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Nazionalizzare il denaro, l’unica rivoluzione per noi schiavi
Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.L’attuale situazione della società è veramente molto grave e con pessime prospettive, soprattutto perché la cosiddetta crisi economica appare ormai chiaramente come uno strumento volontariamente attivato e mantenuto per concentrare il reddito e la ricchezza, ma anche il potere politico, nelle mani di pochi grandi finanzieri che si deresponsabilizzano celandosi dietro istituzioni politiche ufficiali che essi hanno svuotato di potere effettivo; e al contempo per far accettare alla gente di avere meno diritti, meno libertà, meno dignità, meno benessere, e di essere governata da lontano e da soggetti irresponsabili. Insomma è una crisi indotta a scopi di ingegneria sociale. Appare altrettanto chiaro che, pertanto, non è possibile risolverla per le vie interne dell’ordinamento giuridico nazionale o internazionale, cioè ad esempio attraverso le elezioni e i parlamenti, dato che esse sono interamente controllate dall’oligarchia al potere su scala globale. Quindi solo un’azione rivoluzionaria dal basso, una rivoluzione popolare, parrebbe idonea a risolvere il problema.Lo conferma il fatto che sono rimasti e rimangono completamente inascoltati, anche di fronte all’avverarsi delle loro previsioni, gli autorevoli economisti che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno preavvertito le istituzioni dei disastri che sarebbero stati causati dalle riforme monetarie e bancarie in cantiere, perché hanno proposto e stanno proponendo rimedi razionali. Sono rimasti inascoltati perché parlavano dal punto di vista dell’interesse collettivo, non di quello dell’élite decidente. Molto semplice. Ed eccoci ritornati all’opzione rivoluzionaria. Ma questa opzione deve fare i conti con i dati della realtà storica seguenti. Pensiamo alle grandi rivoluzioni popolari: quella francese, quella sovietica, quella cinese, quella nazista, quella khomeinista in Persia. Tutte sono avvenute a furor di popolo, il popolo si aspettava di risolvere i suoi problemi, ma le cose sono andate diversamente, nel senso che il popolo ha subito un forte peggioramento della sua situazione.In Francia, dopo la rivoluzione, vi fu un ventennio di stragi, con il periodo del Terrore, poi delle guerre contro le coalizioni monarchiche, poi delle guerre napoleoniche, e intere generazioni di giovani furono annientate sui campi di battaglia. Alla fine, in Francia ritornò la monarchia – non è buffo? – e per giunta la Francia si ritrovò subalterna al Regno Unito, cioè perse la sua indipendenza politica. Certo, la rivoluzione francese pose fine al feudalesimo e mise al potere il capitalismo. Negli altri esempi citati, sappiamo tutti che cosa avvenne a quelle nazioni dalle loro rivoluzioni popolari in termini di guerre, distruzioni, dittature, arretratezza. Alle volte, in periodi di acuta crisi, nei quali era evidente una qualche particolare causa della crisi, gli interessi collettivi hanno ottenuto riforme a loro tutela contro gli interessi delle classi sfruttatrice dominanti. Cito come esempi le riforme dei Gracchi nella Roma antica e il Glass-Steagall Act a seguito della crisi del ’29, entrambe tese a porre freno al saccheggio della società da parte della classe finanziaria.Ma poi, in tutti i casi di questo tipo, le classi dominanti, attraverso una pianificazione politica di medio e lungo termine, con azione di lobbying e corruzione, approfittando della cronica distrazione del popolo, hanno sempre recuperato le posizioni perdute e hanno portato avanti i loro interessi contro la popolazione subalterna. Ciò avvenne al tempo dei Gracchi, ed è avvenuto anche ultimamente, con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 e tutta una serie di riforme del diritto finanziario e bancario, che hanno permesso le megafrodi bancarie con cui i banchieri hanno realizzato e stanno realizzando enormi profitti a danno della collettività anche oggi e praticamente senza mai pagare il fio. Gli interessi concentrati e consapevoli vincono su sempre su quelli diffusi, nel medio e lungo periodo. Di solito però già anche nel breve periodo.La via rivoluzionaria, nel mondo odierno, è peraltro impraticabile, sia perché l’oligarchia al potere a un enorme vantaggio tecnologico e militare su qualsiasi movimento popolare, disponendo non solo di argomenti ma anche di strumenti di monitoraggio e intervento capillari nella vita di ciascuno, il sogno di tutti i dittatori della storia; sia perché è un mondo interdipendente, perciò, quand’anche un paese insorgesse e se liberasse dai suoi oppressori finanziari e politici, verrebbe bloccato e messo in ginocchio nel giro di pochi giorni. Pensiamo inoltre che l’Italia è un paese e militarmente occupato dagli Stati Uniti con oltre 130 basi militari. E che dipende da forniture esterne per sopravvivere, innanzitutto dal petrolio, che si paga in dollari.Siamo insomma condannati a restare stabilmente in questa situazione e in questo trend peggiorativo, che ci porta verso abissi di insicurezza, di privazione di diritti e libertà, di invasione delle nostre vite da parte di un potere tecnologico incontenibile, entro un regime alla Orwell? Con ragionevole sicurezza, in base all’osservazione dei fatti storici, a questa domanda si può rispondere di no, poiché la storia ci mostra che i sistemi di potere, regni, imperi e repubbliche, così come le costituzioni e le condizioni giuridiche ed economiche, non sono mai stati stabili, non sono mai durati a lungo, soprattutto da quando l’umanità si è messa a commerciare e ha sviluppato varie tecnologie. Cioè da più di 25 secoli. Anche gli imperi apparentemente più solidi, più forti, più invincibili, sono crollati, si sono frantumati, perlomeno a causa di processi disorganizzati ivi interni. Senza bisogno di rivoluzioni popolari.Se esaminate per esempio la storia di Roma, dall’epoca monarchica a quella repubblicana a quella del principato e a quella del dominatus, cioè da Diocleziano in poi, vedrete che gli assetti costituzionali, economici, organizzativi, demografici, si trasformano incessantemente, e che le cose più costanti sono proprio i meccanismi che alimentano squilibri: la lenta demolizione dell’agricoltura e della popolazione in Italia, il trasferimento della ricchezza e del potere dall’aristocrazia terriera senatoriale alla classe finanziaria equestre, il travaso di oro da occidente a oriente (causato dal passivo della bilancia commerciale). Insomma, i grandi cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti, nella storia. Sono avvenuti non solo per effetto di azioni volontarie (collettive o individuali), ma pure e soprattutto per il concorso di forze e di processi molteplici, impersonali, perlopiù incompresi o fraintesi, perlopiù irresistibili, e solitamente con esiti diversi da quelli previsti, progettati, desiderati. Fattori di tipo climatico, economico, demografico o tecnico-scientifico. Pensate all’inaridimento delle fertili pianure nordafricane, al declino demografico della Grecia antica, al declino tecnologico dell’Impero romano, alla divaricazione economica operata dall’introduzione dell’euro tra i paesi che lo usano.Altra illusione abituale: l’uomo pensa che le cose continueranno ad andare in futuro nel modo in cui sono andate in passato, e mira sempre a raggiungere qualche assetto definitivo e sicuro, nel privato come nel pubblico: l’amore per sempre, il matrimonio indissolubile, il posto fisso, i diritti umani inalienabili, un’organizzazione statale perenne, definitiva, perfetta, come la repubblica progettata da Platone. O almeno destinata a durare 1000 anni, come il Reich vagheggiato da Hitler. Ma, al contrario, tutti gli assetti prodotti dall’uomo sono impermanenti, caduchi, transeunti, provvisori. Come l’uomo stesso. Tutto scorre, giustamente osserva Eraclito. Non riusciamo a stabilizzare un tubo. Il grande Cesare Ottaviano Augusto aveva capito i difetti strutturali del possente sistema-paese che governava, e cercò di correggerli, ma non vi riuscì, e come lui non vi riuscirono molti, a Roma e altrove.I grandi cambiamenti, le trasformazioni sistemiche, avvengono, ma solitamente sono molto diversi dai progetti di coloro che li causano: il divenire storico sfugge dal controllo e dalla pianificazione. Pensate per esempio alla I Guerra Mondiale: ognuna delle potenze che vi parteciparono aveva i suoi piani, le sue previsioni, le sue intenzioni, e tutte furono smentite dallo svilupparsi dei fatti. La guerra stessa assunse caratteri che nessuno aveva immaginato. Il suo esito fu… di innescare fascismo, nazismo e una seconda guerra mondiale. Invero, nessuno è mai riuscito a governare la storia, né a prevederla. Tanto meno ci sono riuscite le rivoluzioni popolari, le quali hanno bensì dato colpi e prodotto effetti, ma non gli effetti voluti e progettati, bensì gli altri e impreveduti – almeno per esse. Il comportamento collettivo è sempre miope e ottuso. I popoli non riescono a evitare fallimenti prevedibili.Anche l’attuale tecnocrazia globalizzata, come sistema di potere, è destinata a deteriorarsi, e a cadere, magari proprio perché primo poi le sfuggirà di mano la stessa tecnologia, che si sviluppa e moltiplica le sue capacità in modo praticamente è miracoloso – come Skynet della serie Terminator. Oppure forse cadrà per la sua contrarietà ai bisogni oggettivi, fisiologici, degli esseri umani: essa, guidata com’è dalla logica del bilancio, del rendimento annuale o comunque di brevissimo termine, sta forzando l’uomo e la comunità ad adattarsi a vivere secondo questo brevissimo termine, accettando la precarietà, la discontinuità, l’instabilità come caratteri di fondo dell’esistenza, e rinunciando alla sicurezza, alla progettabilità di lungo termine, alla stabilità, che sono esigenze oggettivamente insite nell’essere umano. E’ una violenza radicale e protratta, implementata attraverso il controllo delle istituzioni. Se scoppiamo, allora potremo dire davvero di essere noi il cambiamento. Oppure ancora è una catastrofe geofisica, climatica, ecologica, il fattore che sta per rimescolare le carte.La popolazione generale, anche buona parte di quelli con istruzione superiore, è consapevole del suo malessere, dell’insicurezza oggettiva in cui sempre più vive, di alcune malefatte compiute da certi potenti; ha una consapevolezza aneddotica, episodica, spesso personificata, dei mali del sistema; ma non è consapevole delle cause strutturali e non manifeste. Non saprebbe dove intervenire, anche potendo. Quindi, mi direte, tu stai dicendo che non c’è niente da fare, per uscire dall’attuale situazione, perché non abbiamo la capacità di correggerla, e del resto essa prima o poi finirà da sé. In effetti, più o meno è così. Più o meno, perché razionalmente e realisticamente ci sono alcune cose da fare, anche per cercare di fare in modo che l’uscita dall’attuale condizione sia verso una condizione non peggiore, magari migliore. Innanzitutto, bisogna fare cose per mettersi al riparo, per difendersi, a livello privato, personale. L’azione politica è pressoché inutile o controproducente, come dimostrano i casi di quei movimenti e di quei partiti che, dopo avere iniziato con grande promesse di rottura, o si sono spenti, oppure si sono omologati al sistema che dovevano abbattere, come in Grecia e in Spagna. Anche tra i grilli nostrani molti danno segni di volersi alleare col Partito Democratico per stabilizzarsi nel potere e nei suoi vantaggi.L’azione collettiva raramente parte e ancora più raramente è efficace, ma l’azione individuale o su scala di piccoli gruppi è fattibile, sul fronte della tutela della salute, del patrimonio, della libertà, considerando sempre anche l’opzione dell’emigrazione verso paesi che consentono una migliore tutela di questi valori. Certamente, di fronte a un drastico e rapido peggioramento della condizione di vita e del livello di dignità, a breve potrebbe anche porsi fortemente l’opzione del suicidio, del suicidio stoico, cioè dell’uomo che rifiuta di vivere privato della libertà e della dignità: pensiamo a Lucio Anneo Seneca che si suicida per non soggiacere agli arbitri e ai capricci di Nerone. Ma non preoccupatevi: pochissimi seguiranno Seneca, in ogni caso, perché gli uomini si adattano facilmente a una vita di pecore schiave, o di topi che sopravvivono arrangiandosi negli angoli bui.Che cosa resta da fare, in positivo, dopo tanti “non podemos”? Proprio grazie a ciò che dicevo all’inizio, ossia alla indeterminatezza e libertà del divenire storico, alla sua apertura, non può mai venir meno la possibilità di entrare in modo rilevante in questo divenire. Poche verità storiche sono certe e comprovate come la potenza esercitata dalle idee nei millenni: Platone, Aristotele, Gesù, Galileo, Marx, Freud, Einstein, e Fra’ Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia – solo per fare qualche nome – sono più che mai attuali e attivi, sono potentissimi… La Rivoluzione Francese mancò gli obiettivi pratici di breve e medio termine, ma nel lunghissimo termine essa è – si può ben dire – ancora in svolgimento… nei cambiamenti nel pensiero, nella coscienza collettiva, nelle dinamiche sociali… nell’aver creato una cosa che cosa prima assente, in Europa, dai tempi di Atene, ossia il pubblico dibattito politico.Assieme all’amico psichiatra Paolo Cioni, col saggio “Neuroschiavi”, ho cercato di dare un contributo mirato all’analisi e al contrasto ai mezzi di rimbecillimento e irreggimentazione di massa che tanta parte hanno nella governance sociale, nella compressione della libertà mentale e critica che è l’anima di quel dibattito. E in altri saggi, in solitaria oppure in cooperazione con qualche amico, ho diretto i riflettori su quello strumento di dominazione e sfruttamento sociale che è il potere monetario vestito nelle banche private, e sui suoi meccanismi occultati dalle prassi contabili oggi applicate, e la cui comprensione da qualche anno si viene ora diffondendo. La sua comprensione a livello perlomeno di classi imprenditoriali e intellettuali sarebbe un presupposto per un possibile rivolgimento strutturale della società, per una possibile fine del regime parassitario imposto dal capitalismo finanziario attraverso proprio quelle prassi contabili false, le quali sono alla base del fatto che esso è divenuto un perfetto strumento di dominio sociale: uno strumento che, da un lato, rende la società e l’economia e le istituzioni sempre più dipendenti da sé stesso e sempre più forzatamente obbedienti ai suoi dettami, perché sotto permanente ricatto di fatali conseguenze; e che, dall’altro lato, attraverso l’uso di moneta-debito progressivamente indebitante, sottrae alla società una quota sempre crescente di reddito, pubblico e privato, sotto forma di interessi, di bail out (saccheggio dell’erario) e bail in (saccheggio dei risparmi o investimenti finanziari).E’ una prigionia estorsiva sistemica, in via di perfezionamento, rispetto a cui le truffette del tipo Banca Popolare dell’Etruria sono soltanto incidenti dovuti all’avidità di banchieri locali, incidenti da coprire subito in qualche modo al fine di poter proseguire col perfezionamento del sistema, col piano di lungo periodo. Prima della rivoluzione del 1789, i popolani francesi, sfruttati dai signori feudali, avevano fatto jacqueries, ossia assalti ai depositi di granaglie dei castelli sotto la spinta della fame – cioè avevano attaccato la sola superficie del problema. Questo equivale ai nostri movimentisti, agli indignados, a quelli che oggi manifestano contro i banchieri che li hanno fregati e chiedono rimborsi da parte dello Stato e carcere ai furbetti del credito e le dimissioni della bella ministra Boschi. Niente di risolutivo.Il salto di qualità che dalle jacqueries (le quali lasciano il tempo che trovano) portò alla vera rivoluzione (che cambia invece il tempo), sia pur nel senso che abbiamo visto, avvenne allorquando, nell’agosto del 1789, alla guida del popolino, si misero intellettuali che sapevano dove mettere le mani, e allora gli insorti penetrarono nei castelli non per rubare la farina, ma per aprire i forzieri e distruggere gli atti di proprietà dei fondi terrieri in essi custoditi, facendo così crollare il sistema latifondista. L’equivalente di questa operazione, oggi, potrebbe essere – dico: potrebbe – il pubblico smascheramento dei sistematici falsi in bilancio con cui i banchieri privati creano la quasi totalità dei mezzi monetari circolanti senza pagare su tale creazione alcuna tassa e senza assumersi le responsabilità politiche e sociali dell’esercizio di un tale primario potere pubblico, e la conseguente nazionalizzazione del sistema monetario-creditizio con la liberazione della società dalla moneta indebitante ora in uso. Ma ciò non credo possa partire dall’Italia, la quale non ha alcuna tradizione o predisposizione rivoluzionaria.(Marco Della Luna, estratto da “Crisi, rottura del sistema e trasformazione”, testo preparato per la conferenza organizzata dalla casa editrice Nexus a Cagliari il 17 gennaio 2016 e ripreso dal blog di Della Luna).Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.
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Gli americani frodati dall’élite che mette in pericolo il mondo
Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma. Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata. Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinchè ciò che ciò accadesse. Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la dustruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”. I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.Personalmente ho sempre lavorato a documentare questi crimini nei miei articoli e nei mei libri (pubblicati da Clarity Press). Chiunque creda ancora nella purezza delle intenzioni della politica estera di Washington è semplicemente un caso perso. Russia e Cina adesso hanno forgiato una allenza che è semplicemente troppo forte per Washington. Russia e Cina insieme non consentiranno a Washington nessun ulteriore ingerenza nella loro sicurezza e nei loro interessi nazionali. I paesi che essi ritengono strategicamente importanti saranno protetti dall’alleanza. Mentre il mondo pian piano si sveglia e comprende il male che l’Occidente oggi rappresenta, sempre più paesi cercheranno la protezione di Russia e Cina. L’America, inoltre, sta fallendo sotto il fronte economico. Nei miei articoli ed il mio libro “Il fallimento del capitalismo lassez-faire”, che è stato pubblicato in inglese, cinese, coreano, ceco e tedesco, ho dimostrato come Washington abbia sempre promosso e incoraggiato un processo nel corso del quale i profitti a breve termine di manager e grandi investitori, e Wall Street in senso ampio, svisceravano l’economia reale Usa, delocalizzando la vera produzione, le conoscenze manifatturiere, le tecnologie e annesse posizioni di lavoro qualificato, verso Cina, India ed altri paesi, lasciando l’America con una economia ormai talmente spolpata che la media dei redditi delle famiglie è in costante caduta da anni.Ad oggi il 50% degli americani di 25 anni vivono con genitori o nonni in quanto non riescono a trovare impieghi sufficienti a permettersi una esistenza indipendente. La dura realtà è puntualmente coperta dai media prostituiti Usa, fonte di storielle fantasiose su una fantomatica ripresa economica americana. I fatti reali dell’esistenza sono talmente dissimili da ciò che i media vorrebbero far apparire che non posso che restare perplesso. Avendo insegnato economia, essendo stato editore del “Wall Street Journal” e assistente del segretario per la politica economica del ministero del Tesoro Usa, non posso che essere perplesso dalla corruzione sistematica che governa il settore finanziario, il Tesoro, le agenzie preposte alla regolamentazione finanziaria e la Federal Reserve. Ai miei tempi sarebbero fioccati avvisi di garanzia e sentenze di tribunale contro banchieri e burocrati di alto rango.Nell’America di oggi non esistono mercati finanziari liberi. Tutti i mercati sono manipolati dalla Federal Reserve e dal Tesoro in concerto. Le agenzie di regolamentazione, controllate dalle stesse persone ed entità sulle quali dovrebbero teoricamente vigilare, chiudono un occhio su qualunque cosa, e anche nei rari casi in cui non lo fanno è tutto ugualmente inutile poichè non hanno alcun potere di far rispettare la legge dal momento che gli interessi privati sono sempre, immensamente, più forti delle leggi. Anche le agenzie statistiche del governo sono state corrotte. Manipolazioni sono state messe in atto allo scopo di sottostimare il tasso di inflazione. La bugia non soltanto risparmia a Washington l’onere di reindicizzare i sussidi adeguandoli al costo della vita reale, liberando altri soldi per le infinite guerre, ma specialmente, sottostimando l’inflazione il governo fa apparire dal nulla incrementi del Pil spacciati come reali, contando l’inflazione come crescita reale, allo stesso modo, d’altronde, in cui il governo fa figurare un 5% di disoccupazione escludendo dal computo tutti gli scoraggiati che hanno cercato troppo a lungo e per i quali continuare a cercare rappresenta ormai solo una perdita di tempo.Come mai la quota di disoccupati ufficiale è del 5% ma nessuno riesce a trovare un lavoro? Come fa ad essere del 5% quando la metà delle persone di 25 anni sono costrette a vivere in casa dei parenti perchè non riescono a permettersi una vita indipendente? Come riferisce John Williams di “Shadowfacts”, se il tasso di disoccupazione includesse i cosiddetti “scoraggiati” che non cercano più attivamente impiego (perchè non ci sono lavori da trovare) il tasso di disoccupazione sarebbe al 23%. La Federal Reserve, strumento privato nelle mani di un gruppetto di grosse banche, è riuscita a creare l’illusione di una ripresa economica almeno da giugno 2009 ad oggi, semplicemente stampando migliaia di miliardi di dollari dei quali non un centesimo è confluito ad alimentare l’economia, ma tutti a gonfiare i prezzi delle azioni delle multinazionali. Le gonfiature artificiali dei prezzi di azioni e obbligazioni sono le “prove” di una economia rigogliosa che la stampa finanziaria prostituita continua senza sosta a sciorinare.Quelle pochissime persone di cultura e buon senso rimaste in America, e dico per esperienza diretta che parliamo davvero di pochissime persone, capiscono benissimo che non è mai esistita una ripresa dall’ultima recessione e che, al contrario, una ulteriore recessione è alle porte. John Williams ha evidenziato come la produzione industriale Usa, debitamente parametrata all’inflazione, non ha mai recuperato i livelli del 2008 ed è ben lontana dal picco del 2000, ed è in costante calo. Il consumatore americano è esausto, schiacchiato da debiti contratti e impossibilità a guadagnare di più. L’intera politica economica americana è concentrata sulla tutela costante di qualche banca a New York, non nel salvataggio dell’economia americana. Economisti blasonati e compari di Wall Street liquiderebbero il problema del declino della produzione industriale con il fatto che “l’America ormai è una economia dei servizi”. Gli economisti pretendono che tali servizi siano servizi altamente tecnologici della New Economy, ma la realtà è che camerieri, baristi, commessi part-time e servizi sanitario-inferimieristici hanno rimpiazzato gli impeghi manufatturieri ed ingegneristici e pagano una frazione rispetto a quest’ultimi, cosa che provoca un collasso della domanda aggregata in tutti gli Usa.Se gli economisti neoliberali (cosa che non accade quasi mai pubblicamente) vengono messi spalle al muro e costretti ad ammettere i problemi, si arrampicano sugli specchi cercando il colpevole nella Cina. Non è chiaro se a questo stadio esistano possibilità di rivitalizzare l’economia americana. Rivitalizzarla richiederebbe una ri-regolamentazione del settore finanziario e fare di tutto per riportare a casa i posti di lavoro e la produzione che sono state svendute a paesi d’oltremare. Richiederebbe, come Michael Hudson sa dimostrare nel suo ultimo libro “Killing the Host”, una rivoluzione nelle politiche fiscali che impedirebbe al settore finanziario di appropiarsi in maniera parassitaria dei surplus generati dall’attività economica reale, poi capitalizzandoli in obbligazione debitorie che garantiscono la perpetua percezione di interessi per il settore finanziario. Il governo Usa, controllato com’è da interessi economici tra i più sporchi e immorali, non permetterebbe mai politiche che anche soltanto si azzardino a sfiorare i bonus faraonici dei managers e i profitti di Wall Street.Il capitalismo Usa di oggi basa i suoi profitti sulla vendita dell’economia americana e con essa tutta la gente che ne dipende per il proprio sostentamento. Nell’ America della “libertà e democrazia” il governo e i poteri economici servono interessi che non hanno assolutamente nessun punto di contatto con gli interessi del popolo americano. La svendita in corso è protetta e mascherata da un panopticon propagandistico fornito dagli economisti neoliberali, prostituti finanziari ed editoriali che si guadagnano da vivere solo e soltanto mentendo dalla mattina alla sera. Quando l’America fallirà, a ruota la seguiranno i vassalli di Washington in Europa, Canada, Australia e Giappone. A meno che nella peggiore delle ipotesi Washington non distrugga il mondo con un conflitto nucleare, a quel punto i rapporti mondiali di forza saranno interamente ridefiniti, e l’Occidente corrotto e dissoluto non sarà nient’altro che la parte più insignificante di questo nuovo mondo.(Paul Craig Roberts, “Ventunesimo secolo, un’epoca di frodi”, dal blog di Craig Roberts del 18 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”).Negli ultimi anni del XXesimo secolo, la frode diventò un elemento stabile della politica estera Usa sotto una nuova forma. Sotto falsi pretesti Washington smantellò la Jugoslavia, poi la Serbia, tutto allo scopo di portare avanti una agenda mai dichiarata. Nel XXIesimo secolo la stessa frode si è replicata molteplici volte: Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia sono state distrutte; l’Iran e la Siria avrebbero fatto certamente la stessa fine se il presidente russo non avesse preso misure preventive affinché ciò che ciò accadesse. Washington è inoltre dietro alla distruzione dello Yemen in corso, senza dimenticare che ha consentito ed attivamente finanziato la distruzione della Palestina per mano israeliana. In aggiunta si è consentito frequenti operazioni militari in Pakistan senza che alcuna guerra fosse stata dichiarata, uccidendo donne, bambini e anziani sotto la sigla di “lotta al terrorismo”. I crimini di Washington possono rivaleggiare con quelli di qualsiasi nazione in qualsiasi momento storico.
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Riparare il sistema: noi, prigionieri di illusioni (magiche)
Ci troviamo in una crisi del sistema, che potrebbe farlo cadere, o semplicemente in una ordinaria crisi nel sistema, oppure (peggio ancora) in una crisi progettata e prodotta dal sistema per perfezionarsi e perpetuarsi? E poi: il genere umano può essere portato ad accettare condizioni di vita tali da farlo regredire a livelli subumani, o da farlo estinguere, in modo che si scongiuri il disastro ecologico? Il capitalismo finanziario digitalizzato e globalizzato tende a smaterializzare ogni bene, merce, servizio, anche gli esseri umani, traducendoli in valori finanziari, ciè in simboli, in numeri, e a metterli online per moltiplicare il profitto contabile che esso per sua natura persegue, ignorando tutto il resto. Il cambiamento consisterà nell’essere tradotti in bits, bites e figures? Che altre trasformazioni ci saranno imposte per renderci idonei a questa traduzione? E che ragion d’essere resterà alla nostra vita biologica, dopo che questa smaterializzazione sarà state eseguita?La logica impellente della massimizzazione del profitto, sostiene Marco Della Luna, non ammette limiti nemmeno morali alla mercificazione di ogni cosa esistente o “esistibile” (futures), né ammette diritti inalienabili, quindi una natura umana (giuridica, genomica) intangibile, un uomo portatore di diritti incondizionati, «perché di ciò che è incondizionato non si può fare trading, e ciò di cui non si può far trading non può generare profitto». Convertire il capitalismo per renderlo solidale con l’umanità e l’ambiente? Pura utopia. Nel libro “Neuroschiavi”, scritto con Della Luna, lo psichiatra Paolo Coni scrive: «Sono un grave paranoico e sto da anni pensando di mettere su un piano per assoggettare tutta la popolazione mondiale ai miei voleri». Un decalogo agghiacciante. Primo, «drogare la popolazione con sostanze d’abuso e farmaci». Poi, «diminuire il Qi generale favorendo programmi d’intrattenimento di massa demenziali, “divertendo” attraverso la solleticazione di impulsi primordiali». Bisogna «distruggere ogni riferimento a tradizioni, cultura e religione, sbandierando, per prevenire obiezioni, che mi sto occupando di favorire la “cultura” della popolazione».E bisogna «distruggere la scuola, riempiendola di contenuti “alternativi” che confondono sugli obiettivi da raggiungere e fare screening psicologico-psichiatrici nelle scuole per individuare bambini disturbati da “normalizzare». Poi occorre «rendere insicura la popolazione facendola invadere da masse informi e incontrollate, non integrabili», e al tempo stesso «fare proclami di integrazione e di accoglienza impossibili da gestire e, mentre la popolazione si sente invasa e impaurita, farla sentire ancora più insicura sbandierando l’apertura dei confini indiscriminata». Economia: «Dopo aver fatto assaporare un periodo di benessere economico teso alla spesa incontrollata, con il denaro che ha sostituito i precedenti valori, provocare una “crisi” economica senza fine dove la popolazione fa fatica a tirare avanti e non ha più valori sostitutivi al denaro, che viene a mancare». Tutto questo, mentre si mostra «gente viziata e ricchissima che guadagna stipendi da mille e una notte per tirare due pedate o cantare una canzoncina, o occuparsi del nostro bene pubblico».Bisogna anche «distruggere quel che resta della famiglia, logorata da anni di leggi contrarie ad incentivarla e da un’ideologia del godimento che l’ha minata culturalmente, rendendola un optional arcobalenato». Infine, conviene «introdurre norme sempre più restrittive della libertà di pensiero, in nome della “democrazia”», e naturalmente «distruggere l’identità di genere fino dalle scuole, confondendo le idee su quelle che sono le basi della personalità individuale». Bisogna anche essere rassicuranti, ricorda Della Luna: «Se c’è un problema di cui manca una soluzione, o non parli del problema, o inventi una soluzione bella, desiderabile, confortante e almeno astrattamente possibile, per quanto irrealistica, o non “falsificabile” – ad esempio, una soluzione “spirituale”». La tua ostentata sicurezza sarà manna, per i clienti: «Avranno un bisogno permanente delle tue prestazioni per stare bene, per vincere, temporaneamente, la paura e la frustrazione». Oggi, infatti, «di fronte a problemi molto grandi, gravi e minacciosi, da cui ci si sente sovrastati, si tende ad accettare soluzioni e speranze irrazionali, inverificabili, o anche magico-religiose». Così, ci abbandoniamo a pericolose illusioni, scrive Della Luna in un post che riprende una recente conferenza.«Quando l’uomo si sente insoddisfatto, in pericolo e sfiduciato, anche delle proprie capacità di analisi razionale, tende a rivolgersi all’irrazionale, al pensiero consolatorio, per un aiuto o una speranza o una profezia, per poter pensare e progettare il proprio domani. E tende ad assumere un atteggiamento psicologicamente regressivo, infantile». E quindi, si sogna a occhi aperti: «La prima illusione è che vi siano sistemi stabili, per loro natura durevoli se non permanenti, simili alle macchine, la cui condizione normale è funzionare uniformemente». In realtà non esistono sistemi stabilili, tutto è sempre dinamico: «Lo Stato repubblicano italiano oggi si chiama ancora Stato italiano e ha la medesima bandiera anche se, rispetto a quando fu fondato, è divenuto una cosa qualitativamente diversa, avendo ceduto a enti non nazionali la sovranità monetaria, di bilancio, legislativa, e avendo così perduto quella sovranità e indipendenza senza cui uno Stato non è più tale, quindi avendo addirittura cessato, giuridicamente e politicamente, di essere uno Stato».La seconda illusione, prosegue Della Luna, è che “noi” facciamo le trasformazioni, il cambiamento. «Le trasformazioni, i cambiamenti, avvengono sì per effetto dell’interazione di azioni umane e di processi naturali (ad esempio, i cambiamenti climatici che desertificarono il prima lussureggiante Nordafrica seimila anni fa), ma gli effetti, gli esiti dell’interazione delle azioni dei vari soggetti, generalmente, nel medio e lungo termine, non corrispondono affatto alle intenzioni né alle previsioni degli autori delle azioni. La storia non è una successione di decisioni o azioni di maggioranze». Il discorso “noi siamo il 999 per mille, voi siete l’l”, fatto da “Occupy Wall Street”, non ha funzionato, naturalmente. «La storia ultimamente mostra sempre più il carattere aperto e non predeterminabile della vicenda del mondo. Ciò si deve al fallimento, avvenuto alla prova dei fatti, dei due grandi paradigmi organici di interpretazione della storia, ossia di quello marxista (con la sua previsione di fine del capitalismo e di rivoluzione) e di quello liberal-capitalista (con la sua previsione di crescita costante del benessere e della libertà)».Il terzo grande paradigma, quello cristiano, e in generale quello religioso, non viene mai smentito perché può sempre rinviare il momento della verifica finale. «Pertanto le interpretazioni e le rassicurazioni religiose e magico-religiose tendono ad occupare lo spazio perduto dalle altre interpretazioni e rassicurazioni, quelle empirico-razionali». Poi c’è un nuovo modello previsionale, che Della Luna ha esplorato in libri come “Oligarchia per popoli superflui”, “Neuroschiavi” e “Cimiteuro”, ossia «il modello definibile come tecno-gestionale che chiamo “demotecnia” in analogia a “zootecnia”: un’élite sovranazionale dominante, detenendo il potere politico ed economico, e disponendo di una tecnologia idonea, ha assunto e conduce la gestione dall’alto e dal di fuori della popolazione terrestre in forme e con rapporti analoghi a quelli della zootecnica, grazie appunto al divario incommensurabile di conoscenze e di mezzi tecnologici a disposizione, simile a quello che divide l’allevatore dagli animali allevati, e alla sua capacità di pianificare e agire sottotraccia per raggiungere obiettivi di lungo termini, soprattutto in fatto di modificazione della società e della cultura». La presente crisi economica «è indotta volontariamente, allo scopo di implementare questo sistema di gestione». Per Della Luna, «è un’operazione di ingegneria sociale che mira non tanto al profitto quanto al controllo». Un sistema di dominazione molto forte, «ma non per questo assolutamente stabile o permanente».La terza illusione è quella della giustizia, sostiene Della Luna (che è un avvocato). Un potere giudiziario che abbia la forza e l’interesse per far valere o ristabilire la legalità e i diritti? «Non c’è. Penso gli ingenui benintenzionati che studiano complesse e coraggiose denunce contro le illegalità del sistema e le presentano a qualche Procura della Repubblica, con alte aspettative. Regolarmente, queste iniziative finiscono nel nulla, ossia nelle sabbie giudiziarie». A prescindere dal fatto che i magistrati hanno poteri di intervenire solo su responsabilità singole e non sistemiche, e che non hanno un potere materiale «nemmeno lontanamente paragonabile a quello degli interessi costituiti in potere statuale», sono essi stessi «in amplissima maggioranza fidelizzati al sistema degli interessi, che percepiamo come ingiusto, mediante la concessione di privilegi e prerogative». La loro funzione «è piuttosto quella di mediare tra l’ordinamento reale del potere e dei suoi interessi, da una parte, e la legalità di facciata dall’altro, cercando di tener nascosto il primo e di preservare l’apparenza di legalità agli occhi della popolazione generale».La quarta illusione, prosegue Della Luna, «è quella della magia delle parole, delle formule magico-giuridico che, nella mente di chi ci crede, sarebbero capaci di alterare la realtà delle forze in campo, della potenza materiale, mentre è vero l’inverso, ossia che il diritto viene creato e plasmato dagli interessi e dai loro rapporti di forza materiale». Il diritto inizia dal rispetto del fatto, e non viceversa. «In questa illusione si trovano coloro che pensano di poter ottenere trasformazioni pratiche del mondo (cioè rinunce ai soprusi che i potenti compiono per il loro tornaconto) usando formule, più o meno elaborate, altisonanti o astruse, invocanti la sovranità o l’indipendenza o la rivendicazione di particolari grafie dei nomi». Della Luna considera tutto questo «una forma di pensiero magico, ossia di un pensiero convinto che certe parole e concetti abbiano in sé il potere di modificare direttamente la realtà». Volendo, si tratta di un’illusione «didatticamente benefica, perché avvia alla consapevolezza del problema fondamentale della teoria del diritto e della filosofia politica», e cioè: se e come il diritto si differenzia dalla potenza di fatto, materiale.A quali condizioni lo Stato può avere pretese di sovranità sugli uomini diverse da quelle basate sulla sua forza materiale di minaccia e coercizione? E quali sono i limiti della legittima azione del potere politico sugli esseri umani e sui loro diritti? «Questa è una importantissima tematica, oggetto di studi e di elaborazione da quasi 25 secoli. Mi auguro che chi si interessa alla sovranità cerchi di informarsi su questa materia, onde non trovarsi a prendere lucciole per lanterne e altri facili abbagli, rendendosi ridicolo, quando può dire, invece, cose sensate». Ed eccoci alla quinta illusione, quella ingegneristica, ossia quella dei tecnici e degli studiosi, soprattutto economisti, che hanno analizzato bene la situazione e hanno capito che cosa non va, che cosa non si deve fare, che cosa si deve invece fare, e si aspettano che sia i potenti che la parte pensante del popolo capisca le loro ragioni, quindi metta in atto i loro consigli. «E insistono a propalarli in scritti, convegni, interventi pubblici, tentativi di entrare in qualche partito. Ma ciò che si aspettano non avviene – e la recente storia economica è piena di ottimi moniti e consigli (circa l’euro o la banca universale o la globalizzazione) rimasti puntualmente disattesi».Non cambia, la situazione di fondo, per tre motivi: i migliori consigli «mirano al bene comune e non a quello di chi ha il potere di decidere». Inoltre «il popolo ha la testa altrove, non si interessa, non capisce, se capisce poi dimentica, e in ogni caso non si organizza e non agisce e si appaga di contentini non strutturali che il potere elargisce al momento opportuno». Infine, «i grandi sistemi super-complessi non possono essere riparati ingegneristicamente come le macchine, non solo perché troppo complessi per essere capiti organicamente, ma anche perché contengono chi li vuole riparare e reagiscono alla sua azione». Poi ci sono «illusioni a base economica, soprattutto quella dei mercati liberi ed efficienti (ossia che prevengono o guariscono rapidamente le crisi economiche)», illusione «smascherata dai fatti oggi sotto gli occhi di tutti». E c’è anche «l’illusione opposta, quella statalista, ossia che l’intervento pubblico possa correggere il mercato agendo su di esso; questa illusione è dissolta dall’osservazione che anche lo Stato, persino lo Stato comunista, viene privatizzato, ossia che organizzazioni private si impadroniscono di esso (il Partito, la mafia, il cartello bancario)».Ci troviamo in una crisi del sistema, che potrebbe farlo cadere, o semplicemente in una ordinaria crisi nel sistema, oppure (peggio ancora) in una crisi progettata e prodotta dal sistema per perfezionarsi e perpetuarsi? E poi: il genere umano può essere portato ad accettare condizioni di vita tali da farlo regredire a livelli subumani, o da farlo estinguere, in modo che si scongiuri il disastro ecologico? Il capitalismo finanziario digitalizzato e globalizzato tende a smaterializzare ogni bene, merce, servizio, anche gli esseri umani, traducendoli in valori finanziari, ciè in simboli, in numeri, e a metterli online per moltiplicare il profitto contabile che esso per sua natura persegue, ignorando tutto il resto. Il cambiamento consisterà nell’essere tradotti in bits, bites e figures? Che altre trasformazioni ci saranno imposte per renderci idonei a questa traduzione? E che ragion d’essere resterà alla nostra vita biologica, dopo che questa smaterializzazione sarà state eseguita?
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William White: il mondo va verso epiche bancarotte
«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali. Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi. «I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare que che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato». Quale sarebbe il modo ordinato? «I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri». Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.Dunque è una questione di potere: i vincenti (non so se ho detto Germania) devono subire un ridimensionamento a favore dei perdenti? Ovvio che resistano: gli attacchi di Juncker a Renzi sono uno dei fenomeni della resistenza dei vincitori, che non vogliono fare la loro parte, e continuare a vincere fino al default generale dei perdenti. Secondo mr. White, i creditori europei sono quelli che probabilmente subiranno un più grosso taglio da un giubileo. Le banche europee hanno ammesso di avere un trilione di prestiti non funzionanti; sono pesantemente esposte ai mercati emergenti e stanno certamente prolungando debiti marciti che non hanno mai rivelato (viene a mente Deutsche Bank, il buco con un paese attorno? Non solo…). Il sistema bancario europeo dovrà essere ricapitalizzato su scala mai immaginata prima, e le nuove regole di bail-in significano che ogni depositante sopra i garantiti 100 euro dovrà contribuire al pagamento (si capisce perché Berlino ha salvato le sue banche con quasi 300 miliardi di soldi pubblici, poi ha fatto votare al parlamento italiano le norme sul bail-in?)White è uno dei pochissimi che ha detto ad alta voce, dal 2008, che la finanza occidentale stava andando a sbattere provocando una violenta crisi finale. Il solo a dire che stimolare l’economia a forza di stampaggio e tassi zero da parte delle banche centrali dopo la crisi Lehman (2007) alimentava “stimoli” dell’Asia e nei mercati emergenti, gonfiando bolle di credito, e un aumento dell’indebitamento in dollari che era difficile da controllare in un mondo di libera circolazione di capitali. La globalizzazione capitalistica ha sempre prodotto lo stesso danno finale: chi lo ha negato per tutti questi anni, è solo perché ci guadagnava: faceva vincere la sete del potere invece della verità. Il risultato? che anche gli emergenti sono oggi nel gorgo del debito. I debiti privati e pubblici sommati sono saliti in questi mercati al 185% del Pil, e nei paesi Ocse del 265 per cento: «Il 5 per cento in più rispetto all’altro ciclo del 2007» che ha portato al disastro Lehman e alla crisi recessiva mondiale in corso. Con questa complicazione: «I mercati emergenti, allora, furono parte della soluzione. Adesso anch’essi sono parte del problema». Traduzione: il capitalismo si salvò indebitando (pardon, “facendo giungere capitali per lo sviluppo dei”) paesi emergenti, fino a renderli come sono ora, insolventi. Ora anche loro anno bisogno di un giubileo.Che cosa produrrà il crollo del sistema dando il via alle epiche bancarotte mondiali? Impossibile dirlo: «Il sistema ha perso la sua ancora ed è prono alle rotture in modo inerente». Una svalutazione cinese può metastatizzare. «Ogni paese grande s’è lanciato in una guerra valutaria, anche se si ostina a dire che il quantitative easing non ha nulla a che fare con la svalutazione competitiva. Hanno giocato, tranne la Cina – fino ad ora». L’effetto dello stampaggio è uno spendere in anticipo sul futuro; ciò provoca una tossicodipendenza e, alla fine, non riesce più a “fare trazione” Alla fine, il futuro arriva nel presente, e non puoi più spenderlo. E il gioco mica l’han cominciato dal 2007. Già nel 1987 la Fed ha iniettato troppo stimolo per prevenire una “purga” (dei creditori) dopo il crash che avvenne allora. Dopodiché le “autorità”, banche centrali e governi, hanno lasciato che ogni boom facesse la sua corsa, pensando che avrebbero avviato la pulizia più tardi, e rispondendo ad ogni shock con altra stampa, alacremente. Ciò ha portato, secondo l’esperto della Bri, la finanza a una convinzione della facilitazione perpetua, fino alla caduta degli interessi al disotto del loro “tasso naturale”, cessando di essere un segnale del rischio di credito.«L’errore fu peggiorato negli anni ’90, quando Cina ed Europa dell’Est sono state unite improvvisamente all’economia, inondando il mondo con esportazioni a basso prezzo. I prezzi calanti dei beni industriali hanno mascherato l’inflazione degli attivi (finanziari) che stava avvenendo. I politici sono stati indotti all’inazione da una serie di credenze consolanti, che ora si rivela false. Sono stati indotti a credere che finché l’inflazione è sotto controllo, tutto va bene». Ecco in poche limpide parole perché gli americani hanno accelerato la globalizzazione, fatto entrare il gigante cinese nel mercato mondiale nonostante la sua economia statalista, ed aperto all’Est europeo: per gonfiare la loro bolla, e andare avanti ancora un po’. Adesso la Cina, dopo uno sviluppo eccessivamente rapido artificialmente montato dai capitali, si è trasformata da locomotiva in valanga. Una valanga immane.La Fed ha prodotto bolle su bolle, fino a provocare quella in cui siamo oggi: la “debt deflation” preconizzata da Irving Fisher, il grande economista della Grande Depressione. Oggi la Fed è in «un terribile dilemma», e tenta di raddrizzare la nave sottraendosi a ulteriori quantitative easing. «Se alzano i tassi, sarà brutta. Se non li alzano, non si fa’ che peggiorare la cosa. La situazione è così maligna, che non esistono risposte giuste per risolverla. E’ la trappola del debito, non c’è uscita facile». Secondo mr. White, un inizio sarebbe che i governi smettano di dipendere dalle banche centrali per non essere loro a fare il lavoro sporco. Le banche centrali non possono risolvere un problema di insolvenza, possono solo risolvere problemi di liquidità. I politici «devono ritornare al fondamentale attività di bilancio, chiamatela keynesiana se volete, e lanciare un mai visto e potente programma di investimenti sulle infrastrutture, che si paghi grazie alla crescita maggiore».E’ il momento delle soluzioni alternative, del “quantitative easing per il popolo”? la speranza è che al Forum di Davos i potenti del mondo affrontino in questo problema così limpidamente posto da White e dal “Telegraph”. Ecco uno dei motivi per cui la cancelliera Merkel ha annullato la sua partecipazione a Davos? Se è così, sarà un crollo disordinato, una guerra europea. I tedeschi e Bruxelles sanno che posson perdere tutto,e fanno i duri….E noi, o metà dei media e del popolo italiota, a “prendere le distanze da Renzi”. Lo so anch’io che Renzi è un peso minimo. Ma è lui a questo passo cruciale della storia, ed è la carta con cui dobbiamo giocare. Se aspettiamo – come sempre facciamo noi italiani – l’arcangelo Michele che prenda il governo italiota, per finalmente sentirci ben guidati e pronti alla lotta, abbiamo da aspettare…la possibilità reale è che ci mettano di nuovo Monti, Letta, o Giuliano Amato, o Napolitano. O la Mogherini: vi ho fatto paura, vero?(Maurizio Blondet, “Il mondo va verso epiche bancarotte”, dal blog di Blondet del 20 gennaio 2016).«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali. Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi. «I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare que che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato». Quale sarebbe il modo ordinato? «I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri». Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.
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Renzi teme il referendum contro le sue riforme piduiste
Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.«Inutile star qui a ricordare che alcuni di quelli che Renzi considera “successi” sono in realtà macelleria sociale, a partire dal Jobs Act e dall’abolizione dell’articolo 18, che hanno consegnato la vita e la dignità di ogni singolo lavoratore dipendente al capriccio delle singole imprese o addirittura dei singoli “capetti” e caporali», scrive Barontini su “Contropiano”. «Inutile anche insistere sulla nauseante vicenda delle quattro banche “salvate” sacrificando i correntisti più ingenui, truffati allo sportello con l’offerta di obbligazioni-carta-straccia». Renzi, in realtà, era stato scelto per la bisogna: «Lo abbiamo messo lì noi», rivendicò allegramente Sergio Marchionne quasi agli inizi. Messo lì, Renzi, «per distruggere definitivamente il patto costituzionale del dopoguerra, già duramente sfibrato dal ventennio berlusconiano e dalla lenta scomparsa di una qualsiasi rappresentanza politica “di sinistra” (la cui azione, insomma, fosse coerente con le parole)».E quindi, conclude Barontini, ha perfettamente senso che il premier non-eletto leghi al referendum d’autunno il suo destino politico, «anche se non giureremmo sulle sue effettive dimissioni in caso di sconfitta». Ma attenzione: «Non c’è solo la nefasta grandezza del legare il proprio nome a una svolta reazionaria di portata storica, che manda in soffitta il “patto tra i produttori” (con tutti i compromessi del dopoguerra) e disegna una Terza Repubblica piduista e repubblichina (in combinazione con l’Italicum), in cui soltanto i ceti dominanti possono disporre di rappresentanza e accedere ai palazzi del potere (o quel che ne è rimasto, dopo i molti trasferimenti di sovranità all’Unione Europea)». Secondo l’analista, c’è anche la certezza di una catastrofe del Pd alle elezioni amministrative di primavera. Soprattutto in quelle città dove, per motivi diversi, il partito del premier è quasi scomparso dalla scena politica: Roma e Napoli. «Due città opposte, con la prima che ha visto il Pd gestire l’amministrazione all’interno del sistema chiamato Mafia Capitale, e la seconda che lo aveva espulso già quattro anni fa, scegliendo De Magistris anziché uno dei tanti maneggioni del circo barnum “democratico”».«Il rottamatore quindi lascia che siano i suoi uomini a gestire e perdere la partita di primavera, svalutandone il significato politico generale già cinque mesi prima delle elezioni. E cerchia in rosso la data del referendum per stabilire se la reazione – con lui al balcone – avrà davvero vinto o no». Per Barontini sarà una partita complicata, «perché la retorica del “nuovo” (le riforme, i giovani ministri sempre sorridenti, le facce ignote – più che nuove – che ammoniscono il popolo ogni giorno dallo schermo) ha in genere facile gioco contro tutto quel che – per le ragioni più diverse, dalle nobili alle ignobili – viene comunque racchiuso sotto l’etichetta del “vecchio”». Se non si vuol essere solo spettatori passivi «bisognerebbe saper rovesciare questi termini», perché «non c’è nulla di più “vecchio” di una società in cui chi non possiede un’impresa non ha nemmeno diritto di parola. Non c’è nulla di più “preistorico” di un rapporto di lavoro in cui il “prestatore d’opera” deve essere sempre flessibile e muto, “liquido” e sostituibile in ogni istante. È il mondo disegnato dal capitale multinazionale e dall’Unione Europea, cui Renzi presta temporaneamente la faccia e le battutine».Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.
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Frode e usura? Per le banche sono la regola, non l’eccezione
Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i codiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.La lista delle banche decotte si sta allungando rapidamente, e continuerà ad allungarsi. Probabilmente il fenomeno verrà pilotato per sopprimere banche locali e territoriali, in favore di quelle più ampie. La classe finanziaria, da quando esiste (cioè dalla Prima Guerra Punica) ad oggi, si è sempre industriata per creare nuovi strumenti giuridici, finanziari, e recentemente anche tecnologici, con cui incrementare (e possibilmente legalizzare) le frodi e l’usura verso i propri clienti, il fisco, le pubbliche amministrazioni. Lo ha fatto pagando la politica e gli organi di controllo, e stringendo alleanze di potere. Nei secoli. Pensiamo solo a come i banchieri, anche i più grossi, in tempi recenti hanno fregato gli enti pubblici con i contratti derivati costruiti da esperti per buggerare contraenti. I governanti del tempo lo sapevano, ma non intervennero, se non con un decreto ambiguo, che permetteva la continuazione delle frodi.In particolare, negli ultimi decenni, attraverso un metodico lavoro di lobbying sulla classe politica, tra le altre cose utili a questi scopi ha ottenuto dal legislatore, negli anni ’90, il ripristino della banca universale, cioè l’abolizione della separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario, nonché, dagli anni ’80 fino all’ultima riforma renziana, la privatizzazione graduale della gestione del finanziamento del debito pubblico e della Banca Centrale di emissione (vedi il golpe monetario del 16 dicembre 2006 e la riforma-regalo del decreto legge 133/2013, che ho analizzato rispettivamente nei saggi “Euroschiavi” e “Sbankitalia”). Con la prima delle due riforme, i banchieri si sono fatti autorizzare a usare, con leve temerarie, i soldi dei depositanti per compiere azzardate speculazioni in vere proprie truffe sui mercati finanziari, regolati e non, mandando spesso le banche a gambe all’aria dopo averne estratto l’attivo patrimoniale ed esserselo intascato, distribuendone parte come bonus ai gestori criminali.Con la seconda riforma, si sono fatti controllori di se stessi – quindi è da sciocchi meravigliarsi se le banche centrali, da loro controllate, anziché impedire questi abusi, li nascondono e li agevolano. Aggiungiamo che, direttamente e indirettamente, la Banca d’Italia è ora partecipata maggioritariamente da finanzieri stranieri. Ovviamente, questo esito non poteva non essere previsto e voluto. Con queste premesse, viene da sé che anche la “giustizia” non punisca praticamente mai i banchieri delinquenti. E che anzi la politica si impegni per togliere alla popolazione l’uso della moneta cartacea, emessa dalla banca centrale, per imporle l’uso di quella elettronica, che è creata a costo zero dai banchieri privati e che questi possono azzerare semplicemente con un click del mouse. Se pensiamo a quanto inaffidabile (e in conflitto di interessi con la gente) si è dimostrata la classe dei banchieri, la scelta di affidarle addirittura la creazione e il mantenimento in esistenza della moneta – bene pubblico essenziale – manifesta concretamente quanto è servile e criminale la cosiddetta casta politica.Se non lo fosse, tutelerebbe i depositanti in un modo semplicissimo: farebbe una legge in base alla quale i soldi depositati in banca, salvo diverso accordo, rimangano di proprietà del depositante, e non divengono di proprietà della banca (come avviene oggi): in tal modo, quand’anche la banca fallisca, i depositi sarebbero al sicuro. E farebbe una seconda legge per ripristinare la legge Glass-Steagall e per nazionalizzare la banca centrale e magari anche le banche di importanza strategica. Invece questi politicanti complici hanno costruito un sistema in cui la gente comune e gli imprenditori, devono depositare il denaro in banche che da un lato non remunerano i depositi (né le obbligazioni) con ragionevoli tassi di interesse, e dall’altro li possono arrischiare in operazioni pericolose o addirittura sottrarli (per esempio, mediante acquisizioni fraudolente, come quella multimiliardaria della Banca Antonveneta, fino a perderli, senza mai pagare il fio.Quando oggi si parla all’opinione pubblica del problema della sicurezza bancaria e della necessità di riforme, tutte la questione viene appiattita sul presente, sui fatti ultimamente occorsi, e presentata in modo cronachistico, aneddotico. Dalla narrazione viene rigorosamente tenuta fuori la suddetta realtà strutturale, la prospettiva storica dei rapporti tra banchieri, frodi, politica, legislazione, e gli ultimi episodi, dal disastro-scandalo del Monte dei Paschi di Siena, vengono presentati come novità, incidenti, azioni individuali, anziché come episodi di una vicenda che va avanti da secoli, e in cui il potere finanziario ottiene sempre la meglio, cioè riesce a continuare il suo business, perché lavora con metodo, perseveranza e orizzonti di lungo periodo. Eppure sono molti decenni che avvengono bancarotte bancarie e che ogni volta i tromboni istituzionali promettono che è stata l’ultima volta. In effetti, la gente comune preferisce e capisce meglio le narrazioni giornalistiche in chiave aneddotica e morale, emotiva, dove ci sono colpevoli individuali con cui prendersela, che le complesse e lunghe analisi economiche, strutturali, che spiegano le cose in termini di fattori impersonali.Alle volte, dopo crisi di particolare gravità socio economica, avvengono reazioni politiche che lanciano riforme per tutelare gli interessi dell’economia reale, dei lavoratori, dei risparmiatori, contro quelli della rapace classe bancaria. Così fu, nella Roma antica, con certe riforme dei Gracchi e, in tempi recenti, con la legislazione del tipo Glass-Stegall, la quale, a seguito della crisi del ’29, nella metà degli anni ’30, impose in molti paesi la separazione tra banche di credito e risparmio e banche di investimento finanziario. Ma dopo simili riforme, ogni volta, nel medio-lungo periodo, attraverso il suo metodico lavoro di condizionamento e di corruzione, la classe bancaria (che, a differenza del popolo, è organizzata, attenta e consapevole, nonché lungimirante), regolarmente recupera le posizioni perdute neutralizzando le riforme che ne limitano la libertà di azione e profitto, e avanza verso nuove conquiste di potere e sfruttamento sulla società.Proprio quest’ultima, interminabile crisi economica, con i suoi banchieri super-truffatori che diventano ministri e capi di governo per gestire i disastri da loro stessi creati, e addirittura dettano le regole della sana economia, è l’apoteosi di quanto sopra, e ha trasferito ampie quote del reddito nazionale dai lavoratori e produttori di ricchezza reale ai capitalisti finanziari improduttivi, impadronendosi anche di ulteriori quote di potere politico. Se teniamo presente questa realtà storica, le odierne promesse del governo di fare una riforma del settore del credito nell’interesse dei risparmiatori e a tutela dei loro diritti, appaiono essere pura ipocrisia, l’ennesima frottola da piazzista di provincia – anche senza bisogno di ripercorrere la storia del suo partito politico, e dei suoi alleati cattolici, in relazione alle riforme fatte in materia bancaria dagli anni ’80 ad oggi, tutte meticolosamente studiate per consentire ai banchieri lucrosi abusi di ogni sorta a spese della società civile e produttiva. Le fortune dei politicanti derivati dal vecchio Pci sono dovute proprio alla loro alleanza strutturale col capitalismo finanziario, con la sua capacità di pagare-comprare-remunerare-finanziare i suoi servitori più di ogni altro gruppo organizzato, e coi suoi interessi contrapposti al resto della società. Contrapposti, perché per il capitalismo finanziario le crisi economiche e le guerre sono storicamente le migliori opportunità di profitti ed affermazione.In conclusione, è ovvio rilevare come, anche alla prova dei fatti, il dogma dell’indipendenza dei banchieri centrali dai poteri pubblici come condizione per una sana finanza, tanto caro agli europeisti, fa acqua da tutte le parti. Non solo perché quei banchieri centrali, di fatto, stanno dando migliaia di miliardi gratis ai banchieri per operazioni finanziarie mentre non fanno arrivare liquidità all’economia reale, ma anche perché in realtà questo dogma è servito a rendere le banche centrali indipendenti dei controlli pubblici, però (guardacaso!) dipendenti e possedute dai banchieri privati, in modo che questi possono fare quello che vogliono anche con risparmio dei cittadini, controllando l’organo che dovrebbe controllarli, e continuando a presentare bilanci aggiustati ad arte per nascondere le perdite.(Marco Della Luna, “Frode e usura, normalità bancaria”, dal blog di Della Luna del 24 dicembre 2015).Il problema dei banchieri che mangiano i depositi e gli investimenti dei clienti viene presentato dai mass media in modo deliberatamente fuorviante, cioè come circoscritto a casi anomali e isolati di cattivo esercizio dell’attività bancaria e di insufficiente sorveglianza da parte degli organi di controllo, mentre al contrario da sempre la frode e l’usura e le falsità in bilancio (come pure i cosiddetti prestiti predatori e quelli fatti a società di amici, che non li rimborseranno) sono tra le più costanti ed efficienti fonti di reddito dei banchieri; e il sistema bancario italiano, nonostante i suoi circa 300 miliardi di crediti deteriorati e non dichiarati in bilancio, galleggia ancora solo perché le pratica usualmente nella complessiva tolleranza delle autorità di controllo, compresa quella giudiziaria (e che altro potrebbero fare, le autorità di controllo?). Tali pratiche sono la regola del business bancario perché rendono moltissimo, non sono affatto una deviazione. Lo conferma il fatto che i dipendenti delle banche in default riferiscono di essere stati sistematicamente indotti dai loro superiori a smerciare ai risparmiatori titoli-bidone, sotto minacce varie.
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Usa: tutti più poveri, non stupitevi se vorranno l’uomo forte
Scende la durata della vita, cresce a dismisura la vendita di armi insieme alla frustrazione, alla rabbia, al senso di precarietà e insicurezza. «La fotografia impietosa e allarmante fornita da Robert Reich dei sentimenti che pervadono la sempre più impoverita classe media americana contraddice la rosea immagine divulgata dai nostri media di un’America “in ripresa” dove l’economia cresce e i posti di lavoro aumentano», scrive Maria Grazia Bruzzone. «Quella che era stata la grande forza degli Stati Uniti – una classe media solida, lavoratrice, fiduciosa, dove l’ascensore sociale funzionava, esempio per il mondo – non esiste più e non è una novità. Ma oggi si sta avviando per una china preoccupante alla ricerca dell’uomo forte che possa salvarla. Sta già accadendo». Non solo. «I sentimenti che pervadono la “classe ansiosa”, come la chiama Reich, ci sembrano assomigliare molto a quelli di noi europei. Sempre più attratti, infatti, da partiti anti-sistema, così come negli Usa volano i sondaggi per quell’outsider estremista che è Donald Trump, dal quale i media tutti prendono sdegnosamente distanza, non senza imbarazzo, ma senza vederne la spia di un fenomeno sociale».Con Trump, i media americani si sono comportanti esattamente come quelli europei nei confronti di Marine Le Pen in Francia, «fino a plaudire all’anomala “alleanza” di sinistra e destra “moderata” che ne ha bloccato la vittoria, ma non l’ascesa come primo partito». Sono i motivi per cui, sul suo blog su “La Stampa”, la Bruzzone propone la traduzione di un recente post di Robert Reich, «non un estremista e neppure un disfattista, ma un ex sottosegretario al lavoro durante la presidenza Bill Clinton». Oggi saggista e blogger, con libri pubblicati anche in Italia. «Un allarme, il suo, che fa riflettere. A partire dal titolo: “La classe media americana è in uno stato di rivolta”». Scrive Reich: «La grande classe media americana è diventata una classe ansiosa – ed è in rivolta». Innanzitutto «si sta vieppiù restringendo, come risulta da un’indagine Pew». La middle class «non rappresenta più la maggioranza degli americani, sorpassata dalla somma delle famiglie di classe alta – i ricchi – e bassa – i poveri». Oggi, «le probabilità di cadere nella povertà sono alte in modo impressionante, specialmente per la maggioranza priva di istruzione superiore».Due terzi degli americani vivono di stipendio in stipendio, continua Reich. «La maggior parte può perdere il lavoro in ogni momento. Molti appartengono alla crescente forza lavoro “a richiesta”, impiegati quando e se ve ne sia bisogno, pagati quel che si può, quando si può. Se non riescono a farcela col pagamento dell’affitto o del mutuo, o non ce la fanno a pagare il negozio di alimentari o le bollette, perderanno la loro base e arretreranno ancora». Lo stress impone il pagamento di un pedaggio salatissimo, anche in termini di salute: «Per la prima volta nella storia, la durata della vita della classe media bianca sta scendendo». Secondo una recente ricerca dell’economista Premio Nobel Angus Deaton e della sua collega Anne Case, uomini e donne bianchi di mezza età negli Usa hanno cominciato a morire più presto: «Si avvelenano con droghe e alcol, o commettono suicidio. Le probabilità di essere uccisi da un jihadista in America sono di gran lunga inferiori alla probabilità di queste morti auto-infitte», e la recente tragedia di San Benardino «si limita ad innalzare un senso di arbitrarietà e fragilità soverchianti».La “classe ansiosa” si sente vulnerabile davanti a forze di cui non ha alcun controllo, e in più sa di non poter contare su un governo che la protegga. «Le reti della sicurezza sono piene di buchi. La maggior parte di coloro che hanno perso il lavoro non hanno neppure un’assicurazione per la disoccupazione» (la cassa integrazione negli Usa non è mai esistita). «Il governo non proteggerà il loro posto di lavoro dall’essere trasferito (“outsourced”) in Asia, o dal venir sostituito da un lavoratore illegale». Il governo «non è neppure in grado di proteggerli da persone malvage con armi o bombe. Ed è il motivo per cui la classe ansiosa si sta armando, comprando armi in quantità record». In novembre, l’Fbi ha censito 2 milioni e 243.000 nuove armi: il 2015 si avvia così a superare il record del 2013, con 21 milioni di armi. «Il governo è considerato non tanto incompetente quanto incapace di dar loro un accidente», continua Reich. «Lavora per i big e i ricchi – il “capitalismo degli amici” che foraggia i candidati e ottiene in cambio speciali favori». Moltissimi gli “arrabbiati”, convinti che il governo «è gestito dai banchieri di Wall Street che sono stati salvati dopo aver provocato il caos nell’economia, dai titani delle corporations che hanno ottenuto lavoro a basso costo, dai miliardari che hanno avuto scappatoie fiscali di ogni genere».Due autorevoli scienziati della politica, Martin Gilens e Benjamin Page, hanno esaminato 1.799 decisioni prese dal Congresso in vent’anni, scoprendo e chi le ha influenzate. La loro conclusione: «Le preferenze dell’americano medio sembrano state scarsissime, vicine allo zero, statisticamente non rilevanti nell’impatto sulla politica pubblica». Per Reich, «è solo una questione di tempo prima che la classe ansiosa si rivolti. Sosterranno un uomo forte che li protegga da tutto il caos. Uno che salvi il loro posto di lavoro dall’essere trasferito all’estero, si scontri con Wall Street, bastoni la Cina, faccia piazza pulita dei lavoratori illegali, impedisca ai terroristi di entrare in America. Un uomo forte che possa rendere l’America di nuovo grande – che in realtà significa rendere di nuovo sicuri i cittadini che lavorano. Era – è – un sogno del tubo, naturalmente, un inganno da illusionista. Nessuna persona singola può fare questo. Il mondo è di gran lunga troppo complesso. Non puoi costruire un muro lungo il confine col Messico [dal quale entrano negli Usa migliaia di immigranti, lavoratori illegali]. Non puoi tener fuori tutti i musulmani come ha appena proposto Trump, con grande scandalo mediatico. Non puoi impedire alla corporations di spostare sedi all’estero. Non lo si può nemmeno tentare. Eppure, loro pensano che ci possa essere uno abbastanza intelligente e in gamba da poter cambiare tutto».Donald Trump, per esempio: «E’ ricco. Dice le cose come stanno. Rende ogni tema un test della sua forza personale. Dice che i suoi avversari sono deboli mentre lui è forte. E’ crudo e rude? Forse è quel che ci vuole per proteggere la gente media in questo mondo crudelmente precario». Per anni, Reich ha percepito «il brontolio della classe ansiosa». Scrive: «Ho ascoltato la sua rabbia crescente – nelle sedi sindacali, nei bar, nelle miniere di carbone e nei saloni di bellezza, nelle strade e lungo le acque stagnanti dell’America. Per anni ho sentito le sue lamentele, le sue teorie cospirazioniste, la sua indignazione». Spiega: «Per lo più sono brava gente, non bigotti o razzisti. Lavorano sodo e hanno un grande senso dell’equità. Ma il loro mondo pian piano è stato messo da parte. E loro sono impauriti e stanchi». Ora che succede? «Arriva qualcuno che è anche più bullo di quelli che per anni li hanno angariati economicamente, politicamente e anche violentemente. L’attrazione è comprensibile, anche se mal riposta. Se non sarà Donald Trump, sarà qualcun altro che si presenta come uomo forte. Se non sarà questo ciclo elettorale, sarà il prossimo. La rivolta della classe media ansiosa è appena cominciata».Scende la durata della vita, cresce a dismisura la vendita di armi insieme alla frustrazione, alla rabbia, al senso di precarietà e insicurezza. «La fotografia impietosa e allarmante fornita da Robert Reich dei sentimenti che pervadono la sempre più impoverita classe media americana contraddice la rosea immagine divulgata dai nostri media di un’America “in ripresa” dove l’economia cresce e i posti di lavoro aumentano», scrive Maria Grazia Bruzzone. «Quella che era stata la grande forza degli Stati Uniti – una classe media solida, lavoratrice, fiduciosa, dove l’ascensore sociale funzionava, esempio per il mondo – non esiste più e non è una novità. Ma oggi si sta avviando per una china preoccupante alla ricerca dell’uomo forte che possa salvarla. Sta già accadendo». Non solo. «I sentimenti che pervadono la “classe ansiosa”, come la chiama Reich, ci sembrano assomigliare molto a quelli di noi europei. Sempre più attratti, infatti, da partiti anti-sistema, così come negli Usa volano i sondaggi per quell’outsider estremista che è Donald Trump, dal quale i media tutti prendono sdegnosamente distanza, non senza imbarazzo, ma senza vederne la spia di un fenomeno sociale».
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Le Pen ha perso. La cattiva notizia? Hanno vinto gli altri
«C’è una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che hanno vinto gli altri». Secondo Aldo Giannuli, «siamo stretti fra un presente insopportabile e un’alternativa peggiore». Se il Front National non può essere definito “fascistoide”, come Alba Dorata e l’ungherese Jobbik, sul partito di Marine Le Pen – uscito sconfitto ai ballottaggi per le amministrative (nonostante gli 800.000 voti in più rispetto al primo turno) grazie all’alleanza tra Hollande e Sarkozy – pesano «il più frusto e gretto nazionalismo, la critica superficiale dei poteri finanziari che lascia intatto l’assetto capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità reazionaria». E poi «la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte». Ma la cattiva notizia, aggiunge Giannuli, «è che vincano quelli di sempre, le forze di sistema».Certo, i socialisti ne escono massacrati con la certificazione della loro irrilevanza politica, anche se il loro capo resta all’Eliseo. «Ma risorge la stella di Sarkozy: sai che acquisto!». Come è accaduto all’Ukip, a Podemos ed al M5S, forze diversissime fra loro ma accomunate dalla collocazione antisistema, il Fn è stato fermato quando sembrava stesse per spiccare il grande balzo, scrive Giannuli sul suo blog. «Personalmente penso che Ukip, Afd e Fn siano alternative peggiori all’esistente, mentre Podemos e M5S, al contrario, siano preferibili». In Grecia si è affermata Syriza – sappiamo a quale prezzo – e la coalizione di Tsipras è più simile alla Linke tedesca, con cui condivide l’appartenenza alla Sinistra Europea, piuttosto che a Podemos, nuovissima forza emersa come risposta alla crisi. Anche il voto francese dimostra che le forze più nuove e dichiaratamente antisistema «non riescono a sfondare, pur ottenendo risultati vistosi», anche per via del blocco delle “famiglie” politiche tradizionali (socialdemocratici, democristiani, liberali e Verdi), tutti pronti a far quadrato contro i “barbari”.In questo comportamento dell’elettorato, continua Giannuli, è evidente la paura del “salto nel buio”: «Ad esempio, l’uscita dall’euro è vista come una avventura pericolosissima che mette a rischio risparmi e redditi da lavoro, e la risposta delle forze antisistema (a parte Podemos che non mette in discussione l’euro o l’appartenenza alla Ue) non è apparsa tranquillizzante, perché non è stata prospettata alcuna credibile exit strategy che, quantomeno, attutisca l’eventuale urto». Più in generale, «queste forze sono apparse credibili più come espressione della protesta sociale che come possibile forza di governo: proposte troppo semplicistiche e al limite del miracolismo, personale politico non adeguato al ruolo, apparato organizzativo insufficiente». Per non parlare del silenzio assoluto sulla politica estera. In più, «i partiti antisistema rifiutano ogni alleanza come dimostrazione della loro “diversità”, una forma di integralismo im-politico più ancora che anti-politico».Eppure, un blocco elettorale vincente «non è una sommatoria di voti di anonimi cittadini, ma l’aggregazione di un blocco sociale, in grado di coprire uno spettro di interessi abbastanza stratificato». Neppure la Dc, partito “pigliatutto” per eccellenza, ce la faceva da sola: aveva bisogno dei partiti “laici”. «Può sembrare un paradosso che i partiti che si ergono contro il sistema, in nome degli interessi del popolo, poi non capiscano la dialettica delle forze sociali», aggiunge Giannuli. «Ma è appunto il loro essere populisti che li porta a concepire il popolo come una unità omogenea, priva di interessi differenziati e non attraversata da una dialettica interna». Insomma, «la protesta è giusta ma non basta». Per il salto – dalla protesta alla proposta – occorre «munirsi di una cultura politica di riferimento, superare le rozzezze attuali e darsi una struttura organizzativa adeguata: la tastiera di un computer non è sufficiente ad assicurare tutto questo».«C’è una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che hanno vinto gli altri». Secondo Aldo Giannuli, «siamo stretti fra un presente insopportabile e un’alternativa peggiore». Se il Front National non può essere definito “fascistoide”, come Alba Dorata e l’ungherese Jobbik, sul partito di Marine Le Pen – uscito sconfitto ai ballottaggi per le amministrative (nonostante gli 800.000 voti in più rispetto al primo turno) grazie all’alleanza tra Hollande e Sarkozy – pesano «il più frusto e gretto nazionalismo, la critica superficiale dei poteri finanziari che lascia intatto l’assetto capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità reazionaria». E poi «la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte». Ma la cattiva notizia, aggiunge Giannuli, «è che vincano quelli di sempre, le forze di sistema».
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Guerra e precariato, le ciniche verità di Luttwak e Poletti
Chissà perché in questi giorni ho finito per associare Edward Luttwak a Giuliano Poletti. Sono due persone diversissime per storia cultura e esperienze, l’uno intellettuale militante dell’imperialismo Usa, l’altro burocrate un poco rozzo del pentitismo comunista. Sono persone normalmente lontanissime eppure le loro uscite di questi giorni sui mass media italiani me li hanno fatti sembrare assai vicini. Il primo a La7 ha rivendicato con orgoglio il sostegno degli Stati Uniti ai talebani e a ciò che ne è seguito. È stato un buon affare comunque, ha detto, perché in Afghanistan è crollata l’Unione Sovietica è così l’Occidente ha visto sconfitto il suo principale nemico. Il secondo ha dichiarato inutili le lauree con alti voti, magari conseguite in ritardo, e poi ha rivendicato la necessità di superare il concetto stesso di orario di lavoro, sostituendolo con la retribuzione a prestazione. Io trovo che entrambi abbiano brutalmente descritto la verità. Per Luttwak la guerra si fa per conquistare potere e chi la vince, qualsiasi mezzo usi, ha sempre ragione. Non troveremo in lui le ributtanti ipocrisie sulle guerre umanitarie e democratiche. Le guerre servono a tutelare precisi interessi e per questo devono essere astute e spietate.Le guerre di Luttwak sono quelle del capitalismo liberista e globalizzato di oggi, quello santificato da George Bush padre allorché dichiarò: il nostro sistema di vita non è negoziabile e verrà difeso in tutti i modi. Giuliano Poletti deve esercitare qualche ipocrisia in più, vista la professione, ma alla fine non scarseggia in brutalità. Il suo attacco al 110 e lode corrisponde ad un mercato del lavoro nel quale i giovani laureati vanno a fare le polpette ai McDonald’s, naturalmente nascondendo il titolo di studio altrimenti non verrebbero assunti. A che serve studiare tanto se i lavori che vengono offerti non corrispondono minimamente alla cultura acquisita? Poco tempo fa ho conosciuto un ricercatore universitario che, stufo di fare la fame, aveva rilevato la bancarella del padre ai mercatini. Poletti sta semplicemente cercando di adeguare le aspettative scolastiche alla realtà del mercato del lavoro. Nel quale serve soprattutto una piccola istruzione di base adatta alla nostra società mediatica e consumista. Solo ad una élite rigidamente selezionata, quasi sempre su basi censitarie, sarà consentito di lavorare esercitando le competenze apprese in lunghi studi. Per la maggioranza dei giovani studiare troppo è tempo buttato. Come aveva lamentato Berlusconi, non può essere che anche l’operaio voglia il figlio dottore.Le controriforme della scuola di Gelmini e Renzi hanno cominciato ad adeguare, con i tagli, il sistema formativo al mercato del lavoro fondato su precariato e disoccupazione di massa. Meglio studiare meno e prepararsi ai lavoretti precari che verranno offerti, piuttosto che accumulare rabbia per una laurea non riconosciuta da nessuno. Anche sull’orario di lavoro Poletti ha in fondo detto la verità. La globalizzazione finanziaria, l’euro, le politiche di austerità hanno progressivamente distrutto le secolari conquiste del mondo del lavoro. Che per avere un orario definito per la propria prestazione e ridotto a dimensioni umane e legato ad una retribuzione dignitosa, ha speso 150 anni di lotte e miriadi di vittime. Oggi tutto è in discussione e non perché il lavoro non abbia più bisogno delle tutele conquistate, ma perché il capitale ha trovato la forza di distruggerle. Consiglierei a Poletti, che non pare persona particolarmente colta, la lettura di Furore di John Steinbeck. È la storia di una famiglia che, durante la crisi degli anni 30 negli Usa, è costretta a migrare e a trovare lavoro a cottimo. E arrivano in una azienda ove si raccolgono le cassette di arance a cinque centesimi l’una, senza orario di lavoro e se non va bene via.Il New Deal keynesiano di Roosevelt si rivolse anche contro quel sistema di sfruttamento, che oggi non a caso viene invece riproposto nell’Europa in cui, con l’austerità, trionfa il liberismo e si distruggono lo stato sociale e i diritti del lavoro. Luttwak e Poletti sono dei reazionari, la loro visione del mondo fa venire i brividi e fa tornare indietro di secoli, ma non hanno inventato nulla. Ciò che dicono corrisponde a ciò che si fa realmente nelle nostre società malate. Quindi più che per le loro parole conviene mostrare scandalo per la realtà che cinicamente descrivono e difendono. E soprattutto conviene, quella realtà, provare a cambiarla.(Giorgio Cremaschi, “Guerra e precariato, le ciniche verità di Luttwak e Poletti”, da “Micromega” del 30 novembre 2015).Chissà perché in questi giorni ho finito per associare Edward Luttwak a Giuliano Poletti. Sono due persone diversissime per storia cultura e esperienze, l’uno intellettuale militante dell’imperialismo Usa, l’altro burocrate un poco rozzo del pentitismo comunista. Sono persone normalmente lontanissime eppure le loro uscite di questi giorni sui mass media italiani me li hanno fatti sembrare assai vicini. Il primo a La7 ha rivendicato con orgoglio il sostegno degli Stati Uniti ai talebani e a ciò che ne è seguito. È stato un buon affare comunque, ha detto, perché in Afghanistan è crollata l’Unione Sovietica è così l’Occidente ha visto sconfitto il suo principale nemico. Il secondo ha dichiarato inutili le lauree con alti voti, magari conseguite in ritardo, e poi ha rivendicato la necessità di superare il concetto stesso di orario di lavoro, sostituendolo con la retribuzione a prestazione. Io trovo che entrambi abbiano brutalmente descritto la verità. Per Luttwak la guerra si fa per conquistare potere e chi la vince, qualsiasi mezzo usi, ha sempre ragione. Non troveremo in lui le ributtanti ipocrisie sulle guerre umanitarie e democratiche. Le guerre servono a tutelare precisi interessi e per questo devono essere astute e spietate.
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Giulietto Chiesa: perché Erdogan non avrà quello che voleva
L’obiettivo primario di Erdoğan è stato, ed è, quello di abbattere Bashar al-Assad. Lo spingono le sue ambizioni neo-ottomane, il suo islamismo sunnita ma anche capitalista, comunque anti-sciita. Lo spinge il calcolo tattico di compiacere i neo-con americani (che sono alleati di Israele e, quindi, puntano a liquidare la Siria, ostacolo principale alla costruzione della Grande Israele, dal Sinai fino all’Eufrate). Lo spinge la convergenza di interessi anti sciiti tra Israele, Arabia Saudita e Qatar. Da non dimenticare il “presidential order” con cui Obama, in fotocopia con l’analogo “order” che costituiva la dichiarazione di morte di Gheddafi, affermò nel 2011 che il governo di Damasco costituiva una minaccia per gli interessi americani nell’area. Erdoğan sa di essere nella Nato con lo scopo di difendere quegli interessi strategici, in attesa di costruirsene di propri. La fine di Bashar era il punto di convergenza di tutti questi disegni. Si aggiunga a questo che la Turchia è l’unico paese che può svolgere il ruolo (molto proficuo) di compratore del petrolio che lo Stato Islamico preleva in Siria e Iraq. Quale avrebbe potuto essere il regime che veniva dopo Assad non gli importava molto. In primo luogo perché, con ogni probabilità, la caduta di Assad avrebbe coinciso con il crollo dello Stato siriano, con il massacro degli alauiti-sciiti, e lo smembramento del suo territorio. Cosa che sarebbe stata oltremodo gradita anche a Israele e all’Arabia Saudita. Insomma una ripetizione (ma in grande) della demolizione della Libia.A quel punto ci sarebbe stato solo il problema di tenere a bada gli agenti occidentali di Al Nusra / Al Qaeda. E di competere con Israele nella conquista dei territori rimasti. In primo luogo nel dare un colpo cruciale a Hezbollah e nel prendere il Libano sotto controllo. Erdoğan non è uno sciocco. Sapeva che, nei suoi calcoli, sarebbe entrato anche un altro problema. Quello dei curdi. Il suo secondo obiettivo, parallelo al primo, era quello di impedire la creazione di uno Stato curdo. La distruzione dello Stato siriano avrebbe aperto infatti, come non mai prima d’ora, una tale prospettiva. Per cui, quando – a luglio di quest’anno – decise di entrare apertamente in guerra in Siria con la sua aviazione, spiegò a Obama che lo faceva per combattere lo Stato Islamico. In realtà la mossa gli servì per andare a bombardare i kurdi turchi del Pkk (che avevano rispettato la tregua con il governo curdo negli ultimi quattro anni) e per annichilire i kurdi di Siria (quelli che puntano alla creazione dello Stato curdo, una prima parte, in attesa delle altre) su un pezzo del territorio siriano a ridosso della Turchia. Ma questo stato kurdo di Siria già esiste in embrione. Si chiama Royava ed è stato costruito, pezzo per pezzo, anche con l’aiuto americano, lungo il confine turco.Washington ha contribuito all’operazione perché serviva a smantellare lo Stato siriano, un pezzo per volta. I kurdi siriani, del resto, erano e sono l’unica forza sul campo che agiva simultaneamente contro Assad e contro lo Stato Islamico. E, su questo unico punto, gli interessi di Ankara e quelli di Washington non coincidevano. Poi la Russia è arrivata a guastare il brodo. Putin si è mosso in modo molto pragmatico. Non soltanto per preservare il regime di Damasco, ma per difendere i propri interessi strategici (dare a tutto il Medio Oriente il segnale che la Russia è di nuovo interamente in campo) e anche quelli nazionali (colpire e sradicare sul nascere l’estremismo islamico di origine russa o dei territori ex sovietici). La Russia ha messo in atto una strategia a largo raggio, i cui effetti sarebbero stati tutti negativi per i piani turchi. Obiettivo: impedire il crollo dello Stato siriano e portare Assad al tavolo negoziale per una soluzione futura dopo un cessate il fuoco. Liquidare definitivamente lo Stato Islamico, senza mettere un solo piede russo a terra in Siria. A quel punto i curdi siriani sarebbero un ottimo interlocutore per una pace duratura. In cambio verrebbe data loro quella parte del territorio siriano che si sono guadagnata. Certo, questa parte del ragionamento russo non piacerà ad Assad, ma questi avrà avuto salva la vita e il potere, e potrà accontentarsi.Erdoğan, da quasi vincitore, si trova ora nella posizione di chi ha quasi perduto tutto (salvo i soldi del petrolio trafugato). E nessuno dei suoi alleati ha potuto impedire che avvenisse. Ha pensato che poteva rilanciare, come in una partita a poker, abbattendo il Sukhoi russo e trascinando la Nato ad uno scontro con la Russia. Il fatto è che Putin non sta giocando a poker, ma a scacchi. E “punire” la Russia non è faccenda tanto semplice. Adesso dovrà pagare un prezzo economico molto alto (perché Putin ha di fatto chiuso le frontiere al turismo russo e ai lavoratori turchi e ai capitali turchi in Russia). E un prezzo politico non meno alto. Perfino molti alleati della Nato hanno capito di avere a che fare con un tipo poco affidabile. Erdoğan sarà piaciuto a Varsavia e a Tallinn, Riga e Vilnius, ma certamente non è piaciuto a Parigi e a Berlino.(Giulietto Chiesa, “Erdoğan, cosa vuole – e perché non lo avrà”, da “Il Fatto Quotidiano” del 30 novembre 2015).L’obiettivo primario di Erdoğan è stato, ed è, quello di abbattere Bashar al-Assad. Lo spingono le sue ambizioni neo-ottomane, il suo islamismo sunnita ma anche capitalista, comunque anti-sciita. Lo spinge il calcolo tattico di compiacere i neo-con americani (che sono alleati di Israele e, quindi, puntano a liquidare la Siria, ostacolo principale alla costruzione della Grande Israele, dal Sinai fino all’Eufrate). Lo spinge la convergenza di interessi anti sciiti tra Israele, Arabia Saudita e Qatar. Da non dimenticare il “presidential order” con cui Obama, in fotocopia con l’analogo “order” che costituiva la dichiarazione di morte di Gheddafi, affermò nel 2011 che il governo di Damasco costituiva una minaccia per gli interessi americani nell’area. Erdoğan sa di essere nella Nato con lo scopo di difendere quegli interessi strategici, in attesa di costruirsene di propri. La fine di Bashar era il punto di convergenza di tutti questi disegni. Si aggiunga a questo che la Turchia è l’unico paese che può svolgere il ruolo (molto proficuo) di compratore del petrolio che lo Stato Islamico preleva in Siria e Iraq. Quale avrebbe potuto essere il regime che veniva dopo Assad non gli importava molto. In primo luogo perché, con ogni probabilità, la caduta di Assad avrebbe coinciso con il crollo dello Stato siriano, con il massacro degli alauiti-sciiti, e lo smembramento del suo territorio. Cosa che sarebbe stata oltremodo gradita anche a Israele e all’Arabia Saudita. Insomma una ripetizione (ma in grande) della demolizione della Libia.
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Al-Baghdadi alias Simon Elliot, sul web tra Jihad e Mossad
La tragedia di Parigi rappresenta un fatto di eccezionale gravità, perché ha coinvolto persone totalmente estranee ad ogni ideologizzazione e sorprese in un momento di vita quotidiana. Le vittime sacrificali di questo eccidio sommuovono la coscienza, la mettono in subbuglio, perché si tratta di qualcosa che la nostra ragione ci fa comprendere è accaduto in casa nostra. Non segue a questo pensiero una considerazione “buonista”, che aggravi la coscienza con il senso di colpa del non saper avvertire lo stesso dolore per quel che ogni giorno accade in Siria. Sarà eticamente importante, ma non è questo il punto che trasforma un sentimento in un pensiero politico. La soglia di trasformazione è data dal pensiero: cui prodest? a chi serve? chi ne trae vantaggio? E’ possibile trascurare il fatto che gli autori dell’attentato, di quest’ultimo del 13 novembre come di quello alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio sono stati realizzati da musulmani di seconda generazione, residenti in Francia e in Belgio. E’ del tutto inopportuno trarre facili conseguenze o proporre semplificazioni inadeguate.Tuttavia, chi scrive non può dimenticare di aver girato buona parte del Medio-Oriente e, per quanto l’età d’oro di un mondo musulmano che voleva in tutto e per tutto emulare il modello di vita occidentale si sia appannato dopo l’ingiusta operazione contro Saddam Hussein (accusato di avere armi chimiche, secondo un castello di accuse costruito ad arte da Dick Cheney e Valerie Plame per giustificare l’intervento militare a sostegno dei petrolieri voluto da Bush), tuttavia è indiscutibile che la stragrande maggioranza, per non dire pressochè la totalità di coloro che vivono nei paesi del Medio Oriente, null’altro vogliono che vivere tranquilli e in pace. Cos’ha fatto dunque l’Occidente nel momento in cui la Tunisia, l’Egitto, persino lo Yemen, con i movimenti della cosiddetta Primavera Araba, hanno chiesto democrazia e libertà? Nulla, proprio nulla. Niente. Anzi, no. L’Occidente ha colto l’opportunità di operare lo sfruttamento delle risorse del Medio Oriente in modo ancora più cinico.E’ evidente che l’Occidente non vuole la democrazia e l’emancipazione dei popoli che intende piuttosto dominare e sfruttare. I disordini all’interno di questi paesi permettono di attuare la più classica delle politiche di sfruttamento: divide et impera. I militari presidiano i giacimenti petroliferi, l’estrazione del greggio avviene pressoché gratuitamente. Le popolazioni sono messe le une contro le altre, e si guadagna anche dalla vendita delle armi. Si saccheggiano le fortezze. Si trafugano opere d’arte. Gli eserciti regolari fanno la loro parte. Al resto ci pensano le truppe mercenarie. Eccoci al punto. Le truppe mercenarie. Sotto il presidio di garanzia degli eserciti regolari, sono loro che fanno il lavoro sporco. Sono loro che scambiano armi per droga. Su questo genere di indagini, per esempio, sono morti Ilaria Alpi e Mauro Rostagno. Qualcuno ricorderà, spero. E non c’è bisogno di ricorrere a fonti “esotiche” o di estrema sinistra per sapere che, da quando le truppe occidentali sono stanziate in Afghanistan, la produzione di oppio è decuplicata: è “Time” a dichiararlo.L’establishment non fa più mistero delle sue nefandezze, le espone, con la certezza che la notizia, iperinflazionata, sarà notata solo da alcuni, senza giungere alla coscienza dell’opinione pubblica, della coscienza collettiva. Sapendo questo, risulta così sorprendente l’affermazione che Al-Qaida è stata una struttura sotto controllo Cia, i cui leader sono stati formati e addestrati proprio in questo contesto? E può sorprendere che la Cia sia sotto controllo da parte di forze occulte come la Pentalfa? E’ così impensabile che Bin Laden e Al-Baghdadi siano stati formati da questi ambienti? E, da ultimo, come attualmente circola la notizia sul web, che il sedicente califfo Al-Baghdadi non sia che un agente del Mossad, il cui vero nome è Simon Elliot? E’ tutto questo così incredibile? Oppure, come sempre, la realtà supera la fantasia?Prima di chiudere questo articolo, due considerazioni vanno svolte. La prima, avvertendo che quanto qui scritto non si adagia su un facile “complottismo”. Soprattutto, nessuno pensi che qui sia espressa una posizione antisemita e anti-israeliana. Al contrario, la posizione è certamente filo-israeliana: ma a favore di quell’Israele sognato da quegli intellettuali ebrei che già all’alba del riconoscimento di Israele come Sato nazionale, opponevano a questo preteso “trionfo del sionismo” la scelta di un “sionismo spirituale”, che rifiutava di immaginare il nuovo Israele come Stato nazionale proprio a causa di quel tremendo olocausto che i nazionalismi aveva fatto subire al popolo ebraico che dunque, invece che Stato nazionale, avrebbe dovuto essere un protettorato internazionale, sede ospitante di quel che avrebbe dovuto essere “un popolo di sacerdoti”, “luce per le nazioni”. Naturalmente, questa idea venne respinta dalla maggioranza.La seconda, che rattrista ancor più, è data dal fatto che il ventre molle del capitalismo imperialista si nutre sempre di più di giovani ignari delle conseguenze di quel che fanno, ragazzi come quelli che hanno commesso questi attentati non sono nemmeno consapevoli del fatto che stanno servendo interessi completamente lontani e distanti dai loro e da quelli del loro popolo che, anzi, proprio per quel che hanno fatto, subiranno nuove vessazioni. Il sistema dei siti web per adescare i cosiddetti “jihadisti” è controllato dalla propaganda militare dei servizi segreti occidentali, e si nutrono di loro, a loro insaputa. A noi restano leggi liberticide e l’ipocrisia della politica, che distilla l’odio tra le religioni e la divisione tra i popoli. Ad onta delle anime nobili che continuano a sognare il dialogo tra i popoli, l’educazione e l’istruzione universale come accesso alla vita spirituale di tutti e di ciascuno. Svegliamoci, è tempo.(Davide Crimi, “Occidente, petrolio, dominio, propaganda e altri inganni”, dal blog del “Movimento Roosevelt” del 21 novembre 2015).La tragedia di Parigi rappresenta un fatto di eccezionale gravità, perché ha coinvolto persone totalmente estranee ad ogni ideologizzazione e sorprese in un momento di vita quotidiana. Le vittime sacrificali di questo eccidio sommuovono la coscienza, la mettono in subbuglio, perché si tratta di qualcosa che la nostra ragione ci fa comprendere è accaduto in casa nostra. Non segue a questo pensiero una considerazione “buonista”, che aggravi la coscienza con il senso di colpa del non saper avvertire lo stesso dolore per quel che ogni giorno accade in Siria. Sarà eticamente importante, ma non è questo il punto che trasforma un sentimento in un pensiero politico. La soglia di trasformazione è data dal pensiero: cui prodest? a chi serve? chi ne trae vantaggio? E’ possibile trascurare il fatto che gli autori dell’attentato, di quest’ultimo del 13 novembre come di quello alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio sono stati realizzati da musulmani di seconda generazione, residenti in Francia e in Belgio. E’ del tutto inopportuno trarre facili conseguenze o proporre semplificazioni inadeguate.
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Giovanilismo e donnismo, l’imbroglio della post-sinistra
Sottoscrivo in toto questo articolo di Andrea Bajani pubblicato sul “Manifesto”, “Il giovane Gallino e il vecchio Renzi”. Scrive testualmente Bajani in un passo all’inizio del suo articolo: «Con Luciano Gallino, a cui oggi Torino darà l’ultimo saluto, se ne va via la dimostrazione più evidente di quanto la retorica della gioventù sia farlocca e demagogica. L’anagrafe non è garante di nulla, se non di una, peraltro solo statistica, salute migliore. L’essere giovani non è una patente di intelligenza». Parole non sagge, di più, se non fosse per il fatto che Bajani omette o dimentica di dire che a costruire questi falsi miti è stata in primis proprio la sinistra. Al “giovanilismo” dobbiamo infatti affiancare il “donnismo”. L’essere donna, ancor più che l’essere giovani, costituisce da tempo per la sinistra una sorta di valore aggiunto. Se poi si è giovani (e magari pure di bell’aspetto) e donne nello stesso tempo, allora si è fatto veramente bingo e la strada per essere elette da qualche parte è sicuramente in discesa, quote rosa o non quote rosa.Quante volte abbiamo sentito ripetere dai leader della sinistra (anche della destra, per la verità) nei comizi, nelle pubbliche assemblee e soprattutto in televisione lo slogan “Siamo dalla parte dei giovani, delle donne, dei lavoratori e dei pensionati”? Passi per i lavoratori (con questo termine ci si riferisce agli operai, agli impiegati, ai precari e ai lavoratori salariati in generale, non ai top manager) e per i pensionati (anche in questo caso nel linguaggio comune si intendono quelli a reddito basso o medio basso, non i cosiddetti “pensionati d’oro”); in tal senso l’utilizzo dei termini “lavoratori e pensionati” fa riferimento, anche dal punto di vista linguistico e concettuale, ad una logica di classe o comunque di difesa dei ceti sociali meno abbienti. Ma parlare di “giovani e donne” non ha veramente senso, dal momento che è evidente a tutti/e che ci sono giovani e donne ricchi/e e privilegiati/e o comunque benestanti (indipendentemente dall’appartenenza sessuale) e giovani e donne che non lo sono affatto.Che senso ha quindi dire di stare dalla parte dei “giovani e delle donne”, come se fossero degli ordini professionali o dei gruppi (classi) sociali o addirittura delle categorie filosofiche? E allora perché non anche “uomini”? Per la semplice ragione che non avrebbe nessun senso. Tanto varrebbe allora dire che si sta dalla parte dell’umanità intera. La qual cosa, politicamente parlando (ma non solo),sarebbe priva di ogni fondamento e di ogni senso, direi anche decisamente ridicola. E’ vero che ormai, nell’era della morte della Politica con la P maiuscola e del trionfo della “politica spettacolo” (al servizio del Mercato), le vecchie categorie politiche sono state gettate nella spazzatura. Però è vero anche che la Politica, da che mondo è mondo, è parziale per definizione. Non si può infatti stare dalla parte di tutti e di tutte. E’ oggettivamente impossibile perché la Politica è scelta. Politica significa dire dei sì e dire dei no, significa schierarsi da una parte piuttosto che da un’altra, anche e soprattutto se si ha a cuore il cosiddetto “interesse generale”.La difesa dell’“interesse generale” di roussoviana memoria non può infatti che passare attraverso il concetto di parzialità, perché è solo attraverso la dialettica (delle parti in conflitto) che si può addivenire ad una sintesi o ad un equilibrio più avanzato, come si soleva dire una volta in gergo politico (proprio quella che non c’è più oggi dal momento che il Mercato e il Capitale sono egemoni e occupano tutto lo spazio politico, da destra a sinistra). Chi lo nega è in malafede oppure è meglio che non si occupi di politica. Ergo, parlare di “giovani” e di “donne” è assolutamente privo di significato. Ha quindi perfettamente ragione Bajani che però (non dimentichiamo che l’articolo è stato pubblicato sul “Manifesto”, in seconda posizione, forse, e dico forse, solo alla “Repubblica” in fatto di femminismo…) si limita ad affrontare il primo aspetto e non indaga il secondo. Va anche detto che l’articolo voleva essere il ricordo di un intellettuale vero come Luciano Gallino (ci uniamo sinceramente al cordoglio) e non era il momento per aprire una riflessione di questo genere (solo l’autore è in grado di sapere se in altre circostanze l’avrebbe aperta, ma questo non ci riguarda).Ma in realtà c’è una “logica” nel “giovani” e soprattutto nel “donne” e non anche “uomini” (oltre all’evidente aporia cui facevo cenno sopra). Nell’immaginario comune infatti, costruito in decenni di sistematico e quotidiano bombardamento psico-mediatico, donna è diventato sinonimo di vittima, di oppressa, di discriminata. Gli uomini, secondo la ricostruzione femminista della storia, eletta ormai a Verità Universale, sono comunque dei privilegiati in virtù della loro appartenenza sessuale. Come è stato scritto più volte e da più parti (non faccio i nomi perché non voglio fargli pubblicità più di quanta già non ne abbiano), “i maschi, indipendentemente dalla loro condizione sociale, sperimentano fin dalla primissima età, i vantaggi e i privilegi che gli derivano dall’essere maschi in una società dominata dalla cultura maschilista e patriarcale”.Questo viene concepito e proposto come un vero e proprio postulato che, come tale, è stato accettato e sposato più o meno da tutti. Se quindi il famoso “largo ai giovani” trova la sua giustificazione in una sorta di archetipo da sempre storicamente radicato nella mente di tutti (chi è che potrebbe dire o anche concepire “chiudiamo gli spazi ai giovani”; non avrebbe neanche senso, oltretutto…), il “largo alle donne” trova la sua giustificazione nella lettura femminista, eretta a Verità Universale e penetrata ormai nell’immaginario comune, in base alla quale le donne sono comunque dei soggetti in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini, indipendentemente dalla loro condizione e/o collocazione sociale. Il che è evidentemente assurdo e anche un po’ demenziale e grottesco, per quanto mi riguarda, oltre che profondamente sessista e interclassista. Ma tant’è. A mio parere, anche e soprattutto questi fenomeni sono significativi dell’impoverimento politico, ideale e culturale complessivo dei nostri tempi. L’attuale “sinistra” non solo non è estranea a tale processo di impoverimento ma ci sta dentro fin sopra i capelli. E anche questo è un fatto evidente, per lo meno per chi scrive.(Fabrizio Marchi, “Giovanilismo e donnismo, le nuove bandiere della postmodernità capitalista”, da “L’Interferenza” del 12 novembre 2015).Sottoscrivo in toto questo articolo di Andrea Bajani pubblicato sul “Manifesto”, “Il giovane Gallino e il vecchio Renzi”. Scrive testualmente Bajani in un passo all’inizio del suo articolo: «Con Luciano Gallino, a cui oggi Torino darà l’ultimo saluto, se ne va via la dimostrazione più evidente di quanto la retorica della gioventù sia farlocca e demagogica. L’anagrafe non è garante di nulla, se non di una, peraltro solo statistica, salute migliore. L’essere giovani non è una patente di intelligenza». Parole non sagge, di più, se non fosse per il fatto che Bajani omette o dimentica di dire che a costruire questi falsi miti è stata in primis proprio la sinistra. Al “giovanilismo” dobbiamo infatti affiancare il “donnismo”. L’essere donna, ancor più che l’essere giovani, costituisce da tempo per la sinistra una sorta di valore aggiunto. Se poi si è giovani (e magari pure di bell’aspetto) e donne nello stesso tempo, allora si è fatto veramente bingo e la strada per essere elette da qualche parte è sicuramente in discesa, quote rosa o non quote rosa.