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Carpeoro: come gli Illuminati hanno infiltrato l’America
Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.«Ma attenzione: gli Illuminati di oggi non hanno nulla a che vedere con i fondatori, tedeschi, di un’ideologia che era l’opposto del Nuovo Ordine Mondiale». Erano idee libertarie, su cui si fondò il primo socialismo utopistico, pre-marxista, di Saint-Simon, Blanc, Prudhomme. La parola “illuminati” richiama direttamente il ‘700, il clima culturale del secolo dei Lumi, racconta Carpeoro in una conversazione con Benedetto Sette, pubblicata su YouTube. Tramite i suoi esponenti di punta, come Diderot e d’Alembert, fondatori dell’“Encyclopédie”, l’Illuminismo «voleva restituire, a una civiltà dominata da poteri assoluti, autocratici e autoritari, l’equilibrio consentito dai “lumi” della ragione». Nella Francia del ‘700, la ragione viene posta al di sopra di ogni altra cosa: «D’altro canto, una cinquantina di anni prima, Cartesio sosteneva il “cogito ergo sum”, cioè che l’essere è dato dal pensare». E quindi: «Poter mettere in discussione qualunque cosa è giusto. L’importante, però, è non sostituire vecchi dogmi con nuovi dogmi, sul piedestallo di una finta razionalità: questo crea nuove ingiustizie».Ed è esattamente quello che è accaduto agli Illuminati, nella loro parabola: se gli ideologi tedeschi erano partiti dall’idealismo egualitario e proto-socialista, i loro epigoni americani (auto-proclamatisi “eredi” degli Illuminati di Baviera) sono diventati i massimi guardiani dello status quo, del potere oligarchico in mano a pochissimi. Tutto nasce il 1° maggio del 1776 a Ingolstadt, nel sud della Germania, dove il professor Johann Adam Weishaupt, docente di giurisprudenza, fonda la confraternita degli Illuminati di Baviera. Obiettivo: una società più giusta, liberata dall’arbitrio di un potere fondato sul dominio. Una prospettiva rivoluzionaria, a partire dall’abolizione del tabù assoluto, la proprietà privata. «Weishaupt era un massone tedesco che aveva nel suo progetto la creazione di un livello superiore alla massoneria», racconta Carpeoro. L’ideologo degli Illuminati di Baviera si muove come un altro massone libertario, il francese Louis Claude de Saint-Martin, che aveva creato quello che chiamava Ordine dei Perfettibili. Matrice comune: i Rosacroce, la leggendaria “fratellanza” che accomunò Dante Alighieri e Giordano Bruno, fino a Goethe, Victor Hugo e oltre, verso la prospettiva di un’umanità liberata dal bisogno e dalla paura.Lo statuto elaborato da Weishaupt «ha come presupposti l’abolizione della proprietà privata e l’allargamento progressivo della scala di interessi: individui e popoli devono sempre porsi al di sotto di un ordine superiore, cioè l’interesse di tutti, dell’umanità, del mondo». Il principio mistico-religioso è di origine gnostica, continua Carpeoro. E Weishaupt parte dall’opera di Comenius, che era anch’esso un Rosacroce, al secolo Jan Amos Komenský. «Fu l’ultimo di quei Rosacroce che avevano teorizzato la costruzione della società perfetta: Francesco Bacone con la “Nuova Atlantide”, Tommaso Campanella con “La città del sole”, Tommaso Moro con “Utopia”; lo stesso rifondatore dei Rosacroce, Johann Valentin Andreae, scrisse un’opera che si chiamava “Christianopolis” o “Viaggio all’isola di Caphar Salama”». Stesso tema: un mondo di cittadini liberi e consapevoli, con pari diritti. «Ben presto, però, Weishaupt si accorge che un ideale di questo tipo deve fare i conti col potere: deve cioè diventare un’organizzazione di potere». All’inizio, i primi Illuminati hanno un enorme successo: partono dalla Baviera, ma le loro idee finiscono per conquistare tutta la Germania. «Weishaupt diventa un interlocutore privilegiato dei malgravi tedeschi, dei potenti. E all’ombra di questo progetto abbastanza idealista nasce quindi una struttura dalle forti connotazioni pratiche».Così, inevitabilmente, affiorano i primi problemi: alla fine del ‘700, al movimento aderisce il barone Adolf von Knigge, «colui che dà la svolta vera alla società degli Illuminati come struttura», creando «una struttura di potere, di gestione e direzione unica della società». Fatale lo scontro con Weishaupt, «un idealista con la mania dei rituali magico-esoterici». Quei rituali gli varranno l’accusa di “gesuitismo” e autoritarismo. La realtà è un’altra: i baroni, che pure hanno aderito allo slancio ideolgico iniziale, capiscono che l’egualitarismo di Weischaupt mette in pericolo i loro privilegi. Sarà Federico II di Prussia a sciogliere ufficialmente la società, per legge. E Weishaupt morirà povero solo, in esilio, abbandonato da tutti, nel 1830. «La storia degli Illuminati di Baviera finisce qui», sottolinea Carpeoro: «Non è mai andata oltre la dimensione territoriale della Germania». Come dire: gli Illuminati successivi, che giureranno di ispirarsi a Weischaupt, non hanno mai avuto alcuna relazione diretta con il movimento tedesco. Non solo: se i primi neo-Illuminati americani avevano ancora, in parte, qualche germe idealistico nella loro ideologia, i successori hanno fatto piazza pulita di qualsiasi istinto democratico, divenendo la punta di lancia dell’élite finanziaria che oggi domina il pianeta.Il passaggio cruciale è la nascita degli Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776. Siamo ancora nel secolo dei Lumi, ma dall’altra parte dell’Oceano. Le idee viaggiano: il fondatore, George Washington, massone, è anch’egli un iniziato Rosacroce. «Succede che quando Washington giura come presidente – racconta Carpeoro – alcuni americani dichiarano di ispirarsi al modello degli Illuminati tedeschi, pur senza aver mai avuto alcun rapporto con essi. Ma è lo stesso Washington a sconfessarsi totalmente. In una lettera aperta a un giornale, avverte: mai e mai poi mai le idee dei nuovi Illuminati avrebbero dovuto prendere possesso dell’America». Bel problema: «Siccome Washington era anche il capo della massoneria americana – continua Carpeoro – questi signori capirono che dovevano inquinare la massoneria, per riuscire ad arrivare al potere negli Stati Uniti. E lo fecero utilizzando tutti coloro che avevano perso la guerra civile americana, quindi una serie di personaggi sudisti, cioè schiavisti, che vennero infiltrati nella massoneria, resero gran parte della massoneria americana conservatrice e reazionaria, e poi elaborarono le teorie dei Nuovi Illuminati».I Nuovi Illuminati nascono infatti all’inizio del XX secolo, tra l’Inghilterra e l’America. «Riferendosi – per l’etichetta e per il marchio – a quello che aveva fatto Weischaupt in Germania, in realtà teorizzano il cosiddetto mondialismo, il Nuovo Ordine Mondiale. Teorizzano cioè il fatto che, traversalmente agli Stati, possa nascere non “una” società perfetta in un determinato paese, ma “la” società perfetta». Nasce quindi «una struttura che deve necessariamente cospirare». Una super-struttura, «trasversale a tutti gli Stati». E questo accade attraverso uomini d’affari come Cecil Rhodes, secondo cui Usa e Gran Bretagna devono dare vita a un unico governo federale della Terra. A questo scopo, Rhodes crea una confraternita, la Rhodes Scholarship, che in America esiste tuttora. E così Lionel Curtis, che fonda vari gruppi, tra cui la Tavola Rotonda di Rohdes-Milner, presupposto dell’attuale Round Table. «In pratica, questi personaggi infiltrano soprattutto il governo americano, fin dalla sua nascita». Nonostante l’altolà di Washington, i Nuovi Illuminati riusciranno ad avere intensi rapporti con diversi presidenti americani: Edward Mandell House sarà il segretario di Woodrow Wilson, il presidente che costruirà la Società delle Nazioni, progenitrice dell’Onu. Altra eminente personalità dei neo-Illuminati americani, lo scrittore Herbert George Wells, autore nel 1897 del fortunato romanzo “La guerra dei mondi”.«Quindi – prosegue Carpeoro – fin dall’inizio si diffonde questo progetto di costruire il Nuovo Ordine Mondiale nel nome degli Stati Uniti d’America. Successivamente, come tutte le strutture di potere, questa diventa una struttura che affianca il potere in realtà senza cambiare niente». Il New World Order, che in origine doveva avere un’ispirazione rivoluzionaria, «in realtà si riduce alla pura gestione dell’esistente: una gestione trasversale, mondialista e di assoluto potere dello status quo». Evidente: «Per questi signori, meno cambia e meglio è: perché così fa comodo a loro». Ma il processo di “degenerazione” non è improvviso, avviene per gradi. Quando gli Illuminati devono aggirare Washington e quindi si alleano con le componenti più conservatrici del paese, il Sud schiavista, intuendo che saranno riassorbite nel vertice di potere in vista della riconciliazione nazionale postbellica, il loro capo è Albert Pike, «un eminente massone del neo-rito scozzese, che fece una politica di infiltrazione culturale molto capillare». Nonostante ciò, dice Carpeoro, «il suo modo di essere “illuminato” non è lo stesso di Rotschild: Pike è ancora fortemente ideologico».Il discorso degli attuali Illuminati diventa esclusivamente pragmatico successivamente, «con le associazioni tra banchieri, i trust, i vari Bilderberg». Così, «con un’ulteriore mutazione, diventa una struttura di conservazione; ma all’inizio gli Illuminati erano una struttura di rivoluzione». Il sionismo bellicista? «E’ una conseguenza, non una causa». E i motivi sono anch’essi evidenti: «Poiché una parte dei grandi banchieri mondiali sono di provenienza ebraica, ai tempi di Yalta hanno forzato la situazione e utilizzato anche la struttura trasversale degli Illuminati per arrivare alla costituzione dello Stato di Israele, e soprattutto per escludere che si facesse lo Stato di Palestina». E’ tristemente noto: «Una delle posizioni più reazionarie e meno sostenibili, pubblicamente, di un certo sionismo, è la negazione dell’esistenza del popolo palestinese, così come tra gli arabi esiste chi nega l’esistenza del popolo ebreo». Falsi storici: «I Filistei biblici sono gli attuali palestinesi, e già facevano le guerre per la terra, in quell’epoca». Il conflitto israelo-palestinese, “cristallizzato” nel retrobottega di Yalta nel 1945, è ancora oggi il focolaio di odio da cui la manipolazione culturale fa derivare lo “scontro di civiltà” tanto caro al complesso militare-industriale, a Wall Street, al Pentagono.Autore del romanzo “Il volo del Pellicano” (Melchisedek) sulla “storia di una leggenda realmente accaduta”, quella dei Rosacroce, lo stesso Carpeoro sta per pubblicare un saggio, presso Uno Editori, intitolato “Dalla massoneria al terrorismo”. Focus: la strategia della tensione internazionale, affidata a manovalanza magari islamista ma accuratamente coperta dalla “sovragestione”, il network di potere che vede al lavoro interi settori dei servizi segreti occidentali impegnati in missioni “false flag”, attentati compiuti “sotto falsa bandiera”, per esempio quella dell’Isis, in Francia, e progettati da “menti raffinatissime”, appartenenti alla massoneria deviata, di potere, il cui vertice è costituito proprio dai neo-Illuminati. «La loro influenza principale, con la teorizzazione del Nuovo Ordine Mondiale, è il condizionamento economico degli Stati: i banchieri si sono organizzati tramite questa struttura per condizionare le scelte economiche degli Stati». I risvolti di cronaca – le strane incongruenze nelle indagini, i messaggi simbolici di cui sono disseminate le stragi – suggeriscono l’idea che, dai diktat finanziari, si possa anche passare, all’occorrenza, alle bombe e ai Kalashnikov. Per contro, ripete Carpeoro, «l’intensificarsi di quella violenza indica che il vertice del massimo potere non è più così compatto: qualcuno si sta sfilando, chi resta al comando teme di perdere terreno e per questo spinge sul terrorismo». Mai stati del tutto granitici, i poteri forti: «Litigano spesso fra loro, e questo apre spazi per tutti noi». Del resto «il potere è uno schema, non una piramide monolitica», anche se si tratta di piramidi “illuminate”.Hanno vinto loro, gli Illuminati. Ma forse è meglio chiamarli con un altro nome: sono diventati, semplicemente, il potere. Bancario, finanziario. I padroni del denaro: lo strumento attraverso cui condizionare interi paesi e continenti. E’ il Nuovo Ordine Mondiale, che ormai abbiamo sotto gli occhi. Di Illuminati si parla spesso a sproposito: i loro simboli (l’occhio nel triangolo) oggi diventano anche tatuaggi per popstar, segni di riconoscimento a beneficio dei fotografi, del marketing, del botteghino. Non c’è teoria cospirazionista che non li ponga al vertice della piramide “occulta” del massimo potere. «Errore: il potere è sempre manifesto, palese», avverte l’avvocato Gianfranco Carpeoro, massone, con una vastissima cultura nel campo della simbologia e del mondo esoterico. Illuminati: maneggiare con cura. Hanno alle spalle una lunga storia. Vera. Cominciata in Germania e continuata, pericolosamente, in America, dove Washington tentò di metterli alla porta. Ci riuscì solo in parte, perché poi i suoi successori li presero a bordo. E a Yalta gli affiliati furono così potenti da riuscire a propiziare la nascita di Israele escludendo la creazione dello Stato di Palestina, ponendo così le basi per il conflitto permanente che oggi indossa la maschera dell’Isis.
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Perkins: dopo il terzo mondo, ora stanno depredando noi
La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.Naturalmente in America vediamo come il governo sia paralizzato, semplicemente non funziona. Viene controllato dalle grandi multinazionali. Queste hanno capito che il nuovo obiettivo, la nuova risorsa, sono gli Usa e l’Europa, e gli orribili avvenimenti successi in Grecia, e Irlanda e Islanda, stanno ormai avvenendo anche da noi, negli Usa. Le statistiche ci mostrano una crescita economica, ma allo stesso tempo aumentano i pignoramenti di case e la disoccupazione. Si tratta della stessa dinamica debitoria che porta a amministratori di emergenza, i quali consegnano le redini dell’economia alle multinazionali private: lo stesso meccanismo che vediamo nei paesi del terzo mondo. Quando ero un “sicario dell’economia”, una delle cose che facevamo era concedere enormi prestiti a questi paesi, ma quei soldi non finivano mai davvero ai paesi, finivano alle nostre stesse multinazionali che vi costruivano le infrastrutture. E quando i paesi non riuscivano a ripagare i loro debiti, imponevamo la privatizzazione della gestione dell’acqua, delle fognature e della distribuzione elettrica. Ormai vediamo succedere la stessa cosa negli Stati Uniti. Flint nel Michigan ne è un ottimo esempio.Non stiamo parlando di un impero degli Stati Uniti, si tratta di un impero delle multinazionali protette e appoggiate dall’esercito Usa e dalla Cia. Ma non è un impero degli americani, non aiuta gli americani. Ci sfrutta nella stessa maniera in cui noi abbiamo sfruttato gli altri paesi del mondo. Viaggiando attraverso gli Usa e nel mondo, vedo davvero che la gente si sta svegliando. Stiamo capendo. Capiamo che viviamo in una stazione spaziale molto fragile: non abbiamo alcuna navetta spaziale, e non possiamo andarcene. Dobbiamo risolvere la situazione, dobbiamo prendercene carico, perché stiamo distruggendo la stazione spaziale. Le grandi multinazionali la stanno distruggendo, ma queste vengono gestite da persone, e queste sono vulnerabili. Se ci pensiamo bene, i mercati sono una democrazia, se li usiamo nel modo giusto. Certo, gli accordi come il Ttip sono devastanti, danno alle multinazionali la sovranità sui governi. E’ ridicolo. Vediamo i popoli dell’America Centrale terribilmente disperati, cercano di uscire da un sistema marcio, in primo luogo a causa degli accordi commerciali e delle nostre politiche nei confronti dell’America Latina.E naturalmente vediamo queste stesse politiche nel Medio Oriente e in Africa, queste onde migratorie che stanno investendo l’Europa dal Medio Oriente. Questi problemi terribili sono stati creati dall’ingordigia delle multinazionali. Sono appena stato in America Centrale e quello che da noi viene definito un problema di immigrazione, in realtà è un problema di accordi commerciali. Non si possono imporre dazi a causa degli accordi commerciali – Nafta e Cafta – ma gli Usa possono dare aiuti di Stato ai loro agricoltori. Gli altri governi non si possono permettere di aiutare i propri agricoltori. Perciò i nostri agricoltori riescono ad avere la meglio sui loro, a questo distrugge le altre economie, e anche altre cose, ed ecco perché si creano problemi di immigrazione. Tre o quattro anni fa la Cia ha organizzato un colpo di Stato contro il presidente democraticamente eletto dell’Honduras, Zelaya, perché non si è piegato a multinazionali grandi, globali e con legami con gli Usa come Dole e Chiquita.Il presidente voleva alzare il salario minimo a un livello ragionevole, e voleva una riforma agraria che garantisse che queste persone riuscissero a guadagnare dalla loro terra, anziché assistere alle multinazionali che lo facevano. Le multinazionali non l’hanno potuto tollerare. Non è stato assassinato, ma è stato disarcionato con un colpo di Stato, e spedito in un altro paese, rimpiazzandolo con un dittatore brutale. Oggi l’Honduras è uno dei paesi più violenti e sanguinari dell’emisfero. Quello che abbiamo fatto fa paura. E quando una cosa così accade a un presidente, manda un messaggio a tutti gli altri presidenti dell’emisfero, e anzi di tutto il mondo: non intralciate i nostri piani. Non intralciate le multinazionali. O cooperate e vi arricchite, e tutti i vostri amici e le vostre famiglie si arricchiscono, oppure verrette disarcionati o assassinati. Si tratta di un messaggio molto forte.(John Perkins, dichiarazioni rilasciate a Sarah van Gelder per l’intervista “Nuove confessioni di un sicario dell’economia: stavolta vengono a prendersi la democrazia”, pubblicata da “Yes Magazine” e ripresa da “Voci dall’Estero” il 6 ottobre 2016. Perkins è celebre per il bestseller “Confessioni di un sicario dell’economia”, ora aggiornato con una nuova edizione).La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.
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Benigni signorsì, adesso la super-Costituzione è un inferno
Alcuni anni fa Benigni volle manifestare la propria venerazione per la Costituzione italiana dando vita a uno spettacolo dal titolo molto eloquente: “La più bella del mondo”. Lesse e commentò, con l’entusiasmo e le doti di trascinatore che tutti gli riconoscono, i primi dodici articoli del testo, quelli contenenti i “principi fondamentali”. Parlò con ammirazione della semplicità e forza poetica con cui si affermano due principi rivoluzionari: quello per cui “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1) e “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge” (art. 3). Si soffermò sulla magia che consentì a personalità politiche eccezionali, pur provenienti da culture politiche molto diverse, di produrre insieme un testo invidiatoci da tutto il mondo. Lo spettacolo venne trasmesso da mamma Rai nel dicembre 2012, quando era presidente del Consiglio Mario Monti, qualche giorno prima che il Parlamento decidesse con maggioranza bulgara di sfregiare “la più bella del mondo” costituzionalizzando il principio del pareggio di bilancio (art. 81). Ora però la geografia politica è cambiata: a Palazzo Chigi siede Renzi. E questi ha deciso di modificare profondamente la Costituzione italiana, riscrivendo ben 47 articoli su 139.
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Barnard: si voti negli obitori, non è più l’Italia a decidere
«Il prossimo referendum costituzionale è una pagliacciata», per un semplice motivo: si vota su una Costituzione e un Parlamento che sono già «morti, decomposti, e 4 metri sotto terra». Paolo Barnard non ha dubbi: «Se vi dicessero la verità, i sostenitori (Renzi) e gli oppositori (Travaglio) il prossimo 4 dicembre dovrebbero mettere le urne negli obitori italiani, almeno sarebbe onesto». I Renzi e i Travaglio, con “stellati” al seguito? «Fanno sempre la stessa cosa: vi spacciano come questioni di vita o di morte delle pagliacciate del solito pollaio Italia in cui razzolano anche loro», che però «ci fanno carriere e fama». Attenzione: «Non vi indirizzano mai verso le verità fondamentali del mondo politico che conta davvero». Mettiamocelo in testa, insiste Barnard sul suo blog: si andrà a votare per un Parlamento che non conta più niente, e per una Costituzione già neutralizzata da tempo, «di fronte invece al reale potere legislativo e costituzionale che sta in Ue». Inutile girarci attorno: qualsiasi cosa decida l’Italia, dovrà prima avere l’ok da Bruxelles e Francoforte. Perché fingere che così non sia, dando tanta importanza ad un voto il cui esito sarà comunque condizionato, a monte, dal vero potere?Punti di vista, naturalmente. C’è infatti chi ribalta il ragionamento: da qualche parte bisognerà pur cominciare, a dire “no”. Anche se, nell’offerta politica dell’Italia di oggi, non esiste nemmeno l’ombra di un vero Piano-B, alternativo alla “resa” del paese, costretto a cedere la sua sovranità, secondo una fatale parabola: il divorzio tra Tesoro e Bankitalia firmato da Ciampi, l’adesione all’Unione Europea governata senza democrazia e l’ingresso nell’euro, moneta creata per devastare l’economia e produrre crisi. Dal canto suo, Barnard ricorda che il Trattato di Lisbona, che è “di fatto” la Costituzione Europea, «ha sancito la supremazia della legge dell’Ue sopra qualsiasi legislazione nazionale». Il Parlamento di Roma «non può più neppure decidere sulla legge di bilancio, senza che prima Renzi non l’abbia spedita a Bruxelles dalla Commissione Europea: ed è lei che decide sul testo finale, non Roma». Questo lo decreta un altro trattato, il “Semestre Europeo”. E, sempre secondo il Trattato di Lisbona, articolo 8c, «il Parlamento di Roma deve prima di tutto fare gli interessi della Ue in Italia, e solo dopo quelli nazionali».«I nostri parlamentari – continua Barnard – hanno perso totalmente ogni discrezionalità di spesa e di tassazione, come un chirurgo che perda ospedale e bisturi, ed è accaduto quando la Ue ci ha costretti a mettere il pareggio di bilancio in Costituzione, cosa impostaci dal notorio Fiscal Compact». E ancora: «La Costituzione del 1948 è stata dichiarata di grado B rispetto alla legge europea dalla Corte Europea di Giustizia (parte del Trattato di Lisbona)», la quale decreta, testualmente: “Nell’opinione 1/91 della Corte Europea di Giustizia, i Trattati europei sono descritti come la Carta Costituzionale di una Comunità Legale, per il beneficio della quale i singoli Stati ora limitano i propri diritti sovrani”. Risultato: «Oggi abbiamo 26.560 leggi Ue più vincolanti rispetto a quelle votate dal Parlamento di Roma, 4.112 accordi che vincolano cittadini e aziende italiani, 10.337 verdetti della Corte Europea di Giustizia che vincolano le leggi e Costituzioni nazionali, 44.838 standard della Ue che sopprimono gli standard nazionali». In totale, «più di 80.000 leggi e regolamenti Ue vincolanti, su cui il voto dell’elettore italiano non conta nulla».Peraltro – sempre in ossequio ai poteri forti che dominano l’oligarchia europea – l’Italia ha già provveduto, nel tempo, a smantellare parte della Costituzione “nata dalla Resistenza”. Barnard la chiama «la defunta Costituzione italiana», anche per colpa dei sindacati, responsabili di «almeno 35 anni di mutande calate». Poi il colpo di grazia, con l’arrivo dei trattati Ue vincolanti e sovranazionali, cosa che ha «reso carta straccia» 17 articoli della nostra Carta del 1948. «Abbastanza», dice Barnard, per capire che «tutta ’sta immensa fanfara nazionale sul referendum è davvero un’idiozia montata come sempre per distrarre gli Italians polli da ciò che veramente ci fanno i Signori delle Guerre Ue, e per far le fortune di falsari come Renzi e Travaglio o stellati assortiti». Per non parlare delle ultime prese per i fondelli: «I risparmi millantati dalla riforma Renzi sono due soldi bucati, mentre la Ue ci succhia 58 miliardi all’anno per le sue follie, e oltre 300 miliardi all’anno in ricchezza nazionale per la disoccupazione italiana dovuta alle austerità e alla moneta unica». Il referendum del 4 dicembre? «Negli obitori fa freddo, andate a votare col cappotto, Italians».«Il prossimo referendum costituzionale è una pagliacciata», per un semplice motivo: si vota su una Costituzione e un Parlamento che sono già «morti, decomposti, e 4 metri sotto terra». Paolo Barnard non ha dubbi: «Se vi dicessero la verità, i sostenitori (Renzi) e gli oppositori (Travaglio) il prossimo 4 dicembre dovrebbero mettere le urne negli obitori italiani, almeno sarebbe onesto». I Renzi e i Travaglio, con “stellati” al seguito? «Fanno sempre la stessa cosa: vi spacciano come questioni di vita o di morte delle pagliacciate del solito pollaio Italia in cui razzolano anche loro», che però «ci fanno carriere e fama». Attenzione: «Non vi indirizzano mai verso le verità fondamentali del mondo politico che conta davvero». Mettiamocelo in testa, insiste Barnard sul suo blog: si andrà a votare per un Parlamento che non conta più niente, e per una Costituzione già neutralizzata da tempo, «di fronte invece al reale potere legislativo e costituzionale che sta in Ue». Inutile girarci attorno: qualsiasi cosa decida l’Italia, dovrà prima avere l’ok da Bruxelles e Francoforte. Perché fingere che così non sia, dando tanta importanza ad un voto il cui esito sarà comunque condizionato, a monte, dal vero potere?
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Il potere è guerra. E pretende il nostro Sì al referendum
Pensate che si tratti di un referendum normale, di quelli indetti in tempo di pace? «Cari amici, poiché ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose», premette Raniero La Valle, veterano della sinistra italiana. Molti credono che il mondo abbia cambiato volto dopo l’11 Settembre? Errore. Tutto è esploso almeno dieci anni prima, quando – alla caduta dell’Urss – si è deciso di «rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra», promuovendolo «da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza». Vi spaventa Renzi con la sua riforma, da cui la battaglia sul referendum? Non è che l’ultimo gradino di una lunghissima scala in discesa: «Avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati», e di «sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista». La scelta decisiva? «Restauratrice e totalmente reazionaria». Questa: «Disarmare la politica e armare l’economia – non in un solo paese, ma in tutto il mondo». Globalizzazione a mano armata. Inaugurata da un sacrificio simbolico: la Guerra del Golfo del 1991. L’era della guerra totale come nuova normalità: la guerra dell’Occidente contro il resto del mondo.In un lungo intervento su “Repubblica” ripreso da “Micromega”, La Valle parte dall’Italia, dove «succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa». Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni. «E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato». L’ex parlamentare della Sinistra Indipendente non usa giri di parole: «E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra». In Africa, in Medio Oriente e anche in Europa «si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio. E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori». Nel resto del mondo, peraltro, lo spettacolo non è migliore: è appena fallito il G20 ad Hangzhou, in Cina. I “grandi della terra”, «che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo», non sanno che fare «per i profughi, per le guerre», non vogliono «evitare la catastrofe ambientale», né tantomeno «promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra».L’unica cosa che decidono «è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania». E in tutto questo l’Italia che fa? «Fa eleggere i senatori dai consigli regionali». Ed è l’Italia a crescita zero, col 39% di giovani disoccupati, il lavoro precario, i licenziamenti in aumento: «I poveri assoluti sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni di famiglie e otto milioni e mezzo di persone». Il governo Renzi «fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e concentra il potere in un solo partito e una sola persona». Si dice: ce lo chiede l’Europa, cioè il fantasma di un sogno lontano e completamente abortito. «Se questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché ci venga proposta una riforma così».La verità è rivoluzionaria, certo, ma bisogna conoscerla per tempo: «Il guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il tempo è passato». Esempio: «Se si fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del Golfo del Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di San Francisco». Idem: «Se si fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo». E ancora: «Se si fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata precipitata».Dunque, insiste La Valle, la verità del referendum anti-Renzi va conosciuta “finché si è in tempo”. Il vantato risparmio sui costi della politica? Ridicolo: per la Ragioneria Generale dello Stato, il taglio della paga dei senatori vale appena 58 milioni, mentre il costo del Senato resta. Il risparmio sui tempi della politica? Illusione: il bicameralismo rimane, perché «si introducono sei diversi tipi di leggi e di procedure che ricadono su ambedue le Camere», creando «un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un groviglio di competenze». Non è la legge Boschi il vero oggetto della consultazione: la verità è nascosta dietro le urne. Il referendum è «un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla situazione com’è: è uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo nel mondo e della posta che è in gioco». Il voto è rivelatore dello stato del mondo. Bisogna trovare la sua verità nascosta, il suo vero “movente”, la sua vera premeditazione, partendo proprio da Renzi: ha ammesso che la riforma gli è stata “suggerita” da Napolitano. E prima ancora dalla Jp Morgan, che già nel 2013 accusava la nostra Costituzione di tutelare eccessivamente i diritti del lavoro e «la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere».E’ il diktat storico della Commissione Trilaterale fondata da Rockefeller: limitare la democrazia. «La stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il “Financial Times” e il “Wall Street Journal”, i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese». Ci si è messo anche l’ambasciatore americano a Roma: se in Italia vincesse il No, gli “investitori” scapperebbero. I diritti del lavoro Renzi li ha già “sistemati” col Jobs Act. “Spegnendo” il Senato diverrebbe padrone dell’agenda parlamentare. E con l’Italicum – 340 deputati su 615 al partito di maggioranza, a prescindere dal numero di voti ottenuti – ne farebbe “un uomo solo al comando”: sfiduciare il governo, se pessimo, sarebbe prerogativa esclusiva del partito stesso, non più degli eletti. In più le nuove procedure introdotte «renderanno più difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare». Risultato: «Ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di intervenire nei confronti del potere». Si accorgeranno, “i cittadini”, che sono stati proprio loro a spingere Renzi fin lassù?Tra gli “indizi” che svelano la vera natura della sfida, Raniero La Valle cita la risposta di Romano Prodi, interrogato sul voto: non mi pronuncio, ha detto, perché altrimenti turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. «Dunque non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a che fare con l’assetto del mondo». Mondo che, continua La Valle, era già cambiato – in modo drastico – ben prima dell’11 settembre 2001. Per lo storico britannico Eric Hobsbawm, il “secolo breve” finì già nel 1991: lì fu dato inizio «a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora doveva essere quello definitivo», tant’è vero che l’economista Francis Fukuyama, beniamino della Trilaterale, lo definì come la “fine della storia”: il capitalismo senza più freni, che si finanziarizza e impone in tutto il mondo la legge del più forte. Un potere totalitario che abbatte diritti, conquiste sociali e sovranità democratiche. E attenzione: secondo La Valle «c’è una teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore».Ed ecco il punto: il sacrificio simbolico. Secondo l’antropololo francese René Girard, fin dall’inizio della storia della civiltà, il “delitto fondatore” è l’uccisione della vittima innocente. «Ossia c’è un sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società dilaniata dalle lotte primordiali». Per un padre dell’Illuminismo come il filosofo inglese Thomas Hobbes, lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il Leviatano assume il monopolio della forza, ponendo fine alla lotta di tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della libertà. Anche secondo Freud, all’origine della società civile c’è un “delitto fondatore”: quello dell’uccisione del padre. «Se poi si va a guardare la storia – continua La Valle – si trovano molti “delitti fondatori”. Cesare molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il Duemila, “il nuovo secolo americano”». Da noi, «l’uccisione di Moro è il “delitto fondatore” dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e popolari».E qual è il “delitto fondatore” dell’attuale regime del capitalismo globale? Qual è il crimine sacrificale che “battezza” il nuovo regime planetario basato sul governo del denaro? Quale grande evento sdogana questa “economia che uccide”, istituzionalizzando un sistema in base al quale, perché qualcuno stia meglio, altri “devono” stare peggio? E’ la guerra, naturalmente: per la precisione la prima Guerra del Golfo, quella del 1991. «È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale», scrive Raniero La Valle, che cita una data precisa: il 26 novembre 1991. Quel giorno, il nuovo “regime” si presentò in Italia. Il ministro della difesa Rognoni illustrò in commissione, alla Camera, il Nuovo Modello di Difesa. La “nuova” guerra, quella di oggi. Svanito il nemico sovietico, la vecchia Nato non serviva più: tramontata la guerra fredda, veniva meno anche la deterrenza nucleare. Opportunità storica: investire nella pace e nello sviluppo i miliardi fino ad allora destinati ad armamenti ormai inutili. «Ma l’Occidente fa un’altra scelta: si riappropria della guerra e la esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della prima Guerra del Golfo del 1991».Ci siamo: cambia la natura della Nato, il nemico non è pià l’Est ma il Sud. L’Occidente «cambia la visione strategica dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di sostituirla all’Onu». Tramontano anche «gli ideali della comunità internazionale, che erano la sicurezza e la pace». Meglio la guerra, per assicurarsi in modo permanente l’accesso privilegiato alle materie prime, come il petrolio. Riflesso italiano: via l’esercito di leva, serve una milizia di professionisti. Da impiegare non più in Italia ma all’estero, nelle missioni “umanitarie”. Mediterraneo, Somalia, Medio Oriente, Golfo Persico: «La nuova contrapposizione è con l’Islam», a partire dal conflitto israelo-palestinese. «Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam? Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991». Col Nuovo Modello di Difesa imposto all’Italia «non cambia solo la politica militare ma cambia la Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i rapporti con l’Onu: viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno l’Islam come nemico». In Parlamento «non si dovrebbe parlare d’altro», e invece «nessuno se ne accorge, il Modello di Difesa non giungerà mai in aula».Un modello-fantasma, sotterraneo ma pienamente operativo da subito: «Tutto quello che è avvenuto in seguito – dalla guerra nei Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il Papa, è in corso – ne è stato la conseguenza e lo svolgimento». E allora, meglio si capisce, oggi, la verità del referendum renziano: «La nuova Costituzione è la quadratura del cerchio», avverte La Valle. «Gli istituti della democrazia non sono compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente: chi vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato; il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano». La politica? Si faccia da parte: «Non deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente, le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i nuovi trattati del commercio globale».Si scrive referendum, ma si legge: ultimo appello. Per Raniero La Valle, votare No «è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale». Perché «sia la società selvaggia che, con il No, sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto». E’ toccato a Renzi indossare quella maschera, ma al suo posto poteva esseci chiunque altro. Certo, l’attuale premier si è dimostrato l’uomo giusto al posto giusto: «Ci vogliono poteri spicci e sbrigativi», per sgombrare il campo dagli ultimi inciampi rappresentati dalle Costituzioni che “ripudiano la guerra”. Tutto è guerra, ormai. Questa economia è guerra. Pefettamente mondializzata, a partire dal fatidico 1991, l’anno del “sacrificio” dell’Iraq che spalancò le porte alla nuova epoca fondata sulla violenza internazionale. Da allora, «la guerra è lo strumento supremo per difendere il mercato e far vincere nel mercato».Pensate che si tratti di un referendum normale, di quelli indetti in tempo di pace? «Cari amici, poiché ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose», premette Raniero La Valle, veterano della sinistra italiana. Molti credono che il mondo abbia cambiato volto dopo l’11 Settembre? Errore. Tutto è esploso almeno dieci anni prima, quando – alla caduta dell’Urss – si è deciso di «rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo aggressivo fino agli estremi confini della terra», promuovendolo «da ideologia a legge universale, da storicità a trascendenza». Vi spaventa Renzi con la sua riforma, da cui la battaglia sul referendum? Non è che l’ultimo gradino di una lunghissima scala in discesa: «Avevamo preteso di superare il conflitto di classe smontando i sindacati», e di «sfruttare la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo Mondo un teatro di conquista». La scelta decisiva? «Restauratrice e totalmente reazionaria». Questa: «Disarmare la politica e armare l’economia – non in un solo paese, ma in tutto il mondo». Globalizzazione a mano armata. Inaugurata da un sacrificio simbolico: la Guerra del Golfo del 1991. L’era della guerra totale come nuova normalità: la guerra dell’Occidente contro il resto del mondo.
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Referendum: la super-finanza teme per il suo uomo, Renzi
«Se il referendum controcostituzionale in Italia è più importante della Brexit e se a sostenerlo è il “Wall Street Journal” è proprio il caso di dire che nel nostro paese il gioco si va facendo duro». Lo sostiene Sergio Cararo in un editoriale su “Contropiano”, partendo dal monitoraggio che “Repubblica” ha effettuato sulla stampa inglese: il quadro che emerge non è sorprendente ma decisamente inquietante, scrive Cararo, ricordando il monito di Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, contro le costituzioni “troppo socialiste” dei paesi euromediterranei, senza contare «gli articoli terroristici prima del referendum britannico sulla Brexit». Se la grande stampa anglosassone – dall’“Economist” al “New York Times” – rispecchia la voce del massimo potere finanziario mondiale, dopo «una serie di articoli preoccupati della situazione economica italiana», adesso a far paura è l’incerta sopravvivenza del governo Renzi, con le possibili ripercussioni sull’Unione Europea. E il grande timore, naturalmente, si chiama referendum.Per il “Wall Street Journal”, il voto d’autunno in Italia è «probabilmente più importante del Brexit». Infatti, «i mercati sono concentrati sulla posta in gioco politica del referendum». Una bocciatura degli elettori – altamente probabile, stando ai sondaggi – potrebbe travolgere Renzi. Il vero costo per l’Italia? Il prolungamento della stagnazione economica, col peggioramento del debito pubblico e delle sofferenze bancarie. Se la “Reuters” parla di «stabilità a rischio in Italia», il “New York Times” evidenzia tre possibili scenari negativi connessi al referendum sulla Costituzione. Primo scenario: il referendum viene bocciato, Renzi si dimette, il Senato sopravvive e il sistema elettorale diventa proporzionale, rendendo ancora più difficile capire chi comanda: nuove elezioni, con Camera e Senato potenzialmente in mano a maggioranze diverse, e quindi ingovernabilità assoluta. Oppure: Renzi sopravvive, ma deve accordarsi con Forza Italia sulla legge elettorale, trascurando l’economia e facendo “volare” i 5 Stelle. O ancora, terzo scenario: se Renzi non riesce a risollevare l’economia, il M5S vince nel 2018. O meglio stravince, «vista la debolezza del nuovo Senato».Amche per il “Financial Times” Renzi ha sbagliato a personalizzare il referendum: «Molti italiani coglieranno l’occasione per votare contro», sperando di mandarlo a casa. Unica via d’uscita: Bruxelles deve concedere a Renzi più spazio, allentando la morsa dell’austerity sull’Italia. «Avrà effetto questa campagna di pressione e allarmismo dei giornali legati alle corporations sul referendum di autunno?», si domanda Cararo. «Alla luce di come è andata con la Brexit potrebbe non funzionare. Ma gli inglesi, prima di arrivare al compromesso con la monarchia, almeno la testa di un re l’avevano tagliata. Altrettanto è accaduto in Francia. Si tratta di paesi dove la forza dell’identità del citoyen che ha diritto di decidere sulle sorti del proprio Stato è ancora molto consistente». In Italia invece non siamo andato oltre i referendum, come quello – pur decisivo – del 1946, su monarchia o repubblica. «Facciamo in modo che vada come nel 1946 – auspica “Contropiano” – e che anche questo monarca, peraltro del tutto privo di “investiture divine” o popolari, si tolga dai coglioni».«Se il referendum controcostituzionale in Italia è più importante della Brexit e se a sostenerlo è il “Wall Street Journal” è proprio il caso di dire che nel nostro paese il gioco si va facendo duro». Lo sostiene Sergio Cararo in un editoriale su “Contropiano”, partendo dal monitoraggio che “Repubblica” ha effettuato sulla stampa inglese: il quadro che emerge non è sorprendente ma decisamente inquietante, scrive Cararo, ricordando il monito di Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, contro le costituzioni “troppo socialiste” dei paesi euromediterranei, senza contare «gli articoli terroristici prima del referendum britannico sulla Brexit». Se la grande stampa anglosassone – dall’“Economist” al “New York Times” – rispecchia la voce del massimo potere finanziario mondiale, dopo «una serie di articoli preoccupati della situazione economica italiana», adesso a far paura è l’incerta sopravvivenza del governo Renzi, con le possibili ripercussioni sull’Unione Europea. E il grande timore, naturalmente, si chiama referendum.
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Messora: M5S e vincolo di mandato, vergogna totalitaria
«Se sei un parlamentare di un partito e cambi gruppo politico te ne vai a casa. Te ne vai a casa!», tuona Di Maio dal palco, ignorando che la Costituzione (articolo 67) dichiara che ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Diritto che i 5 Stelle vorrebbero abolire: «Una volontà della prima ora di Gianroberto Casaleggio», scrive Claudio Messora, già comunicatore dei grillini, ora in polemica col movimento. Curiosamente, aggiunge, proprio questa modifica alla Costituzione (che dunque non è più sacra e inviolabile) è una delle due proposte di legge più votate dagli iscritti. L’altra è il ripristino delle case chiuse, mentre le proposte serie, come quelle che «mirano all’uscita dall’euro», sono «giudicate inammissibili dallo staff, oppure spariscono dal web». A prima vista, il vincolo di mandato può sembrare “cosa buona e giusta”. «E inizialmente ne ero convinto anch’io», ammette Messora sul suo blog, “ByoBlu”. «Ma lo sembra solo fintantoché pensiamo a Razzi e a Scilipoti, cioè a qualcuno che di sua spontanea volontà abbandona un gruppo parlamentare per “cambiare casacca”».Cosa succede invece se un parlamentare viene espulso dal suo gruppo politico contro la sua volontà? Molti 5 Stelle sono stati cacciati con espulsioni di massa, 20 solo al Senato: «Alcune di queste sono state condotte con procedimenti sommari, privi del più elementare diritto di difesa, argomentate attraverso l’uso di una retorica di parte al fine di nascondere le reali motivazioni dell’espulsione e di ottenere una legittimazione basata su un plebiscito popolare similmente a quanto avveniva durante le fasi dell’annessione al Regno d’Italia o ai tempi del fascismo». Prova ne è che alcuni parlamentari hanno tentato di fare ricorso contro queste decisioni: il “cambiamento di casacca”, per alcuni, «non era certamente voluto, ma subito con dolore». Ma un parlamentare viene messo alla porta perché ha violato le regole, i principi, i valori del gruppo, oppure «viene fatto fuori perché era diventato scomodo, avendo visto quegli stessi principi calpestati proprio da quel gruppo che, per togliersi di mezzo un rompiscatole scomodo, lo espelle?». La legge della maggioranza è un’arma a doppio taglio: «E’ buona finché la maggioranza è buona, ma è cattiva quando ad essere buona è rimasta solo la minoranza».E qui, continua Messora, entra in gioco il “divieto imperativo di mandato”, che è presente in tutte le democrazie tranne il Portogallo, Panama, il Bangladesh e l’India. La forza dell’autonomia del singolo parlamentare? Può sempre ribellarsi al suo governo, al suo partito, se si accorge che è caduto nelle mani di un’oligarchia che opera contro l’interesse collettivo, tradendo l’ispirazione politica iniziale. Che succede se invece al parlamentare non è più consentito il dissenso? Viene espulso, allontanato Parlamento e sostituito con altri parlamentari, più compiacenti: «Si apre la strada, cioè, alla dittatura di pochi». Basta un gruppo dirigente deciso a impossessarsi del vertice del partito. Al contrario, l’assenza di vincolo di mandato garatisce al parlamentare la libertà di agire secondo coscienza, rifiutandosi di votare leggi che gli paiono inaccettabili, a prescidere dal colore politico del governo che le propone. «Una tutela per la democrazia – riconosce Messora – che i padri costituenti avevano introdotto, memori dell’esperienza del fascismo». Misura sulla quale, peraltro, nel 2010 lo stesso Grillo era d’accordissimo. «Chi è eletto risponde ai cittadini, non al suo partito», diceva, citando proprio l’articolo 67 della Costituzione, che esclude il vincolo di mandato.Certo, è una tutela che consente allo “scilipotismo” di manifestarsi, ma è ancora in grado di preservare la forma democratica, continuando a tutelare gli interessi originari in base ai quali il parlamentare era stato eletto, all’occorrenza aderendo o creando un nuovo raggruppamento parlamentare che coincida con quegli stessi valori. Una garanzia che evita di degradare il Parlamento a «ostaggio di un regime totalitario». Oggi più che mai, l’abolizione del vincolo di mandato «accentua il rischio della selezione di una classe dirigente prona ai voleri del padrone, che – per il suo proprio interesse, ovvero per conservare quella poltrona tanto vituperata a parole – accetta l’ubbidienza totale in cambio del mantenimento dello status di parlamentare». Ma a quel punto, aggiunge Messora, «a cosa serve avere un Parlamento se tutti i parlamentari di una intera forza politica sono vittima dello schiaffo di una dirigenza di partito? Tanto varrebbe allora ci fosse un solo parlamentare: il segretario di quello stesso partito, in rappresentanza di tutti, che magari fa le leggi insieme ai soli segretari degli altri partiti. Immaginate cosa avrebbero potuto fare Renzi e Berlusconi, al tempo del Pdl, se in Italia la Costituzione non vietasse il vincolo di mandato: avrebbero sostituito tutti i parlamentari che dissentivano con la loro volontà di riforma del paese, mettendone al loro posto altri pronti a votare sempre e solo sì, magari in cambio di soldi».Due sole persone, massimo tre, avrebbero già cambiato la Costituzione da tempo. E forse, continua Messora, non si sarebbe neanche trovato il numero di parlamentari necessari a chiedere un referendum confermativo, per cui adesso non ci sarebbe nessun tour per spiegare le ragioni del “No”. «Il problema dei cambi di casacca effettivamente c’è, ma non si risolve smantellando le norme costituzionali poste a baluardo dell’avvento dei regimi». Il problema vero? La selezione dei candidati: che dev’essere accurata, non come quella (online) effettuata dal M5S. E poi, una volta eletti, i parlamentari dovrebbero accettare di essere sottoposti a critiche senza sconti, non “perdonati” dai militanti in ogni caso, «quasi che si facesse parte di una famiglia i cui membri vanno difesi anche quando sbagliano». Tocca ai cittadini, innanzitutto, vigilare sugli eletti: stanno facendo il loro dovere, per il bene della nazione? «Se i cittadini sentissero di appartenere a un’unica squadra e la smettessero di dividersi e farsi dividere, secondo la vecchia strategia del “divide et impera” – conlude Messora – allora per la politica e per i demagoghi non ci sarebbe più alcun spazio di manovra, se non quello di essere costretti a perseguire un bene superiore. Il che rappresenta il vero, autentico “vincolo di mandato”».«Se sei un parlamentare di un partito e cambi gruppo politico te ne vai a casa. Te ne vai a casa!», tuona Di Maio dal palco, ignorando che la Costituzione (articolo 67) dichiara che ogni membro del Parlamento «rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Diritto che i 5 Stelle vorrebbero abolire: «Una volontà della prima ora di Gianroberto Casaleggio», scrive Claudio Messora, già comunicatore dei grillini, ora in polemica col movimento. Curiosamente, aggiunge, proprio questa modifica alla Costituzione (che dunque non è più sacra e inviolabile) è una delle due proposte di legge più votate dagli iscritti. L’altra è il ripristino delle case chiuse, mentre le proposte serie, come quelle che «mirano all’uscita dall’euro», sono «giudicate inammissibili dallo staff, oppure spariscono dal web». A prima vista, il vincolo di mandato può sembrare “cosa buona e giusta”. «E inizialmente ne ero convinto anch’io», ammette Messora sul suo blog, “ByoBlu”. «Ma lo sembra solo fintantoché pensiamo a Razzi e a Scilipoti, cioè a qualcuno che di sua spontanea volontà abbandona un gruppo parlamentare per “cambiare casacca”».
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Soros con Renzi: Sì al referendum, cioè al diktat della Bce
Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere, iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino Craxi. Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di governabilità e decisionismo. Allora si lanciò il progetto di una “grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere di decidere del governo e del suo capo. Craxi accompagnò questo suo disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla scala mobile. Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed economico del decisionismo rivendicato. Nel mondo della globalizzazione dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di una grande impresa che al governo democratico della società.Contemporaneamente allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza sul bilancio pubblico. Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca d’Italia come nei decenni di crescita precedenti. Insomma negli anni 80 si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il lavoro e i diritti sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi. Ora Renzi riprende e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste. Il suo quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata. La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente. Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta? Se in una automobile conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà, sempre che non si vada a sbattere. La prima parte della Costituzione, cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato, sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei governi. Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto costituzionale di lavoro? E la distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?Di Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque. E lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non devastano ogni principio della prima parte della Costituzione? E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11? Da tempo la politica quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta, la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende permanente il pratico smantellamento della prima. La nostra non è una Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco per l’accesso al potere politico. Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di dittatura fascista nel rispetto delle sue regole. La nostra è una Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una costituzione sociale.Voglio ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e borghesi. Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Ecco, qui la nostra Costituzione afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella formale. Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente più potere dell’altro. Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.Il diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto commerciale. Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato. L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite assoluto della democrazia e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza. Chi sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi? No,sono proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del lavoro. Una Costituzione classista? No, democratica nel senso ampio assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.Si noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica. Cioè al governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali, sindacati, partiti, libere associazioni. Tutto questo è la Repubblica, che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza. La repubblica prefigurata ed organizzata dalla controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa. Prima di tutto nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando. Il Parlamento è composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma egualmente la Camera. Che viene eletta con una legge elettorale che concede il potere assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese che non l’ha scelta per governare. Un colpo di Stato permanente, frutto del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.Non dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini. Il potere autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica, dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali. I sindaci diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119. I sindacati, anche per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al sistema di potere. Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli dettati dal vincolo europeo. In sintesi, la controriforma della Costituzione è un tavolo a tre gambe. Quella centrale, su cui siamo chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo. Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.La terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio obbligatorio costituzionalmente. Una repubblica autoritaria a sovranità limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma costituzionale. Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa. Nel nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la propaganda liberista dominante. È la repubblica del Ttip, il trattato internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere finanziario europeo e multinazionale. Basta rileggersi la lettera del 5 agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè dalla Banca Centrale Europea. Quel testo definiva un preciso programma di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese. E poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale. Quella banca allora scrisse in un suo documento che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali. Quelle Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra socialiste e comuniste.Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi. Le riforme liberiste della economia e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la banca. Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza della Costituzione antifascista. Bisogna votare No alla controriforma, affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulle banche.(Giorgio Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da “Micromega” del 31 luglio 2016).Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale. In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo. Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione. E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare. Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale. Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.
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Francesi, a chi giova il terrore? Chi lo copre, chi lo finanzia?
Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.«Naturalmente – aggiunge l’Upr, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – tutti gli attacchi sono crimini assoluti e devono essere puniti dai tribunali con la massima fermezza, allo stesso modo in cui tutte le reti del traffico di armi e dei finanziamenti occulti devono essere distrutte». Nel contempo, però, la Francia dovrebbe «vietare immediatamente qualsiasi ingerenza straniera in alcuni suoi ambiti territoriali, come fanno apertamente gli Stati Uniti o il Qatar». E deve «ritirare tutti i suoi soldati dai teatri di guerra dove si è resa corresponsabile della morte di migliaia di civili, come in Libia e in Siria». Al di là di queste proposte di misure d’emergenza che l’Upr formula, il movimento sovranista francese chiede ai cittadini di «non indulgere in reazioni sconsiderate ed emotive, anche se gli attacchi sono sempre più odiosi, ma di mantenere la loro compostezza». E soprattutto di farsi due domande essenziali: «Chi trae vantaggio da questi crimini, in definitiva? E cosa ci insegna la storia dell’ondata di attentati verificatisi in Europa durante gli anni ’50?».L’Upr cita lo studio scientifico dello storico Daniele Ganser, intitolato “Gli eserciti segreti della Nato – le reti Stay Behind, Gladio e il terrorismo in Europa Occidentale”, pubblicato in francese nel 2007. Nel saggio, Ganser «dimostra che, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1990, esistevano nei paesi membri della Nato, oltre alle truppe regolari dell’Alleanza, eserciti segreti della Nato (noti anche come Stay-Behind o Gladio), che erano stati istituiti dalla Cia e dal Mi6 britannico». Eserciti-ombra, «controllati e coordinati da un ufficio di sicurezza segreta all’interno del quartier generale della Nato a Bruxelles». Eserciti-fantasma, guidati dalla Nato e dalla Cia, che «non hanno esitato a commettere attacchi terribilmente mortali per terrorizzare le popolazioni, nel contesto della “strategia della tensione”». I francesi citano la spaventosa strage italiana della stazione di Bologna del 1980, coi depistaggi messi in atto: falsi colpevoli immediatamente dati in pasto alla stampa e rivendicazioni troppo velocemente annunciate. «Nell’esempio italiano, era stata una parte dell’apparato statale, sostenuta dalla Nato e dalla Cia, a indirizzare la popolazione contro il “pericolo rosso”: i comunisti. Non si tratta di “complottismo”, ma di una verità storica».Oggi non parliamo più di “pericolo rosso”, ma di “minaccia islamica”. «E la gente approfitta delle emozioni legittime causate dagli attacchi per minare le libertà civili, mantenere di popolazioni in uno stato d’ansia e impedire qualsiasi dibattito su centinaia di migliaia di morti civili commesse dalla Nato e dalle forze armate americane, francesi e inglesi in Medio Oriente», dove la pretesa “lotta contro il terrorismo” ha causato più di 1,3 milioni di morti civili in 10 anni. «I francesi – continua l’Upr – devono riflettere sul fatto che i popoli dell’Iraq, della Libia, della Siria, non ci avevano fatto assolutamente niente fino a quando i paesi della Nato non hanno iniziano a bombardarli – con la scusa della rappresaglia per gli attentati dell’11 Settembre – ma molto più sostanzialmente per consentire alle grandi compagnie petrolifere e finanziarie occidentali di appropriarsi delle loro ricchezze». Conclusione: «La storia deve pertanto invitarci a una grande cautela nei confronti dei drammatici eventi in atto in Francia e in molti altri paesi europei. Prima di tirare conclusioni affrettate – insiste l’Unione Popolare Repubblicana – i francesi devono chiedersi chi ci sia dietro i terroristi. Chi li finanzia? Chi li arma? Chi li manipola? Chi li condiziona e li droga? Non sono forse solo “utili idioti” che servono interessi superiori che li scavalcano?».Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino. Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.
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Bavaglio al web, anche 6 anni di carcere per i blog scomodi
Sei anni di carcere per i cittadini, i blogger e le testate che pubblichino anche una sola informazione in grado di violare i dati personali o di ledere l’onore e la reputazione di qualsiasi soggetto, con confisca del telefono, del computer e rimozione del contenuto obbligatoria. È questa la novità di agosto (in realtà del 27 luglio) della proposta di legge C 3139 (prima firmataria la senatrice Dem Elena Ferrara) che, con l’accordo di tutte le forze politiche, eccetto alcuni parlamentari di opposizione che ne hanno contestato l’applicazione, verrà votato dalla Camera a partire dal 12 settembre prossimo. La norma che dovrebbe occuparsi di cyberbullismo, quindi teoricamente di tutela del minore, transitando alla Camera, con i relatori Dem Micaela Campana e Paolo Beni è divenuta, con i profondi ritocchi dei relatori e della Commissione riunite Giustizia e Affari sociali, una vera e propria norma ammazza-web, che riguarda anche e soprattutto ogni maggiorenne che si affaccia alla rete Internet.E sì, perché diversamente dalla disposizione originaria approvata anche dal Senato, che era incentrata principalmente sulla tutela del minore, il testo uscito il 27 luglio, è stato completamente stravolto, divenendo una norma repressiva sul web a tutti gli effetti. Le Commissioni hanno approvato diversi emendamenti tra i quali questo testo: “2-bis. Ai fini della presente legge, con il termine ‘cyberbullismo’ si intende qualunque comportamento o atto, anche non reiterato, rientrante fra quelli indicati al comma 2 e perpetrato attraverso l’utilizzo della rete telefonica, della rete internet, della messaggistica istantanea, di social network o altre piattaforme telematiche. Per cyberbullismo si intendono, inoltre, la realizzazione, la pubblicazione e la diffusione on line attraverso la rete internet, chat-room, blog o forum, di immagini, registrazioni audio o video o altri contenuti multimediali effettuate allo scopo di offendere l’onore, il decoro e la reputazione di una o più vittime, nonché il furto di identità e la sostituzione di persona operate mediante mezzi informatici e rete telematica al fine di acquisire e manipolare dati personali, nonché pubblicare informazioni lesive dell’onore, del decoro e della reputazione della vittima”.Nel testo e nelle altre disposizioni scompaiono i riferimenti ai minori al fine di delimitare l’ambito di applicazione della norma. In base a questa questa, qualsiasi attività, anche isolata (e quindi effettuata anche una sola volta), compiuta dai cittadini anche maggiorenni sul web conferisce la possibilità a chiunque (altra innovazione portata dalla Camera) di ordinare la cancellazione di contenuti, salva la possibilità che questa attività venga ordinata dal garante privacy. E chi non si adegua? Rimozione e oscuramento dei contenuti e sanzione sino a 6 anni di carcere. In pratica le attività di critica sui social network, attraverso blog o testate telematiche, farà scattare la possibilità di richiedere la rimozione del contenuto, dell’articolo, del messaggio, di qualsiasi cosa insomma sia presente sul web, con la possibilità di far bloccare il contenuto anche rivolgendosi al garante privacy.Un blog scomodo, una commento troppo colorito sul forum, una conversazione un po’ ardita tra maggiorenni su Whatsapp, qualsiasi pubblicazione di dati a opera di maggiorenni, qualsiasi notizia data su un blog o su una testata, e che riguardano maggiorenni, ricadranno in quella definizione e saranno oggetto di possibile rimozione. Da Facebook a Whatsapp ai blog tutto viene inserito nella furia iconoclasta del legislatore pronto a punire le attività peccaminose dei maggiorenni sul web. Con buona pace del cyberbullismo sui minori che è divenuto un elemento del tutto residuale della norma. Un bavaglio in piena regola. Per essere sicuri che chiunque potesse essere assoggettato a sanzione i relatori personalmente hanno pensato bene di far approvare una nuova norma (l’articolo 6 bis della proposta) che prevede per tutti i cittadini la possibilità di essere sanzionati con un reato che prevede il carcere fino a 6 anni, e – si badi bene – la confisca di tutto quanto sarebbe servito per commettere il reato.A opporsi a questa deriva sono stati solo un drappello di parlamentari del Movimento 5 Stelle, Baroni, Lorefice e Agostinelli, che si sono battuti duramente per il ritorno allo spirito originario della norma, ovvero alla tutela attraverso azioni di sostegno e di reazione rapida a beneficio dei minori. Senza però ottenere risultati a quanto pare, dal momento che a partire dal 12 settembre la Camera potrebbe varare definitivamente il testo uscito dalle Commissioni. C’è tempo fino all’8 settembre per emendamenti. Con la speranza che settembre non porti con sé, insieme al fresco, anche la prima norma liberticida per il web del 2016.Sei anni di carcere per i cittadini, i blogger e le testate che pubblichino anche una sola informazione in grado di violare i dati personali o di ledere l’onore e la reputazione di qualsiasi soggetto, con confisca del telefono, del computer e rimozione del contenuto obbligatoria. È questa la novità di agosto (in realtà del 27 luglio) della proposta di legge C 3139 (prima firmataria la senatrice Dem Elena Ferrara) che, con l’accordo di tutte le forze politiche, eccetto alcuni parlamentari di opposizione che ne hanno contestato l’applicazione, verrà votato dalla Camera a partire dal 12 settembre prossimo. La norma che dovrebbe occuparsi di cyberbullismo, quindi teoricamente di tutela del minore, transitando alla Camera, con i relatori Dem Micaela Campana e Paolo Beni è divenuta, con i profondi ritocchi dei relatori e della Commissione riunite Giustizia e Affari sociali, una vera e propria norma ammazza-web, che riguarda anche e soprattutto ogni maggiorenne che si affaccia alla rete Internet.
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Odio, nemico, guerra: potere cannibale, siamo tutti soldati
1. Empatia. Poniamo che io sia un pastore errante per l’Asia, con il mio picciol gregge. Che salga il pendio di un colle, e affacciato dalla sommità, veda un pastore errante per il Sahel, con pochi dromedariucci. Ciascuno di noi sorriderà all’alterità che così gli si rivela. Empatia. Che è, sì, partecipazione emotiva, è sì affinità, ma non elettiva, non dunque cercata, non voluta, e neppure passivamente accettata. Senza l’empatia, molto si può fare, non però le cose che si sottraggono alla sfera razionale, alla Discorsività. Si può per esempio tradurre un testo in modo che appaia accettabile alla scrittura (intesa come opposta alla letteratura che è al servizio del potere e delle sue norme grammaticali e sintattiche)? Si può eseguire, cioè tradurre in sonorità, uno spartito musicale, in modo che si distacchi e redima dalla discorsività che si esprime nel battito ritmico del piede dell’ascoltatore? Penso che né il testo né lo spartito possano venire degnamente interpretati muovendo dalla convinzione che soprattutto per la traduzione di opere scritte sia necessaria un’attività affine a un esercizio algebrico. A contestare l’empatia, interviene però quella prescrizione imposta dal beato Sigmund da Vienna laddove categorizza: “Wo Es war, soll Ich werden”, cioè al posto dell’Es è necessaria l’instaurazione dell’Io e, va da sé, del super-Io. Ed è la messa in mora della poiesis, la dichiarazione della sudditanza al discorso. Interviene insomma il potere, metaforizzato dal super-Io fallico nelle metastasi del dominio, che sono potere politico, potere religioso e potere di preparare e condurre la guerra.2. Dominio. Perché il dominio, per perdurare in ciascuna delle sue manifestazioni, ha bisogno di nemici che lo giustifichino. E non c’è differenza effettiva tra l’una delle metastasi in questione. Il potere politico si fonda e si replica in quello religioso e in quello bellico. E ciò fin dalla sua invenzione e introduzione nel mondo, risalente a circa quindicimila anni fa. E per la persistenza delle metastasi e dunque del Dominio stesso, è sempre indispensabile una forma o l’altra di mobilitazione. Necessaria per garantire il funzionamento degli stabilimenti industriali e degli uffici, perché occorre persuadere i dipendenti, operai o impiegati dell’opportunità di non opporsi alle rigide norme della produttività. Così, per riaffermare la fede dei credenti occorrono, certo, processioni, encicliche, corali, altre prediche e altre parafernalia, ma in primo luogo quella componente selettivamente mobilitatoria, persuasiva, che è la messa o il suo equivalente, la quale comporta l’inghiottimento del dio fatto particola o pane, di solito con accompagnamento del vino sacramentale riservato al sacerdote.In tutti i casi, la mobilitazione si basa sull’asserto che senza l’obbedienza ai superiori – manager, ministri del culto, gerarchie ecclesiastiche, comandanti militari – i nemici sempre in agguato (concorrenza nazionale e internazionale, crisi finanziarie causate da incompetenza o più spesso da malafede, eccetera) il sistema correrebbe seri pericoli. La funzionalità della mobilitazione si rivela, e anzi salta agli occhi anche di chi, operaio o impiegato, la vive o la subisce, sia pure in maniera meno palese, e anzi spesso senza che gli uni e gli altri si rendano conto della sua astanza. Ben più esplicita è la mobilitazione militare che riguarda tutti, intendo per tutti gli appartenenti alla Patria o alle strutture che parzialmente o totalmente l’hanno effettivamente o presuntamente vicariata. A questo punto, per i reggitori del sistema, padroni, uomini politici, dirigenti militari, si pone il problema, di fondamentalissima incidenza, consistente nel mascherare le esigenze e le pretese della patria o dei suoi equivalenti. Che hanno in comune i denti lunghi che sono un’eredità del cannibalismo degli antichi tempi e dei superstiti selvaggi.La Patria, voglio dire, imperversa, esige, pretende, impone – s ìenza proporre giustificazioni – il supremo sacrificio, considerandolo aprioristicamente un dovere al quale nessun mobilitato può sottrarsi. Con l’avvertenza che la preparazione alla guerra, che è perenne in tutti gli stati, non si traduce necessariamente nel richiamo immediato, urgente, alle armi. Ma è, ripeto e sottolineo, presente a tutti i livelli produttivi, persino alle attività di svago e riposo. Le quali sono appunto attività, dal momento che la consumazione esige la preventiva creazione dei mezzi, finanziari ma anche e soprattutto psicologici, che permettono lo spreco festoso. Quella che diciamo Patria, e quale che ne sia la struttura, è cannibale, pronta all’occorrenza a divorare i suoi figli, insensibile alle angosce e alle paure dei singoli mobilitati. La Patria-cannibale imperversa e a nulla serva implorare dal fondo di una trincea che si astenga dall’impiego e dall’essere il bersaglio di letali proiettili, razzi, gas tossici, assalti e distruttive manovre. La patria va però opportunamente mascherata, le sue pretese vanno attenuate, i suoi denti e le sue unghie limati. Non è bene inteso una giustificazione: è solo un sipario calato di fronte agli attori e spettatori. E lo si cala rendendo accettabile, addirittura affabile l’eventualità della morte che è lo scotto aprioristicamente imposto a chi si sia messo volontariamente o obbligatoriamente al suo servizio.3. La mobilitazione. Che, ripeto, ha luogo a tutti i livelli, compreso quelli scolastici, accademici, di produzione culturale e nell’ambito di tutte le attività economiche e produttive, comporta anche un’altra forma di persuasione, non meno importante, del richiamo del dovere verso la Madre, ed è la denigrazione sistematica del nemico. Occorre infatti che il nemico venga descritto come pericoloso, spietato, implacabile, proditorio, assetato di sangue, ma alla fin fine superabile dalle nostre armi e più ancora dal fegato e dal cuore dei nostri militi. Allo stesso modo il concorrente industriale, l’appartenente a un altro esercito produttivo che in ogni momento possa diventare ostile, sarà anch’esso necessariamente calunniato, fatto prescrittivamente oggetto di sospetto, deprecazione, finanche odio. Solo così la mobilitazione sarà effettiva ed efficace.L’operazione – odio del nemico – implica di necessità che il potenziale o attuale avversario, e in primo il nemico per antonomasia della società, il criminale comune o politico, giudicato, condannato e variamente isolato dal resto dei componenti la società mediante chiusura in carcere, detenzione in un campo di concentramento, esilio o internamento di altro genere, non sia oggetto di simpatie o anche solo di commiserazione. La punizione che gli viene inflitta deve essere pertanto resa nota, sottolineata, giustificata, spesso anzi proclamata. Il nemico interno della società deve essere cioè oggetto di disprezzo, deve essere calunniato, fatto segno di riprovazione e odio, esattamente come il nemico esterno. È quanto si è visto accadere nel caso dei campi di concentramento tedeschi, ma anche nei campi di lavoro, i gulag dei deportati sovietici. Nulla di nascosto: anzi, tutto dichiarato, esposto del ludibrio della parte “sana” delle popolazioni.4. L’Odio. Ma come si suscita ostilità e odio totale nei confronti del nemico esterno e ostilità e disprezzo di quello interno, il criminale comune o politico che sia? Va premesso che l’odio totale o l’odio temperato dal disprezzo, comunque l’ostilità, cresce – e si vuole appunto che accada – su se stessa. Una volta che il dominio sia riuscito ad avviare il meccanismo, di importanza fondamentale per al sua stessa sopravvivenza, chi se ne fa interprete o strumento andrà come alla scoperta di un continente, l’oscura, torbida regione della negatività. Io, l’odiatore, colui che ha fatto propria l’ostilità, divengo il mezzo per cui l’altro si è rivelato, si è attuato come oggetto della mia insopportabilità. Io, l’odiatore, sono l’arnese che serve ad attuare uno scopo specifico. Che è la dichiarata superiorità della mia parte – la patria o la parte sana della società. Scopro l’insopportabilità di ogni gesto, pensiero, azione del nemico dichiarato tale. Non posso – non devo – ignorare la presenza del nero accanto a me; buon cittadino di uno stato razzista, dovrò nutrire paura nei confronti dello zingaro; e, apertamente o meno, debitamente, desiderare di fargli del male, di perseguitarlo, di appenderlo a un ramo.E sono atteggiamenti emozionali in cui si riassume il desiderio di distruggere, o almeno di mettere in condizione di non nuocere, tutti i simili a lui, il nero o lo zingaro, cioè tutti quelli che stanno al di là, oltre la barricata: nei confronti dei quali, chiunque vi si trovi o corra il rischio di collocarvisi, l’odio dev’essere sempre pronto a scattare. E nell’odio, l’odiatore simboleggerà la volontà di affermare il proprio assoluto valore, la propria indiscutibile superiorità. L’odiatore sa che gli è propria una indiscutibile superiorità. L’odiatore sa che gli altri, oggetto prima del suo disprezzo (dal momento che la scuola dell’odio procede per crescenti fasi: disprezzo determinato dal fatto di detestare, via via, una, poi molte delle sue qualità) saranno al termine il bersaglio della negativa globalità dell’ostilità e dell’odio.5. Inutilità dell’Odio. Ma anche inutilità dell’odio. Per il fatto stesso di esistere, l’altro, l’odiato, costituisce un pericolo e una minaccia, ma l’odio non può sopprimere il fatto primordiale dell’esistenza altrui. L’odio è così minato da se stesso: non può impedire all’altro di rivelarsi quale presenza indispensabile. Qualcosa dell’altro mi sfugge sempre, o lo distruggo, e porto a compimento l’odio, ma in pari tempo nullifico l’odio (l’altro è esistito, l’altro fu una presenza: dell’altro aleggia il ricordo, i suoi occhi, il suo sguardo, la certezza che per questo spiraglio di luce che qualcosa mi è sfuggito) oppure gli do modo di crearsi una zona sua, non più grande di un’unghia ma imprendibile: l’odiato mi odia a sua volta, è me stesso in carne d’altri; e, a questa stregua, il mio odio non tocca il culmine, è un meccanismo che gira a vuoto. Con l’odio, la mia sconfitta è certa.Infatti, se odio faccio un ricorso come ultima istanza… che cosa mi resterebbe, che cosa ho concluso, una volta salito su un monte di cadaveri? La guerra – ogni guerra – finisce; poniamo che io, qualunque sia la nazione di mia appartenenza, abbia vinto, che guardiano di un campo di concentramento e di sterminio, abbia celebrato quella che allora è diventata la mia vittoria: ecco che mi ritrovo davanti a una folla di schiavi, che non ho più né scopo né ragione di odiare, dal momento che hanno cessato di costituire un pericolo. Ma riconquistare la propria integrità – ed è ciò che avviene al termine di ogni guerra, per quanto catastrofica sia stata – sarà tanto più difficile quanto più è avanzato il processo di decomposizione, di semplificazione, di riduzione: insomma, quanto più vasta è stata l’abiura alla mia umanità.6. Guerra. L’altra faccia della medaglia: guerra. Il problema, si è visto, è rappresentato dalle modalità usate per rendere il soldato invulnerabile alla pietà. Che il soldato possa diventare da semplice cittadino un carnefice, colui cioè che è incaricato di distruggere carne umana, è dimostrato dai campi di concentramento della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale. I guardiani dei detenuti erano perlopiù SS che dopo aver combattuto su vari fronti, erano stati ritirati dal servizio attivo perché feriti o perché troppo usurati per venire impiegati in prima linea. Assurto alla figura di eroe, di collerico semidio incaricato di combattere e all’occorrenza eliminare, i nemici della “patria” e del sistema politico dominante: trasfigurato come tutti i guerrieri in incarnazione della violenza, dell’aldilà incontrollabile, l’SS ne reca addosso la maschera e il paludamento.Il soldato ridotto a stizzoso guardiano è anch’egli un masochista, anzi un sadomasochista. In quanto masochista, pronto a pagare uno scotto prima di commettere l’azione che sa o sospetta riprovevole. In quanto sadico, non è esattamente il beccaio: è un carnefice che deve riuscire a rendere masochista la vittima. Il suo proposito sarà dunque quello di escogitare tormenti tali da tappare la bocca del martire le cui lamentele lo irritano e incattiviscono. E martire e carnefice si vedranno così impegnati in un duello che non potrà, a un certo punto, non assumere l’apparenza della lealtà, dello scontro aperto, dichiaratamente senza esclusione di colpi. Col carnefice che dovrà, almeno con se stesso, ammettere la propria sconfitta, quando la vittima non si sia trasformata in oscurità rantolante, in annebbiamento e abiura, ma anche qualora il rantolo sia diventato irreversibilmente agonico.Supremo ideale del sadico: riuscire a trasformare l’altro in carne senza che costui cessi di essere strumento. Gli basta, per convincerlo di avere toccato la propria meta, l’implorazione della vittima? No, poiché anche nelle grida di terrore può celarsi la soperchieria. E l’atteggiamento del sadico, in questo caso soldato – carnefice, è dettato da volontà di potenza. Definizione che è una mera tautologia: resta da spiegare, infatti, il perché del gusto di dominare gli altri. E se il sadico questo impulso lo prova, è perché vede in esso la possibilità di avere la rivelazione dell’altro, – e di sé per riflesso – attraverso l’oppressione. Ma l’accettazione a cui l’altro si obbliga deve essere senza residui; e non basta neppure che la vittima rinneghi e abiuri, che strisci e urli. Occorre che quegli urli siano per così dire assoluti. In un certo senso, frutto di una libera scelta, e che tuttavia codesta scelta non lasci residui, ombre, ambiguità. La vittima dovrà interamente trasferirsi in quest’esito, senza avere più un secondo fine, soprattutto quello di convincere il sadico-carnefice di avere già pagato abbastanza e pertanto di persuaderlo a rinunciare alla continuazione della tortura. E allora?La tortura cessa: o la vittima è un freddo cadavere, o è tornata coscienza, astuzia, gioco, inganno. Il sadico-carnefice si sente defraudato nell’uno come nell’altro caso. Deve pertanto impedire che venga superata una linea di confine non oggettivamente determinabile, una soglia solo probabilisticamente fissabile. La sua è quindi la condanna alla tortura perenne: in ogni istante dovrà essere circondato almeno dagli emblemi del suo potere, e come un Dracula banchettare tra i cadaveri, o come i quattro signori delle Centoventi giornate di Sodoma, prescriversi un rigido rituale, un crescendo dell’orrore. Il sadismo diviene pertanto consumazione e autofagia: il sadismo perciò stesso si rifà al suo contrario, gli estremi finiscono per toccarsi. Il sadico può scoprire la possibilità che venga applicata a lui stesso l’impresa tentata a spese degli altri. Può allora accadere che il masochismo prevalga. Che il combattente veda, nel suo avversario, il nemico che dovrebbe odiare senza remissione, ed è ormai vano farlo; che scopra, nell’uomo dell’opposta trincea, il suo simile. Può accadere dunque che si verifichi un istante di empatia, quasi un ritorno a un’origine mai dimenticata, perché indimenticabile, un vuoto di memoria che può all’improvviso colmarsi. È accaduto tante volte, durante le stragi della prima e della seconda guerra mondiale.Può accadere, in qualunque guerra, che questa divenga ritualistica – che a prevalere sia la stanchezza e che ne derivi compassione per il nemico, e che dia luogo alla rassegnazione (di chi, sepolto nel rifugio, sperimenti, cieco, l’ossessione dei bombardamenti) e alla stanchezza dei disertori e addirittura degli ammutinati. Gli eserciti zaristi, nel 1917, proprio per questo si sono disfatti. È come se la vittima, anziché semplicemente soccombere – e pur restando condannata – sia entrata nel seno della sacralità. Che divenga intoccabile, ancorché si continui a toccarla, a disfarla. Si constata allora che il gioco dell’angoscia sia sempre lo stesso, angoscia fino alla morte, al sudore di sangue. E al di là della morte e della rovina, il superamento dell’angoscia, quello che ha popolato la terra di eroi e taumaturghi, di figli del sole e nati da vergini minacciati e invincibili come il sogno dell’uomo. Viene allora fatto di chiedersi: può allora l’uomo rinunciare ai sacrifici, concreti o simbolici? Può fare a meno di vittime a carnefici? Ed è legittimo il dubbio che anche tra i nostri progenitori paleolitici – e tra gli ultimi selvaggi – superstiti della civiltà – si desse e si dia la nostra stessa, attualissima suddivisione tra sofferenti e apportatori di sofferenza? In altre parole: l’uomo poteva allora, e può ancora, rinunciare all’angoscia? O l’angoscia è costitutiva dell’umanità?7. Beltran de Born. Dante lo incontra nel suo XXVIII dell’Inferno, ai versi 118 – 149. Nona Bolgia riservata ai seminatori di scandalo e scisma, e dunque «mali consiglieri». Dove i dannati girano perennemente tutt’attorno e vengono feriti di spada dal Diavolo. Le loro ferite si rimarginano prima che gli ripassino davanti. «Io vidi certo… / un busto senza capo andar…// e il capo tronco tenea per le chiome, / presol con mano a guisa di lanterna…». È Bertram de Born (per Dante, dal Bormio) trovatore (ca.1140-1215) signore del Castello di Hautefort tra il Périgord e il Limosino, coinvolto – si dice – in dispute feudali tra Francia e Inghilterra e suscitatore, forse, di discordia tra Enrico di Inghilterra e il padre, re Enrico II. Gli si devono una trentina di sirventesi in cui celebra le virtù cavalleresche, esalta la guerra come unica fonte di gloria, la morte in battaglia come liberazione dalle miserie terrene. La più celebre di tali composizioni è stata tradotta in toscano nel XV da un poeta di cui mi sfugge il nome. Dopo aver celebrato la primavera, la bella fioritura, i dolci canti degli uccelli, Bertram cambia di colpo registro: “Ma più mi piace veder per li prati alzar le tende e stendardi piantare. / E per i campi cavalieri andare. Tutti in ischieri su cavalli armati. / E piacemi se vedo scorridori, molti ed armati a tumulto venienti. / E piacemi se vedo inseguitori. Che fan fuggire con loro robe el genti. / Et ho allegrezza assai grande mirando. Forti castelli assaltati e crollare muri abbattuti / E le schiere ristare presso le fosse steccati innalzando”.Mi si farà notare che la guerra può eccitare con l’allucinazione del potere che conferisce, con la speranza di premi e ricompense, con la liceità di “perversioni” giudicate ammissibili e anzi consigliabili; e tuttavia potrebbe in ultima analisi esercitare un fascino solo per chi attribuisce scarso e nullo significato alla propria esistenza, e dunque per quelli che ci si ostina a chiamare «dannati della terra,» o a giovani incapaci di trovare una nobile ragione per vivere. Ma mi si farà anche notare che la guerra, ogni guerra, rappresenta la prosecuzione di un clima di festa, di messa in mora delle norme consuete. Di sospensione della separazione tra realtà e sogno, tra quotidianità e avventura. Né si mancherà di ricordarmi che la guerra è necrofila, in quanto esige dal combattente familiarità con la morte propria e altrui. Un fascino oscuro, quello esercitato dalla guerra: ma sono tutte considerazioni di accento negativo, laddove la celebrazione di Bertran de Born è una affermazione di vitalità spinta ai limiti.Gli è che la guerra ha una sua intrinseca bellezza, e lo comprovano i molti, celeberrimi dipinti di ogni secolo – a partire, facile notarlo, dal Neolitico, e più avanti dirò perché – i quali illustrano fatti d’armi, si tratti delle Termopili, della carica della cavalleria scozzese alla battaglia di Waterloo, o dell’enorme numero di film che continuano ad esaltarne l’importanza, la torbida bellezza, insomma l’incidenza enorme che le guerre, e soprattutto certe battaglie conclusive, hanno avuto e hanno sulle vicende sociali. Persino sulla delimitazione dei periodi che usiamo chiamare storici. L’Inghilterra è nata dalla conquista normanna del 1166. Cos’è dunque la guerra? Risposta di Karl von Clausewitz: «Limitiamoci alla sua essenza, il duello». Dove il grande teorico della guerra rischia la confusione tra violenza e guerra, come se fossero un’unica cosa. L’errore di Clausewitz è consistito nell’aver equiparato la guerra a un atto, o una serie di atti, istintuali. Quasi si trattasse di un litigio da osteria che finisca a coltellate.Ma la guerra non è l’istintuale. Non si guerreggia obbedendo a impulsi prerazionali. No, perché le guerra sono proprie, ed esclusivamente, di società gerarchiche, strutturate in piramidi formate da un vertice autorevole e da una successione di sudditi convinti all’obbedienza. Senza questa struttura, eminentemente razionale, e di ascendenza neolitica (e come tale furto dello stanziamento, della produzione agricola, dell’allevamento del bestiame, dell’invenzione della divinità, del dominio nella sua triplice articolazione, dell’invenzione della macchina, della proprietà privata – in una parola dell’epoca, appunto il Neolitico, di cui siamo gli eredi, e anzi i continuatori). Clausewitz, celebre autore del suo celeberrimo “Della guerra”, 1832-34, si è reso conto del suo errore. Dicendo che per il militare non esiste «la pace»: esiste solo la non-guerra, la tregua armata. E alludendo dunque alla perennità della mobilitazione continua a tutti i livelli della società e di conseguenza alla condanna del militarismo inteso quale politica che abbia a propria finalità e conclusione la guerra. Della politica, infatti, la guerra è, al più, la forma suprema, il culmine. E soltanto una politica stupida (e ne abbiamo avuto nel secolo scorso esempi clamorosi, Vietnam, Iraq, Afganistan…) si tramuta senz’altro in guerra, al di là di ogni considerazione di carattere razionale e utilitaristico.8. Meccanismo della Persuasione. Sì, perché esiste una tecnoscienza, ripetuta di generazione in generazione, della mobilitazione. Ed è quella che da altri, in particolare Clyde Miller, è stata chiamata Meccanismo della Persuasione. Né è certo una novità l’intervento di «persuasori occulti,» cioè di appelli all’irrazionale nella vita delle nazione: irrazionale camuffato, sia chiaro, da richiami ai principi di realtà. Elaborata da secoli a scopi mobilitatori, la propaganda politica nella fase attuale dello sviluppo civile ha investito la società in maniera un tempo sconosciuta. Le forme di propaganda rispecchiano i fondamenti economici della società che la usa, nonché gli intenti della sua classe dirigente; e, per ciò che riguarda le società odierne – tutte borghesi seppure con varie connotazioni, che siano o meno sottoposte al controllo di un partito unico – il modulo, l’insieme di tecniche impiegate allo scopo, è sempre lo stesso, che si tratti di agire nell’ambito della caserma o del supermercato, quale che sia la merce da indurre ad apprezzare, ad accettare, ad acquistare, formaggi o ideologie.Perché i problemi della persuasione si riducono a uno solo: sviluppare certi riflessi condizionati mediante ricorso a parole-chiave. A simboli-chiave, ad azioni-chiave. Il consumatore-mobilitando, il compratore-soldato, viene “precondizionato”, gli si stampa nel cervello l’elogio del prodotto in modo da escludere dubbi sulla sua assolutezza. Si tratta di agire programmaticamente su tutti i livelli dell’opinione, soprattutto a quelli consci o preconsci, (pregiudizi, terrori, credenze ancestrali, impulsi emotivi), applicando nei confronti del milite come del consumatore i ritrovati della ricerca motivazionale, dell’analisi delle motivazioni. Il prodotto – e l’ideologia – dovrà esercitare una suggestione sui sentimenti annidati nella psiche. Ma non si tratta di prassi inedite, inaspettatamente iniettate nelle vene della società borghese, anche se hanno assunto, soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale e della guerra fredda, un’estensione rilevantissima in concomitanza con l’espansione del mercato. E la cura costante per le esigenze psicologiche degli eserciti (fino a tempi recentissimi quelli di massa, oggi in apparenza composti da volontari salariati) ha avuto uno sviluppo parallelo a quello dell’economia di mercato. Il cliente, milite o compratore, dovrà innamorarsi del prodotto, a esso legarsi mediante una fedeltà irrazionale.Per quanto riguarda il compratore, il prodotto apparirà ( anche se in effetti contenga veleni), casalingo, puro, cortese, pulito, onesto, paziente. Nel caso dell’acquirente del prodotto patria, dovrà apparire virile, forte, potente, autoritario. Sempre il prodotto dovrà avere una personalità, la stessa della patria o dei suoi equivalenti. Si offrirà così al mobilitando un’illusione di razionalità, un pretesto con il quale nascondere a se stesso l’irrazionalità su cui si fa leva. L’estetica dell’arma, da lustrare e curare, l’arma che prolunga la personalità del combattente, kalascnicov o elicottero che sia, fa il paio con l’idea dell’automobile come mezzo di espressione dell’“aggressività” di chi la acquista. Importantissime, ai fini della mobilitazione, le parate militari, che altro non sono se non l’esposizione di certi prodotti sapientemente architettati, accuratamente designed, carri armati dall’aria cattiva, di fosco colore, dalle minacciose torrette, mostri scientifici e metafisici insieme; e velivoli senza pilota, invisibili, irrintracciabili in cielo, di invincibile pericolosità; caccia-bombardieri nei quali la funzionalità si sposi alla misteriosità, all’incomprensibilità per il profano, e la cui efficienza sia già rivelata dal fracasso che producono volando o decollando e dalle enigmatiche scie di condensazione. Se al consumatore del supermercato piace vedere una grande abbondanza di merci che lo sazia letteralmente e preventivamente, al milite piace la sensazione di essere in tanti che partono in missione, e la constatazione di disporre di tante armi, presuntamente efficientissime, che si aggiungono all’euforia tipica delle manifestazione di massa, soprattutto quelle patriottiche-militaristiche.9. Il Militarismo. Il Militarismo è l’esplicita o sottilmente insinuata finalizzazione della politica alla guerra proclamata come necessaria. E tale è stata dichiarata, a sua giustificazione, la guerra del Vietnam, come quelle successive. Noi viviamo così in società della paura (qualcuno può sempre e comunque sganciare la BOMBA). Ma l’oscuro fascino della guerra è lungi dall’essersi spento e anche solo eclissato, e sussiste pur sempre la possibilità di sottrarsi collettivamente al logos inteso come super-Io, e di abbandonarsi lontano dalla città con le sue forclusioni, a una sorta di stravolta empatia (o controempatia) con la rivelazione però, non dell’Alterità, bensì della Morte. L’ostilità è così calata dal cielo a funestare la terra – ogni lembo di terra abitato dalla civiltà, che è per definizione bianca, occidentale. Né chiamatela follia. Poiché quella che si usa definire follia – oppure psicosi o altri presunti equivalenti – è innanzi tutto condizione della poiesis.Ed è hybris, è dissoluzione del soggetto, rifiuto dell’obbligatoria felicità, contestazione della volgarità sotto forma del rappresentabile e rappresentato – pittura, teatro, danza, o dalla rappresentabilità della Logica del Tempo, della Logica dell’Inconscio, in nome dell’eccesso, dell’estremismo, dell’ekstasis, parola greca che può indicare l’uscita dai ceppi della ratio come assoluta egemone, ma dalla quale deriva, guarda caso essere, non esser-ci: voglio dire l’inattingibile Carne, mai matrugiata dalla carne, forse intravista – budella squarciate, sublime dolore, dal samurai che pratica il seppuku, – e forse per un istante raggiunga il fondo supremo della rivelazione, il simbolo palpabile dell’aldilà, della sua presenza in noi. Cosa non data al soldato, e tanto meno al cosiddetto eroe. E mai al soldato. Soldato che inesorabilmente scopre la sua propria miseria.(Francesco Saba Sardi, “Istituzione dell’ostilità”, dalla pagina Facebook di Giovanni Francesco Carpeoro, 14 aprile 2016. Scrittore, saggista e traduttore, eminente intellettuale italiano, ha tradotto i maggiori scrittori mondiali dell’800 e del ‘900, nel 1958 ha firmato “Il Natale ha 5000 anni” e, in un altro saggio, “Dominio”, edito nel 2004, ha tracciato una lucida analisi della natura autoritaria del potere che ha guidato la civilizzazione terrestre, dall’avvento del neolitico ai giorni nostri).1. Empatia. Poniamo che io sia un pastore errante per l’Asia, con il mio picciol gregge. Che salga il pendio di un colle, e affacciato dalla sommità, veda un pastore errante per il Sahel, con pochi dromedariucci. Ciascuno di noi sorriderà all’alterità che così gli si rivela. Empatia. Che è, sì, partecipazione emotiva, è sì affinità, ma non elettiva, non dunque cercata, non voluta, e neppure passivamente accettata. Senza l’empatia, molto si può fare, non però le cose che si sottraggono alla sfera razionale, alla Discorsività. Si può per esempio tradurre un testo in modo che appaia accettabile alla scrittura (intesa come opposta alla letteratura che è al servizio del potere e delle sue norme grammaticali e sintattiche)? Si può eseguire, cioè tradurre in sonorità, uno spartito musicale, in modo che si distacchi e redima dalla discorsività che si esprime nel battito ritmico del piede dell’ascoltatore? Penso che né il testo né lo spartito possano venire degnamente interpretati muovendo dalla convinzione che soprattutto per la traduzione di opere scritte sia necessaria un’attività affine a un esercizio algebrico.
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Galloni: economia per noi, non contro. Politici, dove siete?
Il baratro: le banche, i mercati e la finanza. Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio. Oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.Perché non lo si fa? Perché significherebbe avere piena occupazione e aumento dei salari, la gente non sarebbe più asservita e dunque un mondo rispetto al quale il vecchio modo di governare, basato sulla soggezione della gente, non funziona più e salta. Le soluzioni all’attuale crisi economica ci sono ma comportano un’emancipazione delle popolazioni, un aumento alla partecipazione democratica, il ripristino della classe media al posto della categoria dei cittadini-sudditi. Oggi la gente è disperata: non trova lavoro, non riesce a pagare il mutuo, ha paura di quello che può accadere al primo imprevisto. E sta buona. Senza questa sottomissione economica le classi dirigenti andrebbero in crisi: e come facciamo noi a sopravvivere?, si chiedono i parassiti. I poteri forti esistono e dominano perché non c’è una classe politica degna di questo nome. Quando ci sono i Roosevelt, i Kennedy, i Moro, i Mattei, è chiaro che questi poteri occulti hanno meno peso e importanza. Attraverso gli squilibri finanziari, monetari e bancari mantengono il controllo sulla formazione delle stese classi dirigenti che poi vanno formalmente a governare i paesi.Si potrebbe ancora rovesciare il tavolo delle regole, forse. Ad esempio autorizzando i disavanzi dei paesi in funzione del tasso di disoccupazione e non di parametri finanziari decisi chissà dove e come. Ma certo non lo può fare questa Unione Europea e le istituzioni che sono parte del problema. Perché sono lontanissime e tendenzialmente ostili a favorire la consapevolezza delle masse che un certo meccanismo si è rotto. E tendono a tamponare le situazioni per mantenere lo status quo. Le democrazie che guidano sono in crisi perché non sono riuscite a stabilire la differenza tra cittadino e suddito. Per ristabilirla, serve recuperare sovranità e capire quale è il modello economico oggi sostenibile. Ritengo che sia arrivato il momento di infrangere dei tabù e di tentare politiche opposte, di aumento dei salari e della spesa pubblica in disavanzo, di riconoscere la sostenibilità dei rendimenti negativi una volta si sia capito che credito e moneta sono a costo zero non hanno bisogno di copertura ma solo di stimolare la produzione di quei servizi necessari alla comunità di cui si dice erroneamente che mancano i soldi.Abbiamo il debito pubblico alle stelle? E’ vero. Ma su questo si deve fare un ragionamento finalmente vero e più onesto. Quando andiamo in banca ad accendere un mutuo ci viene concessa una somma fino a cinque volte il nostro reddito annuale. Il reddito di un paese è il prodotto interno lordo, ma il debito va paragonato al patrimonio che è di gran lunga superiore. Questa idea per cui siamo appesi ai conti economici delle entrate e delle uscite è una mistificazione che comprime le possibilità di sviluppo e di piena occupazione. Il 5 Stelle? Oggi coltiva l’ambizione del governo e questo sdoppia la sua matrice. Da una parte continua la deriva positiva degli anti-sistema al grido “onestà-onestà”, dall’altra una crescente propensione ad accreditarsi come referenti affidabili, anche presso i consessi internazionali. Ecco, se prevalesse la logica del “vedete, siamo bravi ragazzi” temo che anche mettendo a disposizione le mie ricette non cambierebbe nulla.(Nino Galloni, sintesi delle dichiarazioni rilasciate a Claudio Messora per l’intervista “Possiamo farcela senza l’Europa”, pubblicata su “Byoblu” l’8 luglio 2016).Il baratro: le banche, i mercati e la finanza. Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio. Oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.