Archivio del Tag ‘cibo’
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Il No non salva l’Italia? Vero, ma il Sì la peggiora (e molto)
Il voto del 4 dicembre si riduce a un referendum contro Renzi? Ovvio: è stato proprio lui a personalizzare la sfida. E inoltre: la riforma che propone finisce per allontanare ulteriormente il potere dai cittadini. Tutto questo, senza ancora una legge elettorale. Nel caso venisse varato l’Italicum, chi vince si prende tutto. E, con il Sì al referendum, non sarà più ostacolato né dal Senato né dalle Regioni, cui saranno state sottratte molte competenze. Il “fronte del No” spiega così la sua mobilitazione: una sola Camera eletta dai cittadini, l’altra no. E meno voti necessari a eleggere il presidente della Repubblica. Più voti, invece, saranno indispensabili per poter proporre una legge di iniziativa popolare. Inoltre: il governo avrà più poteri, oggi affidati alle Regioni, e le Province saranno definitivamente abolite. A ciò si aggiunge la cancellazione del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, un ente statale che può proporre iniziative legislative in materia di economia e lavoro, fornendo pareri non vincolanti e solo su richiesta delle istituzioni: Renzi lo presenta come un carrozzone da rottamare.Molte critiche si addensano alla vigilia: Renzi accusa gli oppositori di restare aggrappati a vecchi privilegi di casta, mentre da sinistra a destra di accusa il premier di voler piegare la Costituzione a fini autocratici. Molte voci, poi, considerano la sfida semplicemente inutile e solo retorica, dal momento che la Costituzione è largamente superata dalla legislazione Ue, che ha già ampiamente svuotato nella sostanza la sovranità democratica italiana, col pieno consenso anche degli attuali oppositori di Renzi. Nulla cambierà davvero, in ogni caso, sostengono in molti, perché il vero potere non risiede più a Roma. Per contro, ribattono altri, è proprio il vero potere ad aver imposto a Renzi questa drastica semplificazione istituzionale, che centralizza le grandi decisioni “suggerite” dall’élite finanziaria. Di fatto, quindi, il Sì consegnerebbe alla politica un’Italia ancora più docile e manipolabile dal demiurgo di turno, “l’uomo solo al comando”. Questo, insieme all’ostilità verso Renzi, sembra spingere larghi strati dell’opinione pubblica a scegliere il No, che – stando agli ultimi sondaggi – sarebbe in vantaggio sul Sì di almeno 5 punti.Se vincesse il Sì, alle elezioni politiche si voterebbe solo per la Camera, la sola autorizzata a votare la fiducia al governo. Il nuovo Senato, composto di 100 membri (95 scelti dalle Regioni, tra cui 21 sindaci, e 5 dal presidente della Repubblica) potrebbe pronunciarsi solo sulle leggi costituzionali, quelle che riguardano minoranze linguistiche, i referendum, i trattati Ue, gli enti territoriali. Non è prevista indennità aggiuntiva per i neo-senatori (non avrebbero doppio stipendio), ma resterebbe l’immunità parlamentare. Scomparirebbe anche il limite di età per essere eletti: si potrebbe avere anche meno di 40 anni. Se vincesse il Sì, poi, il capo dello Stato verrebbe eletto solo da deputati e senatori, senza più i 59 delegati regionali. Nelle prime tre votazioni, servirebbero ancora i 2/3 degli aventi diritto, cioè circa 500 elettori; dal 4° al 6° scrutinio basterebbero invece i 3/5 degli aventi diritto (circa 440 elettori); dal 7° in poi, la maggioranza dei 3/5 dei votanti (cioè quelli che presenti in aula e votanti). Il presidente della Repubblica potrebbe sciogliere solo la Camera e non più il Senato. E sarebbe il presidente della Camera (non più quello del Senato) a fare le veci del Quirinale durante l’assenza del Capo dello Stato.Più poteri, inoltre, verrebbero conferiti al governo: nella Costituzione sarebbe inserita una “via preferenziale”, ossia il “voto a data certa”, per consentire all’esecutivo di accelerare l’iter di approvazione di leggi ritenute importanti. Palazzo Chigi potrebbe chiedere alla Camera di inserire un testo tra le priorità, per arrivare al voto definitivo in 70 giorni al massimo, ma starebbe alla Camera accogliere o meno questo iter. Per proporre le leggi di iniziativa popolare, poi, occorrerebbero 150.000 firme, mentre oggi ne bastano 50.000; in compenso, la Camera dovrebbe prounciarsi su ogni legge proposta dai cittadini. Quanto all’abolizione definitiva delle Province – oggi ancora esistenti ma non più elettive, come il futuro Senato previsto dal Sì – il governo propone la loro cancellazione completa (se vince il No, invece, le Province mantengono la loro struttura). Infine, il risidegno delle competenze delle Regioni: tornerebbero di esclusivo appannaggio statale materie come energia, trasporti e infrastrutture strategiche, sicurezza sul lavoro, protezione civile e ricerca scientifica. Alle Regioni resterebbero sanità, politiche sociali, scuola e sicurezza alimentare, ma lo Stato potrebbe intervenire anche su queste materie esercitando una “clausola di supremazia”, scavalcando le Regioni.Mentre il governo Renzi presenta questo pacchetto di riforme come una sorta di snellimento della struttura burocratica statale, il “fronte del No” lo smonta pezzo a pezzo: il bicameralismo resterebbe, con possibili conflitti di competenze, e il costo del Senato sarebbe ridotto solo di un quinto. Chiedere il triplo delle firme per una legge di iniziativa popolare? Significa ostacolare i cittadini. Un accentramento di potere che emerge in modo ancora più netto con l’abolizione delle materie condivise tra Stato e Regioni: è facile prevedere che aumenteranno ricorsi e contenziosi, mentre il livello decisionale – sempre più centralizzato – si allontanerà ulteriormente dai cittadini. Tutto questo, senza neppure sfiorare il problema della legge elettorale, ancora assente: secondo Massimo Fini, si sarebbero dovute invertire le due questioni. E cioè: prima varare una legge elettorale, e poi, semmai, pensare alla Costituzione. «Almeno, sapremmo qual è la consistenza dei partiti che a questa Costituzione dovrebbero poi porre mano». La partita è in mano a sigle come Ncd, Ala e Udc, e non conosciamo neppure la reale consistenza delle due principali formazioni, Pd e 5 Stelle. «Elezioni subito, questa è la questione. Tutto il resto è fuffa». Massimo Fini si dichiara «un astensionista, convinto a votare No» proprio dalla pessima qualità dei fautori del Sì.Il voto del 4 dicembre si riduce a un referendum contro Renzi? Ovvio: è stato proprio lui a personalizzare la sfida. E inoltre: la riforma che propone finisce per allontanare ulteriormente il potere dai cittadini. Tutto questo, senza ancora una legge elettorale. Nel caso venisse varato l’Italicum, chi vince si prende tutto. E, con il Sì al referendum, non sarà più ostacolato né dal Senato né dalle Regioni, cui saranno state sottratte molte competenze. Il “fronte del No” spiega così la sua mobilitazione: una sola Camera eletta dai cittadini, l’altra no. E meno voti necessari a eleggere il presidente della Repubblica. Più voti, invece, saranno indispensabili per poter proporre una legge di iniziativa popolare. Inoltre: il governo avrà più poteri, oggi affidati alle Regioni, e le Province saranno definitivamente abolite. A ciò si aggiunge la cancellazione del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, un ente statale che può proporre iniziative legislative in materia di economia e lavoro, fornendo pareri non vincolanti e solo su richiesta delle istituzioni: Renzi lo presenta come un carrozzone da rottamare.
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Apocalisse: in arrivo oltre 300 milioni di rifugiati climatici
«Se pensate che i migranti di oggi siano un problema, non avete ancora visto nulla. E questo lo dico con un rispetto angosciante per le stragi nel Mediterraneo», afferma Paolo Barnard. «Vi sembrano troppi 1 milione di arrivi via mare in Europa nel 2015? Ce ne sono 300 milioni in India che prima o poi partiranno. Dieci milioni in Bangladesh, come minimo. E in Africa del nord e Sahel le stime sono talmente alte che gli esperti non sanno quantificarle oggi». E cosa spingerà questo tsunami di migranti inimmaginabile verso di noi? La guerra? «No, è la causa secondaria», come la povertà? Il vero motivo – che porta con sé guerra e fame – è un altro: il cambiamento climatico. «E’ provato oltre ogni dubbio», scrive Barnard sul suo blog. «Basta sfogliare le relazioni presentate all’Accordo di Parigi sul Clima nel dicembre 2015, e i dati sono tutti lì. E sono orrore liquido». Perfino in Siria, il “climate change” viene prima – molto prima – del conflitto, come causa di esodo. E’ «il vero inizio della crisi demografica» in quel matoriato paese. Crisi climatica, innanzitutto, «che poi ha alzato le tensioni per sfociare in guerra».Dal 2006 al 2011, racconta Barnard, una siccità senza precedenti nella storia del paese (mai visto un fenomeno così, dicono gli esperti di clima) spinse 2 milioni di contadini verso le città per non morire di fame. «Assad non seppe gestire la crisi, e le tensioni esplosero in conflitti armati locali, per poi essere dirottati nella guerra civile. Il clima, altro che Isis». Ma la vera emergenza riguarda «il resto della marea umana» prossimamente in partenza verso di noi, a causa dell’impazzimento del clima. «I 300 milioni di indiani in movimento fuggono dalla mancanza di acqua, è stato detto a Parigi, perché i ghiacciai dell’Himalaya si stanno riducendo». Dal Bangladesh «fuggono dall’allagamento di milioni di ettari delle loro coste alla velocità del lampo». E gli africani «dalle siccità, o straripamenti, o proliferazione di parassiti fuori controllo, oppure ondate di calore impossibili, che distruggono le fonti di cibo e acqua: “climate change”, ancora».All’allarme «immane», stavolta, «ci sono arrivati anche i cosiddetti ‘cattivi’ cioè il Pentagono e il Dipartimento della Difesa americana». Documenti ufficiali: il Pentagono ha definito il cambiamento climatico «un moltiplicatore di rischio globale», additandolo come la vera causa di «guerre per l’acqua, che spediranno oceani di migranti verso nord». In un summit svoltosi a fine agosto in Alaska, continua Barnard, John Kerry è stato esplicito: «L’effetto serra ha creato una bomba demografica chiamata “rifugiati del clima». E ha aggiunto: «Voi per caso pensate che quello che vedete oggi sia un problema europeo causato dall’estremismo? Non avete ancora visto nulla, aspettate quando mancherà l’acqua, il cibo, e i popoli si faranno guerre per questo». Quindi, conclude Barnard, centinaia di milioni di persone ci arriveranno addosso per sfuggire alle “guerre da effetto serra”, «quelle per accaparrarsi un pezzo di fiume rimasto, una montagna dove ancora cresce da mangiare». Per Francesco Femia, del Centre for Climate and Security di Washington, «affrontare questa catastrofe alla radice non significa fermare le guerre, ma fermarle prima che scoppino, e questo significa affrontare l’effetto serra».«Se pensate che i migranti di oggi siano un problema, non avete ancora visto nulla. E questo lo dico con un rispetto angosciante per le stragi nel Mediterraneo», afferma Paolo Barnard. «Vi sembrano troppi 1 milione di arrivi via mare in Europa nel 2015? Ce ne sono 300 milioni in India che prima o poi partiranno. Dieci milioni in Bangladesh, come minimo. E in Africa del nord e Sahel le stime sono talmente alte che gli esperti non sanno quantificarle oggi». E cosa spingerà questo tsunami di migranti inimmaginabile verso di noi? La guerra? «No, è la causa secondaria», come la povertà? Il vero motivo – che porta con sé guerra e fame – è un altro: il cambiamento climatico. «E’ provato oltre ogni dubbio», scrive Barnard sul suo blog. «Basta sfogliare le relazioni presentate all’Accordo di Parigi sul Clima nel dicembre 2015, e i dati sono tutti lì. E sono orrore liquido». Perfino in Siria, il “climate change” viene prima – molto prima – del conflitto, come causa di esodo. E’ «il vero inizio della crisi demografica» in quel matoriato paese. Crisi climatica, innanzitutto, «che poi ha alzato le tensioni per sfociare in guerra».
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Telegraph: con l’euro, un europeo su tre verso la povertà
Corse agli sportelli, salvataggi d’emergenza, disoccupazione alle stelle ed economia asfittica, nonostante le iniezioni di liquidità della Bce. Ormai tutti sono pienamente consapevoli di come «l’Eurozona sia stata un disastro finanziario», che ora inizia a diventare «anche un disastro sociale», scrive Matthew Lynn sul “Telegraph”. «L’Eurozona sta diventando una macchina di impoverimento: mentre la sua economia è in stagnazione, milioni di persone stanno cadendo in uno stato di vera e propria deprivazione», come dimostrano i tassi di povertà, «aumentati vertiginosamente in tutta Europa». Secondo il quotidiano britannico, «non potrebbe esserci un atto d’accusa più scioccante del fallimento dell’euro». La moneta unica andrebbe «sottoposta a riforme radicali», o meglio ancora «smantellata». Impietoso il report dell’Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea: in pochi anni è enorememente aumentata la fascia della popolazione a rischio, alla quale ormai appartiene un cittadino europeo su tre. Dati spaventosi, che da soli condannano l’Ue e l’euro.Eurostat, scrive Lynn in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”, ha verificato l’entità numerica delle persone “a rischio di povertà o esclusione sociale”, confrontando i dati del 2008 con quelli del 2015. Tra i 28 membri dell’Unione, cinque paesi hanno sperimentato una significativa impennata di questo valore, paragonato con l’anno del crollo finanziario. In Grecia il 35,7% della popolazione rientra in questa categoria, rispetto al 28,1% del 2008. A Cipro l’incremento è stato di 5,6 punti percentuali: ora il 28,7% della popolazione è classificato come “povero”. In Spagna il valore è aumentato di 4,6 punti percentuali, in Italia di 3,2 punti, e persino il Lussemburgo, difficilmente considerabile un paese a rischio di deprivazione materiale, ha visto il tasso di povertà salire al 18,5% dal 2008, in aumento di tre punti. Ma la situazione non è così tetra dappertutto: il tasso di povertà è sceso in Polonia, Bulgaria, Lettonia. La differenza? «Avete indovinato», scrive il “Telegraph”: il dramma colpisce solo i paesi dell’Eurozona.E non è finita. Sono definiti “a rischio di povertà” gli individui che vivono con meno del 60% del reddito nazionale medio. «Ma quello stesso reddito medio è crollato negli ultimi sette anni, dato che la maggior parte dei paesi all’interno dell’Eurozona devono ancora riprendersi dalla crisi del 2008». In Grecia il reddito medio è sceso da 10.800 a 7.500 euro all’anno. In Spagna il calo non è stato altrettanto drammatico, ma il reddito medio è comunque sceso (da 13.996 a 13.352 euro all’anno). «Nella realtà, le persone stanno diventando più povere sia in termini relativi che in termini assoluti». In tutta l’Ue, l’8% delle persone sono definite in stato di “grave deprivazione materiale”, «il che significa che non hanno accesso a ciò che la maggior parte delle società civilizzate considerano beni di prima necessità», cioè persone che non sono in grado di «pagare il riscaldamento per la propria abitazione», di disporre di un telefono o di «poter mangiare un pasto a base di carne, pesce o proteine simili almeno a giorni alterni». Numerosi paesi dell’Eurozona «stanno cominciando ad essere in testa alle classifiche per questo tipo di misurazioni».La Grecia sta inevitabilmente scalando la classifica, con il 22% della sua popolazione che ad oggi è in stato di “grave deprivazione materiale”, rispetto a al solo 11% del 2008. In Italia, un paese che vent’anni fa era prospero come qualsiasi altro al mondo, uno scioccante 11% della popolazione si trova oggi in stato di “deprivazione materiale”, paragonato col 7,5% di sette anni fa. In Spagna il tasso di deprivazione è raddoppiato, e a Cipro è aumentato di più del 50%. Eppure, continua il “Telegraph”, se si analizzano i paesi al di fuori della moneta unica, si scopre che al loro interno quel tasso è sostanzialmente stabile (come nel Regno Unito, ad esempio) o sta diminuendo a velocità di tutto rispetto – nella Polonia attualmente in rapida crescita economica, il tasso di persone in stato di “deprivazione materiale” si è dimezzato negli ultimi sette anni e, al 7,5% odierno, è molto più basso di quello registrato in Italia. E dire che l’Ue si era fissata l’obiettivo di ridurre in maniera significativa i principali indicatori di povertà entro il 2020. Ebbene, «sta fallendo miseramente». E proprio l’euro «è ampiamente responsabile di questo fallimento».Impossibile scagionare la moneta unica, insiste Lynn: «Perché la Grecia o la Spagna dovrebbero essere in uno stato così drasticamente peggiore di un qualsiasi paese dell’Est Europa? E perché l’Italia dovrebbe passarsela peggio del Regno Unito, quando i due paesi si trovavano a livelli di ricchezza sostanzialmente simili durante gli anni Novanta?». A dire il vero, gli italiani avevano addirittura superato il Pil inglese pro capite. E anche in un’economia di successo come l’Olanda, paese non colpito da alcun tipo di crisi finanziaria, si sono registrati grossi incrementi sia della povertà relativa che di quella assoluta. La realtà è evidente, per il “Telegraph”: «Un sistema valutario disfunzionale ha strangolato la crescita economica, facendo crescere la disoccupazione a livelli precedentemente impensabili». Poi, dopo che alcuni paesi sono andati in bancarotta e hanno avuto bisogno di aiuti finanziari, l’Ue, insieme alla Bce e al Fmi, «ha imposto pacchetti di austerità che hanno drasticamente tagliato welfare e pensioni: con queste premesse, non c’è da sorprendersi che la povertà sia aumentata».In ultima analisi, per il giornale inglese «la crisi finanziaria non è così importante», perché vi si può rimediare «con i bail-out, o stampando più denaro». Alla peggio, «significherebbe semplicemente che alcune banche o fondi d’investimento si troveranno in cattive acque». E’ invece «scioccante» che «i livelli di povertà stiano crescendo ad un ritmo così veloce in quelle che un tempo erano nazioni floride». E non c’è alcuna avvisaglia che questa crescita stia rallentando: in Grecia e in Italia, l’aumento crescita della povertà sta addirittura accelerando, mentre paesi un tempo poveri (Bulgaria, Polonia) «stanno rapidamente sorpassando quella che una volta era considerata l’Europa sviluppata». La situazione è drammatica, conclude Lynn: «Non potersi permettere un telefono o un pasto a base di carne per tre giorni alla settimana non è affatto divertente. Ma, grazie all’euro, è questo il destino di milioni di europei. E non cambierà finché la moneta unica non verrà smantellata».Corse agli sportelli, salvataggi d’emergenza, disoccupazione alle stelle ed economia asfittica, nonostante le iniezioni di liquidità della Bce. Ormai tutti sono pienamente consapevoli di come «l’Eurozona sia stata un disastro finanziario», che ora inizia a diventare «anche un disastro sociale», scrive Matthew Lynn sul “Telegraph”. «L’Eurozona sta diventando una macchina di impoverimento: mentre la sua economia è in stagnazione, milioni di persone stanno cadendo in uno stato di vera e propria deprivazione», come dimostrano i tassi di povertà, «aumentati vertiginosamente in tutta Europa». Secondo il quotidiano britannico, «non potrebbe esserci un atto d’accusa più scioccante del fallimento dell’euro». La moneta unica andrebbe «sottoposta a riforme radicali», o meglio ancora «smantellata». Impietoso il report dell’Eurostat, l’agenzia statistica dell’Unione Europea: in pochi anni è enorememente aumentata la fascia della popolazione a rischio, alla quale ormai appartiene un cittadino europeo su tre. Dati spaventosi, che da soli condannano l’Ue e l’euro.
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Talese: Usa in declino, il presidente non conta più nulla
Queste elezioni non contano niente, perché ormai il presidente degli Stati Uniti non ha più potere. La politica ha perso peso nella società. Mi sembra un fatto evidente. Le nostre vite vanno avanti indipendentemente dalle decisioni dei politici, perché ormai sono altri i fattori che determinano le scelte, il futuro e la qualità della nostra vita, dalla tecnologia globale alle questioni più locali. Ma lo avete visto Barack Obama? Sembrava l’uomo nuovo, incarnava le virtù che avrei voluto nel politico capace di guidarci verso il futuro, e invece non è riuscito neppure a chiudere la prigione di Guantanamo. Se il capo della Casa Bianca non ha la forza di produrre anche un minimo cambiamento tipo questo, come possiamo pensare che abbia la capacità di influenzare le grandi tendenze della storia? Il potere della politica, e in particolare quello del presidente degli Stati Uniti, che un tempo chiamavamo leader del mondo libero, sono decisamente diminuiti. E questa campagna, nel frattempo, ha parlato del nulla. Quale doveva essere il tema principale? Il declino del peso degli Stati Uniti nel mondo.Negli Anni Cinquanta, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, io ero soldato nelle forze armate. Mi schierarono prima in Germania e poi in Italia, il paese da cui era emigrato mio padre, calabrese, all’epoca del fascismo. Tutti ci volevano bene, tutti amavano gli Usa. Eravamo una forza positiva nel mondo, e andare in giro con la divisa era un orgoglio. Ora invece nessuno ci rispetta: persino le Filippine si permettono di sfotterci. Allora eravamo una forza positiva, che cercava di stabilizzare il mondo e orientarlo verso valori democratici condivisi. Poi però abbiamo deciso di intervenire ovunque, per imporre i nostri interessi, stabilendo chi è buono e chi è cattivo. Questo ha provocato una reazione negativa globale contro gli Stati Uniti, ma nessuno ne ha parlato durante la campagna presidenziale. Il risentimento interno ha spinto tanto la candidatura di Trump tra i repubblicani, quanto quella di Sanders tra i democratici durante le primarie. Non avete notato l’insoddisfazione della gente nelle strade? Gli americani della classe media faticano ad arrivare alla fine del mese.La riforma sanitaria di Obama è stata un disastro, e molta gente è ancora costretta a decidere se mangiare o andare dal medico. A causa di questa crisi economica, poi, anche le tensioni razziali sono riesplose, con i neri sempre emarginati, e i bianchi terrorizzati dalle minoranze che conquistano il paese. Chi descrive la sfida tra Clinton e Trump come la più importante dei tempi moderni, perché considera il candidato repubblicano pericoloso per la libertà e il modello di vita americano, putroppo ha torto. Dico purtroppo, nel senso che neppure Trump riuscirebbe a fare quello che ha promesso, o minacciato. Chiunque verrà eletto verrà paralizzato, dal Congresso, e dai veti incrociati dei vari poteri in concorrenza. Il risultato è che nulla si muoverà e il paese resterà impantanato. No, la mia non è una visione troppo pessimistica. Sono vecchio. Morirò senza veder tornare l’America amata da tutto il mondo, in cui ero cresciuto da bambino.(Gay Talese, dichiarazioni che lo scrittore ha rilasciato a Paolo Mastrolilli per l’intervista “Gli Usa senza peso, queste elezioni con contano nulla”, pubblicata da “La Stampa” alla vigilia delle elezioni Usa e ripresa da “Dagospia” l’8 novembre 2016).Queste elezioni non contano niente, perché ormai il presidente degli Stati Uniti non ha più potere. La politica ha perso peso nella società. Mi sembra un fatto evidente. Le nostre vite vanno avanti indipendentemente dalle decisioni dei politici, perché ormai sono altri i fattori che determinano le scelte, il futuro e la qualità della nostra vita, dalla tecnologia globale alle questioni più locali. Ma lo avete visto Barack Obama? Sembrava l’uomo nuovo, incarnava le virtù che avrei voluto nel politico capace di guidarci verso il futuro, e invece non è riuscito neppure a chiudere la prigione di Guantanamo. Se il capo della Casa Bianca non ha la forza di produrre anche un minimo cambiamento tipo questo, come possiamo pensare che abbia la capacità di influenzare le grandi tendenze della storia? Il potere della politica, e in particolare quello del presidente degli Stati Uniti, che un tempo chiamavamo leader del mondo libero, sono decisamente diminuiti. E questa campagna, nel frattempo, ha parlato del nulla. Quale doveva essere il tema principale? Il declino del peso degli Stati Uniti nel mondo.
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Parise: il rimedio è la povertà, un tesoro di conoscenza
Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà. Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.Povertà è una ideologia, politica ed economica. Povertà è godere di beni minimi e necessari, quali il cibo necessario e non superfluo, il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua. Povertà e necessità nazionale sono i mezzi pubblici di locomozione, necessaria è la salute delle proprie gambe per andare a piedi, superflua è l’automobile, le motociclette, le famose e cretinissime “barche”. Povertà vuol dire, soprattutto, rendersi esattamente conto (anche in senso economico) di ciò che si compra, del rapporto tra la qualità e il prezzo: cioè saper scegliere bene e minuziosamente ciò che si compra perché necessario, conoscere la qualità, la materia di cui sono fatti gli oggetti necessari. Povertà vuol dire rifiutarsi di comprare robaccia, imbrogli, roba che non dura niente e non deve durare niente in omaggio alla sciocca legge della moda e del ricambio dei consumi per mantenere o aumentare la produzione.Povertà è assaporare (non semplicemente ingurgitare in modo nevroticamente obbediente) un cibo: il pane, l’olio, il pomodoro, la pasta, il vino, che sono i prodotti del nostro paese; imparando a conoscere questi prodotti si impara anche a distinguere gli imbrogli e a protestare, a rifiutare. Povertà significa, insomma, educazione elementare delle cose che ci sono utili e anche dilettevoli alla vita. Moltissime persone non sanno più distinguere la lana dal nylon, il lino dal cotone, il vitello dal manzo, un cretino da un intelligente, un simpatico da un antipatico perché la nostra sola cultura è l’uniformità piatta e fantomatica dei volti e delle voci e del linguaggio televisivi. Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà.Il nostro paese compra e basta. Si fida in modo idiota di Carosello (vedi Carosello e poi vai a letto, è la nostra preghiera serale) e non dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. Il nostra paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia e avarizia. No, è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti perché la lira si svaluta e dunque i debiti costeranno meno col passare degli anni.Il nostro paese è un’enorme bottega di stracci non necessari (perché sono stracci che vanno di moda), costosissimi e obbligatori. Si mettano bene in testa gli obiettori di sinistra e di destra, gli “etichettati” che etichettano, e che mi scrivono in termini linguistici assolutamente identici, che lo stesso vale per le ideologie. Mai si è avuto tanto spreco di questa parola, ridotta per mancanza di azione ideologica non soltanto a pura fonia, a flatus vocis ma, anche quella, a oggetto di consumo superfluo. I giovani “comprano” ideologia al mercato degli stracci ideologici così come comprano blue jeans al mercato degli stracci sociologici (cioè per obbligo, per dittatura sociale). I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere. I ragazzi sanno che a una certa età (la loro) esistono obblighi sociali e ideologici a cui, naturalmente, è obbligo obbedire, non importa quale sia la loro “qualità”, la loro necessità reale, importa la loro diffusione.Ha ragione Pasolini quando parla di nuovo fascismo senza storia. Esiste, nel nauseante mercato del superfluo, anche lo snobismo ideologico e politico (c’è di tutto, vedi l’estremismo) che viene servito e pubblicizzato come l’élite, come la differenza e differenziazione dal mercato ideologico di massa rappresentato dai partiti tradizionali al governo e all’opposizione. L’obbligo mondano impone la boutique ideologica e politica, i gruppuscoli, queste cretinerie da Francia 1968, data di nascita del grand marché aux puces ideologico e politico di questi anni. Oggi, i più snob tra questi, sono dei criminali indifferenziati, poveri e disperati figli del consumo. La povertà è il contrario di tutto questo: è conoscere le cose per necessità. So di cadere in eresia per la massa ovina dei consumatori di tutto dicendo che povertà è anche salute fisica ed espressione di se stessi e libertà e, in una parola, piacere estetico. Comprare un oggetto perché la qualità della sua materia, la sua forma nello spazio, ci emoziona.Per le ideologie vale la stessa regola. Scegliere una ideologia perché è più bella (oltre che più “corretta”, come dice la linguistica del mercato degli stracci linguistici). Anzi, bella perché giusta e giusta perché conosciuta nella sua qualità reale. La divisa dell’Armata Rossa disegnata da Trotzky nel 1917, l’enorme cappotto di lana di pecora grigioverde, spesso come il feltro, con il berretto a punta e la rozza stella di panno rosso cucita a mano in fronte, non soltanto era giusta (allora) e rivoluzionaria e popolare, era anche bella come non lo è stata nessuna divisa militare sovietica. Perché era povera e necessaria. La povertà, infine, si cominci a impararlo, è un segno distintivo infinitamente più ricco, oggi, della ricchezza. Ma non mettiamola sul mercato anche quella, come i blue jeans con le pezze sul sedere che costano un sacco di soldi. Teniamola come un bene personale, una proprietà privata, appunto una ricchezza, un capitale: il solo capitale nazionale che ormai, ne sono profondamente convinto, salverà il nostro paese».(Goffredo Parise, estratto da “Il rimedio è la povertà”, articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” il 30 giugno 1974, poi incluso nell’antologia “Dobbiamo disobbedire” curata da Silvio Perrella per Adelphi e quindi ripreso da “Globalist” il 28 agosto 2015).Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà. Povertà non è miseria, come credono i miei obiettori di sinistra. Povertà non è “comunismo”, come credono i miei rozzi obiettori di destra.
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La festa è finita, tra un po’ useranno l’esercito contro di noi
Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».La fine di ogni ciclo di crescita, inevitabilmente, cambia la struttura democratica, avverte Meijer, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. La crisi produrrà nuovi politici, perché, come sostenne Hazel Henderson, «l’economia non è altro che un travestimento della politica». Tradotto: «Da un lato ti trovi la classe al potere che tenta di tenersi stretta al suo potere in declino, producendo falsi numeri positivi a vagonate e sostenendo che comunque non esiste alternativa possibile alla loro (semmai soltanto dosi maggiori della stessa ricetta), e dall’altro lato c’è una vaga affiliazione, nella misura in cui si può parlare di affiliazione, di destra e sinistra, individui e partiti, in grado di subodorare cambiamenti in corso che potranno usare a proprio beneficio». La classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi: «Gli verranno addossate le colpe, e perlopiù meritatamente, per la caduta del sistema economico». Infatti: «Se sei percepito come parte della vecchia guardia, sei fuori». L’ascesa di Trump, Farage e simili è stata molto più veloce di quanto chiunque potesse pensare. «Si nutrono di malcontento, ma sono in grado di farlo soltanto perchè questo malcontento è stato del tutto ignorato dalle classi dominanti».Il che, aggiunge Meijer, ha molto ha che fare con il fatto che tali governanti si sono senza dubbio arricchiti, mentre i “piani bassi” della società sicuramente no. «Inoltre, se il più della gente potesse ancora vantare comode esistenze da classe media, l’ostilità verso migranti e rifugiati sarebbe stata ben minore: e i vari Trump, Wilders, Le Pen o “Alternative für Deutschland” non avrebbero trovato le loro miniere d’oro. La percezione che i nuovi arrivati siano a qualche titolo responsabili per il peggioramento delle condizioni di vita crea terreno fertile per chiunque voglia servirsene». E siccome la sinistra «non tocca l’argomento», la destra «si prende tutto per assenza di concorrenza». Bernie Sanders e Jeremy Corbyn possono anche avere idee coraggiose, in materia di redistribuzione della ricchezza, ma il potere resiste e li ostacola. Così, molta parte della leadership – Hillary Clinton, Theresa May, Sarkozy, la Merkel – sta «orchestrando sagge virate verso destra», avendo sentore che «il potere non emanerà più dal centro». Politici che, conunque, sembrano ormai «destinati a essere spazzati via dal voto popolare».Ben più difficile, innvece, sarà «sbarazzarsi delle organizzazioni transnazionali, come l’Ue o l’Fmi (e molte altre) nonostante rappresentino un progetto fallito». “Bloomberg” certifica l’allarme del Fmi: «La fede nella globalizzazione è ormai a disagio di fronte alle evidenti disparità che crea. Dal voto britannico a favore dell’uscita dalla Ue, a Donald Trump che avanza al grido di “l’America prima di tutto”, aumentano le pressioni per porre un freno e ridurre l’integrazione economica, sempre all’ordine del giorno per Fmi e Banca Mondiale per almeno 70 anni. Alimentata da salari stagnanti e insicurezza lavorativa in costante crescita, la sommossa populista minaccia di gettare definitivamente nella depressione una economia che la dirigente dell’Fmi Christine Lagarde ammette essere già adesso debole e fragile». Attenzione: «La rappresaglia contro la globalizzazione si manifesta in sentimenti nazionalisti accentuati, sfiducia per il mondo esterno e desiderio di maggiore isolamento protezionistico», sostiene Luis Kuijs dell’Oxford Economics di Hong Kong, in passato anche burocrate del Fmi. Per il World Economic Outlook, l’espansione globale è già compromessa: l’economia mondiale sta rallentando.«Posso capire che un voto contro i vari Hollande, Hillary, Cameron costituisca una “rappresaglia contro la globalizzazione”», dice Meijer, a patto però che non venga demonizzato il termine “protezionismo”: «Ogni singola società del pianeta dovrebbe proteggere le sue esigenze di base evitando che finiscano sotto il controllo di stranieri, sia per profitto, sia per potere. Niente di buono può mai venirne dalla cessione di questa facoltà di controllo per nessuna società, assolutamente mai». Sicchè, «non c’è niente di sbagliato nel voler proteggere la propria capacità di controllo sul proprio approvvigionamento idrico, autosussistenza alimentare, garanzia di alloggi sicuri: parliamo di cose che, al contrario, non andrebbero mai negoziate o scambiate sui mercati globali». Chi vorrebbe globalizzare anche quelle? I soliti noti, «i cui comodi ruoli dirigenziali e comodi grassi conti bancari dipendono direttamente nella nostra progressiva perdita di controllo personale sopra le stesse esigenze di base per sopravvivere nella vita». In fondo, «è ciò che accade a ogni organismo che ha raggiunto i limiti della sua crescita: inizia a “nutrirsi dell’ospite”. Che si parli di un tumore, dell’Impero Romano, o dei nostri attuali modelli economici basati sul presupposto della crescita perenne».Trump ha abbaiato contro Messico e Cina, minacciando di innalzare grosse tariffe doganali sulle importazioni da entrambi i paesi. Innervositi dal Brexit, i leader europei «sono coscienti che potrebbe essere solo l’inizio di un terremoto politico che minaccia le vecchie certezze del continente». Il prossimo anno, ricorda Meijer, si voterà in Germania e Francia, le maggiori economie dell’Eurozona, nonchè in Olanda. «In ciascuno di questi paesi le forze anti-establishment stanno guadagnando terreno». Insieme al crescente risentimento verso la Ue da Budapest a Madrid, gli osservatori politici giudicano l’attuale avanzata del “populismo” come la più grande minaccia al blocco-Ue dalla sua creazione, dalle ceneri della Sconda Guerra Mondiale al presente. Per i media mainstream, la categoria “populista” include moltissima gente, «da Trump a Beppe Grillo con tutto ciò che ci sta in mezzo, passando dall’ungherese Orban a Nigel Farage, “Podemos” in Spagna, “Syriza” in Grecia, la Afd tedesca». Movimenti diversissimi tra loro, ma con una cosa in comune: «Protestano contro uno status quo già fallito e in rapido processo di deterioramento, e ricevono massiccio supporto popolare per questa ragione, dal momento che è la gente a portare sulle spalle il peso del fallimento».Né si intravedono avvisaglie di segno positivo: «Probabilmente il più vistoso fatto macroeconomico relativo alle economie avanzate oggi è il permanere di un’anemia della domanda nonostante i bassi tassi d’interesse», scrive l’ex capo-economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Questi esperti, scrive Meijer, dimostrano di aver sentore che qualcosa non torna, ma nessuno possiede risposte. Vi era “accordo sulla globalizzazione prima della crisi”, adesso non esiste più, e questo è tutto. «Immagino l’economia mondiale come qualcosa di simile a un’auto in corsa senza conducente e bloccata su una corsia lenta», ha detto David Stockton, ex burocrate della Fed. «Questa è l’economia globale, non va da nessuna parte e nel frattempo i soldi finiscono facilmente e in fretta», sottolinea Meijer. «In Europa, l’avanzata populista fornisce un potente incentivo ad abbandonare l’austerità per i governi prima delle prossime elezioni, e magari oltre; che una mossa del genere placherà coloro che sono rimasti nel lato perdente della globalizzazione è comunque suscettibile di dubbio».Il consenso alla globalizzazione si basava sulla promessa di maggior crescita economica, ammette Ding Shuang, capo-economista cinese, al Fmi dal 1997 al 2010: «Ma i benefici non sono stati ripartiti equamente, quindi adesso assistiamo a una ondata anti-globalizzazione». Per Meijer, la globalizzazione è già finita. «Non è mai stata intesa da nessuno come distribuzione di nulla, a parte forse di ricchezza tra le mani delle élites e bassi salari per chiunque altro. L’Ue e l’Fmi non hanno ottenuto nulla di quanto avevano promesso, come allo stesso modo non l’hanno fatto i partiti tradizionali, in Usa, Regno Unito, come in Europa in generale. Hanno promesso crescita e la crescita è finita. Avranno ottenuto risultati per i loro padroni ma hanno perso nei confronti di chiunque altro. Il resto è solo aria fritta». E il peggio è che «non si può assolutamente escludere che arriveranno a servirsi dell’esercito e della polizia, che controllano, per tenersi aggrapparti a ciò che hanno: anzi, temo sia qualcosa che succederà di sicuro». Anche perché «la crescita è finita, svanita da un pezzo per farsi sostituire dal debito», e noi «stiamo trascendendo verso uno stadio completamente diverso delle nostre vite, economie, società».Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».
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L’intellettuale idiota: non sa niente e pontifica su tutto
«Quello che stiamo vedendo in tutto il mondo, dall’India alla Gran Bretagna fino agli Stati Uniti, è una ribellione contro i più smidollati “impiegati della politica”» e contro i loro giornalisti di complemento. Contro, cioè, quella classe di esperti semi-intellettuali usciti da Oxford, Cambridge «o da qualche altro istituto formatta-cervelli», per spiegarci cosa fare, cosa mangiare, come parlare, come pensare e per chi votare. La gente, scrive Nassim Nicholas Taleb, ha tutto il diritto di fare affidamento più sul proprio istinto ancestrale (e di dar retta ai consigli della nonna) piuttosto che «stare a sentire le parole di questi sicari della politica». Sono “accademici della burocrazia” che vogliono gestire le nostre vite, ma «confondono la scienza con lo scientismo». Taleb lo chiama “l’intellettuale-idiota”, e lo definisce «un prodotto della nostra modernità, che ha cominciato a correre troppo dalla metà del XX secolo, per arrivare al suo apice ai giorni nostri, quando una larga schiera di persone, che non hanno nessuna idea di come funziona il gioco, stanno invadendo molti campi della nostra vita». A dominare è lui, l’Iyi: Intellectual Yet Idiot. Perché?Presto detto: «In molti paesi, il ruolo del governo ormai è dieci volte minore rispetto a un secolo fa», scrive Nassim Nicholas Taleb su “Medium.com”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Così, l’Iyi «sembra onnipresente nella nostra vita», anche se «è ancora una piccola minoranza e raramente appare come esperto in un campo specifico, nei social media o in una università». L’intellettuale-idiota «patologizza, spiega agli altri come fare delle cose che (lui) non capisce, senza mai rendersi conto è la sua propria capacità di comprendere ha dei limiti». In più, «pensa che la gente dovrebbe agire secondo i propri interessi e che questi interessi siano esattamente quelli che lui sa di conoscere bene, come quando si tratta dei “Red necks” o di quella classe inglese non-allineata che ha votato per il Brexit». Ovvero: «Quando i “plebei” fanno qualcosa che per loro stessi ha senso, ma che non ha senso per l’Iyi, allora li chiama “ignoranti”». L’intellettuale-idiota distingue: è “democrazia” quando va bene per lui, e “populismo” quando la plebe osa votare in un modo non conforme alle proprie preferenze.«Mentre i ricchi credono che ogni dollaro pagato in tasse valga un voto – continua Taleb – parecchi umanisti credono invece che un uomo valga un voto: la Monsanto crede in “un lobbista, un voto” e l’intellettuale-idiota crede in “una laurea della Ivy League, un voto”, un po’ come le lauree conferite da altre scuole per le élite straniere, e per i dottorati di ricerca, che tutti insieme fanno parte dello stesso club». Dal punto di vista sociale, l’Iyi è abbonato al “New Yorker”, non scrive mai su Twitter, parla di “uguaglianza delle razze” e di “uguaglianza economica” ma «non è mai andato a bere una birra con un tassista che fa parte della minoranza e nemmeno con qualcuno di quegli inglesi presi in giro da Tony Blair». Che farà ora? «Non solo voterà per Hillary-Monsanto-Malmaison perché gli sembra eleggibile o qualcos’altro del genere, ma dice anche che chi non la voterà è un malato di mente». L’Iyi è uno che «è convinto che gli Ogm siano “scienza” e che la “tecnologia” non sia affatto differente dall’istruzione di una scuola convenzionale, ma questo atteggiamento è la diretta conseguenza della sua facilità a confondere la scienza con lo scientismo».In genere, continua Taleb, «l’Iyi a prima vista ha sempre ragione, ma appena si scava più a fondo (subito dopo) la realtà dimostra la sua più totale incompetenza appena si cerca di allargare le vedute». Eccolo: «Comodamente seduto nel salotto buono della sua casa di periferia con un box per due auto, continua a difendere la “rimozione” di Gheddafi perché era “un dittatore” e non si rende conto che certe rimozioni producono certe conseguenze (ricordiamoci che non sa come gira il mondo e alla fine non è mai lui che deve pagare il conto se le cose finiscono male)». Infatti, l’intellettuale-idiota «fa parte di un club che dà ai suoi soci il privilegio di viaggiare». Se fosse un antropologo, «userebbe le statistiche, ma senza chiedersi come siano state rilevate». Se vivesse in Inghilterra «andrebbe ai festival letterari», eviterebbe i grassi ma sarebbe pronto a cambiare idea. In ogni caso, «non si sarebbe mai ubriacato con un russo – non tanto, almeno, da cominciare a rompere i bicchieri». In compenso, «almeno un paio di volte avrebbe menzionato la meccanica quantistica in conversazioni che non avevano nulla a che vedere con la fisica». Tuttavia «saprebbe sempre, in qualsiasi momento, che le sue parole o le sue azioni possono influenzare la sua reputazione».«Quello che stiamo vedendo in tutto il mondo, dall’India alla Gran Bretagna fino agli Stati Uniti, è una ribellione contro i più smidollati “impiegati della politica”» e contro i loro giornalisti di complemento. Contro, cioè, quella classe di esperti semi-intellettuali usciti da Oxford, Cambridge «o da qualche altro istituto formatta-cervelli», per spiegarci cosa fare, cosa mangiare, come parlare, come pensare e per chi votare. Lo afferma Nassim Nicholas Taleb, filosofo, saggista e matematico libanese naturalizzato statunitense. La gente, dice, ha tutto il diritto di fare affidamento più sul proprio istinto ancestrale (e di dar retta ai consigli della nonna) piuttosto che «stare a sentire le parole di questi sicari della politica». Sono “accademici della burocrazia” che vogliono gestire le nostre vite, ma «confondono la scienza con lo scientismo». Taleb lo chiama “l’intellettuale-idiota”, e lo definisce «un prodotto della nostra modernità, che ha cominciato a correre troppo dalla metà del XX secolo, per arrivare al suo apice ai giorni nostri, quando una larga schiera di persone, che non hanno nessuna idea di come funziona il gioco, stanno invadendo molti campi della nostra vita». A dominare è lui, l’Iyi: Intellectual Yet Idiot. Perché?
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Tav occulto: val Susa, attentato al “chakra sacro” europeo
«Nessuno ne parla, ma questa aggressione è in corso da anni». Non si tratta di missili, veleni e cemento. «Vengono colpiti luoghi sacri naturali». In altre parole, è in pieno svolgimento una crociata – segreta – contro la geografia “invisibile” dei cosiddetti luoghi santi. E la prima linea del fronte sarebbe proprio la valle di Susa, investita dal progetto Tav. Che non sarebbe solo il consueto maxi-affare all’italiana. Molto peggio: un sortilegio malefico, per colpire a morte quello che è forse il più importante “chakra” terrestre europeo, il maggiore nodo energetico del continente. Per giunta situato sulla rotta che unisce, in linea retta, l’abbazia francese di Mont Saint-Michel al santuario di Monte Sant’Angelo, sul Gargano. Ombelico del “canale energetico”, l’abbazia medievale valsusina della Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte. Gli architetti occulti dell’operazione-Tav? «Sono innanzitutto esoteristi». A fare una simile affermazione, decisamente fuori ordinanza, è Fausto Carotenuto: non esattamente un visionario, ma un veterano dei servizi segreti italiani, per i quali ha lavorato come analista internazionale. Non ha dubbi: quella che è cominciata in valle di Susa è un’operazione “magica”, destinata a farci del male. Un atto di guerra, deliberato, contro il “drago” di uranio e amianto che dorme nel sottosuolo alpino. Un lavoro da stregoni, più che da gangster della politica.Parole che richiamano il coro di sgomento suscitato dall’imbarazzante cerimonia di inaugurazione del traforo del Gottardo, in Svizzera, celebrata il 1° giugno 2016 con uno strano rito di sapore tribale e sacrificale, in onore di un misterioso dio-caprone – forse simbolo dell’ancestrale paura della selva, “domata” oggi dalla tecnologia che perfora le Alpi? No, dice Carotenuto: quei tunnel sono un attentato contro le forze “spirituali” della Terra, per compromettere volontariamente la nostra possibilità di felicità. Ma l’intervento sulla valle di Susa, pubblicato su “Controinformazione”, risale a 5 anni prima della sinistra carnevalata del Gottardo. Quelle cose, Carotenuto – oggi apprezzato autore di saggi sulla spiritualità contemporanea – le scriveva nel 2011, quando sulla lotta contro il Tav Torino-Lione si stava affacciando anche il fantasma della violenza, «una trappola appositamente congegnata proprio dai fautori del progetto». Forze spirituali invisibili? Soprannaturale? «Il soprannaturale non esiste, è solo il “naturale” che non conosciamo ancora», sostiene un iniziato come il massone Gianfranco Carpeoro, esperto di simbologia. Quanto all’esoterismo, “che c’azzecca” col Tav? Se uno legge Gioele Magaldi, scopre che il vertice del potere mondiale è interamente massonico, iniziato al sapere esoterico (anche se ovviamente non lo ammetterebbe mai). E il Tav è classica operazione di potere. Anche “magica”?Carotenuto non ha incertezze: al di là del fatto che «i valligiani hanno ragioni da vendere», perché la maxi-ferrovia «non porterà “progresso” ma distruzione, devastazione e malattie», sostiene che «ad una indagine attenta dei valori spirituali in gioco emerge tuttavia un quadro ancora più fosco, di grande emergenza: non sono in gioco solamente i soldi degli ingordi, e l’ambiente e la salute degli abitanti della val di Susa». La posta, quella vera, è un’altra ancora: «Qualcuno sta cercando di portare avanti una operazione tendente a colpire direttamente le forze interiori di una grande fetta della popolazione europea: non solo quelle dei cari e simpatici valligiani, ma quelle di tutti i piemontesi, degli abitanti di un vasto arco delle Alpi, e delle regioni che si protendono attraverso tutta la Francia verso Nord, e tutta l’Italia verso Sud». Una operazione «che parte da molto in alto nelle gerarchie delle piramidi che portano avanti le strategie oscure». All’esistenza reale di “piramidi oscure”, in cui opererebbero “Maghi Neri”, Carotenuto ha dedicato il saggio “Il mistero della situazione internazionale” (Uno Editori), che offre una spiegazione in chiave “spirituale” del malessere che sta colpendo il pianeta.Non si parla solo di generiche “energie”, di stampo new age: l’ex stratega dell’intelligence italiana allude specificamente a vere e proprie ritualità di tipo magico, innominabili e inconfessabili, che sarebbero praticate in segreto da esponenti del massimo potere. Obiettivo: sabotare il “risveglio” della coscienza dell’umanità. A questo, dice, servirebbe anche la sgangherata progettazione della linea Torino-Lione, l’infrastruttura più incoerente e ridicola del pianeta. Ma in realtà c’è ben poco da ridere, visto che si tratta di «un qualcosa di così importante che il fronte del potere politico, finanziario, economico, dei mass media – largamente influenzato e diretto dai vertici “oscuri” – sostiene in modo insolitamente compatto e granitico, senza apprezzabili sbavature». Il che è verissimo. A nulla è valsa, finora, la sacrosanta protesta dei valsusini contro «menti oscure, schiere di mercenari del potere e del denaro, centurie di coscienze spente e freddamente calcolatrici». Anni di appelli, firmati da centinaia di tecnici universitari, per svelare che l’opera sarebbe devastante, costosissima e soprattutto inutile; e mai nessuna risposta, né da Palazzo Chigi né dal Quirinale. Come se quella futuribile infrastruttura fosse, semplicemente, un tabù. Un dogma intoccabile. Un mistero, appunto: forse per noi, ma non per “loro”, sostiene Carotenuto.Da alcuni anni, scrive l’autore, una enorme “operazione risvegli” è in corso sulla Terra, sulla quale ovviamente i “poteri oscuri” hanno fatto calare una vera e propria congiura del silenzio. «Le forze del Male, o per meglio dire dell’Ostacolo, sono quelle – sia spirituali che terrene – che fanno di tutto per bloccare i risvegli appena iniziati», cioè l’esplosione di consapevolezza che conduce alla riscoperta dei valori umani, la solidarietà, l’amore (non come “buonismo”, ma come necessità vitale razionale). «Questo è lo sfondo della grande battaglia in corso sulla Terra: guerre, distruzioni, genocidi, terrorismo, operazioni finanziarie, aggressioni farmacologiche e alimentari, tecnologie antiumane. Sono alcune delle manifestazioni di questa lotta». E uno dei tanti scenari sui quali si svolge sarebbe quello dei “luoghi santi”, sorti – non a caso – proprio sui “nodi vitali” del pianeta, che secondo Carotenuto “funziona” come il corpo umano, che «è attraversato da una rete di invisibili centri vitali uniti da infiniti canali di energie: quelli che le medicine orientali usano da millenni». Canali che la medicina occidentale aveva dimenticato, «ma è ora costretta a riscoprire un po’ alla volta, se vuole smetterla di combinare disastri».Nelle tradizioni orientali, questi centri si chiamano “chakra” e sono i vortici vitali, mentre i “nadi” sono i canali energetici che li uniscono. La Terra funziona allo stesso modo, scrive Carotenuto: «La crosta terrestre è costellata di importantissimi “chakra” e “nadi”». E aggiunge: «Gli spiriti più avanzati dell’umanità, gli “iniziati” di tutti i tempi, hanno sempre avuto la conoscenza, e spesso la visione, di questa geografia sottile, ma fondamentale, della Terra. Grotte sacre, montagne sacre, foreste sacre, laghi e fiumi sacri. E poi vari tipi di energie: positive, negative, ambivalenti». Non a caso, «lungo i canali e sui centri vitali sono sorti dolmen, menhir, cerchi di pietre, piramidi, templi, cattedrali: erano e sono luoghi speciali, che favoriscono il contatto tra gli uomini e le dimensioni superiori». Questa rete, «in gran parte dimenticata negli ultimi secoli di materialismo», si starebbe ora “riattivando”, man mano che gli uomini, “risvegliandosi”, riscoprono le particolarità di certi luoghi. «Sta già avvenendo in embrione, ma ben di più avverrà in futuro, quando sempre più uomini capiranno di avere a disposizione delle importanti reti di luoghi energetici di cui avvalersi per supportare la propria crescita spirituale».E allora le “forze oscure”, quelle che «vogliono ostacolare l’evoluzione interiore dell’umanità», cosa hanno deciso di fare? «Sono partite per tempo a cercare in tutti i modi di “spegnere”, di devitalizzare i chakra, di sclerotizzare le arterie delle energie vitali per lo spirito». Anche così Carotenuto spiega gli «interventi di tutti i tipi» a cui stiamo assistendo, «con tonnellate di metallo, colate di cemento, prodotti sintetici “morti” e ostili, gallerie, deforestazioni, selve di antenne, viadotti, perforazioni petrolifere, spesso appositamente indirizzate per depotenziare e deformare la geografia sacra». E aggiunge: «Vengono effettuati interventi per “spegnere” cattedrali, come Chartres o Santa Maria di Collemaggio, per annullare antichi luoghi di iniziazione. Vengono colpiti luoghi sacri naturali o costruiti dagli antichi iniziati. Viene persino usato il “martello” del turismo di massa per abbattere con folle inconsce e disattente il livello vibrazionale di certi luoghi, come le piramidi, le cattedrali gotiche, o i grandi templi». Si tratterebbe di «una strategia composita e ben studiata». E la valle di Susa? Nella “geografia sacra del mondo”, rappresenterebbe «un punto fondamentale degli equilibri energetici europei».Un “chakra” importantissimo, scrive l’autore, è situato all’ingresso della valle, da cui si dipartono diversi “nadi”, canali energetici che vanno a creare un asse importantissimo verso nord-ovest e verso sud-est. «Quali sono i punti “noti” di questo asse? I tre meravigliosi santuari dedicati a San Michele. In un allineamento pressoché perfetto, la Sacra di San Michele – lo splendido edificio sacro medioevale all’imboccatura della val di Susa – è al centro di una precisa direttrice che va dal santuario dedicato a Michele di Monte Sant’Angelo, sul Gargano, fino a quello sull’isola incantata di Mont Saint Michel, nel nordest della Francia». Sono tutti «luoghi sacri, luoghi di energie fortissime, che gli antichi conoscevano e usavano, e che gli uomini del “risveglio” torneranno ad usare». Non è casuale la ricorrenza del nome Michele, personificato in “arcangelo” con la cristianizzazione: il Michele della tradizione ebraico-cristiana, spiega Carotenuto, prima si chiamva Mercurio nell’antica Roma, Hermes in Grecia, Toth in Egitto. «E’ lo spirito guida dell’operazione “risvegli”», sostiene Carotenuto. Ed è ultra-presente nella fatidica valle di Susa, già bucherellata da mille infrastrutture e ora terrorizzata dallo spettro-Tav.«La crosta terrestre ha nelle sue profondità delle forze enormi, concentrate in certi luoghi, che gli antichi conoscevano bene e chiamavano forze della Dea Madre, della Madre Terra», argomenta l’analista. «Statue femminili nere, adorate in caverne o cripte, la rappresentavano: raffigurazioni sacre di tante divinità tra cui l’egizia Iside, e poi le madonne nere cristiane, a sancire l’alleanza positiva tra uomini e queste forze». Ma gli antichi, continua lo studioso, le chiamavano anche forze del “drago”, facendo riferimento al fatto che erano forze enormi, ma “selvagge”, utilizzabili sia per il bene che per il male, a seconda delle intenzioni umane. «In epoche antiche, gruppi di iniziati ispirati dal mondo spirituale decisero che per un lungo tratto dell’evoluzione umana bisognava che certe “forze del drago” di un importante asse energetico europeo fossero equilibrate, tenute sotto controllo e rivolte al bene. E che di questo equilibrio positivo si giovassero le popolazioni europee. Questo il motivo per cui degli edifici speciali, costruiti e “attivati” in modo del tutto particolare, furono eretti sopra montagne sacre piene di “forze del drago”, talvolta oscure. Santuari di Michele, che nella sua funzione tipica “tiene a bada le forze del drago”, per usarle in positivo e per lasciare liberi gli uomini di evolversi. Questo illustrano i quadri e le statue di San Michele».Il chakra centrale della valle di Susa, prosegue Carotenuto, non è fatto solamente del monte Pirchiriano su cui svetta la Sacra, ma di una serie di altri rilievi «carichi di forze importanti», e tra questi «uno in particolare assume un ruolo centrale nella geografia sacra: il monte Musinè», che è «un luogo dalle energie fortissime, uno dei principali in Europa». Lassù, le “forze spirituali del drago” hanno originato «un sottosuolo pieno di energie enormi, selvagge, che si manifestano in conformazioni rocciose insolite e piene di materiali “forti”, nocivi se liberati», che per l’analista «sono la manifestazione di forze spirituali altrettanto nocive su altri piani». Ma il Musinè, aggiunge, «è anche un’antenna volta verso incredibili energie positive cosmiche». Da sempre il monte è teatro di apparizioni continue di «luminescenze colorate, globi luminosi», custodisce «leggende di maghi e di draghi d’oro, di riti e di graffiti misteriosi fin dall’antichità più remota». Ed è un notissimo luogo di avvistamenti “Ufo” tra i più citati, fin dai tempi pionieristici di Peter Kolosimo. Persino la vegetazione che vi cresce è differente. «E’ il punto focale che probabilmente più di ogni altro ha creato quella base energetico-spirituale che ha fatto di Torino la città esoterica per eccellenza, nel bene e nel male. Come è tipico delle “forze del drago”».Per Carotenuto, la valle di Susa è dunque «una zona fortissima, al centro di un asse europeo spirituale fondamentale, forse il principale». Ed è stata «tenuta in equilibrio per secoli dalla spiritualità rappresentata da Michele, con le “forze del drago” domate e sepolte nel sottosuolo, in attesa della grande epoca dei “risvegli”». Da qui, secondo questa particolarissima visione, l’offensiva occulta delle “piramidi del Male”, attivate «dai livelli locali fino a quelli centrali europei». Una operazione strategica, «mirante ad alterare antichi equilibri per renderli inutilizzabili a fini positivi: scavare una enorme galleria nelle viscere della montagna sacra, per sconvolgere il “chakra” Musinè, portando alla luce forze oscure e potenti dalle profondità della Terra». Obiettivo segreto: «Liberarle dall’influsso positivo delle correnti cosmiche e della vicina presenza benefica della Sacra di San Michele. E poi affondare ulteriormente il bisturi di morte scavando un percorso di distruzione sul “nadi” che punta a Mont Saint Michel». In altre parole, in valle di Susa sarebbe in corso «il tentativo di portare un colpo al cuore della geografia sacra europea».Un vero e proprio attentato, stando a Carotenuto, «tale da appesantire le atmosfere psichiche, creare una cappa di piombo in una vasta zona del nostro continente: il tentativo di creare un vero e proprio “infarto” nella circolazione delle energie a disposizione di tutti noi per i nostri risvegli». Questo, conclude lo studioso, spiega la volontà granitica di «tutti i terminali politici, economici, finanziari e mediatici dei “poteri oscuri”, compatti nel sostenere l’operazione anche se la popolazione locale è solidale nel respingerla». I valsusini lo fanno «per la propria salute, messa a rischio dall’uranio e dall’amianto che verranno portati in superficie, e per salvare una natura già tanto colpita nel passato». Ma forse anche perché «il cuore dei valligiani, che è inconsciamente in contatto con la realtà spirituale delle cose, sa molto meglio della mente che bisogna resistere, opporsi con fermezza ed energia all’aggressione spirituale. E che bisogna farlo in modo consono alla nuova coscienza che si risveglia e si sviluppa: con la verità e la nonviolenza. Rispondere con la verità e la nonviolenza alla menzogna manipolatoria e alla violenza del fronte compatto che vuole sacrificarli: un fronte di poveri schiavi dei “poteri oscuri”, che hanno venduto pezzi della propria coscienza in cambio di tanti o pochi spiccioli; di grandi, ma anche di piccolissime poltrone».«Nessuno ne parla, ma questa aggressione è in corso da anni». Non si tratta di missili, veleni e cemento. «Vengono colpiti luoghi sacri naturali». In altre parole, è in pieno svolgimento una crociata – segreta – contro la geografia “invisibile” dei cosiddetti luoghi santi. E la prima linea del fronte sarebbe proprio la valle di Susa, investita dal progetto Tav. Che non sarebbe solo il consueto maxi-affare all’italiana. Molto peggio: un sortilegio malefico, per colpire a morte quello che è forse il più importante “chakra” terrestre europeo, il maggiore nodo energetico del continente. Per giunta situato sulla rotta che unisce, in linea retta, l’abbazia francese di Mont Saint-Michel al santuario di Monte Sant’Angelo, sul Gargano. Ombelico del “canale energetico”, l’abbazia medievale valsusina della Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte. Gli architetti occulti dell’operazione-Tav? «Sono innanzitutto esoteristi». A fare una simile affermazione, decisamente fuori ordinanza, è Fausto Carotenuto: non esattamente un visionario, ma un veterano dei servizi segreti italiani, per i quali ha lavorato come analista internazionale. Non ha dubbi: quella che è cominciata in valle di Susa è un’operazione “magica”, destinata a farci del male. Un atto di guerra, deliberato, contro il “drago” di uranio e amianto che dorme nel sottosuolo alpino. Un lavoro da stregoni, più che da gangster della politica.
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Allerta sul cibo industriale: rilevati troppi veleni invisibili
Corpi estranei in ritagli di ostie croccanti, salmonella nella soia e nella carne di pollo, livelli eccessivi di “escherichia coli” nei mitili, mercurio nel tonno, frammenti di vetro in ravioli ai funghi, aflatossine nel Grana Padano, couscous con muffe – e la lista è ancora lunga. Sono le anomalie e le irregolarità nei prodotti italiani che hanno preso la via dell’estero o del mercato interno e che sono state rilevate e segnalate, nelle ultime settimane, dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi. Il cibo sano pare, dunque, una chimera o almeno una equivalenza impossibile con il cibo industriale, sia prodotto in Italia che all’estero. Qualche altro esempio? Tra i lotti respinti alle frontiere o oggetto di informazione ci sono: migrazione di cromo e manganese da lame per elettrodomestici da cucina provenienti dagli Stati Uniti; mercurio in lombi di pescespada sottovuoto, scongelati dalla Spagna; residui di sostanza proibite (tau-fluvalinato e cloramfenicolo) in propoli crudo dalla ex jugoslava Repubblica di Macedonia; ocratossina A in miscela di caffè tostato da Italia.E ancora: colorante non autorizzato (Reactive Red 195) in concentrato di frutta dal Messico; infestazione da parassiti Anisakis in rana pescatrice refrigerata dalla Francia; presenza di Dna di ruminanti in materiali alimentari provenienti da Danimarca e destinati a mangime. Poi ci sono i ritiri di prodotti per questioni di potenziali allergie o presenza di sostanze estranee. Per esempio, a fine luglio Ikea ha esteso il richiamo delle due tavolette di cioccolato avviato un mese prima per la mancanza delle indicazioni in etichetta di due ad altri sei prodotti al cioccolato. Il motivo è sempre lo stesso: la mancanza dell’indicazione sull’etichetta della frase “può contenere mandorle e nocciole”. Si tratta di una dimenticanza che potrebbe procurare problemi alle persone allergiche o intolleranti. Il richiamo interessa tutti i mercati mondiali e tutti i lotti venduti. Ikea precisa che la presenza di mandorle e nocciole non è occasionale ma che è stata rilevata frequentemente.E ancora, di recente la catena di supermercati Coop ha annunciato il ritiro dagli scaffali dei supermercati delle confezioni di dessert Granarolo 100% vegetale di soia al gusto vaniglia, per possibile presenza di tracce di latte non dichiarate in etichetta. Il 15 luglio 2016 Barilla ha richiamato e ritirato dai punti vendita dieci tipi di pane in cassetta e due torte della Mulino Bianco oltre a un lotto di Maxi Burger Pavesi per sospetta presenza di corpi estranei nel sale utilizzato nelle preparazioni. Secondo il fornitore di sale olandese si tratta di pezzetti di metallo che possono arrivare sino a cinque centimetri. In rete sono apparse centinaia di notizie su questo ritiro e molti giornali cartacei hanno ripreso la notizia. La maggior parte dei supermercati che in teoria dovrebbero essere interessati ad avvisare la clientela, visto che probabilmente hanno venduto i lotti ritirati, ha dimenticato di rilanciare l’allerta e di informare i propri consumatori.Poi la querelle tra la Ferrero e l’associazione dei consumatori tedesca Foodwatch che ha analizzato venti marche di patatine fritte e snack, per verificare la presenza di oli minerali. In tre snack è stata rilevata la presenza di idrocarburi di oli minerali (Moh). Si tratta delle barrette di cioccolato Kinder Ferrero, dei cioccolatini alle nocciole Fioretto di Lindt e dei biscotti al cioccolato Sun Rice di Rübezahl. La maggior concentrazione di Moh è stata riscontrata nelle barrette Kinder, e per questo Foodwatch ha chiesto a Ferrero di ritirare il prodotto. In una mail inviata a “Il Fatto Alimentare”, Ferrero «garantisce che tutti i suoi prodotti sono sicuri per i consumatori. Essi sono infatti pienamente conformi ai requisiti di sicurezza alimentare previsti in tutti i paesi in cui sono commercializzati, spesso superandoli».Ferrero difende i suoi prodotti e ne garantisce la sicurezza: «Benché il tema recentemente sollevato relativo a tracce di oli minerali nei prodotti alimentari sia noto alle autorità competenti e all’industria alimentare già da diversi anni, non vi è ad oggi alcuna regolamentazione specifica in materia». Il problema concerne virtualmente tutti gli imballi alimentari: infatti, tracce minime di oli minerali si ritrovano ovunque nell’ambiente. «Tutti gli imballi Ferrero rispettano pienamente la normativa applicabile relativa ai materiali di contatto alimentare. Tuttavia, in linea con la sua tradizione di continuo miglioramento, dal 2013 Ferrero è impegnata in un processo di revisione di tutti i suoi materiali da imballaggio, al fine di garantire la più alta qualità ai propri consumatori». L’associazione dei consumatori tedesca ha però ricordato il parere emesso nel giugno 2012 e poi aggiornato nell’agosto 2013 dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).Il testo individua due tipi di Moh per quanto riguarda la sicurezza alimentare: gli idrocarburi saturi (Mosh), che possono accumularsi nei tessuti umani e provocare effetti avversi sul fegato, e quelli aromatici (Moah), che possono agire da cancerogeni genotossici, ovvero possono danneggiare il Dna e provocare il cancro. E quando si parla di cibo industriale, occhio agli ingredienti citati nella pubblicità. Vogliamo parlare dei gelati confezionati? Il “Fatto Alimentare” ha analizzato 104 prodotti scoprendo che la panna è solo uno specchietto per le allodole. L’alternativa c’è. Smetterla con i prodotti industriali acquistati a pacchi e carrelli, che durano un tempo infinito, infarciti di additivi di ogni genere. E riduzione drastica delle proteine animali, dal momento che gli animali sono allevati con abbondanza di antibiotici, ormoni e mangimi addizionati. Sì agli alimenti biologici, in larga parte vegetali, a un’alimentazione basata su cibi freschi cucinati al momento. La salute si guadagna e si mantiene a tavola.(“Cosa c’è dietro al cibo industriale”, da “Il Cambiamento” del 23 agosto 2016).Corpi estranei in ritagli di ostie croccanti, salmonella nella soia e nella carne di pollo, livelli eccessivi di “escherichia coli” nei mitili, mercurio nel tonno, frammenti di vetro in ravioli ai funghi, aflatossine nel Grana Padano, couscous con muffe – e la lista è ancora lunga. Sono le anomalie e le irregolarità nei prodotti italiani che hanno preso la via dell’estero o del mercato interno e che sono state rilevate e segnalate, nelle ultime settimane, dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi. Il cibo sano pare, dunque, una chimera o almeno una equivalenza impossibile con il cibo industriale, sia prodotto in Italia che all’estero. Qualche altro esempio? Tra i lotti respinti alle frontiere o oggetto di informazione ci sono: migrazione di cromo e manganese da lame per elettrodomestici da cucina provenienti dagli Stati Uniti; mercurio in lombi di pescespada sottovuoto, scongelati dalla Spagna; residui di sostanza proibite (tau-fluvalinato e cloramfenicolo) in propoli crudo dalla ex jugoslava Repubblica di Macedonia; ocratossina A in miscela di caffè tostato da Italia.
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Amazon paga meno tasse di una bancarella di salsicce
Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.Apple ha detto che impugnerà la decisione, che l’amministratore delegato Tim Cook ha definito «una completa schifezza politica». Google, Facebook e altre multinazionali dichiarano di adeguarsi completamente alla normativa fiscale. Kern ha anche criticato gli stati membri dell’Unione Europea con regimi fiscali agevolati che hanno attirato le multinazionali – e sono stati messi sotto esame da Bruxelles. «Quello che stanno facendo Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Malta manca di solidarietà verso il resto dell’economia europea», ha detto. Si è astenuto dal chiedere che Facebook e Google pagassero più tasse, ma ha sottolineato le loro vendite significative in Austria, che ha stimato in oltre 100 milioni di euro ciascuno, e il loro numero di dipendenti relativamente piccolo – una «buona dozzina» per Google e «presumibilmente ancora meno» per Facebook. «Hanno massicciamente risucchiato il volume di pubblicità prodotta dall’economia, ma non pagano né l’imposta sulle società, né sulla pubblicità in Austria», ha detto Kern, che è diventato cancelliere nel mese di maggio.«Mentre si evidenzia su cosa si è basato il tanto decantato boom irlandese, vengono al pettine i nodi legati ai mitizzati investimenti esteri». In questo quadro, sottolinea “Voci dall’Estero”, «caos e disgregazione sono in ulteriore aumento in Europa». Lo dimostra una volta di più anche questa sentenza che chiede alla Apple di versare all’Irlanda 13 miliardi di euro di tasse arretrate. «Mentre Dublino, un po’ paradossalmente, ha già presentato ricorso contro la decisione dell’Ue, in Austria il premier accusa le multinazionali di pagare tasse in misura irrisoria anche nel suo paese». “Voci dall’Estero” rileva quindi come notevole l’atteggiamento del premier austriaco, che «attacca anche i diversi stati membri che praticano politiche fiscali troppo generose per attirare le grandi aziende, accusandoli di mancare di solidarietà verso il resto dell’Eurozona».Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.
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La Germania: il Ttip è morto. Cremaschi: merito del Brexit
La notizia è volata anche sui media mainstream, telegiornali compresi: dopo Donald Trump, anche il numero due del governo tedesco, Sigmar Gabriel, leader dell’Spd che sorregge la super-coalizione (larghe intese) guidata da Angela Merkel, “boccia” senza appello il famigerato Ttip, cioè il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue sviluppato in anni di trattative segrete, condotte a porte chiuse dai responsabili delle principali 1500 lobby statunitensi ed europee, dietro il paravento della Casa Bianca e della Commissione Europea. Trattato che, come trapelato, avrebbe messo fine alle storiche garanzie europee sulla salute, la qualità dell’agricoltura, la sicurezza del cibo e le tutele sul lavoro, autorizzando le multinazionali a “piegare” al loro volere – con pensanti sanzioni – qualsiasi governo si opponesse al loro business. Sarebbe stata la fine dello Stato di diritto, sotto molti aspetti. Ma ora l’incubo sembra dissolversi: «Il governo tedesco dichiara morto il Ttip, grazie alla Brexit», scrive Giorgio Cremaschi, ricordando tra l’altro che il governo Renzi «era il più servile verso il terribile trattato», da approvare a scatola chiusa. Motivo in più per «votare No alla sua controriforma costituzionale».Il vicepremier della Germania Gabriel, socialdemocratico, ha dichiarato che il Ttip non si farà più, scaricando le responsabilità del fallimento del trattato sulle eccessive pretese degli Stati Uniti, per le loro multinazionali, scrive Cremaschi sulla sua pagina Facebook. «La verità è che dopo la Brexit i negoziati per il Ttip non sono neppure cominciati. Doveva esserci una sessione decisiva proprio alla fine di giugno e il nostro ministro Calenda si era sperticato sulla necessità di giungere ad un accordo. Il governo Renzi si era mostrato il più servile, il più colonizzato d’Europa». Francia e Germania invece «avevano già frenato sull’intesa». Ma il precedente accordo tra Canada e Ue, con molti dei contenuti del Ttip, «spingeva comunque verso il disastro». Poi, «per fortuna il popolo britannico ha votato No alla Ue ed è saltato tutto: grazie alla Brexit si sono fermati, a dimostrazione che il voto britannico è stato un grande segnale positivo per la libertà e i diritti dei popoli».Certo non è finita, ammette Cremaschi. Ma «il liberismo sfrenato del Ttip era troppo favorevole agli interessi delle multinazionali Usa: per questo quelle tedesche e francesi alla fine hanno festeggiato il suo fallimento». Ma questo, aggiunge l’ex leader sindacale Fiom, non vuol dire che «le aggressioni al lavoro, allo stato sociale e all’ambiente in Europa finiranno». I poteri economici e finanziari della Ue (e i loro politici di complemento) «continueranno a fare danni finché i popoli europei non li fermeranno». Intanto, però – grazie alla Brexit – «una catastrofe è stata evitata», sintetizza Cremaschi. «Ora dobbiamo evitarne un’altra: la distruzione della nostra Costituzione». Il fronte del Sì al referendum «è fatto dalle stesse forze e interessi che erano favorevoli al Ttip e che avevano demonizzato la Brexit». Sconfiggerli «sarà un passo avanti per l’Italia e l’Europa», visto che «i No dei popoli fanno bene alla democrazia».La notizia è volata anche sui media mainstream, telegiornali compresi: dopo Donald Trump, anche il numero due del governo tedesco, Sigmar Gabriel, leader dell’Spd che sorregge la super-coalizione (larghe intese) guidata da Angela Merkel, “boccia” senza appello il famigerato Ttip, cioè il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue sviluppato in anni di trattative segrete, condotte a porte chiuse dai responsabili delle principali 1500 lobby statunitensi ed europee, dietro il paravento della Casa Bianca e della Commissione Europea. Trattato che, come trapelato, avrebbe messo fine alle storiche garanzie europee sulla salute, la qualità dell’agricoltura, la sicurezza del cibo e le tutele sul lavoro, autorizzando le multinazionali a “piegare” al loro volere – con pensanti sanzioni – qualsiasi governo si opponesse al loro business. Sarebbe stata la fine dello Stato di diritto, sotto molti aspetti. Ma ora l’incubo sembra dissolversi: «Il governo tedesco dichiara morto il Ttip, grazie alla Brexit», scrive Giorgio Cremaschi, ricordando tra l’altro che il governo Renzi «era il più servile verso il terribile trattato», da approvare a scatola chiusa. Motivo in più per «votare No alla sua controriforma costituzionale».
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Sesso e potere, la virilità di Cristo. E il Natale ha 5000 anni
Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutto maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.Nasce così l’attuale sistema di potere, che in un suo saggio del 2004 Saba Sardi chiama “dominio”. Temi anticipati da “Il Natale ha 5000 anni”, volume popolato di vicende e personaggi che, prendendoci per mano, ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: «Dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità», riassume Sonia Fossi nell’intervista ripresa dal blog di Gianfranco Carpeoro. Ma è nella crisi generale di 5000 anni fa che Francesco Saba Sardi individua «il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi». E così, «la speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici». Sicchè, il Cristianesimo «è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo». Ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane?“Il Natale ha 5000” anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione, precisa Sonia Fossi. Cosa accadde nel 1958? «Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”». La rivista dei gesuiti, allora diretta da padre Enrico Rosa, «dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di padre Rosa». Che cosa ha fatto e cosa può ancora fare paura del suo libro? «Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema: ma il mito non è bugia». Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente, spiega Saba Sardi. «Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità».Su quali elementi – domanda la giornalista – basò la sua confutazione padre Rosa? «La mia tesi è inconfutabile», risponde lo studioso. «Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza, perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo». Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come ad esempio la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpretare questo percorso? «E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore». Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso? «Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora».La narrazione cristica ha però avuto un’immensa fortuna: perchè? «La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio», spiega Saba Sardi. «La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno». Attenzione: «Nessun potere può affermarsi se non è incarnato; così, il potere si materializza in una parte del corpo». Al che, «sesso e potere diventano tutt’uno». Si badi: «Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo, a promettere l’Età dell’Oro». Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie – aggiunge Saba Sardi – sono sempre «al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio». Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, osserva Sonia Fossi. Ma se l’umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione? «Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza».«Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità», insiste Saba Sardi. «L’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea: non è la parola che inventa il mondo, ma sono gli oggetti che iniziano a imporre le parole». Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo? «Come abbiamo già detto la maschilità», risponde l’autore. «Il fatto che devono affrontare dei pericoli: ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto è che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo». In altre parole, attraverso l’evocazione della divinità, «il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola».Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, scrive la Fossi, anche se ognuno chiama questo tempo che ci attende con le proprie parole: cosa rappresenta questa visione? «Nostalgia e speranza», dice Saba Sardi. «Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro». Ed ecco il nostro tempo: «La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi». Tornare indietro? «E come? Tornando alla caccia? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti».Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. «Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio: il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia che è immediatezza e spontaneità, è ciò che sopravvive ancora nei bambini». Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle? «No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa». Ratzinger ha detto di continuo che il Cristianesimo è razionale. «I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova». Mentre la scienza «parte da ipotesi che debbono essere provate», la religione «al posto delle ipotesi mette delle certezze aprioristiche», cioè «dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici».La storia dell’uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Gente come Giordano Bruno, disposta a pagare con la vita. Oggi, domanda Sonia Fossi, un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe? «Incontrerebbe un padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo», risponde Saba Sardi. Ma la Chiesa «è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità». Infatti, “Il Natale ha 5000 anni” mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non viene negata, ma mostrata. Quei dipinti «sono esistiti fino al Concilio di Trento», poi sono stati occultati. «Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento», sostiene lo studioso. La copertina del libro sotto accusa, ad esempio, mostra la “Sacra Famiglia” di Hans Baldung Grien, datata 1511. «L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo, mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo».Da cattolici e protestanti «si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali», afferma Saba Sardi. «In più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”». Eppure, aggiunge lo studioso, «la virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana». Sicchè, «negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo; questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia».Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo – ragiona Sonia Fossi – come siamo arrivati alla negazione? Nel Cristianesimo, Saba Sardi distingue tre fasi: nella prima, la fase Agostiniana, «Dio è Padre, severo e unilaterale: concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno». La seconda è la fase del Rinascimento: «In questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio, che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue». Poi arriva il Concilio di Trento, che apre la terza fase del Cristianesimo, in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. «Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive». La poesis è pericolosa, conclude Saba Sardi: «Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere, quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo».Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutti maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.