Archivio del Tag ‘Christine Lagarde’
-
Christine Lagarde: la macellaia della Grecia a capo della Bce
«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.Non è invece una montatura il ruolo che l’Fmi ebbe nella crisi della Grecia. Pur avendo preso avvio prima del suo insediamento, l’intervento si è concretizzato sotto la presidenza Lagarde. Con i risultati che tutti conosciamo. La Troika era sì composta, oltre che dal Fondo, anche da Unione Europea e Bce. Marchiani furono però gli errori commessi in sede di analisi da parte del primo, che sottostimò clamorosamente i moltiplicatori fiscali (a livello 0,5: erano fra tre e cinque volte più alti), imponendo misure draconiane che riuscirono persino a peggiorare una già drammatica situazione. Il Pil si è così contratto di oltre il 20% in più rispetto alle previsioni e la disoccupazione, che non doveva superare il 15%, è schizzata al 25%. L’Fmi ha scontato, scrisse l’editorialista economico del “Daily Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchars, un “pregiudizio pro-euro” che l’ha portato di fatto a «sacrificare la Grecia per salvare l’euro e le banche del Nord Europa». Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire. Al quale dobbiamo aggiungere il tentativo esperito nel 2011 per tentare di costringere l’Italia ad accettare un intervento finanziario. In cambio ovviamente delle solite “riforme”. Berlusconi e Tremonti si opposero, ma il commissariamento arrivò comunque a novembre di quell’anno con la crisi speculativa sui nostri titoli di Stato e l’insediamento di Mario Monti alla presidenza del Consiglio.Con la piena benedizione di Emmanuel Macron, Christine Lagarde arriva così fino al vertice dell’Eurotower. Non un fulmine a ciel sereno, dato che il suo nome era fra quelli papabili. Ma che dice molto sui nuovi equilibri che regneranno in Europa: a questo giro l’ha spuntata la Francia, riuscendo in qualche modo a ridimensionare una Merkel (la quale ha comunque un’ottima stima della Lagarde) sempre meno leader indiscusso. Tandem Christine Lagarde – Ursula von der Leyen? Se le nomine dovessero essere confermate dal Parlamento Ue, ai vertici delle istituzioni comunitarie siederanno così due donne. Detto delle esperienze della Lagarde, non va meglio con quelle di Ursula von der Leyen. Tedesca, classe 1958, ininterrottamente dal 2005 ha rivestito per tre volte la carica di ministro nel governo federale tedesco. Torniamo di nuovo all’annus horribilis 2011. Proprio mentre Lagarde premeva per il nostro commissariamento, la von der Leyen si spingeva oltre, proponendo di legare eventuali aiuti ai membri in crisi dell’Eurozona in crisi con la richiesta di depositare beni in garanzia. Nello specifico, il nostro oro o le nostre aziende strategiche. L’unione di intenti fra le due nuove “teste” dell’Ue condurrà al disastro? Nonostante i “precedenti”, infatti, già da qualche anno l’Fmi ha iniziato, sia pur timidamente, a ripensare i propri modelli.Se prima l’austerità e le riforme strutturali erano l’unica via da percorrere, oggi la musica sembra in minima parte cambiata. E’ quindi estremamente probabile che, seguendo la nuova trama, che Christine Lagarde possa riprendere in mano il “bazooka” lanciato da Draghi con il nome di Quantitative Easing. Modificandolo, dandogli forse una diversa taratura. Ma certo non riponendolo in soffitta. Altro ossigeno, insomma, per un’Eurozona che è e rimane disastrata e preda delle contraddizioni intrinseche di una moneta unica architettata male e realizzata peggio. Un effetto placebo che, come già dimostrato fino ad oggi (nonostante l’invasione di liquidità l’inflazione, zavorrata da una crescita che resta asfittica, di salire non ne vuol proprio sapere) rischia solo di procrastinare la nostra agonia. Evitando forse manovre lacrime e sangue. Ma non per questo affrontando qui problemi talmente connaturati all’euro dal non poter essere in alcun modo risolti. A meno di non voler dare una nuova forma all’unione monetaria, magari iniziando a discutere di trasferimenti monetari dalle zone più ricche a quelle più in difficoltà. Scelta di politica economica standard in condizioni “normali”, ma che la Germania non accetterà mai. E anche qualora si dimostrasse aperta all’ipotesi, chiederebbe in cambio di scrivere – insieme a Bruxelles e alla Bce stessa – direttamente le nostre finanziarie. Sarebbe desiderabile?(Filippo Burla, “La macellaia della Grecia a capo della Bce: ecco chi è Christine Lagarde”, da “Il Primato Nazionale” del 3 luglio 2019. Laureato in scienze politiche ed economia aziendale, Burla è un analista economico del giornale, indipendente, ascrivibile all’area culturale della nuova destra sovranista italiana. Quanto alla Lagarde, nel saggio “Massoni” edito da Chiarelettere, Gioele Magaldi svela che la presidente uscente del Fmi milita stabilmente in svariate Ur-Lodges, come le superlogge “Three Eyes” e “Pan-Europa”, espressione dell’ala reazionaria e oligarchica del supremo potere massonico mondiale).«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.
-
Magaldi: tifo Draghi al governo, così saprete chi è davvero
Sobrio, elegante, impeccabile, sempre misurato. Decisamente un profilo “british”, quello di Mario Draghi, «presentato dai media – complici o insipienti – come il nume tutelare dell’Italia in Europa». Falso? Eccome: «Mario Draghi è il principale artefice dell’austerity neoliberista che ha varato la post-democrazia, devastando le nostre economie a cominciare da quella italiana. Per questo, se mai finisse a Palazzo Chigi al posto di Conte, sarei il primo a brindare: alla guida di un governo tecnico, inevitabilmente “lacrime e sangue” come quello di Monti, il “fratello” Draghi sarebbe costretto a gettare la maschera, mostrando finalmente agli italiani il suo vero volto». Parola di Gioele Magaldi, massone progressista e quindi fiero avversario del “controiniziato” Draghi, che si laureò con una tesi – incredibile ma vero – sull’insostenibilità economica di un’eventuale moneta unica europea. Ora è l’imperatore dell’Eurozona. Com’è stato possibile, un simile voltafaccia, considerando che Draghi fu allievo dell’insigne economista keynesiano Federico Caffè? «Semplice: ragioni umanissime di convenienza». Tradotto: soldi e potere, incarichi. Una carriera folgorante.«Anche Bruno Amoroso, da poco scomparso, era stato allievo di Caffè. Ma, a differenza di Draghi, è rimasto fedele al maestro, per tutta la vita, come docente universitario. E così l’altro illustre allievo di Caffè, Nino Galloni, che in più si è impegnato anche nel Movimento Roosevelt», per debellare il cancro neoliberista «che sta strangolando le economie e svuotando le democrazie». Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente-fondatore, ha fornito un inedito ritratto del vero Draghi nel bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Attingendo a centinaia di documenti riservati, il saggio rivela che il nostro Super-Mario milita in ben 5 superlogge sovranazionali: le famose Ur-Lodges, che secondo Magaldi reggono i destini del pianeta, “sovragestendo” finanza e governi. In tutto sono 36 potentissime organizzazioni: rimaste invisibili per decenni, fino all’uscita del libro. Quelle in cui milita il “venerabile” Draghi, peraltro, rappresentano l’estrema destra del potere mondiale, a cominciare dalla “Three Eyes” di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski che – utilizzando la Trilaterale – nel 1975 lanciò l’attacco finale ai diritti sindacali con il saggio “La crisi della democrazia” affidato a Huntington, Crozier e Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male.Dottrina prontamente applicata, pochi anni dopo, da Reagan e Thatcher: tagliare lo Stato, scatenando la giungla senza regole del mercato globale. A seguire, negli anni ‘90, comparve la post-sinistra riformista, incaricata di smantellare quel che restava dei diritti sociali. Pietra miliare: lo storico gesto di Bill Clinton, che dopo lo scandalo Lewinsky abolì il Glass-Steagall Act, cioè la norma – istituita da Roosevelt mezzo secolo prima – che metteva il credito ordinario al riparo dalla lotteria di Wall Street. A ruota, fu l’inglese Tony Blair (l’uomo che si inventò le “armi di distruzione di massa” di Saddam) a spiegare alla sinistra europea che doveva tradire se stessa, adottando il dogma neoliberista. Qualcosa di orribile, intanto, si era già messo in moto anche in Italia, sotto i colpi di Tangentopoli. Nino Galloni era stato chiamato da Andreotti come super-consulente, per limitare i danni che il Trattato di Maastricht avrebbe inferto all’Italia. «Fu lo stesso cancelliere Kohl – ricorda Galloni – a chiedere il mio allontanamento: tutelando l’Italia, ostacolavo le mire della Germania, che aveva accettato di entrare nell’Eurozona, su richiesta della Francia, solo in cambio della deindustrializzazione forzata del nostro paese, massimo concorrente della manifattura tedesca».E dov’era, in quegli anni fatidici, l’altro allievo del professor Caffè? Al ministero del Tesoro. E il 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte di Giovanni Falcone, Mario Draghi salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza mondiale stava progettando il saccheggio del Belpaese, ormai indifeso, crollato sotto i colpi dell’azione demolitrice di Mani Pulite. Da quel momento, Draghi dimenticò per sempre Federico Caffè. Dal suo ministero, diresse la più spietata campagna di privatizzazioni mai condotta in Europa. Anni dopo, Massimo D’Alema – altro massone neoconservatore, esponente della “terza via” che prese il posto della sinistra – si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una “merchant bank”, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Anche per questo, oggi, l’Italia è in bolletta. Un capolavoro della massoneria neoaristocratica, avviato dallo storico divorzio fra il Tesoro e Bankitalia e completato dall’avvento dell’euro, moneta affidata in esclusiva al potere privatistico della Bce, al di sopra dei governi. Da allora, crisi su crisi. Ed è proprio sulle macerie dell’Italia – recessione, disoccupazione, precarietà crescente, erosione dei risparmi, fuga dei capitali e fine di ogni sicurezza – che il giovane Draghi è diventato Super-Mario. Più l’Italia affondava, più il suo potere cresceva.Un’ascesa irresistibile: prima advisor della Goldman Sachs, la banca più speculativa del pianeta, poi governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Bce, passando per la potentissima Banca dei Regolamenti Internazionali (e per il Financial Stability Board, per la Banca Mondiale e per l’Adb, la Banca Asiatica di Sviluppo). Ora, a novembre, Draghi dovrà lasciare l’Eurotower di Francoforte. Il suo primo obiettivo? Sostituire Christine Lagarde, alla guida del Fmi. Meta ambiziosa ma difficile da conquistare. E così, c’è chi preme perché Super-Mario si impegni in Italia, “normalizzando” l’unico governo europeo che abbia osato sfidare – almeno a parole – i diktat di Bruxelles. Magaldi conferma: «La massoneria reazionaria, a cui appartiene, sta premendo su Draghi perché ripeta l’esperienza di Monti. Ma Draghi punta al Quirinale, dopo Mattarella. E sa benissimo che governare il paese oggi, mentre la crisi economica si sta aggravando in modo vertiginoso, sarebbe un pessimo viatico per la presidenza della Repubblica».Retroscena gustosi, quelli offerti da Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Draghi non è sprovveduto come Monti, il cui ego smisurato lo portò a credere che fossero sinceri i giornali che lo elogiavano: arrivò infatti a creare una propria formazione politica, “Scelta Civica”, contro il parere dei suoi due grandi sponsor, Napolitano e Draghi». Il piano iniziale era diverso: Monti doveva continuare a sembrare un tecnico super partes, per poi puntare al Colle. Invece non resistette alla tentazione di gettarsi nella mischia, con esiti elettorali ben miseri. Un uomo bruciato: oggi detestato come premier-macellaio, e in più bollato come politico fallito. «Proprio per questo, il ben più accorto Draghi farà di tutto per evitare di finire a Palazzo Chigi: sa perfettamente che la situazione italiana peggiorerà in modo disastroso». Dettaglio: perché è stato Berlusconi a fare apertamente il nome di Draghi come possibile premier, dopo Conte, ben sapendo che fu proprio Super-Mario (insieme a Napolitano) a detronizzarlo in modo brutale, nel 2011? «Solo per un motivo ingenuamente inconfessabile», spiega Magaldi: «Berlusconi spera ancora che Draghi lo introduca finalmente nell’élite massonica internazionale, da cui è finora rimasto escluso. E in questo, Berlusconi rivela un candore infantile quasi commovente».Certo, il Cavaliere sa esattamente chi sia, il “venerabile” Draghi, vero e proprio pezzo da novanta nella più esclusiva aristocrazia supermassonica mondiale, tra i santuari dell’ultra-destra economica. Nella “Three Eyes” è in compagnia dell’anziano Kissinger e dello stesso Napolitano, del greco Antonis Samaras, di Madeleine Albright e Condoleezza Rice, nonché degli italiani Gianfelice Rocca, Marta Dassù, Giuseppe Recchi, Enrico Tommaso Cucchiani, Carlo Secchi, Federica Guidi. Nella “Compass Star-Rose / Rosa Stella Ventorum”, Draghi incontra personaggi come l’ex premier francese Manuel Valls e gli italiani Massimo D’Alema, Vittorio Grilli e Pier Carlo Padoan. Nella “Edmund Burke”, con Draghi, siedono Blair e gli ex ministri Fabrizio Saccomanni e Domenico Siniscalco, insieme a Matteo Arpe e soprattutto Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. In altre parole: il potere, quello vero. Draghi milita anche nella superloggia “Der Ring” insieme al terribile Wolfgang Schäuble, a Jean-Claude Trichet (già a capo della Bce), a Jens Weidmann della Bundesbank. Poi c’è la quinta Ur-Lodge di Super-Mario, la “Pan-Europa”, dove svettano Nicolas Sarkozy e la stessa Lagarde, lo spagnolo Mariano Rajoy e il portoghese José Manuel Barroso, il finlandese Olli Rehn (e un bel po’ di italiani: da Padoan a D’Alema, da Alfredo Ambrosetti a Emma Marcegaglia).Altro da aggiungere? Certo: il Gruppo dei Trenta. Teoricamente, stando a Wikipedia, è solo «un’organizzazione internazionale di finanzieri e accademici che si occupa di approfondire questioni economiche e finanziarie esaminando le conseguenze delle decisioni prese nei settori pubblico e privato». Tra i “filantropi” del Group of Thirty, insieme a Super-Mario, siedono lo stesso Trichet insieme al falco neoliberista Paul Volcker (alla Fed con Reagan) e a Timothy Geithner, il ministro di Obama che “graziò” Wall Street dopo il crack del 2008. Ci sono anche Mervyn King, a capo della Bank of England fino al 2013, Larry Summers (mente neoliberista di Clinton) e persino Kenneth Rogoff, il professore di Harvard che si coprì di ridicolo con la teoria della mitica “austerity espansiva” (più taglio, più l’economia cresce), rivelatasi poi basata – oltre che sulla menzogna – anche su calcoli statistici comicamente errati. Questa è l’olimpica tribuna da cui Mario Draghi, l’uomo più potente d’Europa, ha potuto infliggere alla Grecia il calvario del rigore che ha sventrato il paese, determinando la “strage dei neonati”, morti per assenza di cure sanitarie a causa della crisi, come ammesso dallo stesso Federico Fubini, vicedirettore del “Corriere della Sera”.Una Norimberga per i crimini economici, che poi diventano massacri sociali? Impensabile: «Il presidente della Bce, da statuto, gode di assoluta impunità: non è perseguibile», spiega Magaldi, che in passato ha ripetutamente accusato Draghi per il disastro del Montepaschi, inclusa la tragica morte di David Rossi, dirigente della banca senese precipitato da una finestra del suo ufficio. Il problema, a monte? Omessa vigilanza, sostiene Magaldi, da parte di Bankitalia, nel momento in cui a Mps fu “ordinato” di procedere con manovre spericolate, proibitive per la banca. Draghi, all’epoca, era il governatore della Banca d’Italia. E la funzionaria che avrebbe dovuto proteggere il Monte dei Paschi, Anna Maria Tarantola, è stata poi “premiata” da Monti, con un incarico dirigenziale alla Rai. Sta davvero per tornare in cartellone il teatro dell’orrore dei governi “tecnici”, incaricati di devastare l’Italia con un’overdose di austerità? Teoricamente possibile, vista la bancarotta politica dei gialloverdi, che avevano promesso di rovesciare il tavolo europeo mettendo fine all’impostura del rigore presentato come ricetta salvifica per l’economia. Il peccato originale? Aver rinunciato a Paolo Savona al ministero dell’economia, subendo il “niet” di Mattarella «ispirato direttamente da Draghi attraverso l’altro suo terminale italiano, Ignazio Visco di Bankitalia».Senza più Savona, la vertenza con Bruxelles è finita prima di cominciare: non è stato difficile convincere Giovanni Tria a rinunciare al 2,4% di deficit. Una catastrofe: «L’Italia – sostiene Magaldi – doveva battere i pugni per rivendicare un deficit ben maggiore, anche superiore al tetto del 3% sancito arbitrariamente da Maastricht». Cosa sarebbe cambiato? «Un deficit di almeno il 4% avrebbe rilanciato economia e lavoro facendo crescere il Pil, e quindi riducendo l’incidenza del debito pubblico». Ma peggio: «Il governo Conte – aggiunge Magaldi – non ha neppure preso il considerazione la proposta di Nino Galloni per l’emissione di moneta statale parallela, non a debito, consentita dal Trattato di Lisbona: liquidità a costo zero, che avrebbe permesso di risollevare subito le sorti dell’occupazione». Risultato: gli indicatori economici – come prevedibile – crollano. E i gialloverdi non trovano di meglio che farsi la guerra, per tentare di salvarsi la faccia alla vigilia delle europee. Il peggiore in campo? «Di Maio, che ha preteso lo scalpo di Armando Siri: non un uomo a caso, ma l’ispiratore della Flat Tax (che proprio ora stava mettendo a punto, come misura destinata a restituire un po’ di ossigeno al paese)».Certo, non ne azzecca più una neppure Salvini: «Anziché combattere per l’Italia a Bruxelles, il leader della Lega se la prende coi negozi di cannabis terapeutica», inventandosi campagne demenziali. Mala tempora currunt. Cosa aspettarsi? «Il regalo più bello – dice Magaldi – sarebbe proprio ritrovarsi Draghi a Palazzo Chigi: finalmente gli italiani capirebbero chi è davvero, Super-Mario, e di che pasta è fatto il neoliberismo finto-europeista che ha costantemente peggiorato le condizioni del paese». Draghi o meno, sarebbe comunque una catastrofe: «Se il Movimento 5 Stelle accetterà di sostenere un governo di tecnocrati – ragiona Magaldi – completerà l’opera di auto-demolizione alla quale si sta dedicando da tempo». Facile profezia: i voti grillini sarebbero azzerati. «Se poi l’eventuale governo tecnico fosse sostenuto dai 5 Stelle insieme a Forza Italia e al Pd di Zingaretti, in una grande ammucchiata, saremmo alle comiche finali». Rovescio della medaglia: «Non si salverebbe nessuno». Tabula rasa della politica italiana: fine degli equivoci, via i partiti-zavorra. Non riuscirebbero a giustificare lo sfacelo: tagli sanguinosi, crollo ulteriore del potere d’acquisto, tosatura delle pensioni. E magari pure una patrimoniale sulla casa.Uno scenario da incubo, ma non esattamente fantapolitico: perché – senza l’iniezione di un deficit robusto – la situazione dei conti pubblici sta peggiorando, insieme all’economia, come volevasi dimostrare. E non siamo più nel 2011: la società italiana si è impoverita in modo vistoso. Tanto peggio, tanto meglio? In un certo senso, sostiene Magaldi, sarà proprio la drammatica durezza dell’evidenza ad aprire finalmente gli occhi degli italiani: mettete Draghi a Palazzo Chigi, e la tempesta arriverà prima. Magaldi resta ostinatamente ottimista. «Per smantellare il sistema neoliberista – dice – bisogna partire dall’Europa. E in Europa, l’unico paese in cui questo può accadere è proprio l’Italia». La massoneria progressista, aggiunge Magaldi, aveva giocato in prima battuta la carta francese, con Hollande. «Ma il presidente socialista si è lasciato intimidire: doveva rompere col rigore, invece poi si è allineato alla Merkel». Alle ultime elezioni, la piramide ordoliberista – in cui proprio Draghi ha un ruolo preminente – ai francesi ha proposto Macron, diretta emanazione dei superpoteri opachi e reazionari. Problema: «Gli è opposto la sola Marine Le Pen, che – dato il suo impianto ideologico preoccupante – è lo sfidante che chiunque vorrebbe, perché votato alla sconfitta».Come agisce, il circuito massonico progressista di cui parla Magaldi, e nel quale milita? Anche con iniziative clamorose: «La rivolta dei Gilet Gialli è stata progettata dalla massoneria progressista per ostacolare Macron e, soprattutto, aiutare – a distanza – il governo gialloverde alle prese con la disputa con Bruxelles sul deficit. Ma a Roma se la sono fatta sotto: il segnale l’hanno colto, ma non hanno osato approfittarne». E se la Francia resta tuttora politicamente bloccata – coi Gilet Gialli che demoliscono il consenso di Macron ma non si traducono in un’alternativa elettorale – non resta che il Belpaese, per ritentare di “smontare” l’europeismo di facciata che sta trasformando la Disunione Europea in un campo di battaglia tra governi che si combattono l’un l’altro. Se un super-eurocrate come Draghi arrivasse davvero a Palazzo Chigi, insiste Magaldi, tutto si chiarirebbe più velocemente. Per esempio: com’è possibile subire i diktat di una cupola tecnocratica, asservita a interessi privati, non legittimata neppure da una Costituzione democratica? In altre parole: «Perché mai votare, alle europee del 26 maggio, già sapendo che non sarà l’Europarlamento a eleggere la Commissione?». E poi: «Perché accettare, ancora, che un paese come l’Italia sprofondi nella crisi perché non ha potuto fare gli investimenti necessari, mediante il deficit?». E inoltre: «Chi l’ha detto che l’euro debba essere gestito in eterno dai banchieri della Bce, al di sopra dei governi democraticamente eletti?».Sono i temi sui quali lavora il Movimento Roosevelt. Obiettivo: demolire le menzogne del dogma neoliberista, truccate da scienza economica, in nome delle quali l’ex quinta potenza industriale del mondo è oggi ridotta a mendicare prestiti. «Serve una rivoluzione culturale profonda, che smascheri definitivamente la narrazione bugiarda del neoliberismo, tuttora contrabbandata dai grandi media». Super-Mario a capo del governo? «Sarebbe un regalo fantastico: tutti, finalmente, capirebbero da che parte stare». E se i 5 Stelle sembrano avviarsi verso la più incresciosa delle auto-rottamazioni, la stella di Salvini si sta rapidamente oscurando: il solo caso Siri, sondaggi alla mano, sembra aver già messo fine ai sogni di gloria della Lega. «Viviamo tempi imprevedibili, tutto è in rapida evoluzione: nel giro di pochi mesi, Renzi è passato dal 40% all’irrilevanza assoluta». Magaldi propone una data simbolica, quella della Presa della Bastiglia: il 14 luglio, a Roma – annuncia – nascerà ufficialmente il “Partito che serve all’Italia”. Missione: «Restituire agli italiani la perduta sovranità democratica, dopo il tramonto delle speranze suscitate dai gialloverdi». Attenzione: tutti stanno guardando all’Italia, anche se forse gli italiani non se ne sono accorti. E’ come se sapessero, amici e nemici, che l’euro-imbroglio potrebbe essere “smontato” proprio dal Belpaese.Sobrio, elegante, impeccabile, sempre misurato. Decisamente un profilo “british”, quello di Mario Draghi, «presentato dai media – complici o insipienti – come il nume tutelare dell’Italia in Europa». Falso? Eccome: «Mario Draghi è il principale artefice dell’austerity neoliberista che ha varato la post-democrazia, devastando le nostre economie a cominciare da quella italiana. Per questo, se mai finisse a Palazzo Chigi al posto di Conte, sarei il primo a brindare: alla guida di un governo tecnico, inevitabilmente “lacrime e sangue” come quello di Monti, il “fratello” Draghi sarebbe costretto a gettare la maschera, mostrando finalmente agli italiani il suo vero volto». Parola di Gioele Magaldi, massone progressista e quindi fiero avversario del “controiniziato” Draghi, che si laureò con una tesi – incredibile ma vero – sull’insostenibilità economica di un’eventuale moneta unica europea. Ora è l’imperatore dell’Eurozona. Com’è stato possibile, un simile voltafaccia, considerando che Draghi fu allievo dell’insigne economista keynesiano Federico Caffè? «Semplice: ragioni umanissime di convenienza». Tradotto: soldi e potere, incarichi. Una carriera folgorante.
-
Che bel regalo, Draghi senatore a vita e poi al Quirinale
Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.Folgorante, l’ascesa di Draghi nell’élite finanziaria mondiale: dal vertice di Bankitalia a quello della Bce, la mega-banca che emette l’euro, cioè la moneta che sarebbe stata “impossibile” e letteralmente insostenibile, per il giovane studente Mario. Determinante, si dice, il transito negli Usa: Draghi è stato uno stratega della Goldman Sachs, la banca speculativa più temuta al mondo: quella che, tra l’altro, truccò i bilanci della Grecia, creando le premesse per il crollo di Atene. A disastro avvenuto, Draghi si occupò dei greci anche nelle vesti di inflessibile censore della Troika europea, in rappresentanza della Bce. Una conversione, la sua – da Keynes al neoliberismo – che lascia stupefatti: il geniale economista inglese aveva ispirato le politiche espansive che hanno arricchito l’Europa, mentre i suoi avversari (da Von Hayek a Friedman) hanno impoverito i nostri popoli, espropriandoli del potere statale di spesa a beneficio dell’oligarchia finanziaria, divenuta l’unica padrona del denaro. Come si spiega, un simile voltafaccia, da parte di quello che, ai tempi di Caffè, si presentava come un promettente economista post-keynesiano? L’immenso potere del denaro, certo: il dominio di Wall Street è divenuto assoluto, specie dopo che Clinton abolì il Glass-Stegall Act, la norma con la quale Roosevelt aveva tagliato le unghie alla speculazione (separazione netta tra banche d’affari e credito alle imprese). Franata la diga, la finanza predatoria è diventata una lotteria perversa, capace di piegare gli Stati. E oggi infatti eccoci qui, a elemosinare decimali di deficit, implorando una tecnocrazia di non-eletti.Ma non è tutto. Nel suo saggio, Magaldi svela un retroscena illuminante: il massone Draghi milita in ben 5 Ur-Lodges. Le superlogge sovranazionali sono in tutto 36 organismi occulti e molto trasversali, in grado di controllare il pianeta, ben al di sopra dei governi. Per la cronaca, il presidente della Bce sarebbe affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa” e alla “Der Ring”, nonché alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Three Eyes”, veri e propri santuari della supermassoneria “neoaristocratica”, protagonista dell’attuale globalizzazione finanziaria e post-democratica imposta a mano armata anche con la guerra e, all’occorrenza, persino il terrorismo e la strategia della tensione, oltre che con l’arma dell’austerity che ha precarizzato il lavoro e impoverito le popolazioni occidentali. Tutto merito loro: a imporre le durezze della crisi sono i signori del “back office” supermassonico. Sono questi, dice Magaldi, i veri “azionisti” di Mario Draghi, comicamente celebrato – dai media – come una specie di salvatore della patria. E’ vero l’esatto contrario: l’Italia ha patito le conseguenze dell’azione di Draghi, che appartiene a un’oligarchia apolide, senz’altra patria che il denaro. «Viene presentato come il santo protettore dell’Italia? Mettetelo a Palazzo Chigi, e poi vedrete di che pasta è fatto», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.Certo, visto dall’Italia oggi sembra remotissimo, Super-Mario, impegnato a vegliare sull’Europa dall’alto dell’Eurotower di Francoforte. Per questo, gli italiani riescono a bersi la versione del mainstream, che poi è questa: se non ha potuto fare abbastanza, per l’Italia, è perché il povero Draghi «aveva le mani legate dalle presunte regole della Banca Centrale Europea», e magari «era costretto a mediare con Jens Weidmann della Bundesbank». Tutte storie: «Fatelo governare, e vedrete di cosa sarà capace». Quanto sono fondate, le voci secondo cui Mattarella lo promuoverebbe senatore a vita, come già fece Napolitano con Monti, per poi proiettarlo a Palazzo Chigi? L’incarico alla Bce scadrà in autunno, e si sa che Draghi ambirebbe a prendere il posto di Christine Lagarde al vertice del Fmi. Secondo Magaldi, potrebbe anche concedersi un periodo sabbatico. Certo è che qualsiasi decisione sarà come sempre concertata con il super-potere finanziario, di cui Draghi resta una pedina di prima grandezza a livello mondiale. Senatore a vita, dunque? Non è dato saperlo. Probabilmente, dice Magaldi, la nomina potrebbe gradirla non tanto come “ascensore” verso la guida del governo, ma come viatico per un obiettivo più ambizioso: la presidenza della Repubblica. In ogni caso, aggiunge Magaldi, se mai dovesse fare il premier «sarebbe un regalo, per noi che combattiamo contro ciò che Mario Draghi rappresenta».Un simile esito sarebbe perfettamente speculare rispetto all’esperienza di Monti, che nel 2011 era osannato dai media, quando dalle pagine del “Corriere della Sera” «dispensava saggi consigli, ma non aveva mostrato come li avrebbe messi in pratica». Duro l’impatto con la realtà: «Averlo visto governare ci ha liberato per sempre dall’idea che Monti sia un uomo saggio e soprattutto preoccupato del bene collettivo degli italiani». Non pensate che con Draghi sarebbe diverso, chiarisce Magaldi, dal 2015 presidente del Movimento Roosevelt e ora promotore del “Partito che serve all’Italia”, per recuperare la perduta sovranità democratica. Draghi? Tuttora, viene proposto dal mainstream come il paladino degli interessi italiani, «l’uomo che ha risolto la crisi economica e che dalla Bce ha assicurato il “quantitative easing”, salvando le banche». Tutto falso: «Come banchiere centrale, è intervenuto quando i buoi erano già scappati dalla stalla, cioè quando l’economia europea era in picchiata e parecchi paesi erano ormai stati commissariati con l’avvento dei tecnocrati al governo». A quel punto, «Draghi ha fatto in modo che i denari arrivassero alle banche e non all’economia reale, per aiutare la quale non ha mosso un dito».Severo il giudizio di Magaldi sul super-banchiere europeo: «Mario Draghi è fra i registi di questa pessima governance post-democratica europea. E’ colui che ha detto che il “pilota automatico” è inserito nel sistema di gestione dell’economia dei vari paesi europei, e quindi non importa chi viene eletto: o aderisce alle indicazioni di questo “pilota automatico”, o viene delegittimato». In più c’è l’ombra, imbarazzante, della crisi Mps: «Insieme ad Anna Maria Tarantola, che all’epoca guidava la vigilanza di Bankitalia – continua Magaldi – Draghi è anche responsabile, per l’Italia, di quello che è accaduto nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena». Quindi, non dovrebbe essere gratificato di un posto di senatore a vita: «Semmai – dice Magaldi – dovrebbe essere messo sotto processo, anche per i danni che ha fatto, nella gestione delle privatizzazioni all’italiana, come direttore generale del ministero del Tesoro, carica rivestita ininterrottamente dal 1992 al 2001». Purtroppo viviamo in un mondo orwelliano, che ribalta la verità: e così Mario Draghi, «che è stato tra i personaggi più funesti, per il destino d’Europa e d’Italia», oggi «viene santificato dai media mainstream».“Mister Euro” direttamente al comando dell’Italia, una volta rottamata la deludente esperienza gialloverde? Niente paura, dice Magaldi: «Questa situazione ci deve mettere di buon umore». E perché mai? «Perché è tipica dei momenti pre-rivoluzionari: alla vigilia di ogni rivoluzione, da chi occupa poltrone che stanno per franare miseramente proviene sempre un sussulto di arroganza, di disprezzo della verità, di imbroglio della comunicazione». Draghi a Palazzo Chigi? «Sarebbe un ottimo modo per vedere il suo vero volto, perché in questo mondo così veloce ormai le menzogne e i bluff durano poco. Dategli anche la presidenza della Repubblica, e poi ci divertiremo: perché ormai siamo arrivati alla frutta». Sulla crisi in corso, Magaldi è nettissimo: «L’Italia è stanca di essere malata, e ormai vede che non c’è stata nessuna cura». Pie illusioni, quelle alimentate dai gialloverdi: «Ignominiosa la rinuncia a lottare per il deficit, e vergognosa le genuflessione di Di Maio davanti alla Merkel». Tradotto: l’Italia ha perso un anno di tempo, dando credito a Lega e 5 Stelle. Domani il super-potere oserà schierare addirittura Draghi per spegnere gli ultimi focolai di ribellione, disinnescando la speranza che dall’Italia possa partire il riscatto democratico europeo? Quello, scommette Magaldi, sarà il segnale: di fronte a tanta arroganza, gli elettori finalmente insorgeranno. Primo passo: licenziare i finti rivoluzionari gialloverdi, che si sono fatti prendere a sberle dai signori di Bruxelles e dal loro nume tutelare, il potentissimo Mario Draghi.Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.
-
L’oligarchia zootecnica ci sta spegnendo, anche coi vaccini?
Falsi vaccini, progettati per rendere innocua un’intera generazione? Quella che, per inciso, si troverà senza lavoro con l’esplosione – ormai in corso – della robotizzazione della produzione, grazie all’avvento della sconvolgente rivoluzione tecnologica del terzo millennio, affidata all’intelligenza artificiale. Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Tecnoschiavi” e “Oligarchia per popoli superflui”, che gettano una luce sinistra sulle principali dinamiche della globalizzazione, denunciando un disegno egemonico, da parte dell’élite, fondato su meccanismi ormai “zootecnici” di manipolazione di massa. Per Della Luna, purtroppo, l’attuale democrazia non è una finzione: in realtà, scrive l’analista, «ogni società è gestita da una ristretta oligarchia detentrice di potere, ricchezza, competenza». Quando una classe dominante perde il potere, un’altra la sostituisce. E per ogni oligarchia, «la popolazione è un mezzo, non un fine: uno strumento da controllare e sfruttare, ma anche dimensionare, in base all’evoluzione delle tecniche e delle circostanze». Alle categorie intermedie, l’élite consente anche di violare le leggi: Della Luna ne parlerà nel saggio “Le chiavi del potere”, di cui è in uscita la terza edizione. Il vero problema? Siamo noi: ci lasciamo regolarmente ingannare.«Le masse, educate e incoraggiate a ciò dalla famiglia, dalla scuola e da quasi ogni altra istituzione sociale – scrive Della Luna nel suo blog – tendono a pensare che, all’inverso, la popolazione (il suo benessere, la sua tutela) sia il fine dell’ordinamento sociale, politico, giuridico, fino al punto di convincersi che il popolo sia il contraente attivo del patto sociale e il detentore della sovranità, e che la democrazia esista». Tutt’alpiù le masse «si scandalizzano quando si accorgono di ingiustizie e inefficienze palesi e facilmente rimediabili a danno della collettività, che le istituzioni e la politica però lasciano continuare». Da questo schema di dominio non si esce mai, secondo Della Luna: la lotta di classe «è assolutamente improduttiva, perché non cambia (ma riproduce esattamente) quella struttura oligarchica della società, che professa di voler abbattere». Forse, per le masse “dominate”, è preferibile «restare inconsapevoli, credere nell’illusione della democrazia-legittimità, o pensare che l’ineguaglianza sociale sia nell’ordine naturale delle cose oppure voluta da Dio, oppure ancora conseguenza del karma».Che di “dominio” si tratti, secondo Della Luna, lo si vede da come lo Stato, ad esempio, «autorizzi la produzione e il commercio di alimenti e bevande, soprattutto diretti ai fanciulli, che sono diabetizzanti, obesizzanti, cancerogeni, neurotossici». In molti luoghi pubblici, di fatto, si permette «lo smercio di droga», sotto gli occhi di tutti. Ci sono leggi che «rimettono prontamente in libertà delinquenti pericolosi, che poi tornano a delinquere». E poi «si omettano controlli e manutenzioni di poco costo su opere pubbliche, che poi causano stragi e danni economici enormi». Vengono fatte scelte di politica economica palesemente sbagliate e contrarie agli interessi nazionali? Ovvio: «Gli interessi dei manovrati non coincidono con quelli dei manovratori». Della Luna punta il dito contro l’istruzione, la sanità, la giustizia, la polizia, la difesa, le tasse: «Si tratta di servizi introdotti e gestiti dalla classe dominante, nei vari paesi e nelle varie epoche storiche, allo scopo di aumentare l’efficienza del suo strumento, cioè della popolazione generale, come le stalle e il veterinario sono uno strumento per aumentare la redditività del bestiame».La stessa sanità, aggiunge Della Luna, «è utile ad avere lavoratori e combattenti più numerosi e più sani anche innalzando la natalità – finché non si scelga di ridurre la popolazione o di aumentarne le malattia per vendere più farmaci». La pubblica istruzione? Finisce per formare «sudditi e lavoratori più indottrinati e produttivi». La previdenza sociale? Fidelizza al sistema le classi subalterne. Giustizia e apparati di sicurezza contribuiscono a sostenere «la percezione di legittimità del potere costituito, tutelandone al contempo i privilegi». Quanto al sistema bancario-monetario, va da sé: serve a «concentrare nelle mani della grande finanza il controllo dei redditi, dello sviluppo, del potere politico, permettendo e coprendo (in cooperazione con la giustizia), al contempo, le grandi truffe al risparmio e la pratica dei prestiti usurari e predatori». Così, conclude Della Luna, si comprende come la giustizia «non punisca praticamente mai banchieri per l’usura (che in Italia interessa la grande maggioranza dei prestiti bancari) o per le grandi truffe». E la stessa difesa, presentata come protezione della popolazione da nemici esterni, ha una doppia natura: «Nel corso della storia, le classi dominanti hanno usato le forze armate quasi sempre al contrario, cioè in danno e a spese delle rispettive popolazioni, facendole pagare, combattere e morire per aumentare la ricchezza e il potere loro proprio».La stessa Seconda Guerra Mondiale, sempre secondo Della Luna, non è stata «una guerra ‘spontanea’ tra sistemi politici incompatibili», bensì «un’operazione decisa dalla strategia del capitalismo finanziario: il capitalismo americano finanziò massicciamente il movimento nazionalsocialista, la ricostruzione e l’armamento della Germania hitleriana, la sua stessa guerra di conquista e sterminio fino al 1945». General Motors, General Electric, Standard Oil e Ford «costruirono e gestirono, in alcuni casi anche direttamente, impianti industriali strategici e per produzioni belliche del III Reich». Analogamente, il Giappone «venne rifornito e armato dall’élite capitalistica statunitense affinché potesse iniziare e sostenere la guerra». Soprattutto, «in violazione del fittizio embargo disposto da Washington», al Sol Levante «fu data una grande quantità di petrolio americano, senza il quale non avrebbe potuto iniziare la guerra». A che fine armare e sostenere la Germania e il Giappone? «Al fine immediato di arricchirsi – le commesse belliche dall’una e dall’altra parte moltiplicarono gli utili delle corporations – e a quello di lungo termine di indebitare in modo e misura irreversibile gli Stati (iniziando dagli Usa e dal Regno Unito) verso i banchieri privati, affinché questi potessero arrivare a dettare la politica e a riformare le società, su scala mondiale, a loro vantaggio, scalzando ogni altra forma di potere, verso un villaggio unico globale fatto di cittadini indebitati e di governi pure indebitati».Le guerre, infatti, comportano un moltiplicarsi delle spese pubbliche, quindi del ricorso al credito, da parte dei governi. «Questo fine, grazie all’operazione Seconda Guerra Mondiale e a molte altre, tra cui l’Ue e l’euro, è stato in gran parte raggiunto». E’ così – aggiunge Della Luna – che siamo arrivati all’indipendenza dei banchieri centrali dai Parlamenti e dai governi, e alla subordinazione della sfera pubblica a mercati controllati da cartelli. Il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale? «Sono stati strumenti per arrivare a questo obiettivo da parte delle grandi dinastie bancarie che hanno oggi i loro corifei nei vari Juncker, Lagarde, Moskovici, Merkel, Dijsselbloem». Questo piano, continua Della Luna, è stato però recentemente aggiornato, visto che il travolgente progresso scientifico-tecnologico (l’automazione, l’intelligenza artificiale e la finanziarizzazione globale) ha messo a disposizione delle élite strumenti di dominio più potenti dell’indebitamento e della moneta, ossia «strumenti informatici e biofisici di gestione diretta delle masse (la capacità di spiare tutti e ciascuno capillarmente e di entrare nei corpi per modificarli)».Ma non è tutto: la tecnologia ha reso le masse stesse «meno utili al mantenimento del potere e della ricchezza», mentre le popolazioni – coi loro consumi e inquinamenti – sono divenute un drammatico problema ecologico. «Per queste ragioni, il piano di dominio per via finanziaria è stato ammodernato a piano di dominio per via tecnologica». Obiettivo, «Arrivare a gestire le masse con metodi zootecnici». Secondo Della Luna, lo scenario descritto nel saggio “Oligarchia per popoli superflui” è ormai quasi superato. Certo, il progresso tecnico-economico congiunto alla globalizzazione «ha reso, appunto, superflue le masse per il potere costituito, sicché i cittadini e i lavoratori, compresi gli industriali produttivi, hanno perso potere di contrattazione, diritti e ampie quote del reddito nazionale in favore dei capitalisti finanziari». Ma ora la situazione è ulteriormente peggiorata, nell’era del dominio “zootecnico”. Lo proverebbe, secondo Della Luna, una denuncia come quella dell’ordine nazionale dei biologi italiani, che ha scoperto vaccini “sporchi” e zeppi di molecole nocive. Al di là della mera logica del profitto, l’imposizione dei “falsi vaccini” sarebbe interpretabile come «un argine che viene eretto per far fronte al gigantesco problema sociale in arrivo: quel 30% dei posti di lavoro che robotizzazione e intelligenza artificiale si prevede che elimineranno da qui al 2037». Si vogliono ottenere giovani «mentalmente e fisicamente incapaci di reazione e di lotta»?Falsi vaccini, progettati per rendere innocua un’intera generazione? Quella che, per inciso, si troverà senza lavoro con l’esplosione – ormai in corso – della robotizzazione della produzione, grazie all’avvento della sconvolgente rivoluzione tecnologica del terzo millennio, affidata all’intelligenza artificiale. Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, autore di saggi come “Tecnoschiavi” e “Oligarchia per popoli superflui”, che gettano una luce sinistra sulle principali dinamiche della globalizzazione, denunciando un disegno egemonico, da parte dell’élite, fondato su meccanismi ormai “zootecnici” di manipolazione di massa. Per Della Luna, purtroppo, l’attuale democrazia non è una finzione: in realtà, scrive l’analista, «ogni società è gestita da una ristretta oligarchia detentrice di potere, ricchezza, competenza». Quando una classe dominante perde il potere, un’altra la sostituisce. E per ogni oligarchia, «la popolazione è un mezzo, non un fine: uno strumento da controllare e sfruttare, ma anche dimensionare, in base all’evoluzione delle tecniche e delle circostanze». Alle categorie intermedie, l’élite consente anche di violare le leggi: Della Luna ne parlerà nel saggio “Le chiavi del potere”, di cui è in uscita la terza edizione. Il vero problema? Siamo noi: ci lasciamo regolarmente ingannare.
-
Macron e Merkel: l’Italia “ribelle” sarà esclusa dai fondi Ue
La Disunione Europea getta la maschera: se l’Italia non rispetta il patto di stabilità, insieme alle regole europee sui conti pubblici, non avrà più diritto ai fondi dell’Unione Europea. È il ricatto che Emmanuel Macron e Angela Merkel stanno preparando, sintetizza Chiara Sarra sul “Giornale”: è infatti in arrivo all’Eurogruppo (riunione straordinaria a Bruxelles) un’ipotesi di piano congiunto franco-tedesco per creare un bilancio unico dell’Eurozona. Come rivelano il “Financial Times” e la stessa “Repubblica”, che ha avuto accesso alle bozze, la proposta del presidente francese e della cancelliera tedesca prevede che il bilancio, finanziato con i contributi dei singoli paesi e con una “tassa sulle transazioni finanziarie”, punti a «stimolare la crescita attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione e capitale umano, cofinanziando la spesa pubblica». Ma soprattutto, aggiunge il “Giornale”, il documento prevede che siano i ministri delle finanze dell’Eurozona, anzichè la Commissione Europea, a progettare i programmi di investimento in settori come la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Clausola: dovranno essere esclusi dall’accesso ai fondi Ue i paesi che non perseguono «politiche in sintonia con gli obblighi». In altre parole: se non rispetta le “regole europee”, l’Italia «può dire addio ai contributi finanziari».Le cifre del budget devono essere ancora discusse e trattate. In passato, il ministro francese Bruno Le Maire ha indicato la cifra di 20-25 miliardi di euro come «un buon punto di partenza». Si tratterebbe, in tal caso, di una cifra equivalente circa allo 0,2% del Pil dei 19 paesi. Inizialmente, Macron aveva però auspicato un budget pari a «diversi punti di Pil». Sembra una barzelletta, ma è la realtà. I due ideologi del patto contro l’Italia, a quanto pare, sono spaventati dal timido 2,4% di deficit per il 2019 strappato dal governo Conte nonostante l’opera di dissuasione a reti unificate (Draghi, Visco, Mattarella, Moscovici e il Fmi). Dettaglio: in Europa, Germania e Francia sonoi paesi con meno titoli per imporre regole di condotta, specie se ammantate di sospetto moralismo. La Germania, ricorda l’imprenditore italiano Andrea Zoffi, ha un debito pubblico reale ben lontano da quello dichiarato, fermo all’80% del Pil: i conti di Berlino sono molto più in rosso (addirittura il 287% del Pil) se si calcola l’immenso debito “sommerso” della Germania, non contabilizzato da Bruxelles. Quanto alla Francia, il panafricanista Mohamed Konare riassume: Parigi “drena” ogni anno ben 500 miliardi di euro a 14 ex colonie dell’Africa Sub-Sahariana. Una cifra enorme, pari al 20% del Pil francese, anche questa “bypassata” dai guardiani dell’Eurozona nonostante Parigi gestisca in proprio il franco Cfa, la moneta coloniale imposta all’Africa centro-occidentale.Per inciso, accusa Konare, i paesi dissanguati dalla Francia sono proprio quelli da cui proviene la marea di profughi economici diretti in Italia e respinti alla frontiera transalpina. In altre parole: non possono disporre della propria moneta, devono rinunciare al 50% delle loro risorse e, per gestire liberamente l’altra metà, devono prima ottenere il consenso di Parigi. Com’è possibile che una simile Francia possa far parte dell’Unione Europea? Presto detto: proprio la culla dell’europeismo neo-feudale fu utilizzata per ammortizzare l’exploit della Germania riunita dopo la caduta del Muro. La Francia impose l’introduzione di regole non democratiche (l’euro e il limite di spesa del 3% introdotto da Mitterrand) con l’obiettivo di frenare l’economia tedesca – vincolo che Berlino accettò, ottenendo in cambio la possibilità di agire a livello legislativo (austerity Ue) per neutralizzare il suo diretto concorrente industriale, l’Italia. Oggi, Francia e Germania tornano all’attacco del Belpaese in modo sfrontato, dopo che il governo Conte ha osato innalzare di qualche decimale il deficit 2019.Quel 2,4% è troppo poco, spiega Nino Galloni, per sperare in effetti visibili: il “moltiplicatore” della spesa pubblica (chi più spende meno spende, perché dall’anno seguente l’investimento frutterà 3-4 volte tanto, in termini di Pil) avrebbe bisogno in Italia di un deficit più robusto, almeno il 4-5%, per rilanciare l’economia. Ma quell’esiguo 2,4% basta e avanza a spaventare i padroni dell’Ue, che – a pochi mesi dalle elezioni europee – temono che “cattivo esempio” dell’Italia possa contagiare il resto d’Europa, spingendo altri paesi a rompere le righe e ribellarsi alla camicia di forza (ideologica) dei vincoli del rigore, che servono solo a deprimere l’economia e accelerare il trasferimento delle leve economiche in pochi, grandi gruppi, a spese del sistema nazionale delle aziende. Per contro, la mossa franco-tedesca avrà forse il pregio di aprire gli occhi ancora socchiusi, svelando la reale natura dell’attuale Unione Europea, priva di una Costituzione democratica e gestita da una Commissione autocratica, non eletta dal Parlamento Europeo. La scure sull’Italia agitata da Macron e Merkel è teoricamente una manna, dunque, per la prossima euro-campagna elettorale di Di Maio e in particolare di Salvini: additando il “nemico” esterno, verrà loro più facile giustificare i risultati, finora non esaltanti, del governo gialloverde.La Disunione Europea getta la maschera: se l’Italia non rispetta il patto di stabilità, insieme alle regole europee sui conti pubblici, non avrà più diritto ai fondi dell’Unione Europea. È il ricatto che Emmanuel Macron e Angela Merkel stanno preparando, sintetizza Chiara Sarra sul “Giornale”: è infatti in arrivo all’Eurogruppo (riunione straordinaria a Bruxelles) un’ipotesi di piano congiunto franco-tedesco per creare un bilancio unico dell’Eurozona. Come rivelano il “Financial Times” e la stessa “Repubblica”, che ha avuto accesso alle bozze, la proposta del presidente francese e della cancelliera tedesca prevede che il bilancio, finanziato con i contributi dei singoli paesi e con una “tassa sulle transazioni finanziarie”, punti a «stimolare la crescita attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione e capitale umano, cofinanziando la spesa pubblica». Ma soprattutto, aggiunge il “Giornale”, il documento prevede che siano i ministri delle finanze dell’Eurozona, anzichè la Commissione Europea, a progettare i programmi di investimento in settori come la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Clausola: dovranno essere esclusi dall’accesso ai fondi Ue i paesi che non perseguono «politiche in sintonia con gli obblighi». In altre parole: se non rispetta le “regole europee”, l’Italia «può dire addio ai contributi finanziari».
-
Magaldi: i gialloverdi scelgano, Tria (e Draghi) o gli italiani
«Il massone Giovanni Tria scelga chi servire: il popolo italiano o l’élite neoliberista incarnata dal pessimo Mario Draghi, il demolitore dell’Italia, che ora si complimenta con lui». Non usa mezzi termini, Gioele Magaldi, nel sollecitare il governo gialloverde a diffidare dall’atteggiamento “frenante” del ministro dell’economia: «I gialloverdi avevano promesso agli elettori reddito di cittadinanza, meno tasse e pensioni dignitose. Se non manterranno la parola data saranno loro a pagare, non certo Tria e le altre figure tecniche dell’esecutivo». Dove trovare le coperture? Semplice: occorre sfondare il famoso tetto di spesa del 3%, stabilito da Maastricht in modo ideologico, senza alcun fondamento economico-scientifico: più deficit significa far volare il Pil e creare lavoro. «Si tratta di smascherare Bruxelles e ingaggiare una dura battaglia, in Europa: solo l’Italia può farlo. E se Tria “frena”, preferendo ascoltare Draghi, Visco e Mattarella, allora è meglio che Salvini e Di Maio lo licenzino, perché a pagare il conto alla fine saranno loro, per la gioia del redivivo Renzi, che infatti già accusa il governo gialloverde di parlare molto e combinare poco». La ricetta di Magaldi? «Non temere il ricatto dello spread e sfoderare con l’Unione Europea, per il bilancio 2019, la stessa fierezza mostrata da Salvini nel denunciare l’ipocrisia dell’Ue che lascia ricadere solo sull’Italia il problema degli sbarchi di migranti».
-
Magaldi al “fratello” Tria: con Draghi, finirete come Renzi
Non crediate di prendere in giro gli italiani: avete visto quanto ci ha messo, il prode Renzi, a passare dal 40% allo zero assoluto? Messaggio che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché massone progressista (Grande Oriente Democratico) rivolge proprio a quelle figure di garanzia, inserite nel governo gialloverde con una missione precisa: rompere, dopo tanti anni, la penosa consuetudine della sottomissione a Bruxelles. Qualcuno sta venendo meno agli impegni? Il primo indiziato è il professor Giovanni Tria, titolare del ministero dell’economia in virtù di «quell’incredibile attentato alla Costituzione che fu il “niet” proposto da Mattarella rispetto all’incarico a Paolo Savona». Ebbene, da oggi Magaldi lo chiama “il fratello Tria”, rivelando pubblicamente la sua identità massonica, per di più dichiaratamente “progressista”. Il problema? Molte chiacchiere, sin qui, ma pochi fatti. Peggio: insieme al ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, «già massone neo-aristocratico “di rito montiano”, poi apertosi all’impegno progressista», proprio Tria – alle prese con il delicatissimo bilancio 2019 – ha appena ricevuto il più scomodo degli endorsement, quello di Mario Draghi: essere “promossi” da Draghi, scandisce Magaldi, è un “premio” che nessun governante sinceramente democratico può permettersi, in quest’Europa impoverita dall’élite neoliberista e messa alla frusta proprio dalla Bce.Se c’è uno che davvero non può permettersi di dare “pagelle” a nessuno, questi è proprio il “fratello” Mario Draghi, dichiara Magaldi in web-streaming su YouTube con Marco Moiso, già coordinatore del Movimento Roosevelt: la Bce ha finora fatto esattamente il contrario di quello che sarebbe servito, per risollevare l’economia europea. Le è stato complice il Fondo Monetario guidato dalla “sorella” Christine Lagarde, «libera muratrice anch’essa contro-iniziata e neo-aristocratica». Non stupisce che oggi si parli di un clamoroso scambio di poltrone, da scongiurare in ogni modo: la Lagarde alla Bce, e Draghi “promosso” al Fmi. E perché mai? «Quale premio andrebbe dato a una banca centrale che ha lasciato che tutti i buoi uscissero dalla stalla, durante la crisi del 2011, consentendo allo spread di innalzarsi per poter poi commissariare i governi?». La banca centrale europea, aggiunge Magaldi, si è limitata a intervenire a cose fatte, «facendo il minimo indispensabile». E cioè: «Ha elargito denari al sistema bancario per propiziare l’acquisto dei titoli di Stato in modo da tener basso lo spread, ma al sistema produttivo reale non è arrivato nemmeno un euro: una situazione davvero verminosa». Ecco perché c’è da preoccuparsi – e molto – se il presidente della Bce oggi si spertica in elogi per il nostro ministro dell’economia, proprio mentre Tria sta approntando la legge di bilancio, intenzionato a mantenere la spesa pubblica (ancora una volta) ben al di sotto del minimo vitale, in ossequio ai signori di Bruxelles, Berlino e Francoforte.Magaldi, con Tria, non va per il sottile: caro ministro, il tempo della pazienza è scaduto. Ora dimostri di mantenere gli impegni presi, o il consenso al governo “gialloverde”, oggi ancora robusto, potrebbe scemare alla velocità della luce. «Abbiamo sostenuto l’esecutivo e lo sosterremo ancora – premette Magaldi – anche difendendo Salvini dalla demonizzazione di cui è vittima. Ma, a parte il legittimo scatto di dignità sul problema immigrazione (che poi richiederà anche una “pars construens”, per aiutare comunque quell’umanità che è migrante perché è sofferente), dal loro governo gli italiani si aspettano ben di più». Ovvero: fatti concreti per rianimare l’economia, come promesso, allentando la tassazione e introducendo misure espansive – che non potranno che dispiacere, ai signori della Disunione Europea. Dunque, stando così se cose, se invece Draghi fa i complimenti al governo italiano significa che c’è qualcosa che non va. Lo osserva il “rooseveltiano” Egidio Rangone, neo-responsabile del dipartimento economia (settore supervisionato da Nino Galloni, vicepresidente del movimento). Le perplessità di Rangone sono le stesse di Luciano Barra Caracciolo, sottosegretario agli affari europei: come si permette, il signor Draghi, di dare i voti all’Italia, quando nessun governo democraticamente legittimato può osare aprir bocca sull’operato della Bce?Giustamente, dice Magaldi, ci si domanda come mai la Bce possa continuare a essere «una specie di santuario su cui la politica non deve mai mettere le mani, secondo il paradigma neoliberista che governa questa Europa (speriamo ancora per poco)». La banca centrale europea, infatti, «non è controllata da nessuno: nessuno ne deve parlare, bisogna solo “ammaestrarsi” ai suoi giudizi». Non sorprende – e invece dovrebbe – il fatto che Draghi dia i voti ai ministri. Tanto peggio, se i voti sono buoni. E peggio ancora se a essere “promosso” è Giovanni Tria. Avverte Magaldi: «E’ giunto il momento di sciogliere alcune questioni riguardanti l’ambiguità, l’ambivalenza dell’operato del ministro Tria, che finora ho voluto interpretare in modo benevolo». Il punto è questo: «Inquieta non poco la lode che Mario Draghi fa al “fratello” massone Tria, visto che Tria era entrato in questo governo per rassicurare sul cambiamento annuncuiato». Doveva garantire, Tria, che la linea del governo sarebbe stata critica, rispetto all’attuale gestione Ue, nonostante il più che irrituale siluramento di Savona, da parte di Mattarella.Se il delicatissimo dicastero economico, anziché all’ex ministro di Ciampi, alla fine è stato dato «al massone sedicente progressista Tria», è proprio perché il professore, «nell’interpretazione benevola che ne abbiamo voluto dare sin qui», avrebbe dovuto magari «giocare di rassicurazione in rassicurazione», per poi però effettivamente «essere parte integrante di un lavoro di rinnovamento, nei rapporti tra la gestione dell’economia italiana e gli stralunati, strumentali e pidocchiosi atteggiamenti delle sedicenti istituzioni europee rispetto alla gestione del bilancio». Il “fratello” Tria, aggiunge Magadi, si era solennemente impegnato a guidare l’economia italiana con lungimiranza, «e quindi in modo opposto rispetto a quella che è stata la bussola nei governi almeno da Mario Monti in poi – ma potremmo parlare di un venticinquennio intero di paradigma dell’austerity, naturalmente con vicende diverse, che fino al 2011 avevano reso meno percepibile quello che si andava comunque costruendo, anche in termini di crisi italiana – già ben presente, sia pure in modo strisciante». C’è di che preoccuparsi, dunque, se oggi Draghi dice “bravo” a Moavero Milanesi, «massone accredidatosi come “convertito” a una visione massonica progressista e a una visione politica di rinnovamento democratico, e proprio per questo inserito nell’attuale governo».A maggior ragione, preoccupa il fatto che Draghi “promuova” Tria, cervello economico di un governo che ha promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e riforma della legge Fornero sulle pensioni, ma finora si è limitato alle chiacchiere, confidando – in modo imprudente – su sondaggi che danno la Lega sopra il 30% dei suffragi. Attenzione, sottolinea Magaldi: «Questo consenso è basato su un investimento per il futuro, proprio come il consenso di cui aveva goduto a suo tempo Matteo Renzi: dunque non ci si inebri, del consenso. E’ una sorta di cambiale, che richiede risultati precisi: ma di fatti, per ora, se ne sono visti pochi». Un avvertimento esplicito: «Il popolo potrebbe bocciare rapidamente il governo gialloverde, così come ha bocciato severamente centrodestra e centrosinistra, che per anni hanno giocato a prendere per i fondelli gli interessi degli italiani, simulando un’alternanza che non esisteva – perché c’era un consociativismo permanente, per cui la rotta economica in tutti i temi politici nevralgici era decisa altrove e solo eseguita, in modo pedissequo e bovino, da coloro che hanno occupato le istituzioni soprattutto per fare i propri affari». Ebbene: se Lega e M5S continuano soltanto a chiacchierare, l’esecutivo Conte non può illudersi di andare lontano.Magaldi avvisa: il Movimento Roosevelt (in pieno rilancio) non starà alla finestra: produrrà idee e critiche, anche attraverso iniziative editoriali ormai in cantiere, senza rinunciare all’idea di contribuire a creare un “partito che serve all’Italia”, «o per aiutare il governo attuale, che sembra zoppicare, balbettare e cincischiare molto ma produrre poco, o per sostituirsi ad esso nel portare avanti un testimone politico importante». Per Magaldi – non da oggi – il ruolo del nostro paese è decisivo: «Ormai lo si è capito, e l’avevamo detto tanti anni fa: dall’Italia può venire il cambiamento. Se non viene dall’Italia non verrà da nessun’altra parte. Quindi c’è una ragione storica. E francamente c’è ancora troppa moderazione e troppa subalternità, narrativa e ideologica, rispetto a ciò che dicono da Bruxelles e da Francoforte». Quanto a Draghi, già allievo post-keynesiano del grande Federico Caffè ma poi convertitosi al peggiore neoliberismo (privatizzazioni selvagge e svendita dell’Italia), Magaldi ha fornito un inquietante profilo nel volume “Massoni”, uscito per Chiarelettere nel 2014. Il presidente della Bce milita in ben 5 superlogge sovranazionali del massimo potere neo-aristocratico: si tratta delle Ur-Lodge reazionarie “Three Eyes”, “Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”e “Der Ring”.Queste strutture-ombra, rivela Magaldi, sono a capo dell’architettura che ha ridisegnato il mondo in modo autoritario, a partire dall’Ue, attraverso una globalizzazione a senso unico, che ha spolpato le classi medie piegando gli Stati alla “teologia” del rigore, demonizzando il deficit – cioè la leva strategica su cui si erano fondati i decenni del benessere diffuso. A Giovanni Tria dovrebbe guardare con estrema diffidenza un super-tecnocrate e supermassone reazionario come Draghi, direttore del Tesoro all’epoca del Britannia, poi promosso a Bankitalia, quindi stratega della Goldman Sachs nell’operazione-Grecia e infine “imperatore” della Bce. Che c’azzecca, Draghi, col governo gialloverde? «Questo personaggio – dice Magaldi – è davvero meritevole di rispetto e stima per la qualità della sua contro-iniziazione», espressione che nel linguaggio massonico significa: tradimento dell’impegno a lavorare per il bene della società. «Mario Draghi è davvero un brillante esempio di contro-iniziazione, sul piano massonico, e di declinazione perfetta della post-democrazia sul piano politico “profano”. E ora, con queste sue pagelle, lui che non vuole essere giudicato da nessuno, si permette di spiegare quello che deve o non deve fare il governo sovrano dell’Italia».Non staremo certo con le mani in mano, ribadisce Magaldi: «Quindi si prepari, Tria, perché sarà messo sotto esame, com’è giusto che sia, dall’opinione pubblica, inclusi i movimenti come il nostro». Non solo: «Tria sarà messo sotto osservazione dai “confratelli” progressisti cui aveva giurato di voler offrire un contributo importante per un rinnovamento democratico dell’Italia. E saranno valutati severamente, come sempre, anche personaggi come Draghi che – davvero – non perdono né il pelo né il vizio». Aggiunge Magaldi: «Tanto per non essere ambigui: come presidente del Movimento Roosevelt sto dando un avvertimento chiaro, al governo gialloverde. Abbiamo sostenuto l’alleanza e siamo vicini ad alcuni di loro – non a quelli che si gingillano in ipocrite massonofobie: il Consiglio dei ministri è pieno zeppo di massoni, tutti sedicenti progressisti. Ma qualcuno, a questo punto – ipotizza Magaldi – potrebbe rivelarsi “l’amico del Giaguaro”», una quinta colonna del potere neoliberista che ha colonizzato le istituzioni europee. Beninteso: «Nel governo non ci sono solo persone che stanno operando in senso ambivalente o sterile, ci sono anche presenze che si confermano positive. Ma il problema – conclude Magaldi – è che il dicastero dell’economia è affidato al “fratello” Tria, al quale è richiesto di gettare via ogni ambivalenza e di procedere in modo tale da non ricevere la lode di Mario Draghi: e la lode di Draghi è un sigillo che nessun serio governante che abbia a cuore il benessere dell’Italia può permettersi di ricevere».Non crediate di prendere in giro gli italiani: avete visto quanto ci ha messo, il prode Renzi, a passare dal 40% allo zero assoluto? Messaggio che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché massone progressista (Grande Oriente Democratico) rivolge proprio a quelle figure di garanzia che sono state inserite nel governo gialloverde con una missione precisa: rompere, dopo tanti anni, la penosa consuetudine della sottomissione a Bruxelles. Qualcuno sta venendo meno agli impegni? Il primo indiziato è il professor Giovanni Tria, titolare del ministero dell’economia in virtù di «quell’incredibile attentato alla Costituzione che fu il “niet” proposto da Mattarella rispetto all’incarico a Paolo Savona». Ebbene, da oggi Magaldi lo chiama “il fratello Tria”, rivelando pubblicamente la sua identità massonica, per di più dichiaratamente “progressista”. Il problema? Molte chiacchiere, sin qui, ma pochi fatti. Peggio: insieme al ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, «già massone neo-aristocratico “di rito montiano”, poi apertosi all’impegno progressista», proprio Tria – alle prese con il delicatissimo bilancio 2019 – ha appena ricevuto il più scomodo degli endorsement, quello di Mario Draghi: essere “promossi” da Draghi, scandisce Magaldi, è un “premio” che nessun governante sinceramente democratico può permettersi, in quest’Europa impoverita dall’élite neoliberista e messa alla frusta proprio dalla Bce.
-
Frater Kronos: voi popolo siete bestie, tocca a noi guidarvi
Io credo nel diritto-dovere, da parte di chi sia un iniziato sostanziale e non soltanto virtuale alla libera muratoria, di autocostituirsi in élite di governo, per il bene stesso del cosiddetto “popolo”. Ma credo anche che tutto ciò, nel mondo contemporaneo, debba avvenire salvaguardando le forme esteriori della democrazia e della sovranità popolare. Potreste definirmi un neoaristocratico, come fa Frater Jahoel, oppure un demo-aristocratico, come preferisco io stesso. Ovvio che siano sempre state le oligarchie a dominare il resto della popolazione. Però, è bene che queste oligarchie siano composte non da ceti nobiliari inetti, ignoranti, bigotti e pelandroni, bensì da iniziati alle “philosophiae occultae”, da superuomini temprati in modo non superficiale sul piano spirituale, da saggi che si sappiano elevare, nietzschianamente, «al di là del bene e del male», curando e alimentando quanto va curato e alimentato del corpo sociale e amputando senza remore quello che va amputato. La maggior parte dei troppi miliardi di individui che abitano il pianeta, anche in Occidente, vive un’esistenza bestiale, anonima e senza senso. È importante che questi esseri semibestiali siano guidati da menti salde e mani energiche, anche se spesso devono rimanere invisibili, lasciando il “front office” a politicanti spaventapasseri e parafulmini.Tutto ciò deve avvenire secondo regole ben precise. Pena il caos e l’anarchia distruttiva a danno di coloro che meritano davvero l’appellativo di donne e uomini, che hanno un’anima e uno spirito, che non riducono il proprio orizzonte esistenziale al solo aspetto materiale. È giusto considerarmi un aristocratico, ma appunto “neo”. Nel senso che, al di là del mio retaggio familiare, considero positiva la distruzione dell’Ancien Régime da parte dei liberi muratori del Sette-Ottocento. E reputo apprezzabile e necessaria anche la distruzione del potere temporale diretto delle Chiese, di quella cattolica in primo luogo. Sarebbe stato assurdo, in un mondo progredito sul piano scientifico e tecnologico come quello occidentale, perpetuare un controllo teocratico invasivo sulla società e la convivenza civile. Lo sbaglio, semmai, è consistito nella pretesa di edificare delle società troppo democratiche, anarcoidi e massificanti, puntando in modo eccessivo sui diritti e poco sui doveri dell’uomo e del cittadino. Sarebbe stato più giusto sostituire le aristocrazie del lignaggio con demoaristocrazie dello spirito, calibrate sul grado di elevatezza iniziatica degli aspiranti governanti. L’errore storico gravissimo dei massoni progressisti è stato quello di pensare che fosse giusto e opportuno estendere la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza a tutti gli esseri umani, anche a quelli indegni sul piano morale, intellettuale e spirituale.(Estratto di un intervento del misterioso “Frater Kronos”, presente con altre tre eminenze grigie della supermassoneria internazionale nell’appendice conclusiva dell’esplosivo volume “Massoni, società a responsabilità illimitata – La scoperta delle Ur-Lodges”, firmato da Gioele Magaldi e pubblicato nel 2014 da Chiarelettere, con prefazione di Laura Maragnani, redattrice di “Panorama”. Nel sito “Isola di Avalon”, Seyan Nagur ipotizza che “Frater Kronos” sia il miliardario super-speculatore George Soros, promotore di Open Society e finanziatore delle “rivoluzioni colorate” che hanno scosso l’Europa, inclusa la crisi ucraina. Grande sostenitore di Barack Obama, Soros è attualmente presidente del Soros Fund Management, dopo aver rivestito un ruolo di vertice nel Council on Foreign Relations, cuore del vero potere statunitense. Il suo appoggio al movimento sindacale polacco Solidarnosc, nonché il supporto all’organizzazione cecoslovacca per la tutela dei diritti umani “Charta 77”, ricorda il sito, contribuirono al crollo dell’Unione Sovietica. Gli si attribuisce un ruolo decisivo anche nella “Rivoluzione delle Rose”, costata poi alla Georgia la perdita dell’Ossezia del Sud, abitata da russi.Fortemente avversato dall’Ungheria, suo paese d’origine, oggi Soros è considerato tra i massimi finanziatori della “tratta dei migranti”, che nel Mediterraneo utilizza l’opaca rete delle Ong. Nel brano del libro di Magaldi (ove compare l’autore stesso, con lo pseudonimo di “Frater Jahoel”) emerge la visione apertamente sinarchica di “Frater Kronos”: secondo la dottrina ottocentesca del marchese Alexandre St-Yves d’Alveydre, medico francese e massone – la “sinarchia d’impero” – le élite sarebbero chiamate addirittura sul piano morale a governare le masse, ritenendo il popolo incapace di autogovernarsi. Da qui la diffidenza verso il sistema democratico promosso già nel Settecento dalla massoneria progressista attraverso l’Illuminismo. Diffidenza emersa in storici saggi come “La crisi della democrazia” che le superlogge reazionarie – guidate dalla “Three Eyes” di Kissinger, Brzezinski e Rockefeller – nel 1975 affidarono, per tramite della Commissione Trilaterale, a intellettuali come Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki.Una pietra miliare, che spiega l’involuzione oligarchica del potere finanziaerio globalista, neoliberista e privatizzatore, con il quale oggi l’umanità è costretta a fare i conti. Per contro, anche attraverso le rivelazioni contenute nel libro di Magaldi – cui seguirà nel 2019 un secondo volume, “Globalizzazione e massoneria” – si fa sempre più diffusa la percezione della vera natura del tornante storico che stiamo vivendo, con i suoi club esclusivi e i suoi inaccessibili protagonisti. Dunque, il “Frater Kronos” che parla in modo così apertamente franco e sconcertante, nel libro di Magaldi, è davvero George Soros, bestia nera di tutti i movimenti sovranisti che, per reazione, stanno sorgendo in Europa? Proprio Soros, scrive “Isola di Avalon”, è il tipico rappresentante di quella sedicente “sinistra” mondiale «che ha come unico scopo la destrutturazione degli Stati sociali e democratici per imporre il suo Totaler Staat Mondiale, quello degli autoreferenziali àristoi. Tra questi “neomalthusiani” ricordiamo Tony Blair, Bill Clinton, François Mitterrand, Jacques Attali, Gerhard Schröder, Christine Lagarde, François Hollande, non dimenticando il Pd italiano»).Io credo nel diritto-dovere, da parte di chi sia un iniziato sostanziale e non soltanto virtuale alla libera muratoria, di autocostituirsi in élite di governo, per il bene stesso del cosiddetto “popolo”. Ma credo anche che tutto ciò, nel mondo contemporaneo, debba avvenire salvaguardando le forme esteriori della democrazia e della sovranità popolare. Potreste definirmi un neoaristocratico, come fa Frater Jahoel, oppure un demo-aristocratico, come preferisco io stesso. Ovvio che siano sempre state le oligarchie a dominare il resto della popolazione. Però, è bene che queste oligarchie siano composte non da ceti nobiliari inetti, ignoranti, bigotti e pelandroni, bensì da iniziati alle “philosophiae occultae”, da superuomini temprati in modo non superficiale sul piano spirituale, da saggi che si sappiano elevare, nietzschianamente, «al di là del bene e del male», curando e alimentando quanto va curato e alimentato del corpo sociale e amputando senza remore quello che va amputato. La maggior parte dei troppi miliardi di individui che abitano il pianeta, anche in Occidente, vive un’esistenza bestiale, anonima e senza senso. È importante che questi esseri semibestiali siano guidati da menti salde e mani energiche, anche se spesso devono rimanere invisibili, lasciando il “front office” a politicanti spaventapasseri e parafulmini.
-
Duri con Salvini, ma zitti sul martirio (razzista) della Grecia
Condivido quasi nulla di Matteo Salvini, anzi, dico chiaro che da molto quest’uomo sta offrendo il fianco al ben noto sottosuolo dei più beceri italiani, quindi benissimo ha fatto il professor Paolo Becchi a sollecitare il ministro dell’interno verso prese di posizione sia politiche che personali inequivocabili contro qualsiasi rigurgito razzista (“Libero”, 02/08). Perché l’Europa è una terra fresca di oltre duemila morti per razzismo contati nel solo anno 2012, a cui, sempre per razzismo e sempre nello stesso periodo, si aggiunsero un milione di discriminati nel diritto alle cure fondamentali, abbandonati a contagi incontrollati di malaria e Hiv, e una strage d’innocenti per mortalità infantile. Si tratta di un olocausto di umani le cui origini, e il cui agghiacciante svolgimento, furono dovuti a una martellante campagna politica presso le opinioni pubbliche dove le vittime erano additate specificamente come gruppo etnico nemico dell’interesse comune degli onesti lavoratori, come sanguisughe delle tasse di chi veramente lavora, e come corrotti, ovvero una popolazione parassita inferiore contro cui si giustificavano, nella difesa degli onesti, misure di una durezza senza pietà fino alle estreme conseguenze di cui sopra. Una campagna quindi populista, becera e razzista.Un autorevole quanto accorato studio della più prestigiosa rivista medica del mondo, il “The Lancet”, del 2014 forniva le cifre di quel bagno di sangue: 2.200 morti negli over 55 in un solo anno, un aumento dei contagi da Hiv del 3.126% (tremilacentoventisei), casi diffusi di malaria, e un aumento della mortalità infantile fra le loro donne di un orribile 43%. Questo può fare il populismo razzista, questo ha fatto, in Grecia. Dietro al megafono dell’istigazione a nessuna pietà per quei “parassiti” c’erano Angela Merkel, Jean-Claude Trichet, Christine Lagarde, Mario Monti fra i più vociferanti. L’istigazione all’odio contro l’etnia greca arrivò al punto da impedire all’altrimenti umanitaria sinistra italiana delle Ong, de “La Repubblica”, del Pd, e degli apostoli dell’anti-razzismo come i Saviano, Padellaro, Benigni e Lerner di organizzare milizie in maglietta rossa dirette alla Corte di Giustizia dell’Aja per denunciare quei crimini contro l’umanità a sfondo interamente razzista (ricordo solo quel Barnard in prima serata Tv gridare “Mario Monti, lei li ha tutti sulla coscienza quei morti, criminale”, non ricordo altri colleghi).Che fosse razzismo – cioè un rigurgito di dissennato astio da parte di milioni di europei contro un’etnia considerata parassita – interamente ad opera del populismo razzista di Merkel, Trichet, Lagarde e Monti – lo dimostrò un autorevole studio pubblicato già nel 2010 dal prestigioso Levy Economics Institute of Bard College di New York a firma di Dimitri B. Papadimitriou, L. Randall Wray e Yeva Nersisyan, dove ogni singola accusa all’etnia parassita e infame veniva fatta a pezzi: 1) Il debito greco, detto “minaccia alla stabilità di tutto il continente e causato da diffuso malcostume e parassitismo” era in realtà dovuto in maggioranza alla recessione economica mondiale, cioè calo Pil, calo tasse, e aumento conseguente di aiuti statali ai lavoratori in difficoltà di cui la Grecia non aveva nessuna colpa. 2) Non era affatto vero che il reddito pro capite greco era troppo alto per le casse di governo. Era invece uno dei più bassi d’Europa. 3) Lo Stato Sociale greco spendeva pro capite in media 3.530 euro contro i 6.251 della media europea. Nessuna elemosina a “parassiti”. 4) I costi amministrativi greci erano inferiori a quelli tedeschi o francesi, la spesa dello Stato era sotto la media Oecd, e la spesa pensionistica era in linea con quella di Germania e Francia.E’ col gelo nel sangue per questo precedente di pura follia razzista, e in ricordo dei distratti fischiettii (quando non assensi) dell’umanitaria sinistra italiana delle Ong, de “La Repubblica”, del Pd, e degli apostoli dell’anti-razzismo come i vari Saviano, Padellaro, Benigni e Lerner, che trovo assolutamente giusto il richiamo del professor Becchi a Matteo Salvini. E lo scrivo senza una traccia di sarcasmo. Meglio una parola in più del leader leghista contro derive razziste populiste anti “parassiti” che l’accusa domani di essere stato in qualsiasi modo complice di un’onda d’odio che causò poi stragi. O peggio: di essere stato un omologo di Angela Merkel (e la strage in Grecia continua).(Paolo Barnard, “Il prof. Becchi avvisa Salvini sul razzismo, e fa bene. Io aggiungo l’altra parte”, dal blog di Barnard del 3 agosto 2018).Condivido quasi nulla di Matteo Salvini, anzi, dico chiaro che da molto quest’uomo sta offrendo il fianco al ben noto sottosuolo dei più beceri italiani, quindi benissimo ha fatto il professor Paolo Becchi a sollecitare il ministro dell’interno verso prese di posizione sia politiche che personali inequivocabili contro qualsiasi rigurgito razzista (“Libero”, 02/08). Perché l’Europa è una terra fresca di oltre duemila morti per razzismo contati nel solo anno 2012, a cui, sempre per razzismo e sempre nello stesso periodo, si aggiunsero un milione di discriminati nel diritto alle cure fondamentali, abbandonati a contagi incontrollati di malaria e Hiv, e una strage d’innocenti per mortalità infantile. Si tratta di un olocausto di umani le cui origini, e il cui agghiacciante svolgimento, furono dovuti a una martellante campagna politica presso le opinioni pubbliche dove le vittime erano additate specificamente come gruppo etnico nemico dell’interesse comune degli onesti lavoratori, come sanguisughe delle tasse di chi veramente lavora, e come corrotti, ovvero una popolazione parassita inferiore contro cui si giustificavano, nella difesa degli onesti, misure di una durezza senza pietà fino alle estreme conseguenze di cui sopra. Una campagna quindi populista, becera e razzista.
-
Massoni: pressing sul Pd, via Renzi e alleanza con Di Maio
Fortissime pressioni massoniche sul Pd per archiviare Renzi e puntare all’abbraccio con Di Maio, a sua volta in attesa di essere accolto dalla supermassoneria internazionale alla quale ha bussato. Lo scenario verso il quale premono i poteri forti, l’alleanza tra Pd e 5 Stelle, sarebbe perfetto per Salvini, che – dall’opposizione – continuerebbe indisturbato a spolpare Forza Italia, accreditandosi come leader unico del centrodestra. Il problema? Si chiama Matteo Renzi: non è facile farlo fuori. Parola di Gianfranco Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Dal giorno dopo le elezioni – ricorda Carpeoro, saggista e attento osservatore della situazione italiana – ho detto che non si sarebbe andato da nessuna parte, se non facendo delle acrobazie istituzionali non solo inutili, ma dannose per il paese». Un mese dopo, ribadisce il concetto: l’unica cosa seria da fare, dice, sarebbe varare un governo destinato a durare solo 90 giorni. Un esecutivo di scopo, sostenuto da tutti i partiti, con un unico obiettivo: cambiare la legge elettorale, reintroducendo il premio di maggioranza. «Chi vince, anche di poco, deve poter governare. E’ un problema pratico, non ideologico. Bisogna uscire da questa ipocrisia assoluta, imposta dalla Corte Costituzionale, per la quale il premio di maggioranza nel 90% dei casi è illegittimo. Basta: chi vince, governi».Di Maio oggi parla di Pil e mercati, equilibrio di bilancio e rispetto dei parametri europei? «Cos’altro aspettarsi, da Di Maio?». Per Carpeoro, il leader dei 5 Stelle «sta cercando di farsi accogliere nella Ur-Lodge dove si è proposto». Quale? «Se posso fare una previsione, dovrebbe essere la “Three Eyes”», ovvero la superloggia storica della destra reazionaria, incarnata per decenni da figure di vertice del massimo potere mondiale come Kissinger, Rockefeller e Brzezinki, incluso – secondo Gioele Magaldi – lo stesso Giorgio Napolitano. Secondo l’autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), della “Three Eyes” fanno parte anche Mario Draghi nonché Christine Lagarde del Fmi, in compagnia di esponenti dell’élite italiana come Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), il top manager Giuseppe Recchi, Marta Dassù di Finmeccanica, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani, l’economista Carlo Secchi e Federica Guidi, già ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Questo il salotto buono al quale, secondo Carpeoro, avrebbe chiesto asilo il candidato premier dei 5 Stelle. «Dieci giorni prima delle elezioni – ricorda – Di Maio è andato a parlare col mondo finanziario di Londra, che è quello che organizza i grandi complotti e le grandi speculazioni».Un progetto partito da lontano, il ruolo di Di Maio come “cavallo di Troia” del grande potere? Anche no: la sua leadership è emersa strada facendo. Il grande momento del Movimento 5 Stelle «ha portato Di Maio a essere un personaggio esteticamente opportuno per fare quest’operazione». E come avrebbe fatto, l’ex steward dello stadio di Napoli, ad avvicinare il mondo supermassonico delle Ur-Lodges? Ha sempre avuto alle spalle Casaleggio, sottolinea Carpeoro. «In fin dei conti, Casaleggio è uno che ha progettato il Nuovo Ordine Mondiale: guardatevi i suoi documenti, i filmati». Beninteso: «Mica è una parolaccia, il Nuovo Ordine Mondiale: dipende da come lo fai, può essere anche una cosa non necessariamente drammatica». La storia dell’uomo, aggiunge Carpeoro, è fatta di epoche di ordine e epoche di disordine: è strano, eppure «si somigliano sempre sinistramente, l’ordine e il disordine». Carpeoro ne parla nel libro “Summa Symbolica”, di cui sta per uscire il secondo volume: «Non essendo possibile un ordine assoluto, tutto finisce per essere un ordine». Gianroberto Casaleggio? «Era un mistico, quindi ha disegnato il progetto di una società perfetta, a suo avviso. E aveva un socio – Enrico Sassoon – che faceva parte di una Ur-Lodge». Carpeoro diffida, dei progettisti di mondi perfetti: «Nessuno fa più danni di chi pensa di fare il bene degli altri: Hitler era uno così, no?».Ora i giornali dicono che l’alleanza tra Pd e 5 Stelle sarebbe una falsa pista, mentre il vero obiettivo di Di Maio sarebbe l’intesa con Salvini? Favole: «Di Maio sa che non potrà mai fare un’alleanza con Salvini, a meno di non considerare Salvini un idiota», taglia corto Carpeoro. La ragione è ovvia: «Salvini è motivato a essere il leader del centrodestra. Automaticamente, se scaricasse gli altri per fare da stampella a Di Maio, non potrebbe mai più essere il leader del centrodestra (lo dimostrano tutti i casi precedenti: Fini, Casini, Follini)». Il capo della Lega, aggiunge Carpeoro, sa perfettamente che in un governo coi 5 Stelle andrebbe a fare il passacarte. Molto meglio, per lui, essere il leader dell’opposizione. Quindi, Salvini propone a Di Maio di accettare anche Forza Italia, mettendosi alla pari con il centrodestra. Ipotesi abbastanza impercorribile: «Se Di Maio accettasse, l’idiota sarebbe lui». Non resta che l’altra sponda, il Pd, che in questo momento sta subendo «fortissime pressioni – paramassoniche, massoniche, internazionali – per cambiare la sua posizione e archivare Renzi». Ma eliminare l’ex premier è difficile: «Renzi si è cautelato, ha il predominio numerico sul partito: se si fanno le primarie, le rivince lui». E soprattutto: senza più Renzi, il Pd teme di poter scomparire. «Ne va della sua sopravvivenza politica». Vie d’uscita? Una sola, per Carpeoro: un governo che duri solo tre mesi. Obiettivo: voto anticipato, con una nuova legge elettorale che garantisca il governo di un vincitore sicuro.Fortissime pressioni massoniche sul Pd per archiviare Renzi e puntare all’abbraccio con Di Maio, a sua volta in attesa di essere accolto dalla supermassoneria internazionale alla quale ha bussato. Lo scenario verso il quale premono i poteri forti, l’alleanza tra Pd e 5 Stelle, sarebbe perfetto per Salvini, che – dall’opposizione – continuerebbe indisturbato a spolpare Forza Italia, accreditandosi come leader unico del centrodestra. Il problema? Si chiama Matteo Renzi: non è facile farlo fuori. Parola di Gianfranco Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Dal giorno dopo le elezioni – ricorda Carpeoro, saggista e attento osservatore della situazione italiana – ho detto che non si sarebbe andati da nessuna parte, se non facendo delle acrobazie istituzionali non solo inutili, ma dannose per il paese». Un mese dopo, ribadisce il concetto: l’unica cosa seria da fare, dice, sarebbe varare un governo destinato a durare solo 90 giorni. Un esecutivo di scopo, sostenuto da tutti i partiti, con un unico obiettivo: cambiare la legge elettorale, reintroducendo il premio di maggioranza. «Chi vince, anche di poco, deve poter governare. E’ un problema pratico, non ideologico. Bisogna uscire da questa ipocrisia assoluta, imposta dalla Corte Costituzionale, per la quale il premio di maggioranza nel 90% dei casi è illegittimo. Basta: chi vince, governi».
-
Pensioni e maternità, la finanza già ricatta il futuro governo
Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.Solo un cretino può permettersi di non capire il messaggio che viene dai potentati: «No ad un governo euroscettico! No a battere i pugni sul tavolo europeo!». L’attacco alla tutela della maternità – almeno quello! – dovrebbe sollevare lo sdegno dei cattolici italiani, ma è più facile che scompaia la pedofilia nella Chiesa che il kompagno che sbaglia, al secolo Jorge Bergoglio, si ponga in modo fermo e deciso contro la globalizzazione. I cattolici che siedono ai vertici, si sa, vanno pazzi per il Medioevo, e non si faranno scrupolo alcuno a farlo tornare. Dunque, si illude fortemente chi pensa che il cattolicesimo possa offrire una sponda ai naufraghi della globalizzazione, anche se parliamo di milioni di europei. Ci sono infatti miliardi di asiatici e di africani da illudere, là fuori. Tornando all’attacco di BlackRock (capitanato dal Fmi), è superfluo aggiungere che sono tattiche già viste in Russia negli anni Novanta, in Grecia nel 2011 e nel 2015, oppure in Italia, fin dai tempi di Mario Monti. La differenza, non di poco conto, è però che questa volta sappiamo come attaccano. Sappiamo tutti dove vogliono andare a parare, e lo diciamo ancora chiaramente qui, finchè non entra anche nelle zucche più vuote.L’Europa vuole smantellare il welfare state di stampo keynesiano e garantito dalla Costituzione italiana perchè mira a competere con i paesi del terzo mondo in una gara alla produttività completamente priva di senso nel mondo dell’intelligenza artificiale. Si punta ad indebolire ulteriormente i deboli, per renderli ancora più addomesticabili e ricattabili, e sostituibili con altra gleba. L’Europa della Lagarde ricorda la Francia ai tempi di Napoleone, o ancor prima, di Luigi XIV, che si era fissata di incamerare grano da polenta e accumulare oro, mentre nel resto del pianeta i mercanti olandesi e inglesi facevano il bello ed il cattivo tempo con il commercio marittimo. La verità è che l’Europa è vecchia dentro. Malata dei suoi dogmi liberisti – dogmi che persino gli americani stanno rivedendo con sospetto. Nel Vecchio Continente si sta molto meglio che nel resto del mondo solo ed esclusivamente perché ha saputo mettere in piedi un sistema di welfare state. Senza di quello, vivere a Parigi o nel buco del culo di qualche quartiere malfamato di Città del Messico sarà la stessa identica cosa. Ed è a quello a cui puntano, shortando Italia.(Massimo Bordin, “La vendetta dei poteri forti”, dal blog “Micidial” del 26 marzo 2018).Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.
-
Bin Laden massone, Kevin Spacey silurato dal Bohemian
Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria on Air” ai microfoni di “Colors Radio” il 29 gennaio. «Scusi, ma lei come fa a dire che Bin Laden era massone?», lo incalza un ascoltatore. «Lo seppi direttamente da chi lo iniziò», risponde Magaldi: «Fu Brzezinski a rivelarmelo», mostrandogli anche la documentazione comprovante l’affiliazione di Bin Laden alla “Three Eyes”, superloggia neo-conservatrice alla quale, secondo Magaldi, appartengono eminenti figure dell’attuale panorama istituzionale – fra gli italiani, Mario Draghi e Giorgio Napolitano, insieme a Marta Dassù (Finmeccanica) e Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), fino all’ex ministra renziana Federica Guidi. Un peso massimo, la “Three Eyes” (leader storico, Henry Kissinger) nell’ispirazione delle politiche neo-feudali e neoliberiste, fedelmente “eseguite” da personaggi come la francese Christine Lagarde (Fmi), l’americana Condoleezza Rice, il portoghese Pedro Passos Coelho, l’ex premier greco Antonis Samaras, l’olandese Mark Rutte. Ma Bin Laden? «Fu “reclutato” da Brzezinski per essere impiegato in Afghanistan in chiave anti-sovietica», poi però lo stesso Bin Laden lasciò la “Three Eyes”, spiazzando Brzezinski, per approdare alla “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush.La “Hathor” è la “loggia del sangue della vendetta” sospettata di aver orchestrato il maxi-attentato dell’11 Settembre. Secondo Magaldi vi fanno parte l’inglese Blair, il francese Sarkozy, il turco Erdogan e lo stesso Abu Bakr Al-Bahdadi, il fantomatico capo dell’Isis, cioè l’ultima incarnazione della “strategia della tensione internazionale” che ha suscitato sconcerto persino tra i falchi della destra economica super-massonica. «Posso provare ogni mia affermazione, esibendo 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi. Qualcuno gliene ha fatto richiesta? Nessuno, mai. Silenzio assoluto, anche sui giornali, di fronte a notizie teoricamente esplosive, perché consentono di mappare il vero potere e smascherare molta ipocrisia ufficiale. Ma il mainstream, semplicemente, tace. Preferisce frugare tra le lenzuola di Woody Allen, fingendo di ignorare l’ipotesi più ovvia, «e cioè che Mia Farrow, moglie abbandonata, gli abbia “messo contro” i figli adottivi per metterlo in cattiva luce». Addirittura sinistro il caso di Spacey, anche lui accusato di molestie, dopo che “House of Cards” ha lasciato intravedere il ruolo del Bohemian Club, «nota associazione paramassonica mondialista che è lo schermo di alcune potentissime Ur-Lodges neo-aristocratiche».Per Magaldi, questo «nuovo maccartismo, di strano segno» non ha giustificazioni: «Le “bufale” esistono, per carità, ma – se costituiscono diffamazione – sono perseguibili per legge. Altra cosa, invece, è questo clima infame, da caccia alle streghe, degno dei regimi polizieschi di sovietica memoria: un metodo “perfetto”, per far fuori chiunque sia scomodo, prendendo per buone le accuse di qualcuno che ce l’ha con te e, per distruggerti, riesuma episodi vecchi di trent’anni. Hai voglia a difenderti in tribunale: finisci alla berlina all’istante, emarginato». Sta accadendo a Woody Allen, ormai in difficoltà con la distribuzione del suo ultimo film, anche per colpa di «attori anche mediocri, o magari vincitori di un Oscar proprio grazie a lui, che oggi lo scaricano in una gara di zelo verminoso, come fosse un appestato da mettere al bando». Il guaio? «Questo meccanismo, fondato sulla delazione indiscriminata e senza controllo, rende tutti più vulnerabili». Un sospetto: «Penso che alcune “manine” americane abbiano soffiato sul fuoco, per creare un clima adatto a eliminare personaggi non graditi al potere». “Manine” americane, fino agli esecutori italiani: «Da noi, grazie all’ineffabile Minniti, sarà la polizia – non la magistratura – a stabilire se una notizia web è vera o no. Siamo al Ministero della Verità di Orwell, sembra di tornare ai tempi dell’Inquisizione». E nel frattempo, silenzio di tomba sulle notizie più indigeste. Bin Laden? Ma certo, il fanatico islamico: il capo dei cattivi.Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».