebbe regolare le questioni attinenti la salute e l’ambiente. In sintesi, la nostra stessa sovranità alimentare è messa in pericolo dalla Ue.Ma vediamo cosa pensano i cittadini europei degli Ogm. L’Eurobarometer n. 341 del 2010 (stranamente Eurobarometer non ha condotto nessun sondaggio sugli Ogm dopo il 2010) vede una schiacciante maggioranza di cittadini europei CONTRARIA agli alimenti geneticamente modificati. A pagina 18: «Un’elevata percentuale, 70%, ritiene che il cibo Gm (geneticamente modificati) sia innaturale. Il 61% degli europei conviene che i cibi Gm li mettono a disagio. Inoltre, il 61% degli europei è contrario allo sviluppo di alimenti Gm, il 59% non è d’accordo che i cibi Gm siano sicuri per la salute loro e della loro famiglia, e il 58% non è nemmeno d’accordo che gli alimenti Gm siano sicuri per le generazioni future». Come al solito, quindi: le istituzioni europee capitanate dall’ineffabile Juncker si fanno un baffo dell’opinione dei cittadini; la Commissione si dimostra sempre molto attenta agli interessi delle lobby di grandi industrie e banche; la Commissione può agire in maniera autoritaria e antidemocratica, se occorre; l’informazione “ufficiale” oscura queste gravi vicende; il nostro governo è totalmente supino ai diktat europei, se non promotore attivo delle strategie delle lobby (Renzi: «Il Ttip ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano»). Morale: dopo la sovranità monetaria l’Ue ci farà perdere la sovranità alimentare.(Ulrich Anders, “Colpaccio di Juncker: fine della sovranità alimentare, Ogm per tutti”, da “Scenari economici” del 25 aprile 2015).Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.
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Carpeoro: pensiero magico, così il potere ci tiene prigionieri
La manipolazione è una diretta conseguenza del potere: non c’è potere senza manipolazione. Ognuno fa quello che vogliono altri, perché è manipolato. L’errore che molti di noi commettono è quello di soffermarsi sulla manipolazione di cui ci accorgiamo, senza capire come nasce il potere. Se non si capisce come funziona il potere, non si può decodificare la manipolazione, che del potere è figlia. Nel libro “Dominio”, Francesco Saba Sardi spiega che il potere nasce quando l’uomo abbandona il nomadismo. L’uomo che non ha bisogno di conquistare, gestire, governare, coltivare e sfruttare la terra non ha neanche bisogno del potere. Quel bisogno nasce quando qualcuno diventa propritario di un territorio. E quel territorio lo governa, lo gestisce, lo difende, lo sfrutta economicamente. E come nasce, il potere? Per un passaggio obbligato: la guerra. Devo fare una guerra per conquistare un territorio, per difenderlo, per conservarlo. Prendermi la terra significa che devo fare la guerra. Per poi coltivarla e sfruttarla, questa terra, che diventa sempre più grande (non posso coltivarmela la solo), devo avere dei servi. E per avere dei servi devo aveve una religione. Alla fine, tutto questo, secondo Saba Sardi, si chiama “dominio”.Il dominio è il rapporto tra la terra, la guerra e la religione: alla fine, configurano il potere. E’ chiaro che, per sfruttare gli altri, li devo manipolare: perché mai una persona non manipolata dovrebbe farsi sfruttare da me? Questo meccanismo si chiama pensiero magico. Nel momento in cui io sono uno che conosce, io sono un “magister”. La radice “Mg”, in sanscrito, significa “conoscere”. Nel momento io cui io conosco, per espandere il mio essere e accrescere la mia consapevolezza, io sono un “magister”; nel momento in cui utilizzo questa mia conoscenza non per l’essere ma per il potere, e quindi per cambiare il comportamento degli altri, allora io sono “magus”. Si passa dal “magister” al “magus”: il “magus” è l’elemento che caratterizza il potere, e quindi è l’elemento che manipola. E’ il “magus”, il pensiero magico, la fonte della manipolazione. Il pensiero magico stabilisce un’area all’interno della quale non valgono le regole vere, quelle dell’universo; valgono le regole del “magus”, e quel territorio si chiama “cerchio magico”. Il mago faceva un gesto, tracciava un cerchio, e all’interno di quel cerchio non valevano più le regole del mondo, valevano le regole per cui aveva ragione lui, essendo lui lo strumento del potere – che poteva essere sacerdotale, regale o di qualunque altra natura.Noi siamo talmente contaminati e impressi di pensiero magico che ne viviamo fin dalla prima infanzia. Non diciamo a nostro figlio “non fare questa cosa perché è sbagliata”, gli diciamo “non farla perché viene l’Uomo Nero”. Quello è pensiero magico, perché stabiliamo una regola diversa da quella della natura: nella natura non esiste, l’Uomo Nero. Sembra una cosa piccola, ma poi ci segna. Tutti quanti scegliamo le vie magiche: il Superenalotto che ci cambia la vita, la grande vincita, la fortuna, la sfortuna. Tutti quanti preferiamo disegnare itinerari che ci mettono in condizione di essere all’interno di cerchi magici, dove poi siamo manipolati: chi pone le regole di quel cerchio ci fa fare quello che vuole lui, senza che neanche ce ne accorgiamo. Il tonno Rio Mare, “così tenero che si taglia con un grissino”, ha dietro un’operazione magica: trasformare un difetto in una qualità. E’ magia. Un tonno non può essere tenero; se è tenero, è perché lo fanno con le frattaglie pressate. Ma è “così tenero che si taglia con un grissino”, e voi infatti lo comprate. Sono le manipolazioni della pubblicità, e sono operazioni magiche: io vi costringo ad accettare non le regole della natura, che imporrebbero di capire cos’è un tonno, ma le mie regole.Quando una certa ditta ha voluto vendere un famoso biscotto, ha detto: sono biscotti che potete comprare perché non c’è l’acido tartarico. Nessuno vi spiega che in nessun biscotto c’è l’acido tartarico. Perché dovrebbe essere una qualità? Avete mai visto vostra nonna che fa i biscotti con l’acido tartarico? Eppure, passa per una qualità. L’operazione magica non è fondata su una realtà; è fondata sulla manipolazione del soggetto passivo, che vede come realtà una cosa che realtà non è. Tecnicamente si chiama: stabilire un dogma. Significa farvi vedere le cose in modo diverso, anche rispetto alla loro effettiva connotazione. Quando la Chiesa disegna l’Immacolata Concezione – la Madonna, vergine nonostante abbia concepito – fa un’operazione magica, perché non vi porta in realtà sul vero problema. Da un punto di vista medico, sappiamo che per una donna è possibile concepire rimanendo vergine; la cosa veramente difficile è rimanere vergini dopo avere partorito. Ma non c’è l’Immacolato Parto. Neanche la Chiesa arriva a mettersi in contrapposizione con regole assolute, per cui rimane il mistero: la Madonna è rimasta vergine anche dopo aver partorito? Questo, tra i dogmi della Chiesa non c’è.Il dogma non è credere in qualcosa, è non poter discutere di qualcosa, e non accettare che ne discutano nemmeno gli altri. Nel momento in cui le Chiese sono diventate potere, hanno imposto un meccanismo dogmatico anche a chi non lo voleva. C’è gente che è finita sul rogo, per questo. In Europa, sono morte bruciate 600.000 streghe in trecento anni. Quando l’uomo possiede una fede, trattasi di religione; quando una fede possiede l’uomo, trattasi di setta. Una persona che ha una fede è libera, una persona che ha un dogma no, non è libera. Non è la religione a operare la manipolazione, ma la struttura. Non c’è scritto da nessuna parte che una Chiesa debba essere una struttura, che debba avere un tesoro, degli amministratori, dei beni, debba essere uno Stato, debba avere le Guardie Svizzere. Maometto aveva vietato all’Islam di diventare una Chiesa, aveva vietato di avere gli Imam. Gesù Cristo da nessuna parte ha detto che doveva nascere una Chiesa strutturata. Le strutture, se nascono, nascono per il potere, non per la fede. Alla fede non servono le strutture. Le cose buone le fanno gli fanno gli uomini, gli esseri umani, non le strutture. Le strutture – si chiamino massoneria, Chiesa, Stato – possono fare solo cose negative.Sono le strutture a manipolare, e voi trovate mille manipolazioni di questo tipo. Il Credo è una preghiera che nasce da un’operazione politica. Concilio di Nicea, 300 e rotti dopo Cristo, grande scontro tra eresia ariana e versione ortodossa: l’eresia ariana diceva che Gesù Cristo era un uomo, la Chiesa regolare diceva che Cristo era figlio di Dio, quindi era Dio. Siccome i due vescovi che dovevano mettere a posto questo complicato problema erano compagni di merende – si chiamavano Eusebio di Nicomedia e Eusebio di Cesarea – fanno un compromesso: voi oggi recitate una preghiera che è frutto di un compromesso. “Credo in Gesù Cristo, generato, non creato”. Gli uomini generano, Dio crea. Quindi, uomo: generato, non creato. E poi aggiungono: “Della stessa sostanza del padre”, ma non specificano il padre. Cioè fanno un’operazione in base alla quale ognuno può scegliere l’interpretazione più favorevole a sé. Nessuno ve la spiega così, quella preghiera. Ve la fanno dire automaticamente, perché il dogma è importante. Come l’Auditel, che in realtà è fondato su una convenzione.Ci sono 150 persone, in tutta Italia, che hanno una macchinetta che rivela i programmi che vedono. Il primo problema è statistico: uno mangia quattro polli, un altro non ne mangia nessuno, quindi ne mangiano due a testa. Così funziona la statistica. E poi: com’è gestita, questa cosa? Chi dovrebbe essere controllato in realtà controlla se stesso. Perché, chi sono i soci dell’Auditel? Le concessionarie. E’ come per le banche. Chi le controlla? I banchieri. In Italia chi controlla i magistrati? Altri magistrati. Da noi funziona tutto così. Il controllore dovrebbe essere avulso da ciò che deve controllare: in Italia, invece, il contollore controlla se stesso – per regola. Mentana, che sa benissimo cos’è l’Auditel, non fa nulla per l’Auditel, perché sa che molte cose sono concordate a monte. E sa anche di avere una professionalità, una simpatia, un appeal che gli consentono di evitare che gli vengano attribuite brutte figure. Il problema è: stabilire a quale cerchio magico risponde qualunque tipo di operazione. Perché nella nostra società non esiste nessuna operazione – di informazione, di finanza, di politica – che non risponda a un pensiero magico.Al pensiero magico si contrappone il pensiero simbolico, quello che ti spinge a chiederti “perché”. Il pensiero magico, che è funzionale a una società consumistica, ti spinge a chiederti solo “come”, non perché. Il perché è superato, non te lo devi chiedere. Tutti devono solo chiedersi come. Nessuno si deve chiedere perché comprare qualcosa, ma solo come comprarlo, come sbattersi per mettere insieme i soldi per comprare il modello nuovo sei mesi dopo, e così via. Nei meccanismi di manipolazione, il primo obiettivo è impedire alla gente di chiedersi perché. La manipolazione avviene perché quel gradino ve lo fanno saltare. Voi vi chiedete solo come, non perché. Ed è fondamentale, nel pensiero magico: non ti devi chiedere perché diventare ricco, ma come diventarlo. Non ti devi chiedere perché una donna si dovrebbe innamorare di te: al mago, tu chiedi come una donna si possa innamorare di te. Quel perché lo dovresti chiedere a te stesso, non al mago.L’uomo diventerebbe libero, se non ci fosse il pensiero magico, perché farebbe le domande a se stesso. Col pensiero magico non è libero, perché è costretto a fare le domande al mago. Immaginando la magia, siamo ancora legati al tipo col cappello a cono e le stelline, ma la magia è sofisticata. Bin Laden è l’Uomo Nero. Noi disegnamo scenari in base ai quali, per interi decenni, pensiamo che tutto il problema sia legato a una persona. Ci hanno spiegato che il problema dell’Italia era Sindona, poi Sindona è sparito ma i problemi sono rimasti. Poi ci hanno detto che era Gelli, ma – via Gelli – i problemi son rimasti. Poi Craxi, idem. Ma perché? Perché noi siamo costretti a immaginare la logica dell’Uomo Nero, che applichiamo dall’inizio. E’ connaturata in noi, col modo in cui abbiamo costruito questa società, che è costruita sul pensiero magico.La nostra società è costruita sul mito secondo cui qualsiasi cittadino americano possa diventare presidente degli Stati Uniti. Ma anche fosse, perché un americano dovrebbe voler fare il presidente? Sarebbe felice? Sulla libertà, abbiamo costruito un dogma del piffero. La libertà non è poter fare tutto quello che vuoi. La libertà è sapere quello che veramente vuoi. Potete pensare una donna meno libera di una che voglia diventare madre? Sicuramente, dopo che fa dei figli, una donna può sembrare meno libera. Ma non è vero che sia meno libera, se l’ha scelto lei. In una democrazia si può essere meno liberi che in una monarchia. Il problema è a monte, ma non si risolve col dogma. Va risolto a livello individuale: sta nel chiedere il perché a stessi, e non il come al mago. Noi concepiamo una società dove calpestare i nostri diritti è normale, è fisiologico, perché siamo permeati di pensiero magico.Prima di combattere gli effetti, esaminiamo le cause. La manipolazione non nasce come un fungo in un prato, è il frutto di una costruzione di società: qualcuno decide che può stare meglio se gli altri stanno peggio. Ma nemmeno nel potere c’è libertà. La libertà è nell’essere, nella realizzazione di se stessi, nei modi e coi tempi di ciascuno.Abbiamo costruito una società del pensiero magico, basata sulla velocità: se una cosa la capisci dopo, sei ritardato. Ma siamo sicuri che capire subito sia un valore? Siamo certi che chi capisce dopo non capisca meglio? Il nostro concetto di tempo non è legato a cose che abbiamo deciso noi, sono altri che hanno deciso che dobbiamo fare in fretta. E questo, perché noi non dobbiamo avere tempo per pensare, per scegliere. Sono meccanismi assolutamente magici. La prima cosa che ci dev’essere sottratta è il tempo. La seconda è la linearità del desiderio. Nei supermercati, a mezzogiorno diffondono profumo di pane per stimolarci a comprare di più. Fa tutto parte del pensiero magico: stabilisco il cerchio, che è la mia area commerciale, decido che tu devi comprare più roba e quindi utilizzo il meccanismo di manipolazione, che è l’odore del pane. Dobbiamo conoscere, non esistono scorciatoie: può cose uno conosce, più è in grado di capire all’interno di quali cerchi magici si trova, come ne può uscire e come può evitare di entrarne in altri. Ma la conoscenza ha bisogno di tempo. E noi quanto tempo dedichiamo a conoscere?Internet può essere una fonte di conoscenza, ma richiede tempo (e ce ne sottrae) perché ormai è diventato talmente vasto da essere dispersivo. In più, Internet elimina la conoscenza casuale. Se da Napoli vai a Milano in auto, Bologna la vedi. Se ci vai in aereo, te la perdi. Voglio il passo del Paradiso dove si parla dell’aquila? Digito, e mi compare direttamente quel passo. Senza Internet, no: te la devi leggere, la Divina Commedia. E intanto che leggi, conosci. Non bisogna fare di niente un valore assoluto. Via i paraocchi: tutto, interpretato in chiave assoluta, ci preclude delle possibilità. Se Internet ci preclude la possibilità di leggere la Divina Commedia, allora non va bene. Ognuno di noi, tanti anni fa, teneva un diario, che conservava per anni. Avete mai provato a scoprire su Facebook cos’avete scritto un anno fa? In pratica, il sistema vi si blocca: pensate a cosa vi toglie, tutto questo. Poi, per conoscere, la seconda cosa che conta, oltre al tempo, qual è? La memoria. Senza memoria non si conosce nulla. Per conoscere, archiviamo dati che poi colleghiamo. Se non archiviamo, non possiamo collegare. Cosa ci ha tolto Facebook? La memoria. Senza accesso al passato, non posso rileggere i fatti oggi ed evitare di commettere gli stessi errori di ieri.Facebook è una delle conseguenze dell’11 Settembre. Doveva essere una mega-progetto della Cia per schedare tutti gli americani. Ma costava un sacco di soldi, perché bisognava raccogliere i dati. Al che, un cervello della Cia si è alzato e ha detto: “Ma perché i dati li dobbiamo raccogliere noi? Facciamoceli dare”. E hanno risparmiato non so quanti miliardi di dollari. Hanno trovato un nazistello, Zuckerberg, a cui hanno intestato la cosa e gli hanno detto “fai i quattrini”, e hanno schedato tutto il mondo. Perché spendere miliardi per quei dati? Meglio se faccio in modo che i dati vengano a me. E’ un pensiero magico, no? Il ricercatore è il “magister”, quello a cui piovono le cose nel piatto è il “magus”. Questa società deve vendere: è basata su una produzione posticcia, esigenze posticce, un mercato posticcio. Una società normale, agricola, rurale, non mangiava carne ogni giorno: McDonald’s sarebbe fallito. Ma anche i vegani sono schiavi del pensiero magico: disegnano quello che non si può fare (tutto il mondo che diventa vegano) anziché quello che si può fare (consumi gradualmente più responsabili).Chi pensa a soluzioni radicali esprime il pensiero magico: nessuna soluzione può essere radicale, in un cerchio diverso dal cerchio magico. Il radicalismo porta a rimanere dove si è. Se invece usciamo dal recinto, di giorno in giorno possiamo porci degli obbiettivi raggiungibili. Se di ogni cosa che facciamo ci chiediamo il perché, possiamo evitare di essere vittima di un cerchio magico. E’ successo anche alla massoneria, quando ha accettato di diventare un organismo unico e centralizzato. Un progetto di potere: pensiero magico. Non sono gli uomini che fanno progetti di potere. E’ il potere che fa progetti di uomini. Il potere è un meccanismo, non è identificabile con la persona. Nel momento in cui la società è vocata al potere, al pensiero magico, questa società – indipendentemente da Sindona, Gelli o Totò Riina – va avanti così. E’ lo schema, che si riproduce, non le persone. Puoi arrestare Provenzano, ma poi ti ritrovi Messina Denaro: la regola vale per la mafia, per la politica, per la religione, per tutte le aggregazioni umane. Ed è una società che può peggiorare. Ve l’immaginate, cent’anni fa, un camorrista che seppellisce scorie tossiche dove gioca il figlio?Nonostante la scelta di essere delinquente, un mafioso non avrebbe mai potuto seppellire scorie nucleari dove giocano i figli. Adesso invece è immaginabile. Perché le scelte di potere sono solo peggiorative, non sono mai un’evoluzione positiva. Il massone del ‘700 è comunque meglio del massone di adesso. Perché il potere peggiora, corrompe. Abbatte valori, limiti, paletti, confini. Questa riflessione, oggi, è l’unico atto rivoluzionario che possiamo fare. La vera rivoluzione che possiamo fare è minare il sistema consumistico dalle sue radici, e le sue radici sono il potere. Nella misura in cui riusciamo a sottrarci al potere – al potere che ci vuol far comprare, al potere che ci toglie il tempo e non ci fa pensare – noi facciamo un’operazione realmente rivoluzionaria, dove non c’è bisogno di spargere del sangue. C’è bisogno però di faticare noi, di fare un percorso di conoscenza e di consapevolezza – faticoso, lento. Ma dobbiamo entrare nell’ottica per la quale tutto deve essere fatto per noi stessi, non per la proiezione che questa società fa di noi stessi.La new age oggi vende la “regola dell’attrazione”, che spinge ancora una volta a mettersi al centro del mondo, ma nessuno di noi è il centro del mondo. E’ un’operazione magica, mettersi al centro del mondo – per questo il mago disegna il cerchio: lui è il centro del cerchio. Smettiamo di disegnare cerchi, e cominciamo a pensare che esiste un unico, grande cerchio di cui noi siamo parte. E cominciamo anche a immaginare che la legge vera non è quella dell’attrazione (per cui noi attraiamo o respingiamo le cose) ma è la legge della complementarietà, per cui noi combaciamo con tutto il resto. Vi siete mai guardati allo specchio? Vi mostra come vi vedono gli altri. E se non mettete assieme come vi vedete voi e come vi vedono gli altri, non vedrete mai come siete veramente. Solo portando nell’ambito della conoscenza tutto quello che non conoscete, potere avere la vera dimensione del vostro essere. Siamo tessere di un mosaico (meraviglioso, peraltro) che, se stanno nei loro limiti, ci entrano perfettamente, in quel buchetto. Ed entrando in quel buchetto concorrono a una grande bellezza.(Gianfranco Carpeoro, estratti dall’intervento al convegno “La manipolazione dell’informazione e delle coscienze” tenutosi il 20 dicembre 2014 a Ercolano, con relatori come Paolo Franceschetti e Massimo Mazzucco. Giornalista e saggista, già avvocato e pubblicitario, Carpeoro è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù; studioso di esoterismo, è un grande esperto di storia antica e linguaggio simbolico).La manipolazione è una diretta conseguenza del potere: non c’è potere senza manipolazione. Ognuno fa quello che vogliono altri, perché è manipolato. L’errore che molti di noi commettono è quello di soffermarsi sulla manipolazione di cui ci accorgiamo, senza capire come nasce il potere. Se non si capisce come funziona il potere, non si può decodificare la manipolazione, che del potere è figlia. Nel libro “Dominio”, Francesco Saba Sardi spiega che il potere nasce quando l’uomo abbandona il nomadismo. L’uomo che non ha bisogno di conquistare, gestire, governare, coltivare e sfruttare la terra non ha neanche bisogno del potere. Quel bisogno nasce quando qualcuno diventa propritario di un territorio. E quel territorio lo governa, lo gestisce, lo difende, lo sfrutta economicamente. E come nasce, il potere? Per un passaggio obbligato: la guerra. Devo fare una guerra per conquistare un territorio, per difenderlo, per conservarlo. Prendermi la terra significa che devo fare la guerra. Per poi coltivarla e sfruttarla, questa terra, che diventa sempre più grande (non posso coltivarmela la solo), devo avere dei servi. E per avere dei servi devo aveve una religione. Alla fine, tutto questo, secondo Saba Sardi, si chiama “dominio”.
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Troppi dipendenti pubblici? E’ una leggenda metropolitana
I dipendenti pubblici italiani? Sfaticati e inefficienti. Ma soprattutto: troppi. Quella dell’ipertrofia del pubblico impiego è una delle più tenaci leggende metropolitane sul sistema italiano. Resiste a ogni stagione politica, nonostante le evidenze che la smentiscono. Impietosi i dati forniti dall’Eurispes, che risalgono all’autunno 2014: insieme alla sola Germania, l’Italia è il paese europeo con il minor numero di dipendenti pubblici, in proporzione agli abitanti. Si calcola che bisognerebbe assumerne almeno 200.000, e subito, tra Comuni, scuole, ospedali. Ma i vari governi non sono mai di questo avviso: preferiscono tagliare, lasciando ovviamente inalterate le super-retribuzioni dei massimi dirigenti, cinghia di trasmissione dell’élite che da decenni continua a smantellare la struttura pubblica e la sua capacità di erogare servizi vitali per il cittadino. Ovvia, quindi, la scure di Renzi, che dietro al verbo “sburocratizzare” nasconde la volontà di colpire i lavoratori per tagliare ulteriormente il settore, già oggi tra i più “magri” d’Europa, con appena 58 impiegati ogni mille abitanti, contro i i 94 della Francia, i 92 del Regno Unito e i 65 della Spagna.Pura fantascienza, in Svezia, i 135 lavoratori pubblici ogni mille abitanti. Ci batte solo la “risparmiosa” Germania: il paese europeo che più di ogni altro ha compresso i salari e danneggiato i lavoratori annovera 54 dipendenti statali ogni mille cittadini, 4 meno dell’Italia. Secondo l’Eurispes, negli ultimi dieci anni il nostro paese ha visto diminuire i propri dipendenti pubblici del 4,7%, mentre tutti gli altri partner europei hanno assunto forza lavoro nel pubblico impiego: un incremento del 36,1% in Irlanda, del 29,6% in Spagna, del 12,8% in Belgio e del 9,5% nel Regno Unito. In Italia, gli stipendi del pubblico impiego pesano sul bilancio statale per l’equivalente dell’11,1% del Pil. Anche qui siamo il fanalino di coda: per i dipendenti pubblici la Danimarca spende il 19,2% del suo Pil, la Svezia e la Finlandia il 14,4% mentre Francia, Belgio e Spagna spendono, rispettivamente, il 13,4%, il 12,6% e l’11,9% del loro prodotto interno lordo. Altra bufala storica: la concentrazione del pubblico impiego al Sud: con 409.000 addetti, la Lombardia batte persino il Lazio, nonostante la selva di uffici della capitale. Segue la Campania, ma dopo Milano e Roma.Quanto alla vita quotidiana dietro agli sportelli, sono dolori: l’età media dei dipendenti pubblici è in costante crescita, per colpa del blocco del turnover e dell’aumento dell’età pensionabile. In Francia, circa il 30% dei lavoratori pubblici ha meno di 35 anni, nel Regno Unito gli “under 35” sono il 25% (uno su quattro) mentre in Italia solo il 10%. La percentuale di addetti sotto i 25 anni, inoltre, è pari all’1,3%: una miseria, rileva “Lettera 43”, nonché il segno che il rapporto fra le università e la pubblica amministrazione è tutt’altro che lineare. Roberto Perotti, economista della Bocconi, confronta i nostri stipendi pubblici con quelli del Regno Unito: «Le remunerazioni medie degli insegnanti sono più basse in Italia, sia in termini assoluti che in rapporto al Pil pro capite». Nel nostro paese lo stipendio di un docente delle scuole elementari, incluse le indennità e le spese accessorie, è di 24.849 euro contro i 37.400 (in media) degli inglesi. Idem per gli insegnanti delle superiori: 28.547 euro, contro i 41.930 euro dei britannici. In compenso, nei ministeri, un nostro capo di gabinetto guadagna 275.000 euro l’anno contro i 192.000 del collega inglese, una differenza del 43%. E’ la casta, bellezza: quella che serve ad affondare il sistema, sabotando la “concorrenza” pubblica che tanto infastidisce l’élite privatizzatrice.I dipendenti pubblici italiani? Sfaticati e inefficienti. Ma soprattutto: troppi. Quella dell’ipertrofia del pubblico impiego è una delle più tenaci leggende metropolitane sul sistema italiano. Resiste a ogni stagione politica, nonostante le evidenze che la smentiscono. Impietosi i dati forniti dall’Eurispes, che risalgono all’autunno 2014: insieme alla sola Germania, l’Italia è il paese europeo con il minor numero di dipendenti pubblici, in proporzione agli abitanti. Si calcola che bisognerebbe assumerne almeno 200.000, e subito, tra Comuni, scuole, ospedali. Ma i vari governi non sono mai di questo avviso: preferiscono tagliare, lasciando ovviamente inalterate le super-retribuzioni dei massimi dirigenti, cinghia di trasmissione dell’élite che da decenni continua a smantellare la struttura pubblica e la sua capacità di erogare servizi vitali per il cittadino. Ovvia, quindi, la scure di Renzi, che dietro al verbo “sburocratizzare” nasconde la volontà di colpire i lavoratori per tagliare ulteriormente il settore, già oggi tra i più “magri” d’Europa, con appena 58 impiegati ogni mille abitanti, contro i i 94 della Francia, i 92 del Regno Unito e i 65 della Spagna.
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Barnard: come asfaltare chi osa negare i crimini di Israele
Quando, il 22 luglio 1946, il terrorismo sionista fece esplodere l’hotel King David di Gerusalemme che ospitava il quartier generale britannico uccidendo 86 funzionari e 5 passanti, e mandando all’ospedale altre 58 persone, Winston Churchill dichiarò testualmente: «Se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo». Nella stessa epoca, 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero di loro pugno sul “New York Times” una protesta veemente contro la brutale ferocia sionista verso i palestinesi, definendola «simile, in organizzazione e metodi, ai partiti nazisti e fascisti». Lo stesso anno, fu addirittura un ministro del primo governo dello Stato d’Israele, Aharon Cizling, a dichiarare: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti, e io sono sotto shock». Parole che tutti dovrebbero ricordare sempre, sottolinea Paolo Barnard, autore di uno studio – basato su prove e documenti storici – che accerta le spaventose e sistematiche atrocità (preventive) commesse da Israele contro i palestinesi.E’ sempre Israle che sferra il primo colpo, e si tratta di un colpo mortale: pulizia etnica, aggressioni terroristiche, omicidi, campagne militari, stragi, stupri di massa, persecuzioni di ogni genere. Tramortiti da tanta violenza, i palestinesi impiegarono oltre 50 anni a reagire, portando il loro caso di fronte alle Nazioni Unite. Tutto inutile, però: Israele continua a uccidere, e il mainstream lo dipinge regolarmente come vittima della storia e della violenza araba. Una montagna sanguinosa di mistificazioni, che Barnard prova a demolire pubblicando il mini-saggio “Come ‘asfaltare’ chi difende Israele con 10 autorevoli risposte”. Fonti: libri di storia di ogni provenienza, relazioni di organi internazionali, documenti ufficiali di governi occidentali. Autore di libri scomodi come “Perché ci odiano”, che indaga le reali cause della (recente) ostilità del mondo islamico verso l’Occidente imperialista, Barnard definisce questo nuovo studio una «guida imbattibile per distruggere uno per uno gli argomenti usati dai personaggi mediatici asserviti alla menzogna quando difendono il terrorismo d’Israele e il genocidio dei palestinesi».Premessa: «Anti-sionismo non significa antisemitismo. Sionisti = élite ebrea criminale genocida dominante in Palestina dall’800 a oggi. Semiti sono i normali ebrei e palestinesi, d’Israele, della Palestina o del mondo. Solo gli ignoranti, o i falsari amici dei sionisti, spacciano un anti-sionista per antisemita». Primo luogo comune: “Sono gli arabi ad aver sempre attaccato gli ebrei emigrati in Palestina per sfuggire alle persecuzioni europee”. Falso: «Menzogna storica totale. Per tutto il XIX secolo e oltre, i palestinesi accolsero l’emigrazione ebraica europea con favore, amicizia ed entusiasmo. Al punto che le massime autorità religiose ebraiche d’Europa lo testimoniarono». Lo disse il 16 luglio del 1947 l’eminente rabbino Yosef Tzvi Dushinsky, alle Nazioni Unite: prima del sionismo, «non vi fu mai un momento, nell’immigrazione degli ebrei ortodossi europei in Palestina, nel quale gli arabi abbiano opposto resistenza alcuna. Al contrario, quegli ebrei erano i benvenuti per via dei benefici economici e del progresso che ricadevano sugli abitanti locali, che mai temettero di essere sottomessi. Era risaputo che quegli ebrei giungevano solo per motivi religiosi e non ebbero difficoltà a stabilire rapporti di fiducia e di vera amicizia con le comunità locali».Vent’anni prima, si esprimeva nello stesso modo un altro rabbino di grande fama, Baruch Kaplan, già a capo della “Beis Yaakov Girls School” di Brooklyn, in giovinezza attivo nella Yeshiva (scuola religiosa) di Hebron. «Gli arabi – dichiarò Kaplan – furono sempre assai amichevoli, e noi ebrei condividemmo la vita con loro a Hebron secondo relazioni di buona amicizia». Lo stesso religioso riferì che il rabbino polacco Avraham Mordechai Alter aveva compiuto una ricognizione in Palestina per «capire che tipo di persone erano i palestinesi, così da poter poi dire alla sua gente se andarci o no». In una lettera, «scrisse che gli arabi erano un popolo amichevole e assai apprezzabile». Lo conferma la Commissione Shaw del governo inglese, a proposito delle violenze fra arabi e sionisti nel 1929: «Prima della Grande Guerra (1915-18) gli arabi e gli ebrei vivevano fianco a fianco, se non in amicizia, almeno con tolleranza». Negli 80 anni precedenti, cioè in epoca precedente al fenomeno sionista, «non ci sono memorie di scontri violenti fra i due popoli». Due popoli? Secondo la vulgata sionista, non esisteva un vero popolo Si trattava di “tribù sparse”, con “pochi individui che vivevano sulle terre bibliche”. Un leader storico del movimento sionista europeo, Israel Zangwill, dichiarò a inizio secolo che «la Palestina è una terra senza popolo», al contrario degli ebrei, «popolo senza terra». Una menzogna, scrive Barnard, smentita di nuovo dall’interno dello stesso movimento sionista europeo, che iniziò la colonizzazione su larga scala della Palestina alla fine del XIX secolo.Al 7° congresso sionista del 1905, un leader di nome Yitzhak Epstein si alzò e lasciò agli atti questa frase: «Diciamoci la verità. Esiste nella nostra cara terra d’Israele un’intera nazione palestinese, che vi ha vissuto per secoli, e che non ha mai pensato di abbandonarla». La narrazione filo-sionista condanna chi considera colonialisti gli israeliani? Peccato, perché «il movimento sionista europeo nacque razzista, violento e prevaricatore (come è oggi). All’arrivo in Palestina trattarono subito i palestinesi come bestie, perché li consideravano poco più che bestie. Furono i sionisti a iniziare violenze e atrocità contro i palestinesi pacifici». A inizio ‘900, in uno scambio fra un fondatore del movimento sionista ebreo europeo, Chaim Weizmann (che sarà il primo presidente d’Israele nel 1948) e gli allora padroni coloniali inglesi, si legge: «Gli inglesi ci hanno detto che in Palestina ci sono qualche migliaio di negri (“kushim”), che non valgono nulla». Parole inequivocabili, e indelebili. Il più celebre umanista sionista della storia, Ahad Ha’am, lanciò un allarme contro la violazione dei diritti dei palestinesi da parte dei sionisti: gli ex “servi nelle terre della Diaspora” «d’improvviso si trovano con una libertà senza limiti, e questo cambiamento ha risvegliato in loro un’inclinazione al dispotismo».«Essi – continua Ha’am – trattano gli arabi con ostilità e crudeltà, gli negano i diritti, li offendono senza motivo, e persino si vantano di questi atti. E nessuno fra di noi si oppone a queste tendenze ignobili e pericolose». Era il 1891, osserva Barnard, mezzo secolo prima di Hitler: già allora il razzismo e la violenza sionista faceva questo a palestinesi innocenti. «Per quasi 50 anni prima dell’Olocausto – continua Barnard – i sionisti che emigravano in Palestina aggredirono i palestinesi e programmarono nei dettagli la pulizia etnica della Palestina, con metodi feroci e terroristici. Ripeto: 50 anni prima di Hitler». Il padre del movimento sionista, Theodor Herzl, aveva dichiarato: «Tenteremo di sospingere la popolazione (palestinese) in miseria oltre le frontiere, procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra… Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione e di nascosto». Un’altra personalità sionista di fine ‘800, Leo Motzkin, sancì: «La colonizzazione della Palestina si fa colonizzando tutta l’Israele biblica, e deportando i palestinesi da altre parti».E’ quindi ovvio che il destino di pulizia etnica del palestinesi fu progettato 50 anni prima della Shoah. E anche nelle decadi successive alla fine ‘800, «il razzismo e la pulizia etnica contro i palestinesi rimasero priorità», per lo Stato ebraico. Alla fine degli anni ’30, ricorda Barnard, «il leader sionista Yossef Weitz aveva anticipato gli infami protocolli nazisti di Wannsee (che, fra le altre cose, listavano gli ebrei d’Europa da deportare) scrivendo i ‘Registri dei Villaggi’ dove si indicavano tutte le famiglie palestinesi da cacciare a forza». Peggio: «Addirittura Ephraim Katzir (che diventerà presidente di Israele, pensate) arrivò a lavorare in laboratorio per trovare un veleno per accecare i palestinesi». Il leader storico sionista, David Ben Gurion, aveva redatto il Piano Dalet per la completa pulizia etnica della Palestina ben prima dell’arrivo in Palestina dei profughi dai campi di sterminio tedeschi. Nel suo stesso diario, Ben Gurion scrisse cose atroci su come colpire i palestinesi innocenti: «Dobbiamo essere precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace».E allora, l’aggressione araba contro gli ebrei del 1948? “Tutte le nazioni arabe attorno alla Palestina – dice il mainstream sionista – tentarono di sterminare gli ebrei, che per fortuna vinsero quella guerra, se no sarebbe stato un altro Olocausto!”. Infatti, i leader arabi “incitarono via radio i palestinesi ad abbandonare i loro villaggi per permettere lo sterminio degli ebrei!”. Per questo, “i palestinesi se ne andarono volontariamente”. «Menzogna completa», protesta Barnard. Intanto, allo scoppio della guerra arabo-ebraica del 1948, gli ebrei sionisti avevano già inflitto 50 anni di atrocità, pulizia etnica e stragi ai civili palestinesi, «per cui la reazione araba aveva una giustificazione pluri-decennale». Ma la tanto millantata guerra del 1948 fu «una messa in scena totale, una vera bufala già organizzata affinché i sionisti vincessero, grazie ad accordi segreti fra Ben Gurion e il Re arabo della Transgiordania, Abdullah». La “guerra bufala”, la chiamò nelle sue memorie il comandante delle truppe arabe, l’ufficiale arabo-inglese Glubb Pasha.Il re Abdullah e Ben Gurion finsero di combattersi per poi spartirsi la Palestina. Le altre truppe arabe non potevano impensierire Israele: «Gli egiziani erano per la metà Fratelli Musulmani con le ciabatte ai piedi, i libanesi non combatterono mai, i siriani erano armati ma erano quattro gatti, e gli iracheni erano sotto gli ordini del traditore Abdullah, per cui fecero nulla». Infatti, dai diari di Ben Gurion, risulta che in piena guerra del ’48 raccomandò al suo esercito: «Tenete il meglio delle truppe per la pulizia etnica della Palestina, secondo il Piano Dalet». Quanto alle “trasmissioni radio” dei leader arabi per incitare i palestinesi ad abbandonare la regione, si tratta di un falso storico sonoramente smentito dalla Bbc, che monitorò l’intera massa di comunicazioni circolate in Medio Oriente nel 1948. Tutte le trascrizioni sono custodite al British Museum di Londra: in esse, scrive Barnard, non vi è traccia di un singolo ordine di evacuazione da parte di alcuna radio araba dentro o fuori dalla Palestina.Al contrario, si possono leggere gli appelli ai civili palestinesi affinché rimanessero a presidiare le loro case. E lo si può ben capire: nel 1948, alla vigilia della guerra “fondativa” del mito dell’invincibilità militare di Davide che si batte per difendersi dal gigante Golia, «la pulizia etnica sionista aveva già espulso 750.000 palestinesi, tutti civili». Ma la menzogna è tenace, si replica puntualmente con la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando gli arabi “tentarono di sterminare gli israeliani”, i quali “in una prova di eroismo militare riuscirono ad evitare un altro Olocausto”. «Questa versione è una farsa, distrutta vergognosamente dai documenti segreti del governo americano e della Cia», annota Barnard. «Non solo gli israeliani non corsero alcun reale pericolo nella cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, ma gli arabi tentarono di tutto per non combattere, e furono ignorati da Tel Aviv e dagli Usa. Il governo israeliano invece terrorizzò la popolazione ebraica in quell’occasione, sapendo perfettamente che avrebbe attaccato per primo e avrebbe stravinto».Lo rivelano i documenti americani “declassificati” nel 2005: fu Israele ad aggredire gli arabi, non il contrario. La Cia sapeva che Israele avrebbe annientato gli arabi. Il 3 giugno 1967, al Pentagono, il ministro della difesa statunitense Robert McNamara incontrò il capo del Mossad, Meir Amit. «Quanto durerà questa guerra?», gli chiese. «Durerà sette giorni», rispose il capo dell’intelligence israeliana. Tutto questo mentre il presidente egiziano Nasser, teoricamente nemico di Israele, «disperatamente tentava i contatti con gli inglesi e con gli americani per evitare la guerra», inviando a Washington il suo ministro degli esteri Zakariya Mohieddin per cercare di mediare la pace. «Mentre Mohieddin sta per partire per l’America, gli israeliani attaccano l’Egitto e distruggono l’esercito egiziano».Il premier israeliano Menahem Begin, molti anni dopo confessò tutto: l’aggressione araba era una ‘bufala’. Fu Israele ad aggredire, disse al “New York Times”: «Nel giugno del 1967 di nuovo affrontammo una scelta. Le armate egiziane nel Sinai non erano per nulla la prova che Nasser ci stesse attaccando. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Noi decidemmo di attaccare lui». Questa, conclude Barnard, è un’altra grande bugia che ci hanno raccontato, ed è un modello della storiografia su Israele: «Ci raccontano sempre questa cosa, che Israele è la vittima, che sta per soccombere agli arabi cattivi, mentre la realtà è esattamente diametralmente l’opposto». Perché tante menzogne? Semplice: «L’élite bellica sionista-israeliana ha bisogno delle finte aggressioni arabe, ha bisogno dei pericoli, ha bisogno della minaccia inventata o gonfiata per mantenersi al potere».Per questo, aggiunge Barnard, l’élite israeliana ha così tanta paura della pace, e lavora da sempre – anche all’Onu – per sabotarla in ogni modo, a partire dalla storica risoluzione 181 del 1947. «La leadership sionista visse, e sopravvive oggi, solo grazie alla strategia della tensione che loro creano provocando violenze, proprie o palestinesi, continue». Se la leadership sionista accettasse la pace, continua Barnard, «dovrebbe confrontarsi con un paese, Israele, che essa gestisce da cani». A quel punto, «gli israeliani li caccerebbero». Sono vittime del loro governo, debitamente disinformate. Come valutare, del resto, lo stesso piano di pace del 1947? Consegnava agli ebrei, minoranza assoluta, il 56% delle terre. Il Negev andava a Israele, benché abitato da 90.000 arabi e appena 600 ebrei, ai quali andava anche l’unico porto commerciale vitale, Haifa. Poi andava agli ebrei l’86% delle terre fertili, aranceti, ulivi. Ai palestinesi erano anche negati i confini con la Siria, dove vi sono le fonti di acqua. E Gerusalemme rimaneva “internazionale”, ma di fatto in mano ebraica. «Questa è la vergognosa realtà. Come potevano i palestinesi accettare?».Lord Alan Cunningham, l’ultimo Alto Commissario inglese in Palestina, scrisse a Ben Gurion nel marzo 1948: «I palestinesi sono calmi e ragionevoli, voi sionisti fate di tutto per provocare violenza». Il diplomatico americano Mark Ethridge, inviato alla conferenza di Pace di Losanna nel 1949, dichiarò furioso: «Se non siamo arrivati alla pace è primariamente colpa d’Israele». Nel 1971 il presidente egiziano Sadat aveva offerto la pace a Israele in cambio del suo Sinai illegalmente occupato. Tel Aviv reagì mandando Ariel Sharon a fare la pulizia etnica del Sinai, dove l’esercito israeliano fece orrende stragi condannate dall’Onu e causò la Guerra del Kippur, del 1973. Inoltre, «la criminosa invasione israeliana del Libano nel 1982 (19.000 morti civili arabi) fu causata non da minacce a Israele, ma dall’esatto contrario». Massima rivelazione dell’orrore, il massacro dei civili rifugiati nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, sterminati da miliziani su ordine dello stesso Sharon.La vera crisi, per Israele, è la pace: Tel Aviv andò in tilt nel 1982, di fronte alla clamorosa proposta di pace avanzata da Yasser Arafat. Il leader dell’Olp, futuro capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, fece di tutto per fermare gli estremisti islamici. Lo ammise lo stesso capo dei servizi segreti ebraici Shab’ak, cioè Ami Ayalon, in una relazione al governo: «Arafat sta facendo un ottimo lavoro, si è lanciato anima e corpo contro i terroristi». La massima occasione per la pace? Fu l’incontro a Camp David nel luglio del 2000 fra Clinton, Arafat e il premier israeliano Ehud Barak. «La stampa mondiale riportò che fu Arafat a rifiutare la pace, ma è falso. Fu il contrario. Ai palestinesi non fu presentata alcuna proposta scritta, gli fu chiesto di cedere un 9% di terre, e di ricevere un misero 1%, gli fu negata ogni discussione sul ritorno dei profughi cacciati dalla pulizia etnica pre 1948 (come invece sancisce la Risoluzione Onu 194) e non gli fu concesso nulla su come dividersi Gerusalemme. Come poteva Arafat accettare?».E’ provato che, mentre Israele predicava la pace, in segreto pianificava altra pulizia etnica della Palestina, nonché l’uccisione di Arafat e la guerra ai civili. Sono stati scoperti 5 piani segreti della difesa israeliana a questo scopo, racconta Barnard: nel 1996 il piano “Field of Thorns”, nel 2000 il secondo piano “Field of Thorns”, nel 2001 il piano Dagan, nel luglio 2001 il piano di Shaul Mofaz chiamato “La Distruzione dell’Anp di Arafat”, che in quel momento collaborava con Tel Aviv, e nel 2002 il piano “Eitam” con gli stessi scopi. Nel 2003 gli Usa propongono la pace nel documento “The Road Map”, dove si parla anche di un “Israele che cessi ogni violenza contro i civili palestinesi”. I palestinesi l’accettarono e dichiararono il cessate il fuoco. Tel Aviv portò 14 emendamenti alla proposta americana e di fatto la distrusse. Ma non solo. Ariel Sharon intensificò gli assassinii di sospetti (ma non processati) membri di Hamas, ammazzandogli spesso anche mogli e bambini, ovviamente esacerbando le tensioni. Fine della “Road Map”.Stessa musica con i cessate il fuoco di Hamas, «praticamente sempre violati da Israele, al punto che nel 2006 in una conversazione segreta fra i leader di Hamas in Gaza e Damasco, si sente dire “Non abbiamo ricevuto nessun beneficio dal nostro cessate il fuoco di un intero anno, Israele continua la violenza contro i civili, e stiamo perdendo la reputazione coi civili palestinesi”». Nel famoso rapimento da parte di Hamas del soldato israeliano Gilad Shalit, viene omessa una verità scomoda, e cioè che «il giorno prima Israele aveva rapito due medici palestinesi senza alcun mandato legale, e li ha fatti sparire “incommunicado” (mai rilasciati né processati). La provocazione fu quindi israeliana». Eppure, in un articolo sul “Washington Post” del luglio 2006, il leader di Hamas Ismail Haniyeh riconobbe pienamente il diritto d’Israele di esistere, nonché il diritto alla pace fra «tutti i popoli semiti dell’area». Haniyeh lo fece «nonostante sapesse che quando Arafat riconobbe Israele nel 1993 non ottenne assolutamente nulla, solo violenza». Così, Tel Aviv ignorò anche l’offerta di Haniyeh.Nel 2007 gli Stati Uniti offrono la pace nel Trattato di Annapolis. Ma poiché il testo della Casa Bianca contiene la frase “cessare il terrorismo sia da parte palestinese che israeliana”, Israele boicottò tutto l’accordo. Fine del Trattato di Annapolis. Persino da dentro l’establishment militare d’Israele arriva l’ammissione che è Tel Aviv che boicotta la pace. L’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, dicharò nel 2009: «Se Israele volesse veramente eliminare la minaccia dei razzi di Hamas», rudimentali aggeggi, «dovrebbe permettere ai civili di Gaza di sopravvivere consentendo loro di ricevere i beni vitali attraverso la frontiera con l’Egitto, non strangolarli alla fame. Questo garantirebbe la pace a Israele per decenni». Lo conferma Robert Pastor, docente all’American University, già inviato dell’ex presidente Usa Jimmy Carter nei Territori Occupati, cioè Cisgiordania e Gaza. Parole esplicite: è Israele che boicotta la pace. «Hamas – dice Pastor – aveva fermato il lancio dei razzi dal giugno al novembre 2008, ma Tel Aviv non solo rinnegò la promessa di allentare lo strangolamento dei civili di Gaza per cibo, medicinali, e acqua, ma bombardò un “tunnel della disperazione”, quelli che fanno passare poche cose dall’Egitto ai palestinesi. Comunicai chiaramente al governo israeliano che Hamas avrebbe esteso il cessate il fuoco se l’assedio di Gaza si fosse allentato, ma mi ignorarono totalmente».Scrive il mitico reporter d’inchiesta americano Seymour Hersh: «L’attacco a Gaza (2008) da parte d’Israele, e i massacri conseguenti, vennero guarda caso quando il governo turco era riuscito a mediare con diplomatici di Tel Aviv un accordo completo per il ritiro israeliano dal Golan occupato illegalmente da Israele. Ma è ovvio che l’assalto a Gaza distrusse tutta la mediazione. Non fu una coincidenza». Lo sostiene anche l’“Huffington Post”: «Il cessate il fuoco di Hamas del 2008 reggeva benissimo. Fu Israele a uccidere per primo, il 4 novembre. Poi sempre un raid aereo israeliano uccise altri 6 palestinesi, nonostante il cessate il fuoco. Abbiamo fatto un seria ricerca su chi, fra Israele e Hamas, ha rotto più volte il cessate il fuoco in quasi 10 anni, con l’aiuto dell’organizzazione israeliana B’Tselem. E’ indubbiamente Israele che uccide per primo durante un cessate il fuoco, nel 78% dei casi precisamente. Hamas ha violato le tregue solo nell’8% dei casi. Ma se parliamo di tregue lunghe più di 9 giorni, Israele le ha violate per primo nel 100% dei casi».Come si può affermare di fronte a queste prove che sono i palestinesi a rifiutare la pace? A spezzare le tregue? E’ l’esatto contrario, protesta Barbnard. «Questo, senza dimenticare che anche in tempi di cessate il fuoco, Israele continua la sua politica di pulizia etnica palestinese e di violenze gratuite e distruttive contro i villaggi palestinesi, contro il loro diritto di nutrirsi, con rapimenti di minori che spariscono “incommunicado”, torture di prigionieri senza processo e senza tutele legali». Nonostante ciò, la narrazione filo-sionista ha il coraggio di ripetere che “Israele è l’unico Stato democratico della zona”, e quindi “è vergognoso chiamarlo Stato razzista”. In realtà, proprio il razzismo «fu ed è la linfa vitale di tutto il movimento sionista: oggi Israele è l’unico Stato moderno che mantiene un sistema di apartheid feroce contro i palestinesi, talmente rivoltante da essere stato condannato in tutto il mondo». La democrazia in Israele? «Riguarda solo la popolazione ebraica, e neppure tutta».Pochi sanno che le leggi emanate nei decenni dal Jewish National Fund sulle terre di Palestina, da loro occupate attraverso la pulizia etnica, sanciscono che tali terreni sono riservati al 90 agli ebrei; ai palestinesi è proibito affittare o comprare quei terreni che una volta erano loro, prima della colonizzazione sionista. Nel 2003 l’Istituto Israeliano per la Democrazia fece un sondaggio fra gli ebrei israeliani che diede questi risultati: il 53% sostenne che i palestinesi non avevano diritto all’eguaglianza civica con gli ebrei, e il 57% disse che andavano semplicemente cacciati a forza. Il Comitato dell’Onu sui diritti economici, sociali e culturali ha denunciato in termini tragici la mancanza di democrazia in Israele: anche i cittadini israeliani di origine araba sono esclusi dalla residenza nel 93% delle terre; sono esclusi dalla maggior parte dei sindacati, dei servizi pubblici come acqua, elettricità, alloggi, sanità, e sono relegati alle scuole peggiori. I loro salari sono sempre inferiori a quelli degli ebrei. Infine, dice il rapporto dell’Onu, il trattamento da parte israeliana dei beduini è al limite dei crimini contro l’umanità. Bella democrazia, no?«Non c’è Stato ebraico senza la cacciata dei palestinesi e l’espropriazione della loro terra», schiarì Sharon. Razzismo, apartheid. Lo disse anche un famoso giurista sudafricano, John Dugard, esperto di segregazione razziale, inviato dalle Nazioni Unite in Israele e Territori Occupati. Dugard consegnò all’Onu le seguenti parole: «Le leggi e le azioni d’Israele nei Territori Occupati (illegalmente), certamente rispecchiano parti dell’apartheid sudafricana. Si può forse negare che lo scopo di tali azioni e di tali leggi è di mantenere il dominio di una razza (ebrei) su un’altra razza (palestinesi), per schiacciarli sistematicamente?». La democrazia israeliana, inoltre, tollera fra i partiti dell’arco costituzionale il “National Union Party”, che chiede apertamente la distruzione della popolazione palestinese e nega ai palestinesi il diritto di esistere. «Israele – scrive Barnard – è l’unico Stato al mondo dove nel 1995 il governo ha introdotto il concetto di “gruppi di popolazione”, distinguendo il gruppo “ebrei e altri” dal gruppo “arabi”. Il primo comprende ebrei e cristiani non arabi, il secondo musulmani e arabi cristiani. L’unico altro Stato al mondo che aveva questa distinzione settaria era il Rwanda».E c’è di peggio: una rappresentante del partito israeliano “Jewish Home”, la giovane Ayelet Shaked, insieme all’accademico israeliano Mordechai Kedar dell’università di Bar Ilan, ha scritto che le famiglie, cioè bambini, mogli e nonni dei “terroristi” di Hamas «vanno sterminate», e che le loro sorelle e madri «vanno stuprate», dopo 80 anni di orrori ebraici contro quelle famiglie, quelle madri e quelle sorelle. E’ esplicito il professor Joel Beinin, docente di storia alla Stanford University, negli Usa: ha intitolato un suo saggio “Il razzismo è il pilastro dell’operazione Protective Edge di Israele”. Davide e Golia? Sì, ma bisogna invertire le parti:«Il primo attacco suicida palestinese contro Israele è dell’aprile 1994 ad Afula, esattamente dopo un secolo di terrore e di crimini sionisti-israeliani contro i civili palestinesi», chiosa Barnard, che nel suo dossier documenta in modo millimetrico lo sterminato bilancio dell’orrore israeliano. «Uno dei più gravi atti terroristici commessi dal regime di Tel Aviv, in violazione di ogni norma morale e di legalità internazionale, è l’indiscriminato attacco armato agli operatori medici e paramedici che vanno in soccorso ai civili e ai militari palestinesi feriti o uccisi durante gli scontri».Anche questa indicibile pratica è documentata oltre ogni dubbio. «Le Forze di Difesa Israeliane hanno sparato sui veicoli che tentavano di raggiungere gli ospedali, con conseguenti morti e feriti. Medici e personale paramedico sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulle ambulanze, in chiara violazione della legalità internazionale». Da anni Israele sferra attacchi mostruosi su Gaza, sterminando i civili, col pretesto di difendersi dai rudimentali razzi di Hamas, sparati per disperazione. In 14 anni, i razzi Kassam hanno ucciso dai 33 ai 50 civili israeliani, mentre in soli 6 anni Israele ha assassinato un totale di 2.221 civili palestinesi di Gaza, donne e bambini. Norman Finkelstein, ebreo americano e professore di scienze politiche, aggiunge un dettaglio agghiacciante: «Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l’esercito ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’armata tedesca combatté nel Ghetto di Varsavia». Finkelstein è figlio di vittime dell’Olocausto. «Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti – scrive – devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti».Quando, il 22 luglio 1946, il terrorismo sionista fece esplodere l’hotel King David di Gerusalemme che ospitava il quartier generale britannico uccidendo 86 funzionari e 5 passanti, e mandando all’ospedale altre 58 persone, Winston Churchill dichiarò testualmente: «Se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo». Nella stessa epoca, 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero di loro pugno sul “New York Times” una protesta veemente contro la brutale ferocia sionista verso i palestinesi, definendola «simile, in organizzazione e metodi, ai partiti nazisti e fascisti». Lo stesso anno, fu addirittura un ministro del primo governo dello Stato d’Israele, Aharon Cizling, a dichiarare: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti, e io sono sotto shock». Parole che tutti dovrebbero ricordare sempre, sottolinea Paolo Barnard, autore di uno studio – basato su prove e documenti storici – che accerta le spaventose e sistematiche atrocità (preventive) commesse da Israele contro i palestinesi.
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Robecchi: e bravo Renzi, che ora privatizza pure le elezioni
Fate la prova renzino. Non è difficile e non serve nemmeno un laboratorio, basta il tavolino di un bar. Procuratevi soltanto una mezz’oretta e un devoto seguace del premier, di quelli acritici e ultramoderni, di quelli che sono per la “disintermediazione”, parola difficile che serve a descrivere, senza dirla, una gran voglia di discorsi dal balcone, o da Twitter, davanti a folle osannanti. Fatto? Ecco. Ora chiedetegli se Matteo Renzi, nel suo anno di governo, ha cambiato le cose, se ha fatto le riforme. Ne avrete in cambio un profluvio di argomenti entusiasti. Certo che sì! Matteo (lo chiamano così, è un vezzo moderno) ha fatto in un anno quello che lui (lui il renzino) aspettava da trent’anni (sentito dire anche da chi ne ha venticinque). Le Province, il Jobs Act, la pubblica amministrazione, il Senato… Insomma, avrete, in risposta alla vostra domanda, la granitica certezza dell’interlocutore: Renzi sta cambiando il paese. Ora passate alla seconda domanda: perché serve una legge elettorale come l’Italicum?La risposta sarà altrettanto convinta ed entusiasta: perché con l’attuale legge elettorale si è costretti a barcamenarsi e non si fanno le riforme. Ecco fatto: possiamo fermarci qui, a queste due risposte che sono la sostanza del problema. Punto uno: si fanno finalmente le riforme. Punto due: serve una legge elettorale che permetta di fare le riforme perché così non si riesce. È una contraddizione così palese che non meriterebbe commenti. Se Renzi è così bravo da fare tutte queste riforme anche con il risultato ottenuto da Bersani alle ultime elezioni – che tutti definiscono insufficiente, una “non vittoria” – perché vuole una legge elettorale che premi ancora di più l’esecutivo? Una legge che i migliori costituzionalisti descrivono come “pericolosa”? Il refrain non è nuovo e ha illustri precedenti. Bettino Craxi, da capo del governo, lamentava gli scarsi poteri del capo del governo. Berlusconi uguale. E ora Renzi dice lo stesso.Il disegno, insomma, è sempre quello: dare più poteri all’esecutivo a scapito della democrazia parlamentare o del voto dei cittadini (non si vota più per le Province, non si voterà più per il Senato…). E la motivazione è anche quella più o meno uguale: questo “eccesso di democrazia”, di pesi e contrappesi, impedisce di fare le riforme, cosa che si grida a gran voce proprio mentre si grida forte anche: “Ehi, stiamo facendo le riforme!”. Per corroborare questa tesi si descrive il paese come una palude immobile e putrescente, da cui ci salverà finalmente una nuova legge elettorale che annichilisca ogni opposizione. Insomma, mani libere, più potere e meno contrappesi. È l’identico meccanismo del capitalismo italiano, che per tradizione strepita che ci sono, a fermarne la luminosa marcia, troppi “lacci e lacciuoli”, mentre se avesse le mani totalmente libere, sai la cuccagna!Una filosofia che ha le sue varianti con la cosa pubblica: la si indebolisce con clientelismi e gestioni demenziali, si buttano i soldi dalla finestra, la si rende ingiusta e impresentabile, e poi – ultima e conseguente mossa – si chiede che venga privatizzata, un classico. Ecco, l’Italicum è questo: una privatizzazione. Poi uno pensa alle grandi riforme italiane, quelle vere, tipo il Servizio Sanitario Nazionale, e vede che si facevano, eccome, pure con il bicameralismo perfetto, pure con il proporzionale, con governi che cadevano ogni sei mesi e decine di partiti in Parlamento. Senza Italicum, insomma, e senza rischi per la democrazia.(Alessandro Robecchi, “Renzi ha fatto le riforme! E l’Italicum? Serve per le riforme”, da “Micromega” del 2 aprile 2015).Fate la prova renzino. Non è difficile e non serve nemmeno un laboratorio, basta il tavolino di un bar. Procuratevi soltanto una mezz’oretta e un devoto seguace del premier, di quelli acritici e ultramoderni, di quelli che sono per la “disintermediazione”, parola difficile che serve a descrivere, senza dirla, una gran voglia di discorsi dal balcone, o da Twitter, davanti a folle osannanti. Fatto? Ecco. Ora chiedetegli se Matteo Renzi, nel suo anno di governo, ha cambiato le cose, se ha fatto le riforme. Ne avrete in cambio un profluvio di argomenti entusiasti. Certo che sì! Matteo (lo chiamano così, è un vezzo moderno) ha fatto in un anno quello che lui (lui il renzino) aspettava da trent’anni (sentito dire anche da chi ne ha venticinque). Le Province, il Jobs Act, la pubblica amministrazione, il Senato… Insomma, avrete, in risposta alla vostra domanda, la granitica certezza dell’interlocutore: Renzi sta cambiando il paese. Ora passate alla seconda domanda: perché serve una legge elettorale come l’Italicum?
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La Warren contro l’élite? Il mainstream la fa già a pezzi
Ricordate quel fortunato motivetto che concludeva un famoso spot pubblicitario con la frase “dove c’è Barilla, c’è casa”? Mi è tornato in mente ragionando sugli eventi che stanno scuotendo la Turchia, regno di Recep Tayyip Erdoğan, già affiliato presso la famigerata Ur-Lodge Hathor Pentalpha di George H. W. Bush e Dick Cheney. Allo stesso modo, sulla scia della strage francese riguardante l’eccidio dei giornalisti in forza al giornale satirico “Charlie Hebdo”, è tornato guarda caso prepotentemente sulla scena politica transalpina il marito di Bruni Carlà, ovvero Nicolas Sarkozy, anch’egli affiliato al pari di Erdoğan all’interno della già menzionata superloggia “del sangue e della vendetta”. L’esempio fornito dagli attentati compiuti l’11 settembre del 2001, voluti e pianificati da membri apicali della loggia fondata da Bush padre, ha fatto scuola, incoraggiando evidentemente le gesta di molti emulatori e tardi epigoni. Quindi, parafrasando la frasetta ricordata in apertura di articolo, verrebbe voglia di canticchiare adesso a reti unificate“dove c’è Hathor, c’è strage”.Lo schema, già applicato con successo anche in Italia negli anni in cui imperava la P2 (filiale della ben più potente loggia “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller), è sempre uguale: problema-reazione-soluzione. E se il problema non c’è, qualcuno dovrà pur sobbarcarsi l’ingrato compito di crearne uno alla bisogna, non vi pare? Da quando Jeb Bush, fratello dell’ex presidente George W. Bush, ha annunciato la sua discesa in campo in vista delle presidenziali americane del 2016 il mondo è diventato d’incanto un luogo meno sicuro. Ci penserà poi Jeb, una volta arrivato malauguratamente al potere, a rimettere le cose a posto “a modo suo”. Problema-reazione-soluzione. Quale politico democratico sfiderà il prossimo anno l’uomo della Hathor Pentalpha per contendergli la conquista della Casa Bianca? I giornali di regime, quelli che fomentano perlopiù il terrorismo economico (“oddio lo spread!”), tifano chiaramente per Hillary Clinton, moglie di Bill, ex presidente rimasto famoso per via della nota passione per il “blowjob” e la “deregulation finanziaria”.L’impoverimento del ceto medio e la conseguente crisi che attanaglia il modello di vita occidentale è diretta conseguenza delle scellerate scelte di indirizzo politico volute negli anni ’90 proprio dal consorte di Hillary, così miope da archiviare lo Steagall Act di rooseveltiana memoria e ridurre la politica ad ancella e serva di poteri ingordi, antidemocratici e plutocratici. La Clinton, non particolarmente carismatica nonché facilmente bollabile come mera emanazione degli interessi degli speculatori di Wall Street, avrebbe a mio avviso poche probabilità di sconfiggere nelle urne il candidato del partito repubblicano, favorito in partenza dal clima di disillusione e dal desiderio di discontinuità lasciato in eredità dal mediocre Barack Obama. Altra cosa è Elizabeth Warren, vero astro nascente della politica statunitense in grado di riaccendere l’entusiasmo popolare e condurre il partito democratico verso una vittoria altrimenti problematica.La Warren piace a molti, tranne naturalmente agli squali apolidi che usano ovunque lo spauracchio dei “mercati” per aumentare le disuguaglianze e schiavizzare i ceti deboli. Commentiamo ora insieme un pezzo vergato da Maria Laura Rodotà sul “Corriere della Sera”, organo semi-ufficiale dell’ O.U.O. (oligarchia universale organizzata, ndm). Già dalla lettura del solo incipit si coglie il desiderio di mistificare in capo alla giornalista esperta in problemi di cuore: «Elizabeth Warren fa sognare i repubblicani ed innervosisce i banchieri». E perché mai la Warren, in testa a tutte le classifiche di gradimento, dovrebbe far sognare gli avversari? La spiegazione, particolarmente risibile, la Rodotà la fornisce dopo poche inutili righe: «E’ la candidata presidenziale a sorpresa che i repubblicani vorrebbero: facile da accusare di bolscevismo, utile per attrarre ancora più finanziamenti elettorali da banchieri e grandi imprenditori». Ovvio, no? «Venerdì scorso», continua Rodotà trattenendo a stento l’entusiasmo, «rappresentanti di Goldman Sachs, Citigroup, Jp Morgan e Bank of America si sono riuniti per discutere su come ammorbidire Warren»La nostra giornalista-fashion omette purtroppo di indicare le possibili soluzioni individuate sul finire di simile sobrio e nobile simposio. Resta quindi sospeso il dubbio: cosa possono fare i banchieri per “ammorbidire Warren”? Possono forse farla cadere in una vasca riempita con detersivo Coccolino per poi simulare un incidente domestico? O sono addirittura solleticati dall’idea di riproporre strategie già viste ai tempi di J.F. Kennedy e Martin Luther King? Maria Laura, lei che dice? Le sembra normale che alcuni gruppi di pressione dicano chiaramente di voler “ammorbidire” un rappresentante del popolo non particolarmente gradito? La sovranità, che fa rima con Rodotà, appartiene ancora ai cittadini, o è stata già di fatto trasferita nelle mani di banchieri armati di provvidenziale “ammorbidente”? Rodotà si rassegni: il voto per censo non esiste più da un pezzo.(Francesco Maria Toscano, “Dove c’è Hathor Pentalpha, c’è strage. Chi fermerà la corsa di Jeb Bush alla Casa Bianca?”, dal blog “Il Moralista” del 1° aprile 2015. Toscano è segretario del Movimento Roosevelt, co-fondato con Gioele Magaldi).Ricordate quel fortunato motivetto che concludeva un famoso spot pubblicitario con la frase “dove c’è Barilla, c’è casa”? Mi è tornato in mente ragionando sugli eventi che stanno scuotendo la Turchia, regno di Recep Tayyip Erdoğan, già affiliato presso la famigerata Ur-Lodge Hathor Pentalpha di George H. W. Bush e Dick Cheney. Allo stesso modo, sulla scia della strage francese riguardante l’eccidio dei giornalisti in forza al giornale satirico “Charlie Hebdo”, è tornato guarda caso prepotentemente sulla scena politica transalpina il marito di Bruni Carlà, ovvero Nicolas Sarkozy, anch’egli affiliato al pari di Erdoğan all’interno della già menzionata superloggia “del sangue e della vendetta”. L’esempio fornito dagli attentati compiuti l’11 settembre del 2001, voluti e pianificati da membri apicali della loggia fondata da Bush padre, ha fatto scuola, incoraggiando evidentemente le gesta di molti emulatori e tardi epigoni. Quindi, parafrasando la frasetta ricordata in apertura di articolo, verrebbe voglia di canticchiare adesso a reti unificate“dove c’è Hathor, c’è strage”.
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Tortura per chiunque osi ribellarsi, Genova fu solo l’inizio
La folla che riempie lo stadio di La Spezia, un silenzio livido e uno spettro sul palco, Bob Dylan, alle prese con uno strano concerto segnato dal lutto per la morte di Carlo Giuliani poche ore prima, a una manciata di chilometri di distanza, in mezzo alla follia criminale esplosa a Genova dopo un’accurata preparazione logistica e militare. Lo ha detto un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel libro “G8 Gate”: i colossi finanziari e le multinazionali che avevano portato Bush al potere temevano i No-Global più di ogni altra cosa, inclusa Al-Qaeda. Per questo furono ben 1.500 gli agenti della National Security Agency impegnati nell’operazione-Genova, insieme a 700 operatori dell’Fbi. Missione: organizzare (e far eseguire alla polizia italiana) la più feroce punizione collettiva della storia occidentale contemporanea. Lo conferma il generale Fabio Mini, già comandante della missione Nato in Kosovo: esistono “strutture” abilitate a smistare falsi militanti, facendoli passare indenni attraverso più frontiere. Loro, i black bloc, incaricati di devastare Genova in modo da creare un alibi per la repressione indiscriminata dei manifestanti pacifici. Fino al reato di tortura, ora contestato all’Italia, 14 anni dopo.A Genova nel 2001 accadde qualcosa di irreparabile e sinistramente profetico, scrive “Come Don Chisciotte”: «Nell’arco di una manciata di giornate ci accorgemmo di essere stati proiettati e letteralmente catapultati nel nuovo millennio». Di colpo, ci siamo scoperti «ingenui figli di un tempo già antico, quel ventesimo secolo che, nonostante l’atomica e i lager, non aveva completamente scalfito le speranze in un mondo migliore». Il funerale delle illusioni: «La nostra Italietta – così piccola e così gracile – sarà pure stata anche la Repubblica delle stragi impunite, delle molte mafie e della corruzione dilagante, ma, ai nostri occhi, rimaneva l’imperfetta democrazia che i padri costituenti ci avevano consegnato per attuare concretamente i principi di uguaglianza e libertà. Invece – scrive “HS” – quello che accadde superò la nostra immaginazione». Sepolta, a Genova, anche l’ingenuità fisiologica del movimentismo, che in fondo «non abbandona l’illusione che si possa dialogare con l’avversario per riformare il sistema in senso migliorativo». Il movimento No-Global bisognava «domarlo, criminalizzarlo e reprimerlo in nome del neoliberismo “neomercantile”», togliendo ai giovani l’arma della politica e della giustizia.Hanno vinto loro, conclude il blog: i ragazzi di oggi non hanno idea di cosa accadde davvero a Genova, perché ormai «appartengono a un altro mondo», nel senso che «sono cresciuti in un contesto in cui la digitalizzazione dei segni, dei simboli e pure dei comportamenti ha quasi oscurato il senso concreto e tangibile delle cose», con la sua spietata durezza. All’epoca della mattanza genovese, Google e YouTube «appartenevano ancora al regno del “futuribile” e del realizzabile». Ora, il paesaggio antropologico è irriconoscibile: «In un certo qual modo smartphone, blueberry, iPod, Whatsapp, Twitter, Facebook e compagnia cantante sono diventati parte integrante delle nostre vite, e per i nostri figli o nipoti non è quasi concepibile un mondo senza la tecnologie digitali. Nel nostro nuovo mondo postmoderno digitalizzato e “virtualizzato” il tempo scorre via veloce come lo scoccare di una scintilla nel buio, si scompone in fantastiliardi di millisecondi, frazionati e separati, insinuando un senso di comprensibile vuoto e di assenza di memoria».Oggi la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo condanna l’Italia per gli atti di tortura inflitti ai manifestanti dalle forze dell’ordine nell’Istituto Pascoli? Confinare le giornate di Genova in quelle aule, dove raggiunse il culmine l’ultimo atto di feroce violenza repressiva, «significa smarrire il senso di quelle ore». Perché nel capoluogo ligure «era accaduto qualcosa di definitivo e irreparabile, qualcosa che non avrebbe potuto essere cancellato lavando quei muri imbrattati di sangue». In realtà, continua il blog, «non abbiamo mai compreso fino in fondo quanto possano contare le parole e i consigli degli “ingegneri sociali”, degli esperti di sociologia, psicologia, antropologia, di questioni militari, geopolitiche, strategiche, di sicurezza e ordine pubblico», perché in fondo siamo rimasti «ragionevoli uomini democratici e perbene». Per questo non ci siamo accorti di essere diventati «altro che le cavie di uno dei più arditi esperimenti mai tentati fino ad allora in un paese dell’Occidente civile e avanzato». Come se in quella torrida estate del 2001 il capoluogo ligure «si fosse trasformato in un enorme laboratorio per applicare i nuovi modelli militarizzati e tecnologicamente avanzati di gestione dell’ordine pubblico». Di lì a poco, «Ground Zero avrebbe cancellato tutte le residue speranze per un “altro mondo possibile”, e dalla guerriglia e controguerriglia urbane artificiosamente costruite, si passava alla guerra permanente e globale», con tanti saluti alle belle speranze del movimento No-Global, che pretendeva pari opportunità e diritti per l’intera umanità.Nel suo libro “Massoni”, Gioele Magaldi illumina le pagine più oscure e confuse della nostra storia recente, rivelando il ruolo spesso decisivo delle “Ur-Lodges”, le superlogge latomistiche dell’élite cosmopolita che sovrintende alle grandi decisioni, anche attraverso istituzioni transnazionali e “paramassoniche” come la Commissione Trilaterale, il Bilderberg, i grandi think-tank che orientano la dirigenza finanziaria, industriale, bancaria, editoriale, culturale, politica, giornalistica. Magaldi, a sua volta massone e associato alla prestigiosa superloggia “Thomas Paine”, nonché animatore del “Movimento Roosevelt” che si propone di scuotere la politica italiana ed europea liberandola dal dogma neoliberista che impone il taglio dello Stato, accusa anche l’ambiente massonico internazionale più progressista, colpevole di aver aderito a cuor leggero già nel 1981 allo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Una stretta di mano con i più pericolosi oligarchi che, di lì a poco, avrebbero precipitato il pianeta nella privatizzazione universale. Genocidio di popoli, guerre, rapina delle risorse, delocalizzazioni criminose e scomparsa del lavoro e dei diritti sindacali, fino all’agonia inconcepibile del sistema industriale più evoluto del mondo, l’Europa, messa in ginocchio dall’austerity finanziaria pianificata a tavolino dai supremi globalizzatori.Paolo Franceschetti, ex avvocato e indagatore di strani delitti rituali, riletti come cerimonie del massimo potere oligarchico, si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno: la storia dell’umanità è lastricata di abusi abominevoli, se oggi li si denuncia significa che sta crescendo una consapevolezza diffusa che, prima o poi, cambierà l’orizzonte. Inutile stupirsi della ferocia del supremo potere: lo sostengono voci diversissime tra loro, per formazione e provenienza. Per esempio Paolo Ferraro, prestigioso magistrato allontanato dalla magistratura. O un ex dirigente dei servizi segreti come Fausto Carotenuto. O Paolo Barnard, il primo a denunciare la brutale restaurazione europea, col saggio “Il più grande crimine”. O, ancora, un massone come Gianfranco Carpeoro, allievo di Francesco Saba Sardi e grande studioso del linguaggio simbolico. Dal canto suo, Magaldi esprime un’indignazione lucida e pacata: lo Stato laico, moderno e democratico, fatto di cittadini e non più di sudditi, «non è stato un regalo della cicogna», ma dall’intellighenzia massonica occidentale, impegnata in una lotta plurisecolare contro l’oscurantismo e l’assolutismo. Per questo, insiste, è necessario che insorga il vertice massonico progressista, il solo in grado di contrastare – a livello elitario – la deriva neo-feudale del nuovo potere che, col pretesto di una crisi artificiale costruita a tavolino, sta smantellando la democrazia in tutto l’Occidente.I ragazzi di Genova, che nel 2001 volevano diritti estesi a tutti i popoli del mondo, mai si sarebbero aspettati che quegli stessi diritti considerati inviolabili – a cominciare dall’accesso al lavoro – sarebbero stati presto perduti anche qui, nel cuore di un’Europa devastata dalle leggi speciali imposte dall’élite tecnocratica attraverso il braccio secolare di una moneta unica non sovrana. La scomparsa dell’orizzonte cominciò proprio nelle piazze genovesi trasformate in campo di battaglia: «Genova per noi è stato solo il primo dei tanti esperimenti di ingegneria sociale volti a spezzare qualsiasi volontà di resistenza nei confronti di un sistema iniquo e ingiusto», osserva “Come Don Chisciotte”. «Deposte l’immaginazione e la volontà di cambiamento siamo solo diventati più gretti, cinici ed egoici». Per questo, i globalizzatori dell’abuso «hanno vinto su tutta la linea». De Gennaro resta al suo posto, alla presidenza di Finmeccanica? Ovvio. Lo difende Renzi, l’uomo che in nome delle riforme strutturali dettate dalla Troika e da Wall Street abolisce Senato e Province, introduce il licenziamento facile con il Jobs Act e costruisce una legge elettorale monarchica. La differenza, rispetto al 2001, è che nessuno scende più in piazza. Pochi si accorgono di quello che sta realmente accadendo, nell’area-test chiamata Europa. Al pessimismo universale dei blogger si oppone la voce di Magaldi: insieme alla Francia, sostiene, l’Italia è il solo paese in cui è possibile far partire qualcosa che assomigli a un risveglio. Non a caso, la “punizione” dell’infame G8 del 2001 fu progettata proprio in Italia. Ed era solo l’inizio: la “tortura” continua.La folla che riempie lo stadio di La Spezia, un silenzio livido e uno spettro sul palco, Bob Dylan, alle prese con uno strano concerto segnato dal lutto per la morte di Carlo Giuliani poche ore prima, a una manciata di chilometri di distanza, in mezzo alla follia criminale esplosa a Genova dopo un’accurata preparazione logistica e militare. Lo ha detto un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel libro “G8 Gate”: i colossi finanziari e le multinazionali che avevano portato Bush al potere temevano i No-Global più di ogni altra cosa, inclusa Al-Qaeda. Per questo furono ben 1.500 gli agenti della National Security Agency impegnati nell’operazione-Genova, insieme a 700 operatori dell’Fbi. Missione: organizzare (e far eseguire alla polizia italiana) la più feroce punizione collettiva della storia occidentale contemporanea. Lo conferma il generale Fabio Mini, già comandante della missione Nato in Kosovo: esistono “strutture” abilitate a smistare falsi militanti, facendoli passare indenni attraverso più frontiere. Loro, i black bloc, incaricati di devastare Genova in modo da creare un alibi per la repressione indiscriminata dei manifestanti pacifici. Fino al reato di tortura, ora contestato all’Italia, 14 anni dopo.
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Lettera a un partito mai nato: abbandoniamo questo Pd
Siamo un gruppo di iscritti e fondatori del Pd, abbiamo partecipato con entusiasmo e impegno alla nascita del Pd nel 2007 cercando in questi anni ripetutamente, nelle varie sedi istituzionali e di partito, di orientare le scelte del partito verso la tutela dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, la tutela del lavoro e delle regole della concorrenza, una sanità trasparente ed efficiente, il rispetto della legalità, la questione morale, la certezza del diritto ed il rispetto dei valori costituzionali dettati dai nostri padri fondatori. In occasione dell’ultimo congresso nazionale abbiamo sostenuto la candidatura di Pippo Civati. Nel corso degli anni ci siamo imbattuti costantemente in una resistenza dell’apparato politico del partito, impermeabile a qualsiasi critica e cambiamento. Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un’ulteriore involuzione del Partito democratico, ridotto ormai ad un vero e proprio comitato elettorale che ha volutamente dimenticato le radici “uliviste” che avevano contribuito in modo determinante alla sua nascita.Le regole statutarie vengono spesso eluse ed il metodo di selezione della classe dirigente è ormai delegato al segretario di turno. Non ci sono “cambiamenti di verso” e meno che mai ci sono state le famose rottamazioni. Le leggi delega votate dal Parlamento sono diventate vere e proprie cambiali in bianco nelle mani dell’esecutivo e le slides di slogan come nuova fonte del diritto. Gran parte della vecchia classe dirigente è passata con armi e bagagli sul “carro renziano”, trovando ampi spazi politici. Al contrario, ogni forma di dissenso sulle scelte governative viene vista con fastidio, impedendo, di fatto, un serio e costruttivo confronto negli organismi di partito ed istituzionali competenti. Da dicembre ad oggi abbiamo assistito attoniti ed increduli alla approvazione, a colpi di fiducia, della legge di stabilità, del decreto “sblocca Italia”, del “Jobs Act” e della riforma costituzionale. Tutti atti che non porteranno nessun vantaggio concreto ai cittadini o lo snellimento della macchina burocratico-amministrativa. Al contrario, il risultato sarà un minor controllo degli elettori nei confronti dell’operato del governo.Non abbiamo voluto partecipare, per protesta, alle primarie per la scelta del segretario comunale di Livorno, perché avevamo capito che non esistevano più le condizioni minime di rappresentanza politica. Il risultato finale ha dimostrato per l’ennesima volta l’inamovibilità del sistema fondato su puri tatticismi di potere. I cittadini livornesi hanno manifestato ampiamente il loro dissenso nei confronti di questo partito democratico, alle scorse amministrative e in queste ultime primarie, stante la scarsissima affluenza al voto. Riteniamo dunque non più eludibile dare un segnale di forte discontinuità con questo sistema, che non ci appartiene, dimettendoci da tutti gli organismi in cui siamo stati eletti in occasione dell’ultimo congresso territoriale. Pertanto, in coerenza con quanto scritto sopra, non rinnoveremo l’iscrizione al Pd. Riteniamo infatti più costruttivo confrontarci con i cittadini sui temi amministrativi che caratterizzano il nostro territorio, non essendo mai stati politici di professione e meno che mai dipendenti direttamente o indirettamente dalla politica. Con l’occasione salutiamo tutti i compagni ed amici che abbiamo conosciuto e con cui abbiamo lavorato in questi anni.(“Lettera a un partito mai nato”, da “Livorno Possibile” del 28 marzo 2015, lettera aperta e firmata da Antonio Ceccantini, Oriana Rossi, Marco Di Bisceglie, Alessandra Calcagno, Andrea Colli, Giuseppe Sansò, Elena Betti, Fabio Bernardini, Carlo Santucci, Ilaria Porciani).Siamo un gruppo di iscritti e fondatori del Pd, abbiamo partecipato con entusiasmo e impegno alla nascita del Pd nel 2007 cercando in questi anni ripetutamente, nelle varie sedi istituzionali e di partito, di orientare le scelte del partito verso la tutela dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, la tutela del lavoro e delle regole della concorrenza, una sanità trasparente ed efficiente, il rispetto della legalità, la questione morale, la certezza del diritto ed il rispetto dei valori costituzionali dettati dai nostri padri fondatori. In occasione dell’ultimo congresso nazionale abbiamo sostenuto la candidatura di Pippo Civati. Nel corso degli anni ci siamo imbattuti costantemente in una resistenza dell’apparato politico del partito, impermeabile a qualsiasi critica e cambiamento. Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un’ulteriore involuzione del Partito democratico, ridotto ormai ad un vero e proprio comitato elettorale che ha volutamente dimenticato le radici “uliviste” che avevano contribuito in modo determinante alla sua nascita.
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Barnard: via la dittatura? Solo grazie a un nuovo Gorbaciov
La dittatura dell’élite crollerà solo dall’interno, se e quando – al momento buono – verrà fatta collassare da esponenti dello stesso potere, illuminati e preparatissimi, capaci di restare sott’acqua per anni, conquistando la fiducia degli egemoni. E’ la lezione della storia: l’impero sovietico fu fatto cadere nel solo modo possibile, e cioè dal suo interno, grazie all’ex presidente del Kgb, un certo Mikhail Gorbaciov. Lo sostiene Paolo Barnard, prendendo spunto da opposte riflessioni fornite da attenti lettori, divisi sul ruolo politico di strumenti di comunicazione di massa come Facebook. Straordinaria opportunità di veicolare messaggi rivoluzionari in modo virale o “oppio dei popoli” per concedere a tutti la possibilità di uno sfogo innocuo e comunque controllato dal sistema industriale delle comunicazioni? Sono vere entrambe le interpretazioni, scrive Barnard sul suo blog. Con tutti i suoi limiti, persino Facebook può servire la causa dell’umanità. A patto però che, un giorno, si svegli un Gorbaciov disposto a terremotare il potere. Viceversa, ogni tipo di rivolta dall’esterno sarà perfettamente inutile.Nicolas Micheletti è ottimista: Facebook, scrive, è un’arma decisamente sottovalutata. E’ vero, «può portare dipendenza patologica, ci stacca dalla realtà, ci toglie tempo libero per studiare testi che ci aprirebbero la mente». Ma il network creato da Zuckerberg può anche informare e sensibilizzare: «Con Facebook ogni persona può essere un “giornalista”, ogni persona può essere una rampa per l’informazione». Lorenzo Cortonesi invece non si fa illusioni: il social network ti concede sì di circuitare idee intelligenti, ma «a patto che non rompi troppo i coglioni». Ovvero: «Se tu arrivassi a 60 milioni di visualizzazioni», cioè «i numeri che davvero cambierebbero qualcosa», magari per parlare dell’“economicidio europeo”, «scompariresti nella nebbia in 20 secondi esatti». Motivo: «Non è concepibile usare Fb per fare “vero giornalismo”, semplicemente perchè non è stato creato per questo».Realismo: «Credi davvero che uno di noi o tanti di noi possano cambiare il mondo con Fb? Por favor». Davvero pensiamo che «una Merkel, un Draghi, non sappiano cos’è Facebook e che cosa potrebbe scatenare se davvero “funzionasse”?».«Nulla viene lasciato al caso, con multinazionali come queste», scrive Cortonesi, rispondendo a Micheletti. «Fb è solo quello che Paolo Barnard disse una volta (e con piena ragione) in una sua vecchia intervista a proposito di Grillo e il suo movimento di grillini: una valvola di sfogo. Io aggiungo, un luogo per apatici rincoglioniti, ridotti a postare mici e aforismi del cazzo. Nulla di più. E questo non preoccupa nessuno». Chi invece ha provato seriamente a fare informazione «è stato bannato, censurato, oscurato». I motivi? «Apparentemente tecnici o di comportamento», ma nella realtà «“rompi il cazzo e sei pericoloso”: ne abbiamo avuto prova proprio in questi giorni con la pagina di Paolo, rimossa più volte». Quindi, «non facciamoci abbindolare sempre da queste “visioni” salvifiche: non cambi niente da casa, seduto a scrivere un articolo». La verità è che «i “rentiers” se ne strafregano di Facebook perché sono loro che ci mettono i soldi per farlo campare». Ok. Che fare, allora? Solo lo 0,2% dell’opinione pubblica, secondo Barnard, «ha compreso che chi comanda la nostra vita in tutto ciò che conta sono oggi strutture sovranazionali immensamente potenti». Quindi, «quali strumenti e strategie dobbiamo usare per arginare The Machine?».Francamente: «Conta qualcosa fare cartelli con lo spray e sfilare per le strade? Conta Facebook? Conta informare la gente, e la… gggènte? Conta fare Onlus e associazioni? Conta uno sciopero della fame o mettere il proprio corpo contro proiettili di gomma?». Il grande giornalista, autore de “Il più grande crimine” (prima clamorosa denuncia contro il “golpe” finanziario dell’élite neo-feudale che sta rottamando la democrazia) propende per un’altra soluzione: forse, aggiunge, «l’unica cosa che conta davvero è starsene muti per 35 anni della propria vita, arrivare come colletti bianchi dentro le stanze di un ministero, dentro quelle di una megabanca, dentro quelle di una potente think tank, quelle della Bocconi, della Sapienza e, dall’interno, sferrare l’attacco». E spiega: «L’Urss non l’hanno neppure intaccata di una scheggia i sacrifici tragici ed eroici dei dissidenti spediti in manicomi o in Siberia, l’ha fatta crollare dall’interno proprio il suo presidente (e non certo Reagan o il Papa)». Per Barnard, «il colpo finale al Vero Potere, se mai accadrà, sarà sferrato da una coalizione di super-tecnocrati favorevoli all’Interesse Pubblico». Personaggi «dalla preparazione micidiale (spaccano un capello in due con uno sguardo…), già insediati in posizioni di potere». Semplificando, aggiunge Barnard, è «ciò che successe quando John Maynard Keynes, Piero Sraffa e alcuni intellettuali altolocati inglesi come William Beveridge, tutti interni al Potere britannico, teorizzarono lo Stato Sociale, la Piena Occupazione, e l’economia nell’interesse pubblico». Quegli uomini «cambiarono il mondo di allora in Europa».Accadde anche in Italia, nel 1970, grazie a Giacomo Brodolini e Gino Giugni, «autori del più avanzato Statuto dei Lavoratori (pro lavoratori) del mondo». Erano anch’essi «colletti bianchi già interni al Potere. Eccezionali». La missione, oggi, è proprio questa: indirizzare i nuovi Gino Giugni verso la Mosler Economics, la sovranità monetaria, per liberare lo Stato dal ricatto della finanza e riconvertire l’economia verso la piena occupazione. I nuovi insider dovranno crescere nell’ombra e scalare posizioni di potere per poi scardinare, un giorno, il dispositivo neo-feudale che sta cancellando la civiltà democratica europea. Come Gorbaciov, gli insider dovranno conquistare la piena fiducia della Macchina: e quindi «scalare posizioni nei partiti, nei governi, nelle amministrazioni, in Ue», come fossero «impassibili finti burattini del Vero Potere». Il rischio? E’ che, al momento buono, il loro attacco «venga soffocato anche dall’interno della stanza dei bottoni». E qui allora entrano finalmente in gioco le associazioni, le Ong, gli attivisti: senza mai svelare il loro collegamento con i «colletti bianchi infiltrati», i militanti devono fin d’ora «lavorare come pazzi per divulgare sul territorio e alla popolazione intellettualmente raggiungibile», cioè non la totalità dell’opinione pubblica, «il messaggio economico di salvezza nazionale che i colletti bianchi serbano nascosto».La missione, dunque, consiste nel «rivelare al popolo raggiungibile l’inganno fatale del Vero Potere di oggi». In altre parole, «devono fargli capire che non esiste un’altra strada, e che la distruzione della civiltà dei diritti è ormai completa». Massima urgenza, quindi. Quest’opera di “facilitazione”, spiega Barnard, serve a risolvere un punto cruciale: «Creare una relativa massa di opinione pubblica che sappia farsi sentire, o meglio rumoreggiare, quando i nostri colletti bianchi porteranno alla luce le loro proposte per l’Interesse Pubblico dentro il Vero Potere». Quando tenteranno di soffocarli, «se le opinioni pubbliche, anche in numeri esigui ma rumorosi, si faranno sentire, il Vero Potere si spaventerà». Infatti, sottolinea Barnard, «l’unica cosa al mondo che può intimidire il Potere sono le opinioni pubbliche che si ribellano, o anche solo… l’impressione che le opinioni pubbliche si siano sollevate». Non ne siete convinti? «Come credete che abbia fatto un Pannella a portare in Italia aborto e divorzio in un’epoca in cui il potere del Vaticano/Dc era stellare? Si mosse una fetta (piccola ma rumorosa) di opinione pubblica». La “gente” è meglio lasciarla perdere: la maggioranza «conta meno di una solida, determinata minoranza di cittadini che si fa sentire». Quindi va bene tutto, anche Facebook. Purché il disegno sia chiaro.La dittatura dell’élite crollerà solo dall’interno, se e quando – al momento buono – verrà fatta collassare da esponenti dello stesso potere, illuminati e preparatissimi, capaci di restare sott’acqua per anni, conquistando la fiducia degli egemoni. E’ la lezione della storia: l’impero sovietico fu fatto cadere nel solo modo possibile, e cioè dal suo interno, grazie all’ex presidente del Kgb, un certo Mikhail Gorbaciov. Lo sostiene Paolo Barnard, prendendo spunto da opposte riflessioni fornite da attenti lettori, divisi sul ruolo politico di strumenti di comunicazione di massa come Facebook. Straordinaria opportunità di veicolare messaggi rivoluzionari in modo virale o “oppio dei popoli” per concedere a tutti la possibilità di uno sfogo innocuo e comunque controllato dal sistema industriale delle comunicazioni? Sono vere entrambe le interpretazioni, scrive Barnard sul suo blog. Con tutti i suoi limiti, persino Facebook può servire la causa dell’umanità. A patto però che, un giorno, si svegli un Gorbaciov disposto a terremotare il potere. Viceversa, ogni tipo di rivolta dall’esterno sarà perfettamente inutile.
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Questa economia uccide: Landini la pensa come Bergoglio
Sono contento di sapere che una parte del sindacato, mi riferisco ovviamente a quella che fa capo a Maurizio Landini, non è complice e subalterna rispetto alle élite neoliberiste continentali che da anni violentano i diritti e comprimono i salari. Quando, tra qualche anno, cercheremo di individuare le cause e i responsabili del declino italiano, non potremo esimerci dal puntare il dito anche contro il mondo sindacale, ora rappresentato da uomini e donne che sembrano più interessati a garantirsi un futuro in Parlamento che a difendere gli interessi degli associati. Pensate per un attimo al ruolo svolto da Susanna Camusso nel puntellare un sistema di potere che esprimeva un premier come Mario Monti. Di fronte ad un attacco di rara violenza contro le classi lavoratrici, la Cgil di fatto non fiatava, fiancheggiando acriticamente il Pd di Bersani, a sua volta evidentemente eterodiretto da Giorgio Napolitano, massone oligarchico già affiliato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” di Henry Kissinger e David Rockefeller.Tale perverso intreccio contribuì a distruggere la vita di migliaia di esodati e precari, falcidiati dalle politiche promosse da un governo sadico, paradossalmente spalleggiato da chi, come Camusso, avrebbe dovuto difendere in automatico i contraenti più deboli. Landini, a differenza di Camusso e Bersani, sembra un uomo perbene, autenticamente interessato a migliorare la vita di chi lavora anche attraverso la legittima riscoperta della lotta sindacale. Certo, il leader della Fiom non padroneggia le dinamiche e non conosce in profondità i veri protagonisti del progetto neo-oligarchico in atto, guidato con maestria e cattiveria da massoni contro-iniziati del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schaeuble. Landini però è in buona fede, e chi è in buona fede può capire domani quello che ancora non gli è chiaro oggi. Per questo, al netto di una serie di divergenze programmatiche non trascurabili, saluto con soddisfazione la nascita della “coalizione sociale” promossa da Landini, nata per strappare la sinistra italiana dal controllo di un manipolo di nazisti tecnocratici bravi ed efficaci nel sostituire il mito della purezza della razza con quello della purezza del bilancio.E’ giusto non esasperare gli animi e non enfatizzare inutilmente i toni, senza però negare o ammorbidire una realtà oggettivamente molto grave. Questo non possiamo né vogliamo farlo. Ho cominciato a sfogliare un libro regalatomi dall’amico GianMario Ferramonti e titolato “Papa Francesco, Questa Economia uccide”, scritto da Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi. Mi ha subito colpito il verbo scelto dal Pontefice per rappresentare gli effetti di un indirizzo politico ora tristemente maggioritario dal Portogallo alla Lettonia: “uccidere”. Papa Francesco non dice questa economia “impoverisce”, questa economia “è ingiusta” o questa economia “aumenta le diseguaglianze”. Il Santo Padre, con apostolica franchezza, sceglie di dire la verità anche a costo di provocare la reazione stizzita dei moderni farisei, posti a protezione di un Tempio malefico che assume al giorno d’oggi le fattezze dell’Eurotower. Per conoscere volti e nomi di chi muove dolosamente i fili di questa economia che intenzionalmente uccide basta leggere il libro “Massoni” scritto da Gioele Magaldi.Strana la vita. Un tempo i seguaci del Vaticano erano prevalentemente bollati, nella migliore delle ipotesi, come sicuri reazionari e nostalgici passatisti. Oggi chi si azzarda a sposare e a ripetere i concetti recentemente espressi da Bergoglio, tra l’altro chiaramente ispirati da una genuina interpretazione del Vangelo, rischia di guadagnarsi la patente di pericoloso sovversivo nonché nemico del giusto ordine costituito. In conclusione, anche grazie all’instancabile lavoro intellettuale compiuto con zelo e passione da tanti cittadini ora uniti sotto le bandiere del Movimento Roosevelt, qualcosa finalmente si muove. Se fino ad un paio di anni fa i Vescovi, per bocca di uomini come Bagnasco e Bertone, benedicevano la mano violenta del professore di Varese, oggi Papa Francesco inverte la rotta; se, fino ad un paio di anni fa, la Cgil di Camusso teneva fermi i lavoratori mentre Monti, Bersani e Fornero sferravano colpi tremendi contro i più deboli, oggi Maurizio Landini apre una breccia. Questo a dimostrazione che non tutto è inutile. Gli uomini di buona volontà possono cambiare il corso della Storia. E noi, nel nostro piccolo, lo stiamo già facendo.(Francesco Maria Toscano, “Anche Landini sa che questa economia uccide”, dal blog “Il Moralista” del 29 marzo 2015).Sono contento di sapere che una parte del sindacato, mi riferisco ovviamente a quella che fa capo a Maurizio Landini, non è complice e subalterna rispetto alle élite neoliberiste continentali che da anni violentano i diritti e comprimono i salari. Quando, tra qualche anno, cercheremo di individuare le cause e i responsabili del declino italiano, non potremo esimerci dal puntare il dito anche contro il mondo sindacale, ora rappresentato da uomini e donne che sembrano più interessati a garantirsi un futuro in Parlamento che a difendere gli interessi degli associati. Pensate per un attimo al ruolo svolto da Susanna Camusso nel puntellare un sistema di potere che esprimeva un premier come Mario Monti. Di fronte ad un attacco di rara violenza contro le classi lavoratrici, la Cgil di fatto non fiatava, fiancheggiando acriticamente il Pd di Bersani, a sua volta evidentemente eterodiretto da Giorgio Napolitano, massone oligarchico già affiliato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” di Henry Kissinger e David Rockefeller.