Archivio del Tag ‘Cina’
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Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka
Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità. Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano.Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Ma non solo. Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina? Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato.La mascherina è inevitabilmente associata al totalitarismo sanitario imposto nei mesi scorsi, con le sue restrizioni della libertà più elementari e dei diritti primari: la prigionia domestica, il coprifuoco e la segregazione precauzionale. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi. Sul piano geoetnico la mascherina evoca altri mondi diversi dal nostro, italiano, europeo e occidentale; cancella la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Anche se persona in origine significa maschera, da noi la maschera ha una connotazione negativa o al più grottesca. Mascherato è il rapinatore, il killer o il carnevale. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose.La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici dei cinesi in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste. Poi c’è la realtà. Al di là della contesa simbolica e ideologica di cui è stata caricata la mascherina vale l’utilità pratica di indossarla, magari il minimo indispensabile, evitandola laddove siamo soli, nelle nostre auto o all’aperto, lontani da ogni assembramento. E cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza in luoghi o situazioni che la richiedono. Perché la mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un osceno baratto, dopo quello tra convivialità e salute: la pelle in cambio della faccia.(Marcello Veneziani, “L’ideologia mascherata e il burka della salute”, dal numero 38 di “Panorama”, settembre 2020).Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.
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Se vincerebbe il Sì: come non dare un dispiacere a Di Maio?
«Se vincerebbe il Sì», è riuscito a dire l’incorreggibile Di Maio nei giorni scorsi, parlando del referendum sul taglio dei parlamentari. Un voto a cui i 5 Stelle si aggrappano, per tentare di nascondere lo squallore assoluto in cui sta annegando il partito-caserma creato da Grillo, l’ex comico che nei giorni scorsi avrebbe mandato all’ospedale un giornalista di Mediaset, Francesco Selvi, che tentava di intervistarlo. «Se vincerebbe il Sì», ha osato dire l’ex vicepremier e attuale ministro (degli esteri). A proposito: l’Italia – ormai sparita persino dalla Libia – non ha più uno straccio di politica estera. Quanto alla politica interna, se la fa dettare per intero dall’Agenda Mondiale dell’Emergenza, elaborata da quella stessa “casta” che fece la fortuna dei grillini, nati come alternativa elettorale, giustizialista, agli abusi dei soliti noti. Non poteva trovare esecutori più docili, il peggior potere internazionale: nessuno, come i grillini, sa obbedire – all’istante – anche agli ordini più indecenti. E nessuno come i grillini ha saputo tradire in modo così atroce gli ingenui elettori, che avevano creduto alle favole sull’Ilva, sul gasdotto Tap, sulla Torino-Lione, sulle trivelle in Adriatico, sugli F-35. In altre parole: su tutto. La beffa più ignobile? La promessa di abolire l’obbligo vaccinale, imposto da Big Pharma tramite Beatrice Lorenzin, sapendo di poter fare dell’Italia un paese-cavia, data l’inconsistenza della sua classe politica.In questa catastrofe epocale, ancor prima che il mondo intero venisse declassato a reparto ospedaliero popolato di pazienti in libertà vigilata, la narrazione del grillismo riesce a deformare anche il grottesco, con le deprimenti sgrammaticature di Di Maio e le solennità tragicomiche ricamate attorno alla barzelletta del reddito di cittadinanza, grazie alla quale poi dichiarare «abbiamo sconfitto la povertà». Tutto questo, un minuto prima che il sistema-Italia si impoverisse per intero e in modo spaventoso, in un colpo solo, precipitando nel baratro del Pil (-15%) per effetto del lockdown “cinese” imposto dall’Oms al prestanome che siede a Palazzo Chigi. Anche lui, l’ex “avvocato del popolo” (in realtà, del potere vaticano amico della Cina), è un regalo del grillismo che ha ingannato il Belpaese, fuorviandolo, proprio mentre cresceva l’insofferenza verso la classe politica. L’ipnosi collettiva ha sdoganato scemenze come il mitico “uno vale uno”, nella caserma politica fondata dal padrone Casaleggio (con Enrico Sassoon) e capitanata dal demiurgo Grillo, che Alessandro Meluzzi definisce «un vecchio arnese del potere democristiano», trasformato in utile pedina dell’élite finanziaria mondiale. «Grillo era in quota alla sinistra Dc alleata dell’ex Pci, e fu chiamato a bordo del Britannia, al servizio dei poteri forti intenzionati a depredare l’Italia, per poi essere riciclato come finto rivoluzionario, allo scopo di depistare la rabbia di milioni di italiani e impantanarla su lidi innocui».Luigi Di Maio è un esemplare perfetto, dello zoo grillino. Prima con Salvini, poi contro. Prima coi Gilet Gialli, poi con Macron. Prima contro l’euro, poi in ginocchio di fronte alla Merkel («ce l’avessimo in Italia, un politico così). Se il mandante occulto è l’élite del Britannia – la “casta”, tradotto in grillese – è persino ovvio che l’ordine sia sempre lo stesso: tagliare l’Italia, rimpicciolendola. Viva la Cina, dunque: e se Pechino non ama la democrazia, tanto meglio. Del resto, dal lockdown in poi, è proprio la democrazia a esser stata tagliata, anche in Italia, e nel modo più brutale, nel silenzio-assenso degli zelanti grillini. Il Parlamento non piaceva granché a Mussolini, e nemmeno a Licio Gelli. Il taglio dei parlamentari era nei piani della P2, ma anche nell’orientamento politico dei magistrati di Mani Pulite, che rasero al suolo i partiti della Prima Repubblica proprio mentre i signori del Britannia allungavano le mani sull’Italia, ormai indifesa. Chiusa la parentesi Berlusconi, comparvero loro: i rivoluzionari all’amatriciana. In pochissimi anni, fino all’attuale apocalisse targata Giuseppe Conte, i grillini sono riusciti a distruggere anche l’ultimo barlume democratico: la fiducia nella possibilità di una politica degna. Scontato, oggi, che premano per tagliare il Parlamento: cosa che andrebbe in porto, «se vincerebbe il Sì». Come resistere, alla tentazione di dare un dipiacere a Di Maio?(Giorgio Cattaneo, 15 settembre 2020).«Se vincerebbe il Sì», è riuscito a dire l’incorreggibile Di Maio nei giorni scorsi, parlando del referendum sul taglio dei parlamentari. Un voto a cui i 5 Stelle si aggrappano, per tentare di nascondere lo squallore assoluto in cui sta annegando il partito-caserma creato da Grillo, l’ex comico che nei giorni scorsi avrebbe mandato all’ospedale un giornalista di Mediaset, Francesco Selvi, che tentava di intervistarlo. «Se vincerebbe il Sì», ha osato dire l’ex vicepremier e attuale ministro (degli esteri). A proposito: l’Italia – ormai sparita persino dalla Libia – non ha più uno straccio di politica estera. Quanto alla politica interna, se la fa dettare per intero dall’Agenda Mondiale dell’Emergenza, elaborata da quella stessa “casta” che fece la fortuna dei grillini, nati come alternativa elettorale (giustizialista) agli abusi dei soliti noti. Non poteva trovare esecutori più docili, il peggior potere internazionale: nessuno, come i grillini, sa obbedire – all’istante – anche agli ordini più indecenti. E nessuno come i grillini ha saputo tradire in modo così atroce gli ingenui elettori, che avevano creduto alle favole sull’Ilva, sul gasdotto Tap, sulla Torino-Lione, sulle trivelle in Adriatico, sugli F-35. In altre parole: su tutto. La beffa più ignobile? La promessa di abolire l’obbligo vaccinale, imposto da Big Pharma tramite Beatrice Lorenzin, sapendo di poter fare dell’Italia un paese-cavia, data l’inconsistenza della sua classe politica.
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Silenzio sul Nobel a Trump, che spaventa i nemici dell’Italia
La notizia taciuta: Trump riceve la seconda candidatura al Nobel, dopo l’accordo tra Kosovo e Serbia. «Silenzio dei media, nel paese dove chi non deve lavorare per vivere difende a spada tratta i migranti», scrive Mitt Dolcino. Per Trump è la seconda “nomination” al Nobel per la Pace, per il suo doppio intervento: prima a favore sia della riappacificazione in Medio Oriente tra sauditi e israeliani, e poi tra le due entità balcaniche, Belgrado e Pristina, storicamente opposte. «Chiaramente la potenza anche militare Usa ha avuto il suo peso, negli eventi di pace, ma certi passi non hanno prezzo». E per per assurdo, aggiunge Dolcino, nel prossimo futuro rischiamo di avere paesi amici sull’orlo della guerra, proprio mentre i nemici storici si riavvicinano. C’è dunque «malafede», nell’ostinazione con cui i media italici hanno fatto passare sotto silenzio la notizia sulla seconda candidatura di Trump al Nobel per la Pace. Dolcino intanto segnala che l’asse con gli Usa (di là da venire) comprenderebbe gli arabi e Israele, «ma non l’Iran, che – come da nome – è ariano; proprio come i tedeschi ex nazisti amavano chiamare la Persia». Quanto alla Turchia, «più che ariana, è alleata di Berlino da oltre 100 anni».Gli eventi attuali – secondo il blog – ci dicono che «gli ebrei dei lager e dell’Olocausto», cioè gli israeliani «sempre pronti alla guerra con chi li voleva annientare», anche in futuro «staranno, come è giusto che sia, coi loro liberatori dal giogo hitleriano, ossia innanzitutto con gli Usa». E il “reset” dei rapporti geostrategici del Medio Oriente non finisce qui, avverte Mitt Dolcino: si parla già di normalizzazione degli accordi di pace tra Israele e Marocco. Poi sarà la volta dell’Arabia Saudita, l’ultima, la sede de La Mecca. «Quello che sta accadendo è che i “mizrahim” torneranno a ricoprire il ruolo ricoperto per secoli, in Medio Oriente, fino alla nascita di Israele. Dunque ecco spiegato il nervosismo delle potenze ex coloniali europee, superate in curva: non serve ad esempio avere la Francia o la Gran Bretagna per preservare il petrolio dell’area, basta Gerusalemme». Questo avviene chiaramente con la benedizione di Washington «ma soprattutto con l’avallo russo». Mosca, «vedendoci lungo, non ci pensa nemmeno a concedere la vittoria all’asse sino-tedesco, con Turchia ed Iran a supporto», visto che in quel caso la Russia «verrebbe letteralmente circondata, a sud, est e ovest».Ecco dunque materializzarsi il nuovo Risiko mediterraneo, che andrà in porto se Trump verrà confermato, «lasciando poi al prossimo mandato trumpiano la “regolazione” operativa di Cina e Germania». Sempre secondo Mitt Dolcino, pochi considerano che la grande perdente sarà soprattutto la Francia, che a breve potrebbe perdere addirittura l’accesso privilegiato all’Algeria. A quel punto «dovrà rifarsi con l’anello debole, l’Italia, conquistandola certamente a livello economico». Ecco perché Roma «dovrà necessariamente schierarsi con Washington e Tel Aviv, con cui i rapporti sono sempre stati più che cordiali» (come del resto anche con il mondo arabo). Secondo Dolcino, il grande silenzio sul Nobel a Trump, da parte «dei media italici cooptati all’Ue» deriva proprio dal grande rimescolamento in atto nell’area mediorientale. Dolcino accusa l’establishment italiano «ormai al soldo di Parigi e Berlino», potenze impegnate nella conquista del Belpaese, grazie ai collaborazionisti italici, in una sorta di neo-feudalesimo in cui le élite nostrane avrebbero il ruolo dei piccoli feudatari. Il loro obiettivo: far pagare al 99% della popolazione il peso finanziario della crisi, preservando i grandi capitali.Attenzione: sono proprio le élite a detenere la proprietà dei grandi media. E sono sempre loro, «che non hanno necessità di lavorare», a sostenere con maggior forza «l’immigrazione dall’Africa», ovvero l’invasione delle nostre coste da parte di individui «senza contezza dei propri diritti civili e sociali, nonchè economici». Un’umanità fragile, insomma, «da usare per sostituire gli italiani eccessivamente esigenti», in un penisola «forse troppo bella per essere lasciata agli indigeni». Logico che poi queste élite (non solo italiche) tifino soprattutto sinistra, ossia il lato politico più vicino a questa Ue, «troppo simile all’Europa sognata dalla Germania nazista». Senza dimenticare – chiosa Dolcino – che «l’incredibile invasione dei neri anche nella Lombardia leghista – ossia pro-Ue e da sempre filo-tedesca – potrebbe essere finalizzata a rimpiazzare a termine i meridionali italiani con manodopera di sostituzione a costo più basso, nelle more di una ipotetica secessione del settentrione (là da venire, per restare nell’euro) all’altezza della Linea Gotica)».La notizia taciuta: Trump riceve la seconda candidatura al Nobel, dopo l’accordo tra Kosovo e Serbia. «Silenzio dei media, nel paese dove chi non deve lavorare per vivere difende a spada tratta i migranti», scrive Mitt Dolcino. Per Trump è la seconda “nomination” al Nobel per la Pace, per il suo doppio intervento: prima a favore della riappacificazione in Medio Oriente tra sauditi e israeliani, e poi tra le due entità balcaniche, Belgrado e Pristina, storicamente opposte. «Chiaramente la potenza anche militare Usa ha avuto il suo peso, negli eventi di pace, ma certi passi non hanno prezzo». E per per assurdo, aggiunge Dolcino, nel prossimo futuro rischiamo di avere paesi amici sull’orlo della guerra, proprio mentre i nemici storici si riavvicinano. C’è dunque «malafede», nell’ostinazione con cui i media italici hanno fatto passare sotto silenzio la notizia sulla seconda candidatura di Trump al Nobel per la Pace. Dolcino intanto segnala che l’asse con gli Usa (di là da venire) comprenderebbe gli arabi e Israele, «ma non l’Iran, che – come da nome – è ariano; proprio come i tedeschi ex nazisti amavano chiamare la Persia». Quanto alla Turchia, «più che ariana, è alleata di Berlino da oltre 100 anni».
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Gasdotti: c’è la Germania (non Putin) dietro il caso Navalny
Navalny non era una minaccia per Putin, si sa, con percentuali di voto da prefisso telefonico. Parimenti egli sembrava “di molto” avere le fattezze di una spia straniera; di norma quelli più attrezzati per inserire spie in Russia sono gli uomini della ex Ddr, a maggior ragione quelli post 1990, ossia la Stasi fusa nel Bnd sotto Schäuble, il potentissimo ministro della segretezza economica tedesca. Il North Stream II rappresenta invece l’autonomia energetica germanica o quasi, infatti i 100+ bcm/yr di metano sono davvero la pietra angolare del sogno di potenza per via energetica della Germania. North Stream II maturato – lo ricordo – con un accordo della 25esima ora che uccise Atene nel suo tentativo di Grexit ante 2015, ossia tagliando la linea di credito russa promessa da Mosca con Varoufakis a capo delle finanze, linea necessaria per uscire dall’euro; ciò avvenne, il tradimento russo ad Atene intendo, in forza di un accordo a tre tra Merkel-Putin e Obama atto a permettere – in cambio del mantenimento dell’euro, ossia del ritiro del prestito russo ad Atene (infatti la fine della moneta unica sarebbe stata in grado di deragliare la rielezione di Obama, così fu venduta all’inquilno della Casa Bianca, si dice) – il raddoppio del collegamento gas-energetico russo, bruciando per altro il South Stream italiano e con esso Saipem ed Eni.All’appello manca dunque la Stasi, con il deputato tedesco Gregor Gysi che oggi dice che l’avvelenamento di Navalny è stato perpetrato da gente che non voleva il North Stream II. Si dice ci sia un vecchio detto, in Stasi, “bisogna sempre dire il contrario della realtà che ti infastidisce”, o qualcosa del genere. Bene, Gregor Gysi è anche figlio di un plenipotenziario riconosciuto della Stasi, addirittura ex ambasciatore alla Santa Sede della Ddr durante il sequestro Moro, poi traslocato in fretta e furia all’estero dopo il tragico epilogo. Il figlio attuale, Gregor, del partito Spd, è stato guarda caso anche finanziatore di Carola Rackete, ossia della Ong Sea Watch, indicando perfettamente la strada che la Stasi ha percorso, con un piano 3d, per destabilizzare l’Italia (e la Grecia). Oggi i formidabili servizi segreti tedeschi potrebbero anche aver avvelenato Navalny, ovvero aver fatto finta di avvelenarlo. Per farlo tornare in patria, forse era davvero un loro asset, versione plausibile quanto meno. Dando poi la colpa alla Russia per l’avvelenamento. Ossia, forse i tedeschi speravano così di creare un’onda mediatica anti-russa, per cui il mondo occidentale si sarebbe scagliato contro Mosca e contro Putin, cosa che invece non è accaduta, complice l’uscita in diretta di Trump che ha detto: «Non c’è nessuna prova dell’avvelenamento russo di Navalny».Come dire, se non la piantate diciamo che siete stati voi tedeschi, forse… (la prima vera crepa Russia-Germania è arrivata, verso la Yalta II?). Il movente tedesco del fallito piano poteva ben essere che, ad esempio, visto che Trump sta per dinamitare il progetto di North Stream II forse anche d’accordo con Putin, a fronte di qualche contropartita vicino-caucasica per Mosca dagli States (che forse oggi non si può ancora dire), Berlino potrebbe aver deciso di tentare il tutto per tutto per salvare il progetto del gas dal nord, vitale, l’equivalente di un piccolo Lebensraum energetico tedesco. Ben conoscendo il piano l’attacco in corso anti-tedesco, dagli Usa. Dunque ecco forse la messa in scena di Navalny avvelenato per sviare l’attenzione: non mi stupirei di vederlo fra un po’ zampettare da qualche parte, certamente cercato dai media Uk e Usa che faranno a gara per trovarlo vivo e vegeto, il Navalny, mentre i media tedeschi faranno invece l’opposto, proprio non lo cercheranno lasciandolo nell’oblio, un po’ come successe con il gambizzatore di Schäuble o con l’ex moglie del compagno di Angela Merkel.Chiaro, queste sono ipotesi, un modo come un altro per mettere ordine agli eventi. Certamente quella presentata è solo una delle tante ipotesi possibili, che potrebbe essere comunque vera in parte o in toto, direi più in parte al limite. Ma che se non altro ha il pregio di mettere in evidenza – che è il vero scopo dell’intervento – quali siano i veri driver della faccenda Navalny-North Stream II-sfida agli Usa da parte dell’asse sino-tedesco. In attesa del coup de theatre: l’esposizione degli artefici europei dell’Obamagate, appena – presto o tardi – il generale Flynn verrà riabilitato. Sono sicuro che ne vedremo delle belle, in Germania ed in Italia. Quello che deve rimanervi, di questo pezzo, non è tanto l’ipotesi presentata, una delle tante sul tavolo, ma la sensazione – netta – che le cose, soprattutto di questi tempi, non sono quasi mai come ve le fanno apparire, ad arte. Abbiate ancora un po’ di pazienza.(Mitt Dolcino, “Navalny avvelenato, North Stream II e Stasi reloaded: una versione per mettere tutti d’accordo nel caos apparente, fomentato da Berlino”, dal blog di Mitt Dolcino del 9 settembre 2020).Navalny non era una minaccia per Putin, si sa, con percentuali di voto da prefisso telefonico. Parimenti egli sembrava “di molto” avere le fattezze di una spia straniera; di norma quelli più attrezzati per inserire spie in Russia sono gli uomini della ex Ddr, a maggior ragione quelli post 1990, ossia la Stasi fusa nel Bnd sotto Schäuble, il potentissimo ministro della segretezza economica tedesca. Il North Stream II rappresenta invece l’autonomia energetica germanica o quasi, infatti i 100+ bcm/yr di metano sono davvero la pietra angolare del sogno di potenza per via energetica della Germania. North Stream II maturato – lo ricordo – con un accordo della 25esima ora che uccise Atene nel suo tentativo di Grexit ante 2015, ossia tagliando la linea di credito russa promessa da Mosca con Varoufakis a capo delle finanze, linea necessaria per uscire dall’euro; ciò avvenne, il tradimento russo ad Atene intendo, in forza di un accordo a tre tra Merkel-Putin e Obama atto a permettere – in cambio del mantenimento dell’euro, ossia del ritiro del prestito russo ad Atene (infatti la fine della moneta unica sarebbe stata in grado di deragliare la rielezione di Obama, così fu venduta all’inquilno della Casa Bianca, si dice) – il raddoppio del collegamento gas-energetico russo, bruciando per altro il South Stream italiano e con esso Saipem ed Eni.
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Magaldi: Sì al referendum? Un voto a Conte, cioè alla Cina
«Altro che taglio dei parlamentari: vorrei che deputati e senatori fossero il doppio degli attuali, e per giunta pagati il doppio. Non siamo ipocriti: se a pagarli adeguatamente non sarà lo Stato, provvederanno i privati (anche in modo illegale). E se le poltrone verranno tagliate, resteranno “sicure” solo quelle destinate a uomini che, anziché ai cittadini, risponderanno unicamente ai leader di partito». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, stronca la proposta referendaria di decurtazione della rappresentanza democratica, in Parlamento. «E’ triste che a volerla siano soprattutto i 5 Stelle, che un tempo caldeggiavano nobili forme di democrazia diretta come i referendum propositivi: un’idea ottima, a mio avviso, per integrare la democrazia rappresentativa. Peccato che i grillini se la siano completamente dimenticata». L’antipolitica dominante, che oggi gonfia i consensi del facile “sì” al taglio dei parlamentari, sotto la sferza della grande crisi innescata dal lockdown all’amatriciana, secondo Magaldi deriva dalla cocente delusione degli italiani per i leader che si sono succeduti negli ultimi anni: «Personaggi come Berlusconi e Renzi, bravissimi a chiacchiere quanto inconsistenti al lato pratico: stando alle riforme introdotte, il loro bilancio è davvero misero».Un caso addirittura grottesco è quello dei grillini: «Volevano “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, e oggi si ritrovano a puntellare un regime neoliberista che, da decenni, non chiede altro che tagliare ogni rappresentanza popolare: il referendum sulla riduzione dei parlamentari, demagogico e irrisorio sul piano del risparmio economico (vale un caffè offerto agli italiani, in un anno) piace molto ai signori dell’austerity, preoccupati di spegnere gli ultimi spazi di democrazia a disposizione dei cittadini». Non è un caso, aggiunge Magaldi, che i più accesi sostentori del “sì” – da Conte a Di Maio – siano anche «esponenti del partito “cinese”, trasversale alle istituzioni, che ha imposto una gestione dell’emergenza in stile Wuhan, agevolando in più occasioni la penetrazione di Pechino nel sistema-Italia». Lo si è visto anche con l’ultimo via libera concesso dal premier a Huawei (lontano dai riflettori) per sdoganare la tecnologia cinese per il 5G a disposizione di Telecom: un atto che ha irritato gli Usa, che avevano chiesto apertamente al governo italiano di non spalancare le porte del Belpaese a quello che ritegono sia il cavallo di Troia, tecnologico, dell’intelligence del gigante asiatico.Sferzante il giudizio di Magaldi su Conte, che ha raccontato di aver proposto Draghi come presidente della Commissione Ue: una dichiarazione patetica, dice il presidente “rooseveltiano”, da parte di un soggetto che – come tutti sanno, in Italia e in Europa – non ha mai avuto alcun titolo per “candidare”, in qualsivoglia sede immaginabile, un personaggio internazionale del calibro di Draghi. «L’avvocaticchio Conte, incidentalmente ancora primo ministro proprio grazie al Covid, presto tornerà al nulla dal quale è venuto», profetizza Magaldi. «Purtroppo per l’Italia – aggiunge – Conte ha avuto il tempo di disastrare la nostra economia: e se oggi si parla di Draghi, è perché il governo in carica non ha la minima idea di come sfruttare in modo adeguato i prestiti europei del Recovery Fund, non avendo uno straccio di idea su come rimettere in piedi il paese». I complottisti tremano, dopo la dichiarazione di Draghi secondo cui per uscire dal tunnel sarebbe necessario il tracciamento sanitario di massa? Non hanno capito bene, dice Magaldi: in questo modo – certificando lo stato di salute dei cittadini – Draghi toglierebbe dalla circolazione l’arma della paura, finora utilizzata come alibi per paralizzare all’infinito il paese.Autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che descrive il ruolo delle superlogge svranazionali nella sovragestione occulta del potere mondiale, Magaldi – leader del Grande Oriente Democratico e frontman italiano del circuito massonico progressista – fornisce una personalissima lettura degli eventi: la catastrofe planetaria del coronavirus sarebbe stata sfruttata in modo “terroristico” dalla medesima élite reazionaria, anche atlantica, che già negli anni ‘70 – con Kissinger – aveva scommesso sulla Cina neo-capitalista come modello (non democratico) da imporre un giorno a un Occidente senza più libertà né diritti. L’occasione, ghiottissima, si è presentata con il Covid, che ha permesso all’Oms – oggi largamente finanziata da Pechino e da Bill Gates – di trasformare la pandemia in un pretesto per imporre, al resto del mondo, una sorta di polizia sanitaria: l’alibi della paura, per spegnere ogni dissenso e cancellare lo stile vita occidentale.Mentre negli Usa lo stesso Donald Trump ha cercato di resistere all’imposizione dell’autoritarismo indotto con il lockdown (e in Russia persino Putin ha provato a sdrammatizzare, lanciando un vaccino scaccia-panico in anteprima mondiale), l’Italia si è rivelata l’epicentro della tragedia, in Europa. E il governo Conte – strettamente controllato proprio dall’Oms “cinese” – ha imposto il peggior coprifuoco che sia stato adottato nell’intero continente, mettendo in ginocchio l’economia nazionale e senza neppure la forza di contrattare a Bruxelles un adeguato piano di soccorsi finanziari. Magaldi tifa apertamente per Mario Draghi, e spiega: insieme a Christine Lagarde (e ad altri pezzi da novanta del potere mondiale, interamente massonico), l’ex numero uno della Bce ha abbandonato i vecchi sodali del fronte oligarchico per abbracciare una prospettiva rooseveltiana e keynesiana, fondata sul recupero della sovranità democratica dopo i decenni dell’austerity e della globalizzazione neoliberista. Per questo Draghi fa paura: non tanto all’irrilevante Conte, quanto ai suoi sponsor “cinesi”, ben lieti di imporre agli italiani – col referendum sul taglio del Parlamento – l’ennesima restrizione dei residui spazi democratici.«Altro che taglio dei parlamentari: vorrei che deputati e senatori fossero il doppio degli attuali, e per giunta pagati il doppio. Non siamo ipocriti: se a pagarli adeguatamente non sarà lo Stato, provvederanno i privati (anche in modo illegale). E se le poltrone verranno tagliate, resteranno “sicure” solo quelle destinate a uomini che, anziché ai cittadini, risponderanno unicamente ai leader di partito». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, stronca la proposta referendaria di decurtazione della rappresentanza democratica, in Parlamento. «E’ triste che a volerla siano soprattutto i 5 Stelle, che un tempo caldeggiavano nobili forme di democrazia diretta come i referendum propositivi: un’idea ottima, a mio avviso, per integrare la democrazia rappresentativa. Peccato che i grillini se la siano completamente dimenticata». L’antipolitica dominante, che oggi gonfia i consensi del facile “sì” al taglio dei parlamentari, sotto la sferza della grande crisi innescata dal lockdown all’amatriciana, secondo Magaldi deriva dalla cocente delusione degli italiani per i leader che si sono succeduti negli ultimi anni: «Personaggi come Berlusconi e Renzi, bravissimi a chiacchiere quanto inconsistenti al lato pratico: stando alle riforme introdotte, il loro bilancio è davvero misero».
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Non ci resta che Draghi. Chi lo spiega a Conte e Mattarella?
Non ci resta che piangere, per citare Massimo Troisi? Non esattamente: c’è sempre Mario Draghi, in panchina. Un fuoriclasse, nel suo campo: «Negli ultimi tempi ha salvato ripetutamente l’Italia dall’arrivo della Troika», con il suo “quantitative easing”. «Politicamente parlando non è certo il mio candidato ideale; ma sarebbe sicuramente il meno peggio, per il paese, almeno in questo momento, perché ci proteggerebbe dall’Europa». In sostanza, Draghi riuscirebbe a evitare gli strali dell’austerity, proprio mentre il sistema-Italia è alle corde, messo al tappeto dai quasi tre mesi di forsennato lockdown imposto dal governo Conte. A tifare per Draghi è Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, dirigente del Movimento Roosevelt come l’economista Nino Galloni, che alla manifestazione romana dei “no mask” ha ricordato che a Draghi hanno bruciato la casa, in Umbria, all’indomani del suo epocale intervento sul “Financial Times”: l’ex presidente della Bce proponeva di uscire dalla crisi-Covid mettendo fine al rigore finanziario, quindi con aiuti miliardari e virtualmente illimitati, a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. E’ fuori discussione – anche secondo Carpeoro – la natura dolosa dell’incendio: un avvertimento mafioso, «di quelli che normalmente si affidano alla manovalanza della criminalità o a servizi segreti, o magari a entrambi i soggetti».Chi può aver ordinato di bruciare il tetto della casa di Draghi, proprio la notte in cui a Bruxelles si teneva il primo vertice europeo sull’emergenza Covid? «Gli stessi gruppi dai quali Draghi si era appena sganciato», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. A svelare i retroscena sul clamoroso riposizionamento di Draghi è Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014), che evidenzia il ruolo delle superlogge sovranazionali nella gestione occulta del potere. Draghi, sintetizza Magaldi, era presente in ben 5 Ur-Logdes di segno oligarchico, vere e proprie “officine” della costruzione neoliberista europea. Un mondo dal quale poi, a partire dal 2019, ha preso le distanze: era ancora a capo della Bce quando evocò addirittura la Modern Money Theory (emissione illimitata di denaro a costo zero) come possibile soluzione temporanea per rianimare l’economia, oppressa dall’austerity che soffoca la spesa pubblica. Secondo Magaldi, Draghi non è solo: la stessa Christine Lagarde (e altri big del grande potere) hanno abbandonato le superlogge reazionarie per approdare al fronte progressista, impegnato a riconquistare il pieno ritorno alla democrazia e alla sovranità finanziaria. Di qui l’inedita spendibilità del “nuovo” Draghi, per far uscire l’Italia dal tunnel in cui l’ha cacciata Conte, col pretesto del coronavirus.«Mario Draghi – conferma Carpeoro – ha deciso di giocare una sua importante partita personale». E’ davvero “pentito” di esser stato uno degli uomini-simbolo del rigore finanziario europeo, dopo aver contribuito alle grandi, disastrose privatizzazioni che negli anni Novanta sabotarono l’economia italiana? «E’ impossibile valutare oggi la sincerità delle sue intenzioni», ammette Carpeoro: «Certe cose le possiamo capire solo a giochi fatti». E a proposito di giochi: Draghi ambisce a sostituire Conte? Non proprio: «Draghi ha fatto sapere, semmai, di essere interessato al Quirinale». E qui, tutto si complica: «Appena Conte se n’è accorto, ha candidato Mattarella a succedere a se stesso, esattamente come Napolitano». Ipotesi improbabile, secondo Carpeoro, ma non impossibile: «Credo che Matterella non desideri restare capo dello Stato ad ogni costo; però penso anche che ci penserebbe, se qualcuno glielo chiedesse». Che presidente è stato, finora? Non peggiore di altri, sempre per Carpeoro, almeno fino al lockdown: «Poi invece, con l’emergenza decretata da Conte, ha firmato di tutto: ha avallato anche atti che non avrebbe dovuto né potuto avallare». In altre parole, si sarebbe reso pienamente corresponsabile delle forzature che molti giuristi hanno imputato a Conte, accusato di aver calpestato la Costituzione.Lo sguardo di Carpeoro è lucidamente distaccato da quello che definisce «gossip complottista», ma il suo giudizio resta durissimo: «L’enfasi attribuita alla gestione del coronavirus è un fatto di potere: se la gente è assillata da una preoccupazione come quella, imposta dai media in modo totalizzante, evita di occuparsi dell’operato del potere. In altre parole: il virus è comodissimo, per chi comanda». Un esempio, tra i tanti? La scuola: «Se avessi dei figli, quest’anno non ce li manderei». La scuola è nel caos, in preda al delirio del distanziamento. «E nessuno che ricordi che la scuola italiana era già in stato di sfacelo, ben prima dell’epidemia: carenze di insegnanti, soffitti che crollavano in testa agli alunni. Domando: in tutti questi mesi che cosa ha fatto, la graziosa ministra Azzolina, per affrontare questi problemi? Risposta facile: zero». Ecco dunque che a far dimenticare tutto è arrivata la paura (provvidenziale) del virus, con dettagli surreali – all’italiana – come i seggioloni a rotelle al posto dei banchi. Siamo allo sbando? «Era inevitabile, e innanzitutto per colpa nostra», dice Carpeoro: «Per anni siamo andati appresso a politici inesistenti, anziché preoccuparci di obbligare la politica a dare risposte serie, capaci di progettare il futuro».Ecco perché, oggi, la prospettiva di un impegno diretto di Mario Draghi nella politica italiana sembra davvero una risorsa strategica, data la situazione comatosa del paese – vicino al collasso socio-economico – e senza nemmeno l’ombra di un’offerta elettorale all’altezza della situazione. «Solo che le poltrone contese sono due – Palazzo Chigi e Quirinale – mentre i pretendenti sono tre», riassume Carpeoro: ci sono Draghi e Mattarella, più Conte (che ovviamente ha meno peso degli altri due, ma farà di tutto per restare dov’è). Molto, dice lo stesso Magaldi, dipende proprio da Mattarella: «Il presidente della Repubblica sa benissimo che deve la sua elezione al Quirinale proprio a Draghi, che – quand’era a capo della Bce – convinse Matteo Renzi, allora premier, a farlo eleggere capo dello Stato». Poi però è arrivata la bufera-Covid, che ha sparigliato le carte: Conte ha cavalcato la paura, secondo i dettami dell’Oms pilotata fronte reazionario mondiale che utilizza la Cina come testa di ponte, verso un Occidente non più libero, con meno diritti e sottoposto al ricatto del terrore sanitario. Mattarella, purtroppo, non si è opposto alla decretazione emergenziale di cui Conte è accusato si aver abusato. Draghi sembra guidare il fronte opposto: quello del ritorno alla normalità nel più breve tempo possibile. Forti i legami di Draghi con gli Usa, dove si sta giocando la partita delle presidenziali: lo stesso Trump (come Draghi) non è affatto entusiasta del lockdown “cinese”. Lo stallo italiano sarà risolto da Washington? Saranno guai, avverte Carpeoro, se Trump non dovesse essere rieletto.Non ci resta che piangere, per citare Massimo Troisi? Non esattamente: c’è sempre Mario Draghi, in panchina. Un fuoriclasse, nel suo campo: «Negli ultimi tempi ha salvato ripetutamente l’Italia dall’arrivo della Troika», con il suo “quantitative easing”. «Politicamente parlando non è certo il mio candidato ideale; ma sarebbe sicuramente il meno peggio, per il paese, almeno in questo momento, perché ci proteggerebbe dall’Europa». In sostanza, Draghi riuscirebbe a evitare gli strali dell’austerity, proprio mentre il sistema-Italia è alle corde, messo al tappeto dai quasi tre mesi di forsennato lockdown imposto dal governo Conte. A tifare per Draghi è Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, dirigente del Movimento Roosevelt come l’economista Nino Galloni, che alla manifestazione romana dei “no mask” ha ricordato che a Draghi hanno bruciato la casa, in Umbria, all’indomani del suo epocale intervento sul “Financial Times”: l’ex presidente della Bce proponeva di uscire dalla crisi-Covid mettendo fine al rigore finanziario, quindi con aiuti miliardari e virtualmente illimitati, a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. E’ fuori discussione – anche secondo Carpeoro – la natura dolosa dell’incendio: un avvertimento mafioso, «di quelli che normalmente si affidano alla manovalanza della criminalità o a servizi segreti, o magari a entrambi i soggetti».
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Bizzi: la farsa Covid è finita, ora licenziano il golpista Conte
«La “pandemia” è finita, andate in pace». Lo annuncia lo storico Nicola Bizzi, editore di “Aurora Boreale”. «Dopo settimane di terrorismo psicologico alimentato ad arte dal governo Conte e dalla sua torbida corte di nani e ballerine, anche e soprattutto attraverso la grancassa di risonanza dei media compiacenti e le sparate televisive di personaggi di squallore come i sedicenti “virologi” Andrea Crisanti e Walter Ricciardi, pare proprio che il vento sia cambiato», scrive Bizzi su “Database Italia“. In altre parole: “qualcuno” ha deciso che dovesse cambiare, il vento. Basta leggere quello che scrive «il potentissimo gruppo “Espresso-Repubblica”, che rappresenta da oltre trent’anni un vero e proprio partito occulto, capace di manipolare l’opinione pubblica». E’ evidente che ha dichiarato guerra al governo Conte: nelle ultime settimane, «l’esecutivo golpista giallorosso è stato infatti bersaglio, da parte di questo “partito occulto”, di un intenso bombardamento mediatico che, in maniera chirurgica, si è accanito su tutti i suoi nervi scoperti». La netta presa di posizione di “Repubblica” per la campagna del No al referendum sul taglio dei parlamentari – osserva Bizzi – è stata inoltre interpretata come una vera e propria dichiarazione di guerra a Conte e ai suoi accoliti. «Non facciamoci facili illusioni: Barbapapà Scalfari, Carlo De Benedetti e i loro “nipotini” non sono certo rinsaviti di colpo».
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Magaldi: la paura (Conte, Monti) o il coraggio, cioè Draghi
La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero: liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”, come spiegato al Meeting di Rimini proprio da quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare». Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.«La nomina di Monti è un’autentica vergogna, che denunceremo in ogni sede – tuona Magaldi, massone progressista – fino a quando il “fratello” Mario non avrà rassegnato le dimissioni: è uno scandalo che si affidi l’indirizzo europeo della sanità proprio al personaggio che operò i tagli che, la scorsa primavera, hanno reso il sistema sanitario italiano più debole e vulnerabile di fronte all’esplosione pandemica». In web-streaming su “MrTv”, la web-tv aperta dal Movimento Roosevelt, Magaldi cita i versi di Fabrizio De Andrè: i “buoni consigli” di Monti sono quelli di chi, per raggiunti limiti di età, «non può più dare il cattivo esempio». Vale anche per Sergio Mattarella, sostiene Magaldi, rinfacciando al capo dello Stato la scelta di negare a Paolo Savona, nel 2018, l’accesso a una leva strategica come il ministero dell’economia, «che da Savona sarebbe stato gestito assai meglio, che non da Giovanni Tria». Fu proprio quella mossa, richiesta dalle potenti oligarchie massoniche reazionarie – dice Magaldi – a sabotare in partenza le ambizioni del governo gialloverde, certamente fragile ma capace di spaventare gli eurocrati come il tedesco Günther Oettinger, portavoce della massoneria “neoaristocratica” (la stessa di Monti), che si premurò subito di avvertire gli italiani che sarebbero stati “i mercati” a insegnare loro come votare.Da allora sembra passato un millennio: i 5 Stelle, che due anni fa erano alle prese con le loro rivoluzionarie promesse elettorali, ora fanno da ruota di scorta a un Pd ridotto in brandelli, che non vede l’ora di liberarsi di Conte ma intanto è impantanato dalla segreteria di Zingaretti, che – dopo aver sprecato 14 milioni di euro in mascherine mai arrivate alla Regione Lazio – ora vorrebbe imporre ai laziali over-65 (e ai sanitari) la vaccinazione antinfluenzale. «Il Movimento Roosevelt – precisa Magaldi, che ne è il presidente – è tra quanti hanno chiesto al Tar di sospendere l’esecutività dell’ordinanza di Zingaretti: l’istanza di sospensione non è stata accolta, ma la battaglia non è finita: a breve, il Tar dovrà pronunciarsi nel merito, valutando cioè l’inopportunità della somministrazione obbligatoria di un vaccino che secondo gli stessi medici non avrebbe efficacia nel quadro del contenimento del Covid». Per molti anziani, addirittura, la vaccinazione antinfluenzale potrebbe essere pericolosa per la loro salute: «Se davvero la si volesse imporre, limitando in caso contrario la loro libertà di movimento – avverte Magaldi – si aprirebbe un contenzioso di altro genere, rispetto al quale Zingaretti è bene che si prepari fin d’ora».Di vaccini inopportuni ha parlato – a Berlino – nientemeno che l’avvocato Robert Kennedy junior, nella giornata di protesta contro il “distanziamento universale” che ha radunato milioni di manifestanti (non solo nella capitale tedesca, ma anche in città come Londra, Zurigo e Madrid). «Robert Francis Kennedy milita nel nostro circuito sovranazionale, quello della massoneria progressista», precisa Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che svela il ruolo occulto delle superlogge nella sovragestione politica. Al netto di quella che Magaldi definisce «l’ossessione di Kennedy per i vaccini», e senza però sottovalutare «il ricorso troppo disinvolto a determinati vaccini, da parte di una sanità che tende a somministrarli depenalizzando i produttori e proponendo quindi l’immunizzazione piuttosto che la cura delle malattie», Magaldi sottolinea il valore simbolico dell’intervento di Kennedy a Berlino, che ha citato espressamente lo storico discorso di suo zio, John Kennedy, nel ‘61: se il Muro di Berlino era il simbolo del totalitarismo del dopoguerra (quello dell’Urss), oggi – per il nipote – la protesta dei berlinesi è una grande risposta alla nuova tentazione totalitaria, quello di chi sta cavalcando il Covid in modo forsennato, sfruttando la paura.Per Magaldi, il figlio di Bob Kennedy potrebbe – domani – diventare un player importante, negli Usa, se si volesse ricostruire una prospettiva rooseveltiana e keynesiana, concentrata sul pieno recupero della democrazia e dei diritti sociali che il neoliberismo ha eroso, scolorito e cancellato. Del resto, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, sono eminenti economisti ad ammettere, oggi, che la globalizzazione neoliberale – fatta di solo mercato – è praticamente fallita. L’aveva annunciato già negli anni ‘90 il grande antropologo svizzero Jean Ziegler nel saggio “La privatizzazione del mondo”, spiegando che lo smantellamento del welfare avrebbe impoverito le popolazioni e messo fuori uso i servizi, a cominciare da quello sanitario, in Italia letteralmente devastato da Mario Monti. Insieme a Elsa Fornero (tuttora interpellata in televisione, come se fosse un esempio di governatrice illuminata), lo stesso Monti ha terremotato anche il sistema pensionistico, rendendo più debole la società e aumentando l’insicurezza: problemi che oggi stanno letteralmente per esplodere di fronte alla crisi-Covid, rispetto a cui Giuseppe Conte non ha soluzioni: «Molte famiglie stanno esaurendo i soldi, e gli imprenditori – che temono di chiudere i battenti, o di dover vendere la loro casa per salvare l’azienda – sanno che gli spiccioli del Recovery Fund arriverebbero solo a rate e a piccolissime dosi: troppo poco, e troppo tardi».Al di là degli imbarazzanti proclami di Conte – sonoramente contestato a Catania, nei giorni scorsi, al grido di “buffone” – è infatti proprio la catastrofe incombente (90.000 imprese a rischio, non meno di 5 milioni di posti di lavoro secondo l’Istat) a spingere i nani della politica italiana verso il possibile salvatore Mario Draghi. Persino “Dagospia” ha segnalato «un codazzo di auto blu, sotto la casa romana dell’ex presidente della Bce». Il crollo del sistema-Italia è paventato dalla stessa banca centrale: una famiglia su tre – avverte Bankitalia – a ottobre potrebbe non sapere più come arrivare a fine mese. Se il governo giallorosso sembra quindi avere le ore contate, non è certo da questo Parlamento che potrebbe venire una soluzione: si pensa a un esecutivo di salvezza nazionale, come quello varato da Monti nel 2011 ma di segno diametralmente opposto. Ormai la recita è finita: di che pasta sia fatta, questa Unione Europea, lo hanno capito tutti. Serve una rivoluzione copernicana, come quella evocata da Draghi sul “Financial Times”: ossigeno illimitato, sotto forma di miliardi, fino a quando l’economia non si sarà ripresa. Succederà? Dipende: la partita è complessa, ammette Magaldi, che indica un altro ostacolo ingombrante, ovvero la Cina. Meglio ancora: il “partito cinese” che opera tra le quinte del governo Conte.«Nei giorni scorsi – dice Magaldi – ho letto su “La Verità” che stanno emergendo gravi responsabilità di Conte, nel ritardo con cui è stata gestita la fase iniziale dell’emergenza, senza contare l’invio – proprio in Cina – di materiali sanitari che, di lì a poco, sarebbero stati preziosi in Italia, dove invece scarseggiavano». Non solo: è di qualche giorno fa la forte irritazione degli Usa nei confronti di “Giuseppi”, che l’8 agosto – con un decreto mantenuto riservato – ha concesso a Telecom un primo via libera per utilizzare la tecnologia Huawei per il 5G, contravvenendo così alle esplicite richieste della Casa Bianca. Per Magaldi, in Italia il clan filo-cinese «include il massone reazionario Romano Prodi, che ambisce al Quirinale». L’ombra della Cina – che omai di fatto controlla l’Oms – si allunga anche sulla scandalosa nomina di Mario Monti, altro esemplare della massoneria oligarchica che ha messo in croce l’Italia utilizzando l’austerirty Ue per i propri inconfessabili scopi di natura privatistica. E’ lo stesso clan, insiste Magaldi, che – a partire dalla fine degli anni ‘70, con Kissinger – ha contribuito a creare la Cina di oggi, un “mostro” bifronte (benessere economico, ma niente democrazia), come modello per un futuro Occidente senza più diritti: come quello che gli strateghi del Covid stanno cercando di imporre, a colpi di restrizioni, ben sapendo che in questo modo si lasciano collassare intere economie, come quella italiana.Magaldi celebra «la grandezza di Mario Draghi», dimostrata dalla capacità di cambiare radicalmente i propri convincimenti, «arrivando così anche a farsi perdonare le tante colpe del passato», cioè gli anni in cui Super-Mario dirigeva dal Tesoro la svendita del Belpaese, e poi – dalla Bce – non muoveva un dito per salvare l’Italia dalla tempesta dello spread. Il ribaltamento dei ruoli è un clamoroso indicatore di quanto sta succedendo, in Italia e nel mondo: da un parte i big come Draghi, convertiti al socialismo liberale e all’economia keynesiana (citata e praticata dallo stesso Donald Trump), e dall’altra gli irriducibili oligarchi che manovrano Conte, in uno scenario in cui galleggiano il silenzioso Mattarella, il mai pentito Prodi e l’impresentabile Monti, legatissimo alla “sorella” Merkel e ora premiato – in spregio all’Italia – dagli oscuri burocrati dell’Oms finanziata da Pechino e da Bill Gates, l’uomo che sogna il microchip obbligatorio per l’umanità. Di fronte al collasso politico planetario imposto dalla gestione della Grande Paura, l’agenda elettorale italiana è risibile: le regionali del 20-21 settembre ripropongo la farsa del finto scontro tra centrodestra e centrosinistra, mentre alla vigilia del referendum che propone di tagliare anche l’ultimo pezzo di democrazia (il Parlamento) si indebolisce di giorno in giorno l’entusiasmo dei “tagliatori”. Se l’orizzonte che conta è quello delle presidenziali Usa del 5 novembre, con il finto progressista Biden opposto a un Trump sostenuto dai massoni progressisti, il paesaggio italiano – in attesa che l’increscioso Conte esca di scena – è dominato da due totem altrettanto contrapposti: da una parte il lugubre Monti, dall’altra l’irriconoscibile Mario Draghi.La politica italiana sta platealmente corteggiando Mario Draghi, in veste di ipotetico salvatore della patria, dopo il disastro nel quale Giuseppe Conte ha sprofondato il paese. «Ma lo stesso Draghi – come peraltro richiestogli – sta ben attento a non cedere a nessun compromesso al ribasso: sarà spendibile solo per fare grandi cose, in grado di capovolgere la situazione». Ovvero, liberare l’Italia dalla doppia schiavitù della quale è prigioniera: il ricatto della paura costruito da Conte col pretesto della pandemia e la sudditanza rispetto a un’Ue che, «con i quattro baiocchi del Recovery Fund (neppure investiti in modo strategico, ma sprecati in maniera malamente assistenziale) ci costringerà a pagare il conto, salatissimo, dell’ennesimo “debito cattivo”». Lo ha spiegato al Meeting di Rimini proprio quel Draghi che, a marzo, sul “Financial Times”, «propose un ben diverso orizzonte: e cioè, fronteggiare la crisi planetaria innescata dal virus emettendo miliardi a fondo perduto, destinati a non trasformarsi affatto in debiti da ripagare. Gioele Magaldi fotografa così i giorni convulsi che stiamo vivendo, in bilico tra catastrofe e rinascita: da una parte il nuovo Draghi, conquistato alla causa progressista dopo i lunghi trascorsi nella peggiore élite reazionaria del neoliberismo, e dall’altra un irriducibile nemico della democrazia sostanziale come Mario Monti, sfacciatamente messo a capo delle politiche dell’Oms per l’Europa.
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Londra: per ogni 3 morti di Covid, altri 2 uccisi dal lockdown
Covid: per ogni tre morti a causa del virus, il lockdown potrebbe averne causato altri due, per via del panico generale che avrebbe mandato in tilt la macchina dei soccorsi e la possibilità di assistere altri malati. Lo afferma uno studio governativo britannico, presentato già a luglio dal Sage (Scientific Advisory Group for Emergencies) ma diffuso soltanto ad agosto inoltrato. Per ogni tre decessi causati dal coronavirus – riassume Tom Rayner, giornalista di “Sky News” – ce ne sono stati altri due causati dall’impatto del blocco. Secondo gli analisti del governo inglese, «il blocco nazionale potrebbe aver causato indirettamente 16.000 morti in eccesso in due mesi». Nel dossier si spiega così l’iniziale riluttanza di Boris Johnson si fronte alla scelta del blocco totale, modello Cina: a Londra, già temevano che il lockdown non avrebbe solo aggravato il bilancio economico, ma anche quello sanitario. «I risultati – scrive Rayner – forniscono una possibile spiegazione per la recente affermazione del primo ministro, secondo cui un altro blocco nazionale completo sarebbe considerato solo come una “opzione nucleare”».Le stime, eseguite dall’Ons (Office for National Statistics) insieme agli analisti di diversi dipartimenti governativi, suggeriscono che la Gran Bretagna abbia pagato un prezzo eccessivo, di fronte alla crisi epidemica che l’Oms ha classificato come pandemica. Tra marzo e maggio il Regno Unito ha contato 38.500 morti, in vario modo collegati alla diffusione del Covid-19. «Tuttavia, il rapporto conclude che il 41% di questi decessi è stato il risultato della mancata assistenza medica, piuttosto che del virus stesso», scrive sempre Rayner. Tra questi, poi, ci sono quei 16.000 decessi in più, che secondo gli studiosi inglesi sarebbero da imputare proprio al lockdown: almeno 6.000 vittime sarebbero il risultato di una «significativa riduzione delle presenze di pronto soccorso e dei ricoveri di emergenza». Si afferma: «Alcune di queste sono esigenze insoddisfatte, probabilmente a causa della riluttanza dei pazienti a cercare cure mediche o altre modifiche ai protocolli».Il rapporto – continua “Sky News” – sostiene che le altre 10.000 morti in eccesso probabilmente si sono verificate in strutture come le case di cura, a causa di pazienti dimessi dagli ospedali o che non volevano essere trasferiti in ospedale. Ma il dramma non è finito, secondo il dossier governativo inglese: «Sebbene i calcoli abbiano rilevato che 2.500 vite potrebbero essere state salvate da persone che hanno adottato stili di vita più sani durante il blocco, il modello suggerisce che potrebbero esserci ulteriori 26.000 morti in eccesso entro marzo 2021 a causa delle restrizioni in corso alle cure mediche». Complessivamente, conclude Rayner, l’analisi stima che nei prossimi anni «ci potrebbero essere un totale di 81.500 decessi in eccesso, non correlati al coronavirus», a causa di tempi di attesa più lunghi per cure non urgenti. La proiezione, che prolunga il suo sguardo sui prossimi decenni, segnala anche «un aumento della privazione, derivante da una profonda recessione». Tradotto: meno cure e meno assistenza sanitaria, a causa della crisi economica scatenata proprio dal lockdown.Covid: per ogni tre morti a causa del virus, il lockdown potrebbe averne causato altri due, per via del panico generale che avrebbe mandato in tilt la macchina dei soccorsi e la possibilità di assistere adeguatamente gli altri malati. Lo afferma uno studio governativo britannico, presentato già a luglio dal Sage (Scientific Advisory Group for Emergencies) ma diffuso soltanto ad agosto inoltrato. Per ogni tre decessi causati dal coronavirus – riassume Tom Rayner, giornalista di “Sky News” – ce ne sono stati altri due causati dall’impatto del blocco. Secondo gli analisti del governo inglese, «il blocco nazionale potrebbe aver causato indirettamente 16.000 morti in eccesso in due mesi». Nel dossier si spiega così l’iniziale riluttanza di Boris Johnson di fronte alla scelta del blocco totale, modello Cina: a Londra, già temevano che il lockdown non avrebbe solo aggravato il bilancio economico, ma anche quello sanitario. «I risultati – scrive Rayner – forniscono una possibile spiegazione per la recente affermazione del primo ministro, secondo cui un altro blocco nazionale completo sarebbe considerato solo come una “opzione nucleare”».
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L’asse Trump-Putin contro i “cinesi” Soros, Obama e Merkel
Se Donald Trump verrà rieletto, grazie alla maggioranza silenziosa degli americani (oltre il 60%, secondo i nostri sondaggi), sicuramente aiuterà l’Italia a liberarsi della tirannide burocratica dell’Unione Europea a guida franco-tedesca. Già ora le relazioni tra Usa e Germania sono gelide, come dimostra la decisione della Merkel di non partecipare al G7 negli Stati Uniti. Da decine di anni, i tedeschi usano i soliti sistemi finanziari per ingabbiare l’Italia: hanno sempre ingarbugliato i conti per far sembrare solvente la Germania, mentre le banche tedesche (soprattutto la Deutsche Bank) sarebbero già fallite dieci volte, se fossero state italiane; ma il governo tedesco e i suoi pupazzetti all’Ue continuano a mettere un salvagente sopra l’altro, per aiutare le banche tedesche. Penso che la fine del “Quarto Reich” sarà soprattutto una fine economica, così come quella della Cina comunista. Prima di abbandonare la Casa Bianca, Barack Obama disse: «Lascio ad Angela Merkel il testimone della difesa dell’ordine liberale». Al di là delle etichette (lui di sinistra, lei di destra), Obama e Merkel fanno parte della stessa squadra. Nonostante la censura in atto, il web è pieno di documenti che comprovano i legami di Obama e Merkel con George Soros.Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l’Ungheria finì nelle mani dei sovietici, George Soros smise l’uniforme delle SS e passò con i comunisti, facendo carriera nei servizi segreti ungheresi. Dopodiché passò al Kgb, dove conobbe una certa Angela Merkel, che nell’allora Germania Est lavorava a sua volta nei servizi segreti: quelli della Ddr, la famigerata Stasi. I due divennero amici. Poi Soros emigrò negli Usa, divenne americano e, fra l’altro, finanziò un certo Barack Obama. Nessuno sapeva chi fosse, Obama, e ancora oggi non si sa bene cosa abbia fatto da giovane (prima in Africa, poi in Indonesia). Si sa solo che era un grande amico di Soros. Obama, Soros e Merkel sono un trio: si conoscono molto bene. Anche sui media italiani, si è scatenata una guerra contro Trump: ogni giorno, il “Corriere della Sera” attacca il presidente americano, mentre “Repubblica” elogia la Merkel. Il “Corriere”, purtroppo, fu infiltrato da gente di Soros già ai tempi di Berlusconi. La propaganda contro Trump è orchestrata a livello internazionale, da elementi filo-cinesi che magari hanno fabbriche in Cina o comunque controllano giornali e televisioni.Gli stessi media, poi, demonizzano Putin come dittatore e invece trattano coi guanti bianchi Xi Jinping. La ragione è la stessa che spinse Hillary Clinton, nelle presidenziali 2016 e anche dopo, con il Russiagate, a criminalizzare Mosca. La sinistra, ormai controllata dal partito comunista cinese, non può immaginare neanche lontanamente la possibilità che gli Stati Uniti e la Russia si stringano la mano e comincino a cooperare. Se queste due superpotenze dovessero cominciare a collaborare, quella tigre di carta che è la Cina di oggi (tigre di carta economica e propagandistica) crollerebbe in pochi mesi. I russi conoscono bene George Soros, ma anche l’ex agente della Stasi Angela Merkel e tanti altri, che sono infiltrati negli Stati Uniti e in altri paesi, compresa l’Italia. I russi hanno in mano tutti i file del vechio Kgb: informazioni che potrebbero passare agli amici americani, se Trump dovesse rimanere presidente. E’ per questo che la Cina, e tutti gli elementi pro-cinesi, stanno facendo una guerra all’ultimo sangue, contro Trump, per fare in modo che gli Usa di Trump e la Russia di Putin non si mettano d’accordo e non comincino a condividere informazioni sulla Cina. Il sistema di potere che ha costruito questa globalizzazione infame sta per crollare. Faremo di tutto, intanto, per aiutare Trump a essere rieletto.(George Lombardi, dichiarazioni rilasciate a Francesco Toscano nella diretta web-streaming di “Vox Italia Tv” del 6 luglio 2020, su YouTube. Noto imprenditore italoamericano, Lombardi è uno stretto collaboratore di Trump).Se Donald Trump verrà rieletto, grazie alla maggioranza silenziosa degli americani (oltre il 60%, secondo i nostri sondaggi), sicuramente aiuterà l’Italia a liberarsi della tirannide burocratica dell’Unione Europea a guida franco-tedesca. Già ora le relazioni tra Usa e Germania sono gelide, come dimostra la decisione della Merkel di non partecipare al G7 negli Stati Uniti. Da decine di anni, i tedeschi usano i soliti sistemi finanziari per ingabbiare l’Italia: hanno sempre ingarbugliato i conti per far sembrare solvente la Germania, mentre le banche tedesche (soprattutto la Deutsche Bank) sarebbero già fallite dieci volte, se fossero state italiane; ma il governo tedesco e i suoi pupazzetti all’Ue continuano a mettere un salvagente sopra l’altro, per aiutare le banche tedesche. Penso che la fine del “Quarto Reich” sarà soprattutto una fine economica, così come quella della Cina comunista. Prima di abbandonare la Casa Bianca, Barack Obama disse: «Lascio ad Angela Merkel il testimone della difesa dell’ordine liberale». Al di là delle etichette (lui di sinistra, lei di destra), Obama e Merkel fanno parte della stessa squadra. Nonostante la censura in atto, il web è pieno di documenti che comprovano i legami di Obama e Merkel con George Soros.
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A Huawei il 5G italiano, grazie al Dpcm “segreto” di Conte
Un «documento segreto» conferma che il premier Giuseppe Conte ha aperto al 5G cinese. Lo sottolinea Claudio Antonelli su “La Verità”, spiegando che la sera del 7 agosto il presidente del Consiglio e il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5S) hanno autorizzato Tim a rifornirsi di strumentazioni della tecnologia 5G Huawei con una serie di prescrizioni. Il Dpcm firmato dal premier e dal titolare dello sviluppo economico, svela il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, è efficace dall’8 agosto. Sempre “La Verità” sottolinea che il Dpcm prevede monitoraggi che riportano tutto nell’ambito del rispetto della toolbox Ue approvata nel gennaio scorso. A stigmatizzare la linea filo-cinese del governo Conte-bis – scrive “StartMag” – è in particolare la Lega: «Se esiste un patto segreto con la Cina per svendere i nostri dati e la nostra sicurezza, il governo deve chiarire in Parlamento», dicono i deputati leghisti Giulio Centemero (capogruppo in commissione finanze), Massimiliano Capitanio (segretario della Vigilanza Rai e membro della commissione trasporti, Poste e telecomunicazioni) e Alessandro Morelli (responsabile editoria e innovazione tecnologica del Carroccio), annunciando una interrogazione alla Camera.«Come rivela oggi “La Verità”, Pd e M5S hanno volutamente secretato i contenuti di un Dpcm del 7 agosto con cui si autorizzano i cinesi di Huawei a mettere le mani sulle nostre reti Tlc, alla faccia del Golden power», mettono per iscritto il 21 agosto i parlamentari leghisti: «Da una parte Conte ha bloccato la firma tra Tim e gli americani di Kkr, dall’altra Di Maio prepara la calata del ministro degli esteri cinesi in Italia a settembre: evidentemente Pd e M5S hanno deciso di stare fuori dalla Nato, e ovviamente noi faremo di tutto per smascherare questo piano suicida». I tre leghisti si dicono «certi di un pronto intervento del Copasir», il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, peraltro presieduto da un esponente di spicco della Lega come Raffaele Volpi. E lo stesso Copasir, in una relazione sul 5G – ricorda “StartMag” – ha consigliato il governo a vietare di fatto la realizzazione della rete di quinta generazione in collaborazione con i grandi gruppi cinesi, non solo Huawei e ma anche Zte.Gli stessi senatori di Forza Italia sono sulla linea della Lega di Salvini. «Il quotidiano “La Verità” ha svelato una cosa gravissima: che nella riunione del Consiglio dei ministri del 7 agosto è stato approvato un Dpcm che autorizza Tim ad utilizzare per le reti sensibili del 5G la tecnologia cinese Huawei, sia pure con alcune prescrizioni». Per i parlamentari “azzurri” si tratta di materia sensibilissima, che attiene alla sicurezza nazionale e ai rapporti con gli alleati storici dell’Italia. «Perché il governo non ne ha fatto alcun cenno nel dettagliatissimo comunicato diffuso al termine della riunione?», si domanda Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia: «Urge un chiarimento che (se non arriverà già oggi) chiederemo attraverso un’interrogazione con carattere d’urgenza». Sul “Sussidiario”, lo storico dell’economia Giulio Sapelli avverte: è in atto un cedimento verso la Cina, da parte del governo italiano. Una sfida agli Usa, condotta dal “partito cinese” che domina l’Italia, partendo da Grillo e coinvolgendo il Pd, senza dimenticare l’accordo stipulato da Papa Bergoglio, che al regime di Pechino ha concesso il potere di scegliere i vescovi cattolici in Cina.Un «documento segreto» conferma che il premier Giuseppe Conte ha aperto al 5G cinese. Lo sottolinea Claudio Antonelli su “La Verità”, spiegando che la sera del 7 agosto il presidente del Consiglio e il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5S) hanno autorizzato Tim a rifornirsi di strumentazioni della tecnologia 5G Huawei con una serie di prescrizioni. Il Dpcm firmato dal premier e dal titolare dello sviluppo economico, svela il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, è efficace dall’8 agosto. Sempre “La Verità” sottolinea che il Dpcm prevede monitoraggi che riportano tutto nell’ambito del rispetto della toolbox Ue approvata nel gennaio scorso. A stigmatizzare la linea filo-cinese del governo Conte-bis – scrive “StartMag” – è in particolare la Lega: «Se esiste un patto segreto con la Cina per svendere i nostri dati e la nostra sicurezza, il governo deve chiarire in Parlamento», dicono i deputati leghisti Giulio Centemero (capogruppo in commissione finanze), Massimiliano Capitanio (segretario della Vigilanza Rai e membro della commissione trasporti, Poste e telecomunicazioni) e Alessandro Morelli (responsabile editoria e innovazione tecnologica del Carroccio), annunciando una interrogazione alla Camera.
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Sapelli: Pd e Grillo venduti alla Cina, Conte le regala il 5G
Porte aperte alla Cina (ma di nascosto) nel settore più importante di tutti: le reti. Lo ha rivelato il 21 agosto uno scoop della “Verità”: il governo ha secretato un Dpcm del 7 agosto scorso con il quale si autorizza Telecom ad utilizzare la tecnologia Huawei, scrive Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «Il 5G è un tema strategico di rilevanza mondiale ed è al centro della nuova guerra fredda che divide Usa e Cina. È dai tempi del memorandum of understanding del marzo 2019 che il governo italiano ha messo in atto un lento scivolamento politico verso Pechino». Il Dpcm del 7 agosto «è la conferma che il progetto (cinese) di trasformare l’Italia nella testa di ponte della Cina in Occidente va avanti seguendo logiche sottratte al controllo del Parlamento, alla disciplina del “golden power” e, per quanto possibile, anche all’opinione pubblica». In Italia, dice Giulio Sapelli, storico ed economista – intervistato da Ferraù – non ci sono più i partiti: per questo le forze esterne ostili hanno la meglio e gli Usa non possono contrastarle. Porte aperte a Huawei, dunque, ma la decisione è a porte chiuse. «Questo governo, come anche quello precedente, soffre della pericolosa inclinazione a dipendere da forze esterne», dice Sapelli: «Non solo la Francia, la Germania e gli Usa, nostro alleato storico, ma anche la Cina, la cui influenza è sottoposta a forti misure restrittive dalla stessa Unione Europea».