Archivio del Tag ‘cambiamento’
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Travaglio: Gelli un dilettante, nella monarchia di Giorgio I
«Chiediamo umilmente scusa a Gelli e ai suoi fratelli per aver demonizzato il loro progetto di Repubblica presidenziale: i piduisti, compreso il povero B. che ci sta ancora provando, erano soltanto dei precursori, tra l’altro piuttosto timidi e minimalisti, della nostra bella Monarchia presidenziale». Così Marco Travaglio commenta l’ultima doppia iniziativa di Napolitano, che il 18 giugno «ha riunito il Consiglio Supremo di Difesa per esautorare ancora una volta il Parlamento, ridurlo a scendiletto del governo Usa e ordinare di non ridurre di un centesimo gli stanziamenti miliardari per acquistare gli inutili anzi dannosi F-35». Non solo, l’uomo del Colle «ha inviato una lettera segreta al fido vicepresidente del Csm Michele Vietti» per bloccare l’azione disciplinare invocata da ben due commissioni parlamentari contro il procuratore di Milano, Bruti Liberati. «Gli F-35 si comprano perché lo dice lui, Bruti si salva perché lo dice lui». Protesta Travaglio: «In una democrazia parlamentare degna di questo nome, fondata sulla divisione dei poteri, i presidenti delle Camere reagirebbero all’istante contro l’ennesima invasione di campo».Allo stesso modo, continua Travagalio, il Csm «accoglierebbe la lettera del presidente come l’interessante parere del primus inter pares, il cui voto vale 1 esattamente come quello degli altri consiglieri». Invece, «tutti si comportano come in una monarchia assoluta, dove il sovrano può tutto». Anche con Renzi, che all’inizio «vantava una certa autonomia» dal Quirinale, ora secondo “Repubblica” «è scoccata una scintilla, una strana alchimia, una singolare emulsione di sintonie e affinità». Aggiunge Travaglio: il bello è che la lettera di Napolitano al Csm «è più misteriosa del terzo segreto di Fatima: la conoscono Lui, Vietti e due giornali amici ammessi agli arcana imperii (“Corriere” e “Repubblica”, che ne anticipano il contenuto ma non il testo)». Bei tempi, prosegue Travaglio, quando i presidenti «parlavano con messaggi alle Camere, comunicati ufficiali, esternazioni pubbliche». Ora invece «piovono pizzini scritti in codice iniziatico e riservati a pochi adepti in grado di decrittarli, al di fuori di ogni controllo democratico, tanto anche gli esclusi dal cerchio magico eseguono senza fiatare».Altri tempi, quando – il 14 novembre ’91 – il presidente Cossiga proibì al vicepresidente del Csm Galloni di mettere all’ordine del giorno del plenum alcune pratiche a lui sgradite e mandò i carabinieri a Palazzo dei Marescialli a far sgombrare l’aula in caso di disobbedienza ai suoi ordini: «Violante avviò le pratiche per l’impeachment, accusandolo di alto tradimento e attentato alla Costituzione, Napolitano ne chiese le dimissioni e l’Anm scese in sciopero contro la grave violazione costituzionale». Oggi invece il mainstream politico e giornalistico tace e acconsente, senza dimenticarsi di bastonare Grillo e il M5S, «trattati come appestati da sempre», ma ancor più da quando hanno annunciato l’accordo tecnico, al Parlamento Europeo, coi nazionalisti inglesi dell’Ukip e con altri esponenti di destra svedesi, francesi e lituani. «Intanto il segretario e premier del Pd Matteo Renzi annuncia tra carnevali di Rio e gridolini di giubilo l’accordo politico-istituzionale, al Parlamento italiano, per la riforma del Senato (e dunque della Costituzione) con Forza Italia, guidata da un frodatore fiscale».Riforma «ideata da un pregiudicato per mafia», Dell’Utri, «recluso nello stesso carcere di Riina». Le manovre per il nuovo Senato sono appoggiate dalla Lega Nord, di cui i media evitano accuratamente di ricordare che è alleata in Europa col Front National di Marine Le Pen, che lo stesso mainstream definisce populista, xenofobo, razzista e fascista. Pesi e misure: «L’anno scorso Adam Kabobo uccise a picconate tre passanti a Milano: il segretario della Lega Nord Matteo Salvini gli augurò di “marcire in prigione”. Martedì Davide Frigatti ha ucciso un passante a coltellate e ne ha feriti altri due a Cinisello Balsamo: Salvini ha educatamente chiesto se non sia “il caso di riaprire delle strutture dove accogliere e curare i malati di mente”. Il fatto che Kabobo sia ghanese e Frigatti padano è puramente casuale», ironizza Travaglio. E che dire di Alfano? «Un mese fa il leader Ndc ha candidato alle europee il governatore dimissionario della Calabria, Giuseppe Scopelliti, condannato in primo grado per abuso d’ufficio, con la decisiva motivazione che “è un presunto innocente” e “noi siamo garantisti”. Lunedì il ministro garantista Alfano ha annunciato via Twitter la cattura dell’“assassino di Yara Gambirasio”, mai condannato in primo grado né imputato, ma solo indagato. Però, non trattandosi di un politico e non militando (che si sappia, almeno) nell’Ncd, è già colpevole prim’ancora del processo».Il 28 marzo 2013 “L’Unità”, organo del Pd, titolò a tutta prima pagina: “Patto Grillo-Berlusconi: fermare il cambiamento”. «La notizia era palesemente falsa – protesta Travaglio – ma non fu mai rettificata dall’house organ allora bersaniano e ora renziano». Neppure quando, il 20 aprile 2013, fu siglato il “patto Pd-Berlusconi” per “fermare il cambiamento” con la rielezione dell’ottantottenne Napolitano, o quando – il 24 aprile 2013 – fu firmato il “patto Pd-Berlusconi” sempre per “fermare il cambiamento” col governo Letta di larghe intese. Nessun soprassalto di sincerità neppure il 19 gennaio 2014, quando al Nazareno fu sottoscritto il “patto Pd-Berlusconi” per “fermare il cambiamento” con l’Italicum (liste bloccate, peggio ancora che col Porcellum) e il Senato delle Autonomie (non più eletto dai cittadini, ma nominato dalla Casta). Silenzio anche nei giorni scorsi «quando una telefonata fra Renzi e il Caimano ha confermato il “patto Pd-Berlusconi” per “fermare il cambiamento”», conclude Travaglio: «Coraggio, compagni dell’ “Unità”, siete ancora in tempo».«Chiediamo umilmente scusa a Gelli e ai suoi fratelli per aver demonizzato il loro progetto di Repubblica presidenziale: i piduisti, compreso il povero B. che ci sta ancora provando, erano soltanto dei precursori, tra l’altro piuttosto timidi e minimalisti, della nostra bella Monarchia presidenziale». Così Marco Travaglio commenta l’ultima doppia iniziativa di Napolitano, che il 18 giugno «ha riunito il Consiglio Supremo di Difesa per esautorare ancora una volta il Parlamento, ridurlo a scendiletto del governo Usa e ordinare di non ridurre di un centesimo gli stanziamenti miliardari per acquistare gli inutili anzi dannosi F-35». Non solo, l’uomo del Colle «ha inviato una lettera segreta al fido vicepresidente del Csm Michele Vietti» per bloccare l’azione disciplinare invocata da ben due commissioni parlamentari contro il procuratore di Milano, Bruti Liberati. «Gli F-35 si comprano perché lo dice lui, Bruti si salva perché lo dice lui». Protesta Travaglio: «In una democrazia parlamentare degna di questo nome, fondata sulla divisione dei poteri, i presidenti delle Camere reagirebbero all’istante contro l’ennesima invasione di campo».
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Pritchard: Europa alla fame, se l’euro dura ancora 5 anni
Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.Questa strategia assurda non aiuterà nessuno. E la domanda che le leadership devono porsi è: quanto può durare questa situazione senza che ci sia una reazione politica? In Francia e in Italia sta prendendo sempre più piede l’idea che, per salvare il resto del progetto europeo, è necessario pensare ad uno smantellamento coordinato dell’euro. E’ su questo punto che la politica deve iniziare a ragionare in modo costruttivo per evitare future reazioni a catena fuori controllo. Al momento non è utile fare previsioni sul futuro della zona euro, e proverei a ribaltare la questione in questo modo: non bisogna più parlare di rischio di rottura, ma il rischio reale e drammatico è che l’euro possa sopravvivere per altri cinque anni, producendo danni inimmaginabili ai paesi del sud dell’Europa. Il “decennio perso” dell’Europa si concluderebbe poi con uno scenario economico mondiale molto diverso da come era iniziato e l’intero continente vivrebbe totalmente ai margini. Il rischio vero è che l’euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee.In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile è al 46% e questo in una fase di espansione globale. Riflettete su questo: a 5 anni dall’inizio della ripresa globale dopo la crisi Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E’ il tragico risultato delle scelte perseguite all’interno dell’Unione Europea e nella zona euro. Detto in altri termini è l’inevitabile suicidio di scegliere contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive. Questo, perlopiù, in una fase in cui le banche hanno ristretto l’accesso al credito all’economia reale per rispettare i nuovi regolamenti e la contrazione dei prestiti ha portato al fallimento di un numero incredibile di piccole imprese in Italia e in tutta l’Europa del sud. Anche nel Regno Unito abbiamo utilizzato misure di austerità fiscale, ma accompagnate da una grande spinta monetaria e lo stesso è accaduto negli Usa. In Europa si è scelto il suicidio economico di intere nazioni.L’economia italiana si è contratta nel primo trimestre dell’anno. E la ripresa, a differenza di quello che avevano annunciato, semplicemente non sta avvenendo. Lo stesso accade in Olanda, in Portogallo e in Spagna. La sola ragione per cui c’è un’apparente crescita in Spagna è il modo in cui viene ora calcolato il Pil. Un’analisi accurata mostra, tuttavia, come anche Madrid non sta crescendo. E tutti i paesi del sud, in ultima analisi, si stanno contraendo, con la Francia che è in stagnazione. Si tratta di una situazione paradossale, se si ragiona in un quadro di ripresa globale ormai consolidata: se a 5 anni dalla crisi Lehman Brothers, e con un contesto internazionale migliorato, l’economia dell’area euro non è ancora al sicuro e ha ancora una situazione di disoccupazione di massa drammatica e duratura, vuol dire che c’è qualcosa di profondo che non funziona.La contrazione del Pil nominale italiano negli ultimi due anni è un fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto accadere. La riduzione del debito pubblico e privato per i paesi del sud è praticamente impossibile in una situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l’ufficiale del Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno bisogno di un tasso d’inflazione della zona euro al 2% per oltre cinque anni consecutivi. E questo è confermato in una serie di paper del Fmi che hanno sottolineato come la traiettoria del debito sia fuori controllo in un contesto di bassissima inflazione. Se la periferia della zona euro ha “successo” nell’adempiere a quanto prescritto da Bruxelles-Berlino-Francoforte, crea una situazione di svalutazione interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in bancarotta. E’ la conseguenza del “successo”.Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro successo rende la situazione peggiore di quella precedente? Esiste una ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole raggiungere gli obiettivi di politica monetaria e per un periodo così lungo? No, non c’è. Un’inflazione prossima allo zero costa all’Italia il 2,6% del Pil per raggiungere lo stesso obiettivo che potrebbe essere raggiunto se solo la Bce rispettasse gli obiettivi imposti dai trattati. Questa situazione di bassissima inflazione è disastrosa per il futuro economico dell’Italia. Quando Mario Draghi ha lanciato il programma Omt – Outgriht Monetary Transactions – nell’agosto del 2012 è cambiato tutto. L’euro stava per fallire a luglio, con Italia e Spagna che erano in una grande crisi di finanziamento del proprio debito e la moneta unica era molto vicina al collasso. Angela Merkel stava pensando di espellere la Grecia dalla zona euro e solo quando ha accertato che ci sarebbero stati troppi pericoli per il contagio di Italia e Spagna, Berlino ha accettato il piano ideato dal ministero delle finanze tedesco, che si è trasformato poi nel programma Omt.Poche persone hanno compreso bene questa fase storica: non è la Bce, ma la Germania che ha cambiato politica, trasformando l’istituto di Draghi in una prestatore di ultima istanza. Da allora la crisi della zona euro è completamente diversa e non c’è più il rischio che l’euro possa esplodere per un fallimento bancario. Ma bisogna stare attenti perché la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che l’Omt di Draghi rappresenta una violazione dei trattati. Il pericolo sistemico esiste ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi forzare il cambiamento e modificare l’intero progetto.In Gran Bretagna, l’Ukip costringerà il partito conservatore di Cameron – che è personalmente pro-Europa rispetto ad un’ala sempre più influente di Tory che la pensa come l’Ukip – a cambiare posizione, perché il messaggio a Bruxelles nelle ultime elezioni è stato chiaro: il popolo britannico non tollera più una perdita di sovranità continua. Quando in Francia a vincere è un partito che, una volta al potere, vuole – come mi ha confermato Marine Le Pen in un’intervista – ordinare al Tesoro francese di attivarsi per il ritorno immediato al franco, la questione rimane centrale nel dibattito. Come reagiranno ora i gollisti e i conservatori moderati a questo messaggio del popolo francese alle elezioni europee e alla distruzione dell’industria storica francese? Se il Fronte Nazionale dovesse vincere le elezioni, la Francia non rispetterà il Fiscal Comapct e questa ridicola legislazione decisa da Bruxelles. Gli altri partiti non possono più ignorarlo.Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di uscirne; oppure, ad esempio insieme all’Olanda che è in una situazione similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che controllano la politica economica dell’Ue, imponendo il cambiamento in linea con le loro esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest’ultima alternativa, dato che questi paesi non hanno certo il coltello da parte del manico e già in passato Hollande ha fallito nel creare un consenso con i paesi mediterranei. Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio della zona euro sarebbe poi l’opposto, vale a dire un’uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.(Ambrose Evans-Pritchard, dichiarazioni rilasciate ad Alessandro Bianchi per l’intervista “Il vero rischio non è la sua fine, ma che l’euro sopravviva altri cinque anni: le conseguenze sarebbero drammatiche”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” il 4 giugno 2014).Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.
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Dario Fo: moriremo democristiani, ci piace la menzogna
Se a un certo punto arriva un outsider della politica e fa quel che ha fatto Matteo Renzi e poi ottiene questo successo incredibile, direi che è l’ora di mettersi serenamente l’animo in pace. Che delusione, davvero. Moriremo democristiani, ecco la sostanza. Questione antropologica, chissà. La storia di questo paese continuerà sempre uguale a se stessa. Sono deluso non per me stesso, ma perché penso all’Italia. Perché vorrei vedere un cambiamento vero e non di facciata, con gli spot. Da segretario del Pd e da presidente del Consiglio, Renzi ha messo in fila una serie innumerevole di promesse. Quante ne ha mantenute? Diceva: «Mai a palazzo Chigi senza passare dalle urne», e il giorno dopo ha fatto il contrario. Il Pd ha regalato miliardi di euro alle banche. Il mondo del lavoro penalizzato ancora una volta. Insomma: ci piacciono i venditori. E proviamo questo grandissimo piacere nell’essere truffati.Renzi come Berlusconi? Intanto le riforme vuole farle proprio con il Cavaliere, o sbaglio? Grillo avrà sbagliato qualcosa in campagna elettorale, forse a volte ha estremizzato toni e concetti, a volte ho provato a dirlo. Ma quanto volete che abbia spostato qualche errore? Nulla. Siamo di fronte alla scelta di una nazione che non ha il coraggio di fare scelte di rottura e a cui piace la menzogna. Il M5S non è la rivoluzione, ma la trasformazione. Mentre Renzi rappresenta l’usato sicuro, la vecchia sicurezza della pancia moderata dell’Italia. Certo, almeno la Lista Tsipras ha superato il quorum. Sono contento, e molto. Ma sono convinto siano amareggiati anche loro nel vedere l’evoluzione del Pd. Spero ci sia un avvicinamento della lista Tsipras con i Cinque Stelle. Non so se un fronte del genere sia sufficiente per fare un’opposizione forte in Italia e in Europa, ma le convergenze sul programma per me ci sono tutte. Però adesso è cambiato tutto l’assetto, capite? La nuova Dc è troppo forte.(Dario Fo, dichiarazioni rilasciate a Matteo Pucciarelli per l’intervista “Che delusione, a noi italiani piacciono le menzogne”, pubblicata da “Repubblica il 27 maggio 2014 e ripresa da “Micromega”).Se a un certo punto arriva un outsider della politica e fa quel che ha fatto Matteo Renzi e poi ottiene questo successo incredibile, direi che è l’ora di mettersi serenamente l’animo in pace. Che delusione, davvero. Moriremo democristiani, ecco la sostanza. Questione antropologica, chissà. La storia di questo paese continuerà sempre uguale a se stessa. Sono deluso non per me stesso, ma perché penso all’Italia. Perché vorrei vedere un cambiamento vero e non di facciata, con gli spot. Da segretario del Pd e da presidente del Consiglio, Renzi ha messo in fila una serie innumerevole di promesse. Quante ne ha mantenute? Diceva: «Mai a palazzo Chigi senza passare dalle urne», e il giorno dopo ha fatto il contrario. Il Pd ha regalato miliardi di euro alle banche. Il mondo del lavoro penalizzato ancora una volta. Insomma: ci piacciono i venditori. E proviamo questo grandissimo piacere nell’essere truffati.
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Tanaticismo: questo regime produce morte. E ci odia
Non so perché continuiamo a chiamarlo capitalismo. È come se ci trovassimo di fronte a una sorta di fallimento o di blocco della funzione poetica del pensiero critico. Anche i suoi adepti non hanno problemi a non chiamarlo più capitalismo. I suoi critici, invece, sembrano essersi ridotti ad aggiungere degli aggettivi: postfordista, neoliberale, oppure il quanto mai ottimista e seducente “tardo” capitalismo. Un termine agrodolce, dal momento che il capitalismo sembra destinato a seppellirci tutti. Mi sono svegliato da un sogno con in testa l’idea che avrebbe più senso chiamare il capitalismo “tanaticismo” – da Thanatos, figlio di Nyx (notte) e Erbos (oscurità), gemello di Hypnos (sonno), come Omero ed Esiodo sembrano più o meno concordare. Ho provato con “tanatismo” su Twitter, e Jennifer Mills mi ha risposto: «Sì, ma penso che siamo di fronte a qualcosa di più entusiasticamente suicida. Tanaticismo?».Questa parola mi sembra pertinente. Tanaticismo, come fanati[ci]smo: una gioiosa ed entusiasta voglia di morire. L’assonanza con “thatcherismo” è di aiuto. Tanaticismo: un ordine sociale che subordina la produzione di valori d’uso ai valori di scambio, a tal punto che la produzione di valori di scambio minaccia di estinguere le condizioni di esistenza dei valori d’uso. Come definizione approssimativa potrebbe funzionare. Bill McKibben ha suggerito che gli esperti di clima dovrebbero andare in sciopero. Il Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico ha fatto recentemente uscire il suo report per il 2013. Il documento più o meno ricalca quello del 2012, ma con maggiori prove, maggiori dettagli e con peggiori previsioni. Tuttavia non sembra accadere nulla che possa fermare il tanaticismo. Perché fare uscire un altro report? Non è la scienza che ha fallito, ma la scienza politica. O forse l’economia politica.Nella stessa settimana, Bp ha fatto presente la sua intenzione di dare fondo alle riserve di carbone di cui detiene i diritti. Gran parte del valore di questa azienda, dopotutto, consiste nel valore di quei diritti. Non estrarre, succhiare o fratturare il carbone per ottenere benzina sarebbe un suicidio per l’azienda. Tuttavia trasformare il carbone in benzina per poi bruciarla, rilasciando il carbone nell’aria, mette seriamente a rischio il clima. Ma questo non conta nulla nella produzione di valori di scambio. Il valore di scambio srotola la sua logica intrinseca sino alla fine: l’estinzione di massa. La coda (il capitale) fa scodinzolare il cane (la Terra). Forse non è un caso che la privatizzazione dello spazio fa capolino all’orizzonte come opportunità di investimento proprio in questo momento in cui la Terra è un cane sotto il controllo del capitale.I nostri governanti stanno coscientemente contribuendo all’esaurimento della Terra. È per questo che stanno sognando di costruire degli hotel nello spazio. Non vogliono essere toccati dall’esaurimento della Terra e vogliamo continuare a sviluppare grandi progetti. In questo quadro è ovvio che agenzie come la Nsa spiino chiunque. I governanti sono coscienti di essere i nemici dell’intera specie a cui apparteniamo. Sono i traditori della nostra specie. Per questo vivono nel panico e nella paranoia. Immaginano che siamo tutti là fuori pronti a catturarli. Quindi lo Stato diventa un agente di sorveglianza collettiva e una forza armata in difesa della proprietà. Il ruolo dello Stato non è più quello di amministrare il biopotere. Lo Stato è sempre meno interessato al benessere delle popolazioni. La vita è una minaccia per il capitale ed è trattata come tale.Il ruolo dello Stato non è di amministrare il biopotere ma di amministrare il tanatopotere. Chi sono i primi a cui va negato il sostegno alla vita? Quali popolazioni dovrebbero marcire e scomparire per prime? Innanzitutto quelle che non possono essere usate come forza lavoro o come consumatori, e che hanno smesso di essere fisicamente e mentalmente adatte per servire nell’esercito. Molte di quelle popolazioni non hanno più il diritto di voto. A breve perderanno il diritto ad avere i buoni pasto e altre forme di supporto biopolitico. Solo chi vorrà e saprà difendersi dalla morte avrà il diritto alla vita. Questo per quanto riguarda il mondo sovra-sviluppato. Mentre nel resto del mondo centinaia di milioni di persone vivono attualmente in condizioni di pericolo dovute all’innalzamento del livello dei mari, alla desertificazione e ad altre gravi fratture metaboliche fra società e ambiente. Tutti lo sappiamo: quelle popolazioni sono trattate come dispensabili.Tutti sappiamo che le cose non possono continuare ad andare avanti così come sono. È semplicemente ovvio. A nessuno, però, piace pensarlo. Tutti amiamo le nostre distrazioni. Tutti ci facciamo adescare dal fascino del clic. Ma davvero: lo sappiamo tutti. E tuttavia c’è chi trae vantaggi dal mettersi a servizio della morte. Ogni accenno di scusa in favore del tanaticismo viene riempito da cascate di elogi. Da tempo non possiamo più contare sulla figura dell’intellettuale pubblico; siamo però pieni di pubblici idioti. Chiunque abbia una storia da raccontare o un’idea su come “cambiare le cose” può avere un po’ di attenzione mediatica, nella misura in cui riesce a distogliere l’attenzione dal tanaticismo – o meglio, a giustificarlo. Perfino il migliore dei pubblici idioti di quest’epoca, alla fine, si rivela per ciò che è, ossia un venditore di auto usate. Non è certo un gran periodo per le arti retoriche.È chiaro che l’università, per come la conosciamo, sparirà. Le scienze naturali, le scienze sociali e le discipline umanistiche, ciascuna nei propri modi, lottavano per accrescere i nostri saperi. Ma è molto difficile, a prescindere dalla disciplina, evitare di approdare alla conclusione che il regime oggi vigente sia il tanaticismo. Tutto ciò che le discipline tradizionali possono fare è focalizzarsi su qualche piccolo problema assai circoscritto, su qualche dettaglio, al fine di evitare il quadro generale. E questo non è più sufficiente. Tuttavia, quelle forme di produzione di conoscenza che si concentrano su questioni minori o sussidiarie sono ancora pericolose. Esse stanno iniziando a scoprire ovunque tracce di tanaticismo all’opera. Di conseguenza, l’università deve essere distrutta. Al suo posto, un’apoteosi di ogni forma di non-conoscenza.Stanno già emergendo tante nuove discipline, come le discipline inumane o le scienze antisociali: i loro oggetti di indagine non sono i problemi dell’umanità o delle società. Il loro oggetto è il tanaticismo: la sua descrizione, la sua giustificazione. È necessario identificarsi con (e celebrare) tutto ciò che si oppone alla vita. Un insieme di credenze così poco plausibile e disfunzionale necessita, per imporsi, di cancellare qualunque rivale. Tutto ciò è deprimente. Ma la depressione, d’altronde, è sussidiaria al tanaticismo. È previsto che tu sia depresso, ed è previsto che tu ritenga di esserlo per via di un tuo problema o di una tua carenza individuale. Il tuo brillante e illusorio mondo fantastico cade di colpo in mille pezzi, ed ecco che ti appare la nuda realtà tanatica – e tu pensi che sia per colpa tua. È colpa tua perché hai smesso di crederci. Vai da uno strizzacervelli. Prendi un po’ di psicofarmaci. Oppure fatti un po’ di shopping-terapia.Il tanaticismo cerca anche di assimilare coloro i quali sollevano dubbi su questo modo di governare, ma lo fanno attraverso una cosmesi della loro critica. Esso li trasforma in nuove iterazioni di produzione tanatica. «Comprati una macchina ecologica!», «Fa’ la raccolta differenziata! No, cazzo, falla bene! Separa quella merda!». Ancora una volta, come nel caso della depressione, tutto si riduce alle tue virtù e alla tua responsabilità personale. È colpa tua se il tanaticismo vuole distruggere il mondo. È colpa tua perché sei tu che consumi, ma d’altronde non hai scelta. «Anche le nostre civilizzazioni sanno di essere mortali», scrisse Paul Valéry nel 1919. In quegli anni, dopo la più feroce e inutile tra le guerre mai verificatesi, una considerazione del genere appariva in tutta la sua chiarezza. Ma noi abbiamo perso quella chiarezza. Quindi faccio una modesta proposta. Chiamiamo almeno le cose con il loro nome. Questa è l’era del tanaticismo: il modo di produzione della non-vita. Svegliatemi quando sarà finito.(McKenzie Wark, “Nascita del Tanaticismo”, da “Lavoro culturale” del 23 aprile 2014).Non so perché continuiamo a chiamarlo capitalismo. È come se ci trovassimo di fronte a una sorta di fallimento o di blocco della funzione poetica del pensiero critico. Anche i suoi adepti non hanno problemi a non chiamarlo più capitalismo. I suoi critici, invece, sembrano essersi ridotti ad aggiungere degli aggettivi: postfordista, neoliberale, oppure il quanto mai ottimista e seducente “tardo” capitalismo. Un termine agrodolce, dal momento che il capitalismo sembra destinato a seppellirci tutti. Mi sono svegliato da un sogno con in testa l’idea che avrebbe più senso chiamare il capitalismo “tanaticismo” – da Thanatos, figlio di Nyx (notte) e Erbos (oscurità), gemello di Hypnos (sonno), come Omero ed Esiodo sembrano più o meno concordare. Ho provato con “tanatismo” su Twitter, e Jennifer Mills mi ha risposto: «Sì, ma penso che siamo di fronte a qualcosa di più entusiasticamente suicida. Tanaticismo?».
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Votiamo chi ci spolperà: siamo un paese di imbecilli?
«Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali». Così il Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Citazione perfetta, secondo Rosanna Spadini, per fotografare lo sconcertante voto italiano delle europee, che trasformano l’incolore Pd neoliberista nel primo partito europeo, ufficialmente ancora “di sinistra” benché renziano e ligio ai diktat della destra economica euro-atlantica, prontissimo anche ora alle larghe intese a Bruxelles coi popolari della Merkel e del navigato tecnocrate lussemburghese Juncker, ennesima controfigura del super-potere antidemocratico diretto dalla Troika.«Io però non credo all’esito di queste elezioni», protesta Spadini. «Non credo che gli italiani possano essere così imbecilli da rifiutare il cambiamento, o comunque barattarlo con un voto di scambio degli 80 euro. Non credo che siano state elezioni pienamente libere e democratiche, perché garantite da una casta politica che usa le garanzie solo per sé».La dissonanza dell’Italia è dolorosa, preoccupante. In Francia, il Front National di Marine Le Pen conquista il 25% e demolisce il socialista Hollande, in Spagna crollano i due grandi partiti del bipolarismo iberico, popolari e Psoe, che dimezzano la loro rappresentanza europea. E mentre in Gran Bretagna lo Ukip di Farage diventa primo partito stracciando il prenier Cameron relegato in terza posizione, in Grecia, con Syriza, Tispras arriva al 26,7%, staccando di quattro punti il partito del premier Antonis Samaras. «Che cos’ha l’Italia per essere diversa?». La mancanza di alternative credibili? Grillo ambiguo sull’euro? Non basta: con una posizione più netta sulla moneta unica, il M5S avrebbe recuperato «i 3 punti che sono andati alla Lega» e si sarebbe fermato a quota 24-25%, quella del febbraio 2013. Bravo Salvini, certo: ha «riesumato un partito-spazzatura», corresponsabile «di tutte le nefandezze euriste che hanno saccheggiato il paese», compresi «tutti i trattati-capestro europei che stanno trasformando l’Italia in economia da terzo mondo».«Oggi – continua Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’Italia ha perso tutte le proprie sovranità, quella monetaria con l’introduzione dell’euro, quella economica con la legge del divorzio tra il Tesoro e Bankitalia (Ciampi-Andreatta, 1981) e quella politica, da quando nel 2011 il governo Berlusconi è stato silurato dal “golpe bianco” dello spread e sostituito da “governi oligarchici” impostici da quei poteri finanziari che hanno commissariato l’Italia e la spolperanno fino all’osso. Io non credo – continua Spadini – che gli italiani abbiano capito cosa sta succedendo a loro e al loro paese, mentre il governo Renzi proseguirà nel progetto di svendita dei gioielli di Stato (Eni, Enel, Finmeccanica) alle lobby finanziarie straniere, e nella realizzazione del suo piano di lavoro Jobs Act, che precarizzerà a vita il lavoro delle giovani generazioni – se ne troveranno uno e retribuito decentemente». Gli italiani? «Non hanno capito la nuova proposta politica del M5S, un movimento di cittadini che si fanno Stato, cittadini comuni entrano nelle istituzioni, ma solo per due mandati».Una forma di democrazia diretta, quella dei 5 Stelle, che «risponde benissimo alle sfide del nostro tempo e si adatta perfettamente alla società dei consumatori, dove i grandi apparati politici si sono sgretolati sotto il crollo delle ideologie, dove le grandi fabbriche si stanno dissolvendo a vista d’occhio sotto i colpi della globalizzazione (vedi Fiat)». Il Movimento 5 Stelle non sparirà facilmente: «Si è confermato comunque come prima forza politica di opposizione e seconda forza in Italia», quindi «continuerà a restituire i soldi dello stipendio e a rifiutare i rimborsi elettorali, a difendere la Costituzione, i giovani dal precariato e gli imprenditori da Equitalia», mentre il Pd confluirà nel Partito Socialista Europeo che ha già annunciato che si alleerà con il Ppe della Merkel e di Berlusconi – possibile che gli elettori Pd non se ne siano “accorti”? Più facile, invece, che nel frattempo sparisca l’Italia, «condannata al declino inesorabile stabilito dagli oligarchi». E’ un destino di terzomondizzazione, «sancito da quelle lobby finanziarie che pilotano Renzi and company: l’Italia è destinata a diventare un’economia da terzo mondo – anzi, se vogliamo culturalmente lo è già, perché così ha stabilito il vero potere».«Il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali». Così il Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Citazione perfetta, secondo Rosanna Spadini, per fotografare lo sconcertante voto italiano delle europee, che trasformano l’incolore Pd neoliberista nel primo partito europeo, ufficialmente ancora “di sinistra” benché renziano e ligio ai diktat della destra economica euro-atlantica, prontissimo anche ora alle larghe intese a Bruxelles coi popolari della Merkel e del navigato tecnocrate lussemburghese Juncker, ennesima controfigura del super-potere antidemocratico diretto dalla Troika.«Io però non credo all’esito di queste elezioni», protesta Spadini. «Non credo che gli italiani possano essere così imbecilli da rifiutare il cambiamento, o comunque barattarlo con un voto di scambio degli 80 euro. Non credo che siano state elezioni pienamente libere e democratiche, perché garantite da una casta politica che usa le garanzie solo per sé».
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Ma il mondo ha capito che Obama è più bugiardo di Bush
Caro Obama, ci hai deluso. Firmato: 93 paesi, dalla A di Afghanistan alla Z di Zimbabwe, passando per Europa, Brasile, Medio Oriente, ex Urss, Sudamerica e Africa. Durante gli anni di Bush, le popolazioni di tutto il mondo erano inorridite dalle aggressioni, dalle violazioni dei diritti umani e dal militarismo degli americani. Nel 2008 solo una persona su tre, in tutto il mondo, approvava l’operato dei leader Usa. L’avvento di Obama trasmise un messaggio di speranza e cambiamento, e nel 2009 il monitoraggio della Gallup (Usglp, Us Global Leadership Project) registrò il forte consenso dell’opinione pubblica mondiale: il 49% del campione aveva fiducia nella nuova leadership statunitense, che però è andata riducendosi non appena Obama è passato dalle promesse ai fatti. Domanda: lei approva o disapprova la leadership Usa? In alcuni paesi, «un gran numero di persone ha rifiutato di rispondere e di esprimere un qualsivoglia parere, mascherando la disapprovazione dietro ad un silenzio dettato dalla paura», spiega Nicolas Davies.I dati più suggestivi vengono dall’Africa, continente dove Obama aveva sempre goduto di alti indici di gradimento: la caduta delle grandi speranze nei suoi riguardi può spiegare, almeno in parte, il minor consenso in 28 dei 34 paesi esaminati, scrive Davies in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ma non può spiegare perché, ora, in 15 paesi su 27 – ovvero nella maggior parte del continente nero – le persone considerano la leadership di Obama peggiore di quella di Bush (compreso il Kenya, il paese di origine della famiglia Obama). Va meglio in Europa, dove più forte era stata l’ostilità verso Bush. Ma attenzione: «Le interviste europee della Gallup, nel 2013, sono state fatte prima delle rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio della Nsa, e prima che l’assistente segretario di Stato, Victoria Nuland, organizzasse il colpo di stato in Ucraina, trasformando questo paese nell’ultimo campo di battaglia di quella guerra globale americana», cioè il tipo di guerra «che aveva alienato il consenso di così tanti europei all’amministrazione Bush».Le promesse di speranza e di cambiamento fatte da Obama nella campagna presidenziale del 2008 «sono progressivamente sbiadite, nei titoli dei giornali di tutto il mondo, esattamente come in America». La sua politica estera e militare? «E’ clamorosamente fallita nel segnare una rottura con le politiche di Bush». Obama «non è riuscito a chiudere Guantanamo, né a “contenere” gli alti ufficiali statunitensi responsabili dei crimini di guerra». Inoltre ha intensificato la guerra in Afghanistan con 22.000 attacchi aerei e «ha consentito centinaia di illegittimi attacchi di droni in Pakistan, Yemen e Somalia». Sempre Obama «ha ampliato le operazioni delle forze speciali fino all’incredibile numero di 134 paesi, ha lanciato sanguinose guerre “per procura” in Libia ed in Siria precipitando, questi due paesi nel caos, e ha consegnato l’Iraq e l’Afghanistan ai “signori della guerra”». Più operazioni coperte, meno occupazioni militari, più navi da guerra nel Pacifico: un’evoluzione dettata dai fallimenti in Iraq e Afghanistan e dall’ascesa della Cina, più che da una precisa visione della Casa Bianca.«Il fascino di Obama», scrive Davies, «si è sempre basato più sullo stile che sul merito. Dietro alla maschera del “cambiamento” c’è sempre stata la continuità. Né l’America né le popolazioni globali avrebbero accettato tranquillamente un altro George W. Bush». Quindi, servivano «un volto e una voce cui una popolazione sfibrata avrebbe volentieri dato il benvenuto», ma in grado di garantire, al tempo stesso, «la continuità nel controllo di Wall Street e dell’economia, e la ricerca incessante – ma sempre più sfuggente – del dominio militare americano nel mondo». La suggestione del cambiamento? «Era indispensabile per depistare e porre il bavaglio alla crescente richiesta di un cambiamento effettivo nella politica degli Stati Uniti: è questa la sfida che ha definito il ruolo intrinsecamente ingannevole di Obama come nuovo “ceo dell’America Incorporated”».I parametri della politica estera Usa dopo la guerra fredda, continua Davies, furono definiti nel 1992, per orientare i leader e aiutarli a sfruttare il meglio il dividendo acquisito con il crollo dell’Unione Sovietica. Furono precisati nel documento “Defense Planning Guidance” redatto dal sottosegretario alla difesa Paul Wolfowitz e dal suo assistente Scooter Libby, come trapelò sul “New York Times” nel marzo del 1992. «Quel documento fu poi sostanzialmente rivisto per oscurare le sue implicazioni a livello di offensiva globale, prima che fosse ufficialmente rilasciato il mese successivo». Il quadro politico delineato da Wolfowitz nel 1992 fu poi codificato nel 1997 da Bill Clinton e poi nel “2002 National Security Strategy”, che il senatore Edward Kennedy definì «un manifesto dell’imperialismo americano del 21° secolo, che nessun’altra nazione può o dovrebbe accettare».La politica delineata da Wolfowitz nel 1992 stabiliva un ordine mondiale in cui l’esercito statunitense sarebbe stato così schiacciante, e così pronto ad usare la sua forza, che «i potenziali concorrenti sarebbero stati indotti a non aspirare ad un qualche ruolo regionale o globale». Anche gli alleati della Nato sarebbero stati dissuasi dall’agire in modo indipendente dagli Stati Uniti, o dal formare autonomi accordi di sicurezza europea. Quell’impostazione «violava implicitamente il divieto contenuto nella “Carta delle Nazioni Unite” di minacciare o di far ricorso unilateralmente all’uso della forza militare, da parte degli Stati Uniti, contro i “potenziali concorrenti”». Era la fine del cosiddetto “internazionalismo collettivo”, cioè il multilateralismo che aveva permesso agli Alleati, vincitori della Seconda Guerra Mondiale, di dar vita all’Onu come organizzazione deputata a mediare le dispute e scongiurare i conflitti armati.Durante l’amministrazione Bush, la filosofia “neocon” di Wolfowitz «è uscita dal cono d’ombra ed è diventata un bersaglio della critica mondiale». Le radici dell’aggressione all’Iraq sono state rintracciate nel neoconservatore “Project for the New American Century”, il famigerato Pnac firmato nel 1997 da Robert Kagan e William Kristol, direttore del “Weekly Standard” fondato da Rupert Murdoch. Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz e Libby erano tutti membri del Pnac. «Ma il ruolo della moglie di Kagan, Victoria Nuland, quale leader del team del Dipartimento di Stato e della Cia che ha organizzato il colpo di Stato americano in Ucraina, ha attirato nuova attenzione sul fatto che anche sotto Obama i neocon continuano a detenere posizioni di potere e di influenza», ben insediati in tutte le stanze dei bottoni di Washington, accanto a Obama. La Nuland ha lavorato indifferentemente con Cheney, alla Nato, con Hillary Clinton e John Kerry. E suo marito, Robert Kagan, lavora al Brookings Institution e, insieme a Kristol, ha fondato il “Foreign Policy Initiative”, considerato il successore del Pnac. Obama ha citato il suo saggio “The Myth of American Decline” al discorso sullo Stato dell’Unione del 2012.Un altro neocon molto influente nell’amministrazione Obama è il fratello di Kagan, Frederick, studioso dell’“American Enterprise Institute”, mentre sua moglie Kimberly è presidente dell’“Institute for the Study of War”. «Nel 2009 erano tra i principali sostenitori dell’escalation in Afghanistan, e gli stretti rapporti con il segretario Gates e con i generali Petraeus e McChrystal ha dato loro un’influenza fondamentale nel far prendere ad Obama la decisione di intensificare e prolungare la guerra». L’ex direttore del Pnac, Bruce Jackson, è presidente del “Project on Transitional Democracies”, il cui scopo è l’integrazione dell’Europa dell’Est nell’Ue e nella Nato. Reuell Marc Gerecht, membro della “Foundation for the Defense of Democracies” ed ex agente della Cia in Iran, «è una delle voci più forti che si sono alzate a Washington per sostenere l’aggressione americana alla Siria e all’Iran, e l’abbandono di soluzioni diplomatiche per entrambi i casi». Ancora: Carl Gershman e Vin Weber sono i leader della Ned, “National Endowment for Democracy”, l’organizzazione che ha pianificato il golpe a Kiev spendendo più di 3,4 miliardi di dollari. Ron Paul ha definito la Ned «un’organizzazione che utilizza i soldi delle tasse statunitensi per sovvertire la democrazia, concedendo finanziamenti a pioggia a partiti o movimenti politici di loro gradimento all’estero».Per Davies, l’influenza del neoconservatorismo si estende ben al di là della cricca dei neocon che cavalcavano l’amministrazione Bush: gli obiettivi definiti da Wolfowitz nel 1992 «sono stati scolpiti nella pietra, allo stesso modo, da tutte le amministrazioni democratiche e repubblicane: l’obiettivo della supremazia militare degli Stati Uniti è diventato un tale articolo di fede, che le alternative razionali vengono considerate come un sacrilegio o un tradimento». Non ci sono crimini che l’eccezionalismo americano non possa giustificare, dice Davies, e il genuino rispetto per uno Stato di Diritto «è visto come un’impensabile minaccia al nuovo fondamento del potere americano». Ed ecco il trucco: «L’unico modo attraverso il quale un governo può mantenere una posizione di tale illegittimità, è attraverso l’uso della propaganda, dell’inganno e della segretezza, sia contro il proprio popolo che contro il resto del mondo». Di qui il “modello Obama”, che si è evoluto grazie alle tecniche di marketing e costruzione dell’immagine fiduciaria di un presidente «trendy, sofisticato, con forti radici nell’afro-americanismo e nella moderna cultura urbana».Il contrasto tra l’immagine e la realtà, un elemento così essenziale nel ruolo di Obama, rappresenta la nuova conquista della “democrazia gestita”, che gli consente di «continuare ed espandere politiche che sono l’esatto opposto del cambiamento che i suoi sostenitori pensavano di andare a votare», scrive Davies. «Questo regime di segretezza, di inganno e di propaganda è la caratteristica essenziale della filosofia politica neoconservatrice che sta ora guidando la leadership di entrambi i maggiori partiti politici americani». E’ un pensiero che viene da lontano: Leo Strauss, il padrino intellettuale dei neocon – un rifugiato proveniente dalla Germania del 1930 – credeva che qualsiasi sforzo, seppur sincero, per ottenere un “governo del popolo, dal popolo e per il popolo” fosse destinato a finire come la Repubblica di Weimar in Germania, con l’ascesa di Hitler e dei nazisti. Pensava che «qualsiasi sistema in cui il popolo avesse detenuto sul serio il potere sarebbe sicuramente finito in barbarie».La soluzione di Strauss? E’ il sistema della “democrazia gestita”, ovvero «una forma privilegiata di “alto sacerdozio” o di “oligarchia”, che monopolizza il potere reale e sovrintende ad una superficiale struttura democratica, promuovendo miti patriottici e religiosi per garantirsi la fedeltà del popolo e la coesione sociale». Il politologo Sheldon Wolin lo definisce “totalitarismo invertito”, meno apertamente offensivo del totalitarismo classico e quindi più sostenibile, oggi, nella concentrazione totale della ricchezza e del potere. Paradossalmente, dice Davies, questa nuova forma di totalitarismo “invisibile” è più insidiosa del roboante totalitarismo storico. Nel suo saggio su Strauss e la destra americana, Shadia Drury avverte: «Strauss crede che ogni cultura ed ogni sua implicita forma di moralità siano invenzioni umane, progettate dai filosofi e dagli altri geni creativi per la conservazione del gregge. Poiché la verità è buia e sordida, Strauss sostiene che il filosofico amore per la verità deve restare un appannaggio riservato a pochissimi».«Nella loro posizione pubblica – continua Drury – i filosofi devono mostrare rispetto ai miti e alle illusioni che hanno fabbricato per gli altri. Devono sostenere l’immutabilità della verità, l’universalità della giustizia e la natura disinteressata del bene, mentre segretamente insegnano ai loro accoliti che la verità non è che una mera costruzione, che la giustizia deve fare del bene agli amici e del male ai nemici, che il solo bene è il proprio piacere. La verità deve essere gustata da pochi, perché è molto pericoloso che la consumino in molti». Se tutto ciò sembra inquietante, esattamente come lo è l’atteggiamento cinico delle persone che gestiscono l’America di oggi, è perché «stiamo vivendo in un sistema politico neoconservatore e straussiano». E il presidente Obama, «lontano dal rappresentare una sorta di alternativa, è un presidente neoconservatore, anch’egli straussiano». Obama e i Clinton «si sono dimostrati praticanti più sofisticati e magistrali della politica straussiana di quanto mai lo siano stati Bush o Cheney».Il report 2013 della Gallup, la prima agenzia di ricerche statistiche del mondo, «è una prova di come si possa ingannare qualcuno per un po’ di tempo, e qualcun altro per tutto il tempo, ma non si può ingannare tutto un popolo per sempre», conclude Davies. «Dietro alla cortina di fumo della democrazia e dei valori americani, il sistema politico statunitense ricicla la ricchezza in potere politico, e il potere politico in ricchezza. Dietro al consumista “Sogno Americano”, un’economia guidata dalle oligarchie economiche e finanziarie sta portando la concentrazione di ricchezza e di potere a un livello che mai i totalitaristi del 20° secolo avevano nemmeno immaginato, sostenuta dalla corrispondente esplosione della povertà, del debito e della criminalizzazione di massa». E dietro a tutto questo «sventola all’infinito la bandiera di una politica estera militarizzata, che distrugge paese dopo paese in nome della democrazia». Se Leo Strauss aveva ragione, «il popolo americano accetterà passivamente questo regime basato sulla propaganda e sull’inganno». Se invece aveva torto, e i cittadini reagiranno, devono sapere che il tempo stringe: «I problemi che affliggono il mondo di oggi non aspetteranno ancora a lungo prima che noi si arrivi a comprendere se Leo Strauss aveva ragione o torto, nella sua oscura e sprezzante visione di chi noi siamo».Caro Obama, ci hai deluso. Firmato: 93 paesi, dalla A di Afghanistan alla Z di Zimbabwe, passando per Europa, Brasile, Medio Oriente, ex Urss, Sudamerica e Africa. Durante gli anni di Bush, le popolazioni di tutto il mondo erano inorridite dalle aggressioni, dalle violazioni dei diritti umani e dal militarismo degli americani. Nel 2008 solo una persona su tre, in tutto il mondo, approvava l’operato dei leader Usa. L’avvento di Obama trasmise un messaggio di speranza e cambiamento, e nel 2009 il monitoraggio della Gallup (Usglp, Us Global Leadership Project) registrò il forte consenso dell’opinione pubblica mondiale: il 49% del campione aveva fiducia nella nuova leadership statunitense, che però è andata riducendosi non appena Obama è passato dalle promesse ai fatti. Domanda: lei approva o disapprova la leadership Usa? In alcuni paesi, «un gran numero di persone ha rifiutato di rispondere e di esprimere un qualsivoglia parere, mascherando la disapprovazione dietro ad un silenzio dettato dalla paura», spiega Nicolas Davies.
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De Iulio: e adesso i padroni di Renzi ci faranno a pezzi
«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».Campane a morto per la nostra democrazia in via di avanzata rottamazione, dall’abolizione del Senato al micidiale Italicum che impedisce agli elettori di selezionare i propri dirigenti. «Nessuna reale opposizione allo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali e allo strapotere delle lobby del petrolio e del carbone», continua De Iulio. «Nessuna reale possibilità si salvaguardare lo “stato sociale” a garanzia dei cittadini, destinato a soccombere definitivamente sotto i colpi di machete del (neo)liberismo. Niente. Niente di niente. Soltanto chiacchiere e distintivo». E’ il seppellimento di qualsiasi possibile alternativa democratica: con o senza «le stampelle offerte da Alfano, i baci di giuda di Berlusconi e l’appoggio “responsabile” di altri possibili compagni di merende», il Pd renziano ormai rappresenta «il tentativo riuscito di dare vita a una nuova grande forza di centrodestra, capace di mettere insieme i potentati e le tante forze conservatrici di questo nostro martoriato paese, con buona pace della vecchia Democrazia Cristiana».De Iulio è pessimista: non vede nessuna reale possibilità che la politica uscita dalle urne delle europee possa «anche soltanto lontanamente provare a cambiare veramente le cose, a invertire la rotta», per evitare «la catastrofe sociale che ci attende», e che è già abbondantemente cominciata. Gli ominicchi della politica italiana? «Riciclati, invece che rottamati: una palude nefasta». Frammentate le opposizioni, sotto il 4% “Fratelli d’Italia”, isolata la Lega di Salvini. Tsipras, comunque tiepido sull’euro, si è fermato sull’orlo dell’esclusione, mentre l’iper-favorito Grillo – nonostante il programma che prometteva un referendum sulla moneta unica e il rituale “no al Fiscal Compact” – ha preferito concentrarsi sui piccoli ladri dell’Expo di Milano, anziché sui grandi ladri della nostra democrazia, che siedono a Bruxelles e a Francoforte, a Washington e a Wall Street, senza peraltro proferire verbo sulla catastrofica crisi dell’Est Europa, che mette in pericolo il futuro di tutti. Onestamente: «Occasione persa? Sì».«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».
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Renzi come Silvio, l’Italia non può permettersi i Grillo
«Chi davvero pensava tra i 5 Stelle che il sorpasso fosse possibile, usava droghe molto forti ma anche molto scadenti», scherza Andrea Scanzi, secondo cui «non ci voleva uno scienziato» per intuire che Renzi avrebbe battuto Grillo magari attestandosi attorno al 32%, con 5 punti di scarto sul M5S. «L’evento pressoché imprevedibile non è la vittoria, scontata, ma la portata enorme della vittoria: Renzi ha addirittura sfondato il muro del 40%, doppiando i rivali». Il Pd ha preso più di 2 milioni di voti in più rispetto a un anno fa con Bersani. «Il 2014 sta a Renzi come il 1994 a Berlusconi», scrive il giornalista del “Fatto”. «Dominerà la scena politica per i prossimi vent’anni». Motivi solidi: incarna «un cambiamento morbido e garbato, prossimo al gattopardismo», essendo «scaltro e rassicurante». E ora si prenderà tutto: «Se non è scemo, e non lo è, a breve fa saltare il banco, va al voto, prende una maggioranza bulgara e con un Parlamento ferocemente renziano fa tutte le riforme che vuole».Da ieri, aggiunge Scanzi, i Civati e i Cuperlo contano zero: «Se hanno un minimo di amor proprio vanno di corsa a dare una mano a Tsipras, o a chi ci sarà alle prossime politiche». Renzi? Ormai è «un uomo solo al comando», ancorché circondato spesso «da arroganti e sprovveduti», mentre il grande sconfitto è il Movimento 5 Stelle: non tanto per il voto, quanto le abnormi aspettative alimentate. «In un paese tradizionalista e conservatore come l’Italia, un movimento così anomalo e di rottura che va stabilmente a due cifre (e la prima è un “2”) ha del miracoloso», premette Scanzi. «Per dire: quando sono usciti gli exit poll, che davano Renzi al 33 e M5S al 26.5, fossi stato in loro avrei firmato tutta la vita. Non mi stupisce il secondo posto, e tutto sommato neanche il 21 scarso: mi stupisce il gap rispetto a Renzi. Nonostante i tre milioni di voti in meno rispetto al febbraio 2013, il risultato non è negativo in sé: a giugno 2013 era dato sotto al 20% e invece oggi è ormai seconda forza radicata: chi, 15 mesi fa, avrebbe detto che Di Battista sarebbe stato più forte di Berlusconi?».I problemi sono altri: «Il primo è la forbice sovrumana con Renzi: accettabile fino a 5, dolorosa attorno al 12 (due mesi fa si parlava di Renzi 34% e M5S al 22%), disastrosa con i quasi 20 punti attuali». Il secondo problema, forse ancora più grave, è «la sopravvalutazione di se stessi». Ovvero: «Perché insistere con ‘sto “vinciamonoi”? Perché credere ciecamente nel sorpasso (ma sorpasso de che?)? Perché dare quasi per certo il raggiungimento del 30% o giù di lì? Perché farsi così tanti autogol (“Se non vinco mi ritiro”, cit Grillo)? E’ ovvio che, giustamente, ora mezzo mondo li sfotte. E fa bene a sfottere». Detta più chiaramente: «Numericamente è una sconfitta, ma visto le (folli) aspettative malamente alimentate è un’asfaltata». Evidentemente, i 5 Stelle si erano convinti «che il mondo reale fosse la rete o la piazza piena». Errore: «Hanno forse dimenticato che l’Italia che vota è fatta anzitutto da chi in piazza non ci va mai e magari decide all’ultimo momento». I milioni di indecisi, stavolta, «li ha presi tutti Renzi».Certo, i militanti 5 Stelle sono molto più attivi di quelli del Pd, «ma anche questa non è una novità: pure Luttazzi riempiva i teatri e Santoro faceva incetta di share, ma convincevano i già convinti e la maggioranza reale restava sempre di Berlusconi». Adottando un profilo più basso, continua Scanzi, oggi il M5S avrebbe addirittura potuto sorridere, perché «in Italia la norma è che vincano i Renzi e l’anomalia è che i Grillo vadano sopra il 10 (figurarsi il 20). Se però ripeti ogni istante “vinciamo noi”, poi ti demoliscono per forza». Secondo Scanzi, nonostante tutto, per i 5 Stelle è meglio essere secondi: «A fare opposizione sono bravi, a governare non so». Se non vuole calare ancora, il M5S deve sottoporsi a un “bagno di umiltà” per valutare i troppi errori: «I parlamentari bravi li hanno: vediamo come reagiranno». Soprattutto, per il giornalista del “Fatto”, «un paese governato da Renzi con il pungolo costante dei 5 Stelle è oggi il massimo a cui l’Italia può ambire».«Chi davvero pensava tra i 5 Stelle che il sorpasso fosse possibile, usava droghe molto forti ma anche molto scadenti», scherza Andrea Scanzi, secondo cui «non ci voleva uno scienziato» per intuire che Renzi avrebbe battuto Grillo magari attestandosi attorno al 32%, con 5 punti di scarto sul M5S. «L’evento pressoché imprevedibile non è la vittoria, scontata, ma la portata enorme della vittoria: Renzi ha addirittura sfondato il muro del 40%, doppiando i rivali». Il Pd ha preso più di 2 milioni di voti in più rispetto a un anno fa con Bersani. «Il 2014 sta a Renzi come il 1994 a Berlusconi», scrive il giornalista del “Fatto”. «Dominerà la scena politica per i prossimi vent’anni». Motivi solidi: incarna «un cambiamento morbido e garbato, prossimo al gattopardismo», essendo «scaltro e rassicurante». E ora si prenderà tutto: «Se non è scemo, e non lo è, a breve fa saltare il banco, va al voto, prende una maggioranza bulgara e con un Parlamento ferocemente renziano fa tutte le riforme che vuole».
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Scalfari: Renzi vi ha mentito, ma dovete votare Pd
«Non capisco, ma mi adeguo», avrebbe sentenziato Giorgio Ferrini, nei panni dello stolido militante comunista dell’indimenticato zoo televisivo di Renzo Arbore. Oggi, Eugenio Scalfari offre a Matteo Renzi il più strano degli endorsement: Renzi è praticamente una frana e dice «il contrario della verità», però bisogna votarlo lo stesso. In pratica si tapperà il naso, scrive il fondatore di “Repubblica” a una settimana dal voto europeo, fornendo spiegazioni che lo stesso Ferrini avrebbe probabilmente faticato a decifrare. Niente deve cambiare, dunque, perché lo vuole l’Europa: l’Europa federale, colta e democratica, l’Europa prospera e felice. Su che pianeta vive, attualmente, Eugenio Scalfari? Gli ultimi gossip, risalenti a un anno fa, lo danno per certo ancora a Roma, dove organizzò una cenetta esclusiva – nientemeno che a casa sua – con Giorgio Napolitano, Mario Draghi ed Enrico Letta, allora premier. Ed era lo stesso Scalfari che, nel 1968, rischiò l’arresto per aver rivelato, su “L’Espresso”, il Piano Solo, tentativo di golpe orchestrato dal generale Giovanni De Lorenzo e dalla sua intelligence, il Sifar.«Da molte settimane», scrive Scalfari su “Repubblica” il 18 maggio 2014, «ho criticato il governo Renzi e soprattutto lui medesimo, che accentra nelle sue mani tutto il potere, con una minoranza di sinistra che di fatto si è messa il silenziatore per disturbarlo il meno possibile». Le accuse: «La legge sul lavoro, la rottura con le organizzazioni sindacali, la legge elettorale, la riforma (di fatto l’abolizione) del Senato e la rivalutazione di Berlusconi», che trasforma «un pregiudicato» in un padre della patria. Il giovane Renzi, «lungi dal risolvere uno per ogni mese, a cominciare da subito, i problemi che affliggono il paese da trent’anni», in realtà «non avrebbe potuto fare altro che proseguire il programma già impostato da Monti e poi aggiornato e avviato da Letta», peraltro «già contenuto nella “legge di stabilità” scritta da Letta con la preziosa collaborazione dell’allora ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni e approvata in via definitiva dal Parlamento». In altre parole: il seppellimento definitivo dell’economia italiana, mediante euro-austerity.«In effetti le cose sono andate ed andranno così», aggiunge Scalfari, secondo cui «lo sapevano tutti», compreso Renzi, il quale ora finge di “vendere” agli italiani una magica, impossibile “ripresa”. L’ex sindaco di Firenze? «Ha detto il contrario della verità e il suo partito gli ha creduto. Poi, adesso, la verità è chiara a tutti». Ergo, il 25 maggio è l’occasione giusta per bocciare il bugiardo? Macché. Al contrario: Scalfari si augura che «gli elettori che rappresentano la parte responsabile del paese» votino compatti proprio «per il Pd e quindi per Matteo Renzi», il super-mentitore. Il motivo di questo cortocircuito logico? Il solito, cui si ricorre in questi casi: la Paura del Nemico alle Porte. I barbari euroscettici, Grillo, i no-euro, le forze che non vogliono «veder progredire l’Unione Europea verso uno Stato federale», quello che sognò Altiero Spinelli settant’anni fa, e che fu abortito dalla “democratura” oligarchica di Maastricht, che fa dell’Eurozona di oggi una delle aree meno civili, meno libere e meno democratiche del pianeta. Perché la Germania «allenti le briglie dell’austerity», niente di meglio che un tedesco – Martin Schulz – alla guida della Commissione Europea. Questa l’analisi politica di Eugenio Scalfari, alla vigilia del voto che, per la prima volta, permetterà ai popoli europei – drammaticamente “svegliati” dalla crisi – di ribellarsi a un regime che oggi percepiscono come abusivo, autoritario e sincero quanto Matteo Renzi.«Non capisco, ma mi adeguo», avrebbe sentenziato Giorgio Ferrini, nei panni dello stolido militante comunista dell’indimenticato zoo televisivo di Renzo Arbore. Oggi, Eugenio Scalfari offre a Matteo Renzi il più strano degli endorsement: Renzi è praticamente una frana e dice «il contrario della verità», però bisogna votarlo lo stesso. In pratica si tapperà il naso, scrive il fondatore di “Repubblica” a una settimana dal voto europeo, fornendo spiegazioni che lo stesso Ferrini avrebbe probabilmente faticato a decifrare. Niente deve cambiare, dunque, perché lo vuole l’Europa: l’Europa federale, colta e democratica, l’Europa prospera e felice. Su che pianeta vive, attualmente, Eugenio Scalfari? Gli ultimi gossip, risalenti a un anno fa, lo danno per certo ancora a Roma, dove organizzò una cenetta esclusiva – nientemeno che a casa sua – con Giorgio Napolitano, Mario Draghi ed Enrico Letta, allora premier. Ed era lo stesso Scalfari che, nel 1968, rischiò l’arresto per aver rivelato, su “L’Espresso”, il Piano Solo, tentativo di golpe orchestrato dal generale Giovanni De Lorenzo e dalla sua intelligence, il Sifar.
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Renzi e Berlusconi, una Costituzione riscritta dai bidelli
Appena uno si azzarda a mettere in dubbio la bontà della riforma elettorale “Italicum” o di quella del Senato, il premier e la sua vestale Maria Elena Boschi arrotano le boccucce a cul di gallina: «Il patto del Nazareno non si tocca». Trattasi dell’accordo siglato da Renzi e Berlusconi (attualmente detenuto ai servizi sociali) il 18 gennaio nella sede del Pd. Che, complice la toponomastica, evoca un che di sacrale: roba da tavole della legge, da arca dell’alleanza. Chiunque osi discostarsene – il presidente del Senato Piero Grasso, o i giuristi di “Libertà e Giustizia”, o il mite Vannino Chiti trattato ormai come un brigatista rosso – viene subito bollato di “rosicone”, “gufo”, “professorone”, “solone milionario”, “conservatore” e nemico del “cambiamento”. Il fatto è che questo patto Ribbentrop-Molotov all’amatriciana tutti lo evocano, ma nessuno – a parte i due firmatari, più Boschi e Verdini – lo conosce.Renzi ha appena annunciato la “total disclosure” sulle stragi di 40-50 anni fa, cioè la revoca del segreto di Stato, che però copre al massimo fatti di 30 anni fa, escluse le stragi, dunque non esiste. Ma forse farebbe cosa più utile a desegretare il Patto del Nazareno, così finalmente sapremmo cosa c’è scritto e potremmo regolarci. L’Italicum è notoriamente una boiata pazzesca che riproduce e talora peggiora i vizi del Porcellum, già bocciati dalla Consulta: liste bloccate con deputati nominati dai segretari di partito e premio di maggioranza-monstre per chi arriva primo, con spaventose soglie di sbarramento per escludere chi non s’intruppa. Però almeno si comprende la logica brutalmente partitocratica e semplificatoria dei due partiti – Pd e Forza Italia – che l’hanno partorito. La riforma del Senato, invece, è una porcata di cui sfugge pure la logica. E siccome persino Forza Italia se n’è resa conto, ed è sempre più tentata di appoggiare il testo di Chiti (che piace anche ai 5 Stelle), è giocoforza chiederne conto agli unici genitori rimasti: Renzi e la Boschi.Diamo pure per scontato ciò che non lo è affatto, e cioè che il nuovo “Senato delle autonomie” non sia più elettivo, non voti più la fiducia al governo e non possa esprimere che pareri consultivi sulle leggi votate dalla Camera (a parte quelle costituzionali). E cerchiamo di dare un senso alla sua nuova composizione: cioè alle modalità di accesso dei 148 senatori. I primi 21 li nomina il capo dello Stato (in aggiunta ai 5 senatori a vita): ma che senso ha che il 15 per cento dei membri del Senato li nomini una sola persona? Altri 21 saranno i governatori delle 19 regioni e i 2 presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano. Altri 21 saranno i sindaci dei capoluoghi di regione e di provincia autonoma. Altri 40 verranno scelti fra i consiglieri regionali: 2 per regione. E altrettanti fra i sindaci: 2 per regione. Ma perché mai tutta questa brava gente – in parte non eletta, in parte eletta per fare tutt’altro – dovrebbe approvare le leggi costituzionali ed eleggere il capo dello Stato, i membri del Csm e della Consulta?E, se tutti questi signori dovranno trascorrere metà della settimana a Roma, non rischiano di essere dei senatori e degli amministratori locali a mezzo servizio, svolgendo male l’un compito e l’altro? Siccome poi pochissimi saranno residenti a Roma e tutti gli altri in trasferta, andranno rimborsati per i viaggi e i pernottamenti nella capitale, riducendo i già magri risparmi (50-80 milioni all’anno) ricavati dall’abolizione del Senato elettivo e retribuito. La Valle d’Aosta, poi, avrà tanti senatori quanti la Lombardia, che ha 80 volte i suoi abitanti, e così il Molise con la Campania, 20 volte più popolosa. Anche questa scemenza è scritta col sangue nel Patto del Nazareno, o se ne può discutere? Infine, last but not least, il Senato dura cinque anni, ma nelle Regioni e nei Comuni si vota in ordine sparso, sicché ogni anno qualche governatore e sindaco perde il posto. E Palazzo Madama diventa un albergo a ore con le porte girevoli, dove si entra e si esce. E le maggioranze sono affidate al caso. O al caos. Cose che càpitano quando, a furia di disprezzare i professori, la Costituzione la riscrivono i bidelli.(Marco Travaglio, “Una Costituzione riscritta dai bidelli”, da “L’Espresso” del 5 maggio 2014, ripreso da “Micromega”).Appena uno si azzarda a mettere in dubbio la bontà della riforma elettorale “Italicum” o di quella del Senato, il premier e la sua vestale Maria Elena Boschi arrotano le boccucce a cul di gallina: «Il patto del Nazareno non si tocca». Trattasi dell’accordo siglato da Renzi e Berlusconi (attualmente detenuto ai servizi sociali) il 18 gennaio nella sede del Pd. Che, complice la toponomastica, evoca un che di sacrale: roba da tavole della legge, da arca dell’alleanza. Chiunque osi discostarsene – il presidente del Senato Piero Grasso, o i giuristi di “Libertà e Giustizia”, o il mite Vannino Chiti trattato ormai come un brigatista rosso – viene subito bollato di “rosicone”, “gufo”, “professorone”, “solone milionario”, “conservatore” e nemico del “cambiamento”. Il fatto è che questo patto Ribbentrop-Molotov all’amatriciana tutti lo evocano, ma nessuno – a parte i due firmatari, più Boschi e Verdini – lo conosce.
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Chomsky e Barnard: se gridare di rabbia non basta più
«C’erano due milioni di italiani a manifestare contro la guerra in Iraq a Roma nel 2003… per un giorno. Bravi. Ma li vedi tu per il resto dell’anno passare di casa in casa a informare le masse? Dai. Se lo facessero allora sì che, assieme a nuovi metodi di comunicazione, le cose cambierebbero». Così Paolo Barnard scrive a Noam Chomsky, il linguista statunitense che il “New York Times” considera il maggior intellettuale vivente. Si tratta di un carteggio privato, datato 2007, cioè «prima dell’esplosione della crisi finanziaria, che ha sbattuto in faccia al mondo quanto in realtà ci siamo involuti e non evoluti nella difesa dei diritti dell’uomo e nella gestione dell’interesse pubblico». Tema cruciale: che fare, per cambiare le cose. Chomsky si appella a una variante della scommessa di Pascal: «Se decidiamo di rinunciare alla speranza, siamo certi che il peggio accadrà. Se invece manteniamo la speranza, possiamo immaginare che un futuro migliore arriverà». Barnard invece non ci crede più, non gli basta. Vede che tutto il nostro attivismo per i diritti finisce nel tritacarne del mainstream, senza che le atrocità del mondo vengano minimamente arginate.«Ancora non riusciamo a fermare l’orrore delle guerre, le ingiustizie su macro-scala, la fame di milioni di bambini, l’avanzare del Vero Potere, la dittatura dei mercati», scrive oggi Barnard. «Ebbi quindi un’idea. Scrissi a Chomsky e gli proposi la formazione di un pannello di esperti a livello mondiale che per la prima volta studiassero “che cosa cambia l’umanità in meglio”, partendo da cosa l’ha cambiata in passato, per arrivare a cosa la può veramente cambiare oggi. Un pannello di storici, antropologi, psicologi, intellettuali e veri combattenti». Assioma di partenza: «Non possiamo dare per scontato che ciò che è riuscito a stemperare la barbarie di 5.000 anni – passando per la Rivoluzione Francese e illuminista, quella socialista, per quella femminista, sulla scia dell’olocausto delle guerre mondiali, durante il prodigioso arrivo della rivoluzione delle tecnologie e mezzi di comunicazione – possa funzionare anche oggi. Talmente tanto è cambiato, soprattutto il Vero Potere ha ottenuto una tale rivincita a livello planetario, che dire – come diceva proprio Noam Chomsky – che “l’umanità è sempre uscita dalla barbarie e non c’è motivo per cui questo non debba continuare”, mi appariva superficiale».Se gli attivisti che lottano “per un mondo migliore” sbagliano l’analisi e gli strumenti per il cambiamento, rischiano di consegnarsi alla vittoria finale di quello che Barnard chiama “Vero Potere”. Sì, «c’è motivo di dubitare che l’attivismo possa ottenere qualcosa», ammette Chomsky, secondo cui però “ieri si stava peggio”. Ovvero: se si crede che il punto di svolta negativo e irreparabile sia maturato negli anni ‘70, fino al fallimento dell’opinione pubblica mondiale che non è riuscita a scongiurare la guerra in Iraq, il grande intellettuale americano cita gli anni ‘60, in cui «gli Usa compivano atrocità ben peggiori di quelle fatte in Iraq». Un solo esempio, il Vietnam: «Già nel 1967 il più rispettato storico militare sul Vietnam, Bernard Fall, dubitava che quel paese potesse persino sopravvivere ad attacchi di quella ferocia. Ma le proteste erano minime. In Europa non si mosse un dito mentre mezzo milione di soldati americani, coreani, thailandesi e mercenari stavano devastando il Vietnam del sud». L’Iraq? «E’ certamente un crimine, ma non si avvicina neppure pallidamente alle atrocità della guerra in Vietnam».Non si tratta di «rinunciare alla speranza», replica Barnard, ma – al contrario – dobbiamo «prendere atto del terrificante cambiamento nelle dinamiche sociali che ha reso apatici milioni di occidentali, e trovare un antidoto a questo finché possiamo». Secondo il giornalista, già inviato di “Report”, «i tempi migliori per la rivolta sociale alla brutalità vennero negli anni ‘70, che rappresentano il culmine, la “crema” se si vuole, di 250 anni di rivoluzioni sociali». La triste novità, invece, è «la paralisi odierna delle masse occidentali, frutto di 35 anni di “esistenza commerciale” e “cultura della visibilità massmediatica”, che hanno eroso la nostra psiche collettiva, e che va peggiorando. Sono due fenomeni che vedono la luce anch’essi negli anni ‘70 e lì iniziarono ad avvelenarci». Sono due fenomeni «interamente nuovi nella storia dell’umanità», mai tanto manipolata, «così come è inedito l’effetto di addormentamento oppiaceo che hanno sulle masse». In concreto, «la nostra esistenza oggi ci priva del tempo di capire, studiare e attivarci contro la barbarie del Vero Potere, ci toglie l’autostima per essere liberi pensatori (con conseguenze catastrofiche fra i sindacati italiani e i loro lavoratori)».Per Barnard, questi sconvolgenti cambiamenti «sono una “prima” assoluta nelle dinamiche sociali umane da 5.000 anni, non possono non aver causato mutamenti nel nostro sviluppo sociale». Sono troppo enormi per essere scartati e il giornalista vi scorge «la più grave minaccia alla nostra capacità di organizzazione collettiva contro i poteri». Dunque, aggiunge: «Io invoco che noi scopriamo la chiave di quella minaccia e la disattiviamo». Questa paralizzante mutazione antropologica, replica Chomsky, in realtà «iniziò negli anni ‘20 per poi massimizzarsi negli anni ‘70». Ha certo «plasmato il pubblico», ma secondo il linguista «con risultati del tutto diversi da quelli che il potere voleva ottenere», se è vero che «l’attivismo dagli anni ‘80 ha raggiunto cime mai viste prima, e ora sta inventandosi altri percorsi creativi». I movimenti tuttavia non sono all’altezza della sfida, né dei nuovi mezzi di cui pure disponiamo? «Argomento interessante», ammette Chomsky: «Un’idea intrigante, ma non so come misurarla».«La speranza, Noam, è nei nuovi metodi», risponde Barnrad, perché «quelli consueti nell’attivismo sono diventati privi di significato», siamo assuefatti anche alla protesta, che il mainstream digerisce senza turbarsi. E allora, «che senso ha continuare ad appellarsi a masse drogate da quei e fenomeni? Quindi perché non cercare nuovi metodi, che sappiano raggiungere le immense masse di maggioranza, quelle che non sanno neppure cosa significhino le parole Fondo Monetario, quelle che credono che la Palestina sia nata da Isreale, che non s’immaginano neppure lontanamente cosa veramente costi alle vite dei contadini africani la nostra tazza di caffè della mattina?. La speranza c’è a tonnellate, Noam, ma solo se abbiamo l’umiltà di accettare che i vecchi metodi sono morti e che un nuovo arsenale va costruito». Chomsy non è d’accordo: è «travolto da richieste di conferenze, interviste, attivismo». E poi, quali sarebbero le nuove forme di lotta? Neppure Barnard lo sa, ma – almeno – è certo che i “girotondi”, le raccolte di firme e i cortei di protesta non servano più a niente.«Quali erano le vecchie forme di lotta? Nominiamole: conferenze sempre piene di fans già convertiti; le solite manifestazioni; pubblicazioni e libri, di nuovo però ospitati da editori e media “amici”; i forum sociali, ancora zeppi di amici degli amici già simpatizzanti; l’equo-solidale col Sud, ok, bene, ma sempre minuti gruppi di “belle anime”. Insomma, le “belle anime” che parlano fra di loro Noam, sempre. Ma dimmi: è sufficiente ’sta roba a combattere una macchina colossale di potere finanziario, mediatico, industriale, politico e massmediatico che ha intrappolato 800 milioni di persone in una frenesia di vita e di indebitamento? Dimmi, Noam: le “belle anime” stanno convincendo e dando potere al taxista, al negoziante, all’impiegato, al pensionato, ai tifosi, alle discotecare, ai poliziotti, ai contadini, agli operai, ai conservatori, ai manager, ai colletti bianchi, gli anziani, ai qualunquisti, ai confusi, a chi non ha tempo per respirare la sera a casa? Sono milioni e votano! Non so, forse negli Usa avete fatto una miracolo, ma qui il movimento No-Global è conosciuto dal 99% come i black block che spaccano le vetrine, e nessuno sa nulla delle loro battaglie contro il Wto e i trattati di libero scambio coi poveri del Sud».«Gli Usa – replica Chomsky – sono oggi una nazione molto più civile di prima, e non è stato per magia. Questo include anche le aggressioni militari. Oggi nessun presidente qui potrebbe cavarsela con quello che hanno fatto Kennedy e Johnson nel sud est asiatico. E lo sanno». Chomsky è felice di essere riuscito a tenere una conferebza a mille cadetti e ufficiali di West Point sul tema della “guerra giusta”. E’ vero, il più delle volte la platea è fatta di “amici”, ma comunque «anni fa gli amici erano tre persone in una chiesa, oggi possono essere 5.000 di ogni estrazione in alcuni dei posti più reazionari d’America, e che ti ascoltano con attenzione. Questo è il risultato di molti anni di attivismo da parte di un sacco di gente, e mi sembra un’ottima cosa». Era solo il 2007, Chomsky non aveva ancora visto la Grande Crisi nella sua espressione più disumana, quella europea: un pugno di criminali, ha detto di recente, ha distrutto l’Europa. «Si credono i padroni del mondo. Dobbiamo fermarli». Già, ma come?«C’erano due milioni di italiani a manifestare contro la guerra in Iraq a Roma nel 2003… per un giorno. Bravi. Ma li vedi tu per il resto dell’anno passare di casa in casa a informare le masse? Dai. Se lo facessero allora sì che, assieme a nuovi metodi di comunicazione, le cose cambierebbero». Così Paolo Barnard scrive a Noam Chomsky, il linguista statunitense che il “New York Times” considera il maggior intellettuale vivente. Si tratta di un carteggio privato, datato 2007, cioè «prima dell’esplosione della crisi finanziaria, che ha sbattuto in faccia al mondo quanto in realtà ci siamo involuti e non evoluti nella difesa dei diritti dell’uomo e nella gestione dell’interesse pubblico». Tema cruciale: che fare, per cambiare le cose. Chomsky si appella a una variante della scommessa di Pascal: «Se decidiamo di rinunciare alla speranza, siamo certi che il peggio accadrà. Se invece manteniamo la speranza, possiamo immaginare che un futuro migliore arriverà». Barnard invece non ci crede più, non gli basta. Vede che tutto il nostro attivismo per i diritti finisce nel tritacarne del mainstream, senza che le atrocità del mondo vengano minimamente arginate.
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Borghi: voto per recidere il cancro mortale chiamato euro
Da quando si tengono le elezioni europee, tutti i partiti che si presentano agli elettori dicono di voler cambiare l’Europa. Peccato che dagli inizi degli anni ‘80 l’Europa sia sempre cambiata in peggio, perché nessuno ha mai affrontato il cuore del problema, vale a dire la gestione accentrata dell’economia attraverso l’imposizione dei cambi fissi prima e l’euro poi: uno strumento che si è rivelato mortale, in quanto metodo di governo per riuscire a mettere in difficoltà alcuni Stati in favore di altri. L’euro è uno zaino dello stesso peso che, però, viene fatto indossare a corridori di corporatura diversa. Non è uguale per tutti. Per chi è più leggero e agile, è uno strumento che lo svantaggia incredibilmente; per chi è più grande e massiccio, è un forte vantaggio relativo. Gli europeisti che, pur di scongiurare l’addio all’euro, dipingono scenari apocalittici? Sono persone che lavorano troppo di fantasia. E per questo, purtroppo, sono in vantaggio.Mi rendo conto che le mie valutazioni rischiano di essere meno affascinanti rispetto al panorama di morte, distruzione e terrore che viene messo in scena da questi signori. Però la teoria economia e il buon senso dicono che si può e si deve uscire dall’euro. Per ottenere un vero cambiamento, bisogna avere i numeri. Qualora riuscisse il miracolo e si realizzasse un Europarlamento a maggioranza euroscettica, probabilmente la Germania se ne andrebbe risolvendo il problema nella maniera più semplice. Se a un giocatore che sta vincendo al poker barando viene puntata la pistola alla tempia, può anche essere che pensi di andarsene pur di portare a casa quanto è riuscito a vincere. Viceversa, se nessuno obietta e tutti lasciano fare, allora quel giocatore andrà avanti a vincere barando. Cercare alleanze in Europa fa dunque parte di un punto cruciale della nostra strategia. Strategia che avrebbe potuto rivelarsi vincente pure in Italia.Nel suo ultimo libro, George Soros ha calcolato che nonostante la crisi economica la Germania sia riuscita a guadagnare oltre 100 miliardi di euro, mentre altri paesi dell’Eurozona andavano gambe all’aria. Effettivamente, dinnanzi al disastro creato dall’euro numerosi economisti italiani non sanno far altro che proporre più Europa, come accorgersi di essere sul punto di morire per avvelenamento e scegliere di prendere altro veleno. Succede proprio in Italia, dove il dibattito è ammorbato da queste bugie. Probabilmente chi gestisce un partito preferisce conservare uno 0,5% piuttosto che perdere qualche elettore per strada dicendo la verità. L’Europa, però, si sta svegliando. In Francia, per esempio, il Front National punta a essere il primo partito con un programma assolutamente aderente a quello portato avanti dalla Lega Nord. Chi vota la Le Pen non è assolutamente di destra, ma ci troviamo di fronte a un elettorato trasversale stufo di questa Europa.In Inghilterra si annuncia l’exploit dello Uk Independence Party: in caso di vittoria, Farage punterà a portare gli inglesi fuori dall’Unione Europea. Troppo spesso viene montata ad arte una certa confusione tra euro e Europa. Chi vuole contrastare l’euroscettismo tende a far credere che essere contro l’euro significhi anche essere contro l’Europa. In realtà, così non è. Tuttavia, bisogna capire quale Europa, perché un’Europa che va contro gli interessi dell’Italia, come probabilmente Farage pensa che sia nei confronti dell’Inghilterra, a noi non piace. Fino ad oggi i tedeschi hanno seguito proprio questo modello facendo solo ed esclusivamente i propri interessi. Se Bruxelles continua a sfornare leggi che indeboliscono la piccola e media impresa e avvantaggiano l’industria tedesca, allora non ci interessa nemmeno l’Europa. Isolazionismo? Stupidaggini! Non si pensi che in Svizzera sia impossibile andare a studiare all’estero o avere le pesche o che non ci sia il roaming dei telefonini! L’associazione e il coordinamento degli Stati europei possono essere serenamente portati avanti senza l’euro, che è uno strumento di divisione, e senza quelle prevaricazioni che vanno a vantaggio esclusivamente di un paese.Negli ultimi anni è sicuramente venuto a mancare un coordinamento volto a contrastare l’emergenza immigrazione. Ma tra un po’ dovremo affrontare un problema ancora più dannoso, cioè l’emigrazione. Se la disoccupazione salirà ancora, tanti giovani italiani saranno costretti ad andarsene. Il governo dovrebbe occuparsi di questo disagio, perché ognuno di noi dovrebbe avere il diritto di lavorare qui e non vedersi costretto a cercare fortuna in giro per il mondo. Il problema delle frontiere è molto più complesso e passa inevitabilmente dal rendere il paese sempre più attraente. La gestione dell’immigrazione è il classico esempio di legiferazione a danno dell’Italia: in quanto paese di frontiera, dobbiamo sottostare a regole assurde di accoglienza ma non siamo in grado di gestire autonomamente questo flusso. L’Italia fa da filtro. L’immigrazione migliore, fatta di persone che vogliono lavorare, persegue verso i paesi del Nord. Qui da noi rimane solo quella peggiore, fatta di delinquenti. Insomma, il lavoro sporco è come sempre nostro, mentre i vantaggi vanno ad altri.Alla Bce è stato dato un solo mandato: mantenere basso il livello di inflazione. Un problema molto relativo, che è stato assurto a concetto base. Ma se si guarda a quello che potrebbe essere un successo (un tasso del 2% per tutta l’Eurozona), in realtà a livello locale la situazione è ben diversa. Il fatto che ci sia una scarpa che sia uguale per tutti quando i numeri dei piedi sono differenti, fa capire quanto non funzioni questa Europa. Ancora oggi c’è tantissimo che non viene detto e, per questo, quando giro per l’Italia trovo sale strapiene di gente che viene a sentir parlare di economia. Questo deficit di conoscenza non può essere colmato con le battute nei talk show. Si tratta, infatti, di argomenti spinosi che devono essere spiegati a parole e visti con immagini. Pochissimi fanno vedere cosa succede in Grecia, pochissimi fanno vedere come sta aumentando la disoccupazione in Francia. Questo perché c’è una informazione di regime che tramuta qualsiasi tipo di notizia, anche male interpretata ma che può essere vista come positiva, come un trionfo dell’Europa.Chi tira i fili in questa operazione? In primo luogo c’è chi ha un interesse diretto. Se il nostro vicino ha qualcosa che ci piace, di sicuro non gli auguriamo il successo ma speriamo in un rovescio economico per potergliela comprare per un tozzo di pane. I paesi europei più ricchi hanno industrie interessate alle ricchezze italiane. E, guarda caso, sono gli stessi che pagano l’informazione. In secondo luogo ci sono quelli che inizialmente in buona fede hanno spinto per entrare in Europa e che ora, davanti allo sfacelo, sono prigionieri dei propri errori. Non ammetteranno mai di aver sbagliato. E tantomeno chiederanno mai scusa.(Claudio Borghi Aquilini, dichiarazioni rilasciate ad Andrea Indini per l’intervista “Così l’Italia uscirà dall’euro”, pubblicata da “Il Giornale” il 28 aprile 2014. Il professor Borghi Aquilini, economista dell’Università Cattolica di Milano, è candidato come indipendente per la Lega Nord alle elezioni europee: «Una volta tanto andiamo al cuore del problema», dice. «Non si tratta di un programma vago in cui ci si propone di battere i pugni sul tavolo per far sentire la propria voce o per chiedere riforme. Noi puntiamo a recidere la catena che ci tiene bloccati».Da quando si tengono le elezioni europee, tutti i partiti che si presentano agli elettori dicono di voler cambiare l’Europa. Peccato che dagli inizi degli anni ‘80 l’Europa sia sempre cambiata in peggio, perché nessuno ha mai affrontato il cuore del problema, vale a dire la gestione accentrata dell’economia attraverso l’imposizione dei cambi fissi prima e l’euro poi: uno strumento che si è rivelato mortale, in quanto metodo di governo per riuscire a mettere in difficoltà alcuni Stati in favore di altri. L’euro è uno zaino dello stesso peso che, però, viene fatto indossare a corridori di corporatura diversa. Non è uguale per tutti. Per chi è più leggero e agile, è uno strumento che lo svantaggia incredibilmente; per chi è più grande e massiccio, è un forte vantaggio relativo. Gli europeisti che, pur di scongiurare l’addio all’euro, dipingono scenari apocalittici? Sono persone che lavorano troppo di fantasia. E per questo, purtroppo, sono in vantaggio.