Archivio del Tag ‘Christine Lagarde’
-
Ur-Lodges, gli uomini al comando: la mappa del vero potere
Mario Draghi (classe 1947, presidente della Banca centrale europea dal 2011, affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, alla “Three Eyes” e alla “Der Ring”). Giorgio Napolitano (classe 1925, già presidente della Repubblica italiana, affiliato alla “Three Eyes”). Massimo D’Alema, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. Mario Monti (classe 1943, economista, senatore a vita e presidente del Consiglio italiano dal 2011 al 2013, affiliato in forma più o meno coperta alla United Grand Lodge of England e alla Ur-Lodge “Babel Tower”). Fabrizio Saccomanni (classe 1942, banchiere, economista, già direttore generale della Banca d’Italia dal 2006 al 2013, dal 2013 al 2014 è stato ministro dell’economia del governo Letta, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Edmund Burke”). Pier Carlo Padoan (classe 1950, economista, dal 24 febbraio 2014 ministro dell’economia nel governo Renzi e nel governo Gentiloni, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”).Gianfelice Rocca (classe 1948, tra i più importanti imprenditori italiani, presidente di Techint e di Assolombarda, affiliato alla “Three Eyes”). Domenico Siniscalco (classe 1954, economista, banchiere, già ministro dell’economia dal 2004 al 2005, affiliato alla “Edmund Burke”). Giuseppe Recchi (classe 1964, top manager, affiliato alla “Three Eyes”). Marta Dassù (classe 1955, saggista, già sottosegretaria e viceministra degli affari esteri, attualmente nel cda di Finmeccanica, affiliata alla “Three Eyes”). Corrado Passera (classe 1954, banchiere, manager, politico, già ministro dello sviluppo economico dal 2011 al 2013 nel governo Monti, affiliato alla “Atlantis-Aletheia”). Ignazio Visco (classe 1949, economista, governatore della Banca d’Italia dal 2011, affiliato alla “Edmund Burke”).Enrico Tommaso Cucchiani (classe 1950, banchiere e top manager, affiliato alla “Three Eyes”). Alfredo Ambrosetti (classe 1931, economista, fondatore e presidente emerito di The European House-Ambrosetti, affiliano alla “Pan-Europa”).Carlo Secchi (classe 1944, economista e politico, affiliato alla “Three Eyes”, alla “Pan-Europa” e alla “Babel Tower”). Emma Marcegaglia (classe 1965, imprenditrice e top manager, affiliata alla “Pan-Europa”). Matteo Arpe (classe 1964, banchiere e top manager, affiliato alla “Edmund Burke”). Vittorio Grilli (classe 1957, economista, direttore generale del ministero del Tesoro dal 2005 al 2011 e ministro dell’economia con il governo Monti, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”). Giampaolo Di Paola (classe 1944, ammiraglio, ministro della difesa dal 2011 al 2013 con il governo Monti, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”). Federica Guidi (classe 1969, imprenditrice, già ministro dello sviluppo economico del governo Renzi, affiliata alla “Three Eyes”).Angela Merkel (classe 1954, politica, cancelliera tedesca dal 2005, affiliata alla “Golden Eurasia”, alla “Valhalla” e alla “Parsifal”). Vladimir Putin (classe 1952, attuale presidente della Federazione Russa, affiliato alla “Golden Eurasia”). Christine Lagarde (classe 1956, avvocatessa e politica francese, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, affiliata alla “Three Eyes” e alla “Pan-Europa”). George W. Bush (classe 1949, presidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2009, affiliato alla “Hathor Pentalpha”). Michael Ledeen (classe 1941, giornalista, intellettuale e politologo statunitense, affiliato alla “White Eagle” alla “Hathor Pentalpha”). Condoleezza Rice (classe 1954, politica, affiliata alla “Three Eyes” e alla “Hathor Pentalpha”, già esponente di punta dell’amministrazione Bush). Abu Bakr Al-Baghdadi (classe 1971, terrorista iracheno, leader dell’Isis e Califfo dell’autoproclamato Stato islamico, affiliato alla “Hathor Pentalpha”).José Manuel Durão Barroso (classe 1956, portoghese, docente universitario, politico, presidente della Commissione Europea dal 2004 al 2014, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Parsifal”). Olli Rehn (classe 1962, politico finlandese, già vicepresidente della Commissione Europea, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Babel Tower”). Tony Blair (classe 1953, premier britannico dal 1997 al 2007, affiliato alla “Edmund Burke” e poi alla “Hathor Pentalpha”). David Cameron (classe 1966, premier britannico dal 2010, affiliato alla “Edmund Burke” e alla “Geburah”). Pedro Passos Coelho (classe 1964, primo ministro del Portogallo dal 2011, affiliato alla “Three Eyes”, alla “Edmund Burke” e alla “White Eagle”). Mariano Rajoy (classe 1955, primo ministro della Spagna dal 2011, affiliato alla “Pan-Europa”, alla “Valhalla” e alla “Parsifal”). Antonis Samaras (classe 1951, politico, già primo ministro della Grecia, affiliato alla “Three Eyes”). Jean-Claude Trichet (classe 1942, economista e banchiere francese, presidente della Bce dal 2003 al 2011, affiliato alla “Pan-Europa”, alla “Babel Tower” e alla “Der Ring”.Bernard Arnault (classe 1949, imprenditore francese, dominus della Louis Vuitton Moët Hennessy, affiliato alla “Three Eyes” e alla “Edmund Burke”). Nicolas Sarkozy (classe 1955, politico, presidente della Repubblica francese dal 2007 al 2012, affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Geburah”, alla “Atlantis-Aletheia”, alla “Pan-Europa” e alla “Hathor Pentelpha”). Manuel Valls (classe 1962, già primo ministro francese, iniziato a suo tempo nel Grand Orient de France e poi affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Der Ring”). Christian Noyer (classe 1950, banchiere, attuale governatore della Banca di Francia, affiliato alla “Pan-Europa”, e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”). Mark Rutte (classe 1967, primo ministro dei Paesi Bassi dal 2010, affiliato alla “Three Eyes” e alla “Pan-Europa”). Ben van Beurden (classe 1958, top manager olandese, ceo della Royal Dutch Shell, affiliato alla “Geburah” e alla “Der Ring”). Wolfgang Schäuble (classe 1942, politico, attuale ministro delle finanze tedesco, attuale maestro venerabile della “Der Ring”, affiliato alla “Joseph de Maistre”). Peter Voser (classe 1958, top manager olandese e ceo della Royal Dutch Shell, affiliato alla “Pan-Europa”). Bill Gates (classe 1955, imprenditore statunitense fondatore della Microsoft, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”).(Elenco sintetico di eminenti personalità italiane e internazionali affiliate a superlogge neo-conservatrici e reazionarie, fornito dal libro di Gioele Magaldi “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”. Secondo Magaldi, già “venerabile” della loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia e poi iniziato alla superloggia sovranazionale progressista “Thomas Paine”, le 36 logge madri di cui ha rivelato l’esistenza costituirebbero l’autentico “back-office” del potere mondiale. Nel dopoguerra e fino agli anni ‘70, sostiene Magaldi, la leadership internazionale è stata esercitata in questo ambito da strutture di orientamento progressista, rooseveltiano e keynesiano, con esiti misurabili in Europa dall’impegno di personaggi come l’inglese William Beveridge, “l’inventore” del welfare, e lo svedese Olof Palme, punta avanzata della miglior socialdemocrazia europea. Poi, dagli anni ‘80, anche gli esponenti della tradizione socialista – da Blair a D’Alema, da Manuel Valls allo stesso Napolitano – sarebbero stati affiliati a Ur-Lodge di segno neo-feudale e oligarchico, massime interpreti della globalizzazione più vorace e privatizzatrice).Mario Draghi (classe 1947, presidente della Banca centrale europea dal 2011, affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, alla “Three Eyes” e alla “Der Ring”). Giorgio Napolitano (classe 1925, già presidente della Repubblica italiana, affiliato alla “Three Eyes”). Massimo D’Alema, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”. Mario Monti (classe 1943, economista, senatore a vita e presidente del Consiglio italiano dal 2011 al 2013, affiliato in forma più o meno coperta alla United Grand Lodge of England e alla Ur-Lodge “Babel Tower”). Fabrizio Saccomanni (classe 1942, banchiere, economista, già direttore generale della Banca d’Italia dal 2006 al 2013, dal 2013 al 2014 è stato ministro dell’economia del governo Letta, affiliato alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Edmund Burke”). Pier Carlo Padoan (classe 1950, economista, dal 24 febbraio 2014 ministro dell’economia nel governo Renzi e nel governo Gentiloni, affiliato alla “Pan-Europa” e alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”).
-
India: laboratorio mondiale per la demonetizzazione forzata
Oltre mezzo miliardo di indiani costretti ad aprirsi un conto in banca, quindi a far guadagnare le banche e a farsi controllare, al centesimo. Tutto questo da que mesi a questa parte, con l’improvvisa soppressione del cash a favore della moneta elettronica. «Pensavo che un esperimento del genere compiuto nel corpo vivo di una nazione di 1.276 milioni di abitanti, con oltre 3 milioni di chilometri quadrati, con la bomba atomica e situata in una posizione strategica (sia geopoliticamente che economicamente e finanziariamente), avrebbe richiamato l’interesse di qualche guru dell’economia, specialmente di sinistra», scrive Piero Pagliani. «Invece niente», nessuno si è accorto dell’enormità che sta avvenendo. In compenso, il magnate statunitense Steve Forbes ha definito la “demonetizzazione” indiana «nauseante e immorale, una rapina di massa», paragonandola alla politica di sterilizzazione forzata voluta da Indira Gandhi. Tutto è partito l’8 novembre scorso, quando il governo nazionalista indù retto da Narendra Modi ha dichiarato fuori corso tutte le banconote da 500 e 1.000 rupie (ovvero 7 e, rispettivamente, 14 euro). «Questo è equivalso a mettere fuori corso circa l’80% del denaro circolante».Gli indiani, ricorda Pagliani su “Megachip”, avevano due settimane di tempo per cambiare le loro banconote ormai “illegali” con quelle da 500 e 2.000 rupie, «facendo esasperanti code agli sportelli bancari dove sono morte decine di persone per infarto o collasso, o prelevare ai bancomat». Prelievi comunque limuitati, «solo fino a uno striminzito tetto massimo di 2.000 rupie, poi elevato a 4.000», cioè 55 euro. Pagliani denuncia «gli effetti di questa violenta demonetizzazione sui milioni di piccoli operatori economici che costituiscono il fitto tessuto economico indiano». Considera l’operazione «un enorme regalo alle banche che ha aspetti di sadismo sociale in una nazione di milioni di piccoli operatori economici». Si parla infatti di «centinaia e centinaia di milioni di persone danneggiate e a volte minacciate fin nella loro esistenza fisica e in quella dei loro familiari». In pratica, almeno 800 milioni di persone «gettate nella difficoltà e a volte nella disperazione», che oltretutto «sono solo un’avanguardia, una prima tranche». Infatti, «la mossa di Narendra Modi è un esperimento in grandissimo stile di un piano ben più generale portato avanti da potenti interessi radicati negli Stati Uniti e con vaste diramazioni internazionali».L’operazione, continua Pagliani, «è parte della politica di partnership strategica tra Usa e India, fortemente voluta dal presidente uscente Barack Obama». Più precisamente, «costituisce uno dei protocolli di cooperazione firmati tra il ministero indiano delle finanze e l’agenzia governativa statunitense Usaid». La manovra, aggiunge Pagliani, fa capo alle linee di azione della “Better Than Cash Alliance”, di cui fanno parte Mastercard, Visa, la Fondazione Ford e la Fondazione Gates, che agiscono anche individualmente, ad esempio proprio nell’iniziativa che ha colpito l’India. Non a caso Bill Gates era in visita in quel paese proprio in quei giorni e rilasciava dichiarazioni di sostegno alla demonetizzazione: «La moneta di plastica è il futuro in India». Ma uno dei padrini nascosti di questa manovra, spiega Pagliani, è Raghuram Rajan, governatore della Reserve Bank indiana fino a due mesi prima dell’annuncio a sorpresa che ha scioccato gli indiani. «Questo signore ha un passato come economista capo all’Fmi, è professore di economia all’Università di Chicago (culla accademica del neoliberismo) ed è membro del Gruppo dei Trenta» dove, spiega Norbert Haering, «rappresentanti di alto livello delle maggiori istituzioni commerciali finanziarie a livello mondiale condividono opinioni e piani coi presidenti delle più importanti banche centrali, a porte chiuse e senza nessun verbale».Raghuram Rajan è considerato un possibile successore di Christine Lagarde alla guida dell’Fmi: «Si sta conquistando il merito sul campo». Aggiunge Pagliani: «Se consideriamo il tessuto produttivo e commerciale indiano, il fatto che il 97% delle transazioni sono eseguite in contante e che solo il 55% degli indiani ha un conto in banca (e ci sono aree dove le banche sono lontanissime fisicamente) e che quei conti sono pochissimo movimentati, si capisce la misura del disastro indotto-voluto da questa manovra». Un disastro mistificato da slogan come “inclusione finanziaria” e “inclusione digitale”. «Insomma, il solito “nuovo che avanza”, il progresso, come ai tempi di Enrico VIII ed Elisabetta I lo erano le “enclosure” che gettavano nella miseria e nella disperazione i contadini inglesi che potevano solo andare a mendicare nelle città per farsi impiccare a schiere per via delle draconiane leggi contro l’accattonaggio e il vagabondaggio». Karl Marx sosteneva che la cosiddetta “accumulazione originaria” del capitale si ripete ciclicamente, come al solito «grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro». Il perspicace “Hindustan Times titolava”: «Modi è come la regina Antonietta che diceva: Se non avete il pane mangiate le brioches».Quali sono i vantaggi che le élite mondializzate intendono trarre dalla demonetizzazione forzata che per ora vediamo all’opera in India? Almeno tre. Il primo: «Ogni cittadino, almeno nelle intenzioni, sarà costretto a imprestare il grosso del denaro che possiede e che guadagna alle banche. Semplicemente perché per poter usare la “moneta di plastica” deve avere un conto in banca, e ogni volta che versa sul conto in banca fa un prestito alla banca stessa. Un drenaggio di ricchezza verso i soliti noti che già posseggono la quasi totalità del pianeta Terra». Secondo, la tracciabilità: «Ovvero il controllo capillare. Praticamente su tutto. Un potere immenso di sorveglianza». Terzo vantaggio, per l’élite finanziaria: «Il controllo tecnico-politico delle transazioni e quindi delle grandi istituzioni finanziarie e di conseguenza un controllo politico dei governi che fanno loro riferimento». In fondo, conclude Pagliani, a Maria Antonietta «tagliarono la testa per molto meno».Oltre mezzo miliardo di indiani costretti ad aprirsi un conto in banca, quindi a far guadagnare le banche e a farsi controllare, al centesimo. Tutto questo da due mesi a questa parte, con l’improvvisa soppressione del cash a favore della moneta elettronica. «Pensavo che un esperimento del genere compiuto nel corpo vivo di una nazione di 1.276 milioni di abitanti, con oltre 3 milioni di chilometri quadrati, con la bomba atomica e situata in una posizione strategica (sia geopoliticamente che economicamente e finanziariamente), avrebbe richiamato l’interesse di qualche guru dell’economia, specialmente di sinistra», scrive Piero Pagliani. «Invece niente», nessuno si è accorto dell’enormità che sta avvenendo. In compenso, il magnate statunitense Steve Forbes ha definito la “demonetizzazione” indiana «nauseante e immorale, una rapina di massa», paragonandola alla politica di sterilizzazione forzata voluta da Indira Gandhi. Tutto è partito l’8 novembre scorso, quando il governo nazionalista indù retto da Narendra Modi ha dichiarato fuori corso tutte le banconote da 500 e 1.000 rupie (ovvero 7 e, rispettivamente, 14 euro). «Questo è equivalso a mettere fuori corso circa l’80% del denaro circolante».
-
Magaldi: Costituzione rovinata da Monti e becchini di Renzi
Dopo Renzi, tocca a Padoan? «Dalla padella alla brace: rappresenta il peggio della tecnocrazia reazionaria europea, quella che impone l’austerity ad ogni costo». Gioele Magaldi è fra i quasi 20 milioni di italiani che hanno votato No al referendum, ma non si associa al «teatro degli sciacalli», cioè «quelli che oggi festeggiano la caduta del premier dopo aver votato, tutti quanti, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione». Era il 2012: il Parlamento, con Monti, causò il massimo “vulnus” mai inferto alla Carta costituzionale: lo Stato costretto a “pareggiare i conti”, impossibilitato a fare investimenti strategici. Un macigno, che il referendum del 4 dicembre non ha neppure sfiorato. «Gli italiani? Dopo il referendum sono nella merda esattamente come prima, e scusate il francesismo», dichiara a “Colors Radio” Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere) che denuncia il ruolo occulto, nella politica, di 36 superlogge internazionali. Lo stesso Padoan – aggiunge Magaldi – è membro (con Massimo D’Alema) della “Pan-Europa” e della “Compass Star-Rose”, storica “Ur-Lodge” dell’ultra-destra, nel back-office del massimo potere, accanto alla “Three Eyes” di Kissinger (e Napolitano).Pier Carlo Padoan? Uno dei tanti marxisti “pentiti”, passati al fronte opposto: «Da estrema sinistra era critico di Keynes quando la sua visione dell’economia era marxista», racconta Magaldi. «Adesso continua a odiare Keynes, ma da neoliberista convinto, tecnocrate e massone reazionario». Un interprete rigidissimo dell’ordoliberismo Ue: «Uno dei grandi problemi del governo Renzi è che aveva il cane da guardia Padoan a vigilare che il governo italiano potesse muoversi secondo quel “pilota automatico” annunciato da Mario Draghi». Nessun dubbio: «Se c’è un personaggio che rappresenta il peggio della tecnocrazia continentale, la garanzia del fatto che non ci discosteremmo mai dal paradigma dell’austerity, quello è Padoan». Tra parentesi: «Quali benefici la sua azione avrebbe portato agli italiani durante la sua permanenza al dicastero dell’economia?». Sarebbe grave, sostiene Magaldi, se Padoan dovesse sostituire Renzi. Nella Ur-Lodge “Pan Europa”, ha scritto nel suo libro, Padoan è in compagnia di Emma Marcegaglia, Christine Lagarde del Fmi, lo spagnolo Mariano Rajoy, pesi massimi Ue come Jean-Claude Trichet e José Manuel Barroso. Senza contare i “confratelli” dell’altra superloggia, la “Compass Star-Rose”: da Vittorio Grilli, ministro dell’economia con Monti, a Manuel Valls, fino a Christian Noyer, governatore della banca centrale francese.Il povero Renzi? «E’ tutta colpa sua, paga per i suoi errori disastrosi», dice Magaldi. Il principale? «Il suo era sostanzialmente un bluff: ha fatto una riforma ridicola come il Jobs Act e si è limitato ad abbaiare contro Bruxelles, anziché chiedere all’Unione Europea di riscrivere le regole, innanzitutto, a cominciare proprio dal pareggio di bilancio». Ha solo e sempre “fatto finta”, Matteo: «Anziché imporre un’agenda diversa ha convocato a Ventotene Hollande e la Merkel, cioè gli esponenti del peggior potere tecnocratico del quale peraltro lo stesso Renzi ha cercato di far parte, chiedendo di essere accolto presso le superlogge conservatrici, anziché quelle progressiste». Politicamente morto? «Non è detto», anche se la botta è stata midiciale. «Ha comunque reagito alla disfatta con dignità e velocità, dimostrando di essere capace di risollevarsi». Forse, domani, lo aspetta «un’ultima chance per non essere solo una meteora», ma Renzi dovrebbe «passare dal bluff alla realtà», anche perché «con la sua capacità dialettica e col suo ritmo poteva battersi contro l’egemonia tecnocratica europea, anziché limitarsi a bluffare».Per l’Italia, oggi, Magaldi vede aprirsi «una fase di caos che può anche diventare feconda», a patto però che i vicitori del round referendario si mettano a “fare sul serio”. I grillini, per esempio: «Spero non facciano come a Roma, dove ancora aspettiamo di vedere il cambio di passo: sarebbe imbarazzante scoprire che le alternative a Renzi hanno la stessa attitudine al bluff», dice ancora Magaldi. Il Movimento 5 Stelle? E’ autentico: «Non nasce per fare “gatekeeping”», cioè solo per arginare la protesta sociale. «L’ispirazione è in buona fede», anche se «le infiltrazioni sono sempre possibili, e la corruzione degli intenti anche». Il movimento fondato da Grillo «ha un grabnde problema: non sa ancora che cosa deve fare da grande», sostiene Magaldi. «Sa come raccogliere il malcontento, ma finora non ha saputo tradurlo in un progetto preciso, con un paradigma preciso». E purtroppo «non sono convincenti nemmeno un po’ alcuni suoi leader», come Di Maio e Di Battista, che «sembrano sempre preoccupati di dire la frase ad effetto anziché proporre una narrazione sostanzialmente diversa rispetto a quella che abbiamo avuto sinora». Servirebbe una battaglia contro il pareggio di bilancio, per esempio. Del quale Padoan sarebbe il più severo guardiano.Dopo Renzi, tocca a Padoan? «Dalla padella alla brace: rappresenta il peggio della tecnocrazia reazionaria europea, quella che impone l’austerity ad ogni costo». Gioele Magaldi è fra i quasi 20 milioni di italiani che hanno votato No al referendum, ma non si associa al «teatro degli sciacalli», cioè «quelli che oggi festeggiano la caduta del premier dopo aver votato, tutti quanti, l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione». Era il 2012: il Parlamento, con Monti, causò il massimo “vulnus” mai inferto alla Carta costituzionale: lo Stato costretto a “pareggiare i conti”, impossibilitato a fare investimenti strategici. Un macigno, che il referendum del 4 dicembre non ha neppure sfiorato. «Gli italiani? Dopo il referendum sono nella merda esattamente come prima, e scusate il francesismo», dichiara a “Colors Radio” Magaldi, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere) che denuncia il ruolo occulto, nella politica, di 36 superlogge internazionali. Lo stesso Padoan – aggiunge Magaldi – è membro (con Massimo D’Alema) della “Pan-Europa” e della “Compass Star-Rose”, storica “Ur-Lodge” dell’ultra-destra, nel back-office del massimo potere, accanto alla “Three Eyes” di Kissinger (e Napolitano).
-
Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?
-
La festa è finita, tra un po’ useranno l’esercito contro di noi
Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».La fine di ogni ciclo di crescita, inevitabilmente, cambia la struttura democratica, avverte Meijer, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. La crisi produrrà nuovi politici, perché, come sostenne Hazel Henderson, «l’economia non è altro che un travestimento della politica». Tradotto: «Da un lato ti trovi la classe al potere che tenta di tenersi stretta al suo potere in declino, producendo falsi numeri positivi a vagonate e sostenendo che comunque non esiste alternativa possibile alla loro (semmai soltanto dosi maggiori della stessa ricetta), e dall’altro lato c’è una vaga affiliazione, nella misura in cui si può parlare di affiliazione, di destra e sinistra, individui e partiti, in grado di subodorare cambiamenti in corso che potranno usare a proprio beneficio». La classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi: «Gli verranno addossate le colpe, e perlopiù meritatamente, per la caduta del sistema economico». Infatti: «Se sei percepito come parte della vecchia guardia, sei fuori». L’ascesa di Trump, Farage e simili è stata molto più veloce di quanto chiunque potesse pensare. «Si nutrono di malcontento, ma sono in grado di farlo soltanto perchè questo malcontento è stato del tutto ignorato dalle classi dominanti».Il che, aggiunge Meijer, ha molto ha che fare con il fatto che tali governanti si sono senza dubbio arricchiti, mentre i “piani bassi” della società sicuramente no. «Inoltre, se il più della gente potesse ancora vantare comode esistenze da classe media, l’ostilità verso migranti e rifugiati sarebbe stata ben minore: e i vari Trump, Wilders, Le Pen o “Alternative für Deutschland” non avrebbero trovato le loro miniere d’oro. La percezione che i nuovi arrivati siano a qualche titolo responsabili per il peggioramento delle condizioni di vita crea terreno fertile per chiunque voglia servirsene». E siccome la sinistra «non tocca l’argomento», la destra «si prende tutto per assenza di concorrenza». Bernie Sanders e Jeremy Corbyn possono anche avere idee coraggiose, in materia di redistribuzione della ricchezza, ma il potere resiste e li ostacola. Così, molta parte della leadership – Hillary Clinton, Theresa May, Sarkozy, la Merkel – sta «orchestrando sagge virate verso destra», avendo sentore che «il potere non emanerà più dal centro». Politici che, conunque, sembrano ormai «destinati a essere spazzati via dal voto popolare».Ben più difficile, innvece, sarà «sbarazzarsi delle organizzazioni transnazionali, come l’Ue o l’Fmi (e molte altre) nonostante rappresentino un progetto fallito». “Bloomberg” certifica l’allarme del Fmi: «La fede nella globalizzazione è ormai a disagio di fronte alle evidenti disparità che crea. Dal voto britannico a favore dell’uscita dalla Ue, a Donald Trump che avanza al grido di “l’America prima di tutto”, aumentano le pressioni per porre un freno e ridurre l’integrazione economica, sempre all’ordine del giorno per Fmi e Banca Mondiale per almeno 70 anni. Alimentata da salari stagnanti e insicurezza lavorativa in costante crescita, la sommossa populista minaccia di gettare definitivamente nella depressione una economia che la dirigente dell’Fmi Christine Lagarde ammette essere già adesso debole e fragile». Attenzione: «La rappresaglia contro la globalizzazione si manifesta in sentimenti nazionalisti accentuati, sfiducia per il mondo esterno e desiderio di maggiore isolamento protezionistico», sostiene Luis Kuijs dell’Oxford Economics di Hong Kong, in passato anche burocrate del Fmi. Per il World Economic Outlook, l’espansione globale è già compromessa: l’economia mondiale sta rallentando.«Posso capire che un voto contro i vari Hollande, Hillary, Cameron costituisca una “rappresaglia contro la globalizzazione”», dice Meijer, a patto però che non venga demonizzato il termine “protezionismo”: «Ogni singola società del pianeta dovrebbe proteggere le sue esigenze di base evitando che finiscano sotto il controllo di stranieri, sia per profitto, sia per potere. Niente di buono può mai venirne dalla cessione di questa facoltà di controllo per nessuna società, assolutamente mai». Sicchè, «non c’è niente di sbagliato nel voler proteggere la propria capacità di controllo sul proprio approvvigionamento idrico, autosussistenza alimentare, garanzia di alloggi sicuri: parliamo di cose che, al contrario, non andrebbero mai negoziate o scambiate sui mercati globali». Chi vorrebbe globalizzare anche quelle? I soliti noti, «i cui comodi ruoli dirigenziali e comodi grassi conti bancari dipendono direttamente nella nostra progressiva perdita di controllo personale sopra le stesse esigenze di base per sopravvivere nella vita». In fondo, «è ciò che accade a ogni organismo che ha raggiunto i limiti della sua crescita: inizia a “nutrirsi dell’ospite”. Che si parli di un tumore, dell’Impero Romano, o dei nostri attuali modelli economici basati sul presupposto della crescita perenne».Trump ha abbaiato contro Messico e Cina, minacciando di innalzare grosse tariffe doganali sulle importazioni da entrambi i paesi. Innervositi dal Brexit, i leader europei «sono coscienti che potrebbe essere solo l’inizio di un terremoto politico che minaccia le vecchie certezze del continente». Il prossimo anno, ricorda Meijer, si voterà in Germania e Francia, le maggiori economie dell’Eurozona, nonchè in Olanda. «In ciascuno di questi paesi le forze anti-establishment stanno guadagnando terreno». Insieme al crescente risentimento verso la Ue da Budapest a Madrid, gli osservatori politici giudicano l’attuale avanzata del “populismo” come la più grande minaccia al blocco-Ue dalla sua creazione, dalle ceneri della Sconda Guerra Mondiale al presente. Per i media mainstream, la categoria “populista” include moltissima gente, «da Trump a Beppe Grillo con tutto ciò che ci sta in mezzo, passando dall’ungherese Orban a Nigel Farage, “Podemos” in Spagna, “Syriza” in Grecia, la Afd tedesca». Movimenti diversissimi tra loro, ma con una cosa in comune: «Protestano contro uno status quo già fallito e in rapido processo di deterioramento, e ricevono massiccio supporto popolare per questa ragione, dal momento che è la gente a portare sulle spalle il peso del fallimento».Né si intravedono avvisaglie di segno positivo: «Probabilmente il più vistoso fatto macroeconomico relativo alle economie avanzate oggi è il permanere di un’anemia della domanda nonostante i bassi tassi d’interesse», scrive l’ex capo-economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Questi esperti, scrive Meijer, dimostrano di aver sentore che qualcosa non torna, ma nessuno possiede risposte. Vi era “accordo sulla globalizzazione prima della crisi”, adesso non esiste più, e questo è tutto. «Immagino l’economia mondiale come qualcosa di simile a un’auto in corsa senza conducente e bloccata su una corsia lenta», ha detto David Stockton, ex burocrate della Fed. «Questa è l’economia globale, non va da nessuna parte e nel frattempo i soldi finiscono facilmente e in fretta», sottolinea Meijer. «In Europa, l’avanzata populista fornisce un potente incentivo ad abbandonare l’austerità per i governi prima delle prossime elezioni, e magari oltre; che una mossa del genere placherà coloro che sono rimasti nel lato perdente della globalizzazione è comunque suscettibile di dubbio».Il consenso alla globalizzazione si basava sulla promessa di maggior crescita economica, ammette Ding Shuang, capo-economista cinese, al Fmi dal 1997 al 2010: «Ma i benefici non sono stati ripartiti equamente, quindi adesso assistiamo a una ondata anti-globalizzazione». Per Meijer, la globalizzazione è già finita. «Non è mai stata intesa da nessuno come distribuzione di nulla, a parte forse di ricchezza tra le mani delle élites e bassi salari per chiunque altro. L’Ue e l’Fmi non hanno ottenuto nulla di quanto avevano promesso, come allo stesso modo non l’hanno fatto i partiti tradizionali, in Usa, Regno Unito, come in Europa in generale. Hanno promesso crescita e la crescita è finita. Avranno ottenuto risultati per i loro padroni ma hanno perso nei confronti di chiunque altro. Il resto è solo aria fritta». E il peggio è che «non si può assolutamente escludere che arriveranno a servirsi dell’esercito e della polizia, che controllano, per tenersi aggrapparti a ciò che hanno: anzi, temo sia qualcosa che succederà di sicuro». Anche perché «la crescita è finita, svanita da un pezzo per farsi sostituire dal debito», e noi «stiamo trascendendo verso uno stadio completamente diverso delle nostre vite, economie, società».Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».
-
Sanders e i bari del globalismo-canaglia, da Hillary a Renzi
Gli avvocati del Free Trade cominciano a preoccuparsi per le critiche che piovono sulla globalizzazione selvaggia da tutti i maggiori candidati in corsa per la Casa Bianca, dal repubblicano Trump al democratico-socialista Sanders, senza escludere la democratica moderata Hillary Clinton che, dimentica di quanto sostenuto in passato assieme al marito ultraliberista, oggi corteggia gli elettori radicali di Sanders con dichiarazioni contro il TTIP, temendo che le neghino l’appoggio nel caso quasi certo che sia lei correre per le presidenziali di novembre. Dopo Zuckerberg, che giorni fa ha tuonato contro gli anacronistici costruttori di muri che vorrebbero farci regredire al medioevo, è intervenuta la segaligna managing director del Fmi, Christine Lagarde: «Non entro nelle campagne politiche, ma dico che chi mette in discussione il free trade sbaglia», ha detto, per poi aggiungere: «I commerci internazionali portano benessere per tutti e la loro contrazione costa cara soprattutto ai paesi più poveri». Quindi è stata la volta del boss dei boss Bill Gates, il quale ha dichiarato al “Financial Times”: «Qualcuno dovrà pure ricordare alla gente che gli Stati Uniti sono stati di gran lunga il maggiore beneficiario della globalizzazione».Insomma chi beneficia della globalizzazione: i paesi più poveri? Gli Stati Uniti? Tutti? La risposta sta nel fatto che queste indignate reazioni bersaglino soprattutto il repubblicano Trump e i populismi europei di destra. Questo perché sono bersagli “facili”, a causa del loro sgangherato razzismo contro i migranti. Più difficile misurarsi con Sanders che, nei suoi discorsi, smaschera sia le menzogne dei guru americani della New Economy, dimostrando cifre alla mano che a beneficiare del free trade non è stato il popolo americano (che al contrario ha perso milioni di posti di lavoro, oltre a subire tagli ai salari e al welfare) ma la casta dei super ricchi, sia quella della Lagarde, dimostrando che i presunti “benefici” per i paesi poveri consistono nella schiavizzazione di milioni di lavoratori in fabbriche lager come le maquilladoras messicane e la cinese Foxconn.E la battaglia di Sanders serve a smascherare anche le menzogne degli ex socialdemocratici convertiti al neoliberismo, i quali, da Blair a Renzi, celebrano a loro volta le magnifiche sorti e progressive di un mondo sempre più interconnesso, “libero” e “felice”. Inoltre, nella misura in cui dimostra che si può essere contro la globalizzazione dei flussi finanziari senza demonizzare i flussi migratori, può forse instillare un po’ di saggezza nei cervelli assopiti di quegli intellettuali della “sinistra radicale” che credono che la globalizzazione, ad onta dei “danni collaterali” che provoca, sia cosa buona perché favorisce la modernizzazione, l’innovazione, lo sviluppo delle forze produttive, ecc., alimentando l’equivoco che il cosmopolitismo borghese dei Gates e dei Zuckerberg possa avere qualcosa da spartire con l’alter mondialismo progressista.(Carlo Formenti, “A chi giova la globalizzazione? Il dibattito alle primarie Usa”, da “Micromega” del 20 aprile 2016).Gli avvocati del Free Trade cominciano a preoccuparsi per le critiche che piovono sulla globalizzazione selvaggia da tutti i maggiori candidati in corsa per la Casa Bianca, dal repubblicano Trump al democratico-socialista Sanders, senza escludere la democratica moderata Hillary Clinton che, dimentica di quanto sostenuto in passato assieme al marito ultraliberista, oggi corteggia gli elettori radicali di Sanders con dichiarazioni contro il TTIP, temendo che le neghino l’appoggio nel caso quasi certo che sia lei correre per le presidenziali di novembre. Dopo Zuckerberg, che giorni fa ha tuonato contro gli anacronistici costruttori di muri che vorrebbero farci regredire al medioevo, è intervenuta la segaligna managing director del Fmi, Christine Lagarde: «Non entro nelle campagne politiche, ma dico che chi mette in discussione il free trade sbaglia», ha detto, per poi aggiungere: «I commerci internazionali portano benessere per tutti e la loro contrazione costa cara soprattutto ai paesi più poveri». Quindi è stata la volta del boss dei boss Bill Gates, il quale ha dichiarato al “Financial Times”: «Qualcuno dovrà pure ricordare alla gente che gli Stati Uniti sono stati di gran lunga il maggiore beneficiario della globalizzazione».
-
Renzi attacca la Merkel solo per essere ammesso a corte
Attenti a Renzi: la sua “guerra” contro la Merkel non è una semplice mossa diversiva per distrarre gli italiani dagli ultimi scandali, Banca Etruria e la famiglia Boschi. Non è un fuoco di paglia, ma un’offensiva vera e propria, avviata con la richiesta al Consiglio d’Europa di non far scattare in automatico la proproga alle sanzioni contro la Russia. Ma non è che il premier italiano abbia finalmente preso atto dell’insostenibile “regime” europeo, e quindi intenda sfidarlo a viso aperto, per indebolirlo, sulla base di sacrosante istanze sovraniste e democratiche. Al contrario: Renzi aspira ad essere finalmente ammesso in quel club esclusivo, che finora l’ha messo alla porta. Non ha funzionato con le buone? Ora ci prova con le cattive, cioè tentando di “costringere” l’élite a rassegnarsi ad accettarlo a corte, anche solo per controllarlo meglio. Ma non è detto che ci riesca: è stato talmente scaltro, il Fiorentino, da preoccupare persino il vertice europeo del supremo potere: temono che non abbia scrupoli a riservare anche ad alcuni di loro il trattamento con cui in Italia il giovane premier ha liquidato tutti, da Berlusconi a Bersani, incluso Enrico Letta.Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, saggista e massone, già gran maestro della comunione massonica di rito scozzese, confermando una prima analisi fornita da Gioele Magaldi, autore nel 2014 del libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”: «Renzi è un “bussante”, chiede di essere accolto presso una delle Ur-Lodges, cenacoli massonici del massimo potere internazionale. “Bussa”, ma non gli aprono: non si fidano di lui». Un anno dopo, dai microfoni di “Border Nights”, Carpeoro conferma: «Renzi è ancora fuori dalla porta, non lo vogliono. E allora prova a forzare, attaccando direttamente la Merkel», cioè il politico europeo che più di ogni altro incarna i voleri dell’oligarchia tecnocratica che regge l’Europa. Un super-potere eminentemente apolide e massonico, che agisce nell’ombra ma si avvale di personaggi anche di primissimo piano, come Mario Draghi e Wolfgang Schaeuble, Christine Lagarde del Fmi e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. Letta cenava con Draghi e Napolitano a casa di Eugenio Scalfari? Renzi no. A lui tocca il ruolo di mattatore e rottamatore. Amico dello stragista e super-massone Tony Blair? Non basta, evidentemente. Troppo spregiudicato, l’italiano, persino per i “serial killer dell’economia europea”.Hanno tutti visto la fine che ha fatto fare a Bersani e Letta, dopo aver messo nel sacco anche Berlusconi, spiega Carpeoro, che sottolinea il ruolo-cardine dei cosiddetti poteri forti nei retroscena della politica italiana: «Berlusconi è stato abbandonato di colpo sia dall’Opus Dei che dalla massoneria internazionale neo-oligarchica». Lo dimostrerebbe la doppia defezione, parallela, di Fabrizio Cicchitto, «già stretto collaboratore di Licio Gelli», e dell’attuale ministro dell’interno, la cui permamenza al potere è spiegabile solo attraverso il suo azionista (occulto) di riferimento, «l’Opus Dei». Disarcionato il Cavaliere e neutralizzato Bersani, dopo la parentesi del “venerabile” Mario Monti, Cicchitto e Alfano hanno sostenuto Letta, anch’esso – secondo Carpeoro – in quota all’Opus Dei. Poi, però, è arrivato Renzi. Che “non ha fatto prigionieri”. Ed è andato a sbattere, finora, contro i “niet” della Merkel, che rappresenta esattamente i super-poteri europei che fanno capo ai super-poteri della periferia, compresa quella italiana.Per questo, conclude Carpeoro, oggi Renzi tenta il Piano-B: l’attacco. «La guerra ormai è partita, e ne vedremo le conseguenze. Renzi e Merkel: difficilmente lo sconfitto potrà sopravvivere, politicamente». E’ lo schema tattico del “vero potere”: «Difficilmente fabbricano leader, preferiscono stare a guardare e muoversi di conseguenza, schierandosi col vincente», allo scopo ovviamente di reclutarlo per la loro causa, facendone un semplice esecutore. «Lo hanno sempre fatto: prima hanno mollato Berlusconi quando hanno capito che poteva più servirgli, poi hanno appoggiato Letta», quindi hanno assistito alla capitolazione di Letta operata in modo sfrontato da Renzi, e oggi stanno a vedere come se la cava, il Rottamatore, con la signora Merkel. Unico dato certo: il gioco è questo, l’obiettivo del premier italiano non è certo una sollevazione democratica contro l’oligarchia di Bruxelles, Berlino e Francoforte. E il Movimento 5 Stelle? «Potrà avere una chance di governo solo se starà bene agli americani», taglia corto Carpeoro, sicuro che il movimento di Grillo (e Casaleggio) sia nato «su esplicita autorizzazione degli Usa», come “gatekeeper” in grado di interpretare, convogliare e quindi controllare la protesta.Attenti a Renzi: la sua “guerra” contro la Merkel non è una semplice mossa diversiva per distrarre gli italiani dagli ultimi scandali, Banca Etruria e la famiglia Boschi. Non è un fuoco di paglia, ma un’offensiva vera e propria, avviata con la richiesta al Consiglio d’Europa di non far scattare in automatico la proproga alle sanzioni contro la Russia. Ma non è che il premier italiano abbia finalmente preso atto dell’insostenibile “regime” europeo, e quindi intenda sfidarlo a viso aperto, per indebolirlo, sulla base di sacrosante istanze sovraniste e democratiche. Al contrario: Renzi aspira ad essere finalmente ammesso in quel club esclusivo, che finora l’ha messo alla porta. Non ha funzionato con le buone? Ora ci prova con le cattive, cioè tentando di “costringere” l’élite a rassegnarsi ad accettarlo a corte, anche solo per controllarlo meglio. Ma non è detto che ci riesca: è stato talmente scaltro, il Fiorentino, da preoccupare persino il vertice europeo del supremo potere: temono che non abbia scrupoli a riservare anche ad alcuni di loro il trattamento con cui in Italia il giovane premier ha liquidato tutti, da Berlusconi a Bersani, incluso Enrico Letta.
-
Ci vogliono in guerra, l’Isis è solo manovalanza (di fiducia)
E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.«La Russia, con il suo intervento in Siria, ha cambiato il quadro politico mondiale», osserva Giulietto Chiesa su “Megachip”. «Il piano di ridisegnare la mappa medio-orientale è fallito. Daesh è, di fatto, sconfitta là dov’è nata. Dunque i suoi manovratori spostano l’offensiva in Europa». Obiettivo chiarissimo: terrorizzare il vechio continente e costringerlo sotto l’ombrello americano. «A mettere a posto la Russia penserà Washington. Del resto l’Airbus abbattuto nel Sinai, in termini di sangue russo innocente, è equivalso al massacro parigino. E non ce ne eravamo accolti». Merkel e Hollande, i due leader che «stavano cambiando rotta per uscire dal cappio americano», sono avvertiti. E mentre i Renzi di tutta Europa non osano affrontare le telecamere non sapendo cosa dire, ci si domanda inevitabilmente chi siano i manovratori del potente e vastissimo gruppo di fuoco che ha potuto fare quello che voleva, nel pieno centro di Parigi. «L’Isis è creatura di una Spectre composta da pezzi di Occidente e petromonarchie del Golfo», annota Chiesa. «Qualcuno la guida, ed è molto potente, carico di denaro e di armi. Il fanatismo è la sua facciata. Ma non spiega la sua “intelligence”». Una traccia l’ha fornita un anno fa Gioele Magaldi col suo libro “Massoni”, edito da Chiarelettere: una delle 36 Ur-Lodges, vertice massonico del potere mondiale, avrebbe un debole per le stragi e la strategia della tensione. Si chiama “Hathor Pentalpha” e, secondo Magaldi, annovera tra i suoi leader il capo del centrodestra francese, Nicolas Sarkozy. Obiettivo strategico: annullare la democrazia, anche a colpi di attentati, per riconsegnare il potere all’élite più reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica.Sorta nel 1980 quando George Bush fu sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca, la “loggia del sangue e della vendetta” avrebbe promosso l’apocalisse dell’11 Settembre, punto di partenza della “guerra infinita” che da allora sta destabilizzando il pianeta. Oltre ai Bush, dal vecchio George Herbert al figlio George Walker fino al fratello, Jeb Bush, tra gli alfieri della “Hathor” figurerebbero anche Tony Blair, l’uomo da cui nacque l’invenzione delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, nonché un leader autoritario come il turco Ergogan, appena rieletto con un plebiscito da una Turchia abbondantemente terrorizzata con un’ondata di paurosi attentati molto simili a quello di Parigi. Nel nome “Hathor”, spiega Magaldi, c’è il richiamo diretto all’Isis: Hathor è l’altro nome della dea Iside, molto popolare nel milieu massonico, compreso quello dei “controiniziati” che userebbero a scopo di potere – e con sanguinario cinismo – la propria conoscenza esoterica, fatta anche di precisi riferimenti simbolici. Sempre su “Megachip”, Roberto Quaglia ricorda la passione di Christine Lagarde (Fmi) per la numerologia, e osserva che la strage parigina è avvenuta un venerdì 13, nell’11esimo mese dell’anno e nell’11esimo “arrondissement” di Parigi.La maggior parte delle vittime, quelle del teatro Bataclan, erano spettatori di un concerto di heavy metal, sul palco c’erano gli “Eagles of Death Metal”. «Due settimane prima, a Bucarest (nota una volta come “la piccola Parigi”), in una strage su scala minore oltre 50 ragazzi perivano nel rogo sviluppatosi durante un concerto heavy metal, evento che ha rapidamente portato alla caduta del governo rumeno e l’instaurazione di un governo “tecnico” più eurocratico che mai», aggiunge Quaglia. Frequentare concerti heavy metal sta iniziando a farsi pericoloso? «Ciò detto, buona Terza Guerra Mondiale a tutti». Secondo Quaglia, all’Isis «non bastava venire bombardata dalla Russia con bombe vere», tenendo conto che quelle sganciate dagli Usa erano, di fatto, rifornimenti. «L’Isis vuole che anche la Francia ora si faccia avanti per bombardarli e, possibilmente, che invii anche truppe di terra per combatterli meglio. Cosa c’è di strano? Ha già annunciato simili attentati pure a Roma, Londra e Washington». Evidente la strategia: coinvolgere l’Europa nell’opzione-guerra, quella su cui scommettono dal 2001, ininterrottamente, le “menti” dell’11 Settembre, capaci di “inventarsi” come nemico pubblico prima l’ex uomo Cia in Afghanistan, Osama Bin Laden, e ora il bieco “califfo”, capo di un’orda di tagliatori di teste, completamente indisturbati fino all’entrata in azione, in Siria, dei bombardieri di Putin.Non era già Bin Laden, continua Quaglia, a sperare che – 14 anni fa – l’Afghanistan venisse bombardato e l’Iraq invaso? «Dopotutto fu proprio questo che egli ottenne». La solite malelingue sostengono che Isis è stato creato dagli Stati Uniti? E pazienza «se fra le malelingue c’è il generale francese Vincent Desportes, cosa volete che ne sappia uno come lui?». E le foto di Al-Baghdadi con McCain? «A chi non capita, dopotutto, di trovarsi per sbaglio assieme a personaggi sgradevoli che passavano di lì per caso?», scrive Quaglia, con sarcasmo: «Potrebbe accadere ad ognuno di noi». Alla vigilia dell’attentato di Parigi il capo della Cia si sarebbe incontrato col responsabile dei servizi segreti francesi? «Probabilmente questa gente va insieme a bersi una birra più spesso di quanto pensiamo – e cosa c’è di male?». Come spesso accade in questi casi, aggiunge Quaglia, le informazioni della strage su Wikipedia sono apparse a velocità da record: «Pare che alcuni fatti (una dichiarazione di Hollande) siano stati riportati addirittura prima che accadessero. Ma a questi piccoli miracoli siamo ormai abituati: i più smaliziati ricorderanno la Bbc annunciare l’11 settembre 2001 il crollo del Wtc7 con 20 minuti di anticipo rispetto al fatto».E siamo anche abituati ad altre puntuali “coincidenze”: tutte le volte che i terroristi colpiscono, qualche esercitazione antiterrorismo è sempre in corso. Accadde a New York l’11 Settembre, a Londra il 7 luglio 2005. Stavolta, a Parigi, la polizia era accorsa in forze alla Gare de Lyon per un allarme bomba. «E sempre per un “allarme bomba” lo stesso giorno è stato fatto sgomberare anche l’albergo dove si trovava la squadra nazionale tedesca di calcio, in città per l’incontro serale con la Francia. Dite che è poco?». Quel giorno, infine, era in corso «anche un’esercitazione completa proprio per il caso di un multi-attacco, che coinvolgeva polizia e pompieri, esattamente come in tutti i casi più eclatanti di terrorismo che ci hanno propinato». Secondo Quaglia, è impossibile non leggere una precisa regia dietro tutti questi eventi. Tanto più vero oggi, dopo la recente decisione del governo Hollande di apporre il segreto di Stato alle indagini sulla strage di “Charlie Hebdo”: i magistrati avevano scoperto che le armi provenivano da una strana triangolazione tra Slovacchia, Belgio e servizi segreti francesi. Realtà occulta, spaventosa e “inaccettabile”, come quella disegnata da Gioele Magaldi? «E’ previsto che ve ne rendiate conto a puntate, così da non farci troppo caso», conclude Quaglia. «Avete mai sentito la ricetta di come vanno bollite le rane così che non saltino fuori dalla pentola?».E adesso siamo davvero in guerra. «Tutta la vita politica europea sarà sconvolta per sempre», dice Giulietto Chiesa, secondo cui d’ora in avanti ogni disagio sociale sarà rubricato come problema di ordine pubblico: «La nostra vita diverrà un eterno passaggio attraverso un metal detector». Lo sanno bene i politici che balbettano di fronte alla strage di Parigi, che espone al ridicolo l’intero dispositivo francese della sicurezza: a dieci mesi dalla mattanza di “Charlie Hebdo”, non meno di 70-80 professionisti armati, alloggiati, organizzati e coordinati nella capitale transalpina hanno potuto mettere a segno 7 attacchi simultanei in pieno centro. «Vuol dire che è meglio che quelli della Suretè si diano al giardinaggio», scrive Aldo Giannuli. Possibile che gli uomini di Hollande si siano fatti sorprendere così? Peraltro, se si pensa che siamo a 14 anni dall’attentato alle Twin Towers, dopo tre guerre (Afghanistan, Iraq e Libia) e un mare di soldi spesi, «qui la disfatta non è solo dei francesi, ma di tutta l’intelligence occidentale». Puzza di bruciato? Se ne accorge persino il mainstream: Paolo Pagliaro, nella trasmissione “Otto e mezzo” condotta da Lilli Gruber su “La7”, ricorda che l’Isis è stato finanziato da Turchia e Arabia Saudita, ed equipaggiato dagli Usa. Il vicepresidente Joe Biden riconobbe, tempo fa, che le armi inviate ai “ribelli” anti-Assad erano “finite” tutte alle milizie jihadiste del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, l’uomo fotografato in Siria in compagnia del senatore John McCain.
-
Povero Aylan, quelli che ti piangono sono i tuoi assassini
La foto del povero bimbo siriano morto annegato ha fatto il giro del mondo, sconvolgendo ed emozionando tutti gli uomini degni di questa terra. Chi di voi non ha sentito lacerarsi il cuore nell’osservare quelle immagini che ripugnano la coscienza e gridano vendetta? Nel tempo della comunicazione di massa – era bastarda che traveste la verità di menzogna e viceversa – nulla avviene per caso. Perché la grande stampa ha deciso di concentrare solo ora la pubblica attenzione intorno ad un dramma che dilania e annega povere vite da molto tempo? Perché migliaia di morti innocenti hanno fino ad oggi soltanto ingrossato le fila di una macabra e ragionieristica contabilità? Solo adesso i proprietari dei grandi media hanno scoperto di avere un cuore? E’ vera o recitata l’indignazione globale intorno alla morte dello sventurato bimbo risucchiato dalle onde? E’ falsa, falsa in maniera vomitevole, turpe e vigliacca strumentalizzazione razionalmente organizzata da un manipolo di miserabili, genia assassina che muove – non vista – le sorti del globo intero.Non solo le élite globali – quelle stesse che per puro cinismo cavalcano lutti e tragedie – sono assolutamente indifferenti rispetto al dolore altrui, ma per giunta lo fomentano e nascostamente lo incaraggiano. Le migrazioni di massa non avvengono per caso: sono il risultato voluto di alcune specifiche politiche che mirano alla realizzazione di altrettanto specifici risultati. Gli uomini che si imbarcano su una carretta nella speranza di raggiungere l’Europa salpano spinti quasi sempre dagli stessi mostri: la fame e la guerra. La fame e la guerra sono due “eggregore” dolosamente evocate all’interno di alcuni occulti cenacoli, popolati da uomini che puzzano di zolfo posti ai vertici di una maleodorante catena di comando. La fame è il risultato delle politiche imposte dal Fondo Monetario Internazionale, strumento di pressione e di morte che diffonde scientificamente miseria in tutte le zone povere e meno povere del pianeta. Ora guidato dall’ineffabile Christine Lagarde, il Fondo Monetario Internazionale – nato con ben altri propositi – ha gradualmente assunto le sembianze di un essere deforme, rapace testa di ariete pronta a succhiare l’anima e la vita di tutti i popoli finiti disgraziatamente sotto le sue melliflue cure.L’istituto della Lagarde è di fatto il braccio armato delle élite neoliberali, statunitensi ma non solo, pronte a saccheggiare ovunque ricchezza con la scusa di diffondere il verbo che predica e decanta le virtù del “liberoscambismo”. La guerra, parimenti, è figlia diretta del lavorio degli stessi identici “alchimisti”, sepolcri imbiancati che sganciano bombe nel nome della democrazia così come quegli altri levano il pane agli affamati nel nome dell’opulenza. Orwell è in mezzo a noi. Le élite globali, scatenando fame e miseria con l’inganno per il tramite del ferreo controllo dei mezzi di informazione, ottengono perciò risultati previsti e voluti. L’arrivo di immigrati disperati serve anche a ricattare i proletari che vivono in Occidente, messi in condizione di dover competere sul piano salariale con nuova manodopera che va ad ingrossare “l’esercito di riserva” di marxiana memoria. L’influsso delle teorie di Kalergi, propugnatore della creazione in vitro di una razza “meticcia” – in quanto tale presuntivamente manipolabile dai nuovi signori dello spirito – offre poi una aggiuntiva chiave di interpretazione ad uso e consumo dei palati più intransigenti.Le guerre in Libia e in Siria, così come quelle più antiche riguardanti Iraq e Afghanistan, gonfiano inoltre il portafoglio dei trafficanti d’armi, notoriamente molto influenti presso i più importanti governi d’Occidente. Tragedie così permettono infine ad un esponente del nazismo tecnocratico come Angela Merkel – direttamente responsabile dell’aumento della mortalità infantile in paesi colonizzati e schiavizzati come la Grecia – di indossare le vesti fintamente candide (in realtà intrise di sangue) del buonismo, aprendo le porte ai rifugiati in fuga a beneficio di telecamera: “Avete visto che Angela non può essere poi così nazista se accoglie perfino gli ultimi della Terra?”. Tanto nessuno vi racconterà mai le gesta di coloro i quali fanno finta di abbracciare i disperati subito dopo averli appositamente calati nella scomoda posizione di “disperati”. Quelli che piangono le povere vittime di cotanta barbarie sono gli stessi che li hanno appena uccisi. Ma tanto, annebbiati dal Grande Fratello, nessuno se ne accorgerà mai. Buon viaggio dolce fanciullo. Questo mondo non ti meritava.(Francesco Maria Toscano, “Quelli che hanno finta di piangere sono gli stessi che l’hanno ucciso”, dal blog “Il Moralista” del 6 settembre 2015).La foto del povero bimbo siriano morto annegato ha fatto il giro del mondo, sconvolgendo ed emozionando tutti gli uomini degni di questa terra. Chi di voi non ha sentito lacerarsi il cuore nell’osservare quelle immagini che ripugnano la coscienza e gridano vendetta? Nel tempo della comunicazione di massa – era bastarda che traveste la verità di menzogna e viceversa – nulla avviene per caso. Perché la grande stampa ha deciso di concentrare solo ora la pubblica attenzione intorno ad un dramma che dilania e annega povere vite da molto tempo? Perché migliaia di morti innocenti hanno fino ad oggi soltanto ingrossato le fila di una macabra e ragionieristica contabilità? Solo adesso i proprietari dei grandi media hanno scoperto di avere un cuore? E’ vera o recitata l’indignazione globale intorno alla morte dello sventurato bimbo risucchiato dalle onde? E’ falsa, falsa in maniera vomitevole, turpe e vigliacca strumentalizzazione razionalmente organizzata da un manipolo di miserabili, genia assassina che muove – non vista – le sorti del globo intero.
-
Barnard: infame bugiardo, Varoufakis ha tradito la Grecia
E’ stato osceno per me assistere alla sceneggiata dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che di fronte ai media internazionali salta in sella alla sua moto e, da eroe spartano dissidente combattente del Popolo greco, lascia il suo governo in un tripudio di “eroe!”, “coraggioso!”, “grande vero politico!” da parte di tutta la stampa internazionale, bloggers e fessi assortiti, i quali tutto dicono e scrivono ma nulla sanno di cosa veramente successe. Yanis è un falsario, di proporzioni disgustose. Lui e Tsipras hanno giocato le parti da film poliziesco di Hollywood con una maestria eccezionale: il ‘bad cop’ & il ‘good cop’, cioè il poliziotto cattivo (Tsipras che si vende alla Troika) e quello buono (Varoufakis che brandendo la dignità greca sbatte la porta in faccia alla Troika). Ma entrambi sono in realtà nello stesso team, e il team si chiama: Grecia nell’Eurozona a tutti i costi. Sangue nelle strade? Olocausto di un popolo? Non importa. Lasciare l’Inferno dell’euro non si considera neppure. In metafora: si rimane ad Auschwitz, con Tsipras che accetta i forni crematori con un piccolo sconto, mentre Varoufakis li rifiuta categorico e opta per la fucilazione di massa. Ma sempre dentro Auschwitz si sta.Ecco, queste sono le proporzioni esatte della vergogna storica dei due falsari. I rari squittii di Yanis sull’uscita dall’euro erano tutti falsi, e più sotto leggerete perché. Per capire dove inizia l’infamia di Varoufakis e dove finisce, bastano due affermazioni: Sì a Lazard – No a Warren Mosler. E ora la storia. Il 25 gennaio 2015 Syriza vince le elezioni greche, imponendosi come primo partito e ottenendo il 36,3% dei voti. Immediatamente dopo, il neo ministro delle finanze Yanis Varoufakis annuncia che Atene di nuovo assume l’agenzia globale di consulenze finanziarie Lazard per assistere il suo governo nei negoziati coi creditori della Grecia già ridotta a una Dresda sociale. Eccovi Lazard. Il braccio armato di Lazard, quello che fa milioni di dollari con consulenze ai governi indebitati, si trova a Parigi, ed è guidato da un certo Matthieu Pigasse. Pigasse è un devoto socialista francese della scuola ultra-neoliberista e pro mercato di François Mitterrand, che fu amico personale di un altro falco di destra finanziaria, l’ex presidente Sarkozy, mentre oggi va a braccetto strettissimo con l’attuale presidente Hollande, uno dei maggiori CREDITORI creditori della Grecia. Conflitto d’interessi?Certo, infatti dovete sapere che prima di Varoufakis un altro governo greco aveva assunto Lazard, nel 2012, in occasione del mega ‘salvataggio’ (traduzione=ghigliottina) della Grecia da parte della Troika. Fu in quella occasione che accadde una cosa che già avrebbe dovuto dissuadere Varoufakis dall’ingaggiarsi di nuovo con Lazard: l’International Financing Review rivelò allora che quando Lazard propose alla Troika qualcosa che suonava vagamente pro popolo greco, l’allora presidente francese Sarkozy chiamò il Chairman di Lazard e gli abbaiò: «Ricordati che la Francia è un tuo cliente 50 volte più grosso della Grecia! Calma i toni, bimbo!». Lazard chinò la testa all’istante e ritirò la proposta. Eh? Varoufakis? Ti giunge nuova? No, falsario. Lazard nel 2011 aveva fatto una bella frittata in Spagna, naturalmente pagata dagli spagnoli della strada, quando fu consigliere della strafallita banca Bankia, col risultato che appena dopo un anno Madrid dovette salvare Bankia con 22.5 miliardi di euro di soldi pubblici. Lazard tocca la Gran Bretagna e fa un altro disastro per la gente comune: viene ingaggiata dal premier David Cameron per la privatizzazione delle poste inglesi, che avvenne con un prezzo per azione talmente stracciato che i contribuenti persero miliardi di sterline. Eh? Varoufakis? Ti giunge nuova? No, falsario.Ma Lazard è anche quella dove lavorava Gerd Häusler, un direttore Senior del Institute of International Finance di Washington (Iif), il Re della speculazione sui derivati, ma soprattutto, e parlo del Iif, il difensore supremo di tutti i creditori privati della Grecia. Ma capite di cosa è composto il Dna di Lazard? E non facciamoci mancare nulla: in Lazard c’è passato anche Mark Walker, un bel campione della banca Rothschild che poi ha fatto i suoi danni sia in Grecia che a Cipro… e Varoufakis se li prende a consulenti. E Varoufakis crede che Lazard combatterà ‘a la Lord Byron’ per la Grecia e… che Lazard si farà nemici i tedeschi? la Merkel? la Deutsche Bank cresciuta dal Conte Dracula della speculazione Josef Ackermann, anche lui dentro fino al collo nel Iif? Cioè: TUTTI POTENZIALI FUTURI CLIENTI DI LAZARD tutti potenziali futuri clienti di Lazard ma con un valore di acquisto (cioè parcelle) che per Lazard è mille volte superiore alla Grecia? Credevi che Lazard si dimenticasse di questo nei negoziati, Yanis, falsario? E tu tutte queste cose le sai.Ma Cristo!, se sei devastato dalla Peste Nera non chiami i Monatti a farti da consulenti. Cioè: se chi ti sta annientando è 1) un mondo della finanza impazzito, spietato (che deve essere distrutto per il bene del pianeta) e 2) mega governi nazistoidi e totalmente pro-finanza, NON CHIAMI non chiami ad aiutarti un frullato di Wall Street che vive a braccetto e A BUSTA PAGA a busta paga di quei mega governi. Ma il gioco è ancora più perverso. Lazard, come già detto, aveva lavorato con Atene alla mega ristrutturazione del suo debito nel 2011-12, con un risultato che fu da tutti gli ‘esperti’ considerato storico. Lazard convinse infatti i creditori PRIVATI privati della Grecia a perdonargli il 75% del debito privato, che allora era di 206 miliardi. Un record mondiale. Per questo servizio Lazard intascò una parcella di 25 milioni di euro.Ma attenzione: come sempre il ‘salvataggio’ della Grecia venne con condizioni di Austerità economiche atroci, che dal 2012 a oggi ha cacciato un quarto della popolazione dal lavoro, devastato ogni parametro economico del Paese (crescita, Pil, tassi sui titoli ecc.), aumentato la mortalità infantile del 40% e altri orrori noti. Bene. Risultato? Che oggi la Grecia non solo è stata schiacciata come uno scarafaggio dalla Troika, ma quei privati che allora accettarono le perdite chieste da Lazard, oggi se le riprendono con mega interessi comprandosi una Grecia super svalutata a pezzetti ultra scontati, esattamente come si svuota un negozio in chiusura fallimentare, pagando una camicia da 60 euro solo 5. Ecco il trucco. Lazard sa queste cose a memoria e Varoufakis anche! E tu Yanis te li riprendi? Delinquente è dirti pochissimo.Poi… parte seconda. Yanis lungo tutta questa tragedia si accompagna a Lazard sull’assunto sacro e intoccabile, vera unica Bibbia di tutta la storia, che di uscire dall’Eurozona, stracciare i Trattati economicidi della Ue, e riprendersi la sovranità monetaria, è assolutamente escluso. Mentre era e rimane l’unica salvezza di quel paese. Oggi Varoufakis in interviste cosiddette esclusive ci confessa che a un certo punto dei negoziati la sua sensazione fu “che era tutta una trappola già pronta”. Ma dai Yanis? Ehhh!!! Io il 25 febbraio 2015 scrissi questo articolo: “Mesi prima del gennaio 2015, era deciso che la Grecia era fottuta. Tsipras dormiva”. Leggetelo su paolobarnard.info. Draghi della Bce aveva già deciso nel 2014 che la Grecia era a priori tagliata fuori da qualsiasi aiuto da parte della portaerei nucleare dell’euro, la Banca Centrale Europea appunto, che ha un potere infinito di emissione e salvataggio su diversi piani e che poteva salvare la Grecia in un quarto d’ora. Era tutto già deciso un anno fa quasi, ma Yanis poverino se ne accorge nella primavera di quest’anno, lui, un ministro delle finanze. Buffone bugiardo.Ma qui arriviamo al fondo del pozzo nero delle menzogne e omissioni di Yanis Varoufakis.Lui stesso, in un’intervista al “New Statesman”, rivela che per un attimo appena dopo le elezioni “avevamo pensato all’uscita dalla moneta unica”, con un piccolo team di consiglieri greci. Ma prosegue Yanis: “Però non ero sicuro di farcela. Perché gestire il collasso della moneta unica richiede un grado di competenza immane, e non sono sicuro che noi qui in Grecia l’abbiamo… SENZA L’AIUTO DI ESPERTI STRANIERI senza l’aiuto di esperti stranieri”. Era l’alba del 9 febbraio scorso, le 02,01 del mattino. Io scrivo a Varoufakis esattamente queste righe: “Yanis, chiama Mosler adesso! Paolo Barnard”. L’economista americano Warren Mosler è il maggior esperto al mondo di sovranità monetaria, di banche centrali, di gestione di crisi, e soprattutto è il massimo genio della ricostruzione economica per l’Interesse Pubblico. Era pronto a partire per Atene il giorno dopo col suo team di collaboratori come Pavlina Tcherneva, Stephanie Kelton, Mathew Forstater e altri accademici. Potevano letteralmente salvare la Grecia con la totale uscita dall’inferno dell’Eurozona.Passano 14 minuti e ricevo da Varoufakis: “Hai un suo numero?”. Chiamo Mosler, che cade dalle nuvole, controllo il numero e lo mando a Yanis Varoufakis. Dopo 21 minuti Warren Mosler mi chiama dagli States. Si sono parlati al telefono, alle 2,30 del mattino europee, Warren ha 2 ore per mandare a Yanis un piano salva Grecia. Lo fa, e me lo manda in copia. E’ fantastico. Io scendo nel bagno del pub e urlo, urlo e sbatto la testa contro le porte, e urlo ancora… Non ci posso credere, siamo a un millimetro dalla salvezza della Grecia e dalla fine del crimine contro l’umanità chiamato Eurozona. Se Varoufakis e Tsipras ingaggiano Warren Mosler & Team, vi garantisco, l’Europa di Junker, Lagarde, Merkel, e degli altri porci sarà asfaltata al muro, letteralmente da scrostare con una squadra di muratori. Passano 48 ore. Alle prime ore dei due giorni successivi la stampa mondiale annuncia: Tsipras e Varoufakis hanno incaricato l’economista americano Jamie Galbraith come consulente nei negoziati con la Troika. Non una parola di Molser, che Yanis Varoufakis conosce benissimo e da cui è stato praticamente a lezione parecchi anni fa. Scrivo a Warren. Ho un senso di disperazione che mi sta squartando, voi non capite, e glielo scrivo. Warren Mosler mi risponde: “Io pure”.Jamie Galbraith era senza dubbio un noto economista, ma non sapeva praticamente nulla di ciò che occorreva alla Grecia per fuggire dall’Olocausto cui ora è sottoposta. Per chi non è ferrato dell’economia di Warren Mosler, vi dico appena una cosa: l’applicazione anche solo di una piccola dose delle sue ricette economiche, ripeto solo una piccola dose e per poco tempo, in Argentina, portarono quel Paese dal default del 2001 a una crescita del 7% (!!) in soli 3 anni, nonostante il totale isolamento internazionale e la guerra feroce delle banche Usa. Scrissi poi una mail oltre la disperazione a Yanis: “Associa Warren a Galbraith, è l’ultima speranza per i greci”. No risposta. Il 15 di questo mese scrivo a Warren Mosler chiedendogli se almeno Varoufakis gli avesse poi scritto o detto due parole: “No, mai più sentito”, lapidario Mosler.Ora a te signor Yanis Varoufakis, il bugiardo, falsario amico di Lazard Wall St. & soci, e colui che ha gettato al vento la salvezza di un intero popolo che solo un grande Team come quello di Warren Mosler poteva salvare. E’ ignobile che tu oggi persino sorrida, per la tua coscienza putrefatta, non per altro. Non certo per i creduloni (in Italia guidati dal fesso austero prof. Rinaldi) che in giro per il mondo ti hanno applaudito come il neo Lord Byron ellenico. Falsario ignobile, troppo vile per veramente ricacciare i padroni stranieri dal tuo paese. La Grecia è morta ed è ora insalvabile. Le lacrime e gli strepiti non servono a nulla.(Paolo Barnard, “Yanis Varoufakis: la vergogna, il falsario”, dal blog di Barnard del 20 luglio 2015).E’ stato osceno per me assistere alla sceneggiata dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che di fronte ai media internazionali salta in sella alla sua moto e, da eroe spartano dissidente combattente del Popolo greco, lascia il suo governo in un tripudio di “eroe!”, “coraggioso!”, “grande vero politico!” da parte di tutta la stampa internazionale, bloggers e fessi assortiti, i quali tutto dicono e scrivono ma nulla sanno di cosa veramente successe. Yanis è un falsario, di proporzioni disgustose. Lui e Tsipras hanno giocato le parti da film poliziesco di Hollywood con una maestria eccezionale: il ‘bad cop’ & il ‘good cop’, cioè il poliziotto cattivo (Tsipras che si vende alla Troika) e quello buono (Varoufakis che brandendo la dignità greca sbatte la porta in faccia alla Troika). Ma entrambi sono in realtà nello stesso team, e il team si chiama: Grecia nell’Eurozona a tutti i costi. Sangue nelle strade? Olocausto di un popolo? Non importa. Lasciare l’Inferno dell’euro non si considera neppure. In metafora: si rimane ad Auschwitz, con Tsipras che accetta i forni crematori con un piccolo sconto, mentre Varoufakis li rifiuta categorico e opta per la fucilazione di massa. Ma sempre dentro Auschwitz si sta.
-
Tsipras e il tecno-nazismo del venerabile maestro Draghi
Alexis Tsipras ha vinto con largo margine. Si tratta di un risultato ampiamente in linea con le previsioni. D’altronde i partiti tradizionali, a partire da “Nuova Democrazia” al Pasok, hanno negli ultimi anni pianificato e attuato un vero e proprio sterminio in danno del popolo greco; uno sterminio, mascherato da una melliflua retorica sul risanamento dei conti, che ha generato un numero imprecisato di morti, ammalati, suicidi e indigenti. In Grecia, nel cuore della civilissima Europa, è aumentata la mortalità infantile, sono cresciuti i casi di malnutrizione e sono ricomparse malattie da degrado che parevano sconfitte per sempre. Insomma la Troika capitanata da Draghi, Lagarde e Juncker, successore del vile Barroso a capo della Commissione Europea, ha oggettivamente rinverdito nell’Ellade i fasti hitleriani, inseguendo il mito della “soluzione finale” con la stessa fanatica testardaggine che in altre epoche accompagnò la furia sanguinaria dei vari Himmler e Goebbels.Tra Draghi e Rosenberg, lo riconosco per amore di verità, esiste però una differenza che sarebbe scorretto occultare: pur condividendo entrambi nella sostanza la stessa gnosi feroce ed anti-umana, i metodi utilizzati dai tecno-nazisti moderni sono decisamente più sottili ed incruenti. In sintesi, tanto i nazisti classici capitanati da Hitler quanto i tecno-nazisti contemporanei guidati da Draghi puntano ad una selezione eugenetica della “razza europea”; ma mentre il primo pensava di dover salvaguardare la purezza germanica a colpi di mitraglia e campi si concentramento, il secondo si limita in maniera darwiniana a rendere impossibili le condizioni esistenziali delle masse popolari, perseguendo il dissimulato scopo di far rimanere in vita solo i ceppi più resistenti, quelli in grado cioè di adeguarsi ad una vita di fame, privazione e stenti. Il tecno-nazismo poi, a differenza del nazismo classico, può trionfare senza formalmente sopprimere i cardini della democrazia liberale: ovvero elezioni periodiche e libertà di espressione.Il senso di tale dottrina è stato brillantemente cristallizzato tempo fa dallo stesso Draghi, bravo nel formulare limpidamente la teoria del “pilota automatico”, quella che spiega al mondo come e perché la dialettica formalmente democratica in voga nei rispettivi paesi dell’area euro non possa in ogni caso influenzare per nulla il tracciato disegnato nell’ombra dal banchiere centrale e dai suoi relativi fratelli. Per quanto riguarda la libertà di espressione, il militare controllo dei principali mezzi di informazione permette la costruzione in vitro di una realtà apparente che disabilita scientificamente il senso critico della maggior parte dei cittadini. E quand’anche la propaganda martellante dovesse infine risultare insufficiente per favorire l’elezione del burattino di turno gradito al Venerabile Maestro Mario Draghi, sarà sempre possibile corrompere o minacciare gli eventuali outsider riportandoli tosto a più miti consigli.Qualche esempio? Che fine ha fatto l’Hollande che in campagna elettorale prometteva la fine dell’austerità? Cosa ha fatto Renzi, a parte qualche battuta di cabaret, per invertire l’attuale paradigma economico in voga in Europa? Domande sospese. E, alla luce dei precedenti testé citati, chi vi dice che Tsipras non abbia già formalmente baciato la pantofola dei padroni per godersi finalmente in tranquillità la tanto agognata ascesa al potere? Non vi pare quantomeno strana la dichiarazione con la quale Tsipras certifica di essere un sostenitore del pareggio di bilancio? A parte i cialtroni e gli idioti, tutti sanno come sia impossibile attuare politiche per favorire la crescita e l’occupazione perseguendo sulla strada anti-keynesiana del rigore dei conti. Capiremo presto se Tsipars rappresenti per davvero una opportunità di rinascita per il suo popolo o se, più probabilmente, il suo governo assumerà piuttosto le sembianze di una “merchant bank” indispensabile per arricchire i tanti lanzichenecchi rossi finalmente entrati nelle stanze del potere. In Italia di simili prassi ne sappiamo certamente qualcosa.Ogni cambiamento epocale deve essere preceduto da un segno che attesti urbi et orbi e in forme eclatanti la fine del vecchio mondo. Il nazismo classico non è più riemerso perché in molti si ricordano ancora oggi i corpi dei gerarchi nazisti penzolanti sulla forca. Se Tsipras intende davvero dichiarare sconfitto per sempre il tecno-nazismo greco personificato dai vari Samaras e Venizelos, apra fin da subito una discussione all’interno del Parlamento al fine di chiarire la natura, stragista o meno, degli ultimi governi alternatisi al potere. Samaras e Venizelos potranno cioè rispondere liberamente alle domande di una libera e democratica commissione d’inchiesta, chiamata appositamente a verificare l’eventuale dolosa consumazione di ripetuti “crimini contro l’umanità”. Se Tsipras, come credo, non farà nulla di tutto ciò, sarà chiara immediatamente a tutti la natura falsa ed infingarda del giovane pifferaio greco.(Francesco Maria Toscano, “Alexis Tsipras è l’ultimo coniglio estratto dal cilindro del venerabile maestro Mario Draghi?”, dal blog “Il Moralista” del 29 gennaio 2015).Alexis Tsipras ha vinto con largo margine. Si tratta di un risultato ampiamente in linea con le previsioni. D’altronde i partiti tradizionali, a partire da “Nuova Democrazia” al Pasok, hanno negli ultimi anni pianificato e attuato un vero e proprio sterminio in danno del popolo greco; uno sterminio, mascherato da una melliflua retorica sul risanamento dei conti, che ha generato un numero imprecisato di morti, ammalati, suicidi e indigenti. In Grecia, nel cuore della civilissima Europa, è aumentata la mortalità infantile, sono cresciuti i casi di malnutrizione e sono ricomparse malattie da degrado che parevano sconfitte per sempre. Insomma la Troika capitanata da Draghi, Lagarde e Juncker, successore del vile Barroso a capo della Commissione Europea, ha oggettivamente rinverdito nell’Ellade i fasti hitleriani, inseguendo il mito della “soluzione finale” con la stessa fanatica testardaggine che in altre epoche accompagnò la furia sanguinaria dei vari Himmler e Goebbels.
-
Perché in Italia un vero leader non viene mai eletto al Colle
Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».Un analista “eretico” come Marco Della Luna sostiene che il profilo “defilato” della classe dirigente italiana, specie degli esponenti politici chiamati a rivestire le cariche istituzionali più eminenti, non è casuale: un leader forte, capace di incarnare una vertenza sovranista in nome del futuro della comunità nazionale, sarebbe percepito come un pericolo, sia in sede europea che sul versante atlantico. Le eccezioni – da Mattei a Moro – non sono arrivate all’età della pensione: qualcuno le ha tolte di mezzo. Prevale il grigio: in generale, la nomenklatura italiana si segnala per l’alto tasso di corruzione, clientelismo e degrado delle strutture partitiche. Più che ovvio, sostiene Della Luna: solo una partitocrazia corrotta, e quindi debole perché ricattabile, può “obbedire” senza fiatare alle direttive e ai diktat che provengono dai poteri forti che risiedono all’estero. Dopo il “golpe dello spread” architettato per l’insediamento di Monti e il varo definitivo dell’austerity, l’economista Nino Galloni ha svelato la vana ma serrata resistenza condotta da Giulio Andreotti per evitare che l’Italia finisse nella morsa dell’euro, che l’avrebbe condotta alla catastrofe economica. Galloni racconta che il governo subì fortissime pressioni dalla Germania, operate direttamente dal cancelliere Kohl.Un altro studioso “fuori ordinanza”, l’insigne esoterista Gianfranco Carpeoro, sostiene che Bettino Craxi fu liquidato in modo brutale proprio dai poteri che già allora puntavano a demolire la sovranità italiana: un leader troppo ingombrante col quale fare i conti. Nel libro “Il golpe inglese”, edito da Chiarelettere, Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino evocano il ruolo costante di potenze straniere come quella britannica nel destino politico del Belpaese. E un altro libro di Chiarelettere, l’esplosivo “Massoni” di Gioele Magaldi, illumina il grande retroscena massonico di ogni decisione storica, mettendo in fila nomi come quelli di Mario Draghi, Giorgio Napolitano e Mario Monti. La sorte dell’Italia viene sempre decisa lontano da Roma? Lo sostiene anche Paolo Barnard: nel saggio “Il più grande crimine” documenta la “svendita” del paese da parte dei tecnocrati del centrosinistra, cooptati dall’élite finanziaria europea prima ancora che la classe dirigente della Prima Repubblica venisse spazzata via dal ciclone Mani Pulite. L’Italia del boom economico “doveva” piegarsi ai tormenti di Maastrich e alle torture imposte dall’euro, pareggio di bilancio e Fiscal Compact, riforme strutturali (azzeramento del welfare) e taglio della spesa pubblica, cioè demolizione – mediante crisi – del tessuto socio-economico nazionale.Chiedetevi perché non si fa mai “la cosa giusta”, suggerisce Barbard: scoprirete che i partiti, specie quelli del centrosinistra, sono stati tutti reclutati dal “vero potere”, quello dell’oligarchia neo-aristocratica, per sabotare lo Stato e servire gli interessi delle multinazionali finanziarie. Questo spiega l’altrimenti incomprensibile, cronica mediocrità del ceto politico italiano. Sul “Giornale”, alla vigilia dell’elezione di Mattarella al Quirinale, Marcello Veneziani riflette sullo strano veto che impedisce l’accesso al Colle ai leader più carismatici. Veneziani passa in rassegna i presidenti finora succedutisi: «Il più autorevole fu Einaudi e prima di lui De Nicola, entrambi monarchici; e poi notabili democristiani da Gronchi a Scalfaro, o Segni, Leone e Cossiga, su cui si esercitò la macchina del fango; esponenti come Saragat e Napolitano, capi partigiani come Pertini o banchieri come Ciampi. Ma nessun vero leader o statista, nessun leader di partito di massa o di grande popolarità, nessun riformatore con significative esperienze di governo, se non di governi di transizione o balneari (e nessun romano, lombardo o adriatico)». Per Veneziani, «è questa l’anomalia della Repubblica italiana: senza presidenzialismo niente capi alla De Gaulle o Mitterrand, alla Kennedy o Nixon, solo gregari o notabili. Così sarà pure stavolta. Il galletto è Renzi, per il Colle cercano la gallina».Tra le mille dietrologie fiorite attorno all’anomala elezione di Mattarella, si segnala per inappuntabile coerenza la spiegazione fornita da Francesco Maria Toscano, stretto collaboratore di Gioele Magaldi: Renzi avrebbe “mollato” Berlusconi dopo aver promesso obbediente devozione al “venerabile” Mario Draghi, vero padre del rigore europeo. Il Patto del Nazareno? Un bluff di Renzi per alzare la posta: accoglietemi a corte, o rimetto in gioco l’odiato Berlusconi. Detto fatto: secondo Toscano, a Renzi sarebbe stato finalmente accordato l’accesso al mondo ultra-riservato delle “Ur-Lodges”, le massime strutture di potere della massoneria internazionale, di cui Draghi sarebbe uno dei leader più importanti, insieme alla presidente del Fmi, Christine Lagarde. In pegno, come garanzia di sottomissione, il mite Mattarella sul Colle. Un uomo destinato a non ostacolare il manovratore Renzi, in realtà mero esecutore dei diktat di Bruxelles? E’ presto per dirlo, ovviamente. Ma certo è da interpretare il primo gesto del neo-presidente: che evoca il nazismo alle Fosse Ardeatine per lanciare un monito contro “il terrorismo”, e non il nuovo nazismo della Troika Ue che governa col ricatto e senza più ombra di democrazia, piegando i popoli al volere di ristrettissime élite neo-feudali.Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».