Archivio del Tag ‘Catanzaro’
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Tar Calabria, sentenza-bomba: no al vaccino antinfluenzale
Grazie ai medici dell’Ampas, in Calabria l’obbligo del vaccino antinfluenzale per medici e anziani (over-65) viene annullato. E’ il Tar calabrese a bocciare l’ordinanza di Jole Santelli, presidente berlusconiana della Regione. La sentenza del tribunale amministrativo di Catanzaro è stata pubblicata il 15 settembre. Una vittoria molto importante per Ampas (”Medicina di segnale”), che si è vista riconoscere che «è lo Stato ad essere l’unico ad avere il potere di legiferare in materia di trattamenti sanitari obbligatori come l’imposizione vaccinale», e che la legislazione generale dello Stato in materia di vaccinazioni deve essere basata «sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale». Quest’ultima determinazione, scrive Andrea Ippolito su “Il Gazzettino Vesuviano” in un articolo ripreso dal blog “Libero Pensare” curato da Piero Cammerinesi, mette un punto fermo sulla questione. E riconosce che esiste un dibattito molto ampio, nella comunità scientifica nazionale e internazionale, «in merito all’inopportunità di una vaccinazione antinfluenzale estesa a intere categorie e a tutti gli anziani, oltre alla sua presunta utilità come mezzo di contrasto all’epidemia da Sars-Cov-2».
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De Magistris, giustizia militante: un politico del medioevo
L’ultima notizia dell’infinita saga dell’inchiesta di “Why not”, una sorta di triste serial televisivo con un regista inedito (l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris), è arrivata l’11 settembre 2019. Siamo probabilmente ai titoli finali, con un de Magistris che sembrerebbe sconfitto dopo la sua poco edificante uscita dalla magistratura. Lo afferma Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, rievocando la breve stagione politico-giudiziaria di cui si è reso protagonista il primo cittadino partenopeo, sempre alla ricerca affannosa di riflettori mediatici, ai margini della politica nazionale. “Why not”, scrive Da Rold, imperversava dal 2007, quando de Magistris, un tempo procuratore di Catanzaro, cominciò a seguire i passi della “magistratura militante”, quella che vuole contare, che vuole dettare i tempi della politica e che ha sempre aspirato a diventare famosa a colpi di comparsate televisive. De Magistris aprì un’inchiesta «basata su prove aeree», cominciata con confessioni poi ritrattate. «E naturalmente, sullo sfondo, complotti giudaico-massonici e altre amenità da “Savi di Sion” senza bisogno della polizia zarista, secondo una delle ricorrenti tendenze giuridiche dei pubblici ministeri italiani».Da Rold polemizza col nostro sistema giudiziario: i Pm: sono rimasti gli ultimi, negli ordinamenti democratici occidentali, a essere ancora parificati ai giudici. E in più «si rifiutano di seguire la grande separazione di tutti i poteri che, sin dal Settecento, si teorizzava anche nella distinzione tra giudice e pubblica accusa». È vero che va di moda Jean-Jacques Rousseau, il filosofo radicale “adottato” da Casaleggio, «ma Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, appunto noto come Montesquieu, precisava con forza che se il giudice facesse lo stesso mestiere del pubblico accusatore sarebbe un abuso». La prova del nove? «Le democrazie di quasi tutto il mondo seguono Montesquieu». Famosi nemici della separazione tra magistratura inquirente e giudicante, due personaggi non proprio democratici: il leader fascista Dino Grandi e il dittatore portoghese António de Oliveira Salazar, «anche lui appassionato dell’unicità di vedute tra accusa e chi formula il giudizio». I tempi cambiano, ma non per tutti: «Ora anche il Portogallo ci ha ripensato; l’Italia invece difende combattiva la non-separazione».Tornando alla cronaca: la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio una sentenza della Corte d’Appello di Salerno che dichiarava prescritti i reati contestati all’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Salvatore Murone, e all’avvocato generale Dolcino Favi, che avevano avocato i fascicoli sottraendoli all’attuale sindaco di Napoli. Resta dunque valida la sentenza di primo grado del tribunale di Salerno, che aveva assolto i due magistrati di Catanzaro. E l’assoluzione riguarda anche l’ex senatore e avvocato Giancarlo Pittelli, il procuratore Mariano Lombardi (nel frattempo deceduto) e l’imprenditore Antonio Saladino, assolti «per insussistenza del fatto, così come avvenuto in primo grado». A parole, de Magistris (due volte sconfitto) non si arrende: «Continuerà probabilmente a parlare di complotti», avverte Da Rold. «Ma tutta la sua vicenda – aggiunge – è degna di un libro (che infatti è in gestazione) per dimostrare lo strapotere, o forse l’unico potere forte, che è rimasto oggi in Italia: quello della magistratura, gestita principalmente – per un lungo periodo – proprio dai Pm alla de Magistris».Per rendersi conto di quanto capitato, continua Da Rold, vale la pena di vedere quale autogol de Magistris ha fatto in Cassazione e leggere la dichiarazione rilasciata dall’ex procuratore aggiunto di Catanzaro, Murone: «La Cassazione ha finalmente e definitivamente chiuso a mio favore la vicenda “Why not”. Tutte le mistificazioni, le bugie, le cattiverie sono finite. L’assoluzione di primo grado è stata ribadita, a dimostrazione che le vicende successe al signor de Magistris non sono il frutto di congiure e complotti, di poteri forti a livelli superiori, ma solo il suo modo di fare il pubblico ministero, già stigmatizzato dai provvedimenti di carriera che lo hanno colpito, portandolo fuori dalla magistratura». Insomma: per Da Rold, «Luigi de Magistris, tonitruante sindaco di Napoli, non rispettava neppure le regole della pubblica accusa su un impianto procedurale discutibile, come più volte hanno ricordato tanti uomini politici». Marco Pannella fece addirittura della battaglia per la separazione delle carriere una missione della sua vita e portò Enzo Tortora al Parlamento Europeo. «Ma la vocazione inquisitoria della tradizione italiana resiste», anche se «tutti sanno quanto è causa di autentici drammi umani».“Why not” è durata dodici anni. L’imprenditore Tonino Saladino ha visto sua moglie ammalarsi e i suoi figli storditi dalla sua vicenda umana, annota Da Rold. «Ogni tanto si ricorda sbigottito e sgomento il 12 marzo 2007, quando alle sette di mattina gli piombarono in casa i carabinieri per un’ispezione alla ricerca di carte che neppure sapevano che cosa fossero o rappresentassero». Tutta quella storia di “Why not” fu «uno scontro durissimo che coinvolse il governo dell’epoca, quello di Romano Prodi, che alla fine andò in crisi», travolgendo il ministro della giustizia, Clemente Mastella, e sua moglie. «Per placare le acque all’interno della magistratura e nel perenne scontro tra magistratura e politica dovette intervenire nel 2008 anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano». Non era una novità, in quegli anni della già affermata Seconda Repubblica: l’Italia, ricorda Da Rold, era un paese «destabilizzato da svendite di grandi aziende pubbliche, da una cronica mancanza di crescita e da una confusione demenziale della classe dirigente, politica e imprenditoriale», con i magistrati inquirenti spessissimo sopra le righe.Una fenomenologia cominciata in realtà nel 1992, quando la magistratura italiana, «risvegliatasi dal suo torpore, aveva “scoperto” le tangenti politiche, che esistevano dal 1946». Senza contare i circa 1.000 miliardi di lire (secondo Stéphane Courtois) che affluivano al Pci dall’Urss, «potenza ufficialmente nemica». E tutto poi «amnistiato, naturalmente». In fondo, continua Da Rold, la vicenda di “Why not” era il seguito inevitabile delle apparizioni televisive, in gruppo, del pool Mani Pulite: giornate scandite dalle “sensazionali rivelazioni” che qualche talpa del Palagiustizia passava sottobanco ai giornali. «È stata una lunga cavalcata non molto edificante, con alla fine un Francesco Saverio Borrelli che confessa i suoi dubbi a Marco Damilano; con la sempre cacofonica parlata giurisprudenziale italiana del “grande manettaro” Antonio Di Pietro; con la visione del “geniale” Pier Camillo Davigo che pensa di trovarsi di fronte a 60 milioni di italiani potenzialmente colpevoli, che naturalmente devono giustificare la loro condotta». Per non parlare della battaglia delle “correnti” all’interno della magistratura, fino alla pagina nera del Csm con il clamoroso “caso Palamara”, l’inciucio col Pd, di cui si cerca di parlare il meno possibile, sui media.Teoricamante il nostro è uno Stato di diritto, eppure «la giustizia segue tempi scoraggianti, dove gli aspetti inquisitori sono sempre prevalenti». E il peggio è, scrive Da Rold, che non si ha il coraggio di riconoscere che in Italia «questa amministrazione giudiziaria è gestita da una casta feudale, dove le procure rappresentano i feudi superstiti o dei nuovi feudi, che ogni tanto si fanno pure la guerra l’uno contro l’altro, spesso in nome dell’obbligatorietà dell’azione penale o secondo interpretazioni delle norme che farebbero inorridire un filosofo del diritto come Hans Kelsen». Ogni speranza di riforma finisce per naufragare, grazie anche alle “intemerate” del fedelissimo Marco Travaglio, «che spesso anticipa i tempi persino delle sentenze». Buio pesto anche dal ministro Alfonso Bonafede, devoto a Giuseppe Conte, «quindi un visconte per tradizione feudale».«E pensare che la riforma della giustizia, in agenda del nuovissimo governo, ora che i grillini sono diventati europeisti con Ursula von der Leyen, dovrebbe rispettare, o almeno tenere in considerazione, la risoluzione numero 112/97 approvata dal Parlamento Europeo il 4 luglio 1997», chiosa Da Rold. In questo si dice: «È anche necessario garantire l’imparzialità dei giudici distinguendo tra la carriera dei magistrati – i cosiddetti “examining magistrates” – e quella del giudice, al fine di assicurare un processo giusto». Sentenze autorevolmente emesse, al termine di processi in cui si condanna “oltre ogni ragionevole dubbio”. Ha voglia di scherzare, Da Rold: «Perché non si organizza su questo tema un bel convegno tra de Magistris, Davigo, Di Pietro e Travaglio come moderatore?». In questo caso, aggiunge, «lo spettacolo sarebbe assicurato, e poi si potrebbe emigrare tranquillamente».L’ultima notizia dell’infinita saga dell’inchiesta di “Why not”, una sorta di triste serial televisivo con un regista inedito (l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris), è arrivata l’11 settembre 2019. Siamo probabilmente ai titoli finali, con un de Magistris che sembrerebbe sconfitto dopo la sua poco edificante uscita dalla magistratura. Lo afferma Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”, rievocando la breve stagione politico-giudiziaria di cui si è reso protagonista il primo cittadino partenopeo, sempre alla ricerca affannosa di riflettori mediatici, ai margini della politica nazionale. “Why not”, scrive Da Rold, imperversava dal 2007, quando de Magistris, un tempo procuratore di Catanzaro, cominciò a seguire i passi della “magistratura militante”, quella che vuole contare, che vuole dettare i tempi della politica e che ha sempre aspirato a diventare famosa a colpi di comparsate televisive. De Magistris aprì un’inchiesta «basata su prove aeree», cominciata con confessioni poi ritrattate. «E naturalmente, sullo sfondo, complotti giudaico-massonici e altre amenità da “Savi di Sion” senza bisogno della polizia zarista, secondo una delle ricorrenti tendenze giuridiche dei pubblici ministeri italiani».
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Perché Salvini stravincerà, nonostante l’economia in crisi
C’è chi lo critica da destra perchè non è abbastanza liberista e chi lo critica da sinistra perchè non è abbastanza liberista. Poi c’è chi lo critica perchè è troppo liberista, ma quelli siamo in pochi. Comunque sia, qualunque cosa egli faccia, l’Italia è già in stagnazione ora e andrà in recessione domani. Eppure, il Capitano non solo rimarrà saldamente al comando del paese, ma i suoi consensi sono destinati a crescere. Gli avversari politici parlano di propaganda, di populismo, di fascismo, e invece devono imputare questa situazione nient’altro che a sè stessi e alla loro ideologia demenziale: la globalizzazione neoliberista. Prima di riflettere su ciò, ho letto questo post su Twitter: “Ragazzi credetemi: sono su un treno regionale che da Catanzaro porta a Rossano Calabro e trovare un italiano su questa carrozza è davvero un’impresa”. E l’artefice del post stava parlando della Calabria, cioè di una delle regioni a minor occupazione in Italia. Non si stava riferendo al Veneto o alla Lombardia.L’altra sera sono andato dal medico di famiglia. Spesso mi scordo come si chiama perchè io vado dal medico solo quando ho dolori lancinanti e quindi, per fortuna, molto di rado. Arrivato nella sala d’attesa dell’ambulatorio noto subito che sono l’unico italiano, gli altri sono componenti di famiglie nordafricane che parlottano. Impossibile capire cosa si stiano dicendo: magari parlavano del sottoscritto come di uno stronzo. Chissà, non lo saprò mai. A me non interessa più di tanto trovarmi quotidianamente alle Poste o dal dottore o in un qualsivolgia luogo pubblico con tutti stranieri attorno, ma sfido chiunque a sostenere che la cosa sia piacevole. Impossibilitati a comunicare e a capire ciò che gli interlocutori attorno si dicono, ti senti isolato, fuori casa. Eppure riconosco le strade, i nomi delle vie, gli edifici. Mio zio fa il muratore: ha lavorato alla realizzzazione di quell’immobile che ospita il supermercato nel quale sto entrando. Un mio amico vende frigoriferi industriali, la fabbrica produttrice è del mio paese e la marca di quel congelatore al supermercato è proprio quella, la conosco bene.Sui pezzi di carta appiccicati ai muri e sulla segnaletica stradale usano i caratteri latini. In fondo al paese c’è un campanile. Si, insomma, a quanto pare sono proprio in Italia. Perchè allora devo sentire tutti dal medico o al parco che parlano arabo o wolof, o quello che stracazzo? La Costituzione italiana esplicitamente afferma che bisogna tutelare le minoranze linguistiche. Ciò significa, sic et simpliciter, che la maggioranza linguistica non va tutelata? A scuola se ne vede di ogni. Quando un alunno dimentica una matita o disturba durante le lezioni, dagli insegnanti riceve una predica che neanche Don Camillo a Brescello. Poi però vediamo bambini e ragazzini che prendono diplomi senza avere proprietà di linguaggio alcuna, e soprattutto senza che mai siano stati bocciati lungo il percorso scolastico italiano, che dura minimo 10 anni.Come dite? Si tratta di naturali conseguenze dell’emigrazione ed è sempre successo così? Be’, i miei genitori in Svizzera negli anni Sessanta col piffero che potevano sbraitare tra di loro in italiano nei luoghi pubblici, ed era ritenuta grandissima maleducazione parlare una lingua che una persona presente non conosce se chi discute ha la possibilità di parlare quella che tutti conoscono. Mi risulta che negli Stati Uniti o in Francia, dove il melting pot è una realtà da tanti lustri, i quartieri dove si parla spagnolo o marocchino siano quelli più degradati. Eppoi, come sanno anche i sassi, chi un tempo migrava lo faceva per guadagnare più soldi, e non per fruire di servizi che alla comunità autoctona sono costati anni di battaglie e alta pressione fiscale. Purtroppo, complici anche scelte politiche sui trattati internazionali, oggi in Italia la disoccupazione si aggira sul 10 per cento e quella giovanile al 33. Dunque è facilmente ipotizzabile che il reale vantaggio nel risiedere in Italia consista nel suo sistema di wefare, più che nelle opportunità di lavoro.La migrazione di popoli c’è sempre stata. Spesso ha migliorato le condizioni di vita, come quando i fenici colonizzarono il Mediterraneo, o come quando i greci portarono la civiltà in Medio Oriente ben prima della predicazione di Maometto. Altre volte, però, le migrazioni di popoli hanno portato solo sciagure, come alla fine dell’Impero Romano, quando i barbari che già vivevano all’interno del limes finirono per logorare e abbattere un sistema millenario lasciando spazio alla tribalità ed al nomadismo che svuotarono le città nell’alto medioevo ed impoverirono tutta Europa. Migrare non è affatto un valore: è una condizione che comporta sofferenza e che proprio per questo non va promossa, ma contenuta. Salvini l’ha capito: più di tutti i comunisti, più di tutti i neoliberisti, più di tutti i preti di questo paese levantino. E farà il peno di voti, che vi piaccia o no. Oooops, quasi dimenticavo i sovranisti movimentisti: per costoro il problema migrazione c’è, ma è secondario rispetto alla moneta endogena creata alla supercazzola con scappellamento a destra. Dunque lasciano l’argomento a Salvini.(Massimo Bordin, “Perchè Salvini stravincerà le prossime elezioni, nonostante l’economia”, dal blog “Micidial” del 17 febbraio 2019).C’è chi lo critica da destra perché non è abbastanza liberista e chi lo critica da sinistra perché non è abbastanza liberista. Poi c’è chi lo critica perché è troppo liberista, ma quelli siamo in pochi. Comunque sia, qualunque cosa egli faccia, l’Italia è già in stagnazione ora e andrà in recessione domani. Eppure, il Capitano non solo rimarrà saldamente al comando del paese, ma i suoi consensi sono destinati a crescere. Gli avversari politici parlano di propaganda, di populismo, di fascismo, e invece devono imputare questa situazione nient’altro che a sè stessi e alla loro ideologia demenziale: la globalizzazione neoliberista. Prima di riflettere su ciò, ho letto questo post su Twitter: “Ragazzi credetemi: sono su un treno regionale che da Catanzaro porta a Rossano Calabro e trovare un italiano su questa carrozza è davvero un’impresa”. E l’artefice del post stava parlando della Calabria, cioè di una delle regioni a minor occupazione in Italia. Non si stava riferendo al Veneto o alla Lombardia.
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Gratteri: una vergogna quelle gabbie per i migranti in Libia
Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».Quello di Gratteri è un pensiero che sembra in via di estinzione, in un’Italia frastornata dal derby che oppone il solidarismo assistenziale delle Ong alla xenofobia elettoralistica degli “impresari della paura”, che speculano sulla criminalità migrante degli sbandati. Ma perché dare per scontato che milioni di persone debbano per forza lasciare le loro case? E’ sacrosanto il diritto di partire per inventarsi una vita diversa dall’altra parte del mondo, «purché però la partenza non sia un atto disperato, indotto dalla miseria o dalla guerra», sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro: difendiamo i diritti dei migranti trascurando però sempre il loro diritto principale, «che è innanzitutto quello di poter vivere una vita dignitosa a casa loro, senza per forza dover dolorosamente rinunciare al proprio paese». In altre parole: «Perché non ci chiediamo come mai questa gente è costretta a scappare? Perché non chiediamo ai nostri governi cosa hanno combinato, in quelle regioni del mondo?». Aiutarli a casa loro? L’Italia sarà in Niger con il proprio esercito, a presidiare un paese tra i 20 più poveri al mondo, ma ricchissimo dell’uranio che è da sempre “proprietà privata” della Francia, destinato ad alimentare le centrali nucleari transalpine.Soccorso occidentale? «No, grazie», rispose Thomas Sankara al vertice panafricano di Addis Abeba, pensando al genere di “aiuti” storicamente ricevuti dall’Africa: finanziamenti interessati e debito eterno, cioè schiavitù. «Teneteveli, i vostri soldi: non li vogliamo più», disse il giovane leader del Burkina Faso, assassinato nel 1987 tre mesi dopo quel coraggioso discorso, in cui chiedeva agli Stati africani di non pagare più il debito estero (la Russia di Putin ha appena condonato il suo, annullando gli oneri a carico dei paesi africani verso Mosca). E mentre la verità ufficiale tuttora nega che a uccidere Sankara sia stato l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaorè, ricevuto all’Eliseo con tutti gli onori da François Mitterrand, l’Unione Europea si appresta a varare un Piano Marshall per l’Africa che, in cambio di infrastrutture, aggraverà il debito del continente nero, quasi sempre retto da dittature filo-occidentali come quella dell’Eritrea, i cui profughi (che sbarcano a Lampedusa) fuggono da un regime a cui l’Italia vende costosi armamenti.L’Africa però resta materia da campagna elettorale: Berlusconi evoca il pugno di ferro contro “mezzo milione di immigrati criminali”, mentre Massimo D’Alema sostiene che proprio ai migranti è affidato il futuro demografico di un paese come l’Italia, dove non ci si sposa più e non si fanno più figli (a causa della crisi economica indotta dall’euro e dal rigore Ue, cosa che D’Alema evita accuratamente di precisare). Nel frattempo restano loro, i sopravissuti alla pericolosa traversata del Canale di Sicilia, a bordo di carrette del mare il più delle volte recuperate in extremis dalla marina militare italiana. Senza una politica degna di questo nome, sottolinea Nicola Gratteri, non ci sarebbe da vantarsi se il flusso dei disperati dovesse calare: «Ogni sera sentiamo ai telegiornali che gli sbarchi sono diminuiti del 3, del 15, del 20%, ma mentre noi parliamo so che ci sono delle donne che vengono violentate o bambini che vengono bastonati a sangue». Le gabbie in Libia per rinchiuderli come animali? «Non sto tranquillo perché ne arrivano duemila in meno», aggiunge il magistrato, per il quale evidentemente la parola “umanità” ha ancora un senso universale, non negoziabile né trasformabile in spazzatura elettolare “di destra” o “di sinistra”.Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».
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Thurn und Taxis: la birra dei Padroni di Tutto, dal medioevo
Sul menù del Bounty Pub c’è una birra che si chiama Thurn und Taxis. Delizia. Ma tu lo sai che della dinastia Thurn und Taxis ne parlò Benjamin Franklin, Karl Marx? E tu lo sai che i Thurn und Taxis sono ancora oggi quelli che hanno il potere di sussurrare nell’orecchio di Mario Draghi, di Juncker e della Merkel cosa fare (poi a cascata sul pollitalico pollaio)? Ops! Non lo sapevi? Ma fanno anche birre, nel passatempo. Sai chi sono? Sono per caso una marca come Moretti o Heineken? No, no. Pochi poveri intellettuali disperati come l’immenso Alain Parguez, professore emerito di storia dell’economia all’università di Besançon in Francia, o come la storica Lacroix-Riz, o come Paolo Barnard, vi avevano raccontato chi sono i Thurn und Taxis anni fa, e cosa succede a causa loro, e di altri come loro, in Unione Europea. I pochi poveri intellettuali disperati come noi vi avevano raccontato che il disegno neoliberista – su cui ancora si vomitano migliaia di inutili papers accademici e libri e ragliate di ‘belle anime’ – è stato totalmente superato, e oggi l’Unione Europea è in mano al neofeudalesimo dei Thurn und Taxis e soci.Poche famiglie nobili, una minuta élite, persino più ristretta della Commissione Europea, dettano ancora nel 2017 ogni secondo della vostra vita, voi sperduti di Latina, Cuneo, Catanzaro e Bari, e prima fra tutte troneggia la famiglia tedesca proprio dei Thurn und Taxis, poi i belgi Davignon, e i Boel, e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufe (le birre le fanno solo i primi, devo essere onesto). Ciò che le élite di questi ‘rentiers’ (feudatari) come i Thurn und Taxis, e dell’Opus Dei, hanno creato in Europa e che oggi si chiama Unione Europea, Patto di Stabilità, Banca Centrale Europea, direttive Ue, Eurozona, è precisamente un percorso di ritorno a condizioni di tale panico economico da riportare milioni di persone all’abbruttimento e alla paura caratteristiche delle epoche feudali. La Politica della Carenza, da Paolo Barnard descritta qui due anni fa: be’, non è più neoliberismo, è neofeudalesimo, il territorio dei Thurn und Taxis, quelli della tua birra al pub, sì, loro.Ma chi sono i ‘rentiers’ esattamente? Vi ricordate a scuola le lezioni sui nobili, i feudatari? Oggi la cosa è più complessa. I marchesi, i Borboni, i duchi si sono dovuti eclissare, essi erano i ‘rentiers’. Ma non hanno mai ceduto, mai. Si sono solo modernizzati. La famiglia Agnelli in Italia fu un esempio. Furono i più inetti produttori di auto del mondo occidentale per quasi un secolo, ma sono sopravvissuti, gli Agnelli, e hanno goduto di immensi privilegi, grazie allo sfruttamento di generazioni di immigrati meridionali e ai sussidi di denaro pubblico in quantità grottesca. Eccoli i rentiers, neofeudali. I ‘rentiers’ più potenti oggi sono la più ricca dinastia di Germania, i Thurn und Taxis, proprietari immobiliari e terrieri da epoca feudale, con un ramo italiano di tutto rispetto, che viene da Ruggiero de Tassis del 1443. Sì, loro, quelli della birra sul menù del tuo pub. Sapete, il precursore di Karl Marx, Benjamin Franklin, ci raccontò che i Thurn und Taxis furono la prima dinastia che emerse dal Sacro Impero Romano grazie all’invenzione del servizio postale. Furono i primi a farsi pagare per spedire lettere.Il, tragicamente male interpretato, filosofo morale Adam Smith, un vero eroe dalla Vera Sinistra pre-illuminista, sempre svenduto al mondo come l’esatto opposto, denunciò i Thurn und Taxis come autori del primo progetto mercantile d’Europa. Oggi la Germania naviga falciando vite umane su un progetto neo-mercantile, quel progetto che ha devastato l’economia italiana come mai dal 1948, ma che marcia diligente sugli ordini dei Thurn und Taxis. Quelli della tua birra al pub. Ok, avete capito, spero. I Grandi Disegni sulle vostre vite a Macerata, Torio o a Comacchio non li fanno Renzi, Grilli, Grillo, Poletti, la Boldrini, né la Mafia. Vado a letto. Notte.(Paolo Barnard, “Bevi una birra Thurn und Taxis? Fotti la vita di tuo figlio”, dal blog di Barnard del 25 febbraio 2017).Sul menù del Bounty Pub c’è una birra che si chiama Thurn und Taxis. Delizia. Ma tu lo sai che della dinastia Thurn und Taxis ne parlò Benjamin Franklin, Karl Marx? E tu lo sai che i Thurn und Taxis sono ancora oggi quelli che hanno il potere di sussurrare nell’orecchio di Mario Draghi, di Juncker e della Merkel cosa fare (poi a cascata sul pollitalico pollaio)? Ops! Non lo sapevi? Ma fanno anche birre, nel passatempo. Sai chi sono? Sono per caso una marca come Moretti o Heineken? No, no. Pochi poveri intellettuali disperati come l’immenso Alain Parguez, professore emerito di storia dell’economia all’università di Besançon in Francia, o come la storica Lacroix-Riz, o come Paolo Barnard, vi avevano raccontato chi sono i Thurn und Taxis anni fa, e cosa succede a causa loro, e di altri come loro, in Unione Europea. I pochi poveri intellettuali disperati come noi vi avevano raccontato che il disegno neoliberista – su cui ancora si vomitano migliaia di inutili papers accademici e libri e ragliate di ‘belle anime’ – è stato totalmente superato, e oggi l’Unione Europea è in mano al neofeudalesimo dei Thurn und Taxis e soci.
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Verità indicibili, le grandi intuizioni di Giuseppe Cosco
Chiunque – come me – abbia iniziato a navigare in Internet all’inizio del millennio, si sarà certamente imbattuto in qualche articolo di Giuseppe Cosco. Chi invece è arrivato in rete più tardi, molto probabilmente non conosce nemmeno il suo nome, perché nel frattempo il suo lavoro è stato superato e soppiantato da quello di molti altri ricercatori. Ma Giuseppe Cosco rimane un antesignano in senso assoluto. In rete è stato il primo, ad esempio, a parlare dei Templari oppure dei Rosacroce, di rituali satanici, di Skull&Bones e di Nwo, oppure di pedofilia. Oggi chiunque si metta a navigare in rete scopre, entro 20 minuti al massimo, il simbolismo esoterico che si cela nell’occhio incastonato nella piramide che compare sul dollaro americano. Ma il primo a parlarne fu proprio Giuseppe Cosco, quasi 20 anni fa. Cosco era anche interessato al campo della medicina alternativa. I suoi articoli spaziavano da “La medicina a misura d’uomo di Paracelso” fino a “Tutto quello che non vi hanno detto sull’Aids”, dai rapporti fra “Stress e cancro” fino alla (oggi ben nota) terapia anticancro a base di ascorbato di potassio del dottor Pantellini.Giuseppe Cosco fu anche il primo in assoluto ad intervistare e mettere in rete le informazioni su un oncologo molto particolare, che sosteneva di poter curare il cancro con il bicarbonato di sodio: tale Tullio Simoncini. Ho fatto due chiacchiere su Giuseppe Cosco sia con il figlio Alfredo, sia con Paolo Franceschetti, che naturalmente è un ottimo conoscitore del lavoro di Cosco. «A quel che mi risulta – dice Franceschetti – Cosco fu il primo a suggerire uno scenario con sfondo rituale per il grande mistero del Mostro di Firenze. Lui si è occupato di moltissimi argomenti dei quali oggi mi occupo io, e aveva già presentato, a livello intuitivo, molti collegamenti oscuri che oggi possono essere supportati da una ricerca ben documentata». Ed è proprio su questo argomento che ho posto al figlio la domanda: «Ma come faceva tuo padre a mettere insieme i vari pezzi di questo puzzle, quando ancora in rete non esisteva praticamente nulla al riguardo, ed era impossibile fare delle ricerche in merito?».«Mio padre lavorava in modo intuitivo – ha risposto Alfredo – e aveva la grande capacità di ricordare e di mettere insieme dei particolari apparentemente insignificanti, che trovava nei posti più disparati. Ad esempio, gli capitava di leggere una notizia su un quotidiano, e riusciva a ricollegarla a qualcosa che magari aveva letto in un libro, oppure ascoltato in una trasmissione televisiva, cinque anni prima». Infatti, se gli articoli di Cosco hanno una caratteristica in comune, è proprio quella di fare affermazioni che non sono quasi mai supportate da riferimenti verificabili: questo proprio perché la rete, come la intendiamo noi oggi, in quegli anni non esisteva ancora. Ed è questo che rende ancora più interessante il suo lavoro, a conferma che spesso l’intuizione è proprio la qualità principale che ci permette di giungere a conclusioni apparentemente irrazionali.Giuseppe Cosco era anche un esperto di grafologia, e come tale collaborava spesso con la magistratura di Catanzaro (la città in cui viveva), fornendo un importante contributo nelle varie indagini criminali. Ed è proprio in un tribunale di Catanzaro, durante un’udienza dove stava presentando una perizia grafologica, che Giuseppe Cosco si è improvvisamente accasciato, in un giorno del 2002, apparentemente colpito da un infarto. Paolo Franceschetti ha avanzato dei dubbi su questa morte improvvisa, che egli ha definito «quantomeno sospetta». Lo stesso figlio di Cosco, Alfredo, dice che le cause della morte sono state stabilite in modo superficiale e generico, anche se non ritiene che esistano elementi sufficienti per parlare con certezza di una eliminazione intenzionale.«Al giorno d’oggi – dice Franceschetti – sarebbe perfettamente inutile eliminare un personaggio del genere, che dice cose che sono comunque conosciute e diffuse dappertutto. Ma 15 anni fa Giuseppe Cosco era l’unico a sostenere queste tesi, ed è quindi assolutamente plausibile che qualcuno abbia voluto levarlo di mezzo, prima che arrivasse a rivelare i veri segreti della casta degli intoccabili». Di certo possiamo dire una cosa: che Giuseppe Cosco sia morto per cause naturali, oppure che sia stato eliminato, nessuno potrà mai cancellare il percorso e la memoria di un uomo che ha aperto per tutti noi un sentiero completamente nuovo: quello della ricerca e dell’indagine indipendente sulla rete. Un sentiero che oggi, grazie anche al contributo di personaggi come Giuseppe Cosco, sta diventando una vera e propria autostrada.(Massimo Mazzucco, “Un ricordo di Giuseppe Cosco”, da “Luogo Comune” del 20 gennaio 2016).Chiunque – come me – abbia iniziato a navigare in Internet all’inizio del millennio, si sarà certamente imbattuto in qualche articolo di Giuseppe Cosco. Chi invece è arrivato in rete più tardi, molto probabilmente non conosce nemmeno il suo nome, perché nel frattempo il suo lavoro è stato superato e soppiantato da quello di molti altri ricercatori. Ma Giuseppe Cosco rimane un antesignano in senso assoluto. In rete è stato il primo, ad esempio, a parlare dei Templari oppure dei Rosacroce, di rituali satanici, di Skull&Bones e di Nwo, oppure di pedofilia. Oggi chiunque si metta a navigare in rete scopre, entro 20 minuti al massimo, il simbolismo esoterico che si cela nell’occhio incastonato nella piramide che compare sul dollaro americano. Ma il primo a parlarne fu proprio Giuseppe Cosco, quasi 20 anni fa. Cosco era anche interessato al campo della medicina alternativa. I suoi articoli spaziavano da “La medicina a misura d’uomo di Paracelso” fino a “Tutto quello che non vi hanno detto sull’Aids”, dai rapporti fra “Stress e cancro” fino alla (oggi ben nota) terapia anticancro a base di ascorbato di potassio del dottor Pantellini.
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Orwell a Catanzaro, telecamere militari fornite dal Mossad
Catanzaro, la città più “sicura” d’Europa. O meglio: la più videosorvegliata, grazie all’installazione di 900 telecamere, di cui 200 fittizie, per sorvegliare i 90.000 abitanti del capoluogo calabrese. Costo iniziale: 23 milioni di euro, che il Comune prevede di ottenere dal fondo “Pon Sicurezza” del ministero dell’interno, creato per la “diffusione della legalità” a tutela della libertà d’impresa. Strategico il protocollo d’intesa firmato con la società “BunkerSec” di Tel Aviv, che fa capo all’ex direttore del Mossad, Meir Dagan. Obiettivo del progetto, battezzato “Safe city”: un sistema di videosorveglianza e controllo, in grado di “mettere in pratica una tecnologia militare in campo civile per monitorare 24 ore su 24 l’intero territorio”. «Il costo – protesta Rosanna Barbuto su “Megachip” – sarebbe giustificato dalla tecnologia militare di cui il “Safe city” è dotato», decisamente «sproporzionata per una città come Catanzaro». Il sistema, infatti, consente di “inviare messaggi su cellulare a un vasto numero di utenti” e “potrà essere utilizzato per informare la cittadinanza relativamente a eventi pericolosi come attacchi terroristici, diffusione dell’inquinamento, tempeste imminenti, incendi, ingorghi stradali e collisioni”.
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Piazza Fontana, cine-romanzo di un’occasione sprecata?
Una docu-fiction tipo Rai Storia, ma in versione lusso e con tesi non dimostrate? La differenza la fanno soprattutto i due protagonisti, Valerio Mastrandrea nei panni del commissario Luigi Calabresi e Pierfrancesco Favino, che incarna la vittima dell’indagine, cioè l’ex partigiano, ferroviere e attivista anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura di Milano il 15 dicembre 1969. La tragedia scoppiò al termine di un fermo illegalmente prolungato per tre giorni e scattato poche ore dopo la strage di piazza Fontana, che fece 17 morti e 88 feriti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Attentato che segnò l’inizio della “strategia della tensione” scatenata in Italia per fermare l’avanzata democratica della sinistra e scongiurare il rischio che potesse andare il governo il Pci, ancora formalmente collegato al grande nemico degli Usa e della Nato, l’Unione Sovietica.
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Beha, il funerale del Pd: no democratic, no party
Ma sì, parliamo del Pd, il partito “che non proietta l’ombra” per manifesta inconsistenza identitaria mentre siamo costretti dalla realtà illegal-precipitosa a parlare ogni giorno del soi dicent Re Sole e della sua corte. Parliamo di un partito “mai nato” parafrasando il fallaciano Rutelli da venticinque anni in sala parto della partitocrazia italiana a fianco della “Morgue” della politica, mentre il mondo ci dice della immane tragedia indonesiana, dei 40 morti di cancro a Praia a Mare per aver respirato coloranti in una fabbrica tessile secondo la Procura di Paola, della richiesta del pm di 13 anni per Pollari per il sequestro Abu Omar di cui lo stesso Rutelli parla assai meno volentieri…
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Expo 2015, Milano nuova capitale della ‘Ndrangheta?
In vista dell’Expo 2015 le cosche calabresi stanno infiltrando il tessuto imprenditoriale lombardo e spostano il centro dei propri interessi all’ombra della Madonnina, tanto che i magistrati nazionali antimafia avvisano: «Milano è la nuova capitale della ‘ndrangheta e la Lombardia è diventata la quarta regione mafiosa d’Italia». Lo afferma Gian Luca Ursini sul newsmagazine indipendente “PeaceReporter”, in un ampio servizio che aggiorna la geografia criminale italiana partendo dai colossali investimenti in arrivo a Milano per l’expò universale e le sue miliardarie infrastrutture.