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Saper lottare per la libertà: Giulietto Chiesa in valle di Susa
«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.E’ un mese stranissimo, quel giugno 2011, nella valle piemontese dove gli amici di Bersani intendono tornare, dopo il primo clamoroso sfratto subito nel 2005 a furor di popolo: migliaia di manifestanti in strada, con davanti i sindaci in fascia tricolore. Scene mai viste, in Italia, dai tempi dei Moti di Reggio Calabria. Sembrava fatta, allora: progetto ritirato, bocciato come inutile e dannoso, oltre che inviso alla popolazione. «Se qualcuno mi riparla ancora di Tav Torino-Lione – aveva scritto Giorgio Bocca – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito dopo il 25 aprile del ‘45». Una favola, quella del Villaggio di Asterix che si oppone alla potenza di Roma. A dire il vero, l’Impero aveva già tuonato minaccioso: il G8 di Genova, l’11 Settembre, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Giulietto Chiesa, altro glorioso giornalista italiano, non era certo rimasto in silenzio: alla sua età non più verde, come inviato della “Stampa” era stato tra i primi a entrare a Kabul con i carri armati dell’Alleanza del Nord, quelli dell’unica fazione presentabile: i Tagiki dell’appena assassinato Ahmad Shad Massud, eroe nazionale. E poi aveva scritto la sua versione dei fatti in un libro memorabile, edito da Feltrinelli ma silenziato dai giornali: “La guerra infinita”. Rivelazione: una tragica barzelletta, la versione ufficiale del maxi-attentato alle Torri Gemelle. Così, il prestigioso inviato (una vita a Mosca, per le testate più importanti) si era guadagnato la nomea di visionario complottista.Di tutti i big del giornalismo italiano – gli ha reso omaggio Paolo Barnard, cofondatore di “Report” – Giulietto Chiesa è il solo che abbia saputo mettere a repentaglio la sua carriera per amore della verità, rinunciando a onori e privilegi. Oggi, i tremila architetti e ingegneri americani che si sono dannati l’anima per ricostruire gli eventi di quel maledetto 11 settembre 2001 sono pervenuti a una certezza: le Twin Towers (insieme all’Edificio 7) crollarono per demolizione controllata, non certo per l’impatto di aerei di linea dirottati. Era così indistruttibile, il World Trade Center, che il Comune di New York pretese che il progetto edilizio venisse corredato con un piano obbligatorio per l’eventuale demolizione: in quel caso, i tecnici stabilirono che solo delle bombe atomiche – installate nelle fondamenta – avrebbero potuto garantirne il crollo. Non è un mistero: costruirono dei bunker per alloggiare all’occorrenza le famose mini-nukes. E’ tutto scritto, nelle carte dell’ufficio edilizia newyorkese. Ma guai a ricordarlo: si passa per malati di mente. Ormai va così, il mondo: il giornalismo mainstream diventa “embedded”, abdicando alla sua antica funzione di “cane da guardia della democrazia”. Restano in circolazione solo i battitori liberi. Ragazzi coraggiosi, qualche raro “senatore”. Ma uno solo – ricorda Barnard – capace di rischiare tutto. Uno che da perdere aveva tantissimo: gli appoggi nell’editoria, l’ospitalità dei talkshow e molto altro.Giugno 2011, si diceva: valle di Susa. Che succede, in quei giorni? Semplice: ripartita la Banda del Buco, la grande cordata politico-finanziaria che vuole il tunnel ferroviario italo-francese, perfetto e inutile doppione del Traforo del Fréjus lungo la linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle, i NoTav si sono accampati tra i vigneti alpini della Maddalena di Chiomonte, prescelti per il cantiere-bis. Una tendopoli festosa, formato famiglia, come quelle dei boy-scout. La Libera Repubblica della Maddalena. Canti e balli, concerti, assemblee. E un profumo stranissimo di libertà: l’orgoglio di chi pensa di essere dalla parte del giusto, e si illude di rappresentare un’avanguardia per l’Italia intera, a cui manda un avvertimento. In spiccioli: attenzione, oggi tocca a noi montanari, ma domani ci rimetterete tutti. Ormai siamo alle prese con un potere brutale, senza volto, sempre meno democratico, che ne se infischia di tutti. I partiti? Scomparsi. Il cittadino è solo, di fronte alla minaccia. Non ci sono più corpi intermedi, nessuno che tuteli i diritti sociali elementari. Sembra quasi l’antipasto di una possibile dittatura orchestrata da tecnocrati. Prendere o lasciare, non c’è alternativa: quel che è stato deciso si deve fare, punto e basta. E voi toglietevi di mezzo, altrimenti vi spazziamo via con le cattive. Oggi, le orecchie si sono abituate: dal “ce lo chiede l’Europa” all’attuale “è il coronavirus, bellezza, e tu non puoi farci niente”. Suona familiare?Domenica 26 giugno, Torino, aeroporto di Caselle. Mezzanotte. Tanto per cambiare, il volo Alitalia atterra con un’ora di ritardo. Il Vecchio è di ottimo umore: non vede l’ora di vederla, la Libera Repubblica, prima che alla Maddalena – di lì a poche ore – irrompano le truppe antisommossa spedite fin lassù dal ministro dell’interno Roberto Maroni e dal capo della polizia, Antonio Manganelli. La valle è avvolta nel buio, la vecchia Volvo arranca lungo la salita. Una volta a Chiomonte, lo spettacolo di una luminaria infinita: cinquemila fiaccole che sciamano dalla Maddalena, sfollando verso il paese. «Ma che fanno, se ne vanno via?». «Sì, hanno paura: temono che domattina la polizia arrivi davvero». A fermare la Volvo, una barricata in mezzo alla strada. «Ah, siete voi? Un attimo di pazienza, e vi apriamo». Il varco si spalanca, così l’auto si può arrampicare tra i vigneti scuri e la processione delle ultime fiaccole in ritirata. In cima alla salita, c’è una specie di stato maggiore ad accogliere l’Anziano. Strette di mano, silenzi. L’aria è tesa. Presidiano l’area quasi mille manifestanti, rimasti sul posto per attendere l’alba. Ci sono le tende, ma nessuno chiude occhio. Tutti in allerta: chi sul prato, chi a sorvegliare barricate e sbarramenti. Una specie di assedio medievale, ma senza armi. «Speravamo di cenare: si può avere almeno un panino?». Macché: chiusa la cucina da campo, sprangato anche il chiosco delle bibite. Tutta la notte, senza nemmeno il conforto di una birra.Uno alla volta, al Vecchio venuto da Roma si avvicinano in tanti. Qualche sindaco, che vuole ringraziarlo di essersi preso la briga di infilarsi, alla sua veneranda età, in un pasticcio come quello. Tra i più entusiasti c’è un coetaneo, Enzo Debernardi: ha scoperto che, in gioventù, con l’Anziano aveva condiviso la stessa scuola di partito, le mitiche Frattocchie. A proposito di comunisti: ecco Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione; inganna l’attesa sotto un tendone, giocando a carte. Sono tanti, i visi amici che popolano l’ultima notte della Libera Repubblica. Per esempio il sociologo Marco Revelli e i giovani giornalisti del “Fatto Quotidiano”, Cosimo Caridi e Lorenzo Gaelazzi. Il clima cambia quando compaiono Maurizio Tropeano della “Stampa” e Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, poi autore di un esemplare reportage. Colpisce il loro abbigliamento: scarponi e caschetti, fazzoletto per proteggersi il volto, scorte di limone per resistere ai lacrimogeni. Alle quattro di mattina, nel buio ancora fondo, c’è chi si ostina a sperare che si sia trattato solo di un falso allarme, illudendosi che lo sgombero non ci sarà. Mezz’ora dopo, i primi sms: «Attenti, i poliziotti hanno lasciato gli alberghi: si stanno preparando». Duemila in tutto: tra agenti, carabinieri e finanzieri.Prima del sorgere del sole, compaiono le colonne blindate. I NoTav prendono posto sulle barricate. La consegna è precisa: opporre una resistenza passiva, senz’ombra di violenza. I sindaci fanno da tramite con la Digos: «Se non voleranno pietre, non ci sarà nessuna carica». La missione della polizia: conquistare il pratone della Maddalena lentamente, senza fretta, prima di sera. Una giornata che si annuncia lunghissima, snervante, infinita. Rischio: qualche spintone, al massimo. Questo, almeno, in teoria. Perché poi, in pratica, non si può mai sapere come andrà a finire. Il Vecchio scruta lo spettacolo dall’alto, dal belvedere della Maddalena. Tutto come da copione: la polizia che avanza con calma, mentre gli elicotteri presidiano il cielo. Se appena qualche sconosciuto afferra una pietra, le sentinelle NoTav gli volano addosso per disarmarlo. Le ore scorrono lentissime, e gli agenti ormai sono di fronte agli sbarramenti. Urla, concitazione, nuvole di lacrimogeni. E il Vecchio? Eccolo là, stanchissimo, sprofondato su una poltroncina di plastica. E’ avvolto in un poncho rosso, che gli hanno gettato sulle spalle: sembra Garibaldi. E’ provato: il volo serale, la pancia vuota. Tutta la notte in piedi, e poi l’intera mattinata in stato di tensione. In quei momenti, anche solo un caffè farebbe miracoli. Ma non c’è tempo. Di colpo, il pratone viene invaso dai NoTav in fuga, inseguiti. Bisogna scappare. Dove? Su per il bosco, decide Garibaldi, d’istinto.Un attimo, ed è già tardi: l’aria diventa grigia, visibilità zero. E’ la nebbia chimica dei gas Cs. Così si brancola, accecati. Manca il respiro: quel gas regala un’autentica sensazione di soffocamento. Panico e caos, in mezzo alla marea dei NoTav in rotta: corrono a centinaia, nella nebbia, incalzati agli agenti. Sono una grandine, i lacrimogeni che piovono da ogni parte. Nel nebbione, una ragazza si accorge del Vecchio che tossisce, rantola, non riesce a riaprire gli occhi. Gli passa una bottiglia d’acqua. Torna la vista, e pian piano anche il fiato. Bisogna risparmiarlo: il sentiero nel bosco – unica via di fuga – è roba da alpinisti (e il Vecchio scivola tra i sassi, zampettando sui mocassini). Lentamente, si forma una colonna di profughi. Un serpentone in rotta, tra gli alberi, tallonato dagli elicotteri. Una fatica devastante, nel caldo che intanto si è fatto insopportabile. Finito il bosco, compare una borgata. Gli abitanti sembrano caschi blu dell’Onu: offrono caffè e un bicchiere di vino. I profughi, stremati, si tuffano nelle fontane. Sollievo generale: è davvero finita, a quanto pare? Non ancora: dalla borgata alpina lo si vede benissimo, quello che sta succedendo laggiù. Nel fondovalle, centinaia di manifestanti NoTav hanno bloccato la statale, per protesta. Chi ha raggiunto le case in cima al bosco è rimasto intrappolato: non potrà allontanarsi in auto.Poco più in là, gli sherpa che guidano l’Anziano bussano a una baita, a dieci minuti di strada, che funziona anche come ristorante. C’è davvero bisogno, finalmente, di mettere qualcosa sotto i denti. «Oggi siamo chiusi», è la risposta. Sguardi interrogativi. «Ma voi venite dalla Maddalena?». E certo, non si vede? «Entrate, allora. Vediamo cos’è rimasto, da mangiare». In un amen, prende forma una specie di banchetto. Dalla dispensa esce ogni ben di Dio, taglieri di salumi e formaggi, persino uno spettacolare arrosto con patate di montagna. A un certo punto, l’oste si accorge che il Vecchio è sparito. «E’ fuori, dev’essere uscito a telefonare». Va ad avvertirlo che il suo arrosto è pronto, ma rimane interdetto: «Dorme, non oso svegliarlo. Si è addormentato, seduto sui gradini». Naturale: tutti stanno crollando dal sonno. Solo che non hanno settant’anni suonati, e non sono partiti da Roma la sera prima. «Scusate, ma chi è? Mi sembra di averlo giù visto, in televisione».Esatto, è proprio lui: Giulietto Chiesa. L’unico grande veterano dell’informazione, capace di spingersi in quella valle della malora per viverla fino in fondo, in prima persona, l’ultima notte di quella avventurosa Libera Repubblica. Tutti bravi, i colleghi, a storcere poi il naso di fronte alle prime violenze esplose in seguito, generate dalla rabbia, dopo anni di proteste prima accorate e poi disperate, sempre inascoltate. Nel frattempo dov’erano, i giornalisti? Comodo, a cose fatte, liquidare la questione: mera faccenda di ordine pubblico. Inaccettabile, lasciar degradare una battaglia civile tollerando la comparsa di frange violente? Giusto, ma nessuno s’è domandato il perché di tutto questo? Lui sì, l’aveva fatto. L’unico, davvero, a rispondere «presente, eccomi qua». Capace addirittura di tornare a Torino, anni dopo, a deporre in tribunale. La differenza? Sta nel coraggio di non tirarsi indietro, di fronte a rogne che chiunque altro eviterebbe. Significa saper entrare nel cuore delle cose, scoprire i fatti, guardare negli occhi le persone. Specie se sono sole, senza amici che contino, senza difensori. E alle prese con un avversario onnipotente, che poi alla fine tanti altri italiani – col tempo – riconosceranno come problema comune: un nemico subdolo e bugiardo, pronto a a mentire a reti unificate pur di calpestare qualsiasi residua sovranità, trasmettendo il seguente messaggio: tu, semplice cittadino, ormai non conti più niente. Descansate, niño.Un anno più tardi, ci volle l’eroismo solitario e nonviolento di Luca Abbà, precipitato dal traliccio in cima al quale s’era arrampicato, per scomodare la mitica troupe di Michele Santoro: vuoi vedere che in valle di Susa c’è un problema grosso come una casa, per la democrazia italiana? Archiviato intanto il Cavaliere, il paese – con Letta, Renzi e Gentiloni – scivolava sul piano inclinato del meno peggio, fino all’attuale molto peggio: l’incubo della polizia sanitaria e gli arresti domiciliari di massa, il Distanziamento, il suicidio dell’economia stabilito per decreto. Qualcuno decide tutto, lassù, sopra la testa di sessanta milioni di persone. L’alibi può cambiare, la sostanza no: fine della libertà, attraverso l’imposizione (a mano armata, anche) dei voleri di un potere oscuro – finanziario, addirittura sanitario – che nessuno ha mai scelto, votato, approvato. Si può cominciare con un’inutile super-ferrovia, e si finisce con le museruole imposte ai bambini ai giardinetti, in attesa del vaccino universale obbligatorio, del tracciamento orwelliano, del microchip sottopelle. Dove portasse, quel vicolo maledetto – sbarrato dalle innocue barricate dimostrative della valle di Susa – erano stati davvero in pochi, a capirlo. Quel memorabile lunedì 27 giugno del 2011, a tarda sera, Giulietto Chiesa era ancora nella vallata in rivolta. Volle raggiungere Bussoleno, la cittadina del fondovalle dove i reduci NoTav erano radunati in assemblea. Una folla oceanica. Quando lo videro, esplose un’ovazione. Era per pronunciare l’unica frase possibile: grazie, Giulietto.Chi esce dai ranghi per affrontare l’ignoto va sempre incontro a grossi guai, e finisce per collezionare insulti: la destra ottusa ha accusato il Vecchio di essere una specie di incorreggibile nostalgico del comunismo sovietico, mente la sinistra l’ha detestato (altrettanto cordialmente) per la sua lucida, imperdonabile diserzione. «Non avete capito niente, della mutazione del mondo», ripeteva, agli ex compagni: «Quelli di voi che sono in buona fede perdono ancora tempo ad accanirsi contro i piccoli politici italiani, che non contano nulla, senza vedere che i leader “riformisti” si sono venduti all’élite mondialista, ai Padroni dell’Universo: quelli che se decidono di costruire una ferrovia miliardaria e inutile sono capaci di schiacciare la popolazione, senza nessuna pietà e senza dare spiegazioni». Ai NoTav, secoli prima dell’avvento della Salvini-Fobia, regalò queste parole: «E’ stata l’élite neoliberista, appoggiata anche dalla sinistra, a impoverire tutti, esasperando gli animi: al punto che, domani, avrà buon gioco il primo cialtrone che si metterà a incolpare i neri, gli zingari o qualsiasi altro disgraziato». Veniva dalla Luna, Giulietto Chiesa? «Canto l’uomo che è morto, non il Dio che è risorto», recita Lucio Dalla tra i versi di quella sua canzone, “Comunista”, riflettendo sull’eroismo di chi si dispone controvento, a proprio rischio, perché sente – prima e meglio degli altri – che soccorrere l’umanità in pericolo è l’unico modo dignitoso di essere uomini, prima ancora che giornalisti.(Giorgio Cattaneo, 27 giugno 2020).«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.
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Tutti i mafiosi sono Sì Tav: la ‘ndrangheta nella Torino-Lione
Non tutti i SìTav sono mafiosi, certo. In compenso, tutti i mafiosi sono Sì Tav. Lo afferma il sociologo Marco Revelli su “Volere la Luna”, mettendo in ridicolo le Madamine e la massa in arancione mobilitata soprattutto dal Pd attraverso Sergio Chiamparino, raccontando che il Piemonte rimarrebbe isolato dall’Europa se non si costruisse l’inutile ferrovia Torino-Lione, doppione perfetto dell’attuale linea italo-francese che già attraversa la valle di Susa. Cos’è successo, nel frattempo? Una serie di arresti hanno permesso di far emergere il retroterra mafioso che inquinerebbe molti appetiti cantieristici. «A differenza di tanta brava gente», scrive Revelli, i mafiosi «non hanno falsa coscienza e non credono alle favole». Ovvero: «Sanno benissimo che un’opera inutile, dannosa, e soprattutto molto, ma molto, costosa, serve solo a chi la fa. E fanno di tutto per essere tra chi la fa». Revelli sottolinea il recente arresto di Roberto Rosso, esponente del centrodestra piemontese, tra i più accaniti supporter della Torino-Lione: «E’ accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” per l’acquisto di pacchetti di voti da rappresentanti di primo piano in Piemonte della cosca dei Bonavota (nomen atque omen) di Vibo Valentia». Insieme al collega Agostino Ghiglia, ricorda Revelli, il 20 maggio proprio Rosso aveva srotolato dal balcone del municipio di Torino uno striscione SìTav e il simbolo “Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia”.Lo stesso Rosso aveva esortato il centrodestra a non disertare la seconda manifestazione delle Madamine, il 17 maggio, per non lasciare al solo Chiamparino «il verbo SìTav» (per Forza Italia ci sarà Lara Comi, ora arrestata «con l’accusa di corruzione e truffa ai danni dell’Ue», e per il Pd sarà presente Maria Elena Boschi). Ancora lo scorso 10 novembre, continua Revelli, Rosso (nel frattempo promosso assessore regionale “alla legalità” nella giunta di Alberto Cirio), aveva festeggiato il compleanno della prima manifestazione SìTav «con una bicchierata insieme al collega Mino Giachino e al forzista Paolo Zangrillo, ancora una volta invocando il pugno duro della “giustizia” contro i delinquenti dei centri sociali e i “fautori dell’illegalità” della val di Susa». Mai fare d’ogni erba un fascio, ammette Revelli, per di più se – nel caso di Rosso – si parla di un procedimento giudiziario ancora all’inizio, ben lontano da una condanna. «Sono convinto che, in quella piazza sbagliata, erano certo tante le persone in buona fede, quelli che credevano davvero alla “fake” secondo cui senza il super-treno e soprattutto il super-tunnel da 57 chilometri Torino resterebbe del tutto scollegata dall’Europa», scrive Revelli. In tanti s’erano bevuto la bufala di Chiamparino, «secondo cui al fondo di quella galleria si potrebbe contemplare il sol dell’avvenire anziché il ghigno degli affaristi transfrontalieri».Di fatto, però, «dal momento in cui sono incominciate le maxi-indagini sulla penetrazione della ‘ndrangheta in Piemonte, non ce n’è stata una che non abbia tirato nella rete qualche pesce più o meno grosso di ‘ndrina coinvolto con gli appalti Tav o fortemente interessato ad essi, tanto da interferire più o meno pesantemente con le politiche locali, comunali, regionali, di valle o di comprensorio». Così – continua Revelli – è stato per la maxi-indagine “Minotauro”, in cui era incappato Giovanni Toro, condannato a sette anni (quello del «la mangio io la torta Tav»), la cui ditta aveva asfaltato la strada per i mezzi della polizia nel cantiere della Val Clarea «e il cui uomo di fiducia, Bruno Iaria (condanna a cinque anni), capo della locale ‘ndrina di Cuorgné, era stato capocantiere per la ditta di Fernando Lazzaro (anch’egli finito in carcere) che eseguiva i primi lavori di insediamento a Chiomonte». Così anche per l’indagine “San Michele” della procura di Torino, che portò a rivelare le azioni intimidatorie compiute dalla ‘ndrina di San Mauro Marchesato al fine di favorire ditte vicine «agli interessi della cosca nei lavori di costruzione della Tav Torino-Lione». In quel caso, aggiunge Revelli, è stata la stessa Corte di Cassazione a certificare che «la ‘ndrangheta era interessata a lavori di costruzione del Tav Torino-Lione in valle di Susa».L’ultima retata, nell’ambito dell’inchiesta “Fenice”, non ha portato solo all’arresto di Rosso: ha scoperchiato anche «un fitto intreccio di interessi, da parte della ‘ndrangheta, a che i lavori per il Tav in valle Susa riprendessero e “il cantiere di val Clarea andasse avanti”». Interessi documentati dall’impegno di due presunti ‘ndranghetisti di rango, Francesco Viterbo (quello che dice «io i giudici li metterei tutti sopra una barca e poi gli sparerei») e Onofrio Garcea, «figura importante della ’ndrangheta a Genova (condannato in attesa di Cassazione), ma da tempo attivo a Torino», dove sarebbe stato «spedito a riorganizzare le file dell’organizzazione mafiosa nell’area di Carmagnola, scompaginate a marzo dall’operazione “Carminius”». C’erano anche loro, nella piazza torinese delle Madamine, a tutelare i propri affari futuri? Forse, semplicemente, «se ne stavano tranquilli a casa a sghignazzare – come gli imprenditori ignobili per il terremoto dell’Aquila – a vedere tanta brava gente lavorare per loro e a contemplare lo scempio paesaggistico e sociale del cantiere in Val Clarea».Non tutti i SìTav sono mafiosi, certo. In compenso, tutti i mafiosi sono Sì Tav. Lo afferma il sociologo Marco Revelli su “Volere la Luna“, mettendo in ridicolo le Madamine e la massa in arancione mobilitata soprattutto dal Pd attraverso Sergio Chiamparino, raccontando che il Piemonte rimarrebbe isolato dall’Europa se non si costruisse l’inutile ferrovia Torino-Lione, doppione perfetto dell’attuale linea italo-francese che già attraversa la valle di Susa. Cos’è successo, nel frattempo? Una serie di arresti hanno permesso di far emergere il retroterra mafioso che inquinerebbe molti appetiti cantieristici. «A differenza di tanta brava gente», scrive Revelli, i mafiosi «non hanno falsa coscienza e non credono alle favole». Ovvero: «Sanno benissimo che un’opera inutile, dannosa, e soprattutto molto, ma molto, costosa, serve solo a chi la fa. E fanno di tutto per essere tra chi la fa». Revelli sottolinea il recente arresto di Roberto Rosso, esponente del centrodestra piemontese, tra i più accaniti supporter della Torino-Lione: «E’ accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” per l’acquisto di pacchetti di voti da rappresentanti di primo piano in Piemonte della cosca dei Bonavota (nomen atque omen) di Vibo Valentia». Insieme al collega Agostino Ghiglia, ricorda Revelli, il 20 maggio proprio Rosso aveva srotolato dal balcone del municipio di Torino uno striscione SìTav e il simbolo “Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia”.
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“Inaugurata” la Torino-Lione, che continua a non esistere
Con l’ipocrisia che lo caratterizza, il Conte-bis riesce a barare persino sul Tav Torino-Lione, evitando di presentarsi in Francia dove è stata completata l’ultima galleria geognostica in cantiere, quella di Saint-Martin-La-Porte, a oltre venti chilometri di distanza dalla frontiera stradale italiana. Cerimonia in pompa magna, con tanto di bandiere. Assente la banda-Conte, per evitare di riacutizzare la sofferenza dei 5 Stelle, che della battaglia NoTav avevano fatto una questione di vita o di morte. Il colmo è che i media – per il quali il mini-cantiere esplorativo di Chiomonte (perpendicolare al tracciato) era «l’anticamera del traforo, ormai in dirittura d’arrivo», ora accusano gli oppositori: ma non avevate raccontato che della Torino-Lione non era stato scavato neppure un metro? Infatti, così è: solo che i 9 chilometri della piccola galleria francese vengono ora contrabbandati per “il primo tronco” della connessione con l’Italia, essendo in asse con l’ipotetica, futura ferrovia. Nulla di strano, in realtà: fedele agli impegni presi nei decenni passati, la Francia ha sempre appoggiato il progetto del traforo, largamente finanziato dall’Italia, senza però varare la connessione ferroviaria tra la frontiera e Lione: Parigi ha infatti stabilito che ne valuterà l’opportunità solo nel 2038, sempre che i dati (oggi contrari all’opera) ne dimostrino l’utilità.
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Tav irreversibile, fermarlo costa: la madre di tutte le bufale
Non puoi ribellarti al potere dello Stato, di fronte a una decisione del governo. Ma se il governo interviene sul corpo delle persone, come nel caso dei vaccini obbligatori, ha l’obbligo di essere trasparente. E il governo italiano non lo è stato per nulla: non ha dato garanzie scientifiche sulla sicurezza dei vaccini somministrati e, soprattutto, non ha spiegato perché li ha imposti, in assenza di emergenze sanitarie. Un ragionamento impeccabile, offerto nei mesi scorsi da Gianfranco Carpeoro, saggista, autore di acute analisi sull’attualità italiana. Dai vaccini al Tav, usato come pretesto per far crollare il governo gialloverde, il problema è analogo: lo Stato impone un’infrastruttura dall’impatto devastante, ma senza spiegarne le ragioni. Ovvio che è inaccettabile opporvisi violando la legge. Ma è altrettanto inaccettabile, per il cittadino, dover subire quello che viene percepito come un sopruso. Gli abitanti della valle di Susa hanno il diritto, innanzitutto, di essere informati sulla reale utilità dell’opera. Ma questo diritto elementare viene loro negato, da vent’anni. Forse perché l’opera è completamente inutile? Lo conferma l’analisi costi-benefici fornita al governo dal professor Marco Ponti, su incarico del ministro Toninelli. Un progetto costoso, obsoleto e inutile. Ma peggio: si continua a dire che rinunciare alla Torino-Lione costerebbe più che costruirla. E qui la menzogna naufraga nel ridicolo.«In base a quanto ci hanno riferito sia fonti della Commissione Europea sia Paolo Beria, professore del Politecnico di Milano esperto di trasporti, pur nell’opacità (e complessità) dei dettagli che circondano la Tav, è vero – come sostengono i NoTav che non siano previste penali europee nel caso in cui l’Italia abbandoni il progetto», riassume l’Agi. L’agenzia di stampa ha interpellato Paolo Foietta, commissario straordinario per l’asse ferroviario Torino-Lione: Foietta conferma l’assenza di penali, a livello europeo, in caso di mancata realizzazione. Finora è stato realizzato solo il “cunicolo esplorativo” di Chiomonte, che ha funzione geognostica. Del traforo Italia-Francia, lungo 57 chilometri, non è stato scavato neppure un metro. Idem per la linea-doppione che collegherebbe il tunnel a Torino. Quanto al versante francese, Parigi ha stabilito che solo nel 2038 il governo prenderà in esame la possibilità di costruire la ferrovia, dall’uscita del traforo a Chambéry (verso Lione). Spiega Foietta: finora sono stati spesi 1,4 miliardi di euro, ma solo per le opere preliminari (700 milioni forniti dall’Ue e 350 dalla Francia). «Se l’opera non venisse completata per una decisione dell’Italia – sostiene Foietta – chi ha speso quei soldi per un’opera che poi non viene compiuta potrebbe chiederceli indietro».A questo miliardo circa possiamo poi aggiungere gli 813 milioni di finanziamento europeo per il 2014-2019, già stanziati. Quei fondi però non sarebbero una perdita, spiega il professor Beria: «Si tratta di un co-finanziamento. Cioè: oltre a quei soldi l’Italia dovrebbe spenderne altri, propri, per completare l’opera. Se l’opera viene ritenuta inutile, è vero che non ho i fondi europei per farla e dunque li devo restituire, ma non spendo nemmeno fondi italiani, e dunque di fatto ho un risparmio». Quanto costerebbe, eventualmente, chiudere il cantiere di Chiomonte? Foietta “spara” una cifra enorme – 2 miliardi – ma senza documentarla, perlomeno nell’intervista concessa all’Agi. Secondo l’agenzia di stampa, quegli ipotetici 2 due miliardi sono costituiti da “voci” con diverso grado di certezza: per metà sarebbero rimborsi che l’Italia potrebbe dover dare a Francia e Ue per il mancato completamento dell’opera, e per metà sarebbero finanziamenti già stanziati che andrebbero restituiti senza poterli spendere. «Infine, ci sono altri costi connessi ai possibili procedimenti legali intentati dalle imprese già coinvolte». Conclusione: non risultano “penali” per l’Italia nel caso in cui decida di uscire dal progetto. «Roma dovrebbe però restituire un finanziamento europeo di oltre 800 milioni di euro».Quanto costerebbe, invece, realizzare la Torino-Lione? Non meno di 26 miliardi di euro, scrive – nero su bianco – la Corte dei Conti francese. Di questi, circa 11 miliardi sarebbero destinati alla sola galleria ferroviaria italo-francese, di cui non esiste neppure il cantiere. Come si fa a dire, ancora, che “non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla”? Si può, eccome: lo hanno ripetuto Conte e Salvini, nonché il neo-presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Non sanno fare i conti o, semplicemente, mentono? Sperano che, a forza di ripeterla, una bugia si trasformi in verità? I media continano a proporre le immagini del mini-cantiere di Chiomonte, come se fosse il vero tunnel ferroviario. Si vuole far credere agli italiani di essere a un passo dalla meta, mentre della Torino-Lione non esiste ancora neppure un metro di binario? Quand’anche: resta inevaso l’obbligo primario di rispettare un diritto fondamentale, democratico. Se vuole devastare un territorio imponendo una infrastruttura faraonica e inutile, che il territorio contesta, lo Stato – che è sovrano – deve impegnarsi politicamente a fornirne le motivazioni. Se continua a non farlo, la sua credibilità istituzionale si sbriciola. Ed è esattamente quello che purtroppo sta accadendo.Non puoi ribellarti al potere dello Stato, di fronte a una decisione del governo. Ma se il governo interviene sul corpo delle persone, come nel caso dei vaccini obbligatori, ha l’obbligo di essere trasparente. E il governo italiano non lo è stato per nulla: non ha dato garanzie scientifiche sulla sicurezza dei vaccini somministrati e, soprattutto, non ha spiegato perché li ha imposti, in assenza di emergenze sanitarie. Un ragionamento impeccabile, offerto nei mesi scorsi da Gianfranco Carpeoro, saggista, autore di acute analisi sull’attualità italiana. Dai vaccini al Tav, usato come pretesto per far crollare il governo gialloverde, il problema è analogo: lo Stato impone un’infrastruttura dall’impatto devastante, ma senza spiegarne le ragioni. Ovvio che è inaccettabile opporvisi violando la legge. Ma è altrettanto inaccettabile, per il cittadino, dover subire quello che viene percepito come un sopruso. Gli abitanti della valle di Susa hanno il diritto, innanzitutto, di essere informati sulla reale utilità dell’opera. Ma questo diritto elementare viene loro negato, da vent’anni. Forse perché l’opera è completamente inutile? Lo conferma l’analisi costi-benefici fornita al governo dal professor Marco Ponti, su incarico del ministro Toninelli. Un progetto costoso, obsoleto e inutile. Ma peggio: si continua a dire che rinunciare alla Torino-Lione costerebbe più che costruirla. E qui la menzogna naufraga nel ridicolo.
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Biglino: con la religione, il potere nasconde la nostra origine
Da un certo punto in avanti, sono cominciate a nascere quelle che conosciamo come civiltà. E le civiltà sono state governate dalle caste dominanti, cioè i sacerdoti o i re-sacerdoti. Purtroppo, essendo stati educati dalla cultura in cui siamo cresciuti, quando nominiamo il termine “sacerdote” ci viene in mente il nostro sacerdorte, quello che avrebbe il compito di occuparsi di anime da portare a Dio. In realtà, i sacerdoti di allora tutto facevano, meno che occuparsi di anime: erano i governatori locali per conto delle divinità. Quindi erano dei governatori laici, diremmo oggi, che si occupavano dei beni delle divinità – che erano, chiaramente, individui in carne e ossa. Questa cosa rappresentava il potere. E sappiamo benissimo che, per mantenere il potere, bisogna innanzitutto gestire e mantenere la conoscenza – ma la conoscenza vera, quella che è riservata a chi comanda; perché gli altri, sotto, devono rimanere nell’ignoranza. E guardate che questa cosa non è cambiata, nel modo più assoluto. Noi ci illudiamo, di sapere.Mi hanno spiegato come funziona il web. Quando andiamo su Google, noi vediamo il 4% di ciò che gira sul web. Sotto c’è il Deep Web, e più sotto c’è il Dark Web: lì c’è il 96% di ciò che gira in Rete. A noi viene data solo la superficie: e siamo convinti, con questo, di sapere un sacco di cose. In realtà, sappiamo solo ciò che è stabilito che noi si sappia (cioè il 4%). Se per caso un giorno vi venisse in mente di andare nel Dark Web, prendete un computer apposta e non metteteci dentro niente, perché – appena entrati – tutto il contenuto diventa di proprietà di altri, e da quel momento siete fritti. Capite? Noi viviamo in un mondo di superficie. Ma questo inganno – che vale tuttora (e i governanti lo sanno molto bene, tant’è che ci tengono chiusi in recinti ben divisi e separati, facendo in modo di metterci gli uni contro gli altri) – non è soltanto un prodotto della modernità. Questa cosa è iniziata millenni fa: gli antichi lo sapevano, e lo scrivevano pure.Eusebio di Cesarea, uno dei Padri della Chiesa, riprendendo gli studi di Filone di Biblos, vissuto circa 2.000 anni fa, parla di Sanchuniathon, un sacerdote del 1200 avanti Cristo (cioè 3.200 anni fa). Ora, questo Sanchuniathon, «imbattutosi in certi libri segreti che stati fino ad allora nascosti nei penetrali del Tempio di Amon, si dedicò al loro studio per comprendere tutte quelle cose che non a tutti era dato conoscere». E perché? «Perché i sacerdoti, che egli critica aspramente, hanno interpretato in maniera allegorica, e poggiandosi su spiegazioni e teorie, e perciò snaturandoli, i racconti riguardanti gli dei». Ma i più recenti scrittori che si sono occupati di storia sacra, continua Eusebio, «hanno ripudiato i fatti», avvenuti in principio. «E dopo aver inventato allegorie e miti, che combinarono in modo tale da ricondurli per esempio a fenomeni cosmici, istituirono dei misteri; e li avvolsero in un’oscurità così densa, che non era possibile vedere facilmente i fatti realmente avvenuti».Più vado avanti, e mi più mi accorgo che gli antichi ci hanno raccontato fatti realmente avvenuti. Ma sono fatti che non dovevano (e non devono) essere conosciuti. Sono fatti che devono essere nascosti sotto l’allegoria, sotto il mito, sotto la sinbologia, dentro la categoria del mistero. Perché, se si conoscono quei fatti, cadono tutti i sistemi di potere. Non c’è niente da fare, bisogna rendersene conto: i sistemi di potere cadono, se si conoscono quei fatti. Ed è per questo che fanno di tutto di evitare che certe cose vengano dette. Ma noi adesso per fortuna li abbiamo, gli strumenti per cominciare a indagare. Infatti, sempre Eusebio di Cesarea scrive che i sacerdoti che vissero dopo Sanchuniathon «vollero nascondere nuovamente la verità e ritornare al mito; da allora ebbero origine i Misteri, che ancora non erano stati introdotti presso i greci». Quindi ce lo scrivono duemila anni fa, che già stavano ingannando.«I nostri orecchi, abituati fin dall’infanzia alle loro invenzioni e martellati ormai da tanti secoli da queste fantasie – continua Eusebio – custodiscono quasi come un deposito la materia favolosa da queste favole, che essi hanno appreso». E ancora: «Rafforzate dal tempo, queste invenzioni fantastiche sono diventate un patrimonio di cui assai difficilmente ci si può disfare, tanto che la verità sembra una fantasticheria, mentre i racconti contraffatti sembrano avere tutti i caratteri della verità». Queste cose, ripeto, le scrivevano duemila anni fa: se n’erano già accorti. Ma è chiaro che il potere è talmente forte che è riuscito a perpetrare questo inganno. Lo vediamo ancora ai nostri giorni. L’ufficialità dice: visto che una cosa non è possibile, allora non è vera. Non è possibile? E chi l’ha detto? Non è una affermazione scientifica. Io mi muovo all’opposto: facendo finta che un fenomeno sia possibile, poi scopro tutta una serie di cose che sono, se non “vere”, almeno logiche e sensate, perché si spiegano benissimo da sé, senza la necessità di inventare nulla (basta leggere ciò che c’è scritto).Se invece si parte da quell’assunto – visto che non è possibile, non è vero – allora non c’è neppure possibilità di dialogo. «Dalle loro testimonianze – aggiunge sempre Eusebio – risulta che, tra gli antichi, i primi che diedero una sistemazione organica alle dottrine sugli dei non si sono assolutamente richiamati alle interpretazioni figurate, derivate dalla natura, né hanno interpretato allegoricamente i miti sugli dei; ma al contrario, attenendosi soltanto al senso letterale, hanno rispettato rigorosamente la verità della storia». Capite? All’inizio si attenevano al significato letterale e hanno rispettato la storia. Poi hanno cominciato a inventarsi le allegorie, i simboli e i misteri, e la storia non è più stata rispettata. E a noi, mi spiace dirlo, per quanto riguarda l’antichità viene raccontata questa storia: quella che non rispetta la verità. Quindi, ecco il metodo: sentiamo cosa ci dicono davvero, gli antichi, perché altrimenti restiamo nel mondo della favola e dell’allegoria.(Mauro Biglino, estratto della conferenza “Elohim, signori delle montagne” tenutasi il 2 luglio 2019 al Pian del Frais di Chiomonte, in valle di Susa. Già traduttore ufficiale della Bibbia per le cattoliche Edizioni San Paolo, Biglino propone la riscoperta della lettura letterale dell’Antico Testamento, che non rivela mai la presenza di divinità spirituali, eterne e onniscienti, ma si limita a parlare di Yahwè come di uno dei tanti Elohim: tutti individui in carne e ossa, potenti ma non onnipotenti né immortali, scesi sulla Terra a governare l’homo sapiens dopo averlo “fabbricato” loro stessi, mediante clonazione genetica).Da un certo punto in avanti, sono cominciate a nascere quelle che conosciamo come civiltà. E le civiltà sono state governate dalle caste dominanti, cioè i sacerdoti o i re-sacerdoti. Purtroppo, essendo stati educati dalla cultura in cui siamo cresciuti, quando nominiamo il termine “sacerdote” ci viene in mente il nostro sacerdote, quello che avrebbe il compito di occuparsi di anime da portare a Dio. In realtà, i sacerdoti di allora tutto facevano, meno che occuparsi di anime: erano i governatori locali per conto delle divinità. Quindi erano dei governatori laici, diremmo oggi, che si occupavano dei beni delle divinità – che erano, chiaramente, individui in carne e ossa. Questa cosa rappresentava il potere. E sappiamo benissimo che, per mantenere il potere, bisogna innanzitutto gestire e mantenere la conoscenza – ma la conoscenza vera, quella che è riservata a chi comanda; perché gli altri, sotto, devono rimanere nell’ignoranza. E guardate che questa cosa non è cambiata, nel modo più assoluto. Noi ci illudiamo, di sapere.
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Sul Tav, suicidio gialloverde: sembra Salvini, ma è Fantozzi
L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto. Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Ma fino a quando?Braccato da magistrati e Ong, fanatici pro-migranti e giornalisti a caccia di inesistenti fondi neri dalla Russia, oggi il capetto della Lega sembra il padre-padrone del Belpaese – ma ha meno voti di quanti ne avesse Renzi, prima di sparire dalla scena. Salvini non ha esitato a suicidare i 5 Stelle (e quindi l’esecutivo gialloverde) negando ai grillini la possibilità di tentare di salvare la faccia almeno di fronte ai loro elettori, con la mozione di bandiera – solo dimostrativa – contro l’affare-vergogna del Tav. Ma niente: ora il leghista inscena una resa dei conti basata sulle poltrone, con la minaccia delle elezioni anticipate. Cade il governo Conte? Sai che tragedia, per il popolo italiano. Non mosse un dito, Fantozzi-Salvini, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia. E Savona doveva essere il cervello dell’operazione gialloverde, che prevedeva di impiegare l’Italia come ariete per sfondare il muro infame del rigore europeo, basato sulla teologia ordoliberista dello Stato minimo, ricattato dallo spread, alla mercé degli “investitori” privati che manovrano tutto, dalle agenzie di rating ai loro burattini della Bce e della Commissione Ue. Dov’era, il guerriero Salvini? A combattere sul fronte dei porti, bloccando lo sbarco di poche decine di africani. Grande cinema: perfetto, per distrarre il pubblico dai fallimenti fantozziani del governo.Bravo, Salvini, a spedire in Parlamento due economisti-contro come Borghi e Bagnai, di fede keynesiana. Meno bravo, poi, a relegarli al ruolo di belle statuine, mentre l’indegno sostituto di Savona – Giovanni Tria – si genufletteva a Bruxelles per poi tornare a casa senza l’ok per il deficit strategico su cui contava il governo per risollevare l’economia. E dov’era, il formidabile Salvini, quando l’italico giustizialismo faceva cadere la testa di Armando Siri, solo indagato? Il sottosegretario era il regista della Flat Tax, massimo punto di forza elettorale della Lega: gambizzato e travolto, archiviato insieme alla giusta battaglia (solo verbale, a questo punto) per abbattere la pressione fiscale. Il “capitano” aveva di meglio da fare: tipo accorrere alla festa della sacra famiglia tradizionalista, agitare il rosario e baciare il crocifisso nei comizi, perseguitare i negozietti di cannabis terapeutica nel paese dove la cocacina si compra ai giardinetti e dove la droga illegale può costare la vita a un carabiniere nel centro di Roma, massacrato a coltellate. Non si è fatto mancare niente, lo sceriffo padano: vestito da poliziotto, si è spinto (come tutti gli altri, prima di lui) anche nel piccolo tunnel geognostico di Chiomonte, sette chilometri in sette anni, l’unico cantiere Tav finora aperto, ma solo come opera accessoria. Del tunnel vero, quello per il treno – 57 chilometri – non è stato scavato neppure un metro.Non ci lasciano governare, ammise tempo fa il neo-deputato grillino Pino Cabras, denunciando il ruolo del Deep State (ministeri, Quirinale, Bankitalia-Bce) nel frenare qualsiasi istanza di cambiamento. Tutto vero, purtroppo. E come hanno reagito, i nostri eroi? Sparandosi addosso l’un l’altro. Ha cominciato Di Maio, terrorizzato dal crollo elettorale dei 5 Stelle. Salvini gli ha risposto da par suo, cioè affondando i grillini proprio sull’oscena Torino-Lione. Chi ci rimette, in tutto questo? Facile: gli italiani. Governo in pieno marasma: Conte cerca di sopravvivere al naufragio smarcandosi da Di Maio, la cui sorte sembra segnata (sarà probabilmente rottamato dai proprietari del “moVimento”, Grillo e Casaleggio). Fine del “governo del cambiamento”, dunque? Anche fosse, chi se ne accorgerebbe? Cos’hanno cambiato, Lega e 5 Stelle, in un anno di chiacchiere? Oggi, gli elettori grillini sanno che Di Maio e soci hanno tradito tutte le loro promesse. Ma quanto impiegheranno, gli elettori della Lega, a capire che nella loro parrocchia la canzone è la stessa? Cosa ha fatto, capitan Salvini, per dimostrare – coi fatti, di fronte all’Ue – di non essere la reincarnazione (politica, ma altrettanto patetica) del ragionier Fantozzi?L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 (per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto). Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Fino a quando?
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Tav, Governo del Tradimento: sangue e bugie, addio grillini
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.Il cedimento gialloverde emerge anche dalle parole di Beppe Grillo, secondo cui è illusorio «credere che basti essere al governo, in tandem, per bloccare un processo demenziale come questo». Per Grillo, «significa avere dimenticato che non siamo una repubblica presidenziale oppure una dittatura». Ammette il fondatore, che della battaglia NoTav aveva fatto una sua bandiera: «Sono molto scontento della situazione che si è venuta a creare». Ma non aggiunge altro, preparandosi a “digerire” il clamoroso voltafaccia difendendo Toninelli e Conte, che avrebbero reso «meno disastroso» lo scenario, tenendo testa a Macron. Come dire: scusate, ma finora avevamo scherzato. Vi avevamo promesso che ci saremmo messi di traverso, per fermare il Tav? Erano solo parole: come quelle contro l’obbligo vaccinale, il Tap in Puglia e le trivelle nell’Adriatico. Impossibile, sembra dire Grillo tra le righe, che un governo possa fare davvero gli interessi dei cittadini, e non quelli delle lobby che dominano l’Ue. Se non ci fossimo noi – aggiunge l’ex comico – sarebbe pure peggio. Come dire: non siamo colpevoli, e in ogni caso è inutile illudersi che il sistema possa essere cambiato. Ma non era proprio per questo che erano nati, i 5 Stelle? Difatti: non a caso, il loro consenso sta franando. E il “tradimento” sul Tav, come dice Durbiano, sembra davvero l’inizio della fine: tra poco i 5 Stelle potrebbero non esistere più.Dopo la sortita di Conte, affermano i NoTav, ora tutto è finalmente chiaro: «Come abbiamo sempre sostenuto, dalle parti del governo non abbiamo mai avuto amici». Aggiungono i NoTav: «La manfrina di tutti questi mesi giunge alla parola fine, e il cambiamento tanto promesso dal governo getta anche l’ultima maschera, allineandosi a tutti i precedenti». Formule retoriche, che si ripetono dal 2001 a prescindere dal colore politico dell’esecutivo di turno. Il governo Conte? Sembra aver voluto «cambiare tutto per non cambiare niente». Tante chiacchiere, ma poi – al dunque – il governo gialloverde «è sempre stato ambiguo, negli atti concreti, e questo è il risultato». Non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla? «E’ solo una scusa per mantenere in piedi il governo e le poltrone degli eletti, sacrificando ancora una volta il futuro di molti sull’altare degli interessi politici di pochi». Lo stesso Conte fino a poco tempo fa si era detto convinto che quest’opera non serviva all’Italia. Ora perché ha cambiato idea? E’ stato «fulminato sulla via di Damasco da promesse di finanziamenti europei o da equilibri politici da mantenere?».Recentissima la richiesta di arresto per il direttore della Cmc di Ravenna, general contractor della Torino-Lione, accusato per una storia di corruzione in Kenya. «Un piccolo esempio di cosa abbia scelto il presidente Conte», sottolineano i NoTav: «Altro che interessi degli italiani!». Del resto, aggiunge il movimento valsusino, «abbiamo sempre definito il sistema Tav il bancomat della politica». Cosa cambia, ora? «Per noi assolutamente nulla, perché sono 30 anni che ogni governo fa esattamente come quello attuale: annuncia il sì all’opera e aumenta il debito degli italiani facendo leva su un fantomatico interesse nazionale – che non c’è, e che nessuno dimostrerà mai». Opera inutile: lo dice anche la commissione speciale istituita da Toninelli e coordinata dal professor Marco Ponti. «Conte e il governo che presiede saranno gli ennesimi responsabili di questo scempio ambientale, politico ed economico: dalla Torino Lione la maggioranza del paese non trarrà nessun vantaggio, ma un danno economico e ambientale, che pagheremo tutti».E i 5 Stelle, da sempre NoTav, ora faranno finta di niente, tirando a campare? Bella sceneggiata, quella di «portare il voto in un Parlamento dove l’esito è già scontato, e dove il Movimento 5 Stelle voterebbe contro, tentando di salvarsi la faccia dicendo “siamo coerenti, abbiamo fatto tutto il possibile”». I NoTav annunciano battaglia: «Proseguiremo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile e imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto, mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo paese, che siamo convinti, sta con noi». Nel 2005, quando la polizia sgomberò con inaudita violenza i manifestanti dal presidio di Venaus, di colpo l’Italia scoprì che in valle di Susa c’era un problema – non locale, ma nazionale. «Non si possono imporre le opere pubbliche col manganello», disse Di Pietro. Da allora sono passati quasi 15 anni, e il governo in carica – stavolta rappresentato anche dai 5 Stelle – continua a premere per la grande opera senza la minima trasparenza, cioè evitando ancora una volta di dimostrarne l’utilità. Una storia tristemente italiana, di democrazia calpestata. Con un corollario: l’auto-rottamazione del movimento creato da Grillo.Era nell’aria: il Governo del Tradimento si sarebbe apprestato a rimangiarsi anche l’ultima delle sue promesse. Ovvero: non gettare via miliardi in valle di Susa per il Tav Torino-Lione, senza prima averne verificato l’utilità. La verifica – la prima, nella storia – era arrivata nei mesi scorsi dopo decenni di silenzio da parte dei governi romani, per merito del ministro Danilo Toninelli. Verdetto negativo, firmato dal più autorevole trasportista italiano, il professor Marco Ponti, già docente del Politecnico di Milano e consulente della Banca Mondiale: un’opera faraonica e completamente inutile, perfetto doppione della linea Italia-Francia che già attraversa la valle di Susa, collegando Torino e Lione via Traforo del Fréjus, da poco riammodernato al prezzo di quasi mezzo miliardo di euro per consentire il passaggio di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. Lo sapevano anche i sassi, peraltro: il traffico Italia-Francia è praticamente estinto. Lo chiarisce la Svizzera, delegata dall’Ue a monitorare i trasporti transalpini: l’attuale linea valsusina Torino-Modane-Lione, ormai semideserta e destinata a restare un binario morto anche nei prossimi decenni, potrebbe aumentare del 900% il suo volume di traffico, se solo esistesse almeno il miraggio di merci da trasportare, un giorno.
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Vergogna gialloverde, i 5 Stelle si piegano anche sul Tav
«Alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Con queste parole, il premier Giuseppe Conte azzera politicamente il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Torino-Lione. L’opposizione all’alta velocità in valle di Susa era l’ultima grande promessa elettorale non ancora disattesa. A questo punto, i grillini sono politicamente finiti. Non manca di sense of humor, Conte, quando aggiunge che «soltanto il Parlamento può recedere unilateralmente dal contratto», ben sapendo che tutti gli altri partiti – Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sono da sempre favorevoli alla maxi-opera più inutile della storia d’Europa, peraltro mai neppure avviata. L’unico cantiere aperto, a Chiomonte, riguarda infatti una semplice galleria esplorativa: un piccolo tunnel solo geognostico, da cui non passerebbe mai nessun treno. Del faraonico traforo Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sarebbe un doppione disastrosamente inutile: proprio attraverso la valle di Susa, Torino e Lione sono già collegate dalla ferrovia internazionale che valica le Alpi grazie al traforo del Fréjus, recentemente ammodernato (quasi mezzo miliardo la spesa) in modo da consentire il transito di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. La nuova Torino-Lione? Non servirebbe a nessuno. In più, il traffico merci fra Italia e Francia è ormai inesistente.Lo ribadì alcuni mesi fa lo studio sul rapporto costi-benefici commissionato dal ministro Danilo Toninelli al professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, “trasportista” di fama mondiale. Era la prima analisi seria, professionale, prodotta da un governo italiano, da vent’anni a questa parte, sulla grande opera più controversa della penisola, contro la quale si è scatenata una fortissima protesta popolare culminata nel 2005 con la quasi-insurrezione della valle di Susa, guidata dai sindaci in fascia tricolore. Protesta tempestivamente cavalcata da Beppe Grillo, in prima linea coi NoTav insieme a Dario Fo. Cinque anni dopo, lo stesso Grillo tornò in valle di Susa spingendosi a Chiomonte e violando provocatoriamente la prima “zona rossa” imposta dalle forze dell’ordine. Sembrano passati mille anni: i grillini oggi sono costretti a ingoiare le parole del premier gialloverde, scelto proprio da loro per giudare la traballante alleanza con la Lega, da sempre favorevole allo spreco ferroviario del secolo. «Sono pervenuti dei fatti nuovi», ha tentato di spiegarsi Conte, alludendo alla recente apertura dell’Unione Europea, che si è detta disponibile ad aumentare lo stanziamento dal 40% al 55%. «La tratta nazionale per l’Italia potrebbe beneficiare di un contributo europeo pari al 50%».A proposito di Bruxelles: proprio i grillini sono stati determinanti, la scorsa settimana, nella nomina della tedesca Ursula von der Leyen, fedelissima della Merkel e impietosa interprete del peggior rigore europeo. Oltre che l’ennesimo clamoroso tradimento dell’elettorato grillino, l’incredibile voltafaccia sul Tav Torino-Lione si annuncia come una pagina particolarmente vergognosa per il governo gialloverde: se la mossa di Conte sembra un tentativo funambolico di tenere in piedi l’esecutivo accontentando Salvini, rivela soprattutto le mostruose pressioni subite dal potere Ue, a cui l’Italia sembra cedere anche stavolta, come già per la vertenza sul deficit negato. E’ un’Italia che evidentemente obbedisce a decisioni altrui, in questo caso imposte dalla potente lobby europea delle grandi opere. Il paese dei viadotti che crollano ha un disperato bisogno di infrastrutture utili, e invece si prepara a regalare miliardi ai soliti noti, per un’opera inutile che prevede cantieri con un profilo occupazionale ridicolo. Una farsa, che per i 5 Stelle si trasformerà in tragedia politica: d’ora in poi, nessuno potrà più prendere sul serio Luigi Di Maio, qualunque cosa dovesse dire. Chi ha votato 5 Stelle difficilmente lo rifarà.«Alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Con queste parole, il premier Giuseppe Conte azzera politicamente il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Torino-Lione. L’opposizione all’alta velocità in valle di Susa era l’ultima grande promessa elettorale non ancora disattesa. A questo punto, i grillini sono politicamente finiti. Non manca di sense of humor, Conte, quando aggiunge che «soltanto il Parlamento può recedere unilateralmente dal contratto», ben sapendo che tutti gli altri partiti – Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sono da sempre favorevoli alla maxi-opera più inutile della storia d’Europa, peraltro mai neppure avviata. L’unico cantiere aperto, a Chiomonte, riguarda infatti una semplice galleria esplorativa: un piccolo tunnel solo geognostico, da cui non passerebbe mai nessun treno. Del faraonico traforo Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sarebbe un doppione disastrosamente inutile: proprio attraverso la valle di Susa, Torino e Lione sono già collegate dalla ferrovia internazionale che valica le Alpi grazie al traforo del Fréjus, recentemente ammodernato (quasi mezzo miliardo la spesa) in modo da consentire il transito di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. La nuova Torino-Lione? Non servirebbe a nessuno. In più, il traffico merci fra Italia e Francia è ormai inesistente.
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Sparisce Chiamparino, ma crolla la diga NoTav in val Susa
Aiuto, vince il partito Sì-Tav anche in valle di Susa, già roccaforte dei 5 Stelle. Sicuri? «Se dobbiamo vedere realmente chi ha fatto del Tav il suo punto principale, allora dobbiamo leggere nella batosta di Chiamparino un dato positivo», scrive il sito “NoTav.info”. L’ex “padre padrone” del Piemonte, infatti, «non ha creato quella breccia che il Pd e il centrosinistra “madamino” volevano aprire, anzi». Dopo aver riempito le piazze di improvvisati attivisti pro-Tav, l’ex governatore piemontese (fermatosi al 35,8%) è uscito con le ossa rotte dalle elezioni regionali, surclassato dal centrodestra di Alberto Cirio (49,9%). Letteralmente “asfaltati” invece i grillini, schiantati da un umiliante 13,6%. «La Torino-Lione si farà», si è affrettato a dire il trionfatore, Cirio. «Quello che si è svolto in Piemonte, e persino in valle di Susa, è già un sostanziale referendum sulla grande opera», secondo Matteo Salvini, anch’esso arruolato nella cordata per la maxi-infrastruttura più inutile d’Europa. Ma, come segnalano i NoTav, a far rumore è soprattutto il crollo di Chiamparino: una sconfitta personale altamente simbolica, per un politico navigatissimo che negli ultimi anni aveva puntato tutto proprio sugli appalti per costruire la ferrovia-doppione di quella che già collega Torino e Lione attraverso la linea storica della valle di Susa, la Torino-Modane, via traforo del Fréjus (appena riammodernato con una spesa di quasi mezzo miliardo).Ora, di fronte alla débacle, Chiamparino si prepara al ritiro dalle scene: rinuncerà persino a sedere in Consiglio regionale, cedendo il posto a candidati più giovani. Cresciuto nel Pci-Pds, eletto sindaco di Torino nel 2001 e poi riconfermato trionfalmente nel 2006, Chiamparino è stato classificato dal “Sole 24 Ore” il sindaco più amato d’Italia, con un consenso del 75%. Vicinissimo a Sergio Marchionne, ha tentato di ripristinare il ruolo industriale della città (prima che la Fiat “emigrasse” a Detroit). Nel Pd ha avuto un ruolo di primo piano (riforme) sia con Veltroni che con Franceschini. E’ stato presidente nazionale dell’Anci, portavoce dei Comuni italiani e coordinatore dei sindaci delle città metropolitane. Poi, nel 2012, il gran salto nella finanza, come presidente della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria di Intesa SanPaolo. Salvo poi tornare tranquillamente alla politica attiva nel 2014, divenendo presidente del Piemonte (poi anche a capo della conferenza dei presidenti delle Regioni italiane). Crescente, negli ultimi dieci anni, il suo impegno per la Torino-Lione. Forte la criminalizzazione della resistenza popolare rispetto alla grande opera: «Ormai siete quattro gatti», disse nel 2010 ai NoTav, che gli risposero con una marcia di 40.000 persone.Un anno dopo, gli attivisti si opposero allo sgombero forzato del sito di Chiomonte, prescelto per impiantare il cantiere del mini-tunnel geognostico. E’ solo un’opera accessoria, l’unica finora realizzata: del traforo ferroviario vero e proprio, tra Italia e Francia (54 chilometri, da Susa alla Maurienne) non è stato scavato neppure un metro. In vent’anni, l’unica forza politica di governo capace di opporsi al Tav valsusino è stato il Movimento 5 Stelle. In precedenza, ministri come Ronchi e Pecoraro Scanio (Verdi) più Paolo Ferrero (Rifondazione Comunista) erano riusciti a frenare temporaneamente Prodi. Ma solo Di Maio – dopo l’impegno personale di Beppe Grillo in valle di Susa – ha avuto la forza di ridiscutere interamente il progetto già nel “contratto di governo” con Salvini, per poi affidare a Toninelli, finalmente, un’analisi costi-benefici. Scontato l’esito del lavoro della commissione, presieduta dal professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, uno dei migliori specialisti europei in tema di trasporti. Il verdetto: la linea Tav Torino-Lione, costosissima, è completamente inutile. Nonostante ciò, Salvini non ha mollato l’osso: i bandi di gara per far partire i cantieri del tunnel italo-francese restano aperti fino all’autunno. E ora, con il crollo dei 5 Stelle (al 17% alle europee, al 13% in Piemonte) la posizione degli alleati dei NoTav si è ulteriormente indebolita.La marea salviniana, peraltro, ha fatto breccia anche in valle di Susa: alle europee, la Lega ha convinto la stragrande maggioranza degli abitanti. I 5 Stelle restano il primo partito soltanto in 6 Comuni della vallata (Exilles, Venaus, Mompantero, Bussoleno, Chianocco e Vaie), mentre i NoTav perdono un alleato strategico a Susa, dove il sindaco uscente Sandro Plano non è riuscito a farsi riconfermare. Secondo i NoTav, comunque – a parte Susa – il voto comunale ha confermato le amministrazioni vicine agli attivisti che si oppongono alla grande opera. «Altro discorso è quello del Movimento 5 Stelle, che evidentemente ha pagato la mancanza di decisione e di risultati rispetto alle aspettative create, sul Tav come su tutto il resto», scrive “NoTav.info”, che aggiunge: «Non ci stupiscono le dichiarazioni di personaggi come Ferrentino ed Esposito, che sono più contenti del voto alla Lega in ottica Sì-Tav che tristi per la batosta presa, segnale chiaro di come il partito del cemento non abbia colori». Antonio Ferrentino e soprattutto Stefano Esposito, esponenti del Pd piemontese, non hanno risparmiato accuse ai NoTav, demonizzando l’opposizione al super-treno. Dal canto loro i NoTav resistono, consapevoli del fatto che proprio la filiera di potere delle grandi opere ben rappresenta la post-democrazia attuale, con scelte imposte dall’alto (spesso assurde, come la Torino-Lione) e contro la volontà popolare. Sovranità confiscata dal business, anche se in vent’anni i supporter del Tav non sono mai riusciti a dimostrarne l’utilità.Aiuto, vince il partito Sì-Tav anche in valle di Susa, già roccaforte dei 5 Stelle. Sicuri? «Se dobbiamo vedere realmente chi ha fatto del Tav il suo punto principale, allora dobbiamo leggere nella batosta di Chiamparino un dato positivo», scrive il sito “NoTav.info”. L’ex “padre padrone” del Piemonte, infatti, «non ha creato quella breccia che il Pd e il centrosinistra “madamino” volevano aprire, anzi». Dopo aver riempito le piazze di improvvisati attivisti pro-Tav, l’ex governatore piemontese (fermatosi al 35,8%) è uscito con le ossa rotte dalle elezioni regionali, surclassato dal centrodestra di Alberto Cirio (49,9%). Letteralmente “asfaltati” invece i grillini, schiantati da un umiliante 13,6%. «La Torino-Lione si farà», si è affrettato a dire il trionfatore, Cirio. «Quello che si è svolto in Piemonte, e persino in valle di Susa, è già un sostanziale referendum sulla grande opera», secondo Matteo Salvini, anch’esso arruolato nella cordata per la maxi-infrastruttura più inutile d’Europa. Ma, come segnalano i NoTav, a far rumore è soprattutto il crollo di Chiamparino: una sconfitta personale altamente simbolica, per un politico navigatissimo che negli ultimi anni aveva puntato tutto proprio sugli appalti per costruire la ferrovia-doppione di quella che già collega Torino e Lione attraverso la linea storica della valle di Susa, la Torino-Modane, via traforo del Fréjus (appena riammodernato con una spesa di quasi mezzo miliardo).
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Torino-Lione, la Banda del Buco farà fallire le Fs italiane?
Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.«Meglio di David Copperfield – scrive Spadini – il premier Conte ha fatto sparire i bandi per il Tav sotto gli occhi di tutti». Una sua lettera dice infatti di aver «ricevuto la conferma da parte di Telt del consenso a ridiscutere l’opera e a congelare i bandi». In altre parole, «un modo per rinviare il problema a dopo le elezioni europee, ma non una soluzione definitiva». Per Alberto Perino, storico portavoce dei NoTav, «Telt vince, Conte e i 5 Stelle perdono, Salvini gode». Il dibattito sul Tav segna l’inizio della campagna elettorale per Strasburgo, tra mille forzature e fake news. In realtà, osserva Spadini, «l’affare Tav è considerato irrinunciabile e vitale dal sistema che vive da decenni sulla spoliazione di soldi pubblici, perché può trasformarsi in un pozzo di San Patrizio inesauribile, che continuerà a foraggiare l’Alta Voracità delle classi dirigenti più avide della storia d’Italia». Da qui la battuta d’arresto «imposta dalla banda affaristica del Tav», con l’improvviso rischio di una crisi di governo. «Non è un caso che il Tav abbia la maggioranza di Salvini, Berlusconi, Meloni e di Zingaretti», dichiara Gianluigi Paragone: «Evidentemente quando c’è una grande torta, ci sono interessi da tutelare». Per ora, l’esecutivo s’è rifugiato in corner: «La via più di buon senso è quella di pubblicare i bandi con la “clausola della dissolvenza”, così come previsto dal diritto francese, che consente in qualsiasi momento di poterli revocare», spiega il sottosegretario alle infrastrutture, Armando Siri.Per il momento la strada della “dissolvenza” sembra essere l’unica soluzione indolore, scrive Rosanna Spadini, nel senso che i bandi francesi si terranno, e allo stesso tempo il governo prende tempo. Lo conferma Danilo Toninelli, quando sostiene che si può allo stesso tempo dire sì ai bandi e no al Tav. Il Cda di Telt resta comunque convocato, con l’ordine del giorno per il via libera ai bandi da 2,3 miliardi di euro per l’avvio del “tunnel di base”. Però la faccenda è ancor più complicata, annota Spadini su “Come Don Chisciotte”, perché la Telt (Tunnel Euralpin Lyon Turin) è un’azienda francese di proprietà al 50% dello Stato francese e al 50% delle Ferrovie dello Stato italiane con sede a Le Bourget-du-Lac, nel dipartimento della Savoia, in Francia, con lo scopo di progettare, realizzare e gestire la sezione transfrontaliera della futura linea ferroviaria Torino-Lione. Premessa: «Dal 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato sono diventate una Spa». Sono sempre un organismo di diritto pubblico, «però in forma di società per azioni». A marzo del 2016, l’accordo sulla distribuzione dei costi totali: 8,3 miliardi di euro (valore datato, risalente a una stima del 2012).Il nuovo super-tunnel, completamente inutile secondo la commissione tecnica presieduta dal professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, dovrebbe quindi essere finanziato per il 40% dall’Unione Europea, per il 35% dall’Italia e per il restante il 25% dalla Francia. «Condizioni a dir poco disoneste per l’Italia, cui spetta il tratto minore». L’abbinamento è piuttosto curioso, fa notare Rosanna Spadini: «Se lo Stato francese non può mai fallire, Fs invece – essendo una Spa – potrebbe fallire, soprattutto se si espone ad opere insostenibili e se nella sua galassia esistono soggetti privati che cercano di vampirizzarla, creando flussi finanziari distrattivi dall’interno». Esempio recentissimo: la Tp Ferro, società che ha gestito la ferrovia e il tunnel per la linea Parigi-Barcellona sotto i Pirenei, è stata costretta a portare i bilanci in tribunale nel 2015. «La linea è ampiamente sottoutilizzata: solamente 70 treni passeggeri e 32 merci a settimana, ben al di sotto delle previsioni. Il costo della sezione transfrontaliera fra Perpignan e Figueras, comprendente il traforo, è stato di 1,2 miliardi di euro, e ora il debito della Tp Ferro supera i 400 milioni. Il tratto di linea in questione fa parte del fantasioso Corridoio Mediterraneo, e la sua costruzione era stata finanziata dall’Unione Europea. Lo stesso corridoio della Torino-Lione, e la società ora in fallimento ci teneva a sottolinearlo».Attenzione: la sezione transfrontaliera della Torino-Lione «costa oltre sette volte la Figueras-Perpignan, ma nulla lascia intravedere un futuro più roseo per la linea francoitaliana rispetto a quella franco-spagnola». A maggior ragione se si considera che fra Italia e Francia «già esiste una ferrovia, che passa per la val Susa, in grado di trasportare le merci e su cui transitano regolarmente i Tgv». Linea anch’essa sottoutilizzata: spariti i passeggeri grazie ai voli low-cost, è crollato anche il traffico merci (né si prevede che possa risorgere: la direttrice dei trasporti mercantili è la Genova-Rotterdam). Nel frattempo, scrive Spadini, Fs è entrata in affari con quella stessa Francia che ha appena boicottato Fincantieri per impedirle di acquisire Stx France, ora Chantiers de l’Atlantique. Per la Torino-Lione, la società Fs Spa è ora la capo-holding. E’ nata nell’ambito delle famigerate privatizzazioni decise tra il ‘92 e il ‘93. Inoltre, nel caso della Torino-Lione «la concessione per l’esercizio del servizio ferroviario di trasporto pubblico ha una durata di 60 anni, quindi fino al 2053». La premiata ditta Prodi-D’Alema ha poi separato Trenitalia dalla gestione dell’infrastruttura Rfi Spa, «che ha appena svenduto tutto il commercio in franchising di Grandi Stazioni Spa ad una società franco-italiana con sede in Lussemburgo».Quindi Fs, che dovrebbe essere di Stato, «continua a svendere gioielli di famiglia, grandi patrimoni statali che invece dovrebbero essere inalienabili». Grandi Stazioni Spa, infatti, comprende le maggiori stazioni monumentali del paese, «già controllate da Fs ed Eurostazioni Spa, quest’ultima controllata dalle società di Caltagirone, Benetton, Pirelli e dalla Società “francese” delle Ferrovie, cedendo inoltre tutto il “retail” ad un privato, che sfrutterà una manodopera schiavizzata». Tutto questo, secondo Rosanna Spadini, «dovrebbe bastare per stracciare gli accordi e non procedere», con la Torino-Lione, «se volessimo mantenere pubbliche le nostre stazioni e la ferrovia, ed evitare un molto probabile fallimento, visto che tutta l’operazione Tav puzza anche di una squallida porcata per indebitare Fs e poi privatizzarla, magari svendendola proprio ai francesi». Non stupisce che la potente lobby del Tav abbia mobilitato anche i sindacati, «che ormai servono da cassa di risonanza della intramontabile casta dei vecchi partiti, che hanno dovuto ingoiare diversi rospi: legge spazzacorrotti, pene fino a 15 anni per il voto di scambio politico-mafioso, il reddito di cittadinanza e lo stop alla prescrizione, il taglio dei finanziamenti pubblici all’editoria».L’inutile Tav Torino-Lione come ultimo appiglio per i vecchi consorzi mangia-Italia? Le imprese coinvolte nel progetto della maxi-opera valsusina sono sempre le stesse, sottolinea Spadini. Ltf è la società madre, responsabile della realizzazione. Curriculum: «Paolo Comastri, direttore generale di Ltf, nel 2011 è stato condannato in primo grado per turbativa d’asta; oggetto: la gara per la direzione dei lavori per il tunnel esplorativo della Torino-Lione». Dettaglio: l’avvocato difensore di Comastri era Paola Severino, ministro della giustizia del governo Monti. Poi c’è l’intramontabile Cmc di Ravenna (Cooperativa Muratori e Cementisti): una coop rossa, quinta impresa di costruzioni italiana, al 96esimo posto nella classifica dei principali 225 “contractor” internazionali. La Cmc vanta un ex amministratore illustre, Pierluigi Bersani. «Si è aggiudicata l’incarico (affidato senza gara) di guidare un consorzio di imprese (Strabag Ag, Cogeis Spa, Bentini Spa e Geotecna Spa) per la realizzazione del cunicolo esplorativo a Chiomonte». Valore della fetta di appalto della Cmc, 96 milioni di euro. Convergenze parallele: da Bersani a Lunardi (Pietro, governo Berlusconi) attraverso la Rocksoil Spa, società di geoingegneria. Lunardi ha poi ceduto le azioni ai familiari, ottenuto il dicastero delle infrastrutture nel 2001, tenuto fino al 2006.Nel 2002, prosegue Rosanna Spadini, la Rocksoil ha ricevuto un incarico di consulenza dalla società francese Eiffage, che a sua volta era stata incaricata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, di proprietà dello Stato) di progettare il tunnel per la Torino-Lione, oggi quotato 13 miliardi di euro. Lunardi si difese dall’accusa di conflitto d’interessi dicendo che la sua società lavorava «solo all’estero». Poi c’è Impregilo, la principale impresa di costruzioni italiana. È il general contractor del progetto Torino-Lione, nonché del progetto per l’altrettanto famigerato ponte sullo Stretto di Messina. Impregilo appartiene ad Agrofin (Gavio), ad Autostrade (Benetton) e a Immobiliare Lombarda (Ligresti). Argofin: marchio del gruppo Gavio. Marcellino Gavio è stato latitante negli anni 92-93, «ricercato per reati di corruzione legati alla costruzione dell’autostrada Milano-Genova», infine «prosciolto per prescrizione del reato». Autostrade: gruppo Benetton, noto in Italia per il disastro del viadotto Morandi a Genova e conosciuto anche all’estero «per lo sfruttamento dei lavoratori delle sue fabbriche di tessile in Asia e per aver sottratto quasi un milione di ettari di terra alle comunità Mapuche in Argentina e Cile». Infine, Immobiliare Lombarda (gruppo Ligresti). Salvatore Ligresti è stato condannato dopo l’inchiesta Tangentopoli, pattuendo una condanna a 4 anni e due mesi «dopo la quale è tornato tranquillamente alla sua attività di costruttore». Qualcuno può ancora chiedersi il perché delle mostruose pressioni sui 5 Stelle per dare il via libera ai miliardi dell’intile Torino-Lione?Vuoi vedere che il progetto Tav Torino-Lione, che nasce morto e votato al fallimento, servirà a indebitare le Ferrovie dello Stato per poi privatizzarle e magari svenderle proprio ai francesi? Un sospetto che Rosanna Spadini, su “Come Don Chisciotte”, argomenta con estrema precisione, esaminando la sconfortante opacità del super-affare (per pochissimi) che da un quarto di secolo incombe sulla valle di Susa, dietro al fantasma della ferrovia-doppione che ora sta mettendo in croce il governo gialloverde. Com’è noto, si vorrebbe creare un secondo corridoio ferroviario italo-francese, sempre in valle di Susa, nonostante sia pressoché semideserta, senza passeggeri né merci, l’attuale linea che già unisce Torino e Lione via Modane, attraverso il traforo del Fréjus. Finora è stato scavato solo il cunicolo esplorativo di Chiomonte: nemmeno un metro del futuro traforo. In origine, sarebbe stato il passante alpino del Corridoio 5 Kiev-Lisbona, ora defunto. L’Ue ha ripiegato sull’assai meno ambizioso Corridoio Mediterraneo, facendo un altro buco nell’acqua: la linea Parigi-Barcellona è già archiviata come binario morto, e la società che ha costruito il tunnel sotto i Pirenei è appena fallita. Analogo destino potrebbe attendere i committenti statali del futuro traforo valsusino da 57 chilometri? Maxi-opera faraonica e surreale: se anche si scavasse il super-tunnel, la Francia comincerebbe a pensare alla nuova linea (binari) solo nel 2039.
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Poteri oscuri, anche Salvini obbedisce al Tav Torino-Lione
Non basterebbe neppure Dan Brown. Ci vorrebbe almeno Tolkien, per svelare – attraverso una fiaba – il mistero del Tav Torino-Lione, cioè il sortilegio nero che vuole che si spendano 20-30 miliardi per costruire quella linea ferroviaria “maledetta”. Si tratta dell’inutile e faraonico doppione della ferrovia che esiste già, e che da 150 anni collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, riammodernato qualche anno fa (costo, 400 milioni di euro) per consentire il transito dei treni con a bordo i Tir e anche i grandi container “navali”, della massima pezzatura. L’unico problema è che non ci sono più merci da trasportare: l’asse strategico del terzo millennio è quello che unisce Genova e Rotterdam, mentre la direttrice Torino-Lione è ormai un binario morto, dal destino segnato. Secondo la Svizzera, incaricata dall’Ue di monitorare il traffico alpino, l’attuale Torino-Modane, semideserta, potrebbe incrementare addirittura del 900% il suo volume di trasporti. E allora che bisogno c’è di scavare – da zero – un nuovo traforo, lungo 57 chilometri, di cui non esiste ancora neppure un metro?L’unico mini-tunnel realizzato, quello di Chiomonte, è solo una galleria esplorativa accessoria, geognostica: non potrebbe mai passarci nessun treno, anche se Matteo Salvini arriva a sostenere – davanti alle telecamere, proprio a Chiomonte – che costerebbe meno “finire il lavoro” piuttosto che “tappare il buco”. Dichiarazione ingannevole: Salvini sa benissimo che il “lavoro” per il tunnel destinato al treno non è mai neppure cominciato. Pur di premere sui 5 Stelle, il leader leghista – come già Renzi – arriva a ipotizzare un progetto “low cost”, parlando di appena 4 miliardi (cioè il costo della parte italiana dell’ipotetico futuro traforo, non quello della linea ferroviaria fino a Torino). Di più: il ministro dell’interno aggiunge che, “risparmiando” (ad esempio, rinunciando alla surreale “stazione internazionale” di Susa), si potrebbero costruire finalmente anche opere utili, come la metropolitana di Torino. Su questo ha ragione: il capoluogo piemontese, a lungo amministrato dalla dinastia Castellani-Chiamparino-Fassino, dispone solo di un’unica, patetica linea.Torino, la metropoli più inquinata della penisola, è anche la grande città italiana peggio servita dai mezzi pubblici veloci: è l’unica a non disporre di una vera rete metropolitana. In compenso, i suoi ex sindaci sono tra i più fanatici sostenitori dell’inutile Tav Torino-Lione. Chiamparino, in particolare, è il capo degli hooligan pro-Tav. Un caso esemplare di mistero italico: dopo aver fatto il sindaco è passato senza colpo ferire alla guida di una potentissima centrale finanziaria come la Compagnia di San Paolo, per poi tornare tranquillamente alla politica. L’uomo di fiducia dei grandi banchieri è oggi presidente della Regione Piemonte, poltronissima da cui martella il governo gialloverde per ottenere a tutti i costi la grande opera “maledetta”. Ci sta riuscendo? Stando a Salvini, parrebbe di sì. Sulla maxi-torta dell’appalto alpino, il capo della Lega è perfettamente allineato al fantasma del Pd.A questo punto, la ragione vacilla. Per chi ha seguito i vent’anni di protesta popolare in opposizione alla Torino-Lione, i conti non tornano. Il movimento NoTav – ormai appoggiato da vasti strati dell’opinione pubblica nazionale – è stato il primo vero esempio, in Italia e non solo, di denuncia politica “glocal”. Dal particulare all’universale, dicevano gli umanisti rinascimentali. Agire localmente e pensare globalmente, ripetevano negli anni ‘80 i primi Verdi ispirati da Alex Langer. I valsusini – popolo sulle barricate, che nel 2005 riuscì a fermare il progetto con una spettacolare protesta nonviolenta guidata dai sindaci in fascia tricolore – per molti aspetti hanno come anticipato gli americani di Occupy Wall Street, adottando un metodo di lotta, dal sit-in fino al blocco stradale, che oggi i Gilet Gialli si limitano a replicare. L’intuizione: se il potere “bara” a casa nostra, sulla base di dati falsificati, è lecito sospettare che “imbrogli” ovunque. E’ lecito supporre che si limiti a eseguire gli ordini di un’oligarchia del denaro mossa da interessi inconfessabili.Sta barando da vent’anni, il potere che insiste – come un disco rotto – nel voler imporre quella super-linea inutile in valle di Susa, facendola pagare carissima all’Italia? Vedete voi, ma sappiate che la Torino-Lione non serve: lo dicono tutti i maggiori esperti di trasporti, tra cui il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, ora collocato dal ministro Toninelli nella scomodissima posizione di presidente della commissione incaricata di formulare un giudizio decisivo sul rapporto costi-benefici della grande opera. La Torino-Lione non serve: lo ribadirono ben 360 professori e tecnici dell’università italiana, in accorati e inutili appelli rivolti al Quirinale e a Palazzo Chigi. Costi immensi, e nessun risultato: perché le merci devono comunque viaggiare a bassa velocità, per motivi di sicurezza. Quanto alla Francia, spesso usata in Italia come alibi “europeo” per costruire a tutti i costi l’infrastruttura, ha deciso ufficialmente che di Torino-Lione, a Parigi, si riparlerà eventualmente solo dopo il 2030.Il progetto Torino-Lione è un relitto ormai obsoleto degli anni ‘80: era nato come sogno di collegamento veloce per passeggeri, ed è stato archiviato dall’avvento dei voli low-cost. Al che, è stato trasformato in Tac, treno ad alta capacità per le merci, fingendo di non sapere che i convogli commerciali devono viaggiare lentamente, e che la chiave del trasporto merci non è la velocità, ma la puntualità della logistica: il sistema più efficiente al mondo è quello degli Usa, fatto da treni che viaggiano a 60 miglia utilizzando tunnel dell’800 che valicano le Montagne Rocciose. I costi territoriali della Torino-Lione sarebbero folli: le montagne della valle di Susa sono piene di amianto e tuttora traforate dalle gallerie scavate dall’Agip negli anni ‘70, ai tempi del nucleare italiano, perché il Massiccio dell’Ambin è un immenso giacimento di uranio. Senza contare la devastazione ambientale e urbanistica (vent’anni di cantieri), l’incognita maggiore è quella idrogeologica: quei monti fra Italia e Francia, dicono i geologi, ospitano un enorme bacino sommerso. Bucarlo potrebbe comportare conseguenze impensabili, con ripercussioni sui fiumi fino alla Valle d’Aosta.Il compianto Luca Rastello, giornalista di “Repubblica”, in un saggio sul tema spiega che poi, una volta alle porte di Torino, la nuova linea potrebbe congiungersi alla Torino-Milano solo sbancando interi quartieri o procedendo per via sotterranea, e quindi perforando la falda idropotabile che alimenta l’area metropolitana torinese. Non se ne rendono conto, gli abitanti di Torino, perché nessun politico – prima di Chiara Appendino – si è mai premurato di spiegarlo chiaramente. Né si interrogano, i torinesi, sul motivo di tanta ostinazione, da parte dei valsusini, nell’opporsi al progetto. Non sospettano, i torinesi, che la criminalizzazione a reti unificate del movimento NoTav è servita a nascondere due verità imbarazzanti. La prima: in vent’anni, la politica non ha mai voluto o saputo dimostrare l’utilità della grande opera, neppure a fronte di una protesta così rumorosa. La seconda: il progetto Torino-Lione è nato sotto una cattiva stella, la peggiore di tutte: la strategia della tensione.Negli anni ‘90, appena si cominciò a insistere sull’opera come “inevitabile” prospettiva strategica, la valle di Susa fu terrorizzata da 12 attentati dinamitardi. Alcuni furono rivendicati in modo delirante: volantini firmati “Valsusa Libera” e “Lupi Grigi” contenevano farneticazioni “guerriere” contro l’alta velocità. I giornali, all’unisono, puntarono il dito contro gli “ecoterroristi” e gli “anarco-insurrezionalisti”. Poco dopo vennero arrestati tre giovani anarchici, di cui due – Edoardo Massari e Maria Soladed Rosas, “Sole e Baleno” – trovati morti (impiccati) mentre erano in stato di detenzione. Contro di loro, l’accusa aveva vantato “prove granitiche”, che poi al processo evaporarono: non erano stati loro a mettere quelle bombe. Chi, allora? Non s’è mai saputo: caso chiuso. I valsusini però non dimenticano. Sanno che quello di Bardonecchia, santuario del turismo bianco, vicino a Sestriere, è stato il primo Consiglio Comunale italiano – a nord del Po – a essere disciolto per mafia. E sanno che, sempre negli anni ‘90, la procura di Torino intercettò un traffico di armi che collegava l’armeria di Susa a una cosca calabrese, con il placet di settori del Sismi e del Sisde. Erano gli anni della “trattativa”, in cui Falcone e Borsellino saltavano per aria, in Sicilia.Si può immaginare lo stato d’animo dei valsusini, quando – dopo tutto questo – si sono visti arrivare, nel cortile di casa, anche lo spettro della maxi-opera più controversa della storia, al pari del Ponte sullo Stretto. A parlare è il buon senso della geografia: Moncenisio, Fréjus e Monginevro. Ovvero: statali, autostrada, ferrovia, trafori. Nessun’altra valle alpina è altrettanto collegata al resto d’Europa, attraverso valichi internazionali. Perché aggiungere anche l’assurda Torino-Lione? Quale mistero indicibile trasforma la valle di Susa in un oscuro crocevia di mafie e affari, bombe e appalti? E soprattutto: com’è possibile che, in vent’anni, la politica non si sia mai degnata di dare una risposta chiara? E’ evidente che, se l’utilità della Torino-Lione venisse finalmente dimostrata, le bandiere della protesta finirebbero per venir ammainate. Basterebbe spiegare per quale motivo l’opera è ritenuta indispensabile. La valle di Susa lo chiede da vent’anni. E la risposta non è mai arrivata. Perché?Visto che la politica tace, tanto varrebbe chiedere lumi ai romanzieri come Dan Brown o all’autrice di Harry Potter, non essendo più possibile interpellare il Signore degli Anelli. Magia? Se una verità viene palesemente taciuta da decenni, il minimo che possa accadere è che si scatenino anche i complottismi più fantasiosi. Ha suscitato sconcerto, nel 2016, l’inaugurazione teatrale del traforo del Gottardo, con l’inquietante coreografia dedicata a un Dio Caprone. Fausto Carotenuto, già analista strategico dell’intelligence ora passato al network “Coscienze in Rete”, sostiene che la Torino-Lione sarebbe una sorta di “attentato energetico” per violare la Linea di Michele, notissima ley-line che unisce Israele all’Irlanda attraverso i santuari dedicati all’arcangelo Michele, con epicentro proprio la Sacra di San Michele in valle di Susa. Paolo Rumor, nipote del più volte premier Mariano Rumor, nel libro “L’altra Europa” racconta una storia sconvolgente, rivelata a suo padre dall’europeista francese Maurice Schuman: il medesimo potere, di natura dinastica (denominato “La Struttura”) governerebbe il pianeta da 12.000 anni, e la stessa Unione Europea sarebbe opera sua.Non potendo interpellare Tolkien o scomodare la Rowling, non resta che tralasciare le suggestioni e attenersi ai fatti: sarebbe capace, Matteo Salvini, di spiegare il motivo per cui l’Italia, insieme alla Francia, dovrebbe scavare – da zero – un tunnel di 57 chilometri per costruire il doppione della ferrovia Torino-Lione che esiste già? Se la risposta la conosce, perché non la svela? Perché anche lui si limita, come tutti gli altri, a dire stupidaggini, sapendo che i media mainstream le ripeteranno con successo, confidando nell’ignoranza del grande pubblico? C’è davvero un grande potere-ombra che – per motivi ignoti e imperscrutabili – ha lanciato un’Opa misteriosa sulla stramaledetta Torino-Lione? Un grande affare finanziario, d’accordo, ma per pochi intimi (pochissimi i lavoratori coinvolti). E, secondo il giallista Massimo Carlotto, anche una virtuale “lavanderia” di denaro: un magistrato come Ferdinando Imposimato ha dimostrato che vasti tratti della rete Tav italiana sono stati costruiti proprio da aziende mafiose.Poi ci sarebbe il triste indotto politico della filiera, affidato ai soliti yesman che in realtà lavorano da sempre per le consorterie affaristiche che hanno costruito le loro carriere istituzionali. Ma non può essere tutto qui, il problema. Cos’altro può muovere i fili di una follia pubblica così estrema, e così potente da piegare persino i bulletti del “governo del cambiamento”? Lo spettacolo non è edificante: Salvini con l’elmetto a Chiomonte, ormai arruolato alla causa, mentre Di Maio e Toninelli non osano neppure lontanamente minacciare le dimissioni, nel caso dovessero perdere il braccio di ferro (e quindi la faccia). Li si può capire: dal canto suo, il primo ministro Conte cazzeggia beatamente al bar con Angela Merkel, l’amicona di Macron e dell’Italia, ridacchiando alle spalle di quei fessi dei 5 Stelle (e degli italiani che li hanno votati). Nel frattempo, l’inesorabile ecomostro finanziario e ferroviario avanza, passo dopo passo. E l’umorista Salvini pensa di cavarsela con le battute sui mitici “risparmi”: come se davvero si trattasse di tre o quattro miliardi, e non invece di un grottesco attentato alla sovranità democratica del paese, evidentemente organizzato – con tenacia impressionante – da poteri che possono mettersi in tasca qualsiasi politico, anche se indossa la maschera di cartone del sovranismo.(Giorgio Cattaneo, “Quale oscuro potere ha piegato anche l’ex sovranista Salvini alla teologia dell’inutile Tav Torino-Lione?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 2 febbraio 2019).Non basterebbe neppure Dan Brown. Ci vorrebbe almeno Tolkien, per svelare – attraverso una fiaba – il mistero del Tav Torino-Lione, cioè il sortilegio nero che vuole che si spendano 20-30 miliardi per costruire quella linea ferroviaria “maledetta”. Si tratta dell’inutile e faraonico doppione della ferrovia che esiste già, e che da 150 anni collega Torino a Lione attraverso la valle di Susa e il Traforo del Fréjus, riammodernato qualche anno fa (costo, 400 milioni di euro) per consentire il transito dei treni con a bordo i Tir e anche i grandi container “navali”, della massima pezzatura. L’unico problema è che non ci sono più merci da trasportare: l’asse strategico del terzo millennio è quello che unisce Genova e Rotterdam, mentre la direttrice Torino-Lione è ormai un binario morto, dal destino segnato. Secondo la Svizzera, incaricata dall’Ue di monitorare il traffico alpino, l’attuale Torino-Modane, semideserta, potrebbe incrementare addirittura del 900% il suo volume di trasporti. E allora che bisogno c’è di scavare – da zero – un nuovo traforo, lungo 57 chilometri, di cui non esiste ancora neppure un metro?
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Tav, la strana guerra contro i palestinesi della val di Susa
Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.Nemmeno l’umorismo iperbolico di Paolo Villaggio, forse, sarebbe riuscito a dipingere il carattere lunare, gaglioffo e cialtrone del fantasma ferroviario che insidia da più di vent’anni l’estremo nord-ovest italiano: un ipotetico super-treno pensato negli anni ’80 del secolo scorso per i passeggeri, surclassato in capo a un decennio dall’avvento dei voli low-cost e infine umiliato anche dal traffico merci, defunto pure quello. La globalizzazione “cinese” sbarca a Genova e punta verso Rotterdam, snobbando il Piemonte e le Alpi del Rodano. Dalla Fortezza Bastiani del Tav, a lungo presidiata dall’ineffabile Pd con la collaborazione del centrodestra (leghisti compresi), ormai si guarda con malinconia ai dati, impietosi, sciorinati ufficialmente anche a Palazzo Chigi: il flusso di merci è crollato, e la ferrovia internazionale che già collega Torino a Lione attraversando l’infelice valle di Susa (via Modane, traforo del Fréjus) potrebbe tranquillamente reggere un incremento di traffico del 900%, se solo ci fossero merci da trasportare. Bel guaio: cosa bisognerà inventare, ancora, per spillare soldi euro-italiani da spalmare su appalti e subappalti? Avverte il giallista Massimo Carlotto, vicino ai NoTav: le grandi opere sono perfette per riciclare denaro, nell’immensa “lavanderia a cielo aperto” chiamata Europa. Business is business: non è che si possa smontare così, su due piedi, un grande affare destinato a pompare milioni (miliardi) in una filiera che include industria e indotto cantieristico, studi e consulenze, progettisti, banche e partiti.Se sento ancora parlare di Tav Torino-Lione, scrisse Giorgio Bocca nel 2005, vado a ripescare il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo gettato alla fine della guerra partigiana. Si era documentato, l’ultimo grande vecchio del giornalismo italiano: aveva capito che i palestinesi inermi le avevano buscate in modo selvaggio, riempiti di botte – uomini e donne, ragazzi e anziani – dai robocop venuti da lontano, in piena notte, per sgomberare il prato di Venaus occupato dalle famiglie impegnate in una sorta di sit-in permanente. Ne seguì una sommossa popolare a carattere insurrezionale: qualcosa che in Italia s’era visto soltanto nei moti di Reggio Calabria del 1970. Un popolo sulle barricate, armato solo di indignazione. Scudi umani, i sindaci in fascia tricolore (e le loro auto, quelle dei vigili urbani, spedite a sbarrare le strade, coi lampeggianti accesi). Due giorni di follia collettiva, dopo il pestaggio notturno, fino alla paralisi della tangenziale di Torino e alla capitolazione del governo: progetto sospeso, ritirato, archiviato. Clamorosa vittoria dei palestinesi, che da quel momento cominciarono a credersi invincibili. O meglio: ritennero invincibile la forza della ragione, la sovranità democratica del cittadino, la legittimità della protesta di una comunità coesa e fasciata di tricolore.Durò anni, l’illusione. Una speranza radicata: il governo centrale si sarebbe deciso a cestinare il dossier – poi bocciato anche da 360 tecnici universitari – per concludere che sì, avevano ragione i palestinesi della valle di Susa: quella ferrovia andava dimenticata, gettata nella spazzatura della storia. Ma le trivelle tornarono, dopo un quinquennio di silenzio. Era il 2010. La tensione emotiva era scemata, molti sindaci erano spariti – non rieletti, o semplicemente rimasti a casa, non più disposti a fare da caschi blu. Fu allora che cominciò l’accerchiamento, lento e inesorabile. Senza più i sindaci in prima fila, i NoTav erano nudi. “Siete finiti”, li avvertì cordialmente il sindaco di Torino, Chiamparino. Risposero in quarantamila, con una marcia sotto la neve. I piani di Roma, intanto, erano cambiati: il cantiere per la prima galleria esplorativa, inizialmente programmato nel prato poi “espugnato” a Venaus nel 2005, sarebbe stato reimpiantato a Chiomonte, sopra le gole della Dora Riparia, in posizione militarmente difendibile. I NoTav risposero asserragliandosi proprio lì, tra le loro Termopili. Nacque la Libera Repubblica della Maddalena, il villaggio di Asterix attrezzato – con barricate – per tentare di resistere all’esercito imperiale. I reparti antisommossa, duemila uomini, si presentarono puntuali all’alba del 27 giugno 2011. Agirono con calma, minimizzando la loro forza d’urto. In cabina di regia il ministro Maroni e il capo della polizia Manganelli. Niente più cariche, solo lacrimogeni.Ci rimasero malissimo, i palestinesi: avevano sperato di ripetere il “miracolo” del 2005, quand’erano riusciti – sciamando in 80.000 attraverso i boschi – a sfrattare la polizia da Venaus. Una settimana dopo lo sgombero della “Libera Repubblica”, il 3 luglio 2011 tentarono di riprendersi Chiomonte. Erano in centomila: un corteo lungo chilometri. Pullman da tutta Italia, decine di migliaia di valsusini. E anche giovani dei centri sociali: quelli che poi, nel pomeriggio, avrebbero contribuito a trasformare la protesta in guerriglia. “Volevano il morto”, dichiarò Maroni. Bilancio ufficiale: 200 feriti per parte. E fine di una lunga, gloriosa anomalia: la lotta popolare esclusivamente nonviolenta, nata e cresciuta in mezzo ai monti, che tanto aveva spaventato la politica. Inammissibile che una comunità di sessantamila valligiani riuscisse a fermare le ruspe. Intollerabile, che lo facesse in modo pacifico. Inaccettabile, che imponesse al governo di lasciarsi ascoltare, e lo costringesse a prender nota del fatto che, secondo tutti gli esperti, la linea Tav Torino-Lione era (ed è) una pazzia completamente inutile, destinata a pesare per decine di miliardi sul debito pubblico dopo aver reso invivibile il territorio, cioè i 50 chilometri che separano Torino dalla Francia. Rocce piene di amianto, montagne dove l’Agip scavò decine di gallerie per estrarre l’uranio al tempo del nucleare italiano. Falde acquifere a rischio, salute in pericolo e addio agricoltura. Dissesto idrogeologico irrimediabile, apocalisse urbanistica, catastrofe idrica incombente sulla stessa area metropolitana torinese. Ma perché, di grazia? A beneficio di chi?“Diteci almeno a cosa servirebbe, tutto questo”. Domanda rimasta sempre inevasa. Lo vuole l’Europa, c’è un impegno con la Francia. Davvero? Sì e no. L’Europa ha cambiato idea: ha archiviato l’originaria, fantascientifica direttrice Kiev-Lisbona, di cui la Torino-Lione sarebbe stata il passante alpino. Quanto alla Francia, varie istituzioni parigine hanno via via intiepidito la loro posizione. Analoga retromarcia tattica dal governo Renzi: è vero, la nuova linea costa troppo; meglio limitarsi al solo traforo, facendo poi passare i treni sull’attuale linea (perfettamente idonea, dunque – percorsa, già oggi, dal Tgv francese). Nel frattempo, sui NoTav si è scatenata una campagna di demonizzazione parossistica, da parte della politica istituzionale e dei grandi media. E il movimento valsusino, senza più la tutela diretta dei sindaci, ha fatto miracoli per arginare il pericolo di infiltrazioni da parte delle frange virtualmente violente (un conto è gestire un corteo, un altro controllare manifestanti in ordine sparso, nei boschi). Anni durissimi, rischiosi, in bilico, ma durante i quali – nonostante tutto – la resistenza dei palestinesi ha conquistato piena cittadinanza in larghi strati del paese, anche grazie al generoso impegno di opinion leader di prima grandezza, scrittori e artisti, cantanti, giuristi, intellettuali. Senza con questo riuscire minimamente a scalfire il muro di omertoso silenzio che ancora protegge, misteriosamente, il progetto della grande opera: un dogma marmoreo, quasi mistico, che sembra imposto da una religione sconosciuta, alla quale gli stessi politici (ministri, premier) appaiono sottomessi.C’è altro, poi, che i valsusini sanno e gli altri italiani per lo più ignorano. E’ una storia complicata, tra loro e il governo. Una storia tormentata e opaca, per molti aspetti, che risale addirittura alla Liberazione, quando molti partigiani – in maggioranza comunisti – rifiutarono di consegnare le armi agli alleati, per poi tirarle fuori, occupando fabbriche, in risposta all’attentato a Togliatti. Ha radici antiche, il ribellismo della valle di Susa, industriale e operaia già alla fine dell’800. Dopo il Sessantotto, mentre i padri issavano bandiere rosse sui cotonifici, decine di figli cedettero alla tentazione della lotta armata. La valle di Susa è stata l’unica area non metropolitana, in tutta Italia, ad allevare una colonna di terroristi, arruolati tra le file di Prima Linea. Poi vennero gli anni ’80, con l’autostrada del Fréjus che la valle non voleva. Le solite mazzette e, a seguire, la relativa Tangentopoli, con arresti eccellenti, mentre la commissione parlamentare antimafia denunciava il radicamento della ‘ndrangheta nell’alta valle, il paradiso sciistico che a Sestriere avrebbe ospitato i Mondiali di sci e poi le Olimpiadi Invernali. Quello di Bardonecchia è stato il primo Consiglio comunale italiano, a nord del Po, a essere disciolto per mafia.L’onorata società tornò a occupare la cronaca della valle di Susa poco dopo gli attentati siciliani costati la vita a Falcone e Borsellino, quando la magistratura di Torino scoprì che erano finite a una cosca calabrese le pistole uscite illegalmente, a centinaia, da un’armeria di Susa. Chi avrebbe dovuto vigilare non l’aveva fatto: emerse l’ombra dei servizi segreti. Gli inquirenti avevano scoperto il traffico di armi grazie a un pentito della ‘ndrangheta, che smise di parlare (di colpo) dopo che gli fu ucciso il fratello, proprio in valle di Susa, da un ex agente del Sismi, reo confesso. Uno stillicidio di notizie inquietanti, che il valsusino medio – non ancora palestinese – apprendeva con sgomento, a metà degli anni ’90. A seguire, cominciarono a esplodere bombe: una dozzina di attentati dinamitardi, notturni e devastanti ma tutti incruenti, colpirono le prime trivelle del futuro Tav ma anche centraline Enel, tralicci telefonici, ripetitori televisivi. I giornali, in coro, parlarono di eco-terrorismo anarco-insurrezionalista. Comparve una sigla, “Lupi Grigi”, con rivendicazioni deliranti contro le grandi opere. Finirono in manette tre giovani anarchici, due dei quali (“Sole e Baleno”) poi trovati morti in stato di detenzione, impiccati. L’accusa: banda armata e associazione sovversiva. Lui, Edoardo Massari, un anarchico piemontese. Lei, Maria Soledad Rosas, argentina, giovanissima, venuta in Europa in vacanza premio, dopo il liceo, e poi rimasta in Italia perché innamoratasi del suo “Edo”. Il pm annunciò di avere “prove granitiche”, contro di loro. Salvo poi ammettere il tragico errore, fuori tempo massimo. Scagionati post mortem, alla fine del processo: non erano stati quei ragazzi, a far saltare in aria mezza valle di Susa. Chi, allora?Aveva in testa anche questi pensieri, il valsusino medio (mediamente colto e informato, mediamente scettico) quando cominciò a diventare un po’ palestinese, trascinando la famiglia nei prati di Venaus dove, nel 2005, si era accampata la polizia, spedita lassù da un governo che sosteneva fosse fondamentale far passare proprio di lì, spianando l’intera vallata, la famosa super-ferrovia miliardaria destinata a collegare il Portogallo all’Ucraina. Non può essere, si dicevano i valligiani: avranno capito male, a Roma. E così studiarono, si documentarono, mobilitarono i migliori specialisti. Non sta né in cielo né in terra, conclusero: è un’opera faraonica e devastante, tragicamente inutile. Ne parlavano anche coi poliziotti infreddoliti, inviati a Venaus a presidiare il prato prescelto per accogliere il primo cantiere. Dai NoTav, una protesta formato famiglia: bambini, polenta, bicchieri di tè caldo offerti agli stessi agenti – non quelli che li avrebbero sgomberati (per l’operazione, il reparto presidiario fu avvicendato). Gli incursori notturni colpirono alla cieca, travolgendo tende e sacchi a pelo. Una gradine di manganellate, al buio. Le ambulanze, le urla, i feriti. L’inizio della saga, già l’indomani: i valsusini, a migliaia, nelle strade. La circolazione paralizzata, i treni fermi. Il ministro dell’interno, Pisanu, scomparso dai radar. Imbarazzo, fra i palazzi romani. I palestinesi in rivolta ospitati per la prima volta in televisione, da Gad Lerner, per poi ricevere i primi rumorosi endorsement a reti unificate: Beppe Grillo, Dario Fo. E quei benedetti sindaci, avvolti nel tricolore, a ripetere che la legalità comincia dal rispetto del cittadino, democraticamente sovrano e tutelato da diritti costituzionali.Era solo il 2005, ma sembrano passati cent’anni. Le famiglie di allora avevano una luce particolare, negli occhi. La crisi era ancora lontana. C’era lavoro per tutti, i negozi non avevano ancora cominciato a chiudere, uffici e fabbriche funzionavano. All’ora dell’aperitivo i bar tracimavano di giovani – tutti palestinesi, naturalmente, tra svolazzi di bandiere NoTav. Un clima festoso, di fiducia. “Capiranno, a Roma. Si decideranno a ragionare”. I valsusini: riscopertisi comunità, proprio grazie allo scampato pericolo. Idee politiche forse rudimentali, antiche: la destra, la sinistra. A dire il vero, nella valle ribelle non s’era visto nessuno dei big: tutti spariti, i grandi partiti. La parte del cattivo era toccata a Berlusconi, ma poi Prodi (frenato dai ministri filo-valsusini Paolo Ferrero e Alfonso Pecoraro Scanio) non aveva comunque mai mostrato entusiasmo, per il fervore democratico dei palestinesi garibaldini, alle prese con quello strano risorgimento alpino, montanaro, periferico ma non provinciale. E’ come se si fosse laureato honoris causa, il valsusino medio, in questi anni grami: si è probabilmente conquistato il suo diploma di cittadino di prima classe, quanto a consapevolezza, mentre buona parte dell’Italia dormiva ancora sugli allori, prima di essere svegliata nel peggiore dei modi dal professor Monti, dalla professoressa Fornero.Si racconta che dal massiccio dell’Ambin, nel quale si è andato scavando il dannato tunnel esplorativo, sia disceso Annibale coi suoi elefanti. In direzione opposta avanzò Giulio Cesare alla conquista delle Gallie, facendo base a Susa, dove poi l’imperatore Costantino assediò Massenzio. Poco più a valle, Carlomagno sbaragliò i Longobardi manzoniani di Adelchi e Desiderio per poter fondare il Sacro Romano Impero, il cui erede Barbarossa mise a soqquadro Susa. Napoleone aprì la strada del Moncenisio, Cavour fece scavare il traforo del Fréjus. Quasi ogni sasso, in valle di Susa, ha molti secoli da raccontare, all’ombra dell’imponente Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte, eretto prima dell’anno Mille. Sul versante opposto, da una roccia emerge il Giove Dolicheno, scolpito dai soldati mediorientali arruolati da Roma nella Legione Siriana, di stanza nella valle conquistata dai Cesari. I valsusini amano le loro montagne, le frequentano con devozione. Le guardano diventare rosse, e poi viola, quando il tramonto illanguidisce nel crepuscolo lungo la cordigliera transalpina, dalla piramide del Rocciamelone alla mole nevosa del Niblè. Prima di altri, a loro spese, hanno imparato che il nuovo impero ha un’unica legge davvero sacra, quella dei soldi. A loro modo, da palestinesi, sono stati tra gli ultimi difensori di una repubblica di cui tutti gli italiani, oggi, hanno nostalgia.(Giorgio Cattaneo, “Tav, la strana guerra contro i palestinesi della valle di Susa”, dal blog “Petali di Loto” dell’11 dicembre 2018).Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.