Archivio del Tag ‘Casa Bianca’
-
Il Corriere: aerosol tra le nuvole, la geoingegneria è realtà
Nuvole gonfiate e aerosol salveranno la Terra? Lo scrive, già nel 2012, il “Corriere della Sera”, presentando la geoingegneria come «la (buona) scienza che manipola il clima». Tempi non sospetti: sei anni fa era ancora scarso il “gossip” sulle cosiddette scie chimiche, e forse i cieli non erano ancora così intasati di “strisce” rilasciate dagli aerei, fino a stendere quello strano, persistente velo nuvoloso al quale siamo ormai abituati anche nelle giornate serene. Soprattutto, non era ancora accaduto che un paese come l’Italia venisse colpito da tempeste violentissime, con venti furiosi (190 chilometri orari) in grado di sradicare centinaia di migliaia di alberi proprio il 4 novembre, anniversario della Grande Guerra, e proprio nella geografia del Nord-Est – le Dolomiti, il Piave – che nel 1918 salutò l’affermazione “patriottica” della giovane nazione italiana. Complottisti scatenati e dubbiosi in aumento, vista la perdurante riluttanza delle autorità nel rilasciare dichiarazioni chiarificatrici, una volta per tutte, riguardo all’ipotetica correlazione tra scie bianche, innalzamento climatico ed eventi catastrofici generati dal meteo “impazzito”. Nulla che peraltro non fosse paventato, come pericoloso effetto collaterale, dagli esperti sondati nel 2012 da Emanuele Buzzi, autore di una ricognizione giornalistica per il “Corriere”.Un tramonto rosso fuoco perenne e specchi giganti nello spazio per riflettere la luce solare? «Orizzonti alla Blade Runner, ma non è fantascienza», scrive Buzzi. «È il futuro (forse) del nostro pianeta: ipotesi di ingegneria climatica che sono già al vaglio degli esperti». Per Buzzi, sei anni fa, la geoingegneria era «una realtà complessa», che stava «mobilitando la comunità scientifica internazionale», facendola discutere. Obiettivo dichiarato: «Combattere il surriscaldamento globale», ma con interventi molto diversi tra loro: «C’è chi studia l’immagazzinamento e lo smaltimento di anidride carbonica e c’è un ramo più radicale che propone esperimenti “solari”, che mutino o catturino le radiazioni a livello della stratosfera». Molto prudente, allora, un tecnico come Antonello Provenzale, ricercatore del Cnr di Torino in forza all’Isac, Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima: «A mio parere, mentre ha senso la rimozione di CO2, sono ancora inopportuni interventi di altro tipo». Ovvero: «Prima di agire ci sono dei fattori che vanno presi in considerazione: la sostenibilità nel tempo di azione del genere, la loro effettiva efficacia e la nascita di ampie alleanze geopolitiche in grado di sostenerle».Le teorie al vaglio degli scienziati, scrive Buzzi nel 2012, spaziano per cieli, terra, aria e mari: «Si va dalla “semina” di ferro negli oceani, per aumentare la presenza dei microrganismi che intercettino la CO2, all’adozione di specie di piante ad alto potere riflettente, alla messa in orbita di giganteschi parasole». Ma l’idea più discussa «riguarda l’uso di gas aerosol come l’anidride solforosa da immettere con costanza nella stratosfera per riflettere la luce solare». Controindicazioni del caso: «Secondo alcuni studiosi (e detrattori della teoria), le emissioni assottiglierebbero lo strato di ozono». In realtà, sottolinea il “Corriere”, i gas aerosol sono già presenti nell’atmosfera. E non solo: «Negli ultimi anni», annota lo stesso Provenzale, «sono state individuate altre due cause oltre all’effetto serra che hanno provocato l’innalzamento delle temperature: la massiccia deforestazione e l’uso di gas aerosol di origine antropica, specie in Cina e nel Sudest Asiatico». Una differenza però c’è: «Rispetto all’anidride carbonica, questi gas stanno meno tempo nell’atmosfera, circa 10-15 giorni».Intanto, segnala il “Corriere” sempre nel 2012, l’idea di manipolare il clima «ha già catturato l’attenzione di plurimiliardari come Bill Gates, Richard Branson e il fondatore di Skype, Niklas Zennstrom». Anche Buzzi cita il Bpc, Bipartisan Policy Center di Washington, indicato dal reporter Gianni Lannes come think-tank neocon, punta di lancia della lobby che spingerebbe per la manipolazione climatica tramite l’irrorazione sistematica dei cieli. Il “Corriere” la definisce «un’organizzazione non profit fondata da quattro ex senatori Usa, due repubblicani e due democratici», che nel 2011 ha invitato la Casa Bianca a creare «un programma di ricerca federale». Scienziati delle università inglesi, aggiunge Buzzi, hanno organizzato «un test per pompare nella stratosfera particelle chimiche». Esperimento che però è «abortito», anzi «rimandato». Anche perché è stata proprio la Royal Society britannica, alla conferenza sul clima di Durban nel 2011, a presentare un rapporto sugli scenari della geoingegneria: «Giocare con la natura in questo modo deve essere solo una soluzione estrema», scrivevano sette anni fa gli scienziati inglesi, «ed è comunque una soluzione pericolosa».Sulla stessa linea anche un report commissionato dal ministero dell’educazione e della ricerca tedesco, che all’epoca auspicava «ulteriori ricerche» e sosteneva che «le conseguenze dell’utilizzo di queste tecniche non possono essere stimate con la precisione necessaria». Nessun allarmismo in Cina, invece, dove si ipotizzano nuove frontiere, chiosa Buzzi sul “Corriere”: a Pechino, «gli effetti della geoingegneria sono già tangibili», da molti anni. Nel 2012 la Cina ammise di stipendiare non meno di 36.000 “rainmaker”, equipaggiati con razzi, cannoni e arei per intervenire sulle nubi e scatenare precipitazioni nelle zone aride. «Mentre in altri paesi sono state sperimentate solo occasionalmente, a Pechino e nella regione di Jilin le piogge artificiali – grazie a nuvole “gonfiate” con ioduro d’argento – sono una realtà», scriveva Buzzi, sei anni fa. «E il governo – aggiungeva – sta pianificando di estendere l’esperimento ad altre cinque zone». Oltre alla Cina, l’altro paese che ammette di condurre test di manipolazione meteo è Israele, mentre analoghe notizie filtrano da Messico e Sudafrica. Nel frattempo, i nostri cieli si sono riempiti di strisce bianche rilasciate dagli aerei: semplici scie di condensazione, secondo le autorità, che però non spiegano come mai l’ipotetico vapore acqueo non si dissolva, ma anzi permanga in atmosfera per ore, estendendosi fino a velare interamente il cielo.Nuvole gonfiate e aerosol salveranno la Terra? Lo scrive, già nel 2012, il “Corriere della Sera”, presentando la geoingegneria come «la (buona) scienza che manipola il clima». Tempi non sospetti: sei anni fa era ancora scarso il “gossip” sulle cosiddette scie chimiche, e forse i cieli non erano ancora così intasati di “strisce” rilasciate dagli aerei, fino a stendere quello strano, persistente velo nuvoloso al quale siamo ormai abituati anche nelle giornate serene. Soprattutto, non era ancora accaduto che un paese come l’Italia venisse colpito da tempeste violentissime, con venti furiosi (190 chilometri orari) in grado di sradicare centinaia di migliaia di alberi proprio il 4 novembre, anniversario della Grande Guerra, e proprio nella geografia del Nord-Est – le Dolomiti, il Piave – che nel 1918 salutò l’affermazione “patriottica” della giovane nazione italiana. Complottisti scatenati e dubbiosi in aumento, vista la perdurante riluttanza delle autorità nel rilasciare dichiarazioni chiarificatrici, una volta per tutte, riguardo all’ipotetica correlazione tra scie bianche, innalzamento climatico ed eventi catastrofici generati dal meteo “impazzito”. Nulla che peraltro non fosse paventato, come pericoloso effetto collaterale, dagli esperti sondati nel 2012 da Emanuele Buzzi, autore di una ricognizione giornalistica per il “Corriere”.
-
Midterm: Trump resiste alla carica dei Dem senza leader
E’ un’America profondamente divisa quella che esce dalle elezioni di midterm, molto partecipate dagfli elettori. L’ “onda blu” non si è vista, anche se i democratici conquistano per un soffio il controllo della Camera dei rappresentanti. Ma il presidente Donald Trump, l’inquilino della Casa Bianca «più imprevedibile e non catalogabile politicamente», rafforza la sua maggioranza al Senato, la Camera alta, «che nel sistema statunitense ha un potere di decisione più importante, nel Congresso», come osserva Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”. Formalmente, come molti altri suoi predecessori dopo le lezioni di midterm, anche Trump dovrebbe essere considerato come “un’anatra zoppa”. «Ma il risultato di questo gigantesco sondaggio sulla sua figura, dopo due anni tormentatissimi e logoranti, dà l’idea che il presidente, attaccato da tutte le parti, ha indubbiamente sfoderato un’incredibile forza di resistenza, basata con tutta probabilità sull’ottimo andamento dell’economia americana, con una disoccupazione che è di poco superiore al 3%, un dato che molti economisti definiscono quasi fisiologico».Pensare a questo punto che ci sia una svolta nella politica degli Stati Uniti, a due anni dalle nuove elezioni presidenziali (e di fatto a un anno dalla preparazione della prossima campagna presidenziale) potrebbe rivelarsi un’illusione, sostiene Da Rold. Di certo, «Trump dovrà affrontare problemi interni più radicali, tra varie inchieste e magari richieste di impeachement, che sono in potere della Camera dei rappresentanti». Ma la divisione del paese, la solidità della maggioranza al Senato e, di fatto, il non sfondamento reale dei democratici (se non negli Stati costieri) non dovrebbero procurare ripercussioni notevoli nella linea della Casa Bianca. Al massimo, aggiunge l’analista, Trump potrà essere limitato, ma non di certo imbrigliato nelle sue scelte di fondo. Intanto, «la politica dei dazi e dell’abbattimento della pressione fiscale hanno giocato un ruolo importante nella sostanziale tenuta del presidente». Trump ha insistito su una politica di espansione che «ha rimesso in moto la macchina produttiva prodigiosa e il mercato americano».In questa linea economica, rileva sempre Da Rold, sono emersi problemi che hanno “risvegliato” i democratici, mobilitandoli sulla linea del socialista Bernie Sanders: le diseguaglianze sociali che si sono accentuate, l’eterno problema della sanità pubblica. Quello che sembra al momento limitare l’azione del Partito democratico è però l’assenza di un leader visibile e conosciuto, aggiunge Da Rold. «Non a caso è intervento negli ultimi comizi lo stesso Barack Obama per contrastare il presidente e difendere le ragioni dei democratici». Dopo la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016, il partito ha coinvolto soprattutto giovani, donne e uomini di colore, persone che si sono anche battute bene e che rappresentano una scelta giusta: non si identificano più con l’establishment – identificazione «che tanto ha nuociuto alla Clinton». Ma nel sistema americano «un conto è andare a prendere il voto nei singoli Stati o addirittura nelle singole contee, un altro conto è affrontare una campagna presidenziale e imporre un proprio leader alla Casa Bianca».Con tutta la sua imprevedibilità e la sua politica di continue impressioni e sensazioni, che spesso sembrano poco razionali, aggiunge Da Riold, il presidente Trump «ha di fatto imposto una leadership che prima si è posta come anti-sistema, poi ha affrontato questioni geopolitiche in modo totalmente nuovo nei confronti dell’Europa in particolare». Il capo della Casa Bianca può essere discusso, ovviamente, ma sarebbe demenziale «non prenderlo in considerazione e limitarsi a contrastarlo solo sul piano delle virtù personali e della sue improvvise simpatie e antipatie internazionali, minacciando ogni mattina un impeachment». Sarebbe un errore, sottolinea Da Rold, e forse un pericoloso boomerang. «Di fatto, oggi l’inquilino della Casa Bianca è diventato un punto di riferimento dello sconvolgimento politico e sociale che è in corso in tutto il mondo. Per invertire la rotta, la “piccola vittoria” dei democratici alla elezioni di midterm dovrebbe essere una ripartenza, e non una sorta di “vittoria di Pirro”».E’ un’America profondamente divisa quella che esce dalle elezioni di midterm, molto partecipate dagfli elettori. L’ “onda blu” non si è vista, anche se i democratici conquistano per un soffio il controllo della Camera dei rappresentanti. Ma il presidente Donald Trump, l’inquilino della Casa Bianca «più imprevedibile e non catalogabile politicamente», rafforza la sua maggioranza al Senato, la Camera alta, «che nel sistema statunitense ha un potere di decisione più importante, nel Congresso», come osserva Gianluigi Da Rold sul “Sussidiario”. Formalmente, come molti altri suoi predecessori dopo le lezioni di midterm, anche Trump dovrebbe essere considerato come “un’anatra zoppa”. «Ma il risultato di questo gigantesco sondaggio sulla sua figura, dopo due anni tormentatissimi e logoranti, dà l’idea che il presidente, attaccato da tutte le parti, ha indubbiamente sfoderato un’incredibile forza di resistenza, basata con tutta probabilità sull’ottimo andamento dell’economia americana, con una disoccupazione che è di poco superiore al 3%, un dato che molti economisti definiscono quasi fisiologico».
-
Apocalisse maltempo: qualcuno sta bombardando l’Italia?
Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza di spiegazioni ufficiali definitive ed esaurienti. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.Un silenzio tombale è calato sulle rivoluzionarie scoperte del fisico Nikola Tesla, all’epoca emarginato dalla comunità scientifica, mentre l’ingegnere bresciano Rolando Pelizza ha raccontato a due docenti universitari, Francesco Alessandrini e Roberta Rio, che il geniale Ettore Majorana (ufficialmente scomparso nel 1938 ma in reatà nascosto in Calabria fino al 2005) progettò una “macchina” capace di mutare il clima all’istante. «Dello sviluppo di questa “macchina”, costruita in 50 esemplari su istruzioni dello stesso Majorana – dice ancora Pelizza – fu incaricato direttamente il governo italiano tramite Giulio Andreotti, che poi passò il dossier alla Cia». Un altro italiano, l’imolese Pier Luigi Ighina – assai meno celebre di Majorana, ma notissimo agli appassionati – riprodusse anche per le telecamere di “Report”, su Rai Tre, il suo straordinario esperimento, condotto con mezzi artigianali: Ighina era in grado di far piovere, creando nuvole nel cielo sereno (o a scelta, di far spuntare il sole tra i nuvoloni) semplicemente azionado, da terra, le pale di una sorta di ventilatore gigante, cosparse di alluminio. Il trucco? Cambiare la consistenza elettromagnetica della bassa atmosfera, immettendo vortici di onde.«La manipolazione climatica è realtà», sostiene il sito “Dionidream”, citando estati torride e mezze stagioni scosse da nubifragi e alluvioni di inaudita violenza, come quelli che hanno messo in ginocchio varie aree della Pensiola, a cominciare dal Veneto, dove le trombe d’aria hanno divelto decine di migliaia di alberi, devastando storiche foreste alpine. Fuori dall’Italia, il fenomeno della manipolazione climatica non è esattamente una novità: «Festa in cielo, vietata la pioggia», titolò il Tgcom24 di Mediaset il 23 marzo 2009, parlando di «aerei in cielo per disperdere le nubi» in occasione del settantesimo anniversario della “repubblica popolare” fondata da Mao. «Per impedire che la pioggia rovini i grandiosi festeggiamenti in programma, si ricorrerà a una tecnica senza precedenti», raccontò il telegiornale: «L’aviazione impiegherà 18 apparecchi che disperderanno nell’atmosfera prodotti chimici per impedire che dal cielo sopra Pechino cada la pioggia». Nello stesso anno, a novembre, sempre la Cina s’imbiancò fuori stagione, come raccontò “La Repubblica”: «Una nevicata precoce ha coperto con un’abbondante coltre bianca Pechino. Il tutto ha però ha avuto un aiutino dell’Ufficio Modificazione del Tempo della capitale cinese».I tecnici, riferì tranquillamente l’agenzia “Xinhua”, «hanno riversato in cielo con degli aerei 186 dosi di ioduro d’argento, per approfittare delle nuvole e del brusco calo della temperatura». Questo, scrisse “Repubblica”, «ha generato la nevicata», il cui scopo era «alleviare la persistente siccità». Ammise Zhang Qiang, responsabile dell’ufficio meteorologico: «Non ci facciamo sfuggire occasione per provocare precipitazioni, da quando Pechino registra una persistente condizione di siccità». Due anni dopo, nel 2011, l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad accusò l’Occidente di aver provocato una gravissima siccità per mettere in crisi l’economia agricola del paese. «Secondo rapporti sul clima, accuratamente verificati, le potenze occidentali forzano le nuvole fino a far piovere», dichiarò Ahmedinejad, come confermato dal “Giornale”. «I nostri nemici distruggono le nuvole prima che arrivino sul nostro paese». Ancora la Cina, già nel 2011, è tornata protagonista sul tema, annunciando un investimento da 120 milioni di euro per riuscire, entro il 2015, a far aumentare del 10% le precipitazioni nelle zone più aride.«Un primo esperimento in tal senso era stato già condotto nel febbraio 2009, quando diverse regioni erano state irrorate da una pioggerellina leggera, generata da agenti chimici sparati nell’atmosfera con 2.392 razzi e 409 cannoni, in grado di creare nuvole cariche di pioggia», scrove il sito “Greenews”. «Le nuvole ‘adatte’ alle precipitazioni vengono ‘seminate’ con ioduro d’argento, un agente chimico che favorisce l’aggregazione delle molecole d’acqua per creare grandi gocce abbastanza pesanti da cadere al suolo». La tecnologia in realtà non è nuova, aggiunge “Greenews”: i primi esperimenti risalgono alla Guerra Fredda. «Durante la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye per cercare di intensificare i monsoni sul Sentiero di Ho Chi Minh, la rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia, usate dai Vietcong e dai loro sostenitori. Nel 1978, però, gli esperimenti per far piovere artificialmente negli Usa furono interrotti, in seguito a una grave inondazione causata dal bombardamento chimico delle nubi». Dal Sud-Est Asiatico al Medio Oriente: «Israele “stimola” le nuvole dal 1961 e riesce così a rendere fertili e rigogliose terre di per sé aride».«Nel mondo ci sono diversi esperimenti in corso di questo tipo, ma siamo lontani dal poter dire di essere in grado di controllare la pioggia», disse nel 2012 a “Greenews” uno specialista come Sandro Fuzzi, climatologo del Cnr di Bologna, al quale allora sembrava remoto il rischio di gravi effetti collaterali, dato che gli interventi si svolgevano «su scala ridotta, al massimo di qualche decina di chilometri», mentre i fenomeni più distruttivi, come le alluvioni, «riguardano fronti di centinaia e anche migliaia di chilometri». L’ultima frontiera, aggiunge ancora “Greenews”, consiste nel bombardare le nuvole dal basso con dei laser: esperimento condotto nel 2010 in laboratorio e poi «replicato a Berlino da un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra e pubblicato sulla rivista “Nature Photonics”». Con un laser di grande potenza, una specie di “cannone energetico”, i ricercatori hanno colpito ed “eccitato” le molecole di gas presenti nell’aria. «Il risultato è stata la formazione di nuclei di condensazione attorno ai quali si sono create piccole gocce di acqua». Secondo il blog “Shivio news”, già nel 2012 erano oltre 20 i paesi impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche per provocare precipitazioni.In vetta classifica primeggiano i soliti cinesi: Pechino, letteralmente, «impiega nel “rainmaking” oltre 37.000 addetti, fra tecnici e ricercatori», mentre «una trentina di aerei, 4.000 rampe per razzi e 7.000 cannoni vengono usati per sparare in cielo nuclei di sostanze intorno alle quali stimolare processi di condensazione di gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio». Negli Stati Uniti, gli aerei «gettano nelle nuvole ghiaccio secco e ioduro d’argento». In Sudafrica si usa invece il cloruro di potassio: «I sali vengono diffusi da aerei che volano sotto le nubi in formazione, e servono ad aumentare il numero e la misura delle gocce». Anche il Messico, aggiunge “Shivio”, sta sperimentando la tecnica sudafricana, che «sembra che sia in grado di aumentare di un terzo il volume delle precipitazioni». Qualcuno poi ricorderà la primissima performance, in assoluto, della geoingegneria più spettacolare: il 9 maggio del lontano 2007, in occasione della fastosa celebrazione dell’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda Guerra Mondiale, il Tg1 riprese lo spettacolo del sole riapparso “miracolosamente” tra le nubi nerissime del cielo di Mosca, grazie a una portentosa miscela a base di azoto, iodio e argento diffusa dagli aerei.Dall’uso civile a quello militare, il passo è breve: «Almeno quattro paesi – Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – dispongono delle tecnologie e dell’organizzazione necessaria a modificare regolarmente il meteo e gli eventi geologici per varie operazioni militari ufficiali e segrete, legate a obiettivi secondari, tra cui il controllo demografico, energetico e la gestione delle risorse agricole». Lo disse già nel 2012 l’esperto aerospaziale Matt Andersson, allora in forza alla compagnia hi-tech Booz Allen Hamilton di Chicago. In un’intervista al “Guardian”, Hamilton ha ammesso: il nuovo tipo di guerra non convenzionale «comprende la capacità tecnologica di indurre, spingere o dirigere eventi ciclonici, terremoti e inondazioni, includendo anche l’impiego di agenti virali per mezzo di aerosol polimerizzati e particelle radioattive, trasportate attraverso il sistema climatico globale». Lo stesso Hamilton ha citato una think-tank della galassia neocon, il Bpc (Bipartisan Policy Center, con sede a Washington) e il suo rapporto nel quale chiede agli Usa e agli alleati di accelerare la sperimentazione su larga scala del cambiamento climatico.Secondo il “Guardian”, il gruppo è finanziato da «grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche e biotecnologiche», e rappresenta «gli interessi corporativi del mondo militare e scientifico statunitense». Il newsmagazine “Sputnik News”, citando il canadese Chossudovsky, osserva: la geoingegneria ha omai prodotto «sofisticate armi elettromagnetiche». E anche se la cosa non è ammessa ufficialmente, men che meno a livello scientifico, le capacità di manipolare il clima (anche per scopi militari) sono in stato avanzatissimo. La storia di questa disciplina risale addirittura al 1940, quando il matematico americano John Von Newman, al Pentagono, iniziò la sua ricerca per la modifica del clima. Obiettivo: alterare i modelli meteorologici. Una tecnologia sviluppata negli anni ‘90 secondo il programma di ricerca della cosiddetta “alta frequenza aurorale attiva” (Haarp, High Frequency Active Auroral Research Program), come appendice di una iniziativa strategica di difesa, le “Guerre stellari”. Il programma Haarp, installato in Alaska e poi bloccato, sarebbe stato parte di una strategia tuttora attiva: le brusche modifiche del clima possono «estendersi, avviando inondazioni, uragani, siccità e terremoti».Ammissioni ufficiali? Impensabili. Meglio lasciare che certe voci circolino in modo incontrollato (bufale comprese), per poi liquidare il tutto sotto la voce “teoria del complotto”. «E’ naturale che su un tema come il cambiamento climatico la Cia collaborerebbe con gli scienziati per meglio comprendere il fenomeno e le sue implicazioni sulla sicurezza nazionale», ha detto un portavoce dell’intelligence Usa, dopo la diffusione della notizia, da parte del sito legato al periodico statunitense “Mother Jones”, secondo cui proprio la Cia starebbe aiutando con ingenti finanziamenti la Nas, National Academy of Sciences, impegnata in uno studio sull’applicazione della geoingegneria per manipolare il clima. Su “Meteoweb”, Filomena Fotia spiega che “Mother Jones” descrive lo studio come un’inchiesta riguardante «un numero limitato di tecniche di geoingegneria, inclusi esempi di tecniche di gestione delle radiazioni solari (Srm, Solar Radiation Management e rimozione dell’anidride carbonica (Cdr, Carbon Dioxide Removal). Geoingegneria “buona”, per proteggerci dall’attività solare divenuta pericolosa per la Terra?«La manipolazione meteorologica – aggiunge Fotia – è stata riportata in auge da molti commentatori statunitensi in occasione dei devastanti tornado in Oklahoma, o di altri eventi estremi come l’uragano Sandy, che sarebbero stati “generati dal governo” usando la base dell’Haarp in Alaska». Ma, appunto: il tema si presta a speculazioni incontrollate, vista la mancanza di riscontri esaurienti da parte delle autorità, sempre estremamente laconiche, come quelle interpellate nel 2014 da Alessandro Scarpa, allora consigliere comunale di Venezia. “Grandinata anomala e scie chimiche, il maltempo si tinge di mistero”, titolò il 24 settembre il “Gazzettino”, storico quotidiano veneziano, dopo «una grandinata fuori dal normale», sotto un cielo «carico di nubi come mai si era visto». E lassù, «quelle scie bianche nel cielo terso il giorno dopo». Sono bastati questi due fenomeni, scriveva il “Gazzettino” quattro anni fa, a ridestare un quesito: e se questo maltempo eccezionale non fosse il risultato delle bizze atmosferiche, ma di qualcosa di “chimico”?In redazione arrivò una lettera allarmatissima: grondaie intasate da “noci” di ghiaccio persistenti ed enormi: «Come mai questo ghiaccio non si è sciolto? Sembrerebbe di formazione chimica, da laboratorio, e non naturale». Per Alessandro Scarpa, vale la pena di esaminarli, certi fenomeni, «se non altro per capire di cosa si tratta» Ad esempio, «le strane scie chimiche che si vedono nei nostri cieli». Molte le segnalazioni pervenuite al Consiglio comunale, «da parte di cittadini veneziani, preoccupati, che chiedono spiegazioni». Scarpa si è rivolto inutilmente all’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, che gestisce il controllo del traffico degli aerei civili. Nessun lume neppure dal ministero dell’ambiente di Roma: risposte evasive o bocche cucite. «È quindi opportuno – sottolinea Scarpa – preoccuparsi seriamente per noi e per i nostri figli». E aggiunge, rivolto ai giornalisti disattenti: «Questa mattina, quando il cielo era limpidissimo, si sono viste una quindicina di linee nel cielo veneziano». Quattro anni dopo, la situazione è gravemente peggiorata: non c’è più una giornata serena senza che il cielo non sia “sporcato” dalle scie, di ora in ora, mentre l’Italia sta diventando il bersaglio di violentissime tempeste di tipo tropicale, come quella che ora ha messo in ginocchio il Nord-Est.Lo scorso anno, a gennaio, il colonnello Mario Giuliacci – affabile volto televisivo – sul suo sito ha tentato di sgombrare il campo da ogni illazione, presentando testualmente un comunicato ufficiale dell’aeronautica militare. La spiegazione dei militari è ineccepibile, riguardo alla vistosa presenza di molte delle scie: «Le nuove generazioni di motori che equipaggiano i moderni aeroplani a reazione, per avere un miglior rendimento termodinamico dato dalla differenza di temperatura tra la camera di combustione e l’ambiente esterno, impiegano miscele di acqua e carburante la cui combustione genera le enormi quantità di vapore acqueo che sono all’origine delle scie». Secondo i militari, dunque, sono aumentate in modo esponenziale le scie di condensazione, in gergo “contrails”, destinate poi a scomparire nell’atmosfera. «Per le caratteristiche termodinamiche dei motori, per le quote di volo e per la localizzazione – aggiunge l’aeronautica – la quasi totalità delle scie che si osservano in cielo sono prodotte dai jet di linea degli operatori commerciali. La loro durata è variabile da pochi istanti a minuti e talvolta a ore, in dipendenza dell’umidità, delle temperature e in genere delle condizioni termodinamiche dell’aria circostante».Poi la chiosa: «Per quanto ci compete, l’Aeronautica Militare non possiede aeromobili che generano o emettono scie differenti da quelle prodotte a causa della condensazione di vapore acqueo». Il che – alla lettera – non significa escludere la presenza di altre scie, di ben diversa natura, emesse da velivoli estranei all’aeronautica militare italiana: le famigerate “chemtrails”, appunto. Tra le pagine del blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes (vittima di minacce e attentati per le sue indagini scomode, specie quelle sulla mafia dei rifiuti) sostiene che si è ormai clamorosamente violata la “Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente”, a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod: «E’ il trattato internazionale che proibisce l’uso delle tecniche di modifica dell’ambiente». Firmata il 18 maggio 1977 a Ginevra, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978, approvata anche dall’Onu. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale, i paesi che vi hanno aderito sono 76. «L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento».Secondo Lannes, questa verità viene regolarmente “oscurata” perché illegale, oltre che aberrante. Ma l’Italia, sostiene Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava il nostro paese in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”. Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel».Tutti insieme appassionatamente, secondo il giornalista, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. «Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato». Mancano, sempre, le conferme ufficiali. In compenso si scatenato i “debunker” come Paolo Attivissimo: “Scie chimiche, aria fritta con contorno di bufala e grana”. Dopo il disastro aereo del volo Germanwings del 2015, schiantatosi sulle Alpi francesi, anche il “Giornale” si sbizzarrisce: “Airbus, dalle scie chimiche alle ’strane scritte’: complottisti scatenati”. Nel frattempo Enrico Gianini, ex addetto aeroportuale di Malpensa, racconta a “Border Nights”: una volta a terra, gli aerei delle compagnie low-cost perdono liquido inquinato da metalli pesanti, e non lasciano più caricare i bagagli nelle stive di coda, come se fossero ingombre di serbatoi clandestini. «Se mi denunciano, chiederò al tribunale di “smontare” uno di quegli aerei: così scopriranno finalmente cosa trasporta». Ma la notizia resta negli scantinati del web, mentre il finimondo rade al suolo il Veneto e la Cina stipendia i suoi “rainmaker”.Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza (in Italia, non all’estero) di spiegazioni ufficiali, definitive ed esaurienti, sulla manipolazione del clima. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.
-
Se Trump ha bisogno di Roma per far guerra a Bruxelles
A Washington Dc c’è aria di cambiamento verso l’Italia. Le elezioni di aprile, con la vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle, hanno portato al potere il primo governo populista in Europa. Senza contare la vittoria contro l’establishment di Donald Trump. I due paesi ora hanno governi fortemente identitari. Ma non solo. L’America e l’Italia condividono gli stessi interessi nel risolvere problemi come l’immigrazione incontrollata e l’egemonia di Bruxelles. Su altri temi, però, come la politica estera nel Medio Oriente, i due paesi faticano ancora a trovarsi dalla stessa parte, scrive sul “Giornale” Alessandra Bocchi, reduce da una ricognizione nella capitale statunitense per parlare con giornalisti e analisti di orientamento trumpiano. Obiettivo: capire cosa pensa la presidenza americana del nuovo governo italiano. «Il presidente Donald Trump stima molto il nuovo governo italiano, specialmente per avere fermato l’immigrazione», racconta Saagar Enjeti, il corrispondente della Casa Bianca per “The Daily Caller”, uno dei maggiori media conservatori. Enjeti dice che durante la visita del premier Giuseppe Conte alle Casa Bianca ha notato una particolare “affinità” tra i due leader. Trump ha espresso la sua ammirazione verso la posizione del ministro dell’interno Matteo Salvini nel chiudere i porti italiani alle Ong che trasportavano migranti.«Il tema dell’immigrazione è stato fondamentale anche in America per la campagna elettorale di Trump», ricorda la Bocchi. La popolazione americana sta cambiando rapidamente, e quella di origine europea rappresenta il 62% delle persone, mentre qualche anno fa l’85%. E Trump ha un particolare interesse a quello che sta accadendo in Europa. C’è un’affinità culturale tra l’America e l’Europa perché Trump è di origine europea, ma c’è anche un interesse strategico per via del fatto che la sicurezza in Europa è a repentaglio per colpa del terrorismo «importato dagli immigrati», dice Daniel McCarthy, uno scrittore americano ed ex-direttore del “The American Conservative”, un giornale intellettuale alternativo. Un altro tema sulla quale i due paesi condividono interessi è quello dell’Unione Europea, in particolare verso il controllo che la Germania ha su di essa. «Trump non è contro l’Unione Europea in sé, ma lo è per come viene governata al giorno d’oggi dalla Germania», dice ancora Enjeti. «Il rapporto tra questa Casa Bianca e la cancelliera tedesca Angela Merkel è molto conflittuale». Trump era a favore della Brexit durante la sua campagna elettorale e ha cercato di imporre dei dazi sull’Unione Europea in modo tale da danneggiare soprattutto l’industria tedesca.Anche l’Italia ha dei conflitti economici con Bruxelles all’interno della moneta unica, che si sono manifestati particolarmente con il nuovo governo gialloverde. Non a caso, l’America potrebbe comprare i bond (titoli di Stato) italiani per aiutare a tenere in piedi il nostro sistema bancario. Ma non sono tutte rose e fiori, ammette Alessandra Bocchi: Usa e Italia infatti faticano ad allinearsi sulla politica estera, anche se questo non sembra avere alterato i rapporti tra i due Stati, anche perché sarebbe l’establishment repubblicano, e non Trump, a volere continuare la politica americana in Medio Oriente degli ultimi vent’anni. «Fino ad oggi, infatti, un ruolo fondamentale nella politica estera americana è stato ricoperto dai neoconservatori, che hanno spinto per fare guerra in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria. Durante la sua campagna elettorale, Trump aveva promesso la fine di queste guerre, rimettendo al centro gli Stati Uniti: “America first”». Una promessa simile a quella del leader della Lega Matteo Salvini, con lo slogan “Prima gli Italiani”. Entrambi si sono opposti agli interventi militari in Iraq, in Libia e in Siria, nonché all’ostilità verso la Russia che aveva caratterizzato la gestione Obama.Detto questo, da quando è diventato presidente, Trump ha bombardato la Siria sotto il controllo del presidente Bashar al Assad due volte, e ha preso una posizione ancora più dura con le sanzioni contro l’Iran. «Non è un segreto che c’è una guerra interna tra l’establishment repubblicano e la linea del presidente», conferma Curt Mills, reporter di politica estera per “The National Interest”, un giornale di relazioni internazionali americano. «L’establishment è fortemente contro la Russia, e non vedo una possibilità di avvicinamento verso quel paese in questo momento», ammette Mills. Da una parte Trump condivide la linea del nuovo governo italiano, che vuole che ci sia una fine all’ostilità verso il presidente russo Vladimir Putin, dall’altro è estremamente ostile all’alleato russo più importante in Medio Oriente: l’Iran. Proprio Teheran è il nemico principale di Israele, che a sua volta è l’alleato più importante dell’America in Medio Oriente, ragiona Alessandra Bocchi.Gli Usa? Dopo l’omicidio di John Kennedy, che aveva contestato a Tel Aviv la costruzione clandestina della centrale nucleare di Dimona, con tecnologia francese, Washington ha sempre «appoggiato Israele quasi incondizionatamente, anche a discapito dei propri interessi». Benché Trump sia riuscito a ottenere un rapporto meno conflittuale in Medio Oriente rispetto ai suoi predecessori Obama e Bush, è ancora da vedere quanto riuscirà a resistere ai neoconservatori del partito repubblicano, sottolinea Alessandra Bocchi. E anche se restano irrisolti i maggiori interrogativi sull’intesa italoamericana per il Medio Oriente e soprattutto per il rapporto problematico con la Russia di Putin, che difendendo la Siria dall’aggressione dei jihadisti armati dalla Nato ha riproposto il ruolo geopolitico di Mosca nel cuore del Mediterraneo, si sta comunque sviluppando «un asse americano e italiano, che insieme ad altre forze populiste in Europa collabora sui temi come la lotta all’immigrazione di massa e l’egemonia di Bruxelles in Occidente». Musica, in altre parole, per il governo gialloverde assediato ogni giorno dal fantasma dello spread, sapientemente pilotato dagli oligarchi Ue d’intesa con Draghi, che non schiera la Bce a difesa dell’Italia.A Washington Dc c’è aria di cambiamento verso l’Italia. Le elezioni di aprile, con la vittoria di Lega e Movimento 5 Stelle, hanno portato al potere il primo governo populista in Europa. Senza contare la vittoria contro l’establishment di Donald Trump. I due paesi ora hanno governi fortemente identitari. Ma non solo. L’America e l’Italia condividono gli stessi interessi nel risolvere problemi come l’immigrazione incontrollata e l’egemonia di Bruxelles. Su altri temi, però, come la politica estera nel Medio Oriente, i due paesi faticano ancora a trovarsi dalla stessa parte, scrive sul “Giornale” Alessandra Bocchi, reduce da una ricognizione nella capitale statunitense per parlare con giornalisti e analisti di orientamento trumpiano. Obiettivo: capire cosa pensa la presidenza americana del nuovo governo italiano. «Il presidente Donald Trump stima molto il nuovo governo italiano, specialmente per avere fermato l’immigrazione», racconta Saagar Enjeti, il corrispondente della Casa Bianca per “The Daily Caller”, uno dei maggiori media conservatori. Enjeti dice che durante la visita del premier Giuseppe Conte alle Casa Bianca ha notato una particolare “affinità” tra i due leader. Trump ha espresso la sua ammirazione verso la posizione del ministro dell’interno Matteo Salvini nel chiudere i porti italiani alle Ong che trasportavano migranti.
-
Carpeoro: S&P, l’America è con l’Italia (cioè contro Draghi)
Il verdetto di Standard & Poor’s è un segnale importante, perché vuol dire che c’è una frattura, all’interno delle Ur-Lodges reazionarie, e che l’America non segue completamente l’Europa e la linea Draghi, di sconfessione del governo italiano, ma furbescamente si posiziona a metà strada: non toglie all’Italia l’etichetta di paese dal rating ancora accettabile, ma in compenso cambia le previsioni, nel senso che ci vede nero (quindi, un colpo al cerchio e uno alla botte). Sta di fatto, però, che gli ambienti finanziari americani non solo completamente allineati a quelli europei, e questo è un segnale da registrare. Un segnale non necessariamente positivo, ma nemmeno negativo come quelli degli ambienti finanziari europei. Ne è consapevole, il nostro governo? Non ci mettono molto, a capirlo, se il loro unico neurone funziona. Poteva andare peggio, dite? No: “doveva” andare peggio, perché il “fratello” Draghi non se l’aspettava, questa botta. La sovragestione non è granitica, quei poteri discutono e litigano, hanno interessi diversi. Poi, l’Italia ha lanciato un messaggio giusto: perché, prima di questo giudizio, Conte è andato da Putin. Era un modo per non far emettere a Standard & Poor’s una sentenza negativa.Un verdetto totalmente negativo avrebbe avuto, come conseguenza, di far salire ulteriormente lo spread, o comunque di non farlo salire quanto sarebbe salito in caso di verdetto negativo. Un aiutino al governo? Per certi aspetti sì, ma è un aiutino basato sulle menzogne. Lo spread stesso è una menzogna. Soprattutto, vorrei contestare ufficialmente, a Draghi, di essere un bugiardo. Se rivelo pubblicamente la sua idenità massonica, è perché lui stesso è venuto meno alle regole della massoneria. Tutti quelli che stanno facendo questa operazione sono dei bigiardi: lo spread non può incidere sui risparmi degli italiani, che sono in euro, e l’euro non si è mai svalutato in vita sua. Quindi la smettano, di mentire. Quella sullo spread è una manipolazione, anche mediatica. Con Berlusconi gli era pure andata bene. Allora la cosiddetta opinione pubblica si allarmò molto. Questa volta lo spauracchio dello spread farà presa quasi solo nell’elettorato del Pd? Be’, le iniziative giudiziarie allora intraprese nei confronti di Berlusconi mi sembrano di entità ben diversa, rispetto a quelle nei confronti di Conte, Salvini e Di Maio. All’epoca avevano creato il terreno, per la capitolazione.Dove porterà l’asse con Putin? Innanzitutto, Putin si è prestato ad aiutarci lanciando il segnale. Poi, vedremo dove questo potrà portare. Standard & Poor’s è un organo occulto del governo americano. E’ un organo di governo, non un’entità indipendente come si vorrebbe far credere: ha sempre fatto quello che conviene al governo statunitense. Attraverso S&P, è come se il governo americano dicesse: attenzione, l’Italia appartiene alla Nato, quindi non possiamo permettere che l’emergenza induca gli italiani a stringere legami forti con i russi, quindi vediamo di fare qualcosa che non crei all’Italia una situazione straordinariamente difficile, costringendola poi a dichiararsi alleata di Putin in tutto e per tutto. Trump e Putin? Hanno interessi comuni e interessi opposti. I loro rapporti sono molto controversi. Putin ha avuto interesse che Trump venisse eletto, anche perché Trump ha fatto un dispetto a tutti i partiti americani: era odiato dagli stessi conservatori, di cui pure fa parte. Dopodiché, candidandosi, Trump aveva fatto un accordo sulla base della previsione di non essere eletto (non di esserlo: non se l’aspettava neanche lui, l’elezione). Poi lo scenario è cambiato, e adesso Trump deve difendersi anche da un’accusa di connivenza con i russi sulla sua elezione, quindi Trump e Putin devono anche mostrarsi ostili – ma la loro non è un’ostilità profondissima.Se lo stesso spread può essere considerato un’applicazione della sovragestione, un altro caso di sovragestione è quello della Banca Centrale Europea – che non è un organo politico né un organo democratico, eppure governa l’Europa. Sempre a proposito di sovragestione: vi chiedete che fine ha fatto l’Isis? E’ dormiente, prima o poi si sveglierà. Certo, ieri l’Isis è stato usato per finalità oscure, di potere, e oggi non sta avvenendo. L’Isis resta uno strumento: e la sovragestione non lo usa, uno strumento, quando non le serve. Sarebbe “utile”, da parte di qualcuno, rispolverare lo strumento degli attentati terroristici, magari per colpire l’Italia anche da quel lato? Secondo me, no: perché oggi il pericolo, per l’establishment, sono i partiti cosiddetti sovranisti, ed eventuali attentati targati Isis li aiuterebbero. Piuttosto, consiglio al governo di non toccare i servizi segreti. Ho sentito parlare di rimozioni e sostituzioni, ma sarebbero un errore. Da anni, i servizi italiani sono leali verso lo Stato e straordinariamente efficienti: ci hanno risparmiato decine di attentati, lavorando per la nostra sicurezza quotidiana.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate nel corso della conversazione con Fabio Frabetti di “Border Nights” durante la diretta in web-streaming “Carpeoro Racconta”, il 27 ottobre 2018 su YouTube).Il verdetto di Standard & Poor’s è un segnale importante, perché vuol dire che c’è una frattura, all’interno delle Ur-Lodges reazionarie, e che l’America non segue completamente l’Europa e la linea Draghi, di sconfessione del governo italiano, ma furbescamente si posiziona a metà strada: non toglie all’Italia l’etichetta di paese dal rating ancora accettabile, ma in compenso cambia le previsioni, nel senso che ci vede nero (quindi, un colpo al cerchio e uno alla botte). Sta di fatto, però, che gli ambienti finanziari americani non solo completamente allineati a quelli europei, e questo è un segnale da registrare. Un segnale non necessariamente positivo, ma nemmeno negativo come quelli degli ambienti finanziari europei. Ne è consapevole, il nostro governo? Non ci mettono molto, a capirlo, se il loro unico neurone funziona. Poteva andare peggio, dite? No: “doveva” andare peggio, perché il “fratello” Draghi non se l’aspettava, questa botta. La sovragestione non è granitica, quei poteri discutono e litigano, hanno interessi diversi. Poi, l’Italia ha lanciato un messaggio giusto: perché, prima di questo giudizio, Conte è andato da Putin. Era un modo per non far emettere a Standard & Poor’s una sentenza negativa.
-
Giulietto Chiesa: m’ero sbagliato, in Russia la gente soffre
Non è da tutti, ammettere i propri errori, specie se si ha alle spalle una lunga storia fatta anche di coraggio. E’ il caso di Giulietto Chiesa, amico personale di Mikhail Gorbaciov. Nell’agosto del ‘91, mentre il golpista Ghennadi Janaev tentava di mascherare il colpo di Stato in corso, accampando ipotetici “problemi di salute” da parte del padre della Perestrojka, Giulietto Chiesa lo sfidò, in mondovisione, con una semplice domanda: «E lei come si sente, signor Janaev?». Per anni corrispondente da Mosca per “L’Unità”, poi per “La Stampa” e per il “Tg5”, Chiesa fu tra i primi, in Italia, con il saggio “La guerra infinita” uscito nel 2003 per Feltrinelli, a denunciare le trame (altrettanto golpiste) dei “neocon” Usa, sospettati di aver incubato la strage dell’11 Settembre, comodamente attribuita all’islamico Bin Laden. Giulietto Chiesa – riconobbe anni fa il caustico Paolo Barbard – è stato l’unico, degli esponenti della “casta” giornalistica italiana, a mettere a repentaglio la sua reputazione (e i suoi privilegi di ospite fisso, in televisione) pur di denunciare una verità che il manistream non voleva accettare. Oggi, a parte le sfortunate avventure politiche con Antonio Ingroia, Chiesa dirige sul web la voce libera di “Pandora Tv”, da cui spessissimo difende la politica di Putin e la Russia in generale, esponendosi alla facile accusa di coltivare nostalgie sovietiche. Ora fa pubblica ammenda: sulla Russia mi sono sbagliato, dice; Putin non è riuscito a rimediare agli orrori di Eltsin, e così il popolo soffre.Beninteso: non è mai stato facilissimo il rapporto tra Giulietto Chiesa e la Russia, neppure ai tempi dell’Unione Sovietica. «Giulietto Chiesa mente», scrisse l’agenzia del Cremlino, la “Tass”, per ottenere la rimozione del corrispondente italiano, ritenuto scomodo (e difeso invece con ostinazione da Berlinguer, il segretario del Pci che l’aveva scelto come giornalista da inviare a Mosca). Caduta l’Urss, dopo tanti saggi sull’ex impero sovietico, oggi Giulietto Chiesa ammette: purtroppo ho visto in ritardo i problemi che affliggono i russi, alle prese con una politica interna non all’altezza della politica estera brillantemente svolta da Putin. A richiamarlo sul tema, scrive lo stesso Chiesa su “Megachip”, è un’affezionata lettrice, russa, che gli scrive dalla Russia “profonda”, dove non è mai arrivato il recente benessere di Mosca e San Pietroburgo. «Non metto la sua firma, per la sua sicurezza, né il luogo dove abita». Una premessa poco rassicurante: dimostra che il dissenso politico, in Russia, è tuttora pericoloso. «Credo che le cose che lei mi dice siano purtroppo vere», premette Chiesa, «come lo sono i processi degenerativi anche da noi». E’ delusa, la lettrice russa, dall’ultimo intervento del giornalista a “Radio Padania”, che l’ha resa «molto triste». Motivo: «Mi sono resa conto – gli scrive – di come il tuo giudizio sulla Russia intera sia influenzato da ciò che vedi a Mosca. E anche di quanto questa Mosca benestante sia completamente disinteressata a ciò che succede nel resto del paese».I nuovi intellettuali democratici citati da Chiesa a “Radio Padania”? «Io non so nulla di questa nuova generazione di intellettuali – aggiunge la donna – perché il nostro eroe principale, da queste parti, è il delinquente marginale, che ruba e non fa niente di niente. E le leggi lo difendono». Non solo: grazie a questa “esemplare” impunità, aggiunge la lettrice, si forma la nuova generazione che appare allo sbando. «Vorrei che tu vedessi e sentissi come ragazzi e ragazze, giovanissimi, parlano tra loro, con un linguaggio dove altro non c’è che la più bassa volgarità. Perché non conoscono altro linguaggio che quello». Tutto ciò, aggiunge la donna, «mentre le persone normali sono ormai minoranza, e per loro non esiste alcun ordine pubblico, nemmeno l’elementare sicurezza, poiché chiunque voglia può infierire su di loro». Soprattutto, continua la lettera, «non c’è all’orizzonte alcuna prospettiva, non c’è luogo o occasione dove ognuno possa impiegare le sue forze e energie intellettuali. Non c’è posto per realizzare semplicemente il proprio desiderio di fare qualche cosa che abbia un senso, un’utilità, per la quale sacrificare se stessi». E questo, assicura, non accade soltanto nella sua piccola città: «Anche nel capoluogo più vicino alla piccola città in cui vivo è difficilissimo incontrare qualcuno che riesce a trovare un posto di lavoro che corrisponda alle sue capacità e alla sua professione. Io, per lo meno, di queste persone non ne conosco nemmeno una. Avverto perfino fisicamente come nella società crescono la stanchezza e l’insofferenza. Nessuno è però in grado di esprimere l’una e l’altra cosa in forme civilizzate».Un esempio italiano? La lettrice russa cita il ministro Toninelli, che ha parlato della “nostra infelice Italia”. «Ti risulta che qualcuno del nostro governo abbia mai pronunciato qualcosa di simile alla “nostra infelice Russia”? Da noi si sentono soltanto lodi sperticate di grandi successi», scrive la donna. «La gente, in Occidente, può manifestare e protestare, mentre da noi non può. Forse perché non abbiamo idea di cosa sia la società civile, o forse semplicemente per la sensazione che “tutto è inutile, e che in ogni caso loro faranno come gli pare”». Negli ultimi tempi, poi, «l’insofferenza si va dirigendo non solo contro i burocrati in generale ma anche contro Putin (al quale in un certo senso molto veniva perdonato, anche perché da noi è ancora forte l’esigenza di uno “zar buono”)». Il dissenso è tale che «può accadere qualche cosa di imprevisto e terribile». Una profezia, confidata a Chiesa: «Probabilmente tu non mi crederai se ti dico che Putin non resterà al suo posto fino alla fine del mandato». La donna manifesta «una grande paura». Teme cioè che la Russia «non sopravviva a un’altra rivoluzione». E conclude con un appello, ben poco ottimistico, alla divina provvidenza: «Che Dio non ci costringa a essere testimoni della rivolta russa, insensata e senza pietà».A tanta franchezza, Giulietto Chiesa replica senza giri di parole: «Cara amica, penso che la tua descrizione dei fatti sia purtroppo molto vicina alla realtà». Ma, aggiunge, «non so se lo siano anche le tue previsioni circa il futuro». E spiega: «Per quel poco che so del popolo russo, penso che il “bunt”, la rivolta, sia molto lontana. La vostra pazienza secolare ha impedito che essa si affacciasse molte volte». Di “bunt”, Giulietto Chiesa assicura di averne visto uno solo: quell’immensa protesta di popolo, a Mosca, nell’ottobre 1993, che precedette il bombardamento del Parlamento (la Casa Bianca) deciso da Boris Eltsin, «con il successivo massacro di cui nessuno parlò». E anche allora, «per quanto immensa fosse quella folla, la rivolta non andò a finire bene». Ma non c’è nessun dubbio, ammette Chiesa, che la politica interna della Russia stia andando assai male, «come non c’è dubbio che la distanza tra l’élite moscovita e pietroburghese e le masse popolari sia in crescita geometrica». Non c’è dubbio, aggiunge Chiesa, «che la corruzione sia dilagante, che la solidarietà sia in calo verticale», e che la cultura «stia degradando, così come l’istruzione». Non c’è alcun dubbio, insomma, «che la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dello Stato sia ormai logorata». Il motivo? «La democrazia non ha fatto passi avanti rispetto al momento in cui iniziò la Perestrojka, sollevando grandi speranze in milioni di persone», come lo stesso Chiesa potè vedere con i suoi occhi.«Ma questo distacco dalle masse, che il potere non fa nulla per riempire – aggiunge il giornalista – è, anche per me, fonte di grande preoccupazione». Giulietto Chiesa pensa che la Russia, se vuole risolvere i suoi problemi, «debba in qualche modo essere di esempio al resto del mondo». Ovvero: «Debba, in primo luogo, ridurre la disuguaglianza sociale, impedire che la degenerazione consumistica e intellettuale, e morale, entri nel suo corpo con gli effetti devastanti», peraltro identici – in questo senso – a quelli che stanno investendo tutto l’Occidente. Nello stesso tempo, aggiunge, «io so qual è il peso mondiale della Russia». Sa bene, Chiesa, «qual è stato in questi anni il ruolo di pace che, con Putin, essa ha svolto». Per questo, ribadisce, continua ad appoggiare «la ragionevolezza delle sue prese di posizione, politiche a pratiche». Una precisa visione geopolitica: «Penso che, senza la Russia e il suo ruolo deterrente, il mondo sarebbe già assai più vicino a una guerra gigantesca e definitiva». E tuttavia, ammette Chiesa, il suo consenso rispetto al Cremlino «finisce sui confini della politica estera della Russia», dal momento che «il sistema sociale che è emerso dalla contro-rivoluzione etsiniana è stato un gravissimo passo indietro, al quale fino ad ora non è stato posto rimedio».Sempre secondo Chiesa, «la democratizzazione, nelle forme “russe” che essa non potrebbe non avere (non certo scimmiottando la democrazia “elitaria” che oggi domina l’Occidente) sarebbe indispensabile per ricostruire un rapporto decente tra dirigenti e diretti, e per aiutare il formarsi di una società civile moderna, da cui emergerebbero forze intellettuali e morali», oggi assenti nella Russia “profonda” descritta dalla lettrice. Non ha paura, Giulietto Chiesa, di sottoscrivere la più sincera delle ammissioni: «Credo, per quanto mi riguarda, di essere involontariamente caduto – raccontando la Russia in questi ultimi anni – nell’errore che invece non commisi durante i miei venti anni come corrispondente dall’Urss e poi dalla Russia: quello di pensare che la “vetrina” corrispondesse al paese». Non è così, scrive Chiesa: la “vetrina” non è lo specchio fedele della Russia. «Penso di aver commesso questo errore – aggiunge – confondendo e mettendo sullo stesso piano due cose assai distinte», come appunto «la politica estera e quella sociale interna». E cioè: «Volendo sostenere la prima posso avere dato l’impressione di appoggiare anche la seconda. Con questa mia risposta pubblica – conclude – intendo ristabilire la differenza».Non è da tutti, ammettere i propri errori, specie se si ha alle spalle una lunga storia fatta anche di coraggio. E’ il caso di Giulietto Chiesa, amico personale di Mikhail Gorbaciov. Nell’agosto del ‘91, mentre il golpista Ghennadi Janaev tentava di mascherare il colpo di Stato in corso, accampando ipotetici “problemi di salute” da parte del padre della Perestrojka, Giulietto Chiesa lo sfidò, in mondovisione, con una semplice domanda: «E lei come si sente, signor Janaev?». Per anni corrispondente da Mosca per “L’Unità”, poi per “La Stampa” e per il “Tg5”, Chiesa fu tra i primi, in Italia, con il saggio “La guerra infinita” uscito nel 2003 per Feltrinelli, a denunciare le trame (altrettanto golpiste) dei “neocon” Usa, sospettati di aver incubato la strage dell’11 Settembre, comodamente attribuita all’islamico Bin Laden. Giulietto Chiesa – riconobbe anni fa il caustico Paolo Barbard – è stato l’unico, degli esponenti della “casta” giornalistica italiana, a mettere a repentaglio la sua reputazione (e i suoi privilegi di ospite fisso, in televisione) pur di denunciare una verità che il manistream non voleva accettare. Oggi, a parte le sfortunate avventure politiche con Antonio Ingroia, Chiesa dirige sul web la voce libera di “Pandora Tv”, da cui spessissimo difende la politica di Putin e la Russia in generale, esponendosi alla facile accusa di coltivare nostalgie sovietiche. Ora fa pubblica ammenda: sulla Russia mi sono sbagliato, dice; Putin non è riuscito a rimediare agli orrori di Eltsin, e così il popolo soffre.
-
Casalino e il Deep State. Mazzucco: che ingenui, i 5 Stelle
«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».Mazzucco è un abile demistificatore: ben attento a non finire nel variopinto girone del complottismo “gridato”, si dedica da anni a studiare meticolosamente i complotti veri. E’ stato tra i primi a dimostrare che la versione ufficiale sull’11 Settembre fa acqua da tutte le parti. E nell’ultimo film, “American Moon”, certifica che le storiche immagini dell’allunaggio, purtroppo, non sono state affatto realizzate sulla Luna, ma in studi cinematografici o in teatri di posa. Fa sempre notizia il lavoro di Mazzucco, sia che si tratti della “nuova Peral Harbor” scatenata a Manhattan e comodamente attribuita ad Al-Qaeda, sia che sul monitor compaia una seria indagine sulle cure alternative per il cancro. E a proposito di salute: non certo ostile ai 5 Stelle, Mazzucco ha aspramente criticato il clamoroso voltafaccia sui vaccini, coi pentastellati prima tiepidi sul decreto Lorenzin e poi in confusione assoluta, ora che – con Giulia Grillo – avrebbero in mano le leve ministeriali del governo della sanità. Solo che, tra il dire e il fare, c’è appunto di mezzo la politica: «Me ne sono sempre tenuto alla larga, proprio perché temo quell’ambiente», confessa Mazzucco: «In passato ho anche rifiutato di impegnarmi personalmente, quando mi è stato chiesto di candidarmi, perché so che, per come sono fatto, essere costretto a confrontarmi con certe dinamiche mi farebbe perdere il sonno. Non fa per me, ecco tutto».Se però stiamo parlando di un soggetto politico come i 5 Stelle, aggiunge Mazzucco, le cose cambiano: «Nel momento in cui ti candidi a rivoluzionare l’Italia, non puoi non sapere che tipo di ostacoli incontrerai. I tuoi elettori, per primi, si aspettano che tu sappia perfettamente come muoverti. Bel guaio, se adesso scoprono che non sai bene che pesci pigliare». Un intero ministero che “rema contro” ostacolando lo stesso ministro, come nel caso di Tria, secondo la versione di Casalino? «Ma è ovvio, scusate», protesta Mazzucco: «Funziona così persino negli Usa», dove pure c’è un forte spoil-system e un robusto ricambio di funzionari, scelti dal politico che ha vinto le elezioni. «Il fatto è che puoi cambiare il ministro della difesa, non i generali: quelli restano. E se vogliono fare una guerra, prima o poi il ministro lo tirano dalla loro parte». Si chiama Deep State, ed è il potere che avrebbe bypassato lo stesso Bush durante la crisi dell’11 Settembre, per poi bivaccare alla Casa Bianca con Obama. Un potere, sempre lo stesso, che sta cercando di mettere in croce l’imprevedibile Donald Trump, finora sfuggito al suo controllo (e quindi braccato dal fantasma dell’impeachment). Come si può pensare che in Italia, a maggior ragione, non valgano le stesse regole? Come sperare che il Deep State euro-italico ceda docilmente il timone del dicastero dell’economia, teleguidato da Bruxelles?Appena quattro mesi fa, a fine maggio, Luigi Di Maio giunse ad annunciare ben altre dimissioni: non voleva mettere in stato di accusa oscuri funzionari, ma addirittura il capo dello Stato. La “colpa” di Mattarella? Aver impedito alla nascente alleanza gialloverde di insediare al ministero dell’economia Paolo Savona, fortemente avversato da Mario Draghi tramite il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. Proprio da Visco, irritualmente, Mattarella “spedì” in udienza l’allora premier incaricato, Conte, perché prendesse nota delle raccomandazioni della banca centrale: guai a sforare il tetto (più che esiguo) imposto alla spesa pubblica dai super-poteri europei, pena lo tsunami dello spread. Nel giro di ventiquattr’ore, Di Maio ingoiò il rospo: rinunciare a Savona, pur di far nascere il governo. Giovanni Tria? Lo stesso Savona fu tra quanti ne approvarono la designazione, rivela Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Massone, Tria si dichiarò di opinioni progressiste, disponibile a infrangere – dopo inziali rassicurazioni – l’assurdo vincolo di spesa imposto dall’élite neoliberista che manovra le sedicenti istituzioni europee». Ora però lo stesso Magaldi è perplesso, su Tria: «Si decida a operare nel senso inizialmente concordato, viceversa i gialloverdi dovranno scegliere: o lui, o gli italiani (a cui hanno promesso Flat Tax, reddito di cittadinanza e pensioni dignitose, cancellando la legge Fornero)».Il guaio? Lo scomodissimo endorsement che l’euro-tecnocrate numero uno, «il gran maestro Mario Draghi, supermassone neo-aristocratico», ha tributato a Tria: apertamente elogiato, dal presidente della Bce, per la prudenza sui conti pubblici, ancora una volta improntati alla linea di rigore pretesa da Bruxelles. La battaglia è proibitiva: a “remare contro” il cambio di paradigma – più spesa pubblica, per rianimare l’economia – non sono solo Draghi, Visco e i fantomatici funzionari del ministero di Tria: tutto il mainstream giornalistico sta sparando ad alzo zero contro il nuovo governo. Ogni scusa è buona, a cominciare dall’intransigenza di Salvini sull’allegro “caos all’italiana” nella non-gestione dei migranti. E in questo pozzo di veleni, l’audio di Casalino irrompe come un petardo, per la gioia di telegiornali e talkshow. Tutto fa brodo, pur di continuare a non ragionare. Personaggi come Ferruccio De Bortoli (assistito nientemeno che da Piero Angela, su “Rai News 24”) arriva a rimpiangere la formidabile “ripresa” assicurata all’Italia dai compianti governi Renzi e Gentiloni, con all’economia Pier Carlo Padoan, ennesimo yesman di quel potere europeo che predica le virtù metafisiche del digiuno (altrui). Brutta bestia, il neoliberismo. Il suo capolavoro letterario, basato su conti truccati? La teoria – genere fantasy – della “austerity espansiva”, spacciata da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, da Harvard: fategli saltare i pasti, e l’affamato guarirà miracolosamente.L’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e allievo del keynsiano Federico Caffè, interviene spesso nel dibattito pubblico per correggere le “fake news” immesse nel sistema da Carlo Cottarelli, tecnocrate di scuola Fmi e venerato dal Deep State (e dai media) come una sorta di vestale dei conti pubblici. Lo stesso Mattarella sventolò la “nomination” di Cottarelli a Palazzo Chigi per indurre a più miti consigli i gialloverdi, che all’economia volevano Savona. E’ semplicissimo, il ragionamento di Galloni, suffragato da prove incontrovertibili: ogni euro ben speso sotto forma di deficit “renderà” 3 o 4 volte tanto, l’anno seguente, in termini di lavoro, fatturato, assunzioni, gettito fiscale. E dato che la spesa pubblica produttiva fa crescere il Pil, il risultato è automatico: il debito pubblico, di colpo, farà meno paura (proprio perché supportato dalla famosa crescita, quella che forse – durante i governi Renzi e Gentiloni – De Bortoli avrà al massimo intravisto, lontana anni luce dall’Italia, solo grazie al potente telescopio di Piero Angela). Lo scomposto, imbarazzante Casalino? Perfetto, per permettere ai media di continuare – come sempre – a guardare il dito, anziché la Luna (quella vera, non la “American Moon” del film di Mazzucco). Tradotto: fino a quando un signore come Mario Draghi darà bei voti al nostro ministro dell’economia, per gli italiani saranno rogne. Meno soldi per tutti. “Austerity espansiva”: uno strano Ramadan, imposto da oligarchi che nessuno ha mai eletto. Una piovra tenace, con tentacoli ovunque – a partire dai ministeri economici. Appunto: possibile che i 5 Stelle non lo sapessero fin dall’inizio?«Posso non commentare le parole di Rocco Casalino?». Sdegnoso silenzio, solo perché a Casalino si rinfaccia sempre di aver partecipato al “Grande Fratello”? «Appunto: chi si sarebbe accorto di lui, se non fosse stato al “Grande Fratello”? Una volta i dirigenti politici venivano da scuole serie: i comunisti dalle Frattocchie, i democristiani dalla Fuci». Gianfranco Carpeoro, opinionista e saggista, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” si rifiuta, per decenza, di intervenire sulla polemica innescata dall’improvvida sortita dell’ex comunicatore dei 5 Stelle, ora portavoce del premier Conte: in un fuori-onda ha preannunciato un repulisti, a tappeto, tra i funzionari del ministero dell’economia, chiamandoli «quei pezzi di merda». Nell’audio (rubato, in violazione della privacy), parlando con due giornalisti, Casalino li invita ad annunciare che, se le richieste dei 5 Stelle non verranno esaudite dal ministero di Tria, nel 2019 i pentastellati “bonificheranno” gli uffici dai tecnocrati che “remano contro” i gialloverdi, scatenando una terribile «vendetta». Apriti cielo: la tempesta ormai grandina a reti unificate su tutti i media. «Piuttosto ingenui, i 5 Stelle», osserva il documentarista Massimo Mazzucco, sempre in video-chat con Frabetti: «Possibile che non sapessero, fin dall’inizio, cosa li attendeva nei palazzi romani?».
-
Orban, gattopardo neoliberista: stampella Ue con Salvini?
Viktor Orban e Matteo Salvini? Campioni, «eroi del nostro tempo liquido e fautori della tanto discussa “internazionale populista”, che raccatta tutta la galassia nazionalista a partire da Trump, Putin, fino al gruppo di Visegrad». Il politico ungherese e quello italiano «appaiono agli occhi del mondo come due pericolosi eversori degli equilibri europei, capaci di far deflagrare l’Ue con la facilità di due Boeing 767 lanciati a razzo contro le Twin Towers». Ma se fossimo in grado di aguzzare meglio la vista e l’ingegno, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, «potremmo scorgere dietro le vesti tigrate nazional populiste, due gattopardi collusi col sistema neoliberista, che hanno la precisa missione di salvare le élites della destra europea da se stesse». Con la loro insistenza ossessiva sul tema immigrazione, e per le loro critiche sovraniste alla “dittatura” finanziaria di Bruxelles, secondo la Spadini i due «gattoni pardati» si sono guadagnati il titolo di paladini della rivoluzione nazionalista. Ma in realtà, dietro la reputazione da ribelli alimentata dall’isteria della stampa “liberal”, si nascondono «due politici legati a doppio filo proprio con quel sistema di potere europeo che dicono di volere abbattere».
-
Trump rischia: fu l’unico a denunciare il falso 11 Settembre
Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:Signor presidente, i crimini dell’11 settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo paese. Le scrivo da cittadino francese, il primo a denunciare le incongruenze della versione ufficiale e ad aprire il mondo al dibattito e alla ricerca dei veri esecutori. In un tribunale penale, in quanto giuria, dobbiamo determinare se il sospetto portatoci sia colpevole o meno, e, alla fine, decidere quale punizione dovrebbe ricevere. Quando abbiamo assistito agli eventi dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Junior ci ha detto che il colpevole era Al-Qaïda, e la punizione che avrebbe dovuto ricevere era il rovesciamento di coloro che l’avevano aiutata: prima i Talebani afghani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein. C’è tuttavia una serie di prove che attesta l’impossibilità di questa tesi. Se fossimo membri di una giuria, dovremmo oggettivamente dichiarare che i Talebani e il regime di Saddam non sono colpevoli di questo crimine. Questo da solo, naturalmente, non ci consentirebbe di indicare i veri colpevoli. Non potremmo però concepire di condannare parti innocenti sol perché non abbiamo saputo come trovare i colpevoli.Quando il segretario di Stato per la giustizia e il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, rivelarono i nomi dei 19 presunti dirottatori, capimmo tutti che stavano mentendo. Avevamo già di fronte a noi, infatti, le liste divulgate dalle compagnie aeree di tutti i passeggeri imbarcati – liste su cui nessuno dei sospettati era presente. Da lì, siamo diventati sospettosi della “Continuità del Governo”, l’istanza incaricata di subentrare alle autorità elette dovessero queste venire uccise durante uno scontro nucleare. Abbiamo avanzato l’ipotesi che questi attacchi mascherassero un colpo di Stato, in conformità col metodo Luttwak: mantenere l’apparenza dell’esecutivo, ma imponendo una politica diversa. Nei giorni successivi all’11 Settembre, l’amministrazione Bush prese diverse decisioni: la creazione dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale e il voto per un voluminoso codice antiterrorismo elaborato molto tempo prima, il Patriot Act. Per questioni che l’amministrazione stessa definisce “terroristiche”, questo testo sospende la Carta dei Diritti, che era il vanto del vostro paese. Sbilancia le vostre istituzioni. Due secoli più tardi, sancisce il trionfo dei grandi proprietari terrieri, che scrissero la Costituzione, e la sconfitta degli eroi della Guerra d’Indipendenza, che chiedevano che venisse aggiunta la Carta dei Diritti.Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, sotto il comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski. Quest’ultimo presentò immediatamente un programma, anch’esso pronto da tempo, che prevedeva il controllo dell’accesso alle risorse naturali dei paesi del sud geopolitico. Chiedeva la distruzione dello Stato e delle strutture sociali nella metà del mondo che non era ancora globalizzata. Il direttore della Cia lanciò contemporaneamente la “Worldwide Attack Matrix”, un pacchetto di operazioni segrete in 85 paesi, dei quali Rumsfeld e Cebrowski intendevano distruggere le strutture statali. Considerando che solo i paesi le cui economie erano globalizzate sarebbero rimasti stabili e che gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre hanno dispiegato le forze armate statunitensi al servizio degli interessi finanziari transnazionali. Hanno tradito il suo paese e l’hanno trasformato nell’ala armata di questi predatori. Negli ultimi 17 anni, abbiamo assistito alle bugie che vengono date ai suoi compatrioti dai successori di coloro che redassero la Costituzione e che al tempo si opposero – senza successo – alla Carta dei Diritti. Questi ricchi sono diventati super-ricchi, mentre la classe media è stata ridotta di un quinto e la povertà è aumentata. Abbiamo anche assistito all’attuazione della strategia Rumsfeld-Cebrowski: quasi tutto il Grande Medio Oriente è stato devastato da “guerre civili”. Intere città sono state cancellate dalla mappa, dall’Afghanistan alla Libia, tramite Arabia Saudita e Turchia, che non erano esse stesse in guerra.Nel 2001, solo due cittadini statunitensi hanno denunciato l’incoerenza della versione di Bush, due promotori immobiliari – il democratico Jimmy Walter, poi costretto all’esilio, e lei stesso, poi entrato in politica ed eletto presidente. Nel 2011, abbiamo visto il comandante di AfriCom sollevato dalla propria posizione e sostituito dalla Nato, per essersi rifiutato di sostenere Al-Qaïda nella liquidazione della Libia. Abbiamo poi visto il LandCom della Nato organizzare il sostegno occidentale ai jihadisti in generale, e ad al-Qaïda in particolare, nel loro tentativo di rovesciare la Siria. I jihadisti, considerati “combattenti della libertà” contro i sovietici, poi come “terroristi” dopo l’11 Settembre, ancora una volta sono quindi diventati alleati del Deep State (cosa che, in realtà, sono sempre stati). Con immensa speranza, abbiamo quindi osservato le sue azioni per sopprimere, uno ad uno, tutti i loro sostenitori. È con la stessa speranza che vediamo oggi che sta parlando con la sua controparte russa per riportare vita nel devastato Medio Oriente. È però anche con analoga ansia che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, inseguire la distruzione della sua patria attaccando la sua posizione. Signor presidente, non solo lei ed i suoi connazionali soffrite della diarchia che è salita al potere dal colpo di Stato dell’11/9, ma il mondo intero ne è vittima. Signor presidente, l’11 Settembre non è storia antica. È il trionfo di quegli interessi transnazionali che stanno schiacciando non solo il suo popolo, ma tutta l’umanità che aspira alla libertà.(Thierry Meyssan, “Lettera a aperta a Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre”, pubblicata da “Voltaire Net” il 30 agosto 2018 e quindi tradotta da Hmg per “Come Come Chisciotte”).Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:
-
Brexit e Trump: gli anglosassoni volano, anziché crollare
«La catastrofe oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente». Cita il mitico Giorgio Gaber, il blogger Massimo Bordin, per ricordare – su “Micidial” – che nella Gran Bretagna “scappata” dall’Unione Europea la disoccupazione è al 4%, cioè il minimo storico dal lontanissimo 1975. «Il numero degli occupati nel Regno Unito è salito di 42.000 unità nel trimestre terminato a giugno», a dispetto degli economisti anti-Brexit, i soliti veggenti, che «si aspettavano un calo di 3.800 unità nel solo mese di giugno». E per Bordin, gli squillanti traguardi del sovranismo inglese sono soltanto l’antipasto: il piatto forte è l’America. «Quando l’impresentabile Donald Trump fece l’azzardo di presentarsi alle elezioni, gli analisti si scatenarono», ricorda l’autore di “Micidial”: «C’è chi giurava sui propri figli che, in virtù di statistiche precise al millimetro, il biondo non poteva vincere; altri scommettevano nel crollo dell’economia planetaria. I più severi furono i neocon europei, per i quali, dopo qualche sventagliata populista, sotto Trump la “Pravda” rappresentata dalla finanza globale avrebbe decretato un verdetto di fallimento». I dazi – secondo questi soloni dell’economia – avrebbero «costretto i capitali a fuggirsene dall’America, con la conseguente fine del monopolio di Wall Street».Da quando Trump è stato eletto, a fine 2016, la Borsa americana – da sempre quella con i maggiori capitali al mondo – è aumentata in valore di altri 6.000 miliardi, annota Bordin. «Questa cifra – che ricorda molto i fantastiliardi di Paperopoli, di Uncle Scrooge e del suo mitico deposito – è in pratica il Pil di Italia, Francia e Regno Unito messi assieme: lo ripeto per i Boldrin, gli Scacciavillani, i “noisefromamerika” e tutti gli incompetenti ideologizzati ed i trader iperliberisti che infestano questo declinante paese». Fatti, non parole: da quand Trump è alla Casa Bianca, sul piatto ci sono 6.000 miliardi in più. Nessun mistero: di fronte a segnali di evidente ripresa, anziché tagliare la spesa pubblica come avrebbe fatto qualsiasi governo dell’Eurozona, gli Stati Uniti hanno rilanciato, moltiplicando il deficit per investire sul sistema paese. Risultato: crescita esponenziale del Pil. «Continuerà? Ecchennesò, magari sì, probabilmente no», scrive Bordin, «ma certamente i soloni economisti europei si sono sbagliati, e si sono sbagliati per due anni – che per un investitore è la rovina (eppoi insegnano all’università, eppoi commentano)».I dati più importanti sull’America «riguardano occupazione e salari, visto che la finanza potrebbe benissimo essere in bolla». Il tempo ce lo dirà, aggiunge Bordin, «ma al momento Trump non è stato affatto una catastrofe per la finanza. Fu disastro con il liberista Bush junior, invece, sotto il cui mandato ci fu la più grande ecatombe borsistica dopo il 1929» Tornando a The Donald: la performance a New York durante questi due anni scarsi è stata del 34%. Com’è stato possibile? «Le Borse, da che mondo è mondo, basano le loro performance sulla fiducia e sul ruolo dei regolatori, la Fed in questo caso. Se ci concentriamo sul primo aspetto – scrive Bordin – a pompare fiducia è stata la politica fiscale. Con la riforma fiscale, le imprese in Usa si sono viste tagliare le tasse dal 35 al 20%. Se questa iniziativa viene sommata alla protezione sui prodotti americani, ecco che il mistero si svela». Non solo: grazie all’abbattimento delle tasse, «le aziende quotate hanno potuto comprarsi le proprie azioni, che in termini tecnici si chiama BuyBack: è superfluo aggiungere che questo sistema fa esplodere i titoli all’insù». Durerà? «E’ impossibile saperlo, ma ci sono almeno due elementi che potrebbero indicare una drastica inversione: una guerra monetaria con l’euro e l’impeachement al presidente», dopo le elezioni di medio termine. «Due ipotesi affatto improbabili».«La catastrofe oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente». Cita il mitico Giorgio Gaber, il blogger Massimo Bordin, per ricordare – su “Micidial” – che nella Gran Bretagna “scappata” dall’Unione Europea la disoccupazione è al 4%, cioè il minimo storico dal lontanissimo 1975. «Il numero degli occupati nel Regno Unito è salito di 42.000 unità nel trimestre terminato a giugno», a dispetto degli economisti anti-Brexit, i soliti veggenti, che «si aspettavano un calo di 3.800 unità nel solo mese di giugno». E per Bordin, gli squillanti traguardi del sovranismo inglese sono soltanto l’antipasto: il piatto forte è l’America. «Quando l’impresentabile Donald Trump fece l’azzardo di presentarsi alle elezioni, gli analisti si scatenarono», ricorda l’autore di “Micidial”: «C’è chi giurava sui propri figli che, in virtù di statistiche precise al millimetro, il biondo non poteva vincere; altri scommettevano nel crollo dell’economia planetaria. I più severi furono i neocon europei, per i quali, dopo qualche sventagliata populista, sotto Trump la “Pravda” rappresentata dalla finanza globale avrebbe decretato un verdetto di fallimento». I dazi – secondo questi soloni dell’economia – avrebbero «costretto i capitali a fuggirsene dall’America, con la conseguente fine del monopolio di Wall Street».
-
Zuesse: Bannon sfida Soros ma non fidatevi, vuole l’Europa
Scrive Eric Zuesse, su “Strategic-culture.org”, che due schieramenti politici – uno guidato da George Soros e l’altro creato dal nuovo arrivato, Steve Bannon – sono entrati in competizione per il controllo politico dell’Europa. Soros ha guidato a lungo i grandi capitalisti liberal americani verso l’egemonia europea, mentre Bannon sta ora organizzando una squadra di miliardari (altrettanto conservatori) per strappare la vittoria ai liberal attraverso la leva del populismo sovranista. Lo scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, sintetizzando la panoramica geopolitica fornita da Zuesse, scrittore e analista statunitense. Bannon contro Soros? Attenzione: «Nessuno di loro è progressista o populista di sinistra», avverte Zuesse. «L’unico populismo che attualmente ogni capitalista promuove è quello della squadra di Bannon. Comunque – aggiunge Zuesse – entrambe le squadre si demonizzano a vicenda, sia per il controllo del governo degli Stati Uniti che, a livello internazionale, per il controllo del mondo intero, opponendo due diverse visioni del mondo: liberale e conservatrice, o meglio globalista e nazionalista». Entrambi dicono di sostenere la democrazia? Sì, ma magari con le rivoluzioni colorate di Soros (Ucraina, Medio Oriente) o le guerre “democratiche” (Iraq) e i “regime change” (Egitto, Tunisia, Libia, Siria).
-
Bordin: gli oligarchi neoliberisti temono l’Italia, e fan bene
Siamo stati noi. Inutile girarci attorno, la crisi del liberismo è partita dall’Italia ed è destinata a durare ancora a lungo. Secondo autorevoli analisti la crisi del liberismo – non del capitalismo, attenzione: del liberismo, che non è la stessa cosa – è partita nel 2008 con la crisi dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers. E invece è partita con noi euroscettici targati 2011 e, sissignori, dalla piccola addomesticata Italietta. Alla crisi tecnica in atto, “noi” abbiamo infatti aggiunto l’informazione, ed è per questo che ci odiano. Andatevi a vedere i tweet dei liberisti italiani, in stile Scacciavillani e Boldrin, per farvene un’idea. Sembrano impazziti! Mia nonna in cortile aveva delle galline che facevano meno casino quando giungeva il momento di tirar loro il collo. Molti “di noi” li insultano e rispondono punto su punto alle critiche e alle provocazioni. E invece hanno ragione: la causa del crollo della loro religione ideologica siamo noi. E abbiamo appena cominciato. L’Italia è il primo paese del vecchio continente e il primo membro fondatore dell’Unione Europea a essere governato da una leadership euroscettica. Per essere giusti, tuttavia, “leadership critica verso la Ue” sarebbe una definizione più appropriata, visto che non la smettono di rimarcare ogni santissimo giorno che non vogliono uscire dall’euro e bla bla bla.Leggendo la faccenda da parte di chi (noi) euroscettico lo è davvero, e non per convenienza momentanea, la nascita del governo di Conte segnala che la rete liberale euro-atlantica ha perso il controllo politico dell’Italia. Usando una terminologia finanziaria, direi che questo è un “trend” serio, e segue la scofitta dei liberal dell’Europa orientale e isolana: svolta in Austria, la Brexit e, prima fra tutte, la politica illuminante degli islandesi. Poco prima della grande svolta, quella italiana, abbiamo l’occupazione di un certo Donald Trump della Casa Bianca. La “destra” tradizionale non ha nulla a che fare con questo nuovo fenomeno: un movimento in crescita che rifiuta ciò che l’Europa (e il mondo occidentale in generale) è diventato nei decenni successivi alla fine della Guerra Fredda, così come le sue basi ideologiche. Contrariamente a ciò che molti scrivono per dare alla faccenda un tono nostalgico o neopauperistico, l’ondata euroscettica e antiliberista non combatte il pluralismo, il multiculturalismo, ecc, ma l’immigrazione di massa, la globalizzazione economica incontrollata, la repressione delle identità locali e nazionali, l’individualismo estremo, lo sradicamento culturale, l’islamizzazione e la cosiddetta “ideologia di genere”.Quel movimento (noi), variamente chiamato “nazionalista”, “populista”, “rossobruno”, “anti-establishment”, “sovranista”, in realtà contiene una sorprendente varietà di posizioni che spaziano dal comunismo ad Adam Smith e sta indubbiamente cavalcando un’onda storica simile a quella che portò alla fine del blocco sovietico. Se la devono mettere in saccoccia: il panorama della politica occidentale sta cambiando ed anzi ha già causato cambiamenti irreversibili. Occorre però tenere gli occhi bene aperti – spalancati! – perchè non mancano moltissimi agganci tra l’ascesa di questo movimento e liberali “sotto copertura”, nel senso che sembrano keynesiani, ma che in realtà sono liberali disposti a concedere qualche briciola mantenendo però saldamente in mano il potere. Di certo, i conservatori liberali classici, ma sedicenti progressisti, non hanno capito nulla della vicenda dei migranti; e questa incapacità di pensare alla politica è la migliore garanzia della loro scomparsa e dell’aumento dei loro avversari. Finora, questo pare essere il trend.L’Italia era tra i paesi con il più alto sostegno all’integrazione europea. Un decennio fa, i partiti anti-establishment ed euro-critici potevano mirare, tutti insieme, al 10% -15% dei voti. Come è diventato un posto dove possono raggiungere bene oltre il 60%? Dal mio punto di vista ciò è spiegato da una combinazione di fattori sistemici, politiche terribili e terribile comunicazione da parte dell’Ue come istituzione, dalle maggiori figure politiche europee e dai loro rappresentanti italiani. Fondamentalmente, la situazione attuale è stata generata dalla questione delle riforme economiche e dall’immigrazione. Sul primo fronte, è noto che l’Italia sia stata attaccata appositamente (spread), ma ha evitato un collasso finanziario nel 2011-2012, perché la Bce è intervenuta con una massiccia liquidità e, in seguito, acquisti di bond per stabilizzare le sue finanze. Questo tuttavia era basato su un accordo politico tra Roma da una parte e Bruxelles, Francoforte e Berlino dall’altra: l’Italia fu salvata ma dovette promettere una lunga lista di riforme economiche e sociali. L’idea dell’Ue germanica era piuttosto chiara: l’Italia è attualmente un sistema economico insostenibile (balle); mentre la Bce acquista un po’ di tempo, le riforme vengono attuate, riportando il paese su una traiettoria di sostenibilità.Peccato che la serie di riforme draconiane richieste dall’Ue era fondamentalmente impossibile da attuare nel contesto italiano. Ci sono formidabili limiti legali e persino costituzionali a ciò che il governo può fare per affrontare diritti, pensioni, sussidi, contratti stabiliti e così via. L’Italia, piaccia o non piaccia, ha una Costituzione keynesiana. Il tradimento di questa impostazione democratica ha provocato una dolorosa compressione della domanda interna. Tutto il resto, sono balle talmente giganti da non stare nelle mutande. Sul fronte dell’immigrazione, sia il governo di Letta che quello di Renzi hanno creato una situazione di assoluto caos: qualcosa che è stato riconosciuto persino, a suo merito, dal ministro degli interni Marco Minniti (sotto Gentiloni), che ha ammesso gli effetti disastrosi di tali politiche. Il comportamento dell’Ue su questa questione è stato completamente contraddittorio. Da un lato Bruxelles ha insistito su un piano per la redistribuzione dei migranti che nessuno vuole. Il piano appare al meglio assurdo, con possibilità minime di essere mai adottato; dall’altra, tutti i paesi confinanti con l’Italia hanno rafforzato i loro controlli sugli stranieri.Vale la pena ricordare che la crisi migratoria nel Mediterraneo deve essere ricondotta direttamente all’assurda campagna militare del 2012, avviata da Francia e Gran Bretagna, che non solo ha distrutto alcuni degli interessi di sicurezza più vitali dell’Italia (un alleato dell’Ue e della Nato), ma dell’Europa in generale, compresi in definitiva quelli di Francia e Gran Bretagna, accelerando la destabilizzazione della politica europea. Ancora una volta, la posizione della leadership dell’Ue e della sua filiale italiana sembra essere che questa situazione caotica nel Mediterraneo durerà potenzialmente per molti anni e persino decenni, e che gli italiani (come il resto degli europei) dovrebbero semplicemente sopportare… Nessuno sembrava rendersi conto che questo non era possibile – tranne noi. Quello che però gli elettori e i sostenitori dell’attuale governo non hanno ancora capito, e che li rende in parte diversi da noi, è che molti di “noi” non confidano in un grande successo di questo governo. In caso di fallimento, infatti, l’elettorato non si sposterà affatto nella direzione pregressa dei liberal euro-moderati, ma si radicalizzerà sempre di più su posizioni euroscettiche.(Massimo Bordin, “Perché i neoliberisti odiano l’Italia – e fanno benissimo”, dal blog “Micidial” del 13 agosto 2018).Siamo stati noi. Inutile girarci attorno, la crisi del liberismo è partita dall’Italia ed è destinata a durare ancora a lungo. Secondo autorevoli analisti la crisi del liberismo – non del capitalismo, attenzione: del liberismo, che non è la stessa cosa – è partita nel 2008 con la crisi dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers. E invece è partita con noi euroscettici targati 2011 e, sissignori, dalla piccola addomesticata Italietta. Alla crisi tecnica in atto, “noi” abbiamo infatti aggiunto l’informazione, ed è per questo che ci odiano. Andatevi a vedere i tweet dei liberisti italiani, in stile Scacciavillani e Boldrin, per farvene un’idea. Sembrano impazziti! Mia nonna in cortile aveva delle galline che facevano meno casino quando giungeva il momento di tirar loro il collo. Molti “di noi” li insultano e rispondono punto su punto alle critiche e alle provocazioni. E invece hanno ragione: la causa del crollo della loro religione ideologica siamo noi. E abbiamo appena cominciato. L’Italia è il primo paese del vecchio continente e il primo membro fondatore dell’Unione Europea a essere governato da una leadership euroscettica. Per essere giusti, tuttavia, “leadership critica verso la Ue” sarebbe una definizione più appropriata, visto che non la smettono di rimarcare ogni santissimo giorno che non vogliono uscire dall’euro e bla bla bla.