Archivio del Tag ‘caos’
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Se Renzi perde si tiene il Pd, a Palazzo Chigi un altro Monti
Se dovesse perdere il referendum, «Renzi sarebbe ridotto a mal partito, ma non spacciato: per liberarcene occorrerà ancora altro», sostiene Aldo Giannuli, che prova a valutare le mosse del premier in caso di bocciatura, visti i sondaggi che ormai danno vincente il No, nonostante i tanti indecisi. In caso di sconfitta, «è prevedibile che Renzi rassegni le dimissioni del governo già il giorno 5 dicembre e prima che glielo chieda chiunque», perché «in un paese in cui non si dimettono nemmeno i morti e dove nessuno tiene fede alla parola data, un politico che si dimette come aveva promesso ci fa un figurone». Ma attenzione, sarebbe una scelta dovuta a un calcolo molto preciso: «Mantenere la poltrona di segretario del partito e guadagnare tempo». Infatti, «difficilmente gli converrebbe andare alle elezioni subito: dopo la botta del referendum, il Pd probabilmente perderebbe». Anche se la Corte Costituzionale dovesse lasciare immutato l’Italicum, infatti, «la bocciatura del referendum imporrebbe di ripensare la legge elettorale», magari per differenziarla: turno unico al Senato e doppio turno alla Camera. Ci vorrà tempo: e Renzi preferirà cedere temporaneamente Palazzo Chigi a «un altro Monti», dedicandosi nel frattempo alla definitiva “pulizia etnica” nel Pd, divenendone il padrone assoluto.Sempre che, naturalmente, i poteri forti glielo consentano. A decidere, in realtà, sarebbe il Vaticano, scommette l’ex ministro socialista Rino Formica. Il “Financial Times” lascia capire che la finanza anglosassone sta già mollando il Rottamatore: le sue riforme sarebbero «un ponte verso il nulla», scrive il giornale della City. Fin dall’inizio, Renzi è stato sostenuto dall’élite di potere che guida la globalizzazione in senso neo-feudale, predicando il taglio dello Stato a favore delle multinazionali privatizzatrici. La riforma costituzionale sottoposta a referendum sembra recepire alla lettera il “monito” di Jamie Dimon, che dal vertice della Jp Morgan avvertì che la nostra Costituzione è “troppo sensibile” alla tutela dei diritti sociali. Da sempre, Renzi si è affidato a consiglieri strategici non esattamente di sinistra: da Marco Carrai, un uomo con saldi interessi nella finanza di Tel Aviv, a Yoram Gutgeld, economista italo-israeliano e vera “mente” del governo. Per non parlare del consigliere-ombra per la politica estera, il politologo americano Michael Ledeen, esponente dell’ultra-destra atlantista. «Ledeen appartiene alla massoneria internazionale di potere che ha condizionato lungamente la politica italiana», racconta Gianfranco Carpeoro nel libro “Dalla massoneria al terrorismo”: «Ha sponsorizzato prima Craxi, poi Di Pietro, poi Grillo».Stesso schema: sostenere un leader e, al tempo stesso, il suo “demolitore” – ieri Craxi e Di Pietro, oggi Renzi e Grillo. Sempre secondo Carpeoro, il grillino “gestito” da Ledeen sarebbe Luigi Di Maio, ipotetico premier del dopo-Renzi in caso di elezioni. L’evoluzione della crisi italiana preoccupa moltissimo i super-poteri finanziari che governano l’Europa attraverso l’Ue, la Bce e la Germania: il referendum italico segue di poco il terremoto-Brexit e sarà celebrato all’indomani del voto americano, dove il vertice dell’oligarchia teme la vittoria di Trump. Poi, in Europa, seguiranno elezioni delicatissime, a partire da quella di un paese-cardine come la Francia, sempre più ostile all’egemonia di Bruxelles. Se questa è la cornice internazionale nella quale maturano anche gli eventi italiani, per ora Giannuli preferisce concentrarsi sulle mosse del piccolo Renzi: se perdesse il referendum, dice l’analista dell’ateneo milanese, il premier cercherà di evitare lo scioglimento immediato delle Camere (e qui il caos sulla legge elettorale lo soccorrerebbe) e proverà a domare la rivolta nel partito. «Infatti, è più che plausibile che Franceschini, De Luca, Emiliano, e forse i piemontesi (Fassino e Chiamparino) gli si getteranno addosso reclamandone la testa». E, insieme a «quei morti di sonno della minoranza di sinistra», potrebbero «rovesciare il segretario», anche se lo statuto del Pd imporebbe un “regolare processo”, cioè un congresso del partito.«Il disegno di Renzi è facilmente indovinabile: fare un governo di scopo, di larghe intese, proprio perché bisogna rifare la legge elettorale e, di conseguenza, un governo presieduto da un tecnico non iscritto a nessun partito (insomma, un altro Monti)». Questo sia per guadagnare tempo, sia per evitare che su quella poltrona possa andarci Franceschini o un altro esponente Pd che poi, magari, diventerebbe il candidato alla presidenza del Consiglio. «In questo modo, invece – continua Giannuli – la poltrona di Palazzo Chigi sarebbe “sterilizzata” ai fini delle prossime elezioni». Una volta “sistemato” il governo in questo modo, Renzi potrebbe dedicarsi al congresso del partito. Obiettivo: estinguere la minoranza bersaniana, che il segretario non ricandiderebbe più alle elezioni. «Qui l’azione di D’Alema sarebbe perfettamente convergente, perché il Conte Max ragionevolmente userebbe la rete dei comitati per il No come base di un nuovo partito». Ma attenzione, anche qui, ai retroscena: D’Alema, scrive Gioele Magaldi nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, milita nella galassia delle logge sovra-massoniche internazionali di destra, come la storica “Three Eyes”, che annoverebbe tra i suoi autorevoli esponenti personalità come Henry Kissinger e Giorgio Napolitano. Un giurista vicinissimo all’ex capo dello Stato, Valerio Onida, ex presidente della Consulta, sta tentando di far bloccare (per eccesso di quesiti) un referendum che Renzi rischia di perdere. Come dire: il gioco è grande, molto più di Renzi.Se dovesse perdere il referendum, «Renzi sarebbe ridotto a mal partito, ma non spacciato: per liberarcene occorrerà ancora altro», sostiene Aldo Giannuli, che prova a valutare le mosse del premier in caso di bocciatura, visti i sondaggi che ormai danno vincente il No, nonostante i tanti indecisi. In caso di sconfitta, «è prevedibile che Renzi rassegni le dimissioni del governo già il giorno 5 dicembre e prima che glielo chieda chiunque», perché «in un paese in cui non si dimettono nemmeno i morti e dove nessuno tiene fede alla parola data, un politico che si dimette come aveva promesso ci fa un figurone». Ma attenzione, sarebbe una scelta dovuta a un calcolo molto preciso: «Mantenere la poltrona di segretario del partito e guadagnare tempo». Infatti, «difficilmente gli converrebbe andare alle elezioni subito: dopo la botta del referendum, il Pd probabilmente perderebbe». Anche se la Corte Costituzionale dovesse lasciare immutato l’Italicum, infatti, «la bocciatura del referendum imporrebbe di ripensare la legge elettorale», magari per differenziarla: turno unico al Senato e doppio turno alla Camera. Ci vorrà tempo: e Renzi preferirà cedere temporaneamente Palazzo Chigi a «un altro Monti», dedicandosi nel frattempo alla definitiva “pulizia etnica” nel Pd, divenendone il padrone assoluto.
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Badiou: giovani, rifiutate il potere e scegliete la vita vera
«Corrompere i giovani, spingendoli a rinunciare a piaceri e denaro per mettersi alla ricerca della “vera vita”, significa rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca» racconta il filosofo Alain Badiou, intervistato da Anais Ginori per “Repubblica”. L’intellettuale parigino, già maoista, scrisse qualche anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump. «Con un capitalismo sempre più trionfante – commenta – il nostro sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un capitalismo dal volto umano ha fallito». Ora pubblica “La vera vita”: perché ha deciso di rivolgersi ai giovani? «Sono partito dall’osservazione dei miei figli, dalle loro difficoltà a inserirsi nel mondo adulto». Come professore, si è rivolto ai giovani per tutta la vita: «In fondo la filosofia è una forma di pedagogia, di volontà di trasformare il pensiero all’origine». Poi c’è la storia personale: lo «straordinario entusiasmo politico degli anni Sessanta e Settanta, seguito dalla delusione e persino da forme di disperazione. Una parte dei giovani vuole attingere a quell’esperienza, scavalcando i genitori». Come se ne esce? Con una “alleanza” tra nonni e nipoti.«Provate ad andare in qualche riunione politica: l’opposizione è giovani e vecchi contro gli adulti», dice Badiou, nell’intervista ripresa da “Micromega”. «La mia generazione può tramandare l’idea del possibile. La grande oppressione contemporanea non è dire che il mondo di oggi sia il migliore – tutti ammettono che non è ideale – ma nel voler convincere tutti noi dell’assenza di alternative. La vera vita significa rifiutare quest’imposizione esterna». Oggi, continua Badiou, «i giovani sono i nuovi vecchi». E spiega: «Prima erano gli anziani i custodi dell’ordine costituito, che preservavano l’equilibrio sociale. Oggi sono i giovani perché è attraverso di loro, ma soprattutto dell’immagine della giovinezza, che si perpetua il sistema della concorrenza, del successo, della performance che rifiuta qualsiasi perdente. Voler rimanere giovani è qualcosa che abbiamo sempre visto nell’umanità». Chi era giovane negli anni Sessanta ha avuto più fortuna: «L’universo della tradizione era ancora sufficientemente forte per permettere alla rivolta di avere un senso all’interno della modernità». Oggi, invece, «la propaganda del capitalismo vuole imporre un’unica idea di modernità o postmodernità, e forse un giorno post-postmodernità: alla fine parliamo sempre della stessa cosa, visto che è scomparso l’ideale rivoluzionario ».Cosa significa oggi ribellarsi? Spesso la rivolta «si riduce a essere un sintomo della malattia», sostiene il filosofo. «In Occidente, le rivolte sono per lo più nostalgiche, tendono a voler conservare l’epoca d’oro del welfare, in nome di un passato ormai superato. Penso ad esempio ai ragazzi del movimento “Occupy Wall Street” che, pur con lodevoli intenzioni, rappresentano un ridotto manipolo della classe media minacciata, una protesta piccolo-borghese destinata a svanire nel nulla, in mancanza di un legame con i veri diseredati del pianeta». L’altro tipo di ribellione che osserviamo tra i giovani, continua Badiou, è quella nichilista, «che nasce nella modernità occidentale ma la vuole combattere: il terrorismo islamico, ad esempio». Attenzione: «Nessuna di queste è una vera rivolta. Il Ventunesimo secolo dovrebbe essere un nuovo Settecento, un secolo di nuovi Lumi, e noi filosofi dovremmo esercitare la nostra funzione destabilizzante». Una “buona vita”, secondo le convenzioni, è «un’esistenza orientata verso la comodità, il tornaconto personale, l’accumulazione individuale». La “vera vita”, invece, è «una ricerca di condivisione» che «porta in sé un’energia creatrice, da cui far scaturire un nuovo sistema di valori universali».“Vera vita”, per Badiou, è quel che Senofonte descrive nell’Anabasi, «ovvero la risalita, l’erranza, lo sradicamento: in definitiva significa vivere, e non sopravvivere». Una rassegnazione indotta dalla crisi del capitalismo? «Siamo nel mezzo di quel “disagio della civiltà” di cui già parlava Freud. La simbologia è stata distrutta dal capitale, come Marx aveva annunciato». Per questo, Badiou crede «in una ripartenza individuale, in compagnia dell’umanità intera», verso «una nuova simbolizzazione egualitaria». E averte: «Se accetteremo la logica di dominio del capitalismo, andremo verso cataclismi. Tutti i drammi dell’umanità vengono dall’incontro tra meccanismi di potenza e disuguaglianza. Persino la ricchezza dell’aristocrazia durante l’Ancien Régime non provocava squilibri forti come quelli di oggi».Ma la “simbolizzazione egualitaria”, domanda Ginori, non è già fallita nel Novecento? «Non ho problemi a riconoscere il fallimento del comunismo», ammette Badiou, «ma non accetto l’ordine costituito del capitalismo, che sta producendo un caos mondiale, con diseguaglianze spaventose». E’ la cosiddetta ideologia neoliberista, o meglio «liberista tout court, perché si ripete da due secoli», che di fatto «è una semplice volontà di dominio». L’antidoto? «Creare nuove ideologie, senza prendere il rischio di riprodurre eredità del passato, escatologie rivoluzionarie sbagliate non solo sul piano empirico ma anche ideologico, perché opponevano la potenza dello Stato a quella del capitale». Da dove partire? «Già porsi la domanda, ed esprimere un’esigenza, mi pare un progresso». L’anziano filosofo si dichiara comunque ottimista: «Il capitalismo è giovane, ha solo qualche secolo. È diventato egemonico nell’Ottocento, poi c’è stata una contro-teoria, il comunismo, tramontata nel Ventesimo secolo. Il primo round è finito. Sta per cominciare il secondo. E noi stiamo nella fase di mezzo, quella più incerta e difficile».«Corrompere i giovani, spingendoli a rinunciare a piaceri e denaro per mettersi alla ricerca della “vera vita”, significa rifiutare i sentieri tracciati, l’ordine costituito, l’obbedienza cieca» racconta il filosofo Alain Badiou, intervistato da Anais Ginori per “Repubblica”. L’intellettuale parigino, già maoista, scrisse qualche anno fa un popolare saggio contro Nicolas Sarkozy, visto come simbolo dei “nuovi avventurieri” delle nostre democrazie, da Berlusconi a Trump. «Con un capitalismo sempre più trionfante – commenta – il nostro sistema politico va in crisi, perché la sinistra non è più capace di mettere più un minimo di freno alle forze del mercato. La promessa di un capitalismo dal volto umano ha fallito». Ora pubblica “La vera vita”: perché ha deciso di rivolgersi ai giovani? «Sono partito dall’osservazione dei miei figli, dalle loro difficoltà a inserirsi nel mondo adulto». Come professore, si è rivolto ai giovani per tutta la vita: «In fondo la filosofia è una forma di pedagogia, di volontà di trasformare il pensiero all’origine». Poi c’è la storia personale: lo «straordinario entusiasmo politico degli anni Sessanta e Settanta, seguito dalla delusione e persino da forme di disperazione. Una parte dei giovani vuole attingere a quell’esperienza, scavalcando i genitori». Come se ne esce? Con una “alleanza” tra nonni e nipoti.
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Referendum: la super-finanza teme per il suo uomo, Renzi
«Se il referendum controcostituzionale in Italia è più importante della Brexit e se a sostenerlo è il “Wall Street Journal” è proprio il caso di dire che nel nostro paese il gioco si va facendo duro». Lo sostiene Sergio Cararo in un editoriale su “Contropiano”, partendo dal monitoraggio che “Repubblica” ha effettuato sulla stampa inglese: il quadro che emerge non è sorprendente ma decisamente inquietante, scrive Cararo, ricordando il monito di Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, contro le costituzioni “troppo socialiste” dei paesi euromediterranei, senza contare «gli articoli terroristici prima del referendum britannico sulla Brexit». Se la grande stampa anglosassone – dall’“Economist” al “New York Times” – rispecchia la voce del massimo potere finanziario mondiale, dopo «una serie di articoli preoccupati della situazione economica italiana», adesso a far paura è l’incerta sopravvivenza del governo Renzi, con le possibili ripercussioni sull’Unione Europea. E il grande timore, naturalmente, si chiama referendum.Per il “Wall Street Journal”, il voto d’autunno in Italia è «probabilmente più importante del Brexit». Infatti, «i mercati sono concentrati sulla posta in gioco politica del referendum». Una bocciatura degli elettori – altamente probabile, stando ai sondaggi – potrebbe travolgere Renzi. Il vero costo per l’Italia? Il prolungamento della stagnazione economica, col peggioramento del debito pubblico e delle sofferenze bancarie. Se la “Reuters” parla di «stabilità a rischio in Italia», il “New York Times” evidenzia tre possibili scenari negativi connessi al referendum sulla Costituzione. Primo scenario: il referendum viene bocciato, Renzi si dimette, il Senato sopravvive e il sistema elettorale diventa proporzionale, rendendo ancora più difficile capire chi comanda: nuove elezioni, con Camera e Senato potenzialmente in mano a maggioranze diverse, e quindi ingovernabilità assoluta. Oppure: Renzi sopravvive, ma deve accordarsi con Forza Italia sulla legge elettorale, trascurando l’economia e facendo “volare” i 5 Stelle. O ancora, terzo scenario: se Renzi non riesce a risollevare l’economia, il M5S vince nel 2018. O meglio stravince, «vista la debolezza del nuovo Senato».Amche per il “Financial Times” Renzi ha sbagliato a personalizzare il referendum: «Molti italiani coglieranno l’occasione per votare contro», sperando di mandarlo a casa. Unica via d’uscita: Bruxelles deve concedere a Renzi più spazio, allentando la morsa dell’austerity sull’Italia. «Avrà effetto questa campagna di pressione e allarmismo dei giornali legati alle corporations sul referendum di autunno?», si domanda Cararo. «Alla luce di come è andata con la Brexit potrebbe non funzionare. Ma gli inglesi, prima di arrivare al compromesso con la monarchia, almeno la testa di un re l’avevano tagliata. Altrettanto è accaduto in Francia. Si tratta di paesi dove la forza dell’identità del citoyen che ha diritto di decidere sulle sorti del proprio Stato è ancora molto consistente». In Italia invece non siamo andato oltre i referendum, come quello – pur decisivo – del 1946, su monarchia o repubblica. «Facciamo in modo che vada come nel 1946 – auspica “Contropiano” – e che anche questo monarca, peraltro del tutto privo di “investiture divine” o popolari, si tolga dai coglioni».«Se il referendum controcostituzionale in Italia è più importante della Brexit e se a sostenerlo è il “Wall Street Journal” è proprio il caso di dire che nel nostro paese il gioco si va facendo duro». Lo sostiene Sergio Cararo in un editoriale su “Contropiano”, partendo dal monitoraggio che “Repubblica” ha effettuato sulla stampa inglese: il quadro che emerge non è sorprendente ma decisamente inquietante, scrive Cararo, ricordando il monito di Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, contro le costituzioni “troppo socialiste” dei paesi euromediterranei, senza contare «gli articoli terroristici prima del referendum britannico sulla Brexit». Se la grande stampa anglosassone – dall’“Economist” al “New York Times” – rispecchia la voce del massimo potere finanziario mondiale, dopo «una serie di articoli preoccupati della situazione economica italiana», adesso a far paura è l’incerta sopravvivenza del governo Renzi, con le possibili ripercussioni sull’Unione Europea. E il grande timore, naturalmente, si chiama referendum.
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Amazon paga meno tasse di una bancarella di salsicce
Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.Apple ha detto che impugnerà la decisione, che l’amministratore delegato Tim Cook ha definito «una completa schifezza politica». Google, Facebook e altre multinazionali dichiarano di adeguarsi completamente alla normativa fiscale. Kern ha anche criticato gli stati membri dell’Unione Europea con regimi fiscali agevolati che hanno attirato le multinazionali – e sono stati messi sotto esame da Bruxelles. «Quello che stanno facendo Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Malta manca di solidarietà verso il resto dell’economia europea», ha detto. Si è astenuto dal chiedere che Facebook e Google pagassero più tasse, ma ha sottolineato le loro vendite significative in Austria, che ha stimato in oltre 100 milioni di euro ciascuno, e il loro numero di dipendenti relativamente piccolo – una «buona dozzina» per Google e «presumibilmente ancora meno» per Facebook. «Hanno massicciamente risucchiato il volume di pubblicità prodotta dall’economia, ma non pagano né l’imposta sulle società, né sulla pubblicità in Austria», ha detto Kern, che è diventato cancelliere nel mese di maggio.«Mentre si evidenzia su cosa si è basato il tanto decantato boom irlandese, vengono al pettine i nodi legati ai mitizzati investimenti esteri». In questo quadro, sottolinea “Voci dall’Estero”, «caos e disgregazione sono in ulteriore aumento in Europa». Lo dimostra una volta di più anche questa sentenza che chiede alla Apple di versare all’Irlanda 13 miliardi di euro di tasse arretrate. «Mentre Dublino, un po’ paradossalmente, ha già presentato ricorso contro la decisione dell’Ue, in Austria il premier accusa le multinazionali di pagare tasse in misura irrisoria anche nel suo paese». “Voci dall’Estero” rileva quindi come notevole l’atteggiamento del premier austriaco, che «attacca anche i diversi stati membri che praticano politiche fiscali troppo generose per attirare le grandi aziende, accusandoli di mancare di solidarietà verso il resto dell’Eurozona».Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.
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Italia in guerra in Libia? Ora aspettiamoci i nostri Bataclan
Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.Naturalmente, Al-Sarraj s’è affrettato ad assicurare che il suo governo respinge qualsiasi intervento straniero senza la sua autorizzazione. «Il fantoccio di Tripoli – scrive Fini sul “Fatto Quotidiano”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – sa benissimo che una guerra aperta e dichiarata alla Libia compatterebbe tutti i libici di qualsiasi fazione», grazie all’orgoglio nazionale. «E questo andrebbe a tutto vantaggio dell’Isis, che è il gruppo più forte, meglio armato, più determinato, che in breve tempo ingloberebbe anche le altre milizie». Ma ciò che dice al-Sarraj «è una barzelletta a cui è difficile credere, sia perché ciò che nega è già avvenuto, sia perché è alle dirette dipendenze del governo americano a cui è legata la sua sopravvivenza». Sicché, «gli Usa faranno quello che vorranno», e inoltre «sul terreno sono già presenti truppe speciali americane, inglesi e francesi». Dopo aver raso al suolo il regime di Gheddafi – contro gli interessi dell’Italia – trasformando la Libia in un inferno terroristico, adesso la ri-bombardano, continua Fini. «Non c’è niente da fare, passano gli anni e i decenni ma noi non riusciamo a liberarci della pelosa tutela dell’‘amico amerikano’».Nel 1999, ricorda il giornalista, partecipammo all’aggressione alla Serbia (gli aerei americani partivano da Aviano), guerra anche questa a cui l’Onu s’era dichiarata contraria. E anche con la Serbia noi italiani avevamo solidi rapporti di amicizia che risalivano addirittura ai primi del ‘900, quando a Belgrado si pubblicava un quotidiano intitolato “Piemonte”: «I serbi infatti vedevano nell’Italia che si era da poco unita un esempio per conquistare la propria indipendenza sotto le forme di una monarchia costituzionale». Non era obbligatorio aderire alla guerra anti-serba, aggiunge Fini, «tant’è che la piccola Grecia, che fa parte anch’essa della Nato, si rifiutò di parteciparvi». Adesso è il turno della Libia, secondo round. E noi «saremo costretti a fornire la nostra base di Sigonella dove sono presenti una dozzina di droni e di caccia americani. Bel colpo». Finora il governo Renzi, seguendo la linea di Angela Merkel, si era tenuto prudentemente ai margini del caos mediorientale, «e per questo l’Isis non aveva colpito né noi né i tedeschi (gli attentati terroristici in Germania sono stati fatti da psicopatici, sulle cui azioni poi l’Isis ha messo il cappello)». Adesso, invece, «dovremo attenderci anche in Italia attacchi dell’Isis che più viene colpita in Medio Oriente e più, logicamente, porta la guerra in Europa. Vedremo come reagiranno le mamme italiane quando avremo anche noi i nostri Bataclan».Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.
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Terrore fai da te, il mostro sfugge al suo stesso inventore?
Il terrorismo mondiale negli ultimi 15 anni sembra essersi articolato in tre fasi diverse. La prima fase è stata quella in cui si è voluto creare il nuovo brand internazionale del cosiddetto “terrorismo islamico”. L’evento madre ovviamente è stato l’11 Settembre, il quale a sua volta era stato ottimamente preparato dalla “false flag” del primo attentato alle Torri Gemelle, otto anni prima. Una volta che i media mondiali si sono bevuti la messinscena dell’11 Settembre, è stato universalmente stabilito che il terrorismo islamico esisteva, e da quel giorno tutta la geopolitica mondiale ha cominciato a ruotare intorno a questa nuova realtà, con le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq a farla ovviamente da protagoniste. Poi è arrivato l’attentato di Londra del 2005, e con questa terza “false flag” clamorosa è stato stabilito non soltanto che il terrorismo islamico esisteva, ma che avrebbe potuto continuare a colpirci in ogni momento, in ogni parte del mondo. Grazie a questo, i vari governi occidentali hanno ottenuto di poter dare numerosi giri di vite ai diritti civili dei propri cittadini. Questo ha portato alla chiusura della prima fase.Nella seconda fase i grandi burattinai del terrorismo mondiale hanno iniziato a godere dei frutti di ciò che avevano seminato. […] Ogni volta che era necessario, negli Stati Uniti arrivava puntuale un comunicato di Bin Laden, inteso a mantenere viva la paura nella popolazione. E quando non c’era un comunicato di Bin Laden, c’era sempre un imbecille pronto a farsi beccare con le mutande piene di esplosivo mentre si imbarcava su un aereo internazionale. Qualunque attentato succedesse nel mondo – ci veniva detto – era sempre fatto da qualcuno che era in qualche modo “collegato ad Al Qaeda”. E così sono passati gli anni, con una popolazione occidentale alla quale veniva regolarmente ricordato che esiste un “pericolo islamico”. Israele ne ha approfittato per far passare sotto silenzio la sua truculenta repressione nella striscia di Gaza. Staterelli minori magari ne approfittavano per regolare dei conti interni, facendo ricadere il tutto sotto la bandiera del terrorismo. Diversi equilibri nelle nazioni africane venivano alterati con la scusa del terrorismo. E poi naturalmente c’è stata l’Isis, che ha raccolto l’eredità di una Al Qaeda ormai logora e senza più credibilità, rilanciando in Occidente la paura dei tagliagole.E così, da un’operazione all’altra, siamo arrivati all’anno funesto 2015, nel quale sono stati perpetrati i due attentati in Francia (Charlie Hebdo e Bataclàn) che hanno stabilito definitivamente che da oggi anche noi europei dobbiamo avere costantemente paura. E gli attentati di Bruxelles hanno fatto da perfetto corollario ai primi due. Ora però questa seconda fase sembra terminata, o meglio, sembra che sia sfuggita di mano ai suoi creatori, per dare luogo ad un’ondata di attentati fai-da-te che diventa sempre più difficile da catalogare all’interno di categorie ben precise. Talmente poco ortodossi sembrano essere questi terroristi dell’ultima ora, che i media si sono affrettati ad inventare un nuovo termine: il terrorista “radicalizzato rapidamente”. Come se il terrorista fosse una specie di bibita liofilizzata contenuta in bustina, nella quale basta versare un po’ d’acqua per “radicalizzarlo” dalla sera alla mattina.In realtà gli ultimi episodi – quello di Nizza, il treno in Germania, e per ultimo la strage di Monaco – mostrano chiaramente che ormai le redini del controllo sono sfuggite a chi questo terrorismo l’aveva inventato, e gli episodi di emulazione – impossibili per loro stessa natura da catalogare – rischiano di diventare la caratteristica predominante di questa terza fase. Una fase in cui chiunque abbia una pistola si disegna in casa una bandiera dell’Isis e poi esce per massacrare la zia che gli ha rotto i coglioni, oppure per fare fuori una scolaresca solo per fnire il giorno dopo sui giornali. In altre parole, come era già successo in passato, gli americani hanno creato il mostro, e ora il mostro gli sta scappando di mano. Ne saranno felici i neocons, storici fautori del caos totale.(Massimo Mazzucco, “Terrorismo, è iniziata la terza fase?”, da “Luogo Comune” del 23 luglio 2016).Il terrorismo mondiale negli ultimi 15 anni sembra essersi articolato in tre fasi diverse. La prima fase è stata quella in cui si è voluto creare il nuovo brand internazionale del cosiddetto “terrorismo islamico”. L’evento madre ovviamente è stato l’11 Settembre, il quale a sua volta era stato ottimamente preparato dalla “false flag” del primo attentato alle Torri Gemelle, otto anni prima. Una volta che i media mondiali si sono bevuti la messinscena dell’11 Settembre, è stato universalmente stabilito che il terrorismo islamico esisteva, e da quel giorno tutta la geopolitica mondiale ha cominciato a ruotare intorno a questa nuova realtà, con le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq a farla ovviamente da protagoniste. Poi è arrivato l’attentato di Londra del 2005, e con questa terza “false flag” clamorosa è stato stabilito non soltanto che il terrorismo islamico esisteva, ma che avrebbe potuto continuare a colpirci in ogni momento, in ogni parte del mondo. Grazie a questo, i vari governi occidentali hanno ottenuto di poter dare numerosi giri di vite ai diritti civili dei propri cittadini. Questo ha portato alla chiusura della prima fase.
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Magaldi: da Nizza ad Ankara, nessuno vi racconta la verità
Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.Primo capitolo, la Francia: il paese è chiaramente sotto attacco a partire dalla strage della redazione di Charlie Hebdo, le cui indagini sono state fermate dal governo Hollande con l’apposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura parigina, della triangolazione che ha coinvolto la Dgse, cioè i servizi segreti francesi, nella fornitura di armi al commando-killer (armi slovacche, acquistate in Belgio sotto la copertura dell’intelligence). Il grande spauracchio dell’ultimo scorcio si chiama Isis? Si tratta di un paravento, sostiene Magaldi, nonché di una “firma”: Isis è anche il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor, e Hathor Pentalpha è il nome della “loggia del sangue e della vendetta” fondata nel 1980 da Bush padre quando fu battuto da Reagan alle primarie repubblicane. A quella cupola di potere, sempre secondo Magaldi, è ascrivibile la regia dell’11 Settembre, con annessa “fabbricazione del nemico”, da Al-Qaeda a Saddam Hussein: della Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, hanno fatte parte sia Tony Blair, “l’inventore” delle armi di distruzione di massa irachene, sia Nicolas Sarkozy, il demolitore del regime di Gheddafi. E inoltre lo stesso Erdogan, il massimo padrino dell’Isis.«Da fonti riservate – racconta Magaldi a “Colors Radio” – sapevo con certezza che in Turchia si stesse preparando un golpe: non il maldestro tentativo cui abbiamo appena assistito, facilmente controllato da Erdogan, ma un golpe autentico, programmato per l’autunno». Niente di più facile che il “sultano” l’abbia semplicemente anticipato, in modo farsesco, provando a disinnescare la minaccia. Ma attenzione: «Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure. Nel caso di un golpe a tutti gli effetti, quindi con il coinvolgimento dei massimi vertici dell’esercito, della marina e dell’aviazione, oltre che con la partecipazione degli Usa e di Israele, Erdogan verrebbe liquidato in poche ore, arrestato o ucciso». Cosa manca, al puzzle? Il piatto forte: le elezioni Usa. Solo allora, cioè dopo novembre, è plausibile che il quadro geopolitico possa chiarirsi. A cominciare da Ankara: al di là del chiasso organizzato in queste ore da Erdogan, dice Magaldi, la Turchia non ha ancora deciso “cosa fare da grande”. E soprattutto: come chiudere la pratica Isis, di cui resta la principale azionista.Quanto alla strage di Nizza, si tratta della «ripetizione ormai stanca» di un copione già invecchiato, quello dei tagliatori di teste che hanno seminato il terrore – con sapiente regia hollywoodiana – tra Iraq e Siria. La dominante, oggi, si chiama caos. E nessuno – tantomeno Erdogan – sa esattamente cosa accadrà domani, ovvero: su quale configurazione di forze si baseranno i poteri forti, anche super-massonici, che finora hanno assegnato precisi spazi agli attori sul terreno, da Obama a Putin, dalla Merkel a Erdogan. Sempre secondo Magaldi, il network trasversale della super-massoneria progressista si è impegnato con successo nelle primarie Usa, da un lato lanciando Bernie Sanders per spostare a sinistra la politica della Clinton, e dall’altro utilizzando Donald Trump come cavallo di Troia per eliminare dalla corsa il pericolo numero uno, Jeb Bush, ultimo esemplare della filiera Hathor Pentalpha. Comunque vada a novembre, conclude Magaldi, gli “architetti del terrore” dovrebbero finalmente perdere terreno: la stessa Clinton si starebbe smarcando da certi legami pericolosi con i settori più opachi del potere di Washington, e Trump non sarebbe certo disponibile a coprire azioni di macelleria internazionale come quelle a cui stiamo assistendo.Una grande retromarcia, dopo 15 anni di orrori? Qualche segnale lo stiamo già avendo, dice un altro analista dal solido retroterra massonica come Gianfranco Carpeoro: a inquietare i gestori del massimo potere è proprio la recente “diserzione” di una parte del vertice planetario, non più disposto ad avallare la strategia della tensione (da Bin Laden al Califfato) promossa dall’élite neo-aristocratica, quella che ha cinicamente ideato e gestito l’austerity europea incarnata da Draghi e Merkel. Se cresce il bilancio di sangue, anche in Europa – questa la tesi – è perché il potere oligarchico si sta indebolendo e teme di perdere la sua presa. E’ di ieri lo strappo del Brexit, e la Francia resta sotto tiro anche per via del suo ruolo-cardine in una struttura antidemocratica come l’attuale Unione Europea. I tempi stanno per cambiare? Se sì, a quanto pare, non sarà una passeggiata: è saggio aspettarsi di tutto, in questa fase di incertissima transizione. Certo, dice ancora Magaldi, bisogna tenere gli occhi aperti: è impensabile che la sicurezza francese abbia potuto “dimenticarsi” di quel camion-killer, parcheggiato da giorni sul lungomare di Nizza. E forse il primo a cadere sarà proprio il capo della “democratura” turca: «Erdogan sembra forte, ma in realtà è fragilissimo». Un consiglio? Allacciare le cinture, in attesa delle elezioni Usa.Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra. E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.
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I 5 Stelle: basta terrore, l’Italia si smarchi da Ue e Nato
Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».Dai 5 Stelle, dunque, anche una lettera ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso. «Ci troviamo in una fase cruciale e la paura è il denominatore comune che ci sta accompagnando in questi mesi convulsi, segnale dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico», scrivono i grillini. L’Unione Europea «appare come un ‘contenitore geopolitico’ incapace di adeguarsi ai mutamenti in atto e dare risposte in termini di sicurezza e lotta al terrorismo». Attenzione: «L’intera impalcatura su cui è costruito il potere del sistema euro-atlantico sembra essere ormai vicina al collasso». Consci della gravità del problema, i 5 Stelle questo chiedono «una svolta nella politica estera e una reale volontà politica nel farlo». In altre parole, «l’Italia ha l’obbligo di tornare ad esprimere una politica estera sempre più autonoma e che abbia come principale interesse la sicurezza nazionale. Una politica estera non più schiava di decisioni altrui che negli ultimi anni si sono rivelate drammatici fallimenti».Come forza principale di opposizione, i 5 Stelle chiedono di inserire nell’agenda parlamentare un dibattitto su temi strategici, a cominciare dalla «ridiscussione del ruolo e degli accordi con la Turchia, come principale alleato nella gestione dell’immigrazione, alla luce degli ultimi eventi». I grillini vogliono anche ridiscutere la decisione emersa nell’ultimo vertice Nato di proseguire la missione militare in Afghanistan, per la quale si chiede all’Italia un impegno più consistente. Altra proposta: «Non destinare più nostri finanziamenti a paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e i paesi del Golfo a causa della loro ambiguità con il terrorismo internazionale», oggi targato Isis, introducendo anche una moratoria sulle armi da fuoco. Infine, i parlamentari grillini chiedono al governo Renzi di instaurare «una collaborazione senza precedenti tra le forze di intelligence dei paesi Ue, Nato e della Federazione russa».Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».
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Auto senza conducente, il sogno perfetto di chi ci comanda
Sembra inevitabile, ormai sta per arrivare: l’auto senza guidatore è alle porte. Quando senti che Google ha firmato con Fiat Chrysler un accordo per produrre le prime 100 automobili senza guidatore, capisci che ormai il nostro destino è stato deciso. Fra qualche anno ci troveremo tutti a confrontarci sulle nostre strade con un nuovo tipo di mostro tecnologico: un complicatissimo assemblaggio di sensori, computer e telecamere montato su quattro ruote, che viene verso di noi con la stessa sicurezza con cui viaggia un esperto guidatore con trent’anni di esperienza. E noi ci ritroveremo preoccupati a domandarci: “Lo avrà visto, quel cazzo di affare lì, che ho messo la freccia e voglio girare a sinistra? Oppure viene avanti dritto e mi sfonda la fiancata?”. Uno dei principi essenziali della guida, infatti, è che tu puoi contare sulla tua sicurezza proprio perché nelle altre automobili c’è dentro gente che tiene alla propria pelle quanto tu tieni alla tua.A meno di incontrare qualcuno ubriaco marcio, tu sai bene che l’automobilista che ti viene incontro starà molto attento a non invadere la tua carreggiata, perché nel momento in cui lo fa mette a rischio la propria vita ancora prima della tua. Ma nel momento in cui dentro a quelle automobili ci metti un computer con dei sensori, tutti i tuoi parametri sulla sicurezza – che sono basati sulla previsione del comportamento altrui – vanno a farsi benedire. Come potremo prevedere il comportamento di una automobile senza guidatore, nel momento in cui le sue telecamere dovessero scambiare, ad esempio, il lampo di un fulmine con i fari abbaglianti di un’altra macchina? Oppure se dovessero scambiare la sagoma di un gatto nero fermo sulla strada con un rattoppo sull’asfalto più scuro del normale?Il limite di queste automobili sarà sempre, per definizione, il limite stesso dell’intelligenza artificiale: l’intelligenza artificiale può solo elaborare dati che conosce già in anticipo, e per i quali ha ricevuto delle precise istruzioni in proposito. Ma non potrà mai elaborare dati che sono sono stati già previsti in sede di progettazione. E purtroppo, come tutti sappiamo, le variabili che sono in gioco quando si guida una macchina sono praticamente infinite. Per ora, infatti, i test dell’auto senza conducente vengono condotti in zone sicure, all’interno del perimetro tranquillo e ordinato della sede Google di Mountain View. Lì tutti rispettano gli stop, tutti procedono a velocità controllata, e tutti mantengono la distanza di sicurezza. Persino un cieco, in quelle condizioni, riuscirebbe ad arrivare a destinazione.Provate invece ad immaginare un’auto senza conducente che cerca di attraversare una cittadina come Castellammare di Stabia durante l’ora di punta (chi è di quelle parti sa bene a cosa mi riferisco): procedere all’interno di quel caos metafisico, tenendo conto di tutte le variabili impazzite che si mettono contemporaneamente in movimento, richiede una creatività e una rapidità di riflessi che soltanto l’essere umano possiede. Creatività e rapidità di riflessi che, a loro volta, debbono potersi basare sulla capacità di prevedere il comportamento altrui. Io vedo il tizio davanti a me che di colpo si è fermato in mezzo alla strada, e quindi inizio a frenare prima ancora che lui apra la portiera per fare scendere la suocera. Ma tutto questo, come abbiamo già detto, non sarà applicabile alle auto senza guidatore. I computer non possono prevedere che le suocere vengano scaricate nel bel mezzo della carreggiata.Nel momento in cui inizieremo a vedere questi veicoli che circolano per le nostre strade, quindi, sapremo che il conto alla rovescia sarà iniziato. Presto sarà necessario adeguare il sistema di circolazione a queste automobili, togliendo di mezzo progressivamente i guidatori umani, con tutte le loro “variabili impazzite”. Agli esseri umani che ancora vorranno divertirsi a guidare un’automobile non resterà che recarsi su circuiti appositi, chiusi al resto del pubblico, un po’ come fanno adesso alla domenica gli automobilisti tedeschi, che per divertirsi prendono la loro Volkswagen Passat e vanno a farsi un giretto al vecchio Nurburgring. Pensate che bello, il futuro che ci attende: tutti chiusi dentro le nostre scatoline di latta, che ci portano lentamente e ordinatamente da casa al posto di lavoro, mentre noi possiamo finalmente dedicarci a chattare con gli amici full time, senza più nemmeno staccare gli occhi dallo schermo dello smartphone. Un sogno, per chi ci comanda. Un incubo, per tutto il resto dell’umanità.(Massimo Mazzucco, “Tecnologia senza umanità”, da “Luogo Comune” del 24 maggio 2016).Sembra inevitabile, ormai sta per arrivare: l’auto senza guidatore è alle porte. Quando senti che Google ha firmato con Fiat Chrysler un accordo per produrre le prime 100 automobili senza guidatore, capisci che ormai il nostro destino è stato deciso. Fra qualche anno ci troveremo tutti a confrontarci sulle nostre strade con un nuovo tipo di mostro tecnologico: un complicatissimo assemblaggio di sensori, computer e telecamere montato su quattro ruote, che viene verso di noi con la stessa sicurezza con cui viaggia un esperto guidatore con trent’anni di esperienza. E noi ci ritroveremo preoccupati a domandarci: “Lo avrà visto, quel cazzo di affare lì, che ho messo la freccia e voglio girare a sinistra? Oppure viene avanti dritto e mi sfonda la fiancata?”. Uno dei principi essenziali della guida, infatti, è che tu puoi contare sulla tua sicurezza proprio perché nelle altre automobili c’è dentro gente che tiene alla propria pelle quanto tu tieni alla tua.
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Rischio rivoluzioni colorate, Soros al lavoro contro la Brexit
La popolazione della Gran Bretagna sta per diventare la prossima vittima della tattica delle “rivoluzioni colorate” usata da Washington e Bruxelles contro i governi democraticamente eletti dalla Serbia alla Siria, dall’Ucraina al Brasile. Pochi giorni dopo la totalmente imprevista (anche da quest’autore) decisione popolare di resistere al bullismo dell’establishment e alle ondate della propaganda dei mass media per votare la Brexit, la contromossa dei globalismi sta già diventando chiara. Innanzitutto, un duro attacco alla sterlina e ai maggiori titoli azionari per mettere pressione finanziaria e giustificare le autogratificanti profezie apocalittiche che provengono dal campo degli sconfitti che volevano rimanere. Secondo, una pressione psicologica di massa organizzata da organizzazioni della “società civile”, come Avaaz, camuffata da protesta dal basso, ma de facto fondata da Fondazioni foraggiate da George Soros. La testa d’ariete di questa propaganda è la petizione per un secondo referendum, che ha già superato i tre milioni di firme, nonostante decine di migliaia di firme false siano state scoperte e rimosse.Terzo, l’uso di altri gruppi della “società civile”, tra cui “SumOfUs” e “38 Degrees”, per promuovere banchetti di opinione pubblica “progressista” per spiegare quali temi ed attacchi contro il Brexit saranno maggiormente efficaci. È una tecnica-chiave insegnata nel corso di formazione delle “rivoluzioni colorate”, formata sulle teorie di Gene Sharp e perfezionata da John Carlane, un liberale globalista ex ufficiale dell’esercito britannico, ora a capo del “Peace Education and Training Repository”. Quarto, la mobilitazione di crocchi di manifestanti arrabbiati e inclini alla violenza, a Londra ed in altre città chiave. Nonostante molti rappresentanti dell’estrema sinistra fossero a favore del Brexit, gang con bandiere comuniste ed anarchiche infestano le strade. Dovrebbero difendere le minoranze etniche (molte di queste in effetti hanno votato per il Brexit insieme ai connazionali della classe operaia) ma sono già state coinvolte in attacchi contro riconosciuti o sospetti sostenitori del Brexit.Quinto, le truppe della propaganda di proprietà delle élite liberali e vicine alla Cia stanno mentendo e pontificando per sfruttare su quanto sopra scritto. L’obiettivo è spaventare i votanti pro-Brexit “morbidi”, per fargli cambiare parere e creare le condizioni per trasformare le elezioni generali in autunno in un secondo referendum. Il proposito di questa guerra politica ibrida sulla maggioranza della popolazione è di far deragliare l’intero processo del Brexit e mantenere la nazione all’interno dell’Ue (o perlomeno trasformare l’uscita in un casino tale dal disincentivare qualsiasi altra nazione a fare qualcosa di simile). Ciò spiega il perché il primo ministro Cameron ha già infranto la promessa fatta prima del referendum, secondo la quale, se avesse vinto l’uscita, si sarebbe immediatamente appellato all’Articolo 50 del Trattato di Lisbona per iniziare la procedura del Brexit. Ora è lapalissiano che le élite eurofile non hanno alcuna intenzione di permettere che un piccolo intoppo, come la volontà espressa democraticamente dalla popolazione, distrugga il processo di “un’unione ancora più stretta” o della “necessità” geopolitica di avere un’Ue unita per il confronto con la Russia.Prima del voto dello scorso giovedì, a Bruxelles si erano tentate tutte le carte disponibili, incluso l’inganno e lo sfruttamento senza pietà dell’omicidio di Jo Cox, per assicurarsi un voto per restare. Nonostante il fallimento della campagna, una sparuta minoranza di irriducibili eurofili, attualmente guidata dal potente “tory” Lord Heseltine e da membri del Parlamento “moderati” laburisti e liberaldemocratici come David Lammy e Tim Farron, non accetterà il verdetto del referendum. Al contrario, sta tentando disperatamente di dare alle élite liberali la sicurezza in loro per sfoggiare un atto di estrema arroganza – negare al popolo britannico il diritto di vedere il loro voto concretizzarsi. Se la caveranno? O la reazione della gente comune quando realizzerà cosa sta succedendo sarà di sdegno tale da convincere gli eurofili che, già sul fondo del baratro, forse dovrebbero smettere di scavare? Non lo so. Ma non c’è dubbio che questa sarà la loro strategia. Non aspettiamoci stabilità nel prossimo futuro.(Nick Griffin, “Il Regno Unito affronta rivoluzioni colorate, visto che Soros si sta muovendo per fermare il Brexit”, da “The Saker” del 27 giugno 2016, tradotto da Franco per “Come Don Chisciotte”).La popolazione della Gran Bretagna sta per diventare la prossima vittima della tattica delle “rivoluzioni colorate” usata da Washington e Bruxelles contro i governi democraticamente eletti dalla Serbia alla Siria, dall’Ucraina al Brasile. Pochi giorni dopo la totalmente imprevista (anche da quest’autore) decisione popolare di resistere al bullismo dell’establishment e alle ondate della propaganda dei mass media per votare la Brexit, la contromossa dei globalismi sta già diventando chiara. Innanzitutto, un duro attacco alla sterlina e ai maggiori titoli azionari per mettere pressione finanziaria e giustificare le autogratificanti profezie apocalittiche che provengono dal campo degli sconfitti che volevano rimanere. Secondo, una pressione psicologica di massa organizzata da organizzazioni della “società civile”, come Avaaz, camuffata da protesta dal basso, ma de facto fondata da Fondazioni foraggiate da George Soros. La testa d’ariete di questa propaganda è la petizione per un secondo referendum, che ha già superato i tre milioni di firme, nonostante decine di migliaia di firme false siano state scoperte e rimosse.
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Il golpe mediatico di Hillary, nostra signora della guerra
«Tecnicamente non è un colpo di Stato, certo, ma gli somiglia tanto». Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton, scrive Pino Cabras, è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: «Le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni». Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie Usa, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders. «Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente».Perciò, aggiunge Cabras su “Zero Consensus”, le “cose fatte” le han volute fare loro: «Hanno proclamato la nomination in anticipo, hanno dettato la grande notizia al sistema mediatico mettendo a tacere il resto, e al diavolo gli elettori democratici». Non c’è che dire, «un bell’assaggio di quel che sarebbe una presidenza in mano alla candidata preferita da Wall Street e dai superfalchi neoconservatori». Cabras mette in evidenza la titolazione di “Repubblica”, attorno al report di Federico Rampini: “Usa, Hillary vince la nomination. Prima donna, momento storico. Sarà la candidata democratica alla Casa Bianca”. A ancora: “Figlie, potete diventare tutto, anche presidente”. Dulcis in fundo, anche la chiosa del presidente uscente: “Obama chiede a Sanders di ritirarsi e unire il partito”.In questo quadro, osserva Cabras, il coro dei media occidentali non trova di meglio che esaltarsi per la “prima volta di una nomination di una donna”. «C’è da capire la valenza del simbolo, ma Hillary non è un simbolo: è un individuo specifico, una personalità politica concretamente distinguibile per i suoi comportamenti, già sperimentata nel suo ruolo di Segretaria di Stato, quando ha preso decisioni politiche che hanno acceso nuove guerre». Le risate della Clinton alla notizia dell’uccisione di Gheddafi, il “traffico di jihadisti” dalla Libia alla Siria, con corredo di armi chimiche. «Il caos che ha voluto creare ha ucciso donne: innocenti e a migliaia», conclude Cabras. «Potrebbero diventare milioni, se potesse applicare le sue idee sul Medio Oriente e sul rapporto fra Europa e Russia».«Tecnicamente non è un colpo di Stato, certo, ma gli somiglia tanto». Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton, scrive Pino Cabras, è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: «Le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni». Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie Usa, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders. «Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente».
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Chiesa: terrorismo neocon, Egitto e Francia devono piegarsi
«La Francia è stata punita in quanto il suo presidente, François Hollande, ha chiesto l’annullamento delle sanzioni alla Russia. Inoltre in questo momento l’obiettivo delle forze che vogliono destabilizzare il mondo è quello di mettere in ginocchio l’Egitto. Dopo avere distrutto Libia e Siria, adesso hanno preso di mira anche il Cairo. Quindi le due cose sono perfettamente coincidenti». Così Giulietto Chiesa commenta la scomparsa dell’Airbus della compagnia EgyptAir con a bordo 66 persone, inabissatosi tra l’isola greca di Karpathos e la costa egiziana dopo essere scomparso dai radar. Il volo, diretto al Cairo, era partito da Parigi. Fonti anonime della Casa Bianca affermano che la dinamica del disastro rivela che a bordo del velivolo è esplosa una bomba. «Non c’è il minimo dubbio sul fatto che sia stato un attentato», dice Chiesa, intervistato da Pietro Invernizzi del “Sussidiario”. «E’ una punizione inflitta contemporaneamente all’Egitto e alla Francia». Per cosa? «La Francia ha cercato di muoversi per conto suo e ne ha pagato il conto. In grande, si ripete quanto era avvenuto a Enrico Mattei. Siccome è più facile fermare un solo uomo come Mattei che non un intero paese come la Francia, si incomincia con l’abbatterne un aereo».Oggi le misure di sicurezza negli aeroporti sono molto rafforzate. Come è stato possibile aggirarle?«I servizi segreti sono in grado di aggirare queste misure. Un tempo li si definivano servizi deviati, mentre oggi sono i padroni della politica in alcuni paesi chiave. Questi apparati possono superare qualunque ostacolo. Avendo a disposizione sterminate quantità di denaro, possono infatti permettersi di comprare chiunque inclusi pezzi di servizi segreti di paesi terzi». Chi c’è dietro ai servizi deviati? «Per capire di chi sto parlando – continua Giulietto Chiesa – basta andare per esclusione togliendo Russia e Cina. Ci sono forze che vogliono annichilire la Francia ogni volta che l’Eliseo cerca di alzare la testa. Queste stesse forze hanno l’obiettivo di creare il caos in tutto il Medio Oriente, e nello stesso tempo vogliono la guerra con la Russia». Esiste «una coalizione della guerra, rappresentata dai neocon americani e da quanti sono collegati con loro», non necessariamente alle dipendenze di Washington. Di fatto, «i neocon hanno elaborato la strategia politica degli Stati Uniti negli ultimi 15 anni: è da lì che vengono l’ispirazione e i soldi che stanno dietro all’abbattimento dell’Airbus EgyptAir».Non è difficile finanziare questo terrorismo pilotato: «L’Arabia Saudita, che è una filiale della Cia, negli ultimi anni ha accumulato 10-12 trilioni di dollari. E’ quindi uno gioco da ragazzi trovare un miliardo di dollari per corrompere 500 agenti di polizia e servizi segreti in modo che mettano una bomba». Perché i servizi francesi non sono riusciti a sventare l’attentato? «Perché fino a ieri la Francia di Hollande è stata una pedina nelle mani degli Usa», sostiene Chiesa. «Il fatto che ora Parigi chieda la fine delle sanzioni alla Russia è visto da chi è al potere come una provocazione intollerabile. Il potere infatti non ammette degli alleati a metà». E il caso Regeni? E’ estraneo a questa vicenda dell’Airbus EgyptAir? «No, il caso Regeni fa parte di questa stessa strategia. L’uccisione del ricercatore italiano è stata montata ad arte per colpire tanto l’Egitto quanto l’Italia, che aveva avviato una politica di riguardo verso il Cairo. Si è creata quindi una trappola politica, nella quale sono caduti naturalmente la stragrande maggioranza dei commentatori italiani. Questi ultimi, invece di fare gli interessi dell’Italia, stanno facendo quelli di una cosca mafiosa e criminale che sta organizzando il terrorismo in tutto il mondo».Perché la politica di Al-Sisi dà fastidio? «Non si vuole colpire Al-Sisi ma l’Egitto in quanto tale. Quest’ultimo non va bene, in quanto è un paese relativamente stabile, e dunque bisogna distruggerlo». Per Giulietto Chiesa, «si stanno creando le condizioni per abbattere l’Egitto anche dal punto di vista economico: l’obiettivo è fare saltare Al-Sisi per mettere al suo posto i Fratelli Musulmani». Ricapitolando: perché i neocon vogliono creare il caos in Medio Oriente? «Perché gli Stati Uniti stanno precipitando a una velocità vertiginosa, e i neocon hanno capito che prima che ciò avvenga bisogna mettere tutto il mondo in uno stato di guerra. Se non si fa così l’America perderà il suo ruolo di dominio imperiale». Ma se i neocon sono così potenti, insiste Invernizzi, perché non riescono a vincere le elezioni Usa? «Come no, le vinceranno eccome». E con chi? «Se vince la Clinton i loro problemi sono già risolti, in quanto l’ex first lady ha le stesse identiche posizioni dei neocon. Hillary è una guerrafondaia fanatica e pericolosa. Dal momento che è una donna di scarsa intelligenza, come peraltro suo marito, mira al potere e di conseguenza si fa manovrare facilmente». Fantastico. E se vincesse Trump? «Se vince Trump lo rimetteranno al suo posto come hanno già fatto altre volte, per esempio con Kennedy».«La Francia è stata punita in quanto il suo presidente, François Hollande, ha chiesto l’annullamento delle sanzioni alla Russia. Inoltre in questo momento l’obiettivo delle forze che vogliono destabilizzare il mondo è quello di mettere in ginocchio l’Egitto. Dopo avere distrutto Libia e Siria, adesso hanno preso di mira anche il Cairo. Quindi le due cose sono perfettamente coincidenti». Così Giulietto Chiesa commenta la scomparsa dell’Airbus della compagnia EgyptAir con a bordo 66 persone, inabissatosi tra l’isola greca di Karpathos e la costa egiziana dopo essere scomparso dai radar. Il volo, diretto al Cairo, era partito da Parigi. Fonti anonime della Casa Bianca affermano che la dinamica del disastro rivela che a bordo del velivolo è esplosa una bomba. «Non c’è il minimo dubbio sul fatto che sia stato un attentato», dice Chiesa, intervistato da Pietro Invernizzi del “Sussidiario”. «E’ una punizione inflitta contemporaneamente all’Egitto e alla Francia». Per cosa? «La Francia ha cercato di muoversi per conto suo e ne ha pagato il conto. In grande, si ripete quanto era avvenuto a Enrico Mattei. Siccome è più facile fermare un solo uomo come Mattei che non un intero paese come la Francia, si incomincia con l’abbatterne un aereo».