Archivio del Tag ‘cittadini’
-
Il potere usa la magia, e a noi fa credere che non esista
La massoneria è una filiazione diretta delle società rosacrociane e templari. Possiamo quindi dire, semplificando le cose, che la massoneria è un’immensa organizzazione magico-esoterica. A questo punto allora non c’è bisogno di “prove” per sapere e convincerci che i personaggi più potenti della terra praticano e conoscono la magia. Se è vero che i reali inglesi sono il vertice ufficiale della massoneria di rito anglosassone mondiale, se è vero che Monti, Berlusconi, Bush, Clinton, e tutti i presidenti degli Usa, erano e sono massoni, ma lo erano anche Lenin, Marx, Gheddafi, e in generale i personaggi più importanti della storia dell’umanità, se è vero che la massoneria conta decine di migliaia di affiliati, tratti dalle classi più colte e agiate della società, delle due l’una: o tutta questa gente ha tempo da perdere con organizzazioni, rituali, e confraternite inutili, oppure c’è un motivo più profondo per cui queste persone sono tutte iniziate agli alti gradi della massoneria, cioè di un’organizzazione che è possibile definire come “organizzazione magico-esoterica”.Il motivo per cui tutta questa gente appartiene o è appartenuta alla massoneria è – in realtà – molto semplice. La massoneria detiene le chiavi del potere nel mondo. E detiene queste chiavi grazie agli strumenti magico-esoterici di cui si serve. Scriveva Aleister Crowley al riguardo: «I nostri fratres posseggono le chiavi di tutte le religioni e possono interpretare a loro vantaggio tutti i riti, creare nuove fedi e nuove festività, governando il mondo secondo giustizia e virtù». Scrive al riguardo Eliphas Levi nel suo “Storia della magia”, nel capitolo intitolato, non a caso, “Origini magiche della massoneria”: I massoni hanno «ricevuto i Templari come modello, i Rosacroce come padri e i Giovanniti come antenati». Per capire cosa è la magia cerchiamo di procedere per vari step. Vedremo che la magia ha un ruolo molto più importante di quel che si crede, nei destini dell’umanità e nelle scelte politiche che si fanno ogni giorno, quotidianamente, sulla pelle dei cittadini e delle masse ignoranti.La magia è l’arte di modificare la realtà. Israel Regardie scrive che «la magia è l’arte di applicare cause naturali per produrre effetti sorprendenti». Crowley diceva che «lo scopo generale della magia è influenzare il mondo dietro le apparenze, per poter trasformare le apparenze stesse». Robert Canters, nella sua prefazione a “Storia della magia”, scrive che «per mezzo della magia le cose cessano di essere ciò che sono per divenire ciò che noi desideriamo che siano». Il mago non è un tizio vestito in modo strambo che fa uscire un coniglio dal cilindro. Il mago è colui che riesce a modificare la realtà attorno a sé, facendo prendere agli avvenimenti la piega che vuole lui. È magia ad esempio cercare di attirare a sé la persona amata, cercare di attirare ricchezze, ma anche guarire un ammalato (in genere in questi casi si parla di magia bianca) o far ammalare una persona sana (e in genere qui si parla di magia nera). Primo punto fermo è quindi il seguente: la magia è l’arte di modificare la realtà esterna attorno a noi. Come si ottiene la modificazione della realtà? Con l’evocazione di angeli, la recitazione di formule, con la forza di volontà, con procedimenti e riti particolari.In realtà il mago non fa né più né meno che quello che fanno quasi tutte le persone, ad eccezione degli atei e dei materialisti convinti: il cattolico si recherà a Lourdes o invocherà Padre Pio, l’induista praticherà forme di meditazione (sono strabilianti i “miracoli” compiuti dagli Yogi orientali), il buddhista reciterà dei mantra, altri ritengono di avere un contatto coi propri defunti, ecc. La differenza è che il mago chiama la sua arte “magia”, appunto, mentre il buddhista parlerà di “legge mistica”, l’induista parlerà di poteri yogici, il cattolico dirà che ha ricevuto la grazia dalla Madonna, San Gennaro, Padre Pio, e spesso discorre di miracolo ritenendo ottusamente che i miracoli li possa fare solo la Madonna, e non sapendo che la produzione di eventi eccezionali è assolutamente normale presso la maggior parte delle comunità etniche nel mondo. Ulteriore differenza è che il mago, oltre alle invocazioni di entità superiori, userà qualsiasi altro strumento, connesso alla forza di volontà e all’arte magica in generale. In definitiva possiamo dire che la differenza di fondo tra magia e religione è che il mago studia questi fenomeni in modo scientifico, mentre il cattolico o il buddhista in linea di massima sono inconsapevoli di quello che fanno, e se gli dici che l’invocazione della Madonna o la recitazione del Daimoku o dell’Om Mani Padme Hum, dell’Om Namah Shivaya, sono atti magici, si offendono pure e pensano che tu stia bestemmiando.Il presupposto fondamentale perché la magia funzioni è che il mago modifichi se stesso e cambi internamente. Secondo punto fermo è quindi che la magia, per essere efficace, ha bisogno di un cambiamento interiore del mago. Non per niente, con mia sorpresa, ho potuto constatare che su tutti i testi di magia, da quelli più antichi ai più moderni, si insiste molto sulla meditazione e sulle varie tecniche di miglioramento di se stessi. Scrive Regardie che la via mistica si può raggiungere in due modi: con la meditazione e lo yoga, o con la magia, ma combinando insieme le due tecniche i risultati saranno eccezionali. Addirittura ho trovato in molti testi di magia la recitazione di mantra tipici dell’induismo o del buddhismo (dal classico Om, all’Om Mani Padme Hum del buddhismo tibetano) e tecniche di meditazione yoga prese pari pari dall’Oriente, e praticate da sempre da Templari e Rosacroce, che le avevano apprese in Oriente. Anche nel libro “Magick” di Aleister Crowley si insiste molto sulla meditazione e lo yoga.In alcuni libri di magia si fa espresso riferimento agli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola (il fondatore dell’Ordine dei Gesuiti) che sono da molti considerati i più efficaci in ambito magico. Nel suo libro “Esercizi spirituali”, Ignazio di Loyola dà consigli di meditazione e immaginazione che, secondo Franz Hartmann, servono per sviluppare i poteri della mente e dell’anima. Peraltro, con mia somma sorpresa, ho potuto constatare che nei testi di magia di Papus, di Dion Fortune, di Eliphas Levi e in altri, si insiste non solo sulla necessità che il mago pratichi la meditazione, ma che segua un regime alimentare vegetariano, senza alcool, e sano. In altre parole, ad approfondire l’esoterismo e la magia si scopre che quelle che vengono fatte passare per “teorie new age” o per scoperte moderne, erano già ampiamente praticate e consigliate da maghi e alchimisti del 1500, del 1700 e del 1800.Infine, un concetto importante da capire è che la magia, per funzionare, deve procedere in accordo con la natura; il mago riesce a provocare un cambiamento nella realtà materiale, solo se questa volontà è in profondo accordo con la natura stessa delle cose da cambiare.Il mago, cioè, per operare, deve anche essere un profondo conoscitore della natura, dei suoi ritmi e dei suoi segreti. Ma la natura è il prodotto di Dio, e quindi, per essere in armonia con la natura, occorre essere in armonia con Dio e con il divino. Gesù poteva produrre tutti quei miracoli perché era in assoluta armonia con Dio e la natura. Ma miracoli analoghi a quelli di Gesù erano e sono prodotti anche da Yogi indiani, che da secoli sono maestri nell’arte di entrare in comunione con il divino e con la natura (il termine Yoga infatti significa unione, e in particolare unione col divino, quindi lo scopo dello Yoga è proprio quello di elevare lo spirito per entrare in contatto con Dio).Secondo Israel Regardie, lo scopo del teurgo è «l’acquisizione dell’autoconoscenza e l’unione con il divino» (“L’Albero della Vita”, pagina 99). Eliphas Levi diceva che la magia è «la scienza tradizionale dei segreti della natura». Mentre per Eugène Canseliet è «l’arte divina che consiste nel prendere contatto con l’anima universale». La magia, diceva Crowley, non è un modo di vivere, ma IL modo di vivere. Considerando che l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e che il principio fondamentale della magia è il famoso principio “come in alto così in basso” di Ermete Trismegisto (che è l’equivalente del “come in cielo così in terra” del Padre Nostro cristiano), l’uomo deve conoscere se stesso per poter essere in armonia con Dio, e conoscere Dio per essere in armonia con se stesso. Aleister Crowley diceva di se stesso che era uno strumento di esseri superiori che controllano il destino umano. «Siamo tutti parti di Dio, non semplicemente timbri che riproducono il suo nome, noi siamo poemi ispirati da Dio, i figli generati dalla sua follia amorosa». E altrove, sempre Crowley, disse: «La Grande Opera significa entrare in unione con l’infinito e liberare la divina scintilla di luce imprigionata nel corpo».“Amore è l’unica legge, Amore sotto il dominio della Volontà”, era un altro dei motti di Crowley. La stessa cosa che dicono i cristiani, i buddhisti, gli induisti, gli sciamani. La magia – secondo la definizione di Regardie – è quindi una scienza dello spirito, un sistema tecnico di formazione per finalità divine (“L’Albero della Vita”, pagina 133). Il mago quindi è anche un credente, nel senso che crede senz’altro in Dio. Non a caso per entrare in massoneria sono richieste tassativamente tre regole: essere uomo, aver compiuto i 21 anni e credere in un Dio unico. La magia, consistendo nel modificare la realtà, è anche la scienza della volontà. Secondo Dion Fortune, i nostri pensieri non solo ci influenzano, ma formano canali di ingresso e attrazione delle corrispondenti forze nel cosmo. Secondo Regardie, ciò che conta in magia sono il pensiero e la volontà. Gli attrezzi del mago sono solo un rafforzamento di tale volontà. «Tutti i riti, gli interminabili dettagli cerimoniali, le circumambulazioni, gli incantesimi e le suffumicazioni vengono attuate deliberatamente per esaltare l’immaginazione e rafforzare la forza di volontà». Eliphas Levi scrive al proposito: «Se vuoi regnare su te stesso e sugli altri, impara a volere».Il pensiero corre immediatamente ai numerosi libri e manuali sul potere della volontà, dai libri di Louise Hay a quelli di Wayne Dyer, ma anche ai numerosi manuali sulle tecniche di vendita che si insegnano in ambito aziendale, nonché ai principi base della maggior parte delle correnti psicologiche, da quelle comportamentali estreme del professor Giorgio Nardone, a quelle della psicologia cognitiva (secondo cui cambiando i nostri pensieri possiamo cambiare le nostre emozioni e dunque essere più felici). Una delle cose che si scoprono approfondendo le varie correnti esoteriche è che esse sono tutte molto simili, quasi come strade che, pur diverse, conducono alla stessa meta. I punti fermi di tutte le dottrine esoteriche, da quelle pitagoriche a quelle egizie, a quelle catare, templari e rosacrociane, nonché degli esoterismi orientali, sono i seguenti: l’anima; la dottrina della reincarnazione; la possibilità di operare trasformazioni della realtà mediante la forza di volontà. Cristo, secondo i Rosacroce e la massoneria, è venuto sulla terra per diffondere le dottrine esoteriche alle masse; in sostanza l’esoterismo di Cristo era un esoterismo semplice, alla portata di tutti, e non più riservato ai soli iniziati delle scuole misteriche.Cristo insomma portava in Occidente quell’esoterismo che in Oriente era molto più diffuso, per spiritualizzare la società occidentale. La lotta tra rosacrocianesimo prima, massoneria poi, e Chiesa cattolica, è dunque uno scontro titanico tra due cristianesimi: quello cattolico di Pietro e Paolo e quello di Giovanni. Il cristianesimo stava dunque portando una ventata di rinnovamento nella società occidentale, e tale ventata è stata impedita da due fattori. Il primo è stato la nascita della Chiesa cattolica; a partire dalla morte di Cristo, Roma, fiutando il pericolo insito nella dottrina cristiana, l’ha fatta diventare religione ufficiale dell’Impero al fine di controllarla, ha stravolto l’interpretazione dei Vangeli e ha costruito una religione da cui ha bandito quasi ogni riferimento esoterico (non a caso Roma contiene già nel suo nome la negazione del messaggio di Cristo; se il messaggio del Cristo è infatti l’amore, amor in latino, Roma è proprio il termine amor letto al contrario). Nei secoli la Chiesa ha poi distrutto tutti gli esoterismi che man mano si trovava nel cammino: l’esoterismo gnostico, quello templare con la distruzione dell’Ordine nel 1314, quello cataro con la crociata contro gli Albigesi, quello boemo, e in generale facendo una guerra aperta a qualsiasi esoterismo (basti pensare alla guerra odierna che viene fatta a discipline come lo Yoga, che alcuni sacerdoti considerano una disciplina satanica).Atri fattori di distruzione sono stati il materialismo e lo scientismo. I vari rami delle dottrine esoteriche si sono specializzati oltre misura e frammentati in modo da non permettere più la comprensione del tutto. Dall’alchimia è nata la chimica. Dall’astrologia è nata l’astronomia.Dalla numerologia è nata la matematica (a coloro – magari docenti di matematica razionali e amanti del pensiero scientifico – che leggeranno con scetticismo questa affermazione, mi basterà ricordare che Pitagora, il cui teorema tutti abbiamo studiato a scuola, era il fondatore di una delle scuole di pensiero esoterico più note, tanto che ancora oggi i membri di molte società segrete, massoni compresi, vengono definiti anche “pitagorici”; mentre Leonardo da Vinci, considerato uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, era un Rosacroce). Dalle tecniche per modificare la realtà è nata la fisica. La stessa religione nasce dalla scienza esoterica. Qualunque religione organizzata nasce sempre come una branca deviata di una corrente esoterica. L’esoterismo studia tutto ciò che ha a che fare con l’anima e con Dio, religioni comprese; e fa partire dal basso (dalla ricerca di sé) la ricerca dell’unione col divino; la religione invece fa partire dall’alto, imponendo con la forza questa unione, facendo smarrire all’uomo la comprensione di se stesso.Scrive Kanters che «la magia è autoritaria; la religione, sua sorella, è umile; la religione prega e spera, la magia costringe e riesce». Scrive Edouard Schuré che «la dottrina esoterica non è solo una scienza, una filosofia, una morale, una religione; essa È la scienza, la filosofia, la morale e la religione, di cui tutte le altre non sono che preparazioni e degenerazioni» (“I grandi iniziati”, pagina 17). Dalle tecniche magiche per migliorare se stessi, si sono dipartite le varie scienze psicologiche e sociologiche; basta leggere i libri di Dion Fortune (esoterista inglese che fu membro della Golden Dawn e che da giovane fu psicologa) per vedere che la sociologia e la psicologia non hanno inventato nulla, ma hanno semplicemente studiato e approfondito una parte della scienza esoterica. Tutti i libri di miglioramento personale – dalla legge dell’attrazione, ai libri di Dale Carnegie (che tra l’altro era un massone di alto grado), ai libri di Wayne Dyer – dicono cose che era possibile trovare in scritti magico-esoterici del 1800, del 1500, ma addirittura nei Vangeli, se interpretati correttamente e non alla lettera come pretenderebbero di fare alcuni cattolici.Ciò che oggi dicono le moderne tecniche psicologiche, lo dicevano già gli scritti magici ed esoterici di Cornelio Agrippa nel 1500, di Papus nell’800 e di Dion Fortune ai primi del 1900. In una biografia di Crowley mi sono imbattuto in una tecnica psicologica abbastanza paradossale utilizzata dal grande mago nero inglese per guarire una persona, che mi ha ricordato le moderne tecniche di Nardone e Watzlawick. E tecniche molto particolari di psicoterapia sono contenute nel libro della maga e psicologa Dion Fortune dal titolo “I segreti del dottor Taverner, dottore dell’occulto”, e nel libro “Psicomagia” di Alejandro Jodorowsky, che mi hanno ricordato in alcuni punti ancora una volta le moderne terapie di Nardone. La differenza è che se dici che hai guarito una persona con la terapia di Nardone sei un genio avanti coi tempi; se dici che hai usato la tecnica di Jodorowsky o Fortune sei pazzo, e se poi ti azzardi a dire che hai preso lo spunto da Crowley dicono che sei satanista.Gli psicodrammi familiari che vengono utilizzati in alcune moderne tecniche di psicoterapia, poi, sono identici agli psicodrammi che Osho faceva attuare nella sua comune (e che presumo si attuino ancora oggi). Se però lo psicodramma lo hai fatto nell’ashram di Osho sei un arancione fuori di testa; se lo hai fatto in un moderno centro di terapia scucendo centinaia o migliaia di euro sei uno “avanti”.In entrambi i casi, poi, se fai notare a chi effettua queste pratiche che hanno semplicemente messo in atto un rito, con degli effetti magici, l’interlocutore non capisce proprio cosa tu stia dicendo, non avendo la gente il minimo concetto del significato dei riti e dei ruoli che il rito riveste per la psiche e per il comportamento umano. Nel campo della psicologia fu Carl Gustav Jung (il cui padre era sicuramente massone, mentre lui era un Rosacroce) che cercò di riportare la psicologia alle sue origini, studiando i rapporti tra psicologia, alchimia ed esoterismo; fu questo il motivo per cui ruppe con Freud, che lui considerava un mistificatore e un ingannatore. Sigmund Freud infatti era un massone appartenente alla potente organizzazione massonica del “B’nai B’rith”, la massoneria ebraica, ed era consapevole del danno che faceva alla parte spirituale dell’uomo con la diffusione della sue teorie e il suo pansessualismo di stampo dionisiaco. Jung (che tra l’altro non solo praticava la magia, ma faceva viaggi astrali e comunicava con entità disincarnate) riteneva, giustamente, che le teorie di Freud avrebbero potuto danneggiare la società e combatté, per quello che poté, questa possibilità.Le differenze tra Jung e Freud non erano, come si crede comunemente, differenze di metodo e di teorie; erano differenze di scuole massoniche e indirizzi esoterici: il “B’nai B’rith”, la massoneria che vuole condurre al Nwo assoggettando i popoli per portarli all’oscurità, e i Rosacroce bianchi, che di quei popoli volevano l’illuminazione. Ma gli junghiani successivi, da James Hillman in poi, hanno provveduto a distruggere il lavoro di Jung, troppo pericoloso per la società di allora e di oggi, sì che oggi molti psicanalisti che si definiscono junghiani non sanno nulla di alchimia, magia ed esoterismo, pur essendo la scienza alchemica alla base di molti scritti di Jung. Mentre gli junghiani attuali si guardano bene dall’approfondire il rapporto tra psicologia, alchimia e magia. In particolare, la psicologia tende alla normalizzazione dell’individuo (considerato normale quando rientra nella società e trova un lavoro e una famiglia; cioè considerato normale quando si adegua a una società malata, il che è una contraddizione in termini) senza però offrire risposte spirituali, cioè senza offrire le risposte più importanti ai malesseri esistenziali dell’individuo.Scrive la psicanalista Dion Fortune nel suo libro “Magia applicata” che «aiutare un paziente ad adattarsi meglio alla società non significa necessariamente curarlo ma trasmettergli le nevrosi della società stessa». Quanto alla sociologia, scienza che si presupporrebbe “moderna”, in realtà non fa altro che riprendere alcuni studi che erano propri già delle scienze esoteriche, sul potere di influenzare le masse. Il mago quindi, perlomeno se illuminato, dovrebbe essere sia psicologo che sociologo, perché sa penetrare profondamente nell’anima umana e guarisce (se stesso o gli altri) con degli interventi all’anima. Purtroppo, la specializzazione della psicologia e della sociologia, che hanno separato la parte spirituale da quella materiale, ha reso il lavoro dello psicologo molto poco efficace giungendo addirittura ad affermare che il “pensiero magico” è un sintomo di delirio e schizofrenia. E se un paziente dice che fa viaggi astrali, e parla con entità disincarnate (come faceva Jung), lo psichiatra gli fa un Tso.(Paolo Franceschetti, estratto da “La magia. Cos’è, perché funziona, e per quale motivo i politici la usano in segreto”, dal blog di Franceschetti del 18 novembre 2012).La massoneria è una filiazione diretta delle società rosacrociane e templari. Possiamo quindi dire, semplificando le cose, che la massoneria è un’immensa organizzazione magico-esoterica. A questo punto allora non c’è bisogno di “prove” per sapere e convincerci che i personaggi più potenti della terra praticano e conoscono la magia. Se è vero che i reali inglesi sono il vertice ufficiale della massoneria di rito anglosassone mondiale, se è vero che Monti, Berlusconi, Bush, Clinton, e tutti i presidenti degli Usa, erano e sono massoni, ma lo erano anche Lenin, Marx, Gheddafi, e in generale i personaggi più importanti della storia dell’umanità, se è vero che la massoneria conta decine di migliaia di affiliati, tratti dalle classi più colte e agiate della società, delle due l’una: o tutta questa gente ha tempo da perdere con organizzazioni, rituali, e confraternite inutili, oppure c’è un motivo più profondo per cui queste persone sono tutte iniziate agli alti gradi della massoneria, cioè di un’organizzazione che è possibile definire come “organizzazione magico-esoterica”.
-
Grecia, la dignità ha sconfitto la paura. E’ fallito un golpe
La finanza tossica internazionale e il cancelliere tedesco hanno cercato di rovesciare il governo democratico greco. Questa era la reale posta in gioco del referendum. Sono stati sconfitti. Volevano rovesciare Tsipras per dare una lezione anticipata ai democratici spagnoli che a novembre forse troveranno il coraggio di scegliere con “Podemos” una strada di democrazia coerente. Quanto tentato dai finanzieri e dalla signora Merkel si chiama, se vogliano evitare eufemismi, un tentativo di golpe bianco. Una maggioranza di greci dalle dimensioni inaspettate lo ha sventato col suo Oxi, la dignità ha sconfitto la paura. Da domani, inutile farsi illusioni, il tentativo di assoggettare irreversibilmente l’Europa ai croupier del gioco di Borsa riprenderà in piena sintonia con la maggior parte dei governi e con le istituzioni comunitarie. Vedremo fino a che punto si allineerà anche il governo francese del “socialista” inconsistente Hollande.Dopo la vittoria della democrazia greca alcune cose sono comunque definitivamente chiare. È del tutto insensato continuare con l’omelia dei Delors, Habermas e Cohn-Bendit secondo cui il problema è il deficit di legittimazione democratica delle istituzioni europee. Se il Parlamento di Strasburgo avesse i poteri della Camera dei Comuni, del Bundestag o dell’Assemblea Nazionale, ad avere la fiducia e governare l’Europa nella pienezza dei poteri sarebbe oggi la destra più becera e autoritaria. A dimostrazione che la democrazia non si riduce e non coincide con libere elezioni. Queste ultime sono un irrinunciabile strumento della vita democratica, ma come fin troppe volte è stato dimostrato nelle vicende storiche, il suffragio può servire anche a sopprimere la democrazia. Istituzioni democratiche possono nascere in Europa solo a partire da una Costituzione che fissi i diritti imprescrittibili di ogni cittadino, che nessuna maggioranza può schiacciare, e che non possono ridursi a quelli della tradizione liberale classica, e meno che mai a quelli liberisti, ma devono comprendere inalienabili diritti sociali, sindacali, ecologici, “roosveltiani”, incompatibili con la sovranità del mondo finanziario.Senza un accordo preliminare su tali valori l’Europa non è una conquista da difendere ma un fallimento da archiviare al più presto studiando la via della dissoluzione della comunità la meno tragica possibile (e non sarà facile). Tsipras ha intanto il dovere di fare “qualcosa di sinistra” che pure aveva promesso. Non ci sono tracce di una lotta spietata alla grande evasione fiscale, agli indecenti privilegi degli armatori, alle micidiali sperequazioni tra i quartieri dorati del lusso più sfrenato e una povertà che talvolta ha scene da immediato dopoguerra. Solo una politica di grande redistribuzione delle ricchezze può salvare l’Europa, e la Grecia per prima.(Paolo Flores d’Arcais, “Grecia, la dignità ha sconfitto la paura”, da “Micromega” del 5 luglio 2015).La finanza tossica internazionale e il cancelliere tedesco hanno cercato di rovesciare il governo democratico greco. Questa era la reale posta in gioco del referendum. Sono stati sconfitti. Volevano rovesciare Tsipras per dare una lezione anticipata ai democratici spagnoli che a novembre forse troveranno il coraggio di scegliere con “Podemos” una strada di democrazia coerente. Quanto tentato dai finanzieri e dalla signora Merkel si chiama, se vogliano evitare eufemismi, un tentativo di golpe bianco. Una maggioranza di greci dalle dimensioni inaspettate lo ha sventato col suo Oxi, la dignità ha sconfitto la paura. Da domani, inutile farsi illusioni, il tentativo di assoggettare irreversibilmente l’Europa ai croupier del gioco di Borsa riprenderà in piena sintonia con la maggior parte dei governi e con le istituzioni comunitarie. Vedremo fino a che punto si allineerà anche il governo francese del “socialista” inconsistente Hollande.
-
Sofri consulente alla giustizia: arrivati al fondo, si scava
Renzi non è un inetto. Renzi ha alcuni obiettivi da perseguire. Alcuni mandati, alcuni compiti da eseguire. La distruzione del tessuto sociale, la distruzione dell’assetto democratico e la distruzione dello Stato di Diritto. Era già chiaro dall’inizio, con la revisione dell’articolo 416 ter del Codice Penale. Una norma “perfetta” l’avrebbe definita il Procuratore Generale Lombardi. Così, almeno, continua a ripetere la presidente della Commissione Antimafia Bindi. Cieca e sorda rispetto agli effetti che questa “riforma” sta producendo. Una riforma che costringe alla scarcerazione indagati per voto di scambio. Era chiaro dall’inizio, con la cosidetta “depenalizzazione dei reati minori”: 112 reati che non costituiscono più reato penale. Alcuni odiosissimi, come lo stalking, lo stupro e ovviamente evasione fiscale e falsi in bilancio. Nel volgere di un anno sono stati più volte “attenzionati” gli argomenti “evasione fiscale” e “falso in bilancio”. Ogni volta alleggerendo ora la pena e ora il reato per arrivare alla nuova “legge anticorruzione” e alla fine è stato creato un sistema per cui, di fatto, il falso in bilancio non esiste più.Ovviamente non può mancare l’antiriciclaggio. La storia della impunibilità se l’autoriciclaggio avviene per “utilità personale” è tutta da ridere. E mentre per i “reati da poveracci” nulla cambia, i “colletti bianchi” e la casta politica sono al sicuro. Per buona misura, poi, viene introdotta la responsabilità civile diretta dei giudici. Uno strumento perverso per cui chi ha disponibilità di denaro, di fatto condiziona la libertà di giudizio del giudice. Una giustizia sempre più elitaria che i continui aumenti dei contributi unificati rendono inaccessibile al cittadino comune che chiede giustizia. Il contributo aumenta con la “legge di stabilità 2015”, ma era già aumentato a giugno 2014. Una condizione medioevale in cui sussistono diversi piani di giustizia. Una giustizia riservata ai potenti e un’altra (quasi vessatoria, basti pensare al sistema tributario e a Equitalia, che di “equo” non ha nulla) che investe (è il caso di dirlo) i comuni cittadini. Ma non è sufficiente. Occorre, adesso, rimuovere anche il “senso di Giustizia”. Occorre instillare il convincimento (fondato, peraltro) di vivere in un paese in cui è l’ingiustizia ad essere premiata.Ecco, quindi, parlamentari indagati e per i quali viene richiesta autorizzazione all’arresto e sottosegretari indagati, in faccende estremamente contigue a “mafia capitale”, attorno ai quali si sollevano muri di ipocrita garantismo. Ecco Poletti che “legittimamente” va a cena con Buzzi e capi mafia sostenendo che “non sapeva”. Ecco le candidature della Paita in Liguria, di De Luca in Campania, che viene candidato CONTRO legge, ma per il quale, pur rischiando blocchi istituzionali inimmaginabili vengono studiati metodi per consentirgli l’insediamento per consentirgli di nominare la Giunta e governare per il tramite di un vice presidente fantoccio. E non dimentichiamo Poziello (candidato e poi eletto sindaco di Giugliano) anch’egli rinviato a giudizio e sostenuto, manco a dirlo, da De Luca.Quando pensi di aver toccato il fondo, ecco che dal cappello renziano esce un altro coniglio che fa apparire acqua fresca lo scandalo precedente. Serve ad abituarci, a costruire una cultura della illegalità. Con un decreto del 19 giugno, infatti, il ministro Orlando ha nominato Adriano Sofri “consulente” per la riforma carceraria: “Responsabile di istruzione e cultura negli Stati generali delle carceri”. Adriano Sofri consulente del Ministero di Giustizia. Chi sia Adriano Sofri lo spiega il “Corriere.it”. Sofri. Il mandante dell’omicidio del commissario Calabresi. Sofri. È il “renzismo bellezza”. Adriano Sofri, infatti, è il suocero di Daria Bignardi. Il padre di quel Luca Sofri che appella Matteo Renzi con “ciao, capo”.(Stefano Ali, “Sofri consulente del ministero Giustizia, giunti al fondo si scava”, dal blog “Il Capello Pensatore” del 24 giugno 2015).Renzi non è un inetto. Renzi ha alcuni obiettivi da perseguire. Alcuni mandati, alcuni compiti da eseguire. La distruzione del tessuto sociale, la distruzione dell’assetto democratico e la distruzione dello Stato di Diritto. Era già chiaro dall’inizio, con la revisione dell’articolo 416 ter del Codice Penale. Una norma “perfetta” l’avrebbe definita il Procuratore Generale Lombardi. Così, almeno, continua a ripetere la presidente della Commissione Antimafia Bindi. Cieca e sorda rispetto agli effetti che questa “riforma” sta producendo. Una riforma che costringe alla scarcerazione indagati per voto di scambio. Era chiaro dall’inizio, con la cosidetta “depenalizzazione dei reati minori”: 112 reati che non costituiscono più reato penale. Alcuni odiosissimi, come lo stalking, lo stupro e ovviamente evasione fiscale e falsi in bilancio. Nel volgere di un anno sono stati più volte “attenzionati” gli argomenti “evasione fiscale” e “falso in bilancio”. Ogni volta alleggerendo ora la pena e ora il reato per arrivare alla nuova “legge anticorruzione” e alla fine è stato creato un sistema per cui, di fatto, il falso in bilancio non esiste più.
-
Acqua, rifiuti, energia: piglia tutto la lobby delle multiutility
«Siamo l’ultimo paese sovietico d’Europa»; con queste parole Erasmo D’Angelis, capo dell’unità di missione Italiasicura e rappresentante del governo Renzi, ha salutato il battesimo di Utilitalia, la nuova associazione dei gestori di servizi pubblici locali, nata dalla fusione di Federambiente e di Federutility. «Dobbiamo passare da circa 1.500 società partecipate a 20 società regionali per la gestione dei rifiuti, 5 grandi player per il servizio idrico integrato, 3 per la distribuzione del gas e 4 per il trasporto pubblico locale. Settore quest’ultimo che va inserito subito in Utilitalia, perché sarà il primo a bandire le gare per affidare la gestione dei servizi». Ecco scodellato in tre righe il programma del governo, naturalmente non discusso in nessuna sede con i cittadini, gli enti locali e le comunità territoriali, bensì annunciato di fronte alla nuova holding dei gestori.Anche perché, ai cittadini, D’Angelis e Renzi dovrebbero spiegare che ne è della vittoria referendaria del giugno 2011, con la quale 27 milioni di italiani avevano sancito la gestione pubblica, partecipativa e senza profitti dell’acqua e dei beni comuni. Un programma di governo portato avanti a colpi di normative (SbloccaItalia, Legge di stabilità, disegno di legge Madia) e con l’utilizzo del patto di stabilità interno come arma contro i cittadini, consentendo ai sindaci di poter utilizzare e spendere le somme ricavate dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali. «L’obiettivo di queste fusioni e incorporazioni sarà l’innalzamento dello standard di qualità dei servizi e la riduzione dei costi per i cittadini», ha chiosato il presidente di Utilitalia Giovanni Valotti, trovando l’immediato consenso del presidente dell’Autorità per l’energia Guido Bortoni – il cui stipendio, giova ricordare, è pagato dalle medesime società di servizi – e del ministro per la pubblica amministrazione Marianna Madia.Occorre forse qui ripetere un semplice ragionamento, che si pensava, dopo un referendum, di non dover più riprendere. Dentro quest’idea di privatizzazione e di finanziarizzazione dei servizi pubblici locali, vogliono lor signori dirci una volta per tutte da dove proverranno i profitti per le grandi multiutility che tutto gestiranno? Perché a noi risulta che nel caso della gestione dell’acqua, dei rifiuti, dell’energia, ovvero di tutti i beni comuni, il profitto sia concretamente ottenibile solo ed esclusivamente da cinque possibili fattori: a) la riduzione del costo del lavoro, attraverso la diminuzione dell’occupazione e la precarizzazione dei contratti; b) la riduzione degli investimenti, come già sperimentato nell’ultimo decennio di gestioni attraverso SpA; c) la riduzione della qualità del servizio, con meno manutenzioni, controlli etc.; d) l’aumento delle tariffe, che infatti salgono esponenzialmente; e) l’aumento dei consumi della risorsa.Tutti fattori in diretto contrasto con l’interesse generale e che si realizzano puntualmente in ogni processo di privatizzazione. Quanto al mantra dell’economia di scala, anche i sassi ormai sanno che, oltre una certa soglia (300.000 abitanti, salvo realtà urbane metropolitane), la scala più ampia produce esattamente disservizi e diseconomie. Territorio per territorio, comunità locale per comunità locale, occorre opporsi a questo disegno, rivendicando la riappropriazione sociale dei beni comuni, della ricchezza collettiva e della democrazia dal basso come condizioni per un altro modello sociale. Bisogna riprendersi il comune per riprendersi i Comuni.(Marco Bersani, “La lobby delle multility”, da “Attac Italia” del 20 giugno 2015).«Siamo l’ultimo paese sovietico d’Europa»; con queste parole Erasmo D’Angelis, capo dell’unità di missione Italiasicura e rappresentante del governo Renzi, ha salutato il battesimo di Utilitalia, la nuova associazione dei gestori di servizi pubblici locali, nata dalla fusione di Federambiente e di Federutility. «Dobbiamo passare da circa 1.500 società partecipate a 20 società regionali per la gestione dei rifiuti, 5 grandi player per il servizio idrico integrato, 3 per la distribuzione del gas e 4 per il trasporto pubblico locale. Settore quest’ultimo che va inserito subito in Utilitalia, perché sarà il primo a bandire le gare per affidare la gestione dei servizi». Ecco scodellato in tre righe il programma del governo, naturalmente non discusso in nessuna sede con i cittadini, gli enti locali e le comunità territoriali, bensì annunciato di fronte alla nuova holding dei gestori.
-
Giannuli: ha stravinto l’élite, non esiste alternativa politica
Espropriati di ogni diritto, privati del lavoro, rasi al suolo come cittadini. E’ il nuovo ordine neoliberista, e non abbiamo scampo. Lo sostiene lo storico Aldo Giannuli, che analizza l’eclissi epocale della sinistra in ogni sua forma, da quella storica – assorbita nella socialdemocrazia – a quella “radicale”, che voleva cambiare il sistema ed è in via di completa estinzione. Peggio ancora: nessuna, delle nuove formazioni politiche che si affacciano tra le macerie dell’Europa, ha le carte in regola per progettare una via d’uscita. Siamo in trappola, schiacciati dal primo comandamento della “rivoluzione neoliberista”: lo Stato dei cittadini deve morire, per lasciar posto al primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica. Fine delle trasmissioni. Con tanti saluti alle illusioni del riformismo, che nei decenni del dopoguerra riuscì a convertire l’aspirazione rivoluzionaria in correzioni sociali all’interno del sistema, estensione del benessere relativo, ascensore sociale, garanzie, welfare. Tempo scaduto: i nuovi padroni del mondo non hanno più tempo per la democrazia, fabbricano leader-servi, impongono leggi, sbaraccano Costituzioni.La rivoluzione neoliberista, scrive Giannuli nel suo blog, si è imposta costruendo un ordine gerarchico mondiale tendenzialmente monopolare (oggi in crisi) che riduce la sovranità degli Stati nazionali. Poi ha sottratto i grandi capitali finanziari al fisco, attraverso la mobilità mondiale dei capitali, che consente al “grande contribuente” di scegliere il fisco cui pagare le sue tasse. Fondamentale, poi, la delocalizzazione produttiva, insieme alla liberalizzazione degli scambi commerciali: questa globalizzazione «inevitabilmente premia i paesi a costo del lavoro più basso, agendo quindi come attrattore verso il basso dei livelli salariali». Quindi, la moneta: il sistema valutario sganciato dalla base aurea, o comunque da parametri oggettivi, e basato solo sull’apprezzamento reciproco delle monete, «fa dipendere la stabilità monetaria di ciascuno dalla dittatura del rating e dalle decisioni dei mercati finanziari (in realtà da Wall Street) di fatto, riducendo ai minimi termini la sovranità monetaria dei singoli paesi».In più, c’è la fittissima ragnatela del Wto e degli accordi e trattati internazionali, dagli storici accordi di Marrakech del 1993 al mostruoso Ttip in gestazione: rapporti economici a livello mondiale, «che precludono ogni politica diversa da quella neoliberista e proibiscono esplicitamente l’intervento statale in economia». Non solo: «Impedendo ogni politica industriale nazionale, privatizzando le imprese pubbliche e promuovendo grandi fusioni internazionali a guida finanziaria», i grandi predoni neo-feudali hanno sostanzialmente imposto un cambio di sistema: non viviamo più in un regime controllabile dalle popolazioni, sempre più in sofferenza anche grazie alla liquidazione dei presupposti stessi dello Stato sociale – scuola, sanità, assistenza, pensioni, tutele civili. «Di conseguenza – continua Giannuli – l’ordine neoliberista ha carattere politicamente monistico e non ha spazio per una sinistra interna», né per «politiche keynesiane, compromessi welfaristi e, di conseguenza, per ogni politica riformista». L’ordine neoliberista «non prevede alcuna sinistra interna, è tutto e organicamente di destra». Così, a fronte dell’assolutismo neoliberista, «il riformismo, anche il più moderato, assume valenza antisistema al pari di qualsiasi indirizzo rivoluzionario».Ne consegue che occorre abbandonare la pratica istituzionale per passare a forme di lotta violente o addirittura armate? «Per nulla: sarebbe una risposta incongrua rispetto all’obiettivo». Anche perché, qualora si prendesse il potere in un paese «tanto per via pacifica e legale quanto per via violenta ed illegale», il problema non si sposterebbe di un centimetro, «perché il nuovo governo, comunque formatosi, avrebbe di fronte lo stesso problema di fare i conti con un ordine mondiale ostile, dove l’unica variabile decisiva sarebbe quella dei rapporti di forza». La Cina, come unica alternativa? Pechino «ha realizzato un sistema di capitalismo di Stato che si discosta per più versi dall’ordinamento neoliberista, ma può permetterselo perché i rapporti di forza economici, finanziari e, non ultimo, militari, glielo consentono». La Cina «rappresenta una torsione del sistema internazionale nella misura in cui i rapporti di forza glielo consentono». Il passaggio a politiche diverse, non liberiste? «E’ antisistema, nella misura in cui presuppone la rottura dell’ordine mondiale e della sua rete di trattati e accordi».Dunque, al di là della praticabilità di forme di lotta radicali, il problema si pone in termini diversi, ovvero: «Come maturare i rapporti di forza internazionali che consentano di aprire spazi a politiche sociali ed economiche non liberiste. Il che significa che l’asse dell’azione politica si sposta dall’arena nazionale a quella internazionale». Chi dunque potrebbe riaprire i giochi a livello globale? Non certo le sinistre riformiste (Spd, socialisti francesi e spagnoli, Labour party), che «perdono terreno e sono destinate all’estinzione o all’assorbimento organico nelle formazioni di destra, perché all’interno di questa cornice di sistema non possono avere altra sorte». Peggio ancora le sinistre “radicali” (Linke, Front de Gauche, Izquierda Unida, Rifondazione Comunista e Sel), che «stanno subendo lo stesso declino perché non hanno iniziativa politica e non possono averla, perché, incapaci di iniziativa internazionale (neppure a livello europeo), mancano di una proposta politica che non sia pura propaganda senza contenuto».Niente di buono neppure da Grecia e Spagna: secondo Giannuli, “Syriza” è destinata al fallimento «perché non trova supporto internazionale e perché non ha il coraggio di utilizzare l’unica arma (a doppio taglio) in suo possesso: il ricatto del debitore». Quanto a “Podemos”, che lo storico dell’ateneo milanese considera «una variante intermedia fra Sel ed il M5S», è destinata ad analogo insuccesso, «perché non pensa neppure di mettere in discussione la cornice europeista». E in Italia? «Il M5S temo sia destinato a schiantarsi contro le resistenze del sistema perché, pur avendo intuito che il nodo è quello dell’ordine internazionale (come dimostra la posizione sull’euro), non riesce ad articolare questa intuizione in un progetto politico adeguatamente articolato». Per Giannuli, il Movimento 5 Stelle «non svolge alcuna azione internazionale e, quando tenta qualcosa, sbaglia (leggi Ukip), perché non ha costruito uno strumento organizzativamente adeguato allo scontro».Come si vede siamo in un cul de sac, conclude Giannuli. Un vicolo cielo, «dal quale non usciremo né con improbabili referendum e colpi di testa, né con le solite alchimie di orrendi cartelli elettorali costruiti sul nulla». Il politologo vede solo una possibilità, in termini di avvicinamento preliminare alla soluzione, nella costruzione di una piattaforma europea delle opposizioni, ancorché debolissime e divise. «Sarebbe già un passo avanti una convenzione europea, nella quale “Podemos”, “Syriza”, M5S, la “sinistra radicale”, i restanti partiti comunisti e le sinistre socialdemocratiche concordino una o più campagne europee sulla ristrutturazione del debito, sull’uscita concertata dall’euro, la revisione dei principali accordi internazionali». Certo, ammette il professore, «non sarebbe la soluzione dei nostri problemi, ma un possibile inizio». L’unica opportunità da mettere in campo, perché «il resto è già votato al fallimento».Espropriati di ogni diritto, privati del lavoro, rasi al suolo come cittadini. E’ il nuovo ordine neoliberista, e non abbiamo scampo. Lo sostiene lo storico Aldo Giannuli, che analizza l’eclissi epocale della sinistra in ogni sua forma, da quella storica – assorbita nella socialdemocrazia – a quella “radicale”, che voleva cambiare il sistema ed è in via di completa estinzione. Peggio ancora: nessuna, delle nuove formazioni politiche che si affacciano tra le macerie dell’Europa, ha le carte in regola per progettare una via d’uscita. Siamo in trappola, schiacciati dal primo comandamento della “rivoluzione neoliberista”: lo Stato dei cittadini deve morire, per lasciar posto al primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica. Fine delle trasmissioni. Con tanti saluti alle illusioni del riformismo, che nei decenni del dopoguerra riuscì a convertire l’aspirazione rivoluzionaria in correzioni sociali all’interno del sistema, estensione del benessere relativo, ascensore sociale, garanzie, welfare. Tempo scaduto: i nuovi padroni del mondo non hanno più tempo per la democrazia, fabbricano leader-servi, impongono leggi, sbaraccano Costituzioni.
-
Renzi ha dimezzato i suoi voti: va rottamato, in tre mosse
Se nel Pd c’è ancora qualche testa pensante anche vagamente sensibile ai valori di “libertà e giustizia” che definiscono la sinistra (due condizioni che escludono d’emblée Bersani, D’Alema e compagnia cantando) già avrà individuato il “che fare”. In tre mosse. Primo: far cadere Renzi in una delle numerose fiducie che sarà costretto a porre per far passare in Parlamento le sue pimpanti controriforme. Secondo: chiedere allora un immediato congresso del Pd, con le stesse modalità e procedure che portarono Renzi a impadronirsi del partito, partecipazione/iscrizione dei cittadini anche al momento del gazebo, ecc. Terzo, in contrapposizione a Renzi candidare per la segreteria del Pd Maurizio Landini, e parallelamente chiedere al presidente Mattarella che al posto del governo sfiduciato, anziché sciogliere le camere, venga insediato un governo di “tregua repubblicana”, affidato tutto a personalità della società civile e capace di ottenere le convergenze autonome di parlamentari Pd, M5S e altri “volenterosi” sul programma e la credibilità dei ministri preposti a realizzarlo.La razionalità di questo “che fare” non è difficile da riscontrare. Renzi si accinge a completare la distruzione del Pd mutandolo in comitato elettorale personale, intenzione che del resto non aveva mai occultato. La sua politica, per profonda convinzione, è quella di realizzare la contro-rivoluzione di liberismo autocratico vagheggiata da Berlusconi ma restata in panne per i conflitti d’interesse e i crimini nell’armadio (sfociati finalmente in una condanna definitiva, dopo le tante sventate da leggi ad hoc e inciuci) e soprattutto per l’ondata di lotte civili, sociali, d’opinione, con cui la parte migliore della società civile ha saputo fare argine. In realtà il progetto politico di Renzi è la marchionizzazione del paese e delle istituzioni, e la contro-riforma della scuola ne costituisce la più luttuosa evidenza.Renzi è in questo momento debolissimo, malgrado il fumo negli occhi della quasi totalità dei mass media (mai come oggi a “bacio della pantofola” verso l’establishment: ma il “marchionnismo” non è anche questo?). In un anno ha perso la metà dei consensi. La metà, il 50%, un voto su due rispetto al bottino elettorale delle europee, ci rendiamo conto?! Si è letto che sono due milioni di voti, ma nelle sette regioni in cui si è votato. In proiezione nazionale sono cinque milioni e mezzo. Non un’emorragia, un dissanguamento da mattatoio. In un solo anno: quello che passa tra la fiducia dei cittadini al renziano dire, mirabolante, e il giudizio sul renziano fare, miserabile. Perdere in un anno un voto su due non è una “non sconfitta” o una “non vittoria”, è un tracollo, una disfatta, una gogna e rottamazione civica impietosa.Che quanto resti di “opposizione” nel Pd non colga l’attimo dimostrerebbe definitivamente che è ormai ridotta al livello del saracino Alibante di Toledo che “del colpo non accorto / Andava combattendo ed era morto” (Francesco Berni, “L’Orlando innamorato”, LII, 60). Se a questa “opposizione” resta invece ancora un barlume di “spiriti animali”, lucidità vuole che senza coltivare patetici propositi di riprendersi la ditta, decida di uscire di scena con un ultimo gesto di vitalità anziché nel vociare strozzato di un melmoso affondare. Alla vecchia nomenklatura non è data la rivincita, la vendetta sì. A Landini, l’unica vendetta a disposizione di questi burocrati che nessuno rimpiange, può riuscire, da posizioni opposte, di società civile “giustizia e libertà”, l’Opa sul Pd che è riuscita a Renzi or non è guari. La nemesi è nelle possibilità della situazione attuale, ma implica lucidità in tutti i soggetti qui evocati, e razionalità e coraggio sono i pregi che da più tempo latitano presso quanti si dichiarano di sinistra.(Paolo Flores d’Arcais, “Come rottamare Renzi, in tre mosse”, da “Micromega” del 2 giugno 2015).Se nel Pd c’è ancora qualche testa pensante anche vagamente sensibile ai valori di “libertà e giustizia” che definiscono la sinistra (due condizioni che escludono d’emblée Bersani, D’Alema e compagnia cantando) già avrà individuato il “che fare”. In tre mosse. Primo: far cadere Renzi in una delle numerose fiducie che sarà costretto a porre per far passare in Parlamento le sue pimpanti controriforme. Secondo: chiedere allora un immediato congresso del Pd, con le stesse modalità e procedure che portarono Renzi a impadronirsi del partito, partecipazione/iscrizione dei cittadini anche al momento del gazebo, ecc. Terzo, in contrapposizione a Renzi candidare per la segreteria del Pd Maurizio Landini, e parallelamente chiedere al presidente Mattarella che al posto del governo sfiduciato, anziché sciogliere le camere, venga insediato un governo di “tregua repubblicana”, affidato tutto a personalità della società civile e capace di ottenere le convergenze autonome di parlamentari Pd, M5S e altri “volenterosi” sul programma e la credibilità dei ministri preposti a realizzarlo.
-
Elezioni 2015, siamo al day-after di un sistema che muore
Il mio motto “Chi va a votare avvelena anche te, digli di smettere” ha trovato un altro 10% di cittadini stanchi di sedersi al tavolo assieme ai bari. Questa inesorabile costante avanzata verso la contestazione globale del sistema di rappresentanza fasulla che ci opprime da quaranta anni (iniziò nel ’76 col 14% di astenuti dal voto) questa volta ha fatto presa in particolare nelle cosiddette Regioni rosse dopo aver trionfato nelle scorse elezioni nelle zone in cui l’elettorato è stato tradizionalmente ostile al centro-sinistra. Anche il cemento armato della gestione clientelare dei governi a guida Pci-Pds-Ds-Pd ha mostrato di non reggere alla infiltrazione dell’acqua cheta dei cittadini che, sempre più numerosi, ripudiano i vecchi idoli e fanno crollare gli altari. Il paese sente di non essere governato e si ribella astenendosi dal partecipare ai ludi elettorali in maniera sempre più massiccia e sprezzante. La disaffezione porta l’anarchia in ogni aspetto della vita associata. La mini-astuzia ministeriale di far votare i cittadini a cavallo della festa della Repubblica e i soldi spesi per la campagna pubblicitaria di partecipazione non hanno funzionato.È un dialogo tra sordi. Il sistema sanitario veneto era già in pareggio prima della elezione dell’enologo Zaia (è l’eredità amministrativa austroungarica) e nessuno crede veramente che l’ennesimo cappone del pollaio di Berlusconi farà miracoli in Liguria. I successi dei provocatori Salvini e Grillo sono il sintomo di una malattia, non la cura. Gli italiani aspettano una NUOVA REPUBBLICA che stronchi la selezione a rovescio della classe dirigente che viene attuata a partire dal 1958 con la riforma Fanfani che aprì la porta delle candidature agli impiegati di partito. La disaffezione verso il sistema ha investito anche l’Europa che era la sola idea nuova scaturita dalle rovine della guerra mondiale. Ora è rappresentata da un vecchietto di modesta statura fisica e intellettuale, incapace di assorbire la crisi greca (tutta la Grecia rappresenta meno del 2% del prodotto lordo europeo: chi non può assorbire una perdita del 2%?).L’Europa non fa più figli e non vuole adottare quelli provenienti da altri continenti vicini. Li lasciamo annegare mentre noi anneghiamo in solitudine nei nostri eccessi di liquidità che non sappiamo più impiegare che per comprare obbligazioni di banche sclerotizzate. Le Regioni italiane non servono ad altro che ad arricchire alcune centinaia di impiegati delle segreterie di finti partiti che cercheranno di riempirsi le tasche prima del naufragio che sanno inevitabile. Saranno anche più avidi dei predecessori. Giolitti rimproverò Mussolini alla Camera, dicendo «questo governo mangia troppo», e Mussolini di rimando: «Anche ai suoi tempi si mangiava». Risposta di Giolitti: «Sì, ma si sapeva stare a tavola». Bei tempi.(Antonio De Martini, “Il day after di un sistema che muore”, dal “Corriere della Collera” del 1° giugno 2015).Il mio motto “Chi va a votare avvelena anche te, digli di smettere” ha trovato un altro 10% di cittadini stanchi di sedersi al tavolo assieme ai bari. Questa inesorabile costante avanzata verso la contestazione globale del sistema di rappresentanza fasulla che ci opprime da quaranta anni (iniziò nel ’76 col 14% di astenuti dal voto) questa volta ha fatto presa in particolare nelle cosiddette Regioni rosse dopo aver trionfato nelle scorse elezioni nelle zone in cui l’elettorato è stato tradizionalmente ostile al centro-sinistra. Anche il cemento armato della gestione clientelare dei governi a guida Pci-Pds-Ds-Pd ha mostrato di non reggere alla infiltrazione dell’acqua cheta dei cittadini che, sempre più numerosi, ripudiano i vecchi idoli e fanno crollare gli altari. Il paese sente di non essere governato e si ribella astenendosi dal partecipare ai ludi elettorali in maniera sempre più massiccia e sprezzante. La disaffezione porta l’anarchia in ogni aspetto della vita associata. La mini-astuzia ministeriale di far votare i cittadini a cavallo della festa della Repubblica e i soldi spesi per la campagna pubblicitaria di partecipazione non hanno funzionato.
-
Latouche: l’economia, una religione che distrugge la felicità
Considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.Per fare la pace dobbiamo abbandonarci all’abbondanza frugale, accontentarci. Dobbiamo imparare a ricostruire i rapporti sociali. E’ evidente che un certo livello di concorrenza porti beneficio a consumatori, ma deve portarlo a consumatori che siano anche cittadini. La concorrenza non deve distruggere il tessuto sociale. Il livello di competitività dovrebbe ricalcare quello delle città italiane del Rinascimento, quando le sfide era sui miglioramenti della vita. Adesso invece siamo schiavi del marketing e della pubblicità che hanno l’obiettivo di creare bisogni che non abbiamo, rendendoci infelici. Invece non capiamo che potremmo vivere serenamente con tutto quello che abbiamo. Basti pensare che il 40% del cibo prodotto va direttamente nella spazzatura: scade senza che nessuno lo comperi. La globalizzazione estremizza la concorrenza, perché superando i confini azzera i limiti imposti dallo Stato sociale e diventa distruttiva. Sapersi accontentare è una forma di ricchezza: non si tratta di rinunciare, ma semplicemente di non dare alla moneta più dell’importanza che ha realmente.Dalla concorrenza, i consumatori possono trarre benefici effimeri: in cambio di prezzi più bassi, ottengono salari sempre più bassi. Penso al tessuto industriale italiano distrutto dalla concorrenza cinese e poi agli stessi contadini cinesi messi in crisi dall’agricoltura occidentale. Stiamo assistendo a una guerra. Non possiamo illuderci che la concorrenza sia davvero libera e leale, non lo sarà mai: ci sono leggi fiscali e sociali. E per i piccoli non c’è la possibilità di controbilanciare i poteri. Siamo di fronte a una violenza incontrollata. Il Ttip, il trattato di libero scambio da Stati Uniti ed Europa, sarebbe solo l’ultima catastrofe: il libero scambio è il protezionismo dei predatori. Come si fa la pace? Dobbiamo decolonizzare la nostra mente dall’invenzione dell’economia. Dobbiamo ricordare come siamo stati economicizzati. Abbiamo iniziato noi occidentali, fin dai tempi di Aristotele, creando una religione che distrugge le felicità. Dobbiamo essere noi, adesso, a invertire la rotta. Il progetto economico, capitalista, è nato nel Medioevo, ma la sua forza è esplosa con la rivoluzione industriale e la capacità di fare denaro con il denaro.Eppure lo stesso Aristotele aveva capito che così si sarebbe distrutta la società. Ci sono voluti secoli per cancellare la società pre-economica, ci vorranno secoli per tornare indietro. Preferisco definirmi filosofo, anche se nasco come economista, perché ho perso la fede nell’economia. Ho capito che si tratta di una menzogna. L’ho capito in Laos, dove la gente vive felice senza avere una vera economia perché quella serve solo a distruggere l’equilibrio. E’ una religione occidentale che ci rende infelici. Ai vertici della politica gli economisti sono molti. Io mi sono allontanato dalla politica politicante, anche perché il progetto della decrescita non è politico, ma sociale. Per avere successo ha bisogno soprattutto di un movimento dal basso come quello neozapatista in Chiapas che poi si è diffuso anche in Ecuador e in Bolivia. Ma ci sono esempi anche in Europa: “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna si avvicinano alla strada. L’Expo? Non mi interessa. Non è una vera esposizione dei produttori, è una fiera per le multinazionali come CocaCola. Mi sarebbe piaciuto se l’avesse fatto il mio amico Carlo Petrini. Si poteva fare un evento come Terra Madre: vado sempre a Torino al Salone del Gusto, ma questo no, non mi interessa. E’ il trionfo della globalizzazione, non si parla della produzione. E poi non si parla di alimentazione: noi, per esempio, mangiamo troppa carne. Troppa, e di cattiva qualità.(Serge Latouche, dichiarazioni rilasciate a Giuliano Balestreri per l’intervista “L’economia ha fallito, il capitalismo è guerra, la globalizzazione violenza”, pubblicata da “Repubblica” il 10 maggio 2015).Considerare il Pil non ha molto senso: è funzionale solo a logica capitalista, l’ossessione della misura fa parte dell’economicizzazione. Il nostro obiettivo deve essere vivere bene, non meglio. Per anni abbiamo pensato proprio che la crescita permettesse di risolvere più o meno tutti i conflitti sociali, anche grazie a stipendi sempre più elevati. E in effetti abbiamo vissuto un trentennio d’oro, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio degli anni Settanta. Un periodo caratterizzato da crescita economica e trasformazioni sociali di un’intensità senza precedenti. Poi è iniziata la fase successiva, quella dell’accumulazione continua, anche senza crescita. Una guerra vera, tutti contro tutti. Sì, un conflitto che ci vede contrapposti gli uni agli altri per accumulare il più possibile, il più rapidamente possibile. E’ una guerra contro la natura, perché non ci accorgiamo che in questo modo distruggiamo più rapidamente il pianeta. Stiamo facendo la guerra agli uomini. Anche un bambino capirebbe quello che politici ed economisti fingono di non vedere: per definizione, una crescita infinita è assurda, in un pianeta finito, ma non lo capiremo finché non lo avremo distrutto.
-
Il Guardian: perché continuiamo ad eleggere questi idioti
Politici. La loro reputazione è davvero bassa. In tutta onestà, questa è di gran lunga la loro più grande colpa, ma sarebbe stupido pensare che ogni politico sia tale. Se tutti lo fossero, il mondo intero collasserebbe prima ancora che si possano pronunciare le seguenti parole: “posso mettere nel rimborso spese?”. Tutti pensano che i politici siano riprovevoli e quindi pensano sempre al peggio. Un politico mette in atto una cattiva politica? E’ una persona terribile. Cambia idea e fa retromarcia? È debole e non propenso alla leadership. I politici promettono miglioramenti (tagli delle tasse, aumento della spesa)? Naturalmente stanno mentendo. I politici promettono di fare qualcosa di non popolare (aumentare le tasse, tagliare la spesa)? Sarà una garanzia assoluta. È una situazione da cui nessuno esce vivo, quindi perché importunano? Molti politici sono nelle loro posizioni per scopi personali, ma sicuramente ce ne sono tanti che cercano realmente di fare del loro meglio e si rassegnano alle opinioni negative che ricevono.Dunque, per la cronaca, non tutti i politici sono idioti (sebbene la vostra definizione di idiota possa variare). Ma ne è comunque pieno. Gli Stati Uniti sembrano particolarmente toccati dalla questione; Sarah Palin, Ted Cruz, queste persone stavano/stanno contendendo la presidenza. Esempio: George W. Bush è stato presidente. Per 8 anni. L’uomo le cui stupide riflessioni sono state in grado di sostenere affari con un arsenale nucleare al suo comando. Non che il Regno Unito possa sentirsi compiaciuto, con il grado di comprovata idiozia che ha al suo interno. Michael Gove, Chris Graylng, Grant Shapps, Jeremy Hunt, David Tredinnick, un partito laburista ridicolo (un insieme di babbei), l’ascesa dell’Ukip e il caro sindaco Boris Johnson. Un gran numero di persone è pronto a dire che Boris Johnson sia davvero intelligente/pericoloso, e che stia solo facendo finta di essere un buffone. Ma questo supporta la nostra tesi: una persona intelligente deve fingersi stupida per raggiungere il successo politico.Cosa sta succedendo? In teoria, si dovrebbe voler avere una persona intelligente e che capisca l’approccio e i metodi migliori per governare un paese nel miglior modo possibile. Ma non è così, la gente sembra attratta da esempi di discutibile abilità intellettuale. Ci sono tutta una serie di fattori coinvolti tra cui quelli ideologici, culturali, sociali, storici, finanziari; i politici comprendono tutti questi aspetti, ma ci sono anche dei processi psicologici che contribuiscono a questo fenomeno. La sicurezza ispira sicurezza. Le persone sicure di sé sono più convincenti. È stato dimostrato in molti studi. La maggior parte di questi prende spunto dall’ambiente dell’aula di tribunale e suggerisce che un testimone sicuro è più convincente per la giuria rispetto a uno nervoso e titubante (il che ha ovviamente implicazioni preoccupanti per la giustizia), ma può essere dimostrato anche altrove. È un fenomeno che è stato sfruttato per decenni dai venditori di automobili e dagli agenti immobiliari. I politici ne sono chiaramente consapevoli, e così tutti i media e il management delle public relations; un politico che non si presenti convinto e sicuro di sé viene (metaforicamente) distrutto. Dunque la sicurezza è importante in politica.Comunque, l’effetto Dunning-Kruger rivela che le persone meno intelligenti sono incredibilmente sicure di sé. Le persone più intelligenti, al contrario, non lo sono. L’autovalutazione è un’utile abilità metacognitiva, ma richiede intelligenza; se non ne hai abbastanza, non ti consideri con difetti o ignorante, perché non ne hai l’abilità tecnica per farlo. Quindi se vuoi una persona intrinsecamente sicura di sé per rappresentare pubblicamente il tuo partito politico, una persona intelligente sarebbe una cattiva scelta sotto molti punti di vista. Tuttavia questo potrebbe avere un risvolto positivo; alcuni studi hanno evidenziato che quando si dimostra che una persona sicura di sé mente o si sbaglia, viene considerata decisamente meno affidabile e attendibile rispetto a una persona non sicura di sé. Questo può in parte spiegare la cattiva fama dei politici, che riguarda per lo più una serie di persuasive individuali grandi promesse e una serie di miserabili fallimenti nel riuscire a mantenerle. Queste cose disgustano i cittadini. Effettivamente, governare un paese di decine di milioni di persone, ciascuna delle quali ha diverse richieste e necessità, è un lavoro incredibilmente complicato. Ci sono talmente tante variabili che devono essere considerate. Sfortunatamente è impossibile far rientrare tutto ciò in una conveniente formula onnicomprensiva da usare con i media moderni, quindi le personalità cercano di venire alla ribalta più spesso. E le personalità meno intelligenti sono più sicure, quindi più persuasive e così via.La gente è spesso infastidita da temi intellettuali e complessi e più in generale dalle discussioni. Potrebbero non avere esperienza nel tema, o ritenere superfluo avvicinarsi per la quantità di tempo e di sforzo che sarebbe necessaria. Ma la politica, e in particolare la democrazia, richiede una partecipazione attiva delle persone. Diversi studi sulla personalità suggeriscono che molte persone dimostrano una propensione agli obiettivi, una “indole verso lo sviluppo o la dimostrazione di abilità a raggiungere delle situazioni”. Sentire che si sta attivamente influenzando qualcosa (per esempio le elezioni) è una motivazione potente, ma se un qualche tipo ben informato inizia a sparare paroloni su tassi di interesse o sulla mancata gestione dei fondi di health care, questi alienerebbe quelli che non seguono tali questioni e non se ne intendono. Quindi se una persona sicura di sé dice che c’è una soluzione semplice o promette di far sparire le cose difficili, loro sembrano molto più appagati.Questo è anche dimostrato dalla legge sulla banalità di Parkinson, secondo cui le persone passano molto più tempo e sforzo focalizzandosi su qualcosa di effimero che possono capire rispetto a qualcosa di complicato che non possono afferrare. Nella prima situazione, c’è una possibilità più ampia per la partecipazione e l’influenza. E la gente ama davvero le cose effimere, ergo le persone meno intelligenti riducendo i grandi problemi a rapidi (e inaccurati) ritagli sono potenziali vincitori del voto. Alla gente piace connettersi, comunicare. Una delle più citate frasi di George W. Bush era che la gente sentiva che avrebbe potuto “bersi una birra con lui”. Quindi, sentivano che potevano connettersi a lui, sentirlo vicino. Al contrario, l’elitarismo è una qualità negativa. L’idea che coloro che governano il paese siano al di fuori delle norme della società è allarmante per molti e da qui i costanti sforzi dei politici per “rientrare” nella definizione.La maggior parte della gente è naturalmente propensa a preconcetti inconsci, pregiudizi, stereotipi, e preferisce stare nei propri “gruppi”. Nessuna di queste cose è particolarmente logica né supportata da realtà o indizi evidenti e alle persone davvero non piace che venga detto loro quello che non vogliono sentirsi dire. La gente è anche terribilmente attaccata allo status sociale; abbiamo bisogno di sentirci superiori agli altri per pensare che continuiamo a valere la pena. Come risultato, qualcuno più intelligente dicendo cose complicate che contengono fatti scomodi (e accurati) non susciterà interesse alcuno, e qualcuno chiaramente meno intelligente che non andrà a turbare la percezione dello status sociale se dirà cose semplici e magari intrinseche di pregiudizi che negano quei fatti scomodi, ancora meglio. È una situazione infelice, ma questo sembra essere il modo in cui funziona la mente delle persone. C’è molto di più di quanto detto in queste righe, ma includendo più aspetti avremmo reso il tutto più complicato e questo, come risulta da quanto detto fino ad ora, non è il modo per far piacere le cose alla gente.(Dean Burnett, “Perché continuamo a eleggere degli idioti – democrazia vs psicologia”, dal “Guardian” del 28 aprile 2015, tradotto da Guendalina Anzolin per “Come Don Chisciotte”).Politici. La loro reputazione è davvero bassa. In tutta onestà, questa è di gran lunga la loro più grande colpa, ma sarebbe stupido pensare che ogni politico sia tale. Se tutti lo fossero, il mondo intero collasserebbe prima ancora che si possano pronunciare le seguenti parole: “posso mettere nel rimborso spese?”. Tutti pensano che i politici siano riprovevoli e quindi pensano sempre al peggio. Un politico mette in atto una cattiva politica? E’ una persona terribile. Cambia idea e fa retromarcia? È debole e non propenso alla leadership. I politici promettono miglioramenti (tagli delle tasse, aumento della spesa)? Naturalmente stanno mentendo. I politici promettono di fare qualcosa di non popolare (aumentare le tasse, tagliare la spesa)? Sarà una garanzia assoluta. È una situazione da cui nessuno esce vivo, quindi perché importunano? Molti politici sono nelle loro posizioni per scopi personali, ma sicuramente ce ne sono tanti che cercano realmente di fare del loro meglio e si rassegnano alle opinioni negative che ricevono.
-
Cremaschi: chi spacca vetrine e chi sta sfasciando l’Italia
Le reazioni delle istituzioni, dei mass media e dell’opinione pubblica agli incidenti innescati dai black bloc a Milano per l’inaugurazione dell’Expo «hanno mostrato quanto sia oramai devastato lo spirito democratico in questo paese», nonostante la comprensibile indignazione per le 50 auto incendiate e le 15 vetrine devastate. Quanto accaduto, comunque, non è minimamente paragonabile ad altri disordini in città europee: molto peggiore il bilancio a Francoforte all’apertura della nuova sede della Bce, per non parlare di quello che ormai accade normalmente negli Usa, o della rivolta nelle strade di Rio alla vigilia dei mondiali di calcio. Compassionevoli e comprensivi coi problemi lontani, ma «appena questo disagio è comparso in casa nostra, i più moderati tra i commentatori di palazzo hanno chiesto la legge marziale», osserva Giorgio Cremaschi. «Il peggiore mi è apparso il sindaco di Milano. Il grido di sapore biblico da lui lanciato, “nessuno tocchi Milano”, che cosa vuol dire, che altrove si può? E quando la città è stata devastata da ruberie, tangenti, mafie, disoccupazione, devastazioni ambientali, vetrine a migliaia chiuse in periferia per lo strangolamento della crisi e delle banche, non è stata toccata allora Milano?».Certo, continua Cremaschi su “Micromega”, scendere in piazza in quei frangenti «era più duro e rischioso, magari si sarebbero pestati i piedi a qualche potere forte». Ma la vera indignazione, aggiunge l’ex dirigente sindacale della Fiom, è stata in realtà per l’immagine dell’Expo offuscata dai disordini. “L’Expo dà lavoro”, ha detto rabbioso uno dei pulitori volontari, rivolto a una ragazza coraggiosa che provava a discutere con i cittadini indignati. “Modello Expo” si disse da destra e da sinistra quando Confindustria e istituzioni insieme a Cgil, Cisl e Uil firmarono l’accordo che autorizzava poco lavoro sottopagato e tanto gratuito. “Modello Expo” si aggiunge ora, «quando gli ipocriti della sinistra benpensante e ancora meglio retribuita hanno presentato la fiera come una specie di Social Forum di sei mesi, impegnato a trovare e ricette contro la fame nel mondo». “Modello Expo” ha chiarito Renzi, «celebrando la fiera come occasione di grandi affari, proprio per questo appaltata a quelle multinazionali che, dice Vandana Shiva, affamano il pianeta».L’Expo è una fiera che serve a mostrare quanto è vendibile il nostro paese, il suo ambiente, il suo lavoro: l’Italia è sul mercato, e Expo ne è la vetrina. «Questa è la vera risposta alla crisi che Renzi propone e sulla quale, assieme a tutto il potere economico che lo sostiene, gioca la partita del consenso». Ovvero: «Basta con i vecchi scrupoli, i lacci e lacciuoli che frenano lo sviluppo. Basta con l’articolo 18 e con i vincoli ambientali, ha promesso Renzi alla Borsa. Basta con i diritti, rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro. E chi pone ostacoli è contro la nazione». Un «messaggio reazionario di massa», che di fatto «ha conquistato un Pd sconfitto e rassegnato nei suoi valori, sottomesso al capitalismo globalizzato e alla ricchezza, ma abbarbicato al potere». Renzi? «E’ la sintesi perfetta di questa storia politica e per questo ridicolizza ogni opposizione interna, così come rende oramai inutile la vecchia destra berlusconiana». Con il Jobs Act, la “buona scuola” e l’Italicum, «il governo ha devastato ciò che restava dei principi e delle regole fondanti la nostra Costituzione: resta solo da cambiare l’articolo uno, sostituendo “lavoro” con “mercato” e “popolo” con “leader”, e poi tutto è fatto».Questa Italia sul mercato è quella che ha assunto l’Expo come bandiera, continua Cremaschi. La maggioranza del paese è d’accordo? «Può essere, ma essa non è tutto e chi è contro non è piccola cosa. Solo che chi non accetta questo modello sociale e politico non ha diritto a veder riconosciute le proprie posizioni. La controriforma costituzionale di Renzi afferma la dittatura della maggioranza, anzi della più grossa minoranza. E sopra questo governo neoautoritario sta il potere delle Troika finanziaria e burocratica che comanda in Europa». La Grecia? «Non può decidere liberamente di non far morire di fame i disoccupati, perché, come si diceva una volta, è un paese a sovranità limitata». Nei fatti, «un potere sempre più chiuso e autoritario è poi sostenuto da un sistema mediatico embedded, come la stampa che seguiva sui carri armati le guerre di Bush». Che gli incidenti abbiano oscurato le ragioni dei manifestanti della Mayday di Milano non è vero, obietta Cremaschi: «Il 28 febbraio in diecimila abbiamo manifestato a Milano contro il Jobs Act e il lavoro gratuito per Expo. Eravamo in gran parte militanti del sindacalismo di base e della corrente di opposizione in Cgil, moltissimi erano i migranti. È stata una manifestazione serena e viva che si è conclusa con una assemblea popolare in piazza S.Babila. Non abbiamo lasciato per terra neppure le carte delle caramelle e siamo stati semplicemente ignorati dal circuito dei mass media». D’altra parte, dove mai ci sono stati pubblici confronti sulle ragioni dei NoExpo? Dove si sono potute liberamente confrontare le due diverse posizioni?«Non facciamo gli ipocriti, chi è contro il dominio di imprese e mercato nell’Italia di oggi è sostanzialmente clandestino, e se prova a metter fuori la testa c’è chi minaccia di tagliargliela». I tranvieri di Milano hanno scioperato il 28 aprile contro i turni gravosi e pericolosi imposti per Expo. Apriti cielo, ministri della Repubblica han chiesto di liquidare il diritto di sciopero e i più moderati hanno aggiunto: solo durante le fiere. In questi giorni, aggiunge Cremaschi, in Germania i macchinisti dei treni scioperano per sei giorni di seguito bloccando il paese, ma nessun governante chiede leggi speciali. «Da noi avremmo talkshaw ove tra gli applausi si invocherebbe la galera». Subito dopo i fatti di Milano, Renzi è stato contestato pacificamente a Bologna, «ma non uno dei telegiornali ha fatto vedere gli insegnanti precari bastonati duramente dalla polizia». Per Cremaschi, «c’è una sordità e una prepotenza del potere che porta naturalmente alla ribellione di chi non ci sta. E chi si ribella lo fa nei modi che questa società stessa offre». Quindi, «non si può distruggere la Costituzione nata dalla Resistenza, ridurre tutto a merce e mercato e poi usare il linguaggio della Prima Repubblica quando si spaccano le vetrine». La fine dei partiti di massa, dei diritti sindacali, del welfare? Una catastrofe. Per loro, invece, è “il progresso”. «Di questo progresso i fatti di Milano sono inevitabile conseguenza».Le reazioni delle istituzioni, dei mass media e dell’opinione pubblica agli incidenti innescati dai black bloc a Milano per l’inaugurazione dell’Expo «hanno mostrato quanto sia oramai devastato lo spirito democratico in questo paese», nonostante la comprensibile indignazione per le 50 auto incendiate e le 15 vetrine devastate. Quanto accaduto, comunque, non è minimamente paragonabile ad altri disordini in città europee: molto peggiore il bilancio a Francoforte all’apertura della nuova sede della Bce, per non parlare di quello che ormai accade normalmente negli Usa, o della rivolta nelle strade di Rio alla vigilia dei mondiali di calcio. Compassionevoli e comprensivi coi problemi lontani, ma «appena questo disagio è comparso in casa nostra, i più moderati tra i commentatori di palazzo hanno chiesto la legge marziale», osserva Giorgio Cremaschi. «Il peggiore mi è apparso il sindaco di Milano. Il grido di sapore biblico da lui lanciato, “nessuno tocchi Milano”, che cosa vuol dire, che altrove si può? E quando la città è stata devastata da ruberie, tangenti, mafie, disoccupazione, devastazioni ambientali, vetrine a migliaia chiuse in periferia per lo strangolamento della crisi e delle banche, non è stata toccata allora Milano?».
-
Maastricht? Non ci risulta: la rovina dell’Italia siamo noi
L’Italia sprofonda in una crisi senza uscita? Tutta colpa nostra. Siamo pigri, ignoranti, poco innovativi e anche disonesti, vista l’elevata evasione fiscale. Per non parlare del debito pubblico, troppo elevato rispetto al Pil. Nonostante le analisi di prestigiosi economisti, ormai diventate un coro di fronte allo sfacelo planetario dell’Ue e dell’Eurozona, resta ben viva sui media la voce del mainstream, secondo cui il debito sovrano è un problema, anziché un insostituibile motore di sviluppo. Visione alla quale non si sottraggono osservatori come Guglielmo Forges Davanzati, per i quali, semplicemente, l’Italia ha perso il passo già negli anni ‘90. Il male oscuro? Non il Trattato di Maastricht, non lo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la “privatizzazione” del debito, consegnato alla speculazione finanziaria internazionale, ma la mancanza di adeguate politiche industriali per consentire al made in Italy di continuare a competere col resto del mondo.I governi che si sono succeduti a partire dagli anni ottanta, scrive Davanzati su “Micromega”, hanno rinunciato ad attuare politiche industriali, confidando nella presunta “vitalità” della nostra imprenditoria, fidando nella filosofia del “piccolo è bello”. La costante riduzione della domanda interna, aggiunge l’analista, è derivata non solo dalla riduzione di consumi e investimenti privati, «ma soprattutto da riduzioni della spesa pubblica e continui aumenti della pressione fiscale». Chi e perché ha indotto quelle politiche? Davanzati non lo spiega, preferendo concentrarsi sul loro esito disastroso: i tagli alla spesa hanno indebolito il sistema e il declino della domanda interna ha ridotto i mercati di sbocco, mettendo in crisi la maggioranza delle aziende (medio-piccole), fortemente dipendenti dal credito bancario. Poi, la crisi dei mutui subprime negli Usa è rimbalzata nella cosiddetta crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona, con caduta della domanda globale, riduzioni dell’export, austerity, esplosione paurosa della disoccupazione.Unica mossa tentata: detassare e precarizzare il lavoro. Misura ingiusta e comunque insufficiente: «Se le aspettative sono pessimistiche gli investimenti non vengono effettuati e il solo effetto che può verificarsi è un aumento dei profitti netti». Giocare al ribasso, inoltre, disincentiva l’innovazione delle imprese. Servirebbe il contrario del Jobs Act, e cioè regole rigide e tutele per i dipendenti. Davanzati cita Keynes: «Se si paga meglio una persona si rende il suo datore di lavoro più efficiente, forzandolo a scartare metodi e impianti obsoleti, affrettando la fuoriuscita dall’industria degli imprenditori meno efficienti, elevando così lo standard generale». In altri termini, sostiene Davanzati, politiche di alti salari combinate con maggiore rigidità del rapporto di lavoro possono generare una condizione che aiuta le imprese a migliorare e crescere, puntando proprio sull’innovazione, senza contare che salari più alti «contribuiscono a tenere elevata la domanda aggregata, generando un potenziale circolo virtuoso di alta domanda ed elevata produttività».E’ esattamente il contrario di quanto è accaduto in Italia nell’ultimo ventennio, chiosa Davanzati. Già, ma perché è accaduto? Italiani pasticcioni o traviati da manovratori occulti? Nino Galloni, economista della Sapienza e già super-tecnico al ministero del bilancio, chiarisce: prima ancora del terremoto della globalizzazione, i guai veri per l’Italia sono cominciati nel 1981, quando la Banca d’Italia ha cessato di fare da “bancomat del governo”, costringendo l’esecutivo ad avvalersi dei titoli di Stato, acquistati dalla finanza internazionale, come fonte primaria di finanziamento pubblico. Immediata l’esplosione del debito, divenuta catastrofica con l’adozione dell’euro, moneta non più emessa dall’Italia. Galloni sintetizza: l’Italia non stava sulla luna, ma nell’Europa in cui la Francia di Mitterrand impose l’euro alla Germania che voleva la riunificazione tedesca del 1989. Kohl accettò a una condizione: che venisse sabotato il sistema industriale italiano, cioè il maggior concorrente dell’export di Berlino. A valle, quindi, gli inevitabili “errori” nella politica industriale, gli “incomprensibili” ritardi, i fallimenti a catena.Craxi fu il primo a profetizzare che, con Maastricht, l’Italia ci avrebbe rimesso le penne. Andreotti provò a resistere. E Galloni racconta che lo stesso Kohl fece pressioni, personalmente, per allontanare dal governo i funzionari come Galloni, che i “titoli di coda” per l’economia nazionale li avevano già visti alla fine degli anni ‘80. Fino a qualche anno fa, il fatidico meeting del Britannia per la svendita dell’Italia e la sua deindustrializzazione forzata era relegato tra le pieghe della letteratura “cospirazionista”, così come le pagine di libri usciti in questi anni, per esempio “Il golpe inglese”, di Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino (Chiarelettere). A bordo del Britannia nel ‘92 c’era Draghi, allora al Tesoro, poi promosso governatore di Bankitalia e oggi alla guida della Bce. Ciampi, al vertice della Banca d’Italia all’epoca del divorzio dal governo, venne eletto addirittura al Quirinale. Nessi impossibili da ignorare, a proposito di “strano” declino del made in Italy.Un altro luogo comune, citato dallo stesso Davanzati che parla di “ipertrofia” dell’apparato pubblico (in linea con la retorica padronale di Renzi), riguarda il presunto peso della pubblica amministrazione: secondo l’Eurispes, in Italia si contano 58 impiegati pubblici ogni 1.000 abitanti contro i 135 della Svezia, i 94 della Francia, i 92 del Regno Unito, i 65 della Spagna e i 54 della Germania. Inoltre, negli ultimi 10 anni l’Italia ha visto diminuire i propri dipendenti pubblici del 4,7%, mentre tutti gli altri hanno assunto: +36,1% in Irlanda, +29,6% in Spagna, +12,8% in Belgio e +9,5% nel Regno Unito. Il pubblico impiego da noi pesa per l’equivalente dell’11,1% del Pil. Anche in questo caso, la vituperata burocrazia pubblica italiana si attesta in realtà su numeri tra i più bassi in Europa: in Danimarca il costo del pubblico impiego è pari al 19,2% del Pil, in Svezia e Finlandia al 14,4% mentre Francia, Belgio e Spagna spendono, rispettivamente, il 13,4%, il 12,6% e l’11,9% del Pil. Tutti, ma proprio tutti, più dell’Italia.Paolo Barnard ha spesso citato analoghe statistiche sul tasso di produttività: quello dei lavoratori italiani surclassa, storicamente, la capacità produttiva dei mitici lavoratori tedeschi. Com’è noto, Barnard si distingue per l’acutezza spietata dall’analisi: il sabotaggio dell’economia italiana a vantaggio dell’élite finanziaria straniera, con la necessaria complicità di “collaborazionisti” nostrani ricompensati con carriere d’oro, si sviluppa negli ultimi decenni in perfetta ottemperanza del famigerato “Memorandum” di Lewis Powell, l’avvocato di Wall Street incaricato già all’inizio degli anni ‘70 di stilare un vademecum per consentire agli oligarchi di liquidare la sinistra negli Usa e in Europa. Istruzioni eseguite alla lettera: “comprare” i leader di partiti e sindacati per indurli a varare norme contro i lavoratori, infiltrare università, giornali, televisioni e sistema editoriale per forgiare il dogma del pensiero unico neoliberista, cioè la fine dello Stato sovrano, la Costituzione democratica nata dalla Resistenza per tutelare i cittadini con pari diritti e pari opportunità.Con Renzi siamo all’atto finale, la privatizzazione universale definitiva. Non manca chi invoca una politica diversa e magari salari più alti. Già, ma con che soldi? Senza più moneta sovrana, lo Stato ora è in bolletta ed è costretto a super-tassare: lo Stato “risparmia”, quindi condanna aziende e famiglie. Siamo arrivati al puro delirio del pareggio di bilancio: lo Stato ridotto a colonia, impossibilitato a spendere, costretto a restituire ogni centesimo e con gli interessi, come se non fosse più un ente pubblico ma una semplice azienda privata, una normale famiglia alle prese con un debito contratto con la banca. Eppure, il mainstream continua a trascurare la portata termonucleare dell’euro-cataclisma, la fine dell’interesse pubblico, la morte clinica degli investimenti capaci di produrre occupazione. E in pieno 2015 preferisce continuare a parlare di errori, ataviche pigrizie e imperdonabili miopie nella piccola e provinciale Italietta, incapace – per tara genetica – di sviluppare una seria politica industriale.L’Italia sprofonda in una crisi senza uscita? Tutta colpa nostra. Siamo pigri, ignoranti, poco innovativi e anche disonesti, vista l’elevata evasione fiscale. Per non parlare del debito pubblico, troppo elevato rispetto al Pil. Nonostante le analisi di prestigiosi economisti, ormai diventate un coro di fronte allo sfacelo planetario dell’Ue e dell’Eurozona, resta ben viva sui media la voce del mainstream, secondo cui il debito sovrano è un problema, anziché un insostituibile motore di sviluppo. Visione alla quale non si sottraggono osservatori come Guglielmo Forges Davanzati, per i quali, semplicemente, l’Italia ha perso il passo già negli anni ‘90. Il male oscuro? Non il Trattato di Maastricht, non lo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la “privatizzazione” del debito, consegnato alla speculazione finanziaria internazionale, ma la mancanza di adeguate politiche industriali per consentire al made in Italy di continuare a competere col resto del mondo.
-
Schiavisti: chi spara sui barconi sta già sparando su di noi
Il film “Amistad” di Spielberg, che narra la storia vera di schiavi ribellatisi su una nave ai propri negrieri e finiti così negli Stati Uniti, si conclude con il bombardamento da parte della flotta britannica del forte schiavista di Lomboko, sulle coste dell’attuale Sierra Leone. Magari questa storia del primo 800 avrà ispirato Matteo Renzi e quanti nella Ue pensano di affrontare le migrazioni con il bombardamento dei barconi, ma è proprio la falsità e la malafede del paragone a definire tutta l’infamia di questa intenzione. Nel 1839 gli africani della nave Amistad erano stati rapiti e consegnati ai mercanti di schiavi europei, molti gli italiani tra questi, per essere trasportati e venduti nel sud degli Stati Uniti. La loro ribellione li fece approdare al Nord ove, dopo un celebre processo, furono liberati. Essi allora chiesero e ottennero di essere riportati in Africa. Ecco il punto fondamentale di differenza: coloro che muoiono o approdano sulle nostre coste non sono stati rapiti e non vogliono tornare a casa, essi sono semplicemente migranti.La cattiva coscienza europea usa il paragone con la tratta degli schiavi per spargere un belletto di umanità e progresso sopra una bieca scelta di respingimento. La differenza tra Renzi e Salvini è che il primo dice di ispirarsi a Lincoln mentre il secondo imita il Ku Klux Klan. Ma entrambi alla fine sono per il respingimento dei migranti, che – lo ripeto perché non pare sufficientemente chiaro – vengono qui volontariamente e volontariamente non tornerebbero mai là da dove, pagando e rischiando la vita, sono partiti. Certo che organizzazioni criminali lucrano su di loro e aggiungono ferocia a ferocia. Nel 1946 decine di migranti clandestini italiani che volevano raggiungere la Francia furono abbandonati dai loro caporali in mezzo a una tormenta di neve. In gran parte furono salvati dai carabinieri, ma poi riprovarono a passare di là. Nessuno di loro pensò di tornare nella miseria delle campagne meridionali devastate dal latifondo e dalla mafia.La stupidità e la malafede di chi trasforma la questione sociale delle migrazioni in una operazione di polizia contro le mafie degli scafisti la dice lunga sulla ottusità con cui è governata l’Europa. Sì perché i migranti sono, lo ripeto ancora, volontari; e non è certo colpendo chi specula sui loro bisogni che quei bisogni si cancellano. Siamo in troppi, scrive anche un intellettuale illuminato come Claudio Magris. Che paragona il nostro paese, o forse tutta l’Europa, a un ospedale pieno, nel quale sarebbe un disastro far entrare migliaia di persone. A parte il fatto che di fronte ad una emergenza, un ospedale cerca sempre di organizzarsi per aiutare più persone possibile. Come ben sanno i medici palestinesi che in piccoli ospedali a Gaza han prestato assistenza a migliaia di persone colpite dalle bombe di Israele. Ma a parte la singolare interpretazione del giuramento di Ippocrate da parte di Magris, chi ha deciso che l’Europa è una clinica a numero chiuso?Chi lo ha deciso? Sono state le politiche di austerità rigore e pareggio di bilancio. Quanto costerebbe stabilire dei corridoi umanitari, investire con un piano di veri aiuti nei paesi da cui i disperati fuggono, stabilire un percorso di accoglienza e al tempo stesso di ricostruzione? Non sono in grado di fare un conto per tutte le aree da cui partono i migranti, ma so che a Gaza erano stati promessi 3,5 miliardi di euro che il milione di abitanti di quell’area devastata non ha neppure intravisto. Sono tanti soldi? Ma ci ricordiamo che il Quantitative Easing di Draghi finanzia le banche europee, Grecia esclusa, con 60 miliardi al mese? E tutte le missioni militari contro il terrorismo che quando non uccidono cooperanti provocano milioni di profughi, quanto costano? Ma la povera Mogherini dovrà occuparsi di trovare la via legale per bombardare i barconi.Ma poi siamo troppi in che senso? Certo è facile far credere che in Europa 50 milioni di disoccupati siano minacciati dal possibile arrivo di qualche milione di profughi. È facile a condizione però che li si convinca che contro le politiche di austerità non c’è nulla da fare. Eppure se tutti i paesi europei rinunciassero alle politiche di austerità e allargassero i cordoni della borsa per creare sul serio lavoro, se i disoccupati europei ed italiani cominciassero davvero a ridursi di numero ed i salari di chi lavora ad aumentare, se la scuola, la sanità e i servizi pubblici riprendessero a garantire le loro prestazioni ai cittadini, se le nostra società riprendessero a cercare la giustizia sociale, perché non sarebbe possibile aggiungere posti a tavola? La verità è che la teoria e la pratica del respingimento dei migranti serve perfettamente a giustificare la distruzione della eguaglianza sociale in Europa. Anzi serve a creare consenso verso di essa: “Avete visto quanti milioni di persone vogliono venire qui? E voi poveri che qui già vivete baciate questa terra e soprattutto ringraziate chi la protegge”.Da tempo non credo che la disoccupazione di massa sia un incidente o un prezzo da pagare e sono invece convinto che sia perfettamente voluta per affermare quella società di mercato voluta dalla finanza globalizzata. Ora sono anche convinto che la politica del respingimento dei migranti sia altrettanto voluta e per le stesse ragioni. Per questo penso che Matteo Salvini e quelli come lui siano solo utili idioti di un disegno ben più sofisticato a cui fa comodo anche la loro squallida rozzezza. Chi difende il rigore economico europeo promuove il respingimento dei migranti, chi diffonde paura e odio verso i migranti difende il rigore economico europeo. Per questo trovo insopportabili sia il razzismo sia l’ipocrisia di Stato che gli si oppone mentre nei fatti lo alimenta. Gli schiavisti sono tra noi.(Giorgio Cremaschi, “Gli schiavisti stanno tra noi”, da “Micromega” del 25 aprile 2015).Il film “Amistad” di Spielberg, che narra la storia vera di schiavi ribellatisi su una nave ai propri negrieri e finiti così negli Stati Uniti, si conclude con il bombardamento da parte della flotta britannica del forte schiavista di Lomboko, sulle coste dell’attuale Sierra Leone. Magari questa storia del primo 800 avrà ispirato Matteo Renzi e quanti nella Ue pensano di affrontare le migrazioni con il bombardamento dei barconi, ma è proprio la falsità e la malafede del paragone a definire tutta l’infamia di questa intenzione. Nel 1839 gli africani della nave Amistad erano stati rapiti e consegnati ai mercanti di schiavi europei, molti gli italiani tra questi, per essere trasportati e venduti nel sud degli Stati Uniti. La loro ribellione li fece approdare al Nord ove, dopo un celebre processo, furono liberati. Essi allora chiesero e ottennero di essere riportati in Africa. Ecco il punto fondamentale di differenza: coloro che muoiono o approdano sulle nostre coste non sono stati rapiti e non vogliono tornare a casa, essi sono semplicemente migranti.