Archivio del Tag ‘catastrofe’
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Barnard: Darpa, Berkeley e coronavirus. Che coincidenze…
Sapete chi conosceva tutto, fin dall’inizio, del coronavirus? Berkeley, L’università della California. E chi ha pagato gli studi? La Darpa, cioè la branca del Pentagono specializzata in armi sperimentali, chimiche e batteriologiche. Lo afferma Paolo Barnard, su Twitter, rompendo un silenzio che dura da quasi un anno: il grande giornalista ha infatti interrotto nel maggio 2019 l’aggiornamento del suo seguitissimo blog. Ma ora, di fronte alla catastrofe economica causata dal nuovo virus, non riesce a trattenersi. E avanza un sospetto: possibile che siamo di fronte a semplici coincidenze? «La diffusione del coronavirus in Italia è stata di stimolo per Paolo Barnard per tornare a scrivere», premette “Come Don Chisciotte”, che in un post unisce gli ultimi sei tweet dal profilo del cofondatore di “Report”, poi tornato in televisione con Gianluigi Paragone. Ecco il primo tweet: «Il n-Corona è stato studiato per anni da Cara Brook, “Miller fellow” alla Uc Berkeley (fonte “eLife”). Salta fuori che i fondi per lo studio vengono dal Darpa: Defense Advanced Research Projects Agency (Us, dipartimento della Difesa), il laboratorio di armi più sofisticato del mondo».Nel secondo tweet, Barnard si pone due domande: «Perché Darpa finanzia la “zoonosis” bats-umani?», cioè lo studio sulla trasmissione del virus attraverso i pipistrelli. E poi: «Perché l’università più di sinistra e pacifista d’America accetta soldi dalla Difesa Usa?». Domande girate ai diretti interessati: la stessa Darpa e la biologa Brook, di Berkeley, direttrice delle indagini virologiche sui pipistrelli. «Scrivo alla Brook: muta. Scrivo al Darpa e il top delle communications, Jared Adams, mi risponde 3 volte mail fiume». Attenzione: «Sia io che Jared mettiamo la Brook in copia, ma lei sempre muta». L’episodio richiama altri precedenti, scrive Barnard: «Ricordate il macello successo a Google (i “Google walkouts”) perché Google aveva osato accettare un contratto dalla Difesa Usa? E Berkeley lavora con il più letale “lab” militare americano?». Non solo: «Due anni fa, la Supermicro infetta mezza Us (inclusi Amazon, Apple e Gov.) con chips nelle schede madri fatte in Cina e infettate dall’esercito cinese (fonte, “Bloomberg”). Oggi un n-virus che è già studiato da tempo dal Darpa attraverso la ‘brava’ Berkeley…».Il fatto è, aggiunge Barnard, che questo virus «finisce a fare un macello a Wuhan, che è una Silicon Valley cinese». Ma per carità, chiosa Barnard, sarcastico: non vorremo mica tirare in ballo le teorie del complotto, vero? Meglio restare «fedeli alla “evidence based science”», la famosa evidenza scientifica. «Ma questa è curiosa, e forse spiega perché la più grande agenzia della Difesa Usa mi risponde 2mila righe, e Berkeley zitta». Barnard non si trattiene: «Ah, dimenticavo: con fonti come il Darpa, la Berkeley, Bloomberg e la diagnosi di “disturbi della personalità” di Trump, ciò che ho scritto è “teoria del complotto”, come Colombo & Turone & Gelli + Bologna + Nixon & Cointelpro, tutte teorie del complotto». Traduzioni: Cointelpro era un programma (illegale) di spionaggio, targato Fbi. Licio Gelli? La sua P2 fu la prima, con il “piano di rinascita democratica”, a prescrivere il taglio dei parlamentari; idea poi ripresa dai magistrati di Mani Pulite e ora tornata in voga, grazie soprattutto ai 5 Stelle: il piano della P2 riproposto pari pari all’Italia. Quanto al coronavirus, le “coincidenze” sono spettacolari: la Cina messa in ginocchio da un morbo di cui Berkeley sa tutto, grazie a finanziamenti speciali appositamente ricevuti dal Pentagono. Curioso, vero? «Ciao, torno sottoterra», è l’irridente commiato di Barnard ai lettori.Sapete chi conosceva tutto, fin dall’inizio, del coronavirus? Berkeley, la celebre università della California. E chi ha pagato gli studi? La Darpa, cioè la branca del Pentagono specializzata in armi sperimentali, chimiche e batteriologiche. Lo afferma Paolo Barnard, su Twitter, rompendo un silenzio che dura da quasi un anno: il grande giornalista ha infatti interrotto nel maggio 2019 l’aggiornamento del suo seguitissimo blog. Ma ora, di fronte alla catastrofe economica causata dal nuovo virus, non riesce a trattenersi. E avanza un sospetto: possibile che siamo di fronte a semplici coincidenze? «La diffusione del coronavirus in Italia è stata di stimolo per Paolo Barnard per tornare a scrivere», premette “Come Don Chisciotte“, che in un post unisce gli ultimi sei tweet dal profilo del cofondatore di “Report”, poi tornato in televisione con Gianluigi Paragone. Ecco il primo tweet: «Il n-Corona è stato studiato per anni da Cara Brook, “Miller fellow” alla Uc Berkeley (fonte “eLife”). Salta fuori che i fondi per lo studio vengono dal Darpa: Defense Advanced Research Projects Agency (Us, dipartimento della Difesa), il laboratorio di armi più sofisticato del mondo».
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Disabilitare la politica: e ci sono riusciti, dal 2001 in poi
Mille anni fa, nel remotissimo 2001, l’allora anonimo Vladimir Putin – appena insediato al Cremlino, dopo l’esausto Eltsin – era poco più che un fantasma tra le rovine dell’Urss disastrata dalle privatizzazioni: non osò alzare la voce neppure per il misterioso affondamento del sommergibile Kursk nel Mare di Barents con i suoi 118 marinai, mentre il mondo si rassegnava a tollerare l’apparente infantilismo semianalfabeta dello sceriffo Bush junior. A Genova, sotto il sole di luglio, si animava la stranissima festa multicolore dei NoGlobal, scandita delle canzoni di Manu Chao: una kermesse variopinta, innocua, per molti essenzialmente ingenua. Andava ancora di moda la speranza in un mondo migliore, sebbene per la maggior parte dell’opinione pubblica non ce ne fosse neppure bisogno: andava benissimo quello che già c’era, senza più la guerra fredda (grazie a Gorbaciov) e senza vere crisi all’orizzonte. Tutto cambiò di colpo il 20 luglio, nel capoluogo ligure, con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Nemmeno due mesi dopo, bruciavano le Torri Gemelle di New York. Si spalancò davanti agli occhi di tutti un mondo infinitamente peggiore, tra crateri di violenza inspiegabile, terrorismo, guerre infinite. E a ruota, catastrofiche crisi economico-finanziarie.
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L’influenza stagionale uccide 1.000 volte più del coronavirus
Se il coronavirus si rivela grave, poiché al momento non sembra esserlo, molte economie potrebbero essere influenzate negativamente. La Cina è la fonte di molte parti fornite ai produttori di altri paesi e la Cina è la fonte dei prodotti finiti di molte aziende statunitensi come Apple. Se non è possibile effettuare spedizioni, le vendite e la produzione al di fuori della Cina ne risentono. Senza entrate, i dipendenti non possono essere pagati. A differenza della crisi finanziaria del 2008, si tratterebbe di una crisi di disoccupazione e di un fallimento delle grandi società manifatturiere e commerciali. Questo è il pericolo a cui il globalismo ci rende vulnerabili. Se le società statunitensi producessero negli Stati Uniti i prodotti che commercializzano negli Stati Uniti e nel mondo, un’epidemia in Cina influenzerebbe solo le loro vendite cinesi, non minaccerebbe i ricavi delle società. Le persone sconsiderate che hanno costruito il “globalismo” hanno trascurato che l’interdipendenza è pericolosa e può avere enormi conseguenze indesiderate. Con o senza un’epidemia, le forniture possono essere tagliate per una serie di motivi. Ad esempio, scioperi, instabilità politica, catastrofi naturali, sanzioni e altre ostilità come guerre e così via.Chiaramente, questi pericoli per il sistema non sono giustificati dal minor costo del lavoro e dalle conseguenti plusvalenze per gli azionisti e bonus per i dirigenti aziendali. Solo l’uno per cento beneficia del globalismo. Il globalismo è stato costruito da persone motivate dall’avidità a breve termine. Nessuna delle promesse del globalismo è stata mantenuta: il globalismo è un errore enorme. Tuttavia, quasi ovunque i leader politici e gli economisti sono protettivi nei confronti del globalismo. Questo per quanto riguarda l’intelligenza umana. A questo punto, è difficile comprendere l’isteria sul coronavirus e le previsioni della pandemia globale. In Cina ci sono circa 24.000 infezioni e 500 morti in una popolazione di 1,3 miliardi di persone. Questa è una malattia insignificante. Rispetto alla normale influenza stagionale che infetta milioni di persone in tutto il mondo e uccide 600.000, il coronavirus finora non equivale a nulla. Le infezioni al di fuori della Cina sono minuscole e sembrano essere limitate ai cinesi. È difficile sapere con certezza, a causa della riluttanza a identificare le persone per razza. Eppure la Cina ha vaste aree in quarantena e i viaggi da e verso il paese sono limitati.Nulla di simile a queste precauzioni è preso contro l’influenza stagionale. Finora questa stagione influenzale nei soli Stati Uniti 19 milioni di persone sono state ammalate, 180.000 ricoverate in ospedale e 10.000 sono morte. L’ultimo rapporto è che 16 persone negli Stati Uniti (forse tutti cinesi) hanno avuto il coronavirus, e nessuno è morto. Forse il coronavirus si sta appena scaldando e molto peggio deve arrivare. In tal caso, il Pil mondiale subirà un colpo. Le quarantene impediscono il lavoro. I prodotti e le parti finiti non possono essere realizzati e spediti. Le vendite non possono avvenire senza prodotti da vendere. Senza entrate le aziende non possono pagare dipendenti e altre spese. I redditi diminuiscono in tutto il mondo. Le aziende falliscono. Se scoppia una micidiale pandemia di coronavirus o di qualosa’altro e c’è una depressione mondiale, dovremmo essere molto chiari nella nostra mente che il globalismo ne sarà stata la causa. I paesi i cui governi sono così sconsiderati o corrotti da rendere le loro popolazioni vulnerabili a eventi dirompenti all’estero sono instabili dal punto di vista medico, economico, sociale e politico. La conseguenza del globalismo è l’instabilità mondiale.(Paul Craig Roberts, “La conseguenza del globalismo è l’instabilità mondiale”, dal blog di Craig Roberts del 5 febbraio 2020).Se il coronavirus si rivela grave, poiché al momento non sembra esserlo, molte economie potrebbero essere influenzate negativamente. La Cina è la fonte di molte parti fornite ai produttori di altri paesi e la Cina è la fonte dei prodotti finiti di molte aziende statunitensi come Apple. Se non è possibile effettuare spedizioni, le vendite e la produzione al di fuori della Cina ne risentono. Senza entrate, i dipendenti non possono essere pagati. A differenza della crisi finanziaria del 2008, si tratterebbe di una crisi di disoccupazione e di un fallimento delle grandi società manifatturiere e commerciali. Questo è il pericolo a cui il globalismo ci rende vulnerabili. Se le società statunitensi producessero negli Stati Uniti i prodotti che commercializzano negli Stati Uniti e nel mondo, un’epidemia in Cina influenzerebbe solo le loro vendite cinesi, non minaccerebbe i ricavi delle società. Le persone sconsiderate che hanno costruito il “globalismo” hanno trascurato che l’interdipendenza è pericolosa e può avere enormi conseguenze indesiderate. Con o senza un’epidemia, le forniture possono essere tagliate per una serie di motivi. Ad esempio, scioperi, instabilità politica, catastrofi naturali, sanzioni e altre ostilità come guerre e così via.
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Gli eroi di Stalingrado: vinsero la Seconda Guerra Mondiale
Il 2 febbraio di quest’anno è stato il 75° anniversario della fine della più grande, più lunga e sanguinosa battaglia della storia del genere umano: uno scontro che aveva distrutto la punta di lancia di quella invincibile macchina da guerra nazista che aveva conquistato tutta l’Europa in soli tre anni e che sembrava in procinto di conquistare il mondo intero: eppure, incredibilmente, tutti i media occidentali, specialmente negli Stati Uniti, lo hanno fino ad ora completamente ignorato. La battaglia di Stalingrado era stata la svolta definitiva del destino: aveva deciso il risultato della Seconda Guerra Mondiale. La scala colossale di quello straordinario scontro, all’epoca, era ben nota agli americani e ai britannici, ma da allora è stata completamente dimenticata. Le nazioni occidentali l’hanno seppellita in fondo al buco nero dei ricordi proibiti, che George Orwell riconoscerebbe fin troppo bene. Nonostante ciò, Stalingrado ha fatto passare in secondo piano tutte le altre battaglie di quella guerra. Era iniziata nell’agosto del 1942 come ultima, disperata difesa di quella che sembrava essere un’Armata Rossa condannata alla sconfitta da una invincibile Wehrmacht che, in meno di tre anni, aveva conquistato l’intero continente europeo, dalla punta settentrionale della Norvegia a Creta e il deserto del Sahara libico. Ma a Stalingrado era cambiato tutto.“Al di là del Volga non c’è niente!”, era il grido di battaglia sovietico, e non c’era veramente nulla. Ancora oggi, guardando ad est dall’alto della collina di Mamayev Kurgan, è inquietante vedere che, dall’altra parte del grande Volga, l’incarnazione dell’anima russa, non c’è letteralmente niente. Mamayev Kurgan è un monumento ai caduti come nessun altro sulla Terra, perchè è dominato da una dea irata. La statua più gigantesca, impressionante ed inquietante del mondo, Rodina-Mat, la dea madre della Russia, si eleva per quasi 50 metri senza piedistallo, 6 metri più in alto della Statua della Libertà. Pesa 1.000 tonnellate, oltre 15 volte la Statua della Libertà. Ma questo è il meno. A New York, Lady Liberty è tranquilla e serena, ma Rodina-Mat è dinamica e furiosa. Il suo viso bellissimo e sorprendentemente giovanile trasmette shock, rabbia e una furia da incubo. Il braccio di Rodina-Mat non è rilassato e disteso e non porta una torcia come quello di Lady Liberty. È sollevato e regge una spada lunga più di 20 metri, e la alza così in alto nel cielo che sulla punta hanno dovuto installare una luce di navigazione rossa per allertare gli aerei che volano a bassa quota.Visto da lontano, lo spettacolo è ancora più impressionante, persino terrificante. Perché Rodina-Mat è nel punto più alto delle alture che dominano la città, il luogo dove si era combattuto con più accanimento. La si può vedere da qualunque parte lungo le principali arterie nord-sud che costeggiano il Volga. Sembra sempre in movimento, viva, pronta a calare sugli invasori la sua incredibile spada. È come se Atena o Afrodite fossero uscite dalle pagine dell’Iliade di Omero e, attraverso il tempo, dai campi di battaglia di Troia, o come se un gigantesco dio-astronauta idealizzato da Erich von Daniken fosse nuovamente giunto sulla Terra. Nei 200 giorni della Battaglia di Stalingrado, a Mamayev Kurgan si era combattuto per 130. Oggi è il luogo dove riposano 35.000 soldati sovietici. Gli storici militari occidentali riconoscono che nella battaglia di Stalingrado erano morti 1,1 milioni di soldati sovietici, e questo calcolo non include almeno 100.000 civili (e forse il triplo) massacrati dai bombardamenti aerei indiscriminati della Luftwaffe.Nella prima settimana di incursioni aeree a Stalingrado erano morti il doppio dei civili rispetto ai bombardamenti alleati di Dresda. Quando gli interrogatori sovietici avevano chiesto al maresciallo di campo Friedrich Paulus, il comandante catturato della Sesta Armata, perché avesse autorizzato un massacro così inutile, aveva risposto che stava solo eseguendo gli ordini. Anche le perdite naziste erano state colossali. Secondo le stime russe, 1,5 milioni di soldati tedeschi e dell’Asse avevano perso la vita durante l’intera campagna, più di cinque volte i morti in combattimento degli Stati Uniti durante tutta la guerra, e più del doppio dei morti combinati dell’Unione e dei Confederati nella Guerra Civile Americana. Neanche uno dei resti dei soldati dell’Asse, trovati e identificati, sono sepolti all’interno della città. È terreno sacro per il popolo russo. Solo gli eroici difensori di Stalingrado e della patria, o Rodina, hanno il massimo onore di riposarvi.L’intera Sesta Armata tedesca, 300.000 uomini, all’epoca considerata la forza militare più invincibile della Terra, era stata distrutta a Stalingrado. Solo 90.000 di loro erano sopravvissuti ed erano stati fatti prigionieri quando Paulus si era arreso. Il quartier generale di Paulus, nel seminterrato dell’Univermag, il grande magazzino nel centro della città, è stato trasformato in museo, uno dei più strani al mondo e in sorprendente contrasto con l’imponenza primordiale, eroica, epica della statua e dei monumenti di Mamayev Kurgan. Nel 2005, quando l’avevo visitato l’ultima volta, Univermag era ancora un grande magazzino, molto simile a quelli che si trovano nel cuore degli Stati Uniti, in luoghi come Sioux City o Iowa City, costruiti negli anni ’20 e che avevano prosperato fino a quando Wal-Mart non li aveva inghiottiti tutti. Si entra nell’Univermag di Volgograd attraverso l’ingresso principale, si passa accanto ai giocattoli per bambini, si gira a sinistra, oltre i pigiami per signora e gli oggetti in vetro e, senza alcun preavviso, si è lì.Il seminterrato è pieno di ricostruzioni dell’ultima resistenza della Sesta Armata. Dietro una porta, i manichini di due soldati tedeschi morenti giacciono in quella che sembra veramente una sala operatoria di emergenza. Dietro un’altra porta, un robotico Paulus continua ad alzarsi dalla sua scrivania per ascoltare da un altro ufficiale le ultime notizie della catastrofe. Dappertutto, il lamento dell’impietoso vento invernale della steppa e lo spietato sibilo delle Katyushe sovietiche, i lanciarazzi “Caterina,” fanno da accompagnamento. Ilya Ehrenburg, il più grande di tutti i corrispondenti di guerra, aveva scritto che i soldati arroccati nei seminterrati e fra le macerie e che resistevano sulle rive del Volga a pochi metri dall’acqua, adoravano quei lanciarazzi. Ed era ancora vero nel 2005: i volti dei veterani ottantenni e superdecorati si erano illuminati di entusiasmo e di gioia fanciullesca quando avevo chiesto loro quale fosse stata la loro arma preferita dell’intera guerra. “Katyusha!” avevano gridato quei meravigliosi vecchietti, saltando su e giù, mentre gli anni sparivano come per magia. “Katyusha!”.Settantacinque anni dopo la resa di Paulus e dopo più di settant’anni dalla sconfitta del Terzo Reich, i ricordi e le cicatrici di quella lotta fanno ancora parte della Russia moderna. Il comunismo è morto. Ma il patriottismo russo no. Ed è per questo che, in questa era di crescenti differenze e alienazione tra la Russia e l’Occidente, lo straordinario eroismo e il sacrificio di tutti quei soldati dell’Armata Rossa e il prezzo terribile che avevano pagato per salvare il mondo devono essere ricordati dai vecchi alleati della Russia. Le emozioni selvagge, feroci ma assolutamente autentiche che appaiono sullo straordinario volto di Rodina-Mat testimoniano gli incredibili sacrifici che si erano consumati sulle rive del Volga per distruggere il male estremo. I leader e i popoli occidentali devono ricordare, ancora una volta, coloro avevano distrutto quel male, il prezzo terribile che avevano pagato e la gratitudine che ancora dobbiamo loro.(Martin Sieff, “Gli eroi di Stalingrado e il debito che abbiamo con loro”, da “Strategic Culture” del 31 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”. Analista geopolitico e reporter per testate come “Washington Times” e “The Globalist”, Sieff è stato dirigente della United Press International e tre volte candidato al Premio Pulitzer).Il 2 febbraio di quest’anno sarà il 75° anniversario della fine della più grande, più lunga e sanguinosa battaglia della storia del genere umano: uno scontro che aveva distrutto la punta di lancia di quella invincibile macchina da guerra nazista che aveva conquistato tutta l’Europa in soli tre anni e che sembrava in procinto di conquistare il mondo intero: eppure, incredibilmente, tutti i media occidentali, specialmente negli Stati Uniti, lo hanno fino ad ora completamente ignorato. La battaglia di Stalingrado era stata la svolta definitiva del destino: aveva deciso il risultato della Seconda Guerra Mondiale. La scala colossale di quello straordinario scontro, all’epoca, era ben nota agli americani e ai britannici, ma da allora è stata completamente dimenticata. Le nazioni occidentali l’hanno seppellita in fondo al buco nero dei ricordi proibiti, che George Orwell riconoscerebbe fin troppo bene. Nonostante ciò, Stalingrado ha fatto passare in secondo piano tutte le altre battaglie di quella guerra. Era iniziata nell’agosto del 1942 come ultima, disperata difesa di quella che sembrava essere un’Armata Rossa condannata alla sconfitta da una invincibile Wehrmacht che, in meno di tre anni, aveva conquistato l’intero continente europeo, dalla punta settentrionale della Norvegia a Creta e il deserto del Sahara libico. Ma a Stalingrado era cambiato tutto.
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Magaldi: massoni in guerra, ma per vincere serve il popolo
La guerra dei poveri, la chiamò Nuto Revelli. E i poveri erano gli alpini in Russia con le suole di cartone, i partigiani in armi dopo l’8 settembre, i montanari che li nutrivano con pane duro e castagne. Un memoriale-capolavoro, quello uscito per Einaudi nel 1962, in cui Revelli racconta in modo magistrale la vertiginosa trasformazione di un intero paese, grazie allo choc collettivo della catastrofe bellica. Metamorfosi che investe lo stesso protagonista: da ufficiale fascista, imbevuto di retorica militarista, a comandante della Resistenza, nelle brigate “Giustizia e Libertà”. Il brusco risveglio, nel 1943, è propiziato dallo sfacelo delle forze armate allo sbando, il 25 luglio. Un anno dopo, quando gli Alleati sbarcheranno in Provenza, una divisione corazzata della Wehrmacht si muoverà dal Cuneese per affrontarli. Nuto Revelli e i suoi riusciranno a rallentare i panzer per dieci giorni, inchiodandoli tra le gole della valle Stura, permettendo così agli americani di conquistare le alture di Nizza. Finita la battaglia, il comandante vorrebbe marciare verso la Liguria. Ma gli uomini glielo impediscono, vogliono svalicare in Francia. E la spuntano: votando, per alzata di mano. Democrazia, in alta montagna, dopo vent’anni di adunate nere: il riscatto della coscienza. Ma non è mai gratis, la libertà. Lo ripete anche oggi chi combatte un’altra guerra, sotterranea ma non troppo, tra le fila della cosiddetta massoneria progressista.
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Sand: l’invenzione sionista del ‘popolo ebraico’, mai esistito
Fin dalla prima infanzia i bambini israeliani vengono a «sapere» che il popolo a cui appartengono esiste dal momento in cui gli fu data la Torah sul Sinai. Quei bambini sono convinti di essere discendenti diretti delle genti che, uscite dall’Egitto, si stanziarono, dopo averla conquistata, nella «terra di Israele», promessa, come tutti «sanno», da Dio per fondarvi lo splendido regno di Davide e Salomone, poi separatosi a formare quelli di Giuda e d’Israele. Crescendo quei bambini apprenderanno che questo popolo, dopo il glorioso periodo monarchico, ha conosciuto l’esilio per ben due volte: una con la distruzione del Primo Tempio nel sesto secolo a.C.; la seconda dopo quella del Secondo Tempio nel 70 d.C. Impareranno poi che il loro popolo, il più antico di tutti, ha errato in esilio per circa duemila anni, nel corso dei quali non si è mai lasciato integrare né assimilare. Che ha raggiunto lo Yemen, il Marocco, la Spagna, la Germania, la Polonia, angoli remoti della Russia riuscendo sempre a mantenere stretti legami di sangue con le comunità più lontane, preservando di conseguenza la propria unicità. In realtà è molto improbabile che le cose siano andate davvero così.Anzi, Shlomo Sand, storico ebreo, docente all’Università di Tel Aviv, in un libro, L’invenzione del popolo ebraico, sostiene che si tratta, appunto, di una «invenzione». Questa storia non sta in piedi, afferma Sand: così come ad esempio non c’è continuità tra gli antichi elleni e i greci di oggi, non c’è una linea diretta che colleghi gli ebrei di duemila anni fa a quelli attuali. Per di più questo racconto non è andato formandosi spontaneamente; «Sono stati invece abili manipolatori del passato che dalla seconda metà del XIX secolo, strato dopo strato, hanno elevato questo cumulo di ricordi servendosi soprattutto di frammenti di memoria religiosa ebraica e cristiana, da cui la loro fervida immaginazione ha ricostruito un’ininterrotta genealogia del popolo ebraico». La Dichiarazione di Indipendenza di Israele afferma che il popolo ebraico proviene dalla Terra di Israele e che fu esiliato dalla sua patria. Ad ogni scolaro israeliano si insegna che ciò accadde durante il dominio romano, nell’anno 70 d.C. La nazione rimase fedele alla sua terra, alla quale iniziò a tornare dopo 2 millenni di esilio.Tutto sbagliato, dice lo storico Shlomo Sand, in uno dei libri più affascinanti e stimolanti pubblicati in Israele da molto tempo a questa parte. Non c’è mai stato un popolo ebraico, solo una religione ebraica, e l’esilio non è mai avvenuto – per cui non si è trattato di un ritorno. Sand rigetta la maggior parte dei racconti biblici riguardanti la formazione di una identità nazionale, incluso il racconto dell’esodo dall’Egitto e, in modo molto convincente, i racconti degli orrori della conquista da parte di Giosuè. È tutta invenzione e mito che è servita come scusa per la fondazione dello Stato di Israele, egli assicura. Secondo Sand, i romani, che di solito non esiliavano intere nazioni, permisero alla maggior parte degli ebrei di restare nel paese. Il numero degli esiliati ammontava al massimo a qualche decina di migliaia. Quando il paese fu conquistato dagli arabi, molti ebrei si convertirono all’Islam e si assimilarono con i conquistatori. Ne consegue che i progenitori degli arabi palestinesi erano ebrei…Sand non ha inventato questa tesi; 30 anni prima della Dichiarazione di Indipendenza, essa fu sostenuta da David Ben-Gurion, Yitzhak Ben-Zvi ed altri. Se la maggioranza degli ebrei non fu esiliata, come è successo allora che tanti di loro si insediarono in quasi ogni paese della terra? Sand afferma che essi emigrarono di propria volontà o, se erano tra gli esiliati di Babilonia, rimasero colà per loro scelta. Nel Libro di Ester, per esempio, è scritto: “Molti appartenenti ai popoli del paese si fecero Giudei, perché il timore dei Giudei era piombato su di loro” (Ester 8, 17). Sand cita molti precedenti studi, alcuni dei quali scritti in Israele ma tenuti fuori dal dibattito pubblico dominante. Egli descrive anche, e a lungo, il regno ebraico di Himyar nella penisola arabica meridionale e gli ebrei berberi del Nord Africa. La comunità degli ebrei di Spagna derivava da arabi convertiti al giudaismo che giunsero con le forze che tolsero la Spagna ai cristiani, e da individui di origine europea che si erano convertiti anch’essi al giudaismo.I primi ebrei di Ashkenaz (Germania) non provenivano dalla Terra di Israele e non giunsero in Europa orientale dalla Germania, ma erano ebrei che si erano convertiti nel regno dei Kazari nel Caucaso. Sand spiega l’origine della cultura Yiddish: non si tratta di un’importazione ebraica dalla Germania, ma del risultato dell’incontro tra i discendenti dei Kazari e i tedeschi che si muovevano verso oriente, alcuni dei quali in veste di mercanti. Scopriamo così che elementi di vari popoli e razze, dai capelli biondi o scuri, di pelle scura o gialla, divennero ebrei in gran numero. Secondo Sand, i sionisti per la necessità che hanno di inventarsi una etnicità comune e una continuità storica, hanno prodotto una lunga serie di invenzioni e finzioni, ricorrendo anche a tesi razziste. Alcune di queste furono elaborate espressamente dalle menti di coloro che promossero il movimento sionista, mentre altre furono presentate come i risultati di studi genetici svolti in Israele.Il professor Sand insegna all’Università di Tel Aviv. Il suo libro, ‘When and How Was the Jewish People Invented’ (Quando e come fu inventato il popolo ebraico), pubblicato in ebraico dalla casa editrice Resling, vuole promuovere l’idea di un Israele come “Stato di tutti i suoi cittadini” – ebrei, arabi ed altri – in contrasto con l’attuale dichiarata identità di stato “ebraico e democratico”. Il racconto di avvenimenti personali, una prolungata discussione teoretica e abbondanti battute sarcastiche non rendono scorrevole il libro, ma i capitoli storici sono ben scritti e riportano numerosi fatti e idee perspicaci che molti israeliani resteranno sorpresi di leggere per la prima volta. «Volevo scrivere un libro che avesse solidità storica ma conclusioni politiche, perché sono uno storico, e in quante tale sono tenuto a cercare la verità, ma rimango comunque un cittadino israeliano, vittima di una politica identitaria statale del tutto catastrofica», dice Shlomo Sand.Attenzione: è importante ricordare che il sionismo non è l’ebraismo. La fede ebraica (da rispettare al pari qualsiasi altra fede) e il sionismo sono due filosofie molto diverse. Confonderli è un terribile errore che può avere risultati disastrosi. Il movimento sionista ha creato lo Stato di Israele. Questo è il prodotto di un’idea che ha meno di cento anni. Il suo scopo fondamentale era ed è quello di cambiare l’essenza del popolo ebraico da entità religiosa a movimento politico. Dalla nascita del sionismo i capi spirituali del popolo ebraico si sono opposti strenuamente ad esso. Inoltre: la confusione seguita a trascinarsi sui giornali tramite pericolosi giochi semantici: lo Stato ebraico… i soldati ebrei… le milizie ebraiche. Non solo lo Stato d’Israele usurpa l’antico nome biblico di una storia, di una tradizione e di una fede che è anche patrimonio di cristiani e mussulmani, c’è di peggio: il sionismo ha finito per equiparare l’antisionismo all’antisemitismo, usando all’occorrenza la Shoah come randello sul tavolo della politica internazionale. Il sionismo non è l’ebraismo.(”Una invenzione chiamata ‘il popolo ebraico’”, da “La Crepa nel Muro” del 22 gennaio 2020. Il post cita Shlomo Sand attraverso “Storiainrete” e “Tlaxcala”, mentre la distinzione tra ebraismo e sionismo è tratta da “Naturei Karta”, movimento ebraico anti-sionista).Fin dalla prima infanzia i bambini israeliani vengono a «sapere» che il popolo a cui appartengono esiste dal momento in cui gli fu data la Torah sul Sinai. Quei bambini sono convinti di essere discendenti diretti delle genti che, uscite dall’Egitto, si stanziarono, dopo averla conquistata, nella «terra di Israele», promessa, come tutti «sanno», da Dio per fondarvi lo splendido regno di Davide e Salomone, poi separatosi a formare quelli di Giuda e d’Israele. Crescendo quei bambini apprenderanno che questo popolo, dopo il glorioso periodo monarchico, ha conosciuto l’esilio per ben due volte: una con la distruzione del Primo Tempio nel sesto secolo a.C.; la seconda dopo quella del Secondo Tempio nel 70 d.C. Impareranno poi che il loro popolo, il più antico di tutti, ha errato in esilio per circa duemila anni, nel corso dei quali non si è mai lasciato integrare né assimilare. Che ha raggiunto lo Yemen, il Marocco, la Spagna, la Germania, la Polonia, angoli remoti della Russia riuscendo sempre a mantenere stretti legami di sangue con le comunità più lontane, preservando di conseguenza la propria unicità. In realtà è molto improbabile che le cose siano andate davvero così.
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Magaldi: leader effimeri per false guerre, così perde l’Italia
Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.Attenzione: il cosiddetto bipolarismo italiano (solo formale, mai sostanziale) ha fatto della famigerata Seconda Repubblica un posto dove si sta peggio, non si cresce più, dilaga la disoccupazione, le crisi industriali non hanno soluzione. E’ la cancrena dell’austerity Ue, imposta in modo subdolo del potere economico neoliberista attraverso le direttive della Commissione Europea e il rigore suicida nei conti pubblici, dopo la catastrofe nazionale delle privatizzazioni varate da Prodi e Draghi. Un sistema deprimente (che infatti ha prodotto solo recessione, più debito e più tasse) a cui non si sono mai opposti né Berlusconi né i suoi presunti oppositori, da Prodi a Gentiloni. Ora ci risiamo, con la santa alleanza contro il demonio Salvini, male assoluto della politica italiana e quindi degno erede del Cavaliere? Di questo passo le cose andranno sempre peggio, avverte Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia non può certo uscire dal tunnel con l’ennesima stagione di schermaglie-fuffa tra due schieramenti ben decisi, entrambi, a non cambiare proprio niente. Se Salvini vuole voltare pagina, che ci sta a fare col vecchio Silvio e con i cascami del tradizionalismo polveroso, tra gli anacronismi del “popolo della famiglia” e le ridicole crociate contro la cannabis?A Magaldi non piace nemmeno la predilezione salviniana per il sistema elettorale maggioritario, che oggi premierebbe la Lega come primo partito: meglio un sistema totalmente proporzionale, magari compensato dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Un sistema che dia voce a tutti, restituendo piena dignità a un Parlamento sempre più precario, con deputati e senatori non più tutelati completamente dall’immunità e in più falcidiati dall’incombente taglio dei seggi, che farebbe eleggere inevitabilmente solo i candidati più vicini ai leader, riducendo ulteriormente la dialettica democratica. A proposito: anche Salvini, dice Magaldi, rischia di soffrire della stessa sindrome “liquida” che ha colpito Di Maio e, prima ancora, Renzi. Successi-lampo, con numeri strabilianti: i 5 Stelle al 33% nel 2018, il Pd renziano addirittura al 41% nella precedente tornata delle europee. E poi? Il tonfo: oggi basta un attimo, e si cade. Ieri sembravi il padrone assoluto della scena, ma già domani sei ridotto all’elemosina elettorale, come Di Maio e colleghi, o a fare piccoli giochi di palazzo come l’ex Rottamatore fiorentino. La loro colpa? Troppe parole al vento: solo proclami altisonanti, tutto fumo e niente arrosto. Di Maio doveva “sconfiggere la poverità”, con le briciole del suo patetico reddito di cittadinanza. E Matteo Renzi, zerbino della Merkel e dei grandi privatizzatori, non aveva forse promesso di riscattare la sovranità economica del made in Italy?La verità, osserva Magaldi, è che gli italiani – almeno, quelli che chiedono di cambiare tutto – esprimono un voto essenzialmente di speranza. Prima Renzi, poi Di Maio e ora Salvini: cambiali in bianco e suffragi temporanei, concessi in modo condizionato. Inevitabile la delusione, in tempi rapidissimi: Renzi nella polvere, “asfaltato” dal referendum, e Di Maio ora in fuga dal politburo grillino. Salvini? Rischia anche lui, specie se – ridando vita al cadavere del centrodestra – si auto-condanna a non incidere in nulla, nella dialettica decisiva con i poteri che reggono l’Ue e massacrano abitualmente l’Italia. Come Renzi e Di Maio, anche Salvini ha essenzialmente abbaiato alla luna, chiedendo più deficit per finanziare il rilancio del paese, senza però ottenere nulla. Su questo, Magaldi ha le idee chiare: la governance Ue va sfidata in modo frontale, visto che l’Italia ha bisogno di investimenti immediati per 200 miliardi di euro, scomputabili dal debito. Il paese cade a pezzi, ha bisogno di infrastrutture strategiche e milioni di posti di lavoro. Il Movimento Roosevelt sogna la piena occupazione, sorretta da un intervento pubblico di tipo keynesiano. Persino Draghi, oggi, riconosce che i tagli sono l’anticamera del disastro. Sintetizza Magaldi: se tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, percepissero 500 euro mensili (con l’obbligo di spenderli subito), l’iniezione di liquidità farebbe volare i consumi e il lavoro, ripagando poi abbondantemente, con le tasse, l’investimento iniziale.C’è qualcuno che oggi è in grado di fare discorsi del genere, a parte Magaldi? Forse – di nuovo – lo stesso Draghi: fino a ieri, massimo architetto della drammatica austerità europea, e ora invece pronto, a parole, a tornare sui suoi passi, aprendo addirittura alla Modern Money Theory, la spesa statale illimitata per rianimare l’economia inondandola di soldi creati dal nulla. Eresia pura, in un’Europa dove i grandi poteri privatistici controllano la stessa Bce, organizzando la scarsità artificiosa della moneta a scopo speculativo, facendo soffrire il 90% delle famiglie e delle aziende e impedendo agli Stati di recuperare la sovranità finanziaria che è indispensabile per governare davvero i paesi. Insegneremo agli italiani come votare, disse il commissario tedesco Günther Oettinger nel 2018, inviperito per lo squillante successo gialloverde. Gli fece eco Sergio Mattarella, bloccando la nomina di Paolo Savona all’economia, sgradito ai santuari europei del rigore: l’ultima parola – sostenne il capo dello Stato – spetta ai mercati finanziari, dunque non al cittadino-elettore che si illude di scegliersi democraticamente il proprio governo. Ancora un anno fa, il consenso al governo gialloverde superava il 60%: un record storico. Risultati? Zero, tranne la Quota 100 strappata da Salvini sulle pensioni. Poi il film ha proposto il Papeete e l’orrendo Conte-bis: il trasformismo sfacciato e traditore, prono ai diktat di Bruxelles. Ora siamo alle comiche finali, dice Magaldi, se qualcuno pensa davvero alla riedizione del grottesco: centrodestra e centrosinistra che fingono di litigare, ma di fatto obbediscono entrambi ai soliti nemici dell’Italia.Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.
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Antisionismo e antisemitismo, per Salvini tutto fa brodo
Visto che in Europa sopravvive la vergogna strisciante dell’antisemitismo, la follia criminale che attribuisce responsabilità politiche agli ebrei in quanto tali, Matteo Salvini coglie la palla al balzo per confondere l’antisemitismo con le critiche agli eccessi del sionismo, l’ideologia che consente a una potenza nucleare (lo Stato di Israele) di perseguitare con ogni mezzo i palestinesi, destabilizzando il Medio Oriente da mezzo secolo. Il leader della Lega, scrive Amedeo La Mattina su “La Stampa”, «ha puntato su Gerusalemme da quando, lo scorso anno, è stato accolto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con tutti gli onori». In quell’occasione, l’ex ministro dell’interno «aveva sostenuto che la Città Santa dovrà essere la capitale di Israele, come ha sempre detto il presidente americano Donald Trump». Salvini lo ha ripetuto il 16 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un convegno sulle “nuove forme dell’antisemitismo”. La “Stampa” segnala «un costante riallineamento a Washington e un conseguente allontanamento da Mosca», da parte del leghista. Barra dritta su alcuni concetti, ripetuti come un mantra: «L’antisemitismo di certa destra tradizionalista e di certa sinistra è nostro nemico», dichiara Salvini. «Abbiamo il dovere di combattere chi dice che gli ebrei siano i nazisti di oggi: c’è chi lo pensa nel mondo islamico ma anche in certi mondi in Europa».Attenti alle parole: è noto che nessuno, sano di mente, dice o pensa che “gli ebrei” siano “i nazisti di oggi”. Semmai, l’accusa investe il governo israeliano, da decenni dominato dalla destra. E’ stato Netanyahu a compiere spaventosi abusi verso i palestinesi, come i bombardamenti su Gaza costati 1.400 morti tra la popolazione civile (e la coraggiosa protesta dei Refuseniks, i militari israeliani che esercitano l’obiezione di coscienza rifiutandosi di partecipare ad azioni che rischiano di provocare vittime tra i civili). Le cronache di questi anni sono gremite di proteste: a quelle degli arabi e degli occidentali si aggiungono quelle degli stessi ebrei, scandalizzati per la brutalità della violenza israeliana. L’olandese Henk Zanoli (che salvò ebrei dalle persecuzioni naziste) ha chiesto che il suo nome venisse rimosso dal sacrario dei Giusti di Israele, dove si commemorano gli eroi che misero in salvo innocenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Il giovanissimo soldato Udi Segal ha preferito andare in carcere, pur di non partecipare alle operazioni militari di repressione contro la popolazione di Gaza. «Ho letto i libri di Ilan Pappe», ha spiegato Segal, alludendo al maggiore storico israeliano contemporaneo, ora costretto a insegnare lontano da Israele dopo aver ricordato che la “pulizia etnica” contro gli arabi in Palestina fu avviata ben prima dell’avvento di Hitler.A descrivere la radice violenta di una certa declinazione del sionismo – sostiene Paolo Barnard – bastano i diari di David Ben Gurion: se il sionismo originario era il sogno di Theodor Herzl (una patria ebraica in Palestina, capace di convivere con gli altri popoli della regione), Ben Gurion lo interpretò in modo anche brutale, non esistando a raccomandare di sterminare donne e bambini nei villaggi palestinesi. Solo più tardi l’immane catastrofe della Shoah spinse il mondo a concedere agli ebrei il loro Stato (accompagnato però dalla nascita di quello parallelo per i palestinesi: uno Stato mai nato, quest’ultimo, in seguito alle guerre che costrinsero il neonato Israele a difendersi dai paesi arabi, che non accettarono la costituzione dello Stato israeliano). La pace separata dell’Egitto con Tel Aviv costò la vita al presidente egiziano Anwar Sadat, assassinato da fondamentalisti islamici, mentre l’unico vero accordo strategico tra israeliani e palestinesi, a metà degli anni ‘90, fu sabotato dall’omicidio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, ucciso da un estremista ultra-sionista. Da allora il conflitto non ha fatto che marcire, impugnato come eterno alibi per giustificare la reciproca ostilità arabo-israeliana, costringendo i palestinesi a pagare un prezzo smisurato. Bombe al fosforo bianco su Gaza, dopo che la Striscia è finita sotto il controllo degli islamisti di Hamas, e incentivo (senza più freni) alla politica degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati in Cisgiordania.Recenti gli ultimi due atti, fortemente simbolici: Gerusalemme promossa come futura “capitale israeliana” con la benedizione di Trump, e la trasformazione costituzionale di Israele in “Stato ebraico”, a danno della popolazione non ebrea. Protesta un grande artista come Moni Ovadia, promotore in Occidente della cultura ebraica: «La propaganda più sleale continua ad accusare di antisemitismo chi, come me, si batte semplicemente contro la politica violenta e razzista del governo israeliano». Uno dei leader occidentali del movimento che contesta gli abusi del sionismo contemporaneo è l’inglese Roger Waters: il frontman dei Pink Floyd accusa apertamente Israele di “apartheid” ai danni dei palestinesi, e invita a boicottare i prodotti israeliani. Durissimi con Tel Aviv anche musicisti come Brian Eno e il jazzista ebreo Gilad Atzmon, secondo cui non sono in alcun modo giustificabili le vessazioni quotidiane e le violenze a cui il governo di Israele sottopone l’inerme popolazione palestinese. Con Israele non si scherza: durante l’Operazione Piombo Fuso, i devastanti bombardamenti su Gaza a cavallo tra 2008 e 2009, i Refuseniks furono costretti a ricorrere ad annunci a pagamento, sul quotidiano “Haaretz”, per informare i cittadini della loro protesta: non c’era posto per la voce dei militari dissidenti nella decantata democrazia di Israele, per decenni unico paese a non proporre nelle scuole “Se questo è un uomo” data la posizione di Primo Levi, estremamente critico rispetto al sionismo.Tutt’altra storia è invece quella delle cronache europee che, specie in paesi come la Francia, ripropongono l’abominio dell’antisemitismo, un sentimento che infetterebbe ancora alcuni strati dell’opinione pubblica. Nel convegno romano di Palazzo Giustiniani, a denunciarlo è Dore Gold, presidente del Jerusalem Center for Pubblic Affairs: la lordura antisemita riemerge «nel cuore dell’Occidente», e questo «fa capire che combattere l’antisemitismo significa combattere in difesa della nostra civilizzazione». Oltre al neonazismo fanatico, Gold accusa anche una certa sinistra, che nel difendere i palestinesi tollera l’estremismo islamista, che nega ancora a Israele il diritto di esistere. Ma è proprio lo Stato di Israele, ha precisato l’ambasciatore in Italia Eydar Dror, «la polizza assicurativa di tutti gli ebrei del mondo: grazie a esso – dice Dropr – possono andare a testa alta in tutto il mondo, e in caso di necessità tornare a casa». Per l’ambasciatore, l’antisemitismo è una cartina di tornasole: «Indica il declino della società e ne prevede il crollo». È in questa chiave, sottolinea la “Stampa”, che la presidente Casellati ha parlato della necessità di preservare «una società forte della propria identità, che ripudia l’intolleranza e il razzismo».Temi tornati di attualità, secondo la Casellati, anche a causa di una globalizzazione esasperata che tende a sacrificare le nostre tradizioni e radici culturali. «Ma sono temi che chiamano in ballo Salvini e un pezzo del suo elettorato che viene dalla destra anche estrema», scrive Amedeo La Mattina sulla “Stampa”. «Il leader leghista rifiuta accostamenti con CasaPound e Forza Nuova», e nega di alimentare intolleranza e razzismo. «Accuse assurde», precisa, aggiungendo che il contrasto all’immigrazione e la difesa dei confini non c’entrano nulla con l’intolleranza, il razzismo, la Shoah. Salvini si è detto dispiaciuto che «qualcuno non sia venuto» al convegno. Chiaro il rifermento alla senatrice a vita Liliana Segre, che non ha accettato di partecipare. «Lei ha tanto da insegnare, Carola Rackete no», ha scandito l’ex ministro. La “capitana” viene dunque presa a simbolo di quella sinistra “antisionista e antisemita” che inquieterebbe gli israeliani. Ma ad essere messa alla prova – scrive ancora La Mattina – sarà la sinistra di casa nostra: «Salvini chiede che presto il Parlamento voti sul documento dell’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) che identifica l’antisemitismo oggi».Da Salvini, non una parola sugli abusi di Israele verso i palestinesi. Al contrario: per il leader della Lega, il vero problema è rappresentato da «una Ue che nega le radici giudaico-cristiane ed etichetta i prodotti israeliani, una Onu che nel 2018 dedica alla condanna di Israele 18 risoluzioni e neanche una a Iran e Turchia». Salvini fa l’ultra-israeliano, schierandosi con il blocco di potere che fa capo a Netanyahu, ignorando le posizioni critiche che emergono dalla stessa società israeliana. Quanto a Gerusalemme capitale, nell’antichissima “città santa” (per ebrei, arabi e cristiani) gli abitanti ultra-ortodossi del quartiere Mea Shearim condannano il sionismo, sostenendo che nemmeno la Bibbia autorizza in alcun modo l’esistenza di uno Stato ebraico. Ma si tratta di argomenti non abbordabili per il capo della Lega, abituato a tagliare tutto a fette grosse. Dopo aver suscitato imbarazzo anche tra i cattolici per l’ostentazione del crocifisso nei comizi politici, è stato l’unico politico europeo (insieme all’inglese Johnson) ad esultare pubblicamente per l’omicidio terroristico del generale Soleimani, eroe nazionale dell’Iran ed emblema di un paese di cui l’Italia resta, a quanto a pare, il primo partner economico. Assediato dalle indagini (tra cui quella sulla missione russa di Savoini), il leghista che ambisce a guidare l’Italia chiede aiuto all’asse Usa-Israele e confonde volutamente l’antisionismo con l’antisemitismo, dopo aver insultato 80 milioni di iraniani.Visto che in Europa sopravvive la vergogna strisciante dell’antisemitismo, la follia criminale che attribuisce responsabilità politiche agli ebrei in quanto tali, Matteo Salvini coglie la palla al balzo per confondere l’antisemitismo con le critiche agli eccessi del sionismo, l’ideologia che consente a una potenza nucleare (lo Stato di Israele) di perseguitare con ogni mezzo i palestinesi, destabilizzando il Medio Oriente da mezzo secolo. Il leader della Lega, scrive Amedeo La Mattina su “La Stampa“, «ha puntato su Gerusalemme da quando, lo scorso anno, è stato accolto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con tutti gli onori». In quell’occasione, l’ex ministro dell’interno «aveva sostenuto che la Città Santa dovrà essere la capitale di Israele, come ha sempre detto il presidente americano Donald Trump». Salvini lo ha ripetuto il 16 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un convegno sulle “nuove forme dell’antisemitismo”. La “Stampa” segnala «un costante riallineamento a Washington e un conseguente allontanamento da Mosca», da parte del leghista. Barra dritta su alcuni concetti, ripetuti come un mantra: «L’antisemitismo di certa destra tradizionalista e di certa sinistra è nostro nemico», dichiara Salvini. «Abbiamo il dovere di combattere chi dice che gli ebrei siano i nazisti di oggi: c’è chi lo pensa nel mondo islamico ma anche in certi mondi in Europa».
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Teheran, il Boeing “truccato” perché sembrasse militare?
Quanto ci vuole a fare in modo che i radar scambino un aereo per un altro? Operazione facilissima, dice un analista come Gianfranco Carpeoro, alludendo al tragico abbattimento del Boeing ucraino nei cieli di Teheran. Un incidente catastrofico, che difficilmente sarebbe accaduto se gli Usa non avessero messo in tensione l’Iran con l’assassinio del generale Soleimani: l’accusa, acuminata, proviene nientemeno che dal premier canadese Justin Trudeau, che rimprovera a Trump il fatto di non aver nemmeno avvertito gli alleati del raid omicida che il Pentagono stava preparando. La strage – 173 morti, iraniani e canadesi – è stata provocata da due missili lanciati dalla difesa iraniana contro il velivolo, scambiato per un aereo nemico (almeno, stando alle ammissioni dei Pasdaran). In modo clamoroso, l’Iran ha compiuto un’operazione-trasparenza più unica che rara, dichiarando pubblicamente la propria responsabilità e chiedendo scusa per l’accaduto, in mondovisione. Per gli ayatollah, uno smacco terribile: l’abbattimento del Boeing spezza le gambe alla propaganda nazionale, gonfiatasi a dismisura sull’onda emotiva innescata dall’uccisione di Soleimani, con 7 milioni di persone ai funerali e il capo del paese – Khamenei – vistosamente in lacrime.Torna alla mente la clamorosa denuncia formulata sui media da Enrico Gianini, l’operatore aeroportuale di Milano Malpensa che qualche anno fa segnalò (anche alla polizia) lo sgocciolamento di liquidi anomali dalle ali dei jet, una volta a terra, nonché l’installazione su diversi aerei di strani serbatoi, sotto la coda, a spese del vano bagagli posteriore. Una denuncia caduta nel vuoto, come tutte quelle succedutesi – anche in Parlamento – sul problema-tabù delle cosiddette scie chimiche: interrogazioni finite nel nulla. Senza seguito persino le parole del generale Fabio Mini, già dirigente di alto livello della Nato: «E’ giusto che le autorità si decidano finalmente a spiegare, ai cittadini, in cosa consistano le strane scie bianche permanenti che gli aerei rilasciano nei cieli da una quindicina d’anni». Ma Gianini, in una intervista a “Border Nights”, disse anche un’altra cosa: assicurò di aver monitorato diversi voli, provenienti ad esempio dalla Svizzera. Voli che, dopo aver spento e riacceso il transponder una volta entrati nello spazio aereo italiano, da civili “diventavano” militari, o viceversa. E se qualcuno avesse analogamente alterato l’identità del Boeing di Teheran, facendolo scambiare per un volo militare nemico?In questo caso, le autorità iraniane avrebbero dovuto riconoscere di essere cadute in una trappola: ammissione impossibile, per un regime che affida proprio alla sua capacità militare la relativa propaganda patriottica di un regime assediato dall’Occidente fin dalla sua nascita, quarant’anni fa. Tralasciando il cinismo stragista di chi avrebbe architettato l’eventuale imbroglio (solo ipotetico, non dimostrato in alcun modo), Alberto Tarozzi su “Alga News” segnala che, nella trasmissione “Tg3 Mondo” condotta da Maria Cuffaro, Raffaele Mauriello ha rivelato lo smarrimento dei cittadini iraniani, prima colpiti dall’agguato contro Soleimani e poi disorientati dal mea culpa di Rohani per l’abbattimento del Boeing. Mentre i grandi media hanno enfatizzato la consistenza delle manifestazioni antigovernative, al pubblico di RaiTre – sintetizza Tarozzi – Mauriello ha riportato «uno sconcerto diffuso, da parte di un popolo che trova più difficile di ieri rivolgersi a qualcuno di cui fidarsi: non certo Trump, non certo questa Ue». In effetti, «nel momento in cui è lo stesso regime a denunciare le proprie fragilità, il popolo iraniano (e non solo le migliaia in piazza l’altro giorno) potrebbe vivere in modo meno stoico le difficoltà economiche incombenti in seguito alle sanzioni».Donald Trump non avrebbe potuto aspettarsi un regalo migliore, dal destino: è semplicemente un copione perfetto, quello che ripropone la vittima (l’Iran) nel ruolo del carnefice, se riesce a uccidere 173 innocenti, in volo verso il Canada, pochi giorno dopo aver subito la più grande ferita, come nazione, dopo la guerra con l’Iraq. Facile aggiungere che, di “false flag”, gli Usa se ne intendono: dall’incidente navale (mai avvenuto) nel Golfo del Tonchino per innescare la Guerra del Vietnam fino all’11 Settembre, nelle cui conseguenze siamo tuttora immersi, gli Stati Uniti non temono rivali, al mondo, in questa specialità. Non c’è dittatura sul pianeta che abbia potuto eguagliare la grande democrazia americana, quando si tratta di massacrare innocenti per far ricadere la colpa della strage sul paese che si progetta di invadere. Dopo le “armi di distruzioni di massa” di Saddam in Iraq, di recente si sono visti i gas nervini (altrettanto inesistenti) di Assad in Siria. Ora è caduto un aereo a Teheran, dopo un’uccisione terroristica – quella di Soleimani – che gli Usa non hanno saputo giustificare: da Trump e soci, nessuna spiegazione seria.Quanto ci vuole a fare in modo che i radar scambino un aereo per un altro? Operazione facilissima, dice un analista come Gianfranco Carpeoro, alludendo al tragico abbattimento del Boeing ucraino nei cieli di Teheran. Un incidente catastrofico, che difficilmente sarebbe accaduto se gli Usa non avessero messo in tensione l’Iran con l’assassinio del generale Soleimani: l’accusa, acuminata, proviene nientemeno che dal premier canadese Justin Trudeau, che rimprovera a Trump il fatto di non aver nemmeno avvertito gli alleati del raid omicida che il Pentagono stava preparando. La strage – 173 morti, iraniani e canadesi – è stata provocata da due missili lanciati dalla difesa iraniana contro il velivolo, probabilmente scambiato per un aereo nemico (almeno, stando alle ammissioni dei Pasdaran). In modo clamoroso, l’Iran ha compiuto un’operazione-trasparenza più unica che rara, dichiarando pubblicamente la propria responsabilità e chiedendo scusa per l’accaduto, in mondovisione. Per gli ayatollah, uno smacco terribile: l’abbattimento del Boeing spezza le gambe alla propaganda nazionale, gonfiatasi a dismisura sull’onda emotiva innescata dall’uccisione di Soleimani, con 7 milioni di persone ai funerali e il capo del paese – Khamenei – vistosamente in lacrime.
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Giulietto Chiesa: complici dei criminali che sventolano diritti
In una intervista su “The Times of Israel” dello scorso ottobre, il capo del Mossad, Yossi Cohen, ha dichiarato: l’assassinio del generale Soleimani non è impossibile. Il vero motore dell’attacco all’Iran è proprio Israele, nella persona del primo ministro Netanyahu e della sua politica di questi anni. Insieme a Ntanyahu e Israele c’è una potente lobby ebraica sionista, che controlla una buona metà del Senato degli Stati Uniti e della Camera dei Rappresentanti. Sono calcoli forniti da autorevoli esperti. Questa lobby è quindi in grado di determinare anche il destino di Donald Trump. Non dimentichiamo che il senatore repubblicano Lindsay Graham ha detto esplicitamente e pubblicamente che, se ci fosse una decisione di Trump di ritirare le sue truppe dal Medio Oriente, non potrebbe garantire che una importante quota dei parlamentari repubblicani non possa votare a favore dell’impechment. Quindi a Trump è stato detto con tutta chiarezza: o procedi sulla linea che ti viene dettata, da Israele e dagli amici americani di Israele, oppure noi ti facciamo perdere l’impeachment e facciamo saltare la tua rielezione a presidente degli Stati Uniti. Per Trump questo è un colpo drammatico: per il suo destino. E non credo che riuscirà a recuperare, perché comunque sarà sotto accusa da ogni parte.Trump ha perduto nettamente tutto il Medio Oriente: non solo gli sciiti, che ormai si sono compattati interamente. Il problema è che anche una parte dei sunniti non potrà reggere a questa situazione: in caso di aggravamento della situazione, anche forze sunnite importanti del Golfo Persico possono sentirsi minacciate. Cinque importanti rappresentanti governativi del Qatar hanno chiesto il passaporto di Malta. Molte cose si stanno muovendo, nel campo islamico. Il Parlamento iracheno ha chiesto l’uscita delle truppe americane dal paese, e il problema non verrà risolto se non con l’uscita delle truppe. Trump nel frattempo sta già cercando di non parlare più dell’accaduto, come se non fosse successo nulla: è chiaro che il presidente americano è in piena ritirata, ma non credo che potrà rititarsi. L’atto è stato compiuto, e i rapporti politici, emotivi e istituzionali sono profondamente cambiati. Credo che la questione non si chiuda adesso, non c’è neanche da pensarci. Non credo che l’Iran farà azioni di grande portata. Credo invece che Trump dovrà cercare di tenere a freno la situazione, e mi auguro che gli europei siano in grado di capirlo: perché se le forze che vogliono la guerra (che non sono l’Iran) non saranno fermate dagli Stati Uniti, da Trump, dagli europei, io credo che andremo incontro a una crisi di proporzioni gigantesche.Non sottovalutiamo questa situazione: è in mano a veri e propri irresponsabili e criminali. Sono convinto che ci saranno dei gravi avvenimenti, nell’immediato futuro. Un punto importante è il ruolo della Russia: Putin è andato a Damasco a parlare con Assad, poi ad Ankara per inaugurare con Erdogan il Turkish Stream. Cioè, Putin sta dicendo che la Russia è in Medio Oriente, proprio nel momento in cui l’America viene invitata ad andarsene. Io credo che il destino della pace, in questo momento, sia in gran parte nelle mani della Russia e della Cina. Ritengo che la Russia dovrebbe dire, esplicitamente, che non accetterà in nessun modo un attacco contro l’Iran. Dovrebbe dirlo ora, perché ci sono forze che a questo attacco stanno pensando. Farebbe capire a tutti che oggi la pace è sotto il controllo della Russia e della Cina. I primi a sapere di poter sfidare militarmente gli Usa sono proprio i dirigenti iraniani. Nello stesso tempo, l’Iran è troppo forte per essere considerato un paese sconfiggibile: l’Iran non può vincere, ovviamente, ma non può neppure essere sconfitto. O meglio: potrebbe essere sconfitto solo con una gigantesca catastrofe internazionale, mondiale, nella quale noi europei saremmo coinvolti.Le cifre parlano chiaro: dallo Stretto di Hormuz passa il 22% del petrolio che è necessario alla vita quotidiana dell’intera Europa. Se attaccato, l’Iran può impedire l’uscita di quel petrolio, che è vitale anche per la Cina. Gli Stati Uniti, per quanto forti, sono in grado di imporre una catastrofe economica che si abbattesse sull’Europa e sulla Cina? Ne dubito. E quindi, la questione dovrebbe essere sul tavolo di tutti i paesi europei. Bisognerebbe riuscire a stabilire che gli interessi dell’Europa non coincidono più con quelli di un’America che non rispetta più le regole della convivenza internazionale. In qualche misura, bisogna che l’Europa agisca ora. Riteniamo che non succederà niente? Questa è una visione inaccettabile, di una miopia e di una stupidità assoluta, perché il mondo non è più quello di 25 anni fa: non capirlo, significa esporsi a gravi pericoli. Quindi, l’Europa e l’Italia dovrebbero essere capaci di dire agli americani: noi non vi seguiremo, non siamo d’accordo di andare a una rottura con l’Iran, bisogna ricucire. Se non siamo capaci di dire almeno questo, ci rendiamo complici dell’assurda pretesa di consegnare il pianeta a un gruppo di irresponsabili.Un giurista come Ugo Mattei dice che i diritti umani, insieme al diritto internazionale, sono stati usati essenzialmente come foglia di fico per il nostro colonialismo? Direi così: le foglie di fico servono per governare e ingannare le masse. Ma ci sono momenti in cui, se queste foglie di fico te le togli di dosso, le masse non saranno più governabili. Questo è il vero problema che sta di fronte a questa crisi, in Iran: quando vedi l’immensa partecipazione popolare ai funerali di Soleimani, e quando vedi piangere i due leader del paese, l’ayatollah Khamenei e il presidente Rohani – se li vedi piangere, di fronte al loro popolo che piange – tu non puoi ignorare che la foglia di fico è stata tolta, brutalmente. Conosciamo la durezza della realpolitik, e abbiamo avuto dirigenti che hanno corso il pericolo di essere uccisi – e sono stati uccisi (come Enrico Mattei) perché hanno avuto di coraggio e dire e fare quello che andava detto e fatto. I nostri politici devono fare il nostro interesse nazionale. Non si può esporre il nostro popolo a un rischio così grave, senza avere il coraggio di dire – nel modo giusto – che non si è d’accordo. Bisogna capire il momento. De Gaulle e altri grandi leader europei hanno saputo dire dei “no”, in certi momenti. Lo stesso Craxi pagò un caro prezzo per il suo “no” a Sigonella. Oggi però non abbiamo più un dirigente capace di dire, con garbo e fermezza: noi non siamo d’accordo. Non è giusto, e non lo faremo: perché è contro l’interesse del popolo italiano. Ci sarà qualcuno capace di dire almeno questo?(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate l’8 gennaio 2020 alla trasmissione web-streaming su YouTube “Speciale #TgTalk”, condotta su “ByoBlu” da Claudio Messora e Francesco Toscano).In una intervista su “The Times of Israel” dello scorso ottobre, il capo del Mossad, Yossi Cohen, ha dichiarato: l’assassinio del generale Soleimani non è impossibile. Il vero motore dell’attacco all’Iran è proprio Israele, nella persona del primo ministro Netanyahu e della sua politica di questi anni. Insieme a Ntanyahu e Israele c’è una potente lobby ebraica sionista, che controlla una buona metà del Senato degli Stati Uniti e della Camera dei Rappresentanti. Sono calcoli forniti da autorevoli esperti. Questa lobby è quindi in grado di determinare anche il destino di Donald Trump. Non dimentichiamo che il senatore repubblicano Lindsay Graham ha detto esplicitamente e pubblicamente che, se ci fosse una decisione di Trump di ritirare le sue truppe dal Medio Oriente, non potrebbe garantire che una importante quota dei parlamentari repubblicani non possa votare a favore dell’impechment. Quindi a Trump è stato detto con tutta chiarezza: o procedi sulla linea che ti viene dettata, da Israele e dagli amici americani di Israele, oppure noi ti facciamo perdere l’impeachment e facciamo saltare la tua rielezione a presidente degli Stati Uniti. Per Trump questo è un colpo drammatico: per il suo destino. E non credo che riuscirà a recuperare, perché comunque sarà sotto accusa da ogni parte.
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Edwards, Onu: il wireless 5G è una guerra contro l’umanità
I primi otto mesi della Seconda Guerra Mondiale senza combattimenti si chiamavano “The Phoney War”. L’uso delle onde millimetriche come tecnologia di comunicazione wireless di quinta generazione o 5G è un altro tipo di guerra dissimulata. Anche questa guerra-fantasma è silenziosa, ma questa volta vengono sparati colpi – sotto forma di raggi laser simili a radiazioni elettromagnetiche (Emr) da migliaia di minuscole antenne – e quasi nessuno nella linea di tiro sa che vengono feriti silenziosamente, gravemente e irreparabilmente. Nel primo caso, il 5G rischia di rendere le persone elettro-ipersensibili (Ehs). Forse, a rendermi Ehs è stato il fatto di stare seduto davanti a due grandi schermi di computer per molti dei 18 anni in cui ho lavorato all’Onu. Quando l’ufficio delle Nazioni Unite a Vienna ha installato potenti punti di accesso wi-fi e cellulare – progettati per servire grandi aree pubbliche – in corridoi stretti con pareti metalliche in tutto il Centro internazionale di Vienna, a dicembre 2015, mi sono ammalato continuamente per sette mesi. Ho fatto del mio meglio, per due anni e mezzo, per avvisare il personale delle Nazioni Unite, l’amministrazione e il servizio medico del pericolo per la salute del personale delle Nazioni Unite dell’Emr da questi punti di accesso, ma sono stato ignorato.Ecco perché, a maggio 2018, ho portato la questione al segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. È un fisico e un ingegnere elettrico, e all’inizio della sua carriera aveva tenuto conferenze sui segnali delle telecomunicazioni, ma ora ha affermato di non sapere nulla al riguardo. Si è impegnato a chiedere all’Organizzazione Mondiale della Sanità di esaminare il caso, ma sette mesi dopo quei punti di accesso pubblico rimangono al loro posto. Non ho ricevuto risposte alle mie numerose e-mail. Di conseguenza, ho accolto con favore l’opportunità di unire gli sforzi per pubblicare un appello internazionale per fermare il 5G sulla Terra e nello spazio perché mi era chiaro che, nonostante ci fossero stati 43 precedenti appelli scientifici, pochissime persone hanno capito i pericoli dell’Emr. La mia esperienza di redattore potrebbe aiutarmi a garantire che un nuovo appello sul 5G, incluso il problema di trasmettere il 5G dallo spazio, fosse chiaro, completo, esplicativo e accessibile al non-scienziato. L’appello internazionale per fermare il 5G sulla Terra e nello spazio è pienamente referenziato, citando oltre un centinaio di articoli scientifici tra le decine di migliaia sugli effetti biologici dell’Emr pubblicati negli ultimi 80 anni.Dopo aver trascorso anni a elaborare documenti delle Nazioni Unite che trattano di spazio, so che lo spazio è contestato in maniera geopolitica e che qualsiasi evento spiacevole che coinvolga un satellite militare rischia di innescare una risposta catastrofica. La legge spaziale è così inadeguata – solo un esempio è la complessità della legge sulla responsabilità spaziale – che potremmo davvero chiamare l’orbita terrestre un nuovo selvaggio West. La Cina ha causato costernazione internazionale nel 2007 quando ha testato un’arma anti-satellite, distruggendo il proprio satellite. I detriti nello spazio sono la principale preoccupazione tra le nazioni “spaziali”, con una cosiddetta Sindrome di Kessler che presenta una cascata di detriti spaziali che potrebbe rendere inutilizzabili le orbite terrestri per mille anni. Il lancio di oltre 20.000 satelliti commerciali 5G in tali circostanze ti sembrano razionali? Vivo a Vienna, in Austria, dove l’implementazione del 5G è improvvisamente alle porte. Nelle ultime cinque settimane, il pre-5G è stato annunciato ufficialmente all’aeroporto di Vienna e il 5G nella Rathausplatz, la piazza principale di Vienna, che attira decine di migliaia di visitatori al suo mercatino di Natale ogni dicembre e una pista di pattinaggio ogni gennaio, due mete speciali per i bambini.Insieme agli uccelli e agli insetti, i bambini sono i più vulnerabili alla deprivazione che il 5G causa sui loro piccoli corpi. Amici e conoscenti e i loro bambini a Vienna stanno già segnalando i classici sintomi di avvelenamento da Emr: sangue dal naso, mal di testa, dolori agli occhi, dolori al petto, nausea, affaticamento, vomito, acufene, vertigini, sintomi simil-influenzali e dolore cardiaco. Riferiscono anche di una “fascia” stretta intorno alla testa; pressione sulla parte superiore della testa; brevi dolori lancinanti intorno al corpo e ronzio degli organi interni. Altri effetti biologici, come tumori e demenza, di solito richiedono più tempo per manifestarsi, ma nel caso del 5G, che non è mai stato testato per la salute o la sicurezza, chi lo sa? In una notte, in Austria è spuntata una foresta di infrastrutture 5G. Nel giro di tre settimane un’amica è passata dalla salute robusta alla fuga da questo paese, dove vive da 30 anni. Ogni persona sperimenta l’Emr in modo diverso. Per lei è stata un’estrema tortura, quindi lei e io abbiamo trascorso le sue ultime due notti in Austria dormendo nei boschi.È interessante notare che, mentre guidava attraverso la Germania meridionale, ha sofferto torture anche peggiori che in Austria, mentre nella Germania settentrionale non aveva affatto sintomi e si sentiva completamente normale: il che suggerisce che non vi è stato ancora nessun lancio del 5G. Non ci sono limiti legali all’esposizione all’Emr. Convenientemente per l’industria delle telecomunicazioni, ci sono solo linee guida non legalmente applicabili come quelle prodotte dalla grandiosa Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti, che risulta essere come il Mago di Oz: solo una piccola Ong in Germania che nomina i propri membri, nessuno dei quali è medico o esperto ambientale. Come il Mago di Oz, l’Icnirp sembra avere poteri magici. La sua prestidigitazione fa scomparire nel nulla gli effetti non termici (non riscaldanti) dell’esposizione all’Emr, poiché tenere conto delle decine di migliaia di studi di ricerca che dimostrano gli effetti biologici dell’Emr invaliderebbe le sue cosiddette linee guida sulla sicurezza. Ha incantato l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, parte della famiglia delle Nazioni Unite, nel riconoscere queste linee guida.E una piccola e-mail inviata all’Icnirp nell’ottobre 2018 per presentare il professor Martin Palli commenti sui nuovi progetti di linee guida dell’Icnirp hanno evocato un’immediata esplosione di interesse per la presenza online del mittente – che fino a quel momento non ne aveva attratto – da parte di aziende e individui in tutto il mondo, autorità di immigrazione di un paese, l’ufficio del cancelliere austriaco (capo del governo), uno studio legale a Vienna e persino l’Interpol! Spero che le persone leggano e condividano il nostro Appello sullo Spazio 5G per svegliarsi rapidamente e gli altri e usarlo per agire da soli per fermare il 5G. Persino otto brevi mesi di questa Phoney War del 5G potrebbero provocare una catastrofe per tutta la vita sulla Terra. Elon Musk ha lanciato i primi 4.425 satelliti 5G a giugno 2019 e “coprirà” la Terra con il 5G, in violazione di innumerevoli trattati internazionali. Ciò potrebbe dare inizio all’ultima grande estinzione, per gentile concessione del multi-trilionario 5G Usa, il più grande esperimento biologico e la più atroce manifestazione di arroganza e avidità nella storia umana. La prima reazione delle persone all’idea che il 5G possa essere una minaccia esistenziale per tutta la vita sulla Terra è di solito incredulità o dissonanza cognitiva. Una volta esaminati i fatti, tuttavia, la loro seconda reazione è spesso il terrore.Dobbiamo trascendere questo per vedere il 5G come un’opportunità per potenziarci, assumerci la responsabilità e agire. Potremmo aver già perso l’80% dei nostri insetti a causa dell’Emr negli ultimi 20 anni. I nostri alberi rischiano di essere ridotti a milioni per garantire la segnalazione continua del 5G per auto, autobus e treni a guida autonoma. Staremo a guardare noi stessi e i nostri bambini irradiati, i nostri sistemi alimentari decimati, i nostri ambienti naturali distrutti? I nostri giornali stanno ora diffondendo casualmente il meme che l’estinzione umana sarebbe una buona cosa; quando però la domanda non diventa retorica ma reale, quando è la tua vita, tuo figlio, la tua comunità, il tuo ambiente che è sotto minaccia immediata, puoi davvero iscriverti a un simile suggerimento? In caso contrario, firmare l’appello Stop 5G e mettersi in contatto con chiunque si possa pensare a chi ha il potere di fermare il 5G, in particolare Elon Musk e i Ceo di tutte le altre società che intendono lanciare satelliti 5G, a partire da adesso. La vita sulla Terra ha bisogno del tuo aiuto, ora.(Claire Edwards, “La tecnologia wireless 5G è una guerra contro l’umanità”, da “Global Reserach” del 9 giugno 2019. Funzionario dell’Onu, Edwards è tra i promotori dell’appello internazionale contro la diffusione del 5G sulla Terra e nello spazio orbitale).I primi otto mesi della Seconda Guerra Mondiale senza combattimenti si chiamavano “The Phoney War”. L’uso delle onde millimetriche come tecnologia di comunicazione wireless di quinta generazione o 5G è un altro tipo di guerra dissimulata. Anche questa guerra-fantasma è silenziosa, ma questa volta vengono sparati colpi – sotto forma di raggi laser simili a radiazioni elettromagnetiche (Emr) da migliaia di minuscole antenne – e quasi nessuno nella linea di tiro sa che vengono feriti silenziosamente, gravemente e irreparabilmente. Nel primo caso, il 5G rischia di rendere le persone elettro-ipersensibili (Ehs). Forse, a rendermi Ehs è stato il fatto di stare seduta davanti a due grandi schermi di computer per molti dei 18 anni in cui ho lavorato all’Onu. Quando l’ufficio delle Nazioni Unite a Vienna ha installato potenti punti di accesso wi-fi e cellulare – progettati per servire grandi aree pubbliche – in corridoi stretti con pareti metalliche in tutto il Centro internazionale di Vienna, a dicembre 2015, mi sono ammalata continuamente per sette mesi. Ho fatto del mio meglio, per due anni e mezzo, per avvisare il personale delle Nazioni Unite, l’amministrazione e il servizio medico del pericolo per la salute del personale delle Nazioni Unite dell’Emr da questi punti di accesso, ma sono stata ignorata.
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Renzi, Grillo e il nullivendolo Conte: un decennio senza eredi
Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».All’epoca, scrive Veneziani su “La Verità”, passava per statista Gianfranco Fini, da quando si era messo contro il Cavaliere. «La sua parabola finì presto e nel peggiore dei modi possibili, perfino peggio di quanto si potesse prevedere considerata la sua inconsistenza». Finì male pure la parabola di Bossi. E finì il centrodestra, «mentre il paese si consegnava al governo dei tecnici, sotto la sorveglianza dell’Europa». Così nacque il “tecnomontismo”: i tecnocrati, «di buon nome e di gran curricula», chiamati per riparare i danni, «lasciarono un’impronta nefasta», rivelandosi «abbastanza funesti e feroci nello stremare il paese, tassarlo, metterlo in ginocchio e diffondere un’atmosfera di catastrofe e depressione nazionale». Ne uscimmo malconci col breve governo Letta di eurosinistra, «che fu una pallida transizione tra i tecnici e il ritorno della politica, naturalmente da sinistra». Cominciò allora, senza passare dalle urne, la veloce parabola di Renzi: non durò neanche un triennio, «ma in quel tempo sembrò inaugurare un’era, perlomeno un ciclo, vista anche la sua giovane età, la sua energia e il crescente consenso».Renzi, ricorda Veneziani, non aveva rivali né a destra né a manca, «e infatti il peggior rivale di Renzi fu Renzi stesso, che distrusse il suo alter ego per troppo ego: la sua prepotenza accentratrice, il suo voler strafare, stravincere, stracomandare». Ci fu un momento, in effetti, in cui «avrebbe potuto compiere una svolta decisiva: quando annunciò il partito della nazione, lasciando a sinistra i vecchi dinosauri comunisti e la sinistra radicale e spostandosi al centro con un partito trasversale». Ma non ebbe il coraggio di andare fino in fondo, scrive Veneziani. «Stressò il paese in una guerra di rottamazione globale, uno contro il Resto del mondo, fino a che il mondo lo fece a pezzi». Poi annunciò di ritirarsi dalla politica, senza però mai farlo. «Provato così in un quinquennio tutto l’arco delle possibilità – berlusconismo, finto futurismo finiano, sinistra bersaniana, tecnici e sinistra napoleonica renziana – la politica lasciò il passò al dilettantismo assoluto e dannoso dell’antipolitica, interpretato da un comico, una piattaforma, una lobby e una banda di sciamannati o scappati di casa».Così avvenne il prodigio del Movimento 5 Stelle diventato primo “partito”, soprattutto al sud. «Un fenomeno senza precedenti, ma non senza conseguenze: letali». La prima sorpresa fu, un anno e mezzo fa, l’alleanza populista e teoricamente antieuropeista tra i grillini e i leghisti di Salvini. «Un esperimento ardito, preoccupante non solo per l’Unione Europea, ma che destava curiosità e comunque segnava la sconfitta del tardo bipolarismo ma anche un superamento dei berlusconismi destrorsi e sinistrorsi, come quello renziano». L’esperimento populista-sovranista fu tenuto in vita artificialmente per un anno, facendo crescere a dismisura la popolarità di Salvini. «Poi esplose, incautamente, per una valutazione sbagliata di Salvini e una mossa a sorpresa di Renzi. Fino a che si giunse al più raccapricciante mostro dei governi italiani repubblicani, quello grillo-sinistro, che accompagna la fine del decennio». Per Veneziani è «il peggiore che si potesse avere, perché la faziosità intollerante della cupola di sinistra, col suo antifascismo di risulta e di riporto, si è unita alla dannosa ignoranza dei grillini, incapaci di tutto, e nel modo peggiore».Degna sintesi di quell’unione fu lo stesso premier Giuseppe Conte, «assunto come figurante nel precedente governo, venuto dal nulla e nullivendolo egli stesso, che con ripugnante trasformismo passò da guidare l’alleanza con Salvini a guidare l’alleanza antisalviniana, con la sinistra di cui ora si professa simpatizzante». I risultati sono sotto gli occhi (piangenti) di tutti: il decennio, nato sotto la stella (un tempo rossa) di Giorgio Napolitano, è finito «sotto la parrucca bianca di Sergio Mattarella». Nel decennio le abbiamo provate tutte, eccetto il sovranismo: grande incognita, «ma è l’unica via che non abbia ancora avuto esiti fallimentari». Eppure, per l’establishment sembra «la sciagura suprema, decretata a priori, da evitare a ogni costo». E ora che il decennio si è concluso, chiosa Veneziani nella sua analisi, il paese è sospeso nel vuoto: appeso al nulla.Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».