Archivio del Tag ‘capitalismo’
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Bilderberg: i fanatici del rigore dietro le stragi di Stato
C’era il Bilderberg dietro alle stragi impunite, quelle degli “anni di piombo”. Lo rivela Ferdinando Imposimato, che da magistrato inquirente si occupò dei casi più scottanti, dal rapimento Moro all’attentato al Papa. A “inciampare” nella potentissima lobby politico-finanziaria mondiale, oggi accusata di pilotare l’euro-crisi per restituire il potere assoluto alle élite planetarie amputando la nostra sovranità democratica col ricatto del debito, fu il giudice Emilio Alessandrini, assassinato dai terroristi di “Prima Linea” nel 1979. Impegnato nelle indagini su piazza Fontana, Alessandrini “scoprì” il ruolo dell’allora oscuro Bilderberg trent’anni prima che il grande pubblico venisse a conoscenza della sua esistenza. Il più esclusivo club finanziario mondiale era direttamente responsabile delle stragi e della strategia della tensione, sostiene oggi Imposimato, che ha scovato documenti inediti, pubblicati nel libro “La Repubblica delle stragi impunite”.
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Caccia alle streghe: così muore l’ultimo eroe democratico
«Nella società umana – ci insegnava il professor Ringold – la trasgressione più grande di tutte è pensare – il pen-sie-ro-cri-ti-co, – diceva il professor Ringold, battendo le nocche sul piano della cattedra per scandire ogni sillaba – ecco l’estrema trasgressione». Nel romanzo “Ho sposato un comunista” di Philip Roth, il professor Ringold è un vecchio insegnante di liceo (ormai novantenne) passato attraverso la caccia alle streghe scatenata negli Stati Uniti d’America tra l’immediato dopoguerra e la metà degli anni ’50, quando migliaia di persone, intellettuali, scrittori, cittadini di ogni ceto sociale e di ogni età furono messi sotto accusa perché sospettati di coltivare idee socialiste («È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo paese abbia mai avuto», ebbe a dire Eleanor Roosevelt).
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Brancaccio: debito, da Berlusconi una lezione a Santoro
Silvio Berlusconi poteva essere attaccato per avere impresso una tremenda accelerazione ai processi di precarizzazione del mercato del lavoro italiano; per aver contribuito più di altri al depotenziamento della contrattazione nazionale sui salari; per avere assecondato un micidiale regresso culturale, oltre che giuridico, nel campo dei diritti civili; più in generale, per esser stato convinto propugnatore di una visione aziendale e quindi autoritaria dello Stato. Poteva esser messo sul banco degli imputati politici per avere ridotto la politica industriale nazionale a una scassata congerie di prebende, lassismo fiscale, riduzione dei controlli sulla sicurezza del lavoro. Poteva essere accusato di aver contribuito in modo decisivo al dilagare di una concezione magliara delle relazioni sociali, affettive e sessuali.
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Classifica-horror: ecco le 10 multinazionali più pericolose
Il costume di Babbo Natale è rosso, ma non da sempre: il conducente di renne più famoso del pianeta smise la tradizionale casacca verde precisamente nel 1931, anno in cui lo “rivestì” del colore aziendale nientemeno che la CocaCola. Lo rivela “Ecosas.com”, in una vera e propria galleria degli orrori firmati dalle “dieci multinazionali più pericolose del mondo”, architrave economica della globalizzazione del pianeta realizzata a spese dei poveri della Terra e poi ovviamente anche degli ignari consumatori. Storie quotidiane, regolarmente ignorate dai media, in cui la realtà supera di gran lunga la più perversa fantasia. Come nel caso del colosso petrolifero Chevron, già Texaco, accusato di aver riversato 18 miliardi di galloni di acqua tossica nei boschi tropicali dell’Ecuador, distruggendo i mezzi di sussistenza degli agricoltori locali e facendo ammalare le popolazioni indigene.
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Miracolo Islanda: è bastato fermare i parassiti del rigore
Per circa tre anni, i nostri governi, la cricca dei banchieri e i media industriali ci hanno garantito che loro conoscevano l’approccio corretto per aggiustare le economie che loro avevano in precedenza paralizzato con la loro mala gestione. Ci è stato detto che la chiave stava nel balzare sul Popolo Bue imponendo “l’austerità” al fine di continuare a pagare gli interessi ai Parassiti delle Obbligazioni, a qualsiasi costo. Dopo tre anni di questo continuo, ininterrotto fallimento, la Grecia è già insolvente per il 75% dei suoi debiti e la sua economia è totalmente distrutta. La Gran Bretagna, la Spagna e l’Italia stanno tutte precipitando in una spirale suicida, in cui quanta più austerità quei governi sadici infliggono ai loro stessi popoli tanto peggiore diventa il problema del loro debito/deficit. L’Irlanda e il Portogallo sono quasi nella stessa condizione.
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Cremaschi: caro Ingroia, la vera mafia è quella di Bruxelles
Caro Ingroia, l’antimafia non basta: perché oggi il vero nemico che ci minaccia è molto più pericoloso del potere delle cosche, persino di quelle che si infiltrano nell’economia fino ad avvelenarla. Deve cadere il Muro di Bruxelles, quello che ricatta i popoli dell’Eurozona sulla base dei diktat emanati dalle oligarchie finanziarie, ordini firmati da tecnocrati non eletti da nessuno, a cui – grazie all’attuale personale politico – siamo costretti a sottometterci, per fare la stessa fine della Grecia. Dopo i “garanti” dei movimenti firmatari dell’appello “Cambiare si può”, anche l’ex leader della Fiom Giorgio Cremaschi, vicino ai No-Tav e promotore del Comitato No-Debito e del “No-Monti Day”, prende le distanze dalla lista “arancione” capeggiata da Antonio Ingroia, ipotetico leader del “quarto polo”, sul quale confluiscono i partiti di Di Pietro, Ferrero e Diliberto, insieme ai Verdi di Bonelli.
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Giulietto Chiesa: attenti ai cretini che sperano di vincere
Non vorrei fare il menagramo, come al solito. Ma mi sento come un aiutante di campo di un generale d’altri tempi, che guarda da un’altura la battaglia. E ascolta, senza poter interloquire, cosa si dicono i comandanti. Qualcuno la pensa come me: stiamo perdendo. Sul fianco sinistro non c’è quasi nessuno. Regna la confusione. Bisognerebbe mandare rinforzi, ma non ce n’è. I capi dei reparti sembrano tutti rimbambiti. Qualcuno dei nostri generali, laggiù è passato al nemico. Che fare? Ma c’è di peggio. Vicino al generale c’è qualche cretino – mi permetterei di dire – che pensa che stiamo vincendo. E insiste per un’offensiva. Ma come? Non vedono che, poco più oltre, il nemico dispone di riserve enormi, che entreranno tra poco in battaglia, mentre noi abbiamo soltanto qualche drappello di volonterosi sparsi, con piccole armi a disposizione?
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La guerra di Monti contro l’Italia: sono qui per rovinarvi
L’uomo di Goldman Sachs si dimette per tornare subito, scompaginando il “bipolarismo obbligato”. Obiettivo: per instaurare l’autocrazia del grande capitale finanziario. Il professore è stato paracadutato a Palazzo Chigi con un compito preciso: distruggere l’Italia, per “rifarla” in modo che possa funzionare da paradigma europeo. Il programma, dichiarato ormai con imbarazzante chiarezza da Monti stesso, è sconcertante: «Far arretrare le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione fino al punto in cui (secondo i manuali di macroeconomia liberista) diventano “competitive” con quelle di paesi che stanno soltanto ora approdando alla “civiltà industriale”», rileva Claudio Conti su “Contropiano”. «Si tratta di un esperimento mai tentato prima in tempi di pace: obiettivi così sanguinosi, fino alla Seconda Guerra Mondiale, venivano raggiunti con una bella sequenza di stermini sui campi di battaglia e soprattutto con bombardamenti a tappeto tali da distruggere la “capacità produttiva in eccesso”».
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Latouche: rinunciamo al potere e alla schiavitù salariale
La decrescita è un progetto sociale, non un progetto politico, Lenin aveva un progetto politico. Tutti quelli che hanno un progetto politico vogliono realizzarlo, per questo la tradizione rivoluzionaria, soprattutto in America latina, resta legata alla presa del potere. Pensiamo a quando il subcomandante Marcos e le comunità zapatiste hanno preso San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, il 1° gennaio 1994: la prima cosa che hanno detto è stato: «Non vogliamo prendere il potere perché sappiamo che se prendiamo il potere saremo presi dal potere». Per questo penso che avere un progetto politico sia diverso dall’avere un progetto sociale. Un progetto di una società alternativa deve essere pensato concretamente in funzione del luogo, della cultura dove il movimento agisce, ma il problema è che ha a che fare anche con il potere. Naturalmente è una buona cosa, se alcuni nostri amici diventano deputati, ministri, consiglieri ma sappiamo bene che qualsiasi politico è sempre sottomesso alla pressione dei grandi poteri, non esiste un governo buono.
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Orwell: il futuro è uno scarpone che ci calpesta, per sempre
Televisione, manipolazione, social media. Fobie, terrorismo psicologico, crisi economica mondiale e disinformazione martellante: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”. «Non è affatto una coincidenza che oggi ci vengano dette queste stesse cose, e di continuo». Le scrisse nel lontano 1948 lo scrittore inglese George Orwell: «Lo Stato orwelliano del Grande Fratello è tra noi, ora, con un Programma volto a imporre soppressione e controllo in dosi sempre più massicce, fino all’instaurazione delle tecniche più estreme», sotto gli slogan che dominano un mondo ridotto a puro incubo totalitario. Sono passati più di sessant’anni da quando Orwell pubblicò il suo romanzo profetico, “1984”. E alla luce degli eventi odierni, sostiene il blog “Informare per Resistere”, non c’è momento migliore per ricordare a noi stessi che ci stiamo rapidamente dirigendo verso l’allucinazione così magistralmente descritta in quel libro.
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Ken Loach: solo rigore e fame, ringraziate il centrosinistra
«In Gran Bretagna si prepara a vincere, ma non credo che il centrosinistra esista: se si è a favore del mercato e della deregulation si è di destra, se si crede nell’economia pianificata e nella proprietà comune si è di sinistra, chi rimane al centro della strada di solito viene investito. Non so in Italia, ma da noi il centrosinistra si dice d’accordo a mantenere le misure di austerità e a proseguire le privatizzazioni, solo più lentamente. Ma se dovete essere comunque strangolati, il tempo non fa la differenza». J’accuse firmato Ken Loach, che giriamo al nostro Bersani: ok aver vinto le primarie, ma se il centrosinistra non esiste, o è comunque destinato a far la fine di un gatto in autostrada, che ha vinto a fare?
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Sapelli: lavoro, non profitto. E bastano tre ore al giorno
Tre ore di lavoro al giorno? «Sono più che sufficienti», purché si tratti di «lavoro liberato» dalla schiavitù del profitto. Giulio Sapelli concorda con Keynes: ridurre l’orario di lavoro è possibile, eccome. «E sarebbe una grande liberazione». Parola d’ordine: cooperazione, al posto dell’attuale – fallimentare – competitività. Sembra l’annuncio di morte del capitalismo moderno, dopo oltre due secoli di industria. Lo pronuncia, senza imbarazzi, uno dei maggiori storici italiani dell’economia: professore alla London School of Economics e poi a Barcellona, Sapelli è un big di prima grandezza nel panorama economico e finanziario italiano: già consulente dell’Olivetti e consigliere di amministrazione dell’Eni, è stato presidente della fondazione del Monte dei Paschi di Siena e membro del Cda di Unicredit. Rappresentante per l’Italia di Transparency International, organizzazione che lotta contro la corruzione economica, dal 2002 è tra i componenti del World Oil Council e dal 2003 fa parte dell’International Board dell’Ocse per il settore no-profit.