Archivio del Tag ‘capitalismo’
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Magaldi: una rivoluzione, contro i falsari degli 11 Settembre
Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama, insieme al quale nel 1975 firmò il saggio sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington e Fukuyama insieme a Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.Un personaggio sinistro, Samuel Huntington: così lo definisce Magaldi parlando ai microfoni di “Colors Radio”, nel ricostruire i retroscena dell’ecatombe newyorkese del 2001 destinata a innescare la “guerra infinita”, comiciata da Afghanistan e Iraq con l’improvvisa comparsa del fantomatico terrorismo globale “islamico”, incarnato da Al-Qaeda e dalla sua ultima filiazione, l’Isis. Uno “scontro di civiltà” solo presunto, quello evocato da Huntington, ma utilissimo a far marcire, a colpi di leggi securitarie, la “crisi della democrazia”, dal Patriot Act di Bush «fino a una legge italiana come quella sui vaccini, imposta in modo autoritario: lo afferma anche un magistrato del calibro di Ferdinando Imposimato». Magaldi articola la sua analisi partendo dal punto di vista esclusivo e privilegiato del retroterra massonico da cui proviene: già figura di spicco del Goi, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle superlogge internazionali alla radice del potere attuale, apolide e globalizzato. Da qui l’impegno civile nel Movimento Roosevelt, entità metapartitica che – anche attraverso figure come l’economista Nino Galloni – propone il risveglio democratico della politica italiana, sconfessando il dogma neoliberista: abbiamo bisogno di più Stato e più sovranità. Meglio archiviare Huntington: non è vero che la crisi della democrazia si “cura” riducendo la democrazia stessa, come oggi avviene grazie all’attuale mostro giuridico chiamato Unione Europea.Se siamo in questa situazione, sintetizza Magaldi, è anche perché la storia del secondo ‘900 ci è stata raccontata in modo spesso impreciso e incompleto: il grande progetto di riduzione della democrazia non è cominciato nel 2001 a New York, ma nel 1973 a Santiago del Cile, dove il massone Pinochet tradì il massone Allende, «un uomo forse troppo buono, un sincero socialista nutrito degli ideali filantropici della massoneria progressista». Dietro al complotto, c’era il gruppo allora rappresentato da Henry Kissinger, segretario di Stato sotto Gerald Ford ma soprattutto «esponente di punta della Ur-Lodge “Three Eyes”, massima espressione della destra reazionaria in ambito supermassonico». Forse Allende aveva nazionalizzato l’economia cilena in modo troppo esteso e precipitoso. Tuttavia, per i golpisti, la posta in palio non era il piccolo Cile, ma il resto del mondo. Da quel momento, continua Magaldi, l’élite supermassonica neo-feudale ha messo in atto, meticolosamente, il suo piano: progressivo smantellamento dell’economia mista (Italia compresa), erosione del protagonismo economico statale, dottrina neoliberista dello “Stato minimo”, fine della sinistra sindacale, crisi del welfare, privatizzazioni selvagge e deregulation della finanza: Reagan (e poi Clinton) negli Usa, la Thatcher in Europa.Henry Kissinger, David Rockefeller, Jacob Rothschild, Zbigniew Brzezinski: se gli strateghi della “Three Eyes” avevano scelto la modalità del “guanto di velluto”, lo stile in doppiopetto nell’imporre i vari “regime change” funzionali allo sviluppo neoliberista dell’economia, privatizzata e finanziarizzata, poi questa dinamica – inesorabile, ma relativamente lenta – ha subito un’accelerazione imprevedibile nel 2001, con la catastrofe delle Twin Towers, in realtà «preparata da lungo tempo» in un altro “santuario” supermassonico, la superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush all’inizio degli anni ‘80. Una struttura internazionale che secondo Magaldi ha poi reclutato personaggi come Tony Blair, l’inventore delle “armi di distuzione di massa” di Saddam, e come Nicolas Sarkozy, il liquidatore di Gheddafi (senza dimenticare il turco Erdogan, massimo padrino dell’Isis nella sanguinosa conquista della Siria). Le macerie della tragica geopolitica di oggi, fino ai recenti attentati in Europa, secondo Magaldi sono il risultato ultimo dello sciagurato progetto “Hathor Pentalpha”. Il terrorismo come mezzo principe per ottenere tutto e subito, in modo sbrigativo e spaventoso: alle peggiori stragi seguono colossali affari, carriere-lampo, razzie sistematiche di risorse strategiche, drastica centralizzazione del potere, leggi speciali e soppressione progressiva di libertà civili.E’ lo spettacolo dell’orrore, a cui i media ormai ci hanno abituato. Ma guai a pensare che sarà così per sempre, insiste Magaldi: «Questi poteri non sono affatto invincibili, il loro tragico successo dipende in larga parte dalla nostra inerzia». La passività civile, l’apatia raccomandata dal “sinistro” profeta Huntington. La rissa polemica sull’ultimo 11 Settembre? Errore ottico, dice Magaldi, frutto dello scontro tra negazionisti (scettici o bugiardi) e complottisti poco lucidi. «In realtà non servono chissà quante persone per propiziare una catastrofe come quella di Ground Zero: bastano pochi uomini nei posti giusti, che li limitino ad allargare le maglie della sicurezza e, sostanzialmente, a lasciar fare». Nessun dubbio, per Magaldi, sulla partenità massonica del super-attentato: le Twin Towers, «due torri gemelle, appunto», richiamano immediatamente «le due colonne che campeggiano in ogni tempo massonico», e per giunta a New York, cioè «in una delle città più massoniche al mondo». Oggi, poi, sarebbe in corso una guerra nella guerra: segmenti dell’impenetrabile mondo delle Ur-Lodges, quelli “progressisti”, sarebbero in rivolta contro gli abusi della filiera “reazionaria”, avviati in Cile dalla “Three Eyes” e completati con il terrificante cambio di passo imposto dalla “Hathor Pentalpha” a Manhattan, sedici anni fa. Da allora, stesso copione ovunque: guerra in Medio Oriente e terrorismo in Occidente. «Non durerà per sempre», insiste Magaldi. «Ma tocca a noi uscire dal letargo: serve una vera e propria rivoluzione, civile e politica, per rivendicare i diritti che ci sono stati confiscati e tornare a condizioni di sovranità democratica».Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama. Nel 1975, Huntington produsse un altro saggio epocale, quello sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington con Joji Watanuki e Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.
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Se il popolo di Vasco marciasse contro il governo zootecnico
Accorrono in 220.000 al concerto oceanico di Vasco, ma nessuno che muova un dito contro il “governo zootecnico mondiale”, ovvero «la riduzione del cittadino a pollame». Maurizio Blondet commenta così l’ultimo lavoro editoriale dell’avvocato Marco Della Luna, “Oltre l’agonia”, ovvero “Come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari” (Arianna Editrice). I giovani ipnotizzati dal Blasco? «Dico: pensate se fossero capaci di farlo per uno scopo politico. Se arrivassero in 220.000 a Roma, una volta, per protestare contro la sottrazione di diritti come cittadini, lavoratori, elettori. Che so, contro le vaccinazioni come inaudita “pretesa dello Stato, giuridicamente obbligatoria, di metterci dentro sostanze di cui non sappiamo la composizione”, manco fossimo animali», oppure «contro l’immigrazione senza limiti al costo di 4,5 miliardi l’anno, mentre “in Italia gli indigenti sono passati in 5 anni da 1,5 e 4 milioni”». Si potrebbe protestare, «per un insieme di scelte politico-economiche “assurde”, ostinatamente imposte dalle oligarchie nonostante i “risultati rovinosi”, il che “non può essere accidentale ma il prodotto di un sistema progettato, implementato e difeso”».Bisognerebbe «gridare che le mitiche speranze dell’europeismo sono state tradite», e che «nel mondo reale, il liberismo di mercato non ha gli effetti promessi dal modello ideale, ossia che il mercato non è “libero” ma gestito da cartelli: non tende a evitare o assorbire le crisi, ma le genera e amplifica», onde «non a distribuire le risorse, ma concentrarle in mano a pochi monopolisti». E’ un sistema che «dissolve la società invece di renderla più efficiente», anzi «dissolve l’idea stessa dell’uomo», scrive Della Luna. «Se i giovani per una volta dormissero all’addiaccio, pagassero i trasporti verso Roma, si comportassero per qualche giorno da soldati politici – dice Blondet nel suo blog – farebbero paura al governo che ci è stato imposto dalla Banca Centrale e da Bruxelles, ai parlamentari che dipendono dalle lobbies e comitati d’affari, e che hanno svenduto l’Italia, le sue industrie e la sua sovranità agli interessi stranieri». Della Luna, annota Blondet, è stato «il primo in Italia ad avvertirci che il capitalismo terminale globale fa soldi non più producendo merci ma bolle finanziarie per poi farle scoppiare: non ha più bisogno di lavoratori, produttori, operai, eserciti di massa – né quindi di mantenere sani, efficienti, istruiti, men che meno prosperi e soddisfatti i popoli». Non servono più, i popoli, e neppure i consumatori (risale infatti al 2010 il suo saggio “Oligarchie per popoli superflui”).In questo nuovo saggio, Della Luna ci avverte che il sistema è entrato in una fase ulteriore e più letale, anti-umana. Ormai persino il profitto finanziario «ha perso importanza, sia come scopo che come mezzo». Basta ricordare «le migliaia di miliardi che le banche centrali (appartenenti alla finanza privata) creano dal nulla per mantenere a galla il sistema, mettendoli a disposizione di chi comanda in misura illimitata». E il denaro creato dal nulla «genera un flusso di cassa positivo, ossia un reddito, che la banca incassa, ma su cui non paga le tasse», perché a pagare sono i contribuenti. Della Luna giunge a preconizzare perfino «il tramonto della finanza», inteso come «sistema di dominio della società». Un tramonto che però non coinciderà con la nostra liberazione: è già in arrivo «il dominio diretto e materiale sulla società», attraverso la «gestione coercitiva del demos, potente e unilaterale, e insieme non responsabile delle scelte verso i suoi amministrati». Questo nuovo potere, «non diversamente dalla zootecnia», non è responsabile verso gli animali che “alleva”, cioè noi. Governo zootecnico: «L’allevamento-condizionamento di masse umane per l’utilità degli allevatori». Già lo fanno per via mediatica, «restringendo e omogeneizzando le rappresentazioni che gli umani hanno della realtà».Di fatto, continua Della Luna, stanno già «tabuizzando e psichiatrizzando il dissenso e la contro-informazione», fino a renderla penalmente perseguibile. Lo fanno con “la Buona Scuola”, l’attuale sistema educativo congegnato in modo da non sviluppare facoltà cognitive, né l’attenzione sostenuta, né la capacità di auto-dominio: è il metodo perfetto per «produrre persone deboli, dipendenti, condizionabili, incapaci di opporsi». Non si tratta di risultati fallimentari e ideologie erronee. Al contrario, dice Della Luna: sono effetti perseguiti deliberatamente per «semplificare» l’uomo, standardizzandolo in vista dell’allevamento zootecnico. «Impressionante – aggiunge Blondet – è l’esempio che fa della scomparsa della borghesia produttiva, culturalmente vivace e reattiva, rovinata dalle crisi deflattive continue e dal fisco rapacissimo». Non è un caso malaugurato. E’ che «la piramide sociale va interrotta lasciando uno spazio vuoto sotto il suo apice», il famigerato 1% che concentra l’80% delle ricchezze, «così che l’apice sia al sicuro dalle scalate (mobilità verticale) e dagli attacchi delle classi intermedie erudite».L’obiettivo del vertice è «realizzare tra l’oligarchia e i popoli la medesima distanza e differenziazione qualitativa che c’è tra l’allevatore e gli animali allevati», secondo il modello zootecnico. «Nella chiave del governo zootecnico – scrive Blondet – diventano perfettamente spiegabili la plurivaccinazione obbligatoria dei cuccioli», cioè bambini. Se fossimo cittadini, e non polli d’allevamento, dovremmo rifiutare «la potestà giuridica di immettere nel corpo della gente sostanze attive», fra cui quelle basate su nanotecnologie e biotecnologie, «e molte di esse coperte da segreto militare o commerciale», rileva Della Luna. Sempre nella prospettiva dell’allevamento zootecnico acquista senso anche «il dogma dell’accoglienza e della mescolanza dei popoli», imposto come «evidente, dimostrato», presentando chi li contraddice come «irragionevole, malintenzionato, pericoloso, immorale». La verità è che, oltre ad essere in Italia un business, il «circuito dell’affarismo parassitario» che succhia denaro pubblico, il “dogma” pro-migranti «ha perfettamente senso dal punto di vista dell’allevatore: la trasformazione dall’alto del popolo, il popolo-bestiame, imponendo l’immigrazione sostitutiva delle popolazioni nazionali» nello stesso modo in cui l’allevatore inserisce nella stalla nuovi tori e nuove fattrici, per “migliorare la razza”.L’immigrazione caotica è anti-economica, diminuisce l’efficienza della società e costa moltissimo? Infatti, conferma l’autore: ciò dimostra che «la comprensione economicistica del divenire attuale è palesemente scavalcata». Quando la casta politica-amministrativa «lascia senza tetto e senza cibo i cittadini italiani mentre alloggia gli immigrati in alberghi a tre e quattro stelle», scrive Della Luna, quel che attua è «l’annullamento programmatico del concetto di cittadino come titolare di diritti specifici verso la sua polis», cioè «l’annullamento del “demos”, ossia del “popolo” come entità politica, padrona collettivamente delle proprie scelte». Un modello che «non implica affatto pace, sicurezza, efficienza per le popolazioni, esattamente come non le implica il modello zootecnico». Per gli allevatori, gli animali allevati «sono solo fonte di utilità; non hanno diritti né dignità riconosciuta». Dalla robotizzazione dell’industria all’elemosina elettorale degli 80 euro di Renzi: «La mancanza di redditi e servizi sicuri, la dipendenza da interventi anno per anno, rende queste masse sempre più passive, remissive», dunque «politicamente inattive». Ecco lo scopo.Se infatti il “capitalismo finanziario terminale” tende a «togliere alla gente tutto il reddito e tutti i risparmi disponibili», facendo passare a tutti la voglia di pagare le tasse, “lorsignori” sanno come scongiurare la possibile rivolta: «Contrariamente a quel che fa credere la narrativa hollywoodiana – scrive Blondet – le rivoluzioni non le fanno gli affamati», in coda alle mense della Caritas, ma «le classi emergenti nella prosperità», pronte a reclamare diritti politici. «Quelli con la pancia vuota sono passivi e remissivi, aspettano il bonus da 80 euro; i giovani passano da un precariato all’altro e non avranno mai una pensione sufficiente a farli sopravvivere: dunque pietiranno dallo Stato interventi, che saranno anno per anno, incerti, caritativi». Siamo ormai al “precariato ontologico”, lo stato nel quale puntano a ridurci come condizione naturale. La precarietà «assunta a paradigma normativo» ormai è la condizione standard dei giovani: uno “stipendio” da 450 euro al mese o, in alternativa, l’emigrazione in Nord Europa. «Siete già precari ontologici?», conclude Blondet, rivolgendosi ai giovani. «Per Vasco l’avete fatta, la marcia su Modena. Ne rifarete un’altra per rifiutare il governo zootecnico?».Accorrono in 220.000 al concerto oceanico di Vasco, ma nessuno che muova un dito contro il “governo zootecnico mondiale”, ovvero «la riduzione del cittadino a pollame». Maurizio Blondet commenta così l’ultimo lavoro editoriale dell’avvocato Marco Della Luna, “Oltre l’agonia”, ovvero “Come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari” (Arianna Editrice). I giovani ipnotizzati dal Blasco? «Dico: pensate se fossero capaci di farlo per uno scopo politico. Se arrivassero in 220.000 a Roma, una volta, per protestare contro la sottrazione di diritti come cittadini, lavoratori, elettori. Che so, contro le vaccinazioni come inaudita “pretesa dello Stato, giuridicamente obbligatoria, di metterci dentro sostanze di cui non sappiamo la composizione”, manco fossimo animali», oppure «contro l’immigrazione senza limiti al costo di 4,5 miliardi l’anno, mentre “in Italia gli indigenti sono passati in 5 anni da 1,5 e 4 milioni”». Si potrebbe protestare, «per un insieme di scelte politico-economiche “assurde”, ostinatamente imposte dalle oligarchie nonostante i “risultati rovinosi”, il che “non può essere accidentale ma il prodotto di un sistema progettato, implementato e difeso”».
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Oltre l’agonia: potere totalitario, ma non vincerà per sempre
«Quando saremo completamente sottomessi, non ci renderemo neanche più conto di avere perduto la nostra dignità». Eppure, i grandi poteri non riusciranno a piegarci: nel suo ultimo saggio, “Oltre l’agonia”, Marco Della Luna spiega «come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari». Avvocato, Della Luna esercita da anni la professione forense. Laureato in psicologia a Padova, è un attento studioso degli strumenti psicologici, economici e giuridici di dominazione sociale. Collabora con riviste come “Tema”, “Il Consapevole”, “Nexus”, “Il Popolo”. Tra i suoi volumi più recenti, “Euroschiavi”, “Polli da Spennare”, “Basta con questa Italia”. «Il capitalismo finanziario – afferma – sta diventando sempre più un potere politico assoluto e totalitario», dal momento che «oltre a trasformare l’uomo in merce, degrada la società in due maniere: le infligge ricorrenti crisi e riduce tutti a sudditi senza diritti». Con il pretesto di dover rassicurare i “mercati”, questo super-potere invisibile «giustifica il controllo sociale attraverso nuovi mezzi elettronici e organici che tracciano e violano l’uomo con tecniche di manipolazione neurale e biologica, applicando gli strumenti della psicologia aziendale».Prima di spingere lo sguardo “oltre l’agonia”, Della Luna punta al cuore di tenebra del mostro che sta sfigurando l’Italia, mezza Europa e il resto del mondo: «Con il pretesto di dover assicurare a tutti i costi la governance richiesta dagli stessi mercati che hanno destabilizzato la società», il neo-totalitarismo finanziario «crea la giustificazione per controllare la vita sociale attraverso nuovi strumenti elettronici e biologici, che tracciano, violano e manipolano l’uomo fin nella sua integrità neurofisiologica». Socché, questa “società gestita”, pilotata dall’alto, «è il risultato dell’applicazione degli strumenti della psicologia aziendale», potenziati con tecniche di manipolazione derivati dalle neuroscienze. Questa raffinata tecnologia «ha dato ai governanti non solo un potere di controllo e intervento su tutti noi prima impensabile, ma anche una nuova struttura del potere stesso». Una struttura «delocalizzata e politicamente irresponsabile, in cui l’automazione e la smaterializzazione degli strumenti di governo e di arricchimento hanno privato le persone del potere di contrattazione e della partecipazione ai processi decisionali, relegandole al margine dei circuiti produttivi e decisionali».Questo processo ha generato «un ordine contrario ai bisogni dell’uomo e della biosfera, cementato da un catechismo ideologico “politicamente corretto” che criminalizza, censura e inibisce chi ne critica i fondamenti». Di fatto, «siamo piegati dalle crisi incalzanti e dalle loro imposizioni, e così accettiamo che la sopravvivenza del sistema produttivo da cui dipendiamo necessiti di un maggior controllo sociale, di una crescente riduzione delle sicurezze personali, delle relazioni comunitarie e delle libertà». Il capitalismo finanziario, poi, «alimenta il falso dogma della scarsità della moneta e sta diventando sempre più una guida politica assoluta». Oltre a mercificare l’uomo, questo super-potere apolide «disgrega e degrada la società in due maniere: le infligge ricorrenti crisi e dissolve le sue basi morali in una logica di competizione individualistica». Nel libro, Della Luna descrive questo minaccioso passaggio epocale, in cui l’umanità sta rischiando tutto. Per contro, l’autore indica una possibile via di uscita dall’incombente dominio tecnocratico: risiede, per forza di cose, «nella stessa insondabile e incoercibile complessità del mondo, della psiche, dell’Essere».(Il libro: Marco Della Luna, “Oltre l’agonia. Come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari”, Arianna Editrice, 160 pagine, euro 9,80).«Quando saremo completamente sottomessi, non ci renderemo neanche più conto di avere perduto la nostra dignità». Eppure, i grandi poteri non riusciranno a piegarci: nel suo ultimo saggio, “Oltre l’agonia”, Marco Della Luna spiega «come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari». Avvocato, Della Luna esercita da anni la professione forense. Laureato in psicologia a Padova, è un attento studioso degli strumenti psicologici, economici e giuridici di dominazione sociale. Collabora con riviste come “Tema”, “Il Consapevole”, “Nexus”, “Il Popolo”. Tra i suoi volumi più recenti, “Euroschiavi”, “Polli da Spennare”, “Basta con questa Italia”. «Il capitalismo finanziario – afferma – sta diventando sempre più un potere politico assoluto e totalitario», dal momento che «oltre a trasformare l’uomo in merce, degrada la società in due maniere: le infligge ricorrenti crisi e riduce tutti a sudditi senza diritti». Con il pretesto di dover rassicurare i “mercati”, questo super-potere invisibile «giustifica il controllo sociale attraverso nuovi mezzi elettronici e organici che tracciano e violano l’uomo con tecniche di manipolazione neurale e biologica, applicando gli strumenti della psicologia aziendale».
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A salvare la Russia è stato Andropov: il Kgb, cioè oggi Putin
Quando sta per arrivare la “fine del mondo”, c’è sempre qualcuno che la vede in anticipo. E in silenzio, dietro le quinte, prepara il “dopo”. Prendiamo l’Urss, crollata nel 1991. Colpa di Gorbaciov? No: la perestrojka fu un tentativo generoso ma tardivo, fuori tempo massimo. Tutti, al Cremlino, sapevano perfettamente che l’Unione Sovitica era finita: come sistema sociale non poteva più reggere. Il primo a saperlo era l’uomo che allevò Gorbaciov: Yurij Andropov, ininterrottamente a capo del Kgb dal lontano 1967. Proprio il potente servizio segreto era il migliore osservatorio della situazione: prima ancora che andasse a sostituire Breznev nel 1982 alla guida del paese, Andropov già sapeva che solo il Kgb avrebbe potuto impedire la catastrofe definitiva, il tracollo della Russia. Lo sostiene il filosofo Igor Sibaldi, di origine russa per parte di madre, autore di besteller come “I maestri invisibili”. Tre le sue fonti confidenziali anche un amico d’infanzia, ufficiale del Kgb. Non a caso, lo stesso Gorbaciov veniva dall’intelligence, ne era stato il direttore amministrativo. E chi è Vladimir Putin? Un ex colonnello del Kgb. «Ancora oggi, Putin rappresenta un potente network, di cui è il portavoce: è ancora l’ex Kgb a reggere il paese, dopo averne evitato il crollo».Lo ammette anche Giulietto Chiesa, autore di libri come “Roulette russa” e “Russia addio”, scritti durante la disastrosa epoca Eltsin, con la colossale svendita del paese a vantaggio del grande capitale americano, con la mediazione degli “oligarchi” cresciuti attorno al Cremlino. «Il vero iniziatore della perestrojka fu Jurij Andropov, cioè il Kgb, che era la parte più “informata dei fatti”», scrive Chiesa in una riflessione su “Megachip”. «Gorbaciov arrivò quando ormai la situazione era intenibile. Fece degli errori gravi? Sicuramente. Si fidò dell’Occidente, che non conosceva abbastanza? Sicuramente. Ma il fatto incontestabile (se si vuole essere onesti nei confronti della realtà) è che l’Impero del Bene di reaganiana memoria aveva già conquistato le menti della grande maggioranza dei russi. E di quasi tutta l’intelligencija sovietica». L’alternativa concreta che si pose davanti a Gorbaciov, continua Chiesa, fu semplice e tragica: «Continuare così, fino al collasso (con il rischio che i cretini di ambo le parti tentassero la soluzione di forza, e sarebbe stata la fine del genere umano), oppure avviare i cambiamenti necessari». Non ha funzionato, come sappiamo. Ma incolpare solo Gorbaciov «significa oscurare del tutto il progetto di dominio mondiale che cominciò ad attuarsi in quegli anni e che oggi strangola tutti noi».In una conversazione registrata su YouTube, Sibaldi traccia un parallelo tra la crisi terminale dell’Unione Sovietica e l’attuale collasso del nostro sistema, fondato sul consumo di merci superflue: «Le crepe sono evidentissime, la situazione sta crollando. Non sappiamo più neppure chi siamo e cosa ci piace: sappiamo solo cosa dobbiamo dire che ci piace». Nei momenti difficili, aggiunge Sibaldi, conta l’individuo consapevole, che ha coscienza di sé e sente che sta cambiando l’aria, in modo irreversibile. «La domanda da porsi è: come ci si organizza, per il dopo? La Russia sovietica già negli anni ‘70 non aveva più futuro, ma i cittadini non lo volevano accettare: pensavano che l’Unione Sovietica sarebbe durata per sempre. A capire la situazione, con largo anticipo, fu il Kgb. Che, con Andropov, si organizzò per il “dopo” con larghissimo anticipo». Insiste Sibaldi: «Già negli anni ‘60, Andropov si era accorto che l’impero russo sarebbe crollato, inevitabilmente: non aveva speranza, un paese che diceva di essere comunista ma in realtà andava verso il nazismo, di mese in mese, con atrocità intollerabili». Era lucido, il capo del Kgb: «Ha pensato: lo Stato crolla, salvarlo è impossibile. E allora bisogna preparare un edificio a parte, che resista. E ha fatto quello che Isaac Asimov aveva scritto nei suoi romanzi di fantascienza: solo che, anziché su un altro pianeta, l’ha fatto in una struttura statale».Uno Stato nello Stato, in assoluta segretezza. «Poi il crollo è avvenuto, e l’unica cosa che è rimasta in piedi è stato proprio il Kgb, cioè quello che Andropov era riuscito a costruire. Non per niente, Putin è un colonnello del Kgb, non un generale: non è “il dittatore”, è l’espressione visiva di una struttura che è dietro di lui, e che è rimasta solidissima». Il fenomeno dei “nuovi ricchi” russi? E’ la dimostrazione di «processi sociali avviati in quel periodo, accuratamente progettati: la diffusione di un nuovo sistema di ricchezza, dall’alto, per “tener su” un popolo mentre lo Stato crolla». Una visione che coincide in parte con quella di Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”, spesso molto critico di fronte agli entusiasmi dei “corifei” del nuovo Zar di Mosca. Magaldi rivela che Putin fu affiliato alla supermassoneria internazionale già nei primi anni ‘80, quando risiedeva in Germania Est: «Insieme ad Angela Merkel, che conosce personalmente da allora – ricorda Magaldi a “Colors Radio” – Putin fu accolto nella Ur-Lodge “Golden Eurasia”, non esattamente progressista». E’ al potere da troppo tempo e impedisce che la democrazia russia maturi pienamente? Vero. Ma, per contro – ammette Magaldi – Putin ha stabilizzato il paese, migliorando la vita dei russi. «E, altra cosa utile per l’equilibrio del mondo: è riuscito a riproporre la Russia come potenza». Nel segno del capostipite del network, il lungimirante Yurij Andropov.Quando sta per arrivare la “fine del mondo”, c’è sempre qualcuno che la vede in anticipo. E in silenzio, dietro le quinte, prepara il “dopo”. Prendiamo l’Urss, crollata nel 1991. Colpa di Gorbaciov? No: la perestrojka fu un tentativo generoso ma tardivo, fuori tempo massimo. Tutti, al Cremlino, sapevano perfettamente che l’Unione Sovitica era finita: come sistema sociale non poteva più reggere. Il primo a saperlo era l’uomo che allevò Gorbaciov: Yurij Andropov, ininterrottamente a capo del Kgb dal lontano 1967. Proprio il potente servizio segreto era il migliore osservatorio della situazione: prima ancora che andasse a sostituire Breznev nel 1982 alla guida del paese, Andropov già sapeva che solo il Kgb avrebbe potuto impedire la catastrofe definitiva, il tracollo della Russia. Lo sostiene il filosofo Igor Sibaldi, di origine russa per parte di madre, autore di besteller come “I maestri invisibili”. Tre le sue fonti confidenziali anche un amico d’infanzia, ufficiale del Kgb. Non a caso, lo stesso Gorbaciov veniva dall’intelligence, ne era stato il direttore amministrativo. E chi è Vladimir Putin? Un ex colonnello del Kgb. «Ancora oggi, Putin rappresenta un potente network, di cui è il portavoce: è ancora l’ex Kgb a reggere il paese, dopo averne evitato il crollo».
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Guénon e l’aria condizionata, l’inizio della fine (del mondo)
Nel suo libro “Oriente e occidente”, René Guénon credeva fosse ancora possibile recuperare spiritualmente l’Occidente e porlo entro una prospettiva più serena, meno materialista e meno neospiritualista, oserei dire. Sono trascorsi quasi cent’anni da allora. Ciò che vedeva era un Oriente ancora tradizionale, nemmeno troppo logorato dalle conquiste coloniali, capace ancora di opporsi alla supremazia materialista e scientista occidentale. Si deve notare che se da un lato siamo andati ben oltre il declino dell’Occidente (come dice un amico, professore di informatica in una facoltà euroamericana, l’Occidente ha toccato il fondo, ma continua a scavare – pensate ai debiti), dall’altro l’Oriente ha smesso da tempo di interessarci spiritualmente e di farci sognare. Il tempo dei guru per i Beatles e degli hippies (sic) è passato. Il Dalai Lama festeggia il suo compleanno con George Bush e si aspetta la scelta del suo successore. Da più di cinquant’anni anche l’Oriente si è gettato a testa bassa e voracemente nel capitalismo, nella corruzione, nell’inquinamento, nella distruzione-recupero del suo patrimonio spirituale e culturale (a quando una grande muraglia contro il turismo, una grande muraglia della quale Guénon intravedeva le crepe nella sua ultima e fondamentale opera, “Il regno della quantità e i segni dei tempi”?). L’Oriente è diventato come noi, stanco, materialista, inquinato e civilizzato.Il demiurgo di questa umanità luciferina resta l’America e ciò che essa rappresenta. Sono i messicani (povero Antonin Artaud), gli indiani e i cinesi che fanno incrementare il mercato immobiliare statunitense (“Zerohedge.com” e “Nbc”). E ciò dimostra che il sogno americano, per quanto malridotto, continui ad affascinare gli infelici che nel giro di una o due generazioni sono passati dalla loro società tradizionale alle periferie degradate, agli alti e bassi della Borsa, ai deliri immobiliari, alla competizione dei mercati – che necessitano di rinchiudere cento o duecento milioni di contadini e bambini sottopagati in ripugnanti fabbriche tessili, il tutto per soddisfare un gruppetto di grossi azionisti. Mille uomini (entità?) sono diventati più ricchi del resto dell’umanità, che tra l’altro sognano di rimpiazzare. Come si è arrivati a ciò? Una breve spiegazione. Noi tutti conosciamo il nome di un qualsiasi scrittore di seconda categoria, di un cantante bidone, di un pittore di terzo livello, di un attore televisivo, di un politico cretino, di uno stupido sapientone. Ma non conosciamo il nome di coloro che hanno realmente cambiato il mondo – e bypassato le idee guenoniane e soprattutto le ultime società tradizionali.Tra questi Willis Haviland Carrier. Io non sono un ingegnere né un erudito, pertanto consultate direttamente Wikipedia e poi i manuali professionali. Carrier è l’inventore dell’aria condizionata. Proprio lei ha liquidato René Guénon, il sud, l’Oriente, le terre spirituali e cavalleresche che avevano preservato la loro identità spirituale e religiosa. E’ stata messa ovunque, sul posto di lavoro, nelle fabbriche, negli uffici, ovunque vogliate. Wikipedia ci informa che lo sfruttamento e lo sviluppo (dunque la distruzione delle autoctone strutture antropologiche e culturali, questa brutta espressione ereditata dalle scienze umane offre suggerimenti poco guenoniani) della Sunbelt è stata resa possibile grazie all’aria condizionata. L’aria condizionata ha posto fine a ciò che restava del vecchio sud e poi al resto del mondo. Pensateci e vedrete che non mi sbaglio di molto. L’aria condizionata ha condizionato, accelerato e accompagnato la degenerazione (chi osa parlare ancora di decadenza?) irreversibile del nostro mondo. Willis Haviland Carrier. L’uomo che ha vinto Guénon e le tradizioni. Non è un caso che la Russia sia il solo paese spirituale rimasto.(Nicolas Bonnal, “L’aria condizionata e la fine del mondo”, dal blog “Dedefensa.org” del 23 luglio 2017, tradotto per “Come Don Chisciotte”).Nel suo libro “Oriente e occidente”, René Guénon credeva fosse ancora possibile recuperare spiritualmente l’Occidente e porlo entro una prospettiva più serena, meno materialista e meno neospiritualista, oserei dire. Sono trascorsi quasi cent’anni da allora. Ciò che vedeva era un Oriente ancora tradizionale, nemmeno troppo logorato dalle conquiste coloniali, capace ancora di opporsi alla supremazia materialista e scientista occidentale. Si deve notare che se da un lato siamo andati ben oltre il declino dell’Occidente (come dice un amico, professore di informatica in una facoltà euroamericana, l’Occidente ha toccato il fondo, ma continua a scavare – pensate ai debiti), dall’altro l’Oriente ha smesso da tempo di interessarci spiritualmente e di farci sognare. Il tempo dei guru per i Beatles e degli hippies (sic) è passato. Il Dalai Lama festeggia il suo compleanno con George Bush e si aspetta la scelta del suo successore. Da più di cinquant’anni anche l’Oriente si è gettato a testa bassa e voracemente nel capitalismo, nella corruzione, nell’inquinamento, nella distruzione-recupero del suo patrimonio spirituale e culturale (a quando una grande muraglia contro il turismo, una grande muraglia della quale Guénon intravedeva le crepe nella sua ultima e fondamentale opera, “Il regno della quantità e i segni dei tempi”?). L’Oriente è diventato come noi, stanco, materialista, inquinato e civilizzato.
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Rivoluzione colorata: l’imbroglio Macron seppellirà i francesi
Dal lontano 2005, la Francia non ha più un vero presidente: all’Eliseo si sono succeduti soltanto dei pallidi figuranti. Compreso l’ultimo arrivato, Emmanuel Macron, “fabbricato” dal supemassone reazionario Jacques Attali e inizialmente scambiato, dagli elettori, per salvatore della patria. Lo afferma Thierry Meyssan, analizzando le prime mosse del nuovo presidente. «Dopo l’incidente cerebrale di Jacques Chirac, la Francia è rimasta senza un presidente», scrive, su “Megachip”. «Durante gli ultimi due anni in cui ha ricoperto la carica, Chirac ha lasciato che i suoi ministri Villepin e Sarkozy si sbranassero a vicenda. In seguito: il popolo francese ha scelto due personalità che non sono riuscite a essere all’altezza dell’ufficio presidenziale: Nicolas Sarkozy e François Hollande». Alla fine hanno scelto di portare Macron all’Eliseo, «ritenendo così che questo giovane impetuoso fosse capace di riprendere il timone». Errore. Una spia evidente è l’atteggiamento verso la Ue, apertamente sostenuta dai grandi candidati, che anziché Bruxelles hanno attaccato genericamente “la corruzione”, colpendo in particolare François Fillon. «Una narrazione tipica delle “rivoluzioni colorate”».L’opinione pubblica, senza eccezioni, «reagisce sostenendo la “rottamazione”: tutto quel che è vecchio è corrotto, mentre tutto quel che è nuovo è giusto e buono», scrive Meyssan. «Tuttavia, non c’erano basi per dimostrare nessuno dei crimini di cui tutti stavano parlando». E’ uno schema, che funziona sempre: «Nelle rivoluzioni colorate precedenti, l’opinione pubblica ci metteva tra i tre mesi (la Rivoluzione dei Cedri in Libano) e i due anni (la Rivoluzione delle Rose in Georgia) prima di svegliarsi e scoprire di essere stata manipolata». L’arte di coloro che organizzano le “rivoluzioni colorate” consiste «nel realizzare senza aspettare un istante tutti i cambiamenti che i loro sponsor intendevano operare nelle istituzioni». Emmanuel Macron, già dirigente della Banca Rothschild, ha annunciato in anticipo le sue intenzoni: riforma d’urgenza del Codice del Lavoro, modifica del Consiglio economico e sociale, dimezzamento del numero degli eletti a tutti i livelli, nonché “moralizzazione” della vita politica. Tutti questi progetti, osserva Meyssan, ricalcano il solco tracciato dalla relazione pubblicata dalla Commissione per la liberalizzazione della crescita francese del 2008, di cui era presidente Jacques Attali, mentre Emmanuel Macron era il vice segretario generale.Il rapporto della Commissione Attali (creata dal presidente Sarkozy) inizia con queste parole: «Questo non è un rapporto, né uno studio, ma un manuale per le riforme urgenti e fondanti. Non è né partisan né bi-partisan: è non partisan». Per quanto riguarda il codice del lavoro, scrive Meyssan, «si punta ad abbandonare il sistema giuridico romano e alla sua sostituzione con il sistema attualmente in vigore negli Stati Uniti: un dipendente e il suo padrone potrebbero così entrare in negoziati bilaterali e concludere un contratto in contrasto con la legge». E il sistema educativo «dovrà produrre studenti bilingui (francese/inglese) già alla fine della scuola primaria». Eppure, aggiunge l’analista, questo cambiamento di paradigma non è mai stato discusso in Francia: «Tutt’al più, è stato evocato durante i dibattiti parlamentari sulla legge El-Khomri/Macron del 2016», detta anche “Loi Travail”, che di fatto “americanizza” la situazione, come il Jobs Act renziano in Italia. E le riforme istituzionali annunciate da Macron? «Nessuna di esse era attesa dai francesi», nonostante una certa insofferenza per «la stratificazione amministrativa (Comuni, Comunità di Comuni, Dipartimenti, Regioni, Stato) e la proliferazione di commissioni inconcludenti».In realtà, sostiene Meyssan, «il presidente Macron avanza indossando una maschera». E spiega: «Il suo obiettivo a medio termine, ampiamente annunciato nel 2008, è quello di abolire Comuni e Dipartimenti. Si tratta di omogeneizzare le collettività locali francesi con il modello già imposto ovunque in altri paesi dall’Unione Europea. L’Eliseo, nel rifiutare l’esperienza storica del popolo francese, considera che possa essere governato come tutti gli altri europei». La riforma del Consiglio economico e sociale, invece, «rimane vaga». Tuttalpiù, «sappiamo che si tratterebbe sia di sciogliere le innumerevoli commissioni inutili, sia di affidargli il dialogo sociale». Aggiunge Meyssan: «Il fallimento di Charles de Gaulle nel raggiungere questo obiettivo nel 1969 ci fa pensare che, qualora questa riforma venisse realizzata, non sarebbe per risolvere un problema, ma per seppellirlo una volta per tutte». In realtà, la proposta di riforma del Codice del Lavoro «priverà questo dialogo del suo oggetto concreto». Nel 1969, ricorda Meyssan, il presidente de Gaulle «si era rassegnato ad abbandonare ancora una volta il suo vecchio progetto di “partecipazione”, cioè di ridistribuzione della crescita del capitale delle imprese tra i loro proprietari e i loro lavoratori», e in cambio aveva proposto «di far partecipare il mondo del lavoro al processo legislativo».Per farlo, de Gaulle aveva pensato di fondere il Consiglio economico e sociale con il Senato, in modo che la Camera Alta riunisse sia i rappresentanti regionali sia quelli del mondo professionale. In particolare, aveva proposto che questa Camera non potesse più redigere essa stessa le leggi, ma che emettesse un parere su ogni testo prima che questo fosse discusso dall’Assemblea Nazionale. «Si trattava dunque di concedere un potere che consisteva in un parere legislativo alle organizzazioni rurali e cittadine, ai sindacati degli operai e del padronato, alle università, alle associazioni familiari, sociali e culturali». Macron si sta muovendo in direzione opposta. Le due priorità che il neopresidente intende perseguire «prima che i suoi elettori si risveglino» possono essere riassunte come segue: «Reggere il mercato del lavoro secondo i principi dell’ordinamento giuridico statunitense; conformare gli enti locali alle norme europee e incistare le organizzazioni rappresentative del mondo del lavoro in un assemblea puramente onorifica. Oltre a cancellare (a vantaggio dei soli capitalisti) qualsiasi traccia proveniente da diversi secoli di lotte sociali, Emmanuel Macron dovrebbe quindi allontanare gli eletti dai loro elettori e scoraggiare questi ultimi dall’impegnarsi nella cosa pubblica».Dal lontano 2005, la Francia non ha più un vero presidente: all’Eliseo si sono succeduti soltanto dei pallidi figuranti. Compreso l’ultimo arrivato, Emmanuel Macron, “fabbricato” dal supemassone reazionario Jacques Attali e inizialmente scambiato, dagli elettori, per salvatore della patria. Lo afferma Thierry Meyssan, analizzando le prime mosse del nuovo presidente. «Dopo l’incidente cerebrale di Jacques Chirac, la Francia è rimasta senza un presidente», scrive, su “Megachip”. «Durante gli ultimi due anni in cui ha ricoperto la carica, Chirac ha lasciato che i suoi ministri Villepin e Sarkozy si sbranassero a vicenda. In seguito: il popolo francese ha scelto due personalità che non sono riuscite a essere all’altezza dell’ufficio presidenziale: Nicolas Sarkozy e François Hollande». Alla fine hanno scelto di portare Macron all’Eliseo, «ritenendo così che questo giovane impetuoso fosse capace di riprendere il timone». Errore. Una spia evidente è l’atteggiamento verso la Ue, apertamente sostenuta dai grandi candidati, che anziché Bruxelles hanno attaccato genericamente “la corruzione”, colpendo in particolare François Fillon. «Una narrazione tipica delle “rivoluzioni colorate”».
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Battiato: se rimuovi la morte, sprechi la tua esistenza
C’è della gente, su questo pianeta, che è molto interessante. Ma nessuno lo sa. Gente molto, ma molto interessante, che ha fatto scelte rigororissime e che si sacrifica anche per gli altri, e nessuno lo sa. Scelte meditative, spirituali. Persone che si isolano dal resto del mondo e meditano: sono eccezionali. L’eremitismo è la cosa massima. E quelle persone stupide che dicono che si allontano dalla società non hanno capito niente, di questo genere di strada: quelli sono i veri caposaldi del nostro pianeta. Un eremita che sta meditando cosa ci dà? Tantissimo, molto più di quello che tu possa immaginare. E’ gente che fa ha fatto una scelta così rigorosa – soffrono talmente tanto, nello stato in cui si trovano, che questa loro ascesi è un’ascesi di tutta l’umanità: ogni volta che uno di loro raggiunge un’elevazione spirituale la raggiunge tutta l’umanità. Ma non lo si sa, ed è anche giusto così. Non è telepatia: è scienza, è energia. Il sole è un tipo di energia, la luna è un altro tipo. La gente pensa magari che il sole è una cosa così, che ci riscalda. Invece è energia.E’ qualcosa di superiore ai medici che studiano? Non c’è paragone, perché la gente che arriva a vedere com’è composto l’universo, e come si muovono le cose, la sa molto più lunga di uno che è in ricerca. La cabala ebraica 4.000 anni fa aveva scoperto la scissione dell’atomo; noi ci siamo arrivati da pochissimo. Ma, quando loro lo dicevano, gli scienziati dicevano che erano scemi. La meditazione è avanti anni luce rispetto alle conquiste spaziali? Senza dubbio: perché, con la meditazione, sai già cosa c’è nella galassia. La vita è l’energia che c’è nell’universo. Quello che sbagliano, gli scienziati, è che pensano di arrivare su Marte e vedere della gente con le antennine. Non è quello: è l’energia che circola su Marte, che è vita. Non sono dimensioni parallele. Sono come gli ultruasioni, che noi non sentiamo ma i cani sì. Uno che non li sente pensa: ma io non sento niente, quindi non ci sono. Una cosa che vedi al microscopio, che c’è gente che la vede a occhio nudo: ha questa capacità di penetrazione.La cosa interessante, del campo dello spettacolo, è che si ha la possibilità di passare alla gente delle cose molto serie, che in un altro modo non arriverebbero mai. Questa è la responsabilità che deve avere un musicista, un cantante: la coscienza di sapere che, attraverso un mezzo frivolo, passano delle cose serie. Io sono un contemplativo: per me, nel guardare un imbrunire, il tempo non si perde. Sì, è completamente fuori dai ritmi di questa società. Ma se non si fa così, non ci si salva più, non c’è più speranza. La società è andata in una direzione completamente sbagliata: bisognare fare qualcosa, per riparare. Che fare? Chi cerca, trova: non ci sono dubbi, non c’è problema. In una canzone, “Il Re del Mondo”, ho detto: “Il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. E’ questo il problema: la gente si dimentica che la morte arriverà. E’ inevitabile: inutile che cerchiamo di esorcizzarla. Quello è il momento più importante: se durante la vita non fai delle cose che ti rapportano con la morte, hai sprecato un’esistenza. Esiste qualcosa al di là della morte? Sans doute. Ma non ha nulla a che dare con i dogmi che ci danno. La religione cattolica è stata un grave errore, per come si è sviluppata. Ma la religione cristiana è un’altrra cosa: bisogna andarsi a rileggere e a rivedere tutto sotto un’altra angolazione.(Franco Battiato, dichiarazioni rilasciate a Red Ronnie per la video-intervista “La meditazione e il sacro, contemplazione e spriritualità” trasmessa molti anni fa da “Italia 1” e pubblicata su YouTube).C’è della gente, su questo pianeta, che è molto interessante. Ma nessuno lo sa. Gente molto, ma molto interessante, che ha fatto scelte rigororissime e che si sacrifica anche per gli altri, e nessuno lo sa. Scelte meditative, spirituali. Persone che si isolano dal resto del mondo e meditano: sono eccezionali. L’eremitismo è la cosa massima. E quelle persone stupide che dicono che si allontano dalla società non hanno capito niente, di questo genere di strada: quelli sono i veri caposaldi del nostro pianeta. Un eremita che sta meditando cosa ci dà? Tantissimo, molto più di quello che tu possa immaginare. E’ gente che fa ha fatto una scelta così rigorosa – soffrono talmente tanto, nello stato in cui si trovano, che questa loro ascesi è un’ascesi di tutta l’umanità: ogni volta che uno di loro raggiunge un’elevazione spirituale la raggiunge tutta l’umanità. Ma non lo si sa, ed è anche giusto così. Non è telepatia: è scienza, è energia. Il sole è un tipo di energia, la luna è un altro tipo. La gente pensa magari che il sole è una cosa così, che ci riscalda. Invece è energia.
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi
Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.
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Costituzione, la più bella del mondo? Quella di D’Annunzio
Liberi tutti: senza distinzioni di classe, sesso, lingua, razza, religione. Democrazia diretta, suffragio universale, referendum, leggi di iniziativa popolare. Cariche pubbliche provvisorie, risarcimenti tempestivi da parte dello Stato. Sarebbe bello se esistesse, oggi, una Costituzione così. Esisteva: cent’anni fa. La promosse il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, dopo la “riconquista” di Fiume, in Istria, alla testa dei suoi “legionari”, esponenti della corrente socialista del primo fascismo. La Carta del Carnaro, varata nel 1920 nella città croata (oggi Rijeka), è un manuale che traduce in pratica, in modo spettacolare, l’utopia libertaria: garantisce «la sovranità collettiva di tutti i cittadini», a partire dai lavoratori. Scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris e modificata in parte da D’Annunzio stesso, ricorda “Wikipedia”, la Carta del Carnaro prevedeva «numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l’habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale», e persino «la depenalizzazione dell’omosessualità, del nudismo e dell’uso di droga». E poi «la funzione sociale della proprietà privata, il corporativismo, le autonomie locali e il risarcimento degli errori giudiziari, il tutto molto tempo prima di altre carte costituzionali dell’epoca».La Costituzione, è scritto nella Carta, «garantisce a tutti i cittadini l’esercizio delle fondamentali libertà di pensiero, di parola, di stampa, di riunione e di associazione. Tutti i culti religiosi sono ammessi». Per legge, inoltre, il lavoro deve essere «compensato con un minimo di salario sufficiente alla vita». Lo Stato offre «l’assistenza in caso di malattia o d’involontaria disoccupazione, la pensione per la vecchiaia, l’uso dei beni legittimamente acquistati, l’inviolabilità del domicilio, l’habeas corpus, il risarcimento dei danni in caso di errore giudiziario o di abuso di potere». E attenzione: «La Repubblica considera la proprietà come una funzione sociale, non come un assoluto diritto o privilegio individuale». Nazionalizzazioni: «Il porto e le ferrovie comprese nel territorio della Repubblica sono proprietà perpetua ed inalienabile dello Stato». Banca centrale pubblica: «Una Banca della Repubblica controllata dallo Stato avrà l’incarico dell’emissione della carta-moneta e di tutte le altre operazioni bancarie».Oggi più che mai, scrive il blog “L’Intellettuale Dissidente”, vale la pena di rileggere – in controluce – quella carta costituzionale voluta da D’Annunzio, dopo l’impresa di Fiume progettata per scuotere le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale, che non intendevano assegnare all’Italia la città istriana. Promulgato l’8 settembre del 1920, quel modello costituzionale «rappresentò un’avanguardia storica, legislativa, culturale e sociale all’interno del XX secolo». Fondata su basi sociali e nazionali, la Carta del Carnaro esprime «la prima forma compiuta di sintesi tra capitale e lavoro all’interno di un ordinamento giuridico». Modella una forma repubblicana di Stato, per tutelare libertà e indipendenza, sovranità, prosperità, giustizia e dignità morale. «Garantiva l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di razza, religione, lingua o classe; differenza fondamentale rispetto ai principi del socialismo pubblicati nel 1848 da Marx e alle derive della seconda parte del ventennio fascista». Era ispirata dai leader del sansepolcrismo, il proto-fascismo “di sinistra”: oltre allo stesso D’Annunzio e a de Ambris, personalità come quelle di Filippo Corridoni e Vittorio Picelli, esponenti del sindacalismo rivoluzionario dell’epoca.«Di fondamentale importanza la concezione dello Stato e dell’istruzione pubblica», aggiunge “L’Intellettuale Dissidente”, «per non parlare di quella della proprietà privata espressa nell’articolo 6, nel quale trova risalto la funzione sociale della stessa in opposizione al privilegio individuale o al diritto assoluto di liberale memoria». L’ispirazione viene dal filosofo inglese John Locke, da cui il «ruolo concessorio del lavoro, considerato l’unico mezzo atto a garantire titolo legittimo di proprietà su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio». In altre parole, la Carta configura «una sintesi superba delle due vie, innovativa e rivoluzionaria al tempo stesso». Rivoluzionaria anche sul piano della teoria economica quando istituisce una banca centrale nazionale controllata dallo Stato, alla quale è demandato in via esclusiva l’incarico dell’emissione della carta-moneta: «Stiamo parlando dunque di ciò che oggi manca in Italia e in Europa dopo la sciagurata scelta dei nostri governi di aderire al progetto della moneta unica europea e di utilizzare fino al limite estremo l’articolo 11 con le limitazioni alla sovranità nazionale».Scelte che oggi appaiono immutabili per il popolo, ma che allora – a Fiume – erano ciclicamente rinnovabili, per diritto e per legge. «La Costituzione veniva infatti riformata ogni dieci anni o su iniziativa degli organi competenti in qualsiasi momento». Di fatto, «una scelta saggia, effettuata secondo la eraclitea concezione del divenire: un divenire storico, al quale la legge deve inevitabilmente adeguarsi per perseguire il bene comune ma mantenendo intatta la stella polare dell’identità di un popolo come guida nei cambiamenti». Aggiunge il blog: «Ritroviamo questo concetto nel convinto e fiero risalto del ruolo dei Comuni. Dalla lega dei Comuni contro il Barbarossa, alla nascita del capitalismo come modo di produzione nelle città autocefale dell’Italia medievale, l’identità più viva di un popolo veniva riconosciuta e sublimata con un’apposita parte della Costituzione dedicata a questa forma di governo locale. Il tessuto capillare dei Comuni e il loro virtuosismo comunitario in contrapposizione agli attuali mostri burocratici partoriti negli anni 70: le Regioni».Che dire poi della concezione democratica e legislativa nata a Fiume. «La riproposizione dell’antico strumento corporativo, come superamento della dicotomia liberalismo-socialismo», aggiunge “L’Intellettuale Dissidente”, «sarà l’incubatore delle svolte mussoliniane, ma l’intero capitolo dedicato alle corporazioni assieme a quello dedicato al potere legislativo rappresentano un alveo futurista all’interno del quale proiettare un’idea rivoluzionaria di Stato». In altre parole, «si tratta della fusione dei concetti di democrazia, capitale e lavoro». La creazione di una doppia camera con potere legislativo, quella dei Rappresentanti e il Consiglio Economico, costituiscono un moderno superamento della stasi democratica dell’epoca e un fiero nemico del bolscevismo sovietico, anche se molti “legionari fiumani” non nascondevano, allora, la loro simpatia per la neonata Urss. La Carta di D’Annunzio dichiarava guerra all’immobilismo e alla corruzione. Gli amministratori “voraci”, nel 1920 «sarebbero stati perseguiti dall’articolo 12 con la revoca dei diritti politici», misura destinata a punire i colpevoli di reati «infamanti» e quelli «che vivono parassitariamente a carico della collettività».Liberi tutti: senza distinzioni di classe, sesso, lingua, razza, religione. Democrazia diretta, suffragio universale, referendum, leggi di iniziativa popolare. Cariche pubbliche provvisorie, risarcimenti tempestivi da parte dello Stato. Sarebbe bello se esistesse, oggi, una Costituzione così. Esisteva: cent’anni fa. La promosse il poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, dopo la “riconquista” di Fiume, in Istria, alla testa dei suoi “legionari”, esponenti della corrente socialista del primo fascismo. La Carta del Carnaro, varata nel 1920 nella città croata (oggi Rijeka), è un manuale che traduce in pratica, in modo spettacolare, l’utopia libertaria: garantisce «la sovranità collettiva di tutti i cittadini», a partire dai lavoratori. Scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste de Ambris e modificata in parte da D’Annunzio stesso, ricorda “Wikipedia”, la Carta del Carnaro prevedeva «numerosi diritti per i lavoratori, le pensioni di invalidità, l’habeas corpus, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di opinione, di religione e di orientamento sessuale», e persino «la depenalizzazione dell’omosessualità, del nudismo e dell’uso di droga». E poi «la funzione sociale della proprietà privata, il corporativismo, le autonomie locali e il risarcimento degli errori giudiziari, il tutto molto tempo prima di altre carte costituzionali dell’epoca».
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Ma la Terra era felice, quando ancora non esisteva il lavoro
Contrariamente a una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale. È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro. Si sa che in tutte le lingue il termine deriva da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena e afflizione. La Bibbia ne fa la punizione divina e i miti universali parlano di una età dell’oro originale, indenne dall’obbligo del lavoro. È proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da Marshall Sahlins. Il cacciatore-raccoglitore, prima dell’invenzione dell’agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava; si dedicava alle libere attività dell’essere umano, che consistevano nel cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare. Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo simile, di una classe su un’altra. Si tratta sempre di una classe improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice e ne accaparra la produzione…Dominio e sfruttamento sono una sola ed unica cosa. Ciò che separa la libera attività dal massacrante lavoro consiste quindi nella accumulazione di frutti dell’attività di un individuo che si trova costretto a produrre per qualcuno estraneo alla sua produzione e che se ne appropria. Il lavoro crea ricchezza, ma quella altrui. Così il lavoro sanziona il passaggio della libertà originale alla schiavitù, che solo di recente ha fatto posto, per soddisfare le esigenze del commercio mondale (ormai chiamato globalizzazione), alla sua versione aggravata: il salario generalizzato. Già Nicolas Linguet, filosofo dei Lumi, vedeva nella schiavitù salariata un peggioramento dell’antica schiavitù. Il lavoro non è solo l’insicurezza sociale; è soprattutto il supplizio quotidiano dell’uomo abbrutito dalla ripetizione di compiti insipidi e alienanti. Lavorare è una debolezza, quando si può farne a meno e fare qualcosa di meglio: è quanto hanno sostenuto lungo tutta la storia le élite intellettuali che disprezzavano il lavoro.Le raffinate civiltà dell’India, della Cina e della Grecia antiche ponevano il lavoro al di sotto di tutto. Gli indigeni delle Antille preferivano, nel Rinascimento, cessare di riprodursi piuttosto che piegarsi al lavoro imposto dagli europei; e ancora oggi nello Sri Lanka si mutilano più volentieri al fine di mendicare piuttosto che subire l’obbligo del lavoro! Del resto, tutte le lingue possiedono dei detti che rimettono il lavoro al suo posto, l’ultimo: «Lavorano solo quelli che non sanno fare altro» dicono i portoghesi, mentre i russi assicurano che «lavorando si diventa più velocemente gobbi che ricchi»! Ai giorni nostri è la miseria generale, generata dal mondo capitalista della produzione forsennata, a curvare così sovranamente la schiena dello schiavo moderno sotto questo flagello laborioso. L’ozio rimane il sogno impossibile del proletario incatenato ad orari estenuanti, sventurato, su cui incombe la precarietà.Il paese più “sviluppato”, gli Usa, ha compiuto un passo in più nell’abiezione creando una classe numerosa di “working poor”: la massa di coloro che devono sgobbare duro per non morire di fame, senza poter sfuggire alla fame. Infine, il lavoro è diventato la causa di tutti i mali che affliggono la società spacciata per moderna e che si trova ad essere la più degradante di tutte quelle che si sono susseguite dalla comparsa dell’uomo sulla terra. È al lavoro, ormai non solo inutile ma nocivo, che si deve l’inquinamento universale del globo terrestre ad opera dei prodotti industriali, chimici, farmaceutici, nucleari, eccetera. L’avvelenamento generalizzato dovuto al lavoro forsennato degenerato in epidemie che si credevano scomparse e le malattie da prioni sono alcuni tristi esempi. La folle logica del profitto conduce «in modo naturale» alla pazzia in massa delle mucche altrettanto funestamente che all’estinzione delle specie animali e vegetali. Sono anche le ricadute del lavorio alienato a rendere l’acqua imbevibile e l’aria irrespirabile.In breve, non è l’ozio ad essere il padre di tutti i vizi, è il lavoro ad essere il padre di tutte le decadenze. Mens sana in corpore sano, l’antico adagio dei nostri avi che invocano uno spirito sano in un corpo sano non può concepirsi oggi senza fare appello alle virtù della pigrizia. È l’ozio che ormai occorre riabilitare in maniera urgente, contro coloro che ci derubano del nostro tempo, contro i vampiri che ci assassinano poco alla volta nel nome del mercato e dello Stato. Bisogna considerare l’ozio come una attività creatrice, alla stregua della passione della distruzione cara a Bakunin. Per l’irrimediabile nemico di un mondo che ci conduce alla morte con la miseria del lavoro e il lavoro della miseria, l’ozio serve nel vero senso della parola la qualità del tempo ritrovato, di un presente che mira a rivalorizzare i piaceri di una vita intensamente vissuta. Morte al lavoro. Facciamola finita con la noia di un mondo laborioso!(Attila Toukkour, “Il lavoro? Un male sociale che possiamo curare solo con l’ozio”, dal blog “La Schiavitù del Lavoro” del 21 giugno 2017, ripreso da “La Crepa nel Muro”).Contrariamente a una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale. È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro. Si sa che in tutte le lingue il termine deriva da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena e afflizione. La Bibbia ne fa la punizione divina e i miti universali parlano di una età dell’oro originale, indenne dall’obbligo del lavoro. È proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da Marshall Sahlins. Il cacciatore-raccoglitore, prima dell’invenzione dell’agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava; si dedicava alle libere attività dell’essere umano, che consistevano nel cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare. Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo simile, di una classe su un’altra. Si tratta sempre di una classe improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice e ne accaparra la produzione…
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L’ultimo uomo: l’orrore dell’antropologia marx-capitalista
Un tema mi affascina da tempo, anche perché è fondamentale per capire le dinamiche della società di oggi, quello dell’ingegneria sociale, nozione oscura ai più ma che, in estrema sintesi, racchiude le tecniche usate per influenzare non tanto o non solo i media e l’opinione pubblica, quanto le masse, il loro modo di vivere, i loro valori, i loro gusti, persino – e il tema è più che mai attuale – le loro tendenze sessuali. Il problema è che quando si affrontano temi come questi si oscilla fra due estremi: saggi suggestivi ma esasperatamente complottisti e quelli rigorosamente allineati all’establishment e tesi a confermare, veementemente e talvolta ottusamente, le verità ufficiali. Ho appena finito di leggere un saggio che, invece, ha l’approccio giusto, giustamente dubbioso ma che fa parlare i fatti anziché proporre al lettore le prove a sostegno di una tesi precostituita. L’ha scritto un intellettuale che meriterebbe maggior fama, Enzo Pennetta, ma che, come capita a molti pensatori davvero liberi e dunque scomodi, non viene adorato dal mainstream. Il suo bel e notevole saggio si intitola “L’ultimo uomo” ed è edito dal Circolo Proudhon, animato da giovani promettenti e coraggiosi.Pennetta, autore tra l’altro del blog “Critica scientifica”, fa quel che dovrebbe fare ogni studioso: costruisce la sua analisi su documenti e citazioni precisi, a cui dà un senso e una prospettiva storica. Ne “L’ultimo uomo” si propone di delineare il collante ideologico e teorico che modella la società di oggi, sempre più destrutturata nell’identità, sempre più tecnologica, sempre più confusa sessualmente, sempre meno religiosa e che tende pericolosamente verso la prossima era, in cui per il tramite delle nuove divinità, la scienza e la tecnologia, si pretende di sovvertire le leggi della natura. Non è lungo, raggiunge appena le 200 pagine ed è di piacevolissima e fluida lettura, ma è talmente ricco di contenuti che, quando lo concludi, d’istinto sei portato a rileggere alcuni passaggi, per apprezzare connessioni tanto raffinate quanto illuminanti. Pennetta ripercorre la storia e a suo giudizio le illusioni del darwinismo, spiegando come da una teoria in sé plausibile ma che non può essere considerata definitiva, si sia creato il dogma in nome del quale si sono giustificate nuove forme di dominio sociale ed economico.In tal senso rivela nessi sorprendenti tra capitalismo e marxismo, spiega l’autentica funzione della Fabian Society, svela le inclinazioni malthusiane veicolate dal femminismo. Quel che colpisce, nella sua analisi, è la capacità di dimostrare le conseguenze sulla nostra società di teorie in apparenza lontane e per molti versi astruse. Il romanzo “Mondo nuovo” di Aldous Huxley è stato profetico e alcune mode dell’era moderna (come la rivoluzione sessuale, quella psichedelica, il New Age) ritentrano in un percorso di modellamento sociale. Questo libro rischia di essere traumatico sopattutto per il lettore in buona fede di sinistra, quello più moderno, progressista, evoluto. Quello, per intenderci, che legge “Repubblica”, vota Pd e adora i guru, soprattutto stranieri. Pennetta denuncia, anzi dimostra, come dietro a tali guru, a cominciare da quelli della Silicon Valley, come Bezos, Brin, Zuckerberg, si celino intenti che rappresentano l’antitesi di quello che un tempo era la sinistra, in quanto ultraélitisti e che rispecchiano l’approccio filosofico di Ayn Rand, secondo cui «esiste una differenza antropologica fra gli esseri umani: da una parte gli eletti, gli imprenditori illuminati, e dall’altra una massa di personaggi parassitari condannati a vivere degli avanzi dei primi».Da qui la strumentalizzazione di battaglie apparentemente giuste e in realtà infide dei movimenti che appellandosi a ogni forma di diritto distruggono le fondamenta della nostra società, rendendola totalmente liquida e dunque facilmente manipolabile. Da qui il ruolo di ariete, tutt’altro che innocente, delle Organizzazioni non governative, di partiti come quello radicale, della pretesa di una società unisex come strumento per liquefare la famiglia e l’identità biologica. “L’ultimo uomo” rischia, però, di essere traumatizzante anche per il lettore liberale-conservatore, che crede sia nel libero mercato sia in una società tradizionalista, perché si accorgerà che quel liberismo non è solo meritocratico ma ha finalità sconvolgenti di ingegneria sociale. E’, insomma, un saggio per lettori che vogliono capire, aperti di spirito. Mira a far nascere una nuova consapevolezza, ad aprire gli occhi su dinamiche che restano invisibili ai più ma che trasformano la nostra esistenza, rendendo sempre più vicina una società talmente avveniristica e scientifica da poter fare a meno persino di te, caro lettore, e di me. Di noi tutti. In ultima analisi dell’uomo stesso.(Marcello Foa, “La manipolazione invisibile della società funziona così”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 12 luglio 2017. Il libro: Enzo Pennetta, “L’ultimo uomo. Malthus, Darwin, Huxley e l’invenzione dell’antropologia capitalista”, Circolo Proudhon Edizioni, 200 pagine, 16 euro).Un tema mi affascina da tempo, anche perché è fondamentale per capire le dinamiche della società di oggi, quello dell’ingegneria sociale, nozione oscura ai più ma che, in estrema sintesi, racchiude le tecniche usate per influenzare non tanto o non solo i media e l’opinione pubblica, quanto le masse, il loro modo di vivere, i loro valori, i loro gusti, persino – e il tema è più che mai attuale – le loro tendenze sessuali. Il problema è che quando si affrontano temi come questi si oscilla fra due estremi: saggi suggestivi ma esasperatamente complottisti e quelli rigorosamente allineati all’establishment e tesi a confermare, veementemente e talvolta ottusamente, le verità ufficiali. Ho appena finito di leggere un saggio che, invece, ha l’approccio giusto, giustamente dubbioso ma che fa parlare i fatti anziché proporre al lettore le prove a sostegno di una tesi precostituita. L’ha scritto un intellettuale che meriterebbe maggior fama, Enzo Pennetta, ma che, come capita a molti pensatori davvero liberi e dunque scomodi, non viene adorato dal mainstream. Il suo bel e notevole saggio si intitola “L’ultimo uomo” ed è edito dal Circolo Proudhon, animato da giovani promettenti e coraggiosi.
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Erik Olin Wright: democrazia, per erodere questo capitalismo
In tutte le strutture economiche, gli aspetti chiave che definiscono le relazioni sociali sono i rapporti di potere. In una struttura economica, i rapporti di potere sono basati sul tipo di risorse che possiedi e controlli. Se viviamo in un’economia capitalistica, ciò significa che i rapporti sociali di base nell’economia sono fondati sulla ricchezza, sulla proprietà. Questa è l’economia basata sull’impresa privata: ha al centro la proprietà privata del capitale. Ci sono persone che sono dominate dal capitale. Oggi vedono ancora il capitalismo come un problema serio: molte persone hanno ben chiaro che il capitalismo sta distruggendo l’ambiente, sta producendo insicurezza, sta producendo precarietà, sta producendo una concentrazione di potere che sta devastando i nostri processi democratici. Le persone riconoscono tutti questi problemi e li attribuiscono correttamente al potere del capitale, ma non traducono ciò nella propria identità. E questo è un problema, perché danneggia l’azione collettiva. È in questo senso che sostengo che un progetto di democratizzazione sia in grado di unificare le persone. Se le concentrazioni di potere sono il cuore del problema, rendere quel potere più subordinato alla democrazia è parte della soluzione.Il potere oggi è più difficile da limitare, a causa della globalizzazione e della finanziarizzazione del capitale. E poi emergono due questioni. La prima è quella della riforma democratica: quali sono le politiche che possono estendere la democrazia nell’economia e nella società civile? Come creiamo una società democratica? E la seconda è quella economica: come creiamo le condizioni per una vita economica che sia più geograficamente radicata, nei territori, invece di essere globalmente mobile? Transizione a una società post-capitalistica? Il termine “transizione” tende a dare l’idea che ciò possa avvenire in un lasso di tempo breve, e credo che invece ci dobbiamo immaginare un processo di erosione, questo è il termine geologico che uso: un processo che eroda il capitalismo. Si pone il problema di come realizzare questo processo di democratizzazione all’interno dell’Unione Europea. Non c’è solo la globalizzazione, c’è anche un organizzazione sovranazionale con regole che non sono solo capitalistiche ma proprio neoliberiste. È possibile dare vita a questo processo di alternativa all’interno di questo contesto di governance?Non c’è una ragione intrinseca per cui uno Stato europeo debba essere neoliberista. Lo è, perché questi sono i termini in cui il capitalismo ha forgiato questa istituzione politica transnazionale, ma penso che il progetto di democratizzare il quasi-Stato europeo, rendendolo un’istituzione che abbia più capacità e non meno, ma in maniera subordinata alla democrazia, debba essere parte del progetto di democratizzazione più generale. Uscire dall’Europa renderebbe le cose ancora peggiori: non c’è ragione per cui, all’interno di Stati sovrani di medie dimensioni, che dipenderebbero comunque dall’integrazione economica con altri Stati, altre società e altre economie, ci sarebbe una maggiore capacità di controllare il capitalismo. Avremmo più possibilità di controllare il capitalismo se democratizzassimo l’Unione Europea che se semplicemente democratizzassimo gli Stati membri e ci liberassimo dell’Ue. Abbiamo bisogno di istituzioni politiche sovranazionali che rispondano democraticamente alle persone per risolvere davvero il problema di come limitare il potere del capitalismo.Parlando di globalizzazione, che relazione c’è, oggi, tra le lotte nel mondo occidentale e quelle sul piano globale? Non mi sento in grado di prevedere dove sia più probabile che avvengano i futuri avanzamenti della democrazia, se avverranno. Quanto sono convinto che queste strategie avranno successo? Se dovessi scommettere la mia casa e l’eredità per i miei figli, scommetterei sul fatto che nei prossimi 25 anni avremo una svolta democratica in grado di subordinare il capitalismo e di permettere a forme alternative al capitalismo di svilupparsi dinamicamente, o prevedrei una continuazione del capitalismo con diseguaglianze più profonde, crisi e una diminuzione della democrazia? Probabilmente scommetterei sulla seconda opzione. È la più probabile, ma non è inevitabile. Il pessimismo è facile, non richiede alcun lavoro intellettuale. Ci vuole un sacco di serio lavoro intellettuale, invece, per trovare fonti di ottimismo.Bisogna cominciare da qualche parte. L’idea che non si possa trasformare nessun luogo finché non li si sono trasformati tutti è una ricetta per non trasformare nulla. Questo chiaramente è più importante se si pensa alla trasformazione come rottura: giovedì avremo un’isola felice in Italia, e poi potremo provare ad avere un mondo felice domenica. Questa è la logica della rottura, non quella del processo. Se pensiamo al processo, il punto è dove cominciare a cambiare le dinamiche dello sviluppo, nella direzione di quella che chiamo erosione del capitalismo, perché questo è il meglio che possiamo fare. Qualche volte le politiche rilevanti possono essere locali, non nazionali. Ci sono cose che possono accadere nei Comuni. Ad esempio, gli spazi pubblici, per facilitare l’iniziativa collettiva per nuove forme di attività economica. Questo è un tema locale in molti paesi. Ci sono posti in cui ci sono fabbriche abbandonante, per via della deindustrializzazione: quelli sono spazi sprecati, non utilizzati. Questi spazi potrebbero essere trasformati in spazi per makers, per progetti collettivi, compresi progetti di auto-organizzazione per l’economia solidale e sociale, per le cooperative.Queste cose quando vengono fatte creano delle dinamiche, perché coinvolgono le persone nell’immaginare e nel creare alternative e democrazia. Queste sono cose che le persone possono fare come parte della propria vita in un determinato territorio. E anche se sarà una piccola parte dell’azione che va verso l’alternativa, sarà comunque un passo avanti. Ci potranno essere momenti storici, per colpa di una crisi, o di cambiamenti ideologici o politici, in cui quelle iniziative possono essere portate a livello globale, in cui si può pensare a ridisegnare i trattati commerciali globali, a mettere una Tobin Tax sulle transazioni finanziarie transnazionali; ci potranno essere opportunità per mettere limiti al capitale globale, facilitando ulteriori trasformazioni. Ma non penso che dovremmo mettere tutte le nostre energie, dal punto di vista strategico, nei temi globali, perché sono ovviamente i più importanti, in termini di danno, ma raramente sono i migliori obiettivi. Gli obiettivi locali possono essere più vulnerabili.La strategia di erosione del capitalismo che io propongo ha al centro la democrazia, con l’idea che se si riesce a rendere il capitalismo subordinato alla democrazia, si creano le condizioni per sviluppare alternative al capitalismo. Tradizionalmente, la forma di espressione della democrazia nell’era moderna è stata lo Stato. Sto proponendo che per democratizzare l’economia dobbiamo lavorare per un nuovo ruolo dello Stato nell’economia, o sto immaginando forme di democrazie che non sono basate sulle istituzioni rappresentative? Penso a entrambe le cose. Abbiamo bisogno di uno Stato più forte, con maggiore capacità democratica per intervenire nell’economia, perché abbiamo bisogno di un modo per controllare le esternalità negative della produzione capitalistica e per proteggere meglio i beni comuni. Tutte cose per cui c’è bisogno dello Stato. Ma abbiamo bisogno anche di democrazia fuori dallo Stato: abbiamo bisogno di democratizzare i luoghi di lavoro, di creare nuovi processi democratici anche all’interno di imprese capitalistiche, trasformandole in ibridi che sono capitalistici per certi aspetti e democratici per altri.Abbiamo bisogno anche di democratizzare la società, non solo l’economia e lo Stato. Dobbiamo democratizzare la vita associativa delle comunità. Le tendenze all’esclusione che esistono nella società civile devono essere combattute. Questa è una battaglia molto difficile, perché alcune forme di esclusione sembrano così naturali da essere organiche alla vita delle persone. Penso alla maniera in cui le tradizioni religiose, ad esempio, creano insider e outsider, i salvati e i dannati, tutte queste barriere che impediscono il riconoscimento nella società civile. È piuttosto difficile combatterle, e in certe aree del mondo sono di fatto il problema principale, quando le pratiche di esclusione che sono costruite sulle tradizioni religiose diventano la fonte del dominio più violento. Se fosse vero che lo Stato non è niente di più che l’espressione del potere della classe dominante, se questa non fosse solo un’approssimazione ma tutta la storia, se lo Stato fosse un’espressione senza contraddizioni interne e totalizzante del potere della frazione dominante della classe dominante, allora non avrebbe alcun senso battersi per uno Stato democratico, perché la democraticità dello Stato sarebbe un’illusione.In questo senso lo Stato non sarebbe solo uno Stato capitalistico, sarebbe uno Stato puramente capitalistico. Bene, io non penso che questa sia una teoria dello Stato soddisfacente. Penso che lo Stato sia un assemblaggio ben più complicato e più contraddittorio. Penso che sia un ecosistema, uso questa metafora, che ha i suoi problemi ma che mi sembra funzioni meglio rispetto all’idea dello stato come un organismo, una totalità che esprime pienamente un interesse unificato. No, lo Stato è un’incarnazione contraddittoria delle forze della società, e la componente democratica dello Stato è un elemento profondamente contraddittorio all’interno dello Stato stesso. Per questo penso che la lotta per rendere più profonda la democrazia nello Stato sia sempre problematica, mai facile, ma quando ha successo intensifica questo carattere contraddittorio dello Stato e crea aperture. Qualche volta avviene per temi regionali, articolando il conflitto tra locale e nazionale, qualche volta è una componente dello Stato nazionale, due ministeri che non collaborano.Non possiamo schioccare le dita e trasformare lo Stato in qualcosa di diverso. Se adottiamo la disperazione anarchica e decidiamo che quella nello Stato è una battaglia senza speranza e va evitata, per limitarsi a costruire le alternative, credo che si produca solo marginalizzazione. Dall’altra parte c’è l’illusione della sinistra liberal di credere che lo Stato sia uno strumento neutro: neanche quella funziona. Bisogna vivere le contraddizioni e muoversi al loro interno. I sondaggi sulla popolarità del socialismo tra i millennials negli Stati Uniti e la crescita della quota di giovani britannici che si considerano contrari al capitalismo: un’ondata di anticapitalismo? Penso di sì. Penso che molti giovani si riconoscano nello slogan “Il capitalismo non funziona, un altro mondo è possibile”. Hanno vissuto la crisi del 2008-2010, hanno visto le cose insensate che i politici e le élite dicevano, hanno visto le cose cambiare ben poco, in termini di priorità. Capiscono un fatto bizzarro: anche in mezzo a questa crisi, le società europee sono più ricche di 30 anni fa. Sono società ricche. E quindi come può essere che la precarietà, l’insicurezza e l’ansia aumentino, con tutta la ricchezza della società? È folle.Il capitalismo non sta funzionando. Il capitalismo produce innovazione, lo sappiamo, tutti abbiamo uno smartphone e ci fa piacere averlo. Il capitalismo produce tutti questi cambiamenti tecnologici, eppure non funziona, produce sia meraviglie tecnologiche sia la precarietà. È veramente il meglio che possiamo fare? Una risposta possibile è: “Non c’è alternativa”. Io penso che ci sia un’ondata di giovani che dicono: “Forse c’è un’alternativa”. Il problema è il processo per arrivarci. C’è ancora una grande speranza per una rottura: l’idea che se Corbyn avesse vinto, se Mélenchon fosse stato eletto, allora forse avrebbero potuto mettere in atto un’alternativa. Questa è una fantasia. La transizione tra strutture sociali complesse dev’essere il risultato di un processo di trasformazione piuttosto che di un’azione immediata. Uso la metafora dell’erosione perché suggerisce che si metta in moto qualcosa che abbia quell’effetto. E penso a tutti i modi in cui possiamo promuovere la costruzione di alternative, assicurarne le fondamenta in modo che non siano sempre vulnerabili e poi incoraggiare attraverso l’azione collettiva le persone a parteciparvi: questo per me è il modo di pensare a un’alternativa al capitalismo.(Erik Olin Wright, dichiarazioni rilasciate a Lorenzo Zamponi e Marta Fana per l’intervista “Estendere la democrazia per erodere il capitalismo”, pubblicata da “Micromega” il 5 luglio 2017. Sociologo marxista statunitense, attento osservatore delle diamiche di trasformazione della società, Erik Olin Wright insegna all’università del Wisconsin).In tutte le strutture economiche, gli aspetti chiave che definiscono le relazioni sociali sono i rapporti di potere. In una struttura economica, i rapporti di potere sono basati sul tipo di risorse che possiedi e controlli. Se viviamo in un’economia capitalistica, ciò significa che i rapporti sociali di base nell’economia sono fondati sulla ricchezza, sulla proprietà. Questa è l’economia basata sull’impresa privata: ha al centro la proprietà privata del capitale. Ci sono persone che sono dominate dal capitale. Oggi vedono ancora il capitalismo come un problema serio: molte persone hanno ben chiaro che il capitalismo sta distruggendo l’ambiente, sta producendo insicurezza, sta producendo precarietà, sta producendo una concentrazione di potere che sta devastando i nostri processi democratici. Le persone riconoscono tutti questi problemi e li attribuiscono correttamente al potere del capitale, ma non traducono ciò nella propria identità. E questo è un problema, perché danneggia l’azione collettiva. È in questo senso che sostengo che un progetto di democratizzazione sia in grado di unificare le persone. Se le concentrazioni di potere sono il cuore del problema, rendere quel potere più subordinato alla democrazia è parte della soluzione.