Archivio del Tag ‘Califfato’
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Hathor Pentalpha e Isis, il romanzo criminale che ci attende
Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.Si tratta di massoni speciali, potentissimi, interconnessi fra loro nel super-network segreto delle Ur-Lodges. Uomini del massimo potere, abituati da sempre a influire nelle grandi decisioni geopolitiche, condizionando istituzioni che – in Occidente, a partire dagli Usa – vengono considerate esse stesse una sorta di emanazione massonica: senza il secolare impegno laico della “libera muratoria” europea nella lotta contro l’oscurantismo vaticano e l’assolutismo monarchico, non avremmo avuto gli Stati moderni, la scienza moderna, la cultura moderna. Erano massoni i maggiori scienziati – da Newton a Einstein – così come i maggiori letterati e musicisti. Massoni anche i padri fondatori degli Stati Uniti. Massone l’americano Roosevelt, spettacolare campione della spesa pubblica vocata allo sviluppo della piena occupazione, secondo il credo del più grande economista del ‘900, il massone inglese John Maynard Keynes, su cui si basa tutta la sinistra europea marxista e post-marxista che ha messo in piedi il grandioso sistema di protezione sociale del welfare, fondato sulla sovranità democratica e monetaria per mitigare gli appetiti antisociali del “libero mercato”.La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promossa dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt alle Nazioni Unite, l’assemblea planetaria eretta sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale, prefigura un’umanità redenta, liberata, globalizzata nei diritti e nelle aspirazioni al futuro. Esattamente il contrario dell’attuale globalizzazione neo-schiavistica, aristocratica, mercantilista, neo-feudale. Un disegno cinico e reazionario, oggi chiamato semplicemente “crisi”, sviluppato negli anni ‘70 dai ristrettissimi circoli elitari internazionali preoccupati dall’avanzata del loro grande nemico: la democrazia. Da qui il famigerato memorandum di Lewis Powell per stroncare la sinistra in tutto l’Occidente e il manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e traviarlo, in modo che non servisse più l’interesse pubblico, ma obbedisse ai diktat delle grandi lobby, l’industria delle armi, le grandi multinazionali invadenti e totalitarie.Una storia già raccontata? Sì, anche, da diversi analisti “eretici”. Ma mai, finora, dallo sconcertante punto di osservazione del massone Magaldi, che fornisce dettagli inediti e spiegazioni spiazzanti, partendo da una rivelazione capitale: tutti gli uomini del massimo potere, nel ‘900, sono sempre stati accomunati dall’iniziazione esoterica. Questo fa di loro gli esponenti privilegiati di un circuito cosmopolita autoreferenziale e invisibile, protetto, ma al tempo stesso profondamente dialettico, non sempre concorde. Anzi, proprio alla guerra sotterranea che ha dilaniato il “terzo livello” del super-potere è dedicata la straordinaria contro-lettura di Magaldi: che nel golpe in Cile, ad esempio, non vede solo il noto complotto delle multinazionali americane per colpire il governo socialista, pericolosamente amico dei lavoratori e dei loro salari, ma anche – e soprattutto, in questo caso – il ruolo decisivo del massone Kissinger nel colpo di Stato promosso dalla Cia contro il massone Allende, come monito all’intera America Latina, da ridurre a periferia coloniale, e anche alla stessa Europa, dove le stesse “menti raffinatissime” hanno organizzato il “golpe dei colonnelli” in Grecia e i tre tentativi di colpo di Stato in Italia, affidati a Borghese e Sogno ma supervisionati da Licio Gelli, emissario della potentissima superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger.Sul fronte opposto, si è mossa nell’ombra la “fratellanza bianca” delle superlogge progressiste, per tentare di rintuzzare i colpi dei “grembiulini” oligarchici. Come in un romanzo di Dan Brown, in un film di Harry Potter? Non a caso, sostiene Magaldi: proprio nel cinema e nella letteratura, negli ultimi anni, si è concentrata l’azione delle Ur-Lodges democratiche, in attesa di una grande riscossa – pace contro guerra, diritti contro privilegi – di cui lo stesso libro del “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, affiliato alla superloggia progressista “Thomas Paine”, è parte integrante. Per credere a Magaldi, all’inizio della lettura, occorre accettare di indossare i suoi occhiali. Poi, però, già dopo poche pagine, diventa impossibile togliergli: quelli che aggiunge, infatti, sono preziosi tasselli che spiegano ancor meglio i passaggi-chiave della storia del “secolo breve”, senza mai discostarsi dalla verità accertata, dalla storiografia corrente. Solo (si fa per dire) Magaldi aggiunge nomi e cognomi. Completa la storia che già conosciamo integrandola con indizi inequivocabili, che illuminano retroscena finora rimasti in ombra.I riflessi della “grande guerra” che Magaldi racconta li stiamo pagando oggi: la crescita delle masse in Occidente è finita, e il mondo è sull’orlo della Terza Guerra Mondiale. Tutto è cominciato alla fine degli anni ‘60, prima con la morte di Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, poi con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King, che le Ur-Lodges progressiste volevano entrambi alla Casa Bianca. Nessuno si stupisca, dice Magaldi, se da allora la sinistra è stata sconfitta in modo sistematico: hanno vinto “loro”, i padreterni neo-feudali che volevano confiscare i diritti democratici e le garanzie del lavoro, retrocedendo i cittadini occidentali al rango di sudditi impauriti dal futuro e assediati dal bisogno. Sempre “loro”, gli egemoni, si sarebbero persino abbandonati a un clamoroso regolamento di conti: il clan che voleva George Bush alla Casa Bianca avrebbe fatto sparare a Reagan, e i sostenitori occulti di Reagan, per rappresaglia, di lì a poco avrebbero promosso l’attentato simmetrico a Wojtyla, eletto Papa anche col sostegno occulto degli amici di Bush.Poi, su tutto, è calato l’ambiguo sudario della pax massonica, suggellato nello storico patto “United Freemasons for Globalization”, sottoscritto nel 1981 non solo dalle superlogge occidentali di destra e di sinistra, ma anche dai “confratelli” sovietici alla vigilia della Perestrojka di Gorbaciov e dagli stessi cinesi, in vista delle grandiose riforme del “fratello” Deng Xiaoping. Peccato che però qualcuno abbia “esagerato”, riconosce il super-massone oligarchico che si firma “Frater Kronos”, nella sconcertante appendice del libro di Magaldi, in cui quattro pesi massimi delle Ur-Lodges si confrontano sulla trattazione, dopo aver aiutato il massone italiano a mettere in piazza tanti segreti di famiglia. “Frater Kronos”, su cui si lesinano le informazioni personali per mascherarne l’identità, dimostra l’autorevolezza del grande vecchio del potere occidentale. «No, non sono il fratello Kissinger», scherza, quasi a suggerire che potrebbe trattarsi di un pari grado, del calibro di Zbigniew Brzezinski. Anche “Frater Kronos” – chiunque egli sia in realtà – conferma l’allarme: qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita a una superloggia definita inquietante, pericolosa e sanguinaria, denominata “Athor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro lo schermo della “primavera araba”. Il nuovo bersaglio è la Russia di Putin? C’è una precisa geopolitica del caos: e i golpisti occidentali puntano sempre sulla loro creatura più grottesca, il fondamentalismo islamico. Ci stanno lavorando dal lontano 2009, quando i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Regista dell’operazione? Sempre loro: la famiglia Bush. Per la precisione il fratello di George Walker, Jeb Bush, che vorrebbe fare di Al-Baghdadi il nuovo Bin Laden, da spendere per le presidenziali 2016. Dietrologia? Anche qui, “Massoni” fornisce chiavi inedite, partendo dall’attitudine esoterica degli iniziati: Isis non è solo il nome dell’orda terroristica messa in piedi da segmenti della Cia, è anche quello della divinità egizia Iside, vedova di Osiride, carissima ai massoni che si definiscono anche “figli della vedova”. In alcuni testi antichi, Isis è chiamata anche con un altro nome, Athor. Proprio come la superloggia di Bush e Blair. Il Medio Oriente sta bruciando, è tornato lo spettacolo dell’orrore dei tagliatori di teste. “Frater Kronos” è preoccupato, il 2015 comincia male. Sicuri che non sia il caso di indossarli ancora, gli occhiali di Gioele Magaldi?(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Globalizzazione violenta, a mano armata. Un progetto criminale, deviato, spietato. Coltivato e attuato da criminali. Attorno a loro, una corte di politici, capi di Stato, economisti, giornalisti. Tutti a ripetere la canzoncina bugiarda del neoliberismo: lo Stato non conta più, è roba vecchia, a regolare il mondo basta e avanza il “libero mercato”. Peccato che il paradiso golpista dell’élite non possa prescindere dallo Stato, l’ingombrante monopolista della moneta e delle tasse. Lo Stato va quindi conquistato, occupato militarmente per via elettorale. Deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, che devono semplicemente ridiventare sudditi, pagare sempre più tasse, veder sparire i diritti conquistati in due secoli, elemosinare un lavoro precario e sottopagato. Le menti del commissariamento mondiale sono state chiamate oligarchia, impero, tecnocrati, destra economica, finanza, banche, neo-capitalismo. Gioele Magaldi chiama costoro con un altro nome: “Massoni”, come il titolo del suo libro esplosivo. E mette sul piatto 650 pagine di rivelazioni, che stanno scalando le classifiche editoriali nell’assordante silenzio dei media mainstream.
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Al-Baghdadi, il nuovo Bin Laden per far vincere Jeb Bush
Ricordate la famosa foto di Zbigniew Brzezinki in compagnia del giovane Osama Bin Laden, allora plenipotenziario della Cia in Afghanistan? Un’alleanza sotterranea, da cui poi nacque l’opaco network terroristico denominato Al-Qaeda. Archiviato Osama, dopo l’11 Settembre e l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, oggi il film si ripete. In campo c’è l’erede di Al-Qaeda, l’altrettanto opaco network chiamato Isis. E all’orizzonte si profila un altro Bush, il fratello di George Walker, protagonista della “guerra infinita” scatenata in mezzo mondo con l’alibi dell’attacco alle Torri. Copione identico, avverte Francesco Maria Toscano, sulla scorta delle esplosive rivelazioni fornite da Gioele Magaldi nel libro “Massoni”, edito da Chiarelettere. Perfettamente leggibile la regia della stessa mano: onnipotenti oligarchie occulte, organizzate in “superlogge” massoniche internazionali, da decenni al vertice del potere mondiale. Prepariamoci a rivivere orrori recenti e recentissimi: il famigerato “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi è la reincarnazione di Bin Laden. E Jeb Bush è l’uomo che imposterà la campagna presidenziale negli Usa come una crociata contro l’Isis.In questi giorni, scrive Toscano sul blog “Il Moralista”, una commissione del Senato statunitense ha pubblicato un rapporto che evidenzia i metodi brutali usati da alcuni agenti della Cia negli anni della “guerra al terrorismo”, dichiarata in grande stile al tempo in cui George W. Bush sedeva alla Casa Bianca. Una tempistica non casuale, stando alla logica ultra-elitaria messa in luce da libro di Magaldi, che rivela sconcertanti retroscena nel “back office” del potere planetario. Coincidenze: sul “Corriere della Sera”, giornale che Toscano definisce «organo ufficiale delle “Ur-Lodges” più reazionarie e antidemocratiche del pianeta», Massimo Gaggi racconta le ambizioni di Jeb Bush in vista delle presidenziali americane del 2016. Domanda: c’è un nesso fra la candidatura di Jeb Bush e l’aggravarsi della recrudescenza terroristica di matrice jihadista? E ancora: «E’ casuale la concomitanza temporale che accumuna la discesa in campo di Jeb Bush con la pubblicazione di un report che palesa la barbarie dei metodi utilizzati negli anni in cui un altro Bush (George W. per l’appunto) ricopriva l’incarico di presidente degli Stati Uniti d’America?».Come molti altri analisti, anche Toscano parla di «fatti sapientemente occultati dal circuito giornalistico “ufficiale”». Tutto ruota intorno alla figura di George Herbert Bush, padre di George W. e di Jeb, presidente degli Usa dal 1988 al 1992. Nel suo libro, Magaldi scrive che Bush senior, «già affiliato presso le Ur-Lodges reazionarie “Edmund Burke”, “Leviathan”, “Three Eyes” e “White Eagle”», a un certo punto della sua carriera politica decide di dare vita a una nuova superloggia «nata sotto il segno della vendetta e del sangue», la “Hathor Pentalpha”, «scheggia impazzita nell’ambito del milieu libero-muratorio oligarchico». Lo stesso Osama Bin Laden, scrive sempre Magaldi, «ricevette l’iniziazione massonica presso la “Three Eyes” direttamente per mano di Zbigniew Brzezinski negli anni in cui combatteva in Afghanistan contro l’impero sovietico». Poi però le cose cambiano, racconta un super-testimone di Magaldi, che si fa chiamare “Frater Kronos”: «A partire dal 1996 e poi in modo sempre più strutturato dal 2000-2001 in avanti, Osama Bin Laden e Al-Qaeda vengono strappati dal controllo delle vecchie Ur-Lodges e ingaggiati dalle nuove Ur-Lodges egemoni, la “Hathor Pentalpha” e la “Geburah”, per recitare in un nuovo copione».Un copione, scrive Toscano, che prevede la costruzione mediatica di un “temibilissimo nemico”, potenzialmente mortale per la civiltà occidentale, in grado di giustificare sul piano esterno una serie di guerre nel mondo islamico, e negli Usa un pericoloso giro di vite volto a depotenziare diritti e garanzie civili prima considerati inattaccabili. «Sintetizzando al massimo, possiamo affermare che sia le guerre in Afghanistan e Iraq, sia il varo del “Patriot Act”, sono stati il frutto, pianificato e voluto, di una strategia sadica e cinica realizzata attraverso l’utilizzo di alcuni spregiudicati personaggi orbitanti nell’area del cosiddetto “integralismo islamico”. Oggi, con Jeb Bush all’orizzonte, la trama si ripete con interpreti nuovi». Il tagliatore di teste Abu Bakr al Baghdadi, autoproclamatosi califfo dello stato islamico, «già affiliato presso la Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”», si è tempestivamente calato nei panni di un redivivo Bin Laden, pronto a minacciare il mondo. «Avete capito perché i “tagliagole”, scomparsi dalla scena mediatica per quasi un decennio, sono ora improvvisamente tornati? Capite perché, guarda caso, dal Pakistan all’Australia, assistiamo solo adesso ad una nuova (ed etero-diretta) ondata di attentati presuntivamente consumati nel nome della religione? In molti ingenuamente penseranno: “Chi meglio di un Bush potrà combattere e sconfiggere i terroristi?”». Una malattia, conclude Toscano, «è indispensabile per giustificare l’entrata in scena del medico».Ricordate la famosa foto di Zbigniew Brzezinki in compagnia del giovane Osama Bin Laden, allora plenipotenziario della Cia in Afghanistan? Un’alleanza sotterranea, da cui poi nacque l’opaco network terroristico denominato Al-Qaeda. Archiviato Osama, dopo l’11 Settembre e l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, oggi il film si ripete. In campo c’è l’erede di Al-Qaeda, l’altrettanto opaco network chiamato Isis. E all’orizzonte si profila un altro Bush, il fratello di George Walker, protagonista della “guerra infinita” scatenata in mezzo mondo con l’alibi dell’attacco alle Torri. Copione identico, avverte Francesco Maria Toscano, sulla scorta delle esplosive rivelazioni fornite da Gioele Magaldi nel libro “Massoni”, edito da Chiarelettere. Perfettamente leggibile la regia della stessa mano: onnipotenti oligarchie occulte, organizzate in “superlogge” massoniche internazionali, da decenni al vertice del potere mondiale. Prepariamoci a rivivere orrori recenti e recentissimi: il famigerato “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi è la reincarnazione di Bin Laden. E Jeb Bush è l’uomo che imposterà la campagna presidenziale negli Usa come una crociata contro l’Isis.
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Gaglianone, film: val Susa, la strana guerra contro tutti noi
Non possiamo non dirci NoTav? E’ la domanda che aleggia attorno all’indagine cinematografica che Daniele Gaglianone conduce in valle di Susa, tra la popolazione che da oltre vent’anni si oppone al progetto di una grande opera come la Torino-Lione, considerata devastante, costosissima e completamente inutile. In due ore, il regista de “I nostri anni”, “Ruggine” e “Rata Nece Biti” interroga l’umanità della “valle che resiste” – ieri al progetto Tav in quanto tale, oggi anche e soprattutto al sistema di potere, percepito come oligarchico e repressivo, post-democratico, che vorrebbe imporre ad ogni costo i maxi-cantieri, ai quali ormai persino l’Ue e la Francia sembrano aver voltato le spalle. Nel documentario “Qui” (Torino Film Festival 2014), emergono le voci di un popolo, fatto di italiani che si sentono abbandonati e traditi dalle istituzioni politiche, dopo anni di vani appelli al dialogo, sempre respinti. In controluce, una tacita rivelazione: siamo ormai in tempo di guerra, e i primi a scoprirlo sono stati proprio loro, i NoTav della valle di Susa.Travolti dal loro problema – il conflitto fisiologico tra grande opera e benessere del territorio – si sono comportati da cittadini democratici, appellandosi ai diritti previsti dalla Costituzione. Tutto inutile: sono convinti che il potere non abbia lasciato loro altra scelta che vedersela coi reparti della polizia antisommossa. La vertenza NoTav ha origini ormai lontane anni luce dall’attualità odierna, risale infatti a prima del Duemila. Nel documentario di Gaglianone, il primo grande scontro – quello del 2005 – è rievocato dal sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, che fece suonare le campane a distesa per far accorrere la popolazione a sostegno degli inermi manifestanti, manganellati a freddo in piena notte. La rottura istituzionale è già perfettamente leggibile: Durbiano racconta di come, in quanto primo cittadino, fu convocato alle tre di notte alla Prefettura di Torino. Un colloquio gelido, evidentemente per sondare il sindaco alla vigilia del pestaggio destinato a sgomberare i NoTav dall’area di Venaus, dove allora doveva sorgere il cantiere della galleria preliminare esplorativa, oggi trasferito a Chiomonte.Assenza di dialogo: come se fosse già in corso una sorta di guerra, non dichiarata, contro la popolazione. L’unico precedente, all’epoca, era stato il trauma del G8 di Genova, la Diaz e Bolzaneto, che stroncò il movimento no-global, di cui le multinazionali globaliste avevano paura. Subito dopo, l’infarto mondiale dell’11 Settembre e la “guerra infinita” da esso originata: Afghanistan, Iraq, Gaza, Libia, Siria, Ucraina. E poi ancora Iraq, seguendo le eroiche imprese dell’Isis guidato dal “califfo” Al-Baghdadi. Un avventuriero che, secondo varie fonti – ultimo, il massone Gioele Magaldi col suo libro sulle super-logge del potere occulto – fu liberato proprio perché mettesse in piedi l’armata jihadista. Quanto è lontana la valle di Susa dalle “armi chimiche” siriane e dalla manipolazione dello spread per imporre Monti a Palazzo Chigi? Molto meno di quanto si pensi, stando ai resoconti disarmati degli interlocutori di Gaglianone, praticamente smarriti di fronte alla dissoluzione di ogni solido punto di riferimento: la solitudine siderale del cittadino trova parziale conforto solo nella democrazia spontanea che la stessa cittadinanza alimenta, sotto forma di movimento civile.Servono risposte, e non arrivano mai. Così, dopo un po’ ci si arrende all’evidenza. Magari pregando, come fanno gli attivisti cattolici, il gruppo di Gabriella Tittonel che accompagna la troupe lungo i reticolati di Chiomonte, filo spinato di fabbricazione israeliana. O cercando di dialogare coi reparti antisommossa, come fa l’infermiera Cinzia Dalle Pezze, esasperata dall’abuso di lacrimogeni e gas tossici. Il documentario propone la voce di antagonisti come Aurelio Loprevite di “Radio Blackout”, in diretta telefonica con Luca Abbà quando l’attivista precipitò dal traliccio sul quale si era arrampicato per protesta, e militanti dal passato sorprendente come Alessandro Lupi, carabiniere in congedo e convinto NoTav, gravemente ferito al volto da un lacrimogeno. La telecamera raccoglie parole e silenzi di persone finite in carcere, pensionati decisi ad ammanettarsi alle recinzioni militarizzate, famiglie disposte a tutto per difendere la loro casa, minacciata dalla nuova arteria ferroviaria.Sullo sfondo, i fantasmi di ogni realizzazione faraonica – devastazione ambientale, crisi idrogeologica, dissesto urbanistico, impatto insostenibile dei cantieri, rischi concreti per la salute e l’incolumità della popolazione – e in più, in questo caso, la sordità autistica ed esasperante dell’élite di potere di fronte alle più argomentate osservazioni tecniche, sciorinate dai migliori esperti dell’università italiana: la linea Tav Torino-Lione non è solo l’ennesimo attentato alle dissanguate finanze pubbliche del paese, non è solo l’ennesimo invito a nozze per l’imprenditorialità mafiosa, ma è anche e soprattutto uno spreco totalmente folle, visto che l’attuale linea ferroviaria internazionale che già attraversa la valle di Susa è praticamente deserta. Nonostante il recente e costoso ammodernamento del traforo del Fréjus, non esiste più traffico merci tra Italia e Francia: secondo l’osservatorio europeo per i trasporti alpini, affidato alla Svizzera, l’attuale linea valsusina italo-francese potrebbe tranquillamente incrementare del 900% il volume dei transiti. Perché allora incancrenire lo scontro sociale rincorrendo il miraggio di un super-treno miliardario da imporre a mano armata?Perché non siamo più in tempo di pace, e da parecchi anni, sembrano suggerire i valsusini ascoltati da Gaglianone, i primi a constatare sulla loro pelle l’avvento del cambio d’epoca: loro erano già sulle barricate molto prima di Occupy Wall Street, prima degli “attentati” all’articolo 18, prima della guerra di Marchionne contro la Fiom. Erano in campo, i cittadini italiani della valle di Susa, ben prima della riforma Fornero, o delle recenti “rivelazioni” di Geithner sul “golpe dello spread”. La Merkel, Draghi, la “dittatura bancaria” dell’euro, la privatizzazione globale. E poi il Ttip, le torture inflitte alla Grecia, la teologia disonesta dell’austerity, la fine del welfare europeo. Ormai il capolinea lo vedono tutti: l’abisso precario della disoccupazione, la sparizione del futuro. Loro, i valsusini, l’hanno avvistato in anticipo. Se c’è una parola che può riassumerli tutti, probabilmente questa parola è “democrazia”. Se ne avverte la dolorosa assenza, la nostalgia. «Se qualcuno mi parla ancora di Tav», scrisse Giorgio Bocca all’indomani dell’insurrezione popolare della valle del 2005, «tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito nel ‘45».Vedeva lungo, il giornalista-partigiano. E oggi, la causa NoTav vanta autorevolissimi sostenitori, nel mondo culturale italiano: ormai le istanze democratiche della popolazione hanno trovato piena cittadinanza, nell’Italia tramortita dalla cosiddetta crisi. Malgrado il costante depistaggio dalla disinformazione “mainstream”, ognuno percepisce la minaccia concreta di un declino che pare inesorabile. Finalmente, con Gaglianone, protagonisti e testimoni della remota trincea valsusina ora affiorano in superficie, mostrando le loro voci e i loro volti, in una quotidianità che si sforza di restare ordinaria, benché terremotata dagli eventi. E’ un’umanità che si esprime con gesti semplici e rivela una natura mite, costretta a misurarsi con la violenza dell’imposizione, nel vuoto cosmico della politica. Anni fa, espressioni come “destra” e “sinistra” avevano ancora maschere rappresentative. Puro teatro, ormai, come sperimentato nella valle alpina che unisce Torino alla Francia. Dove però la grande calamità collettiva ha cementato una comunità plurale, di italiani che resistono e sperano. E che, nel film di Gaglianone, parlano una lingua immediatamente riconoscibile e universale.(Il film: “Qui”, di Daniele Gaglianone, Italia 2014, 120′, prodotto da Gianluca Arcopinto e Domenico Procacci – produzione “Axelotil Film”, “Fandango”, in collaborazione con Babydoc Film – distribuito da “Pablo”).Non possiamo non dirci NoTav? E’ la domanda che aleggia attorno all’indagine cinematografica che Daniele Gaglianone conduce in valle di Susa, tra la popolazione che da oltre vent’anni si oppone al progetto di una grande opera come la Torino-Lione, considerata devastante, costosissima e completamente inutile. In due ore, il regista de “I nostri anni”, “Ruggine” e “Rata Nece Biti” interroga l’umanità della “valle che resiste” – ieri al progetto Tav in quanto tale, oggi anche e soprattutto al sistema di potere, percepito come oligarchico e repressivo, post-democratico, che vorrebbe imporre ad ogni costo i maxi-cantieri, ai quali ormai persino l’Ue e la Francia sembrano aver voltato le spalle. Nel documentario “Qui” (Torino Film Festival 2014), emergono le voci di un popolo, fatto di italiani che si sentono abbandonati e traditi dalle istituzioni politiche, dopo anni di vani appelli al dialogo, sempre respinti. In controluce, una tacita rivelazione: siamo ormai in tempo di guerra, e i primi a scoprirlo sono stati proprio loro, i NoTav della valle di Susa.
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Alberoni: per il futuro non ci serve la Nato, ma la Russia
La Nato è nata nel 1948 e fra i suoi paesi membri oggi abbiamo Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Danimarca, Norvegia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania; a sud e a est Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia. In sostanza un semicerchio che stringe la Russia a occidente, a nord e a sud. Anche solo guardandone la forma geografica si capisce che è stata creata in funzione anti Urss all’epoca della Guerra fredda, però continua a esistere anche ora che l’Urss non esiste più e i principali pericoli militari non ci vengono dalla Russia ma dall’area islamica, mentre la più pericolosa competizione economica è quella della Cina. La Nato è tenuta in vita dagli Usa e dal Regno Unito che ci fanno litigare con la Russia per impedirci di stabilire con essa una profonda integrazione economica, e invece spingerci ad acquistare petrolio e gas dai paesi del Golfo controllati da loro.Tutti i paesi europei sono danneggiati da questa politica e la Russia viene spinta a integrarsi con la Cina. È venuto il momento di domandarci perché dobbiamo continuare a fare parte di una organizzazione che ci reca solo danno. La Russia per noi non è un nemico, ma un amico, appartiene alla cultura europea, è un partner economico ideale, combatte l’integralismo islamico che invece gli americani hanno favorito con la loro politica in Afghanistan, in Irak e in Siria. È stata la Nato ad abbattere Gheddafi dando la Libia in mano agli islamisti e inondando l’Italia di immigrati. E non dimentichiamo che il presidente Obama voleva bombardare l’esercito di Assad aiutando le forze che hanno poi creato il Califfato.Oggi la Nato dovrebbe essere riorganizzata con nuovi scopi e con nuovi membri. E per prima cosa dovrebbe farne parte la Russia, per costituire un fronte comune contro l’integralismo islamico e la immensa potenza militare che fra poco sprigionerà la Cina. Oggi la Nato, che guarda a nemici del passato, dovrebbe pensare al futuro. Magari facendo anche qualcosa per il presente: per esempio mettere fine alle emigrazioni nel Mediterraneo da essa stessa provocate.(Francesco Alberoni, “La Nato è morta e la Russia non è più un nemico”, da “Il Giornale” del 15 settembre 2014).La Nato è nata nel 1948 e fra i suoi paesi membri oggi abbiamo Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Danimarca, Norvegia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania; a sud e a est Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia. In sostanza un semicerchio che stringe la Russia a occidente, a nord e a sud. Anche solo guardandone la forma geografica si capisce che è stata creata in funzione anti Urss all’epoca della Guerra fredda, però continua a esistere anche ora che l’Urss non esiste più e i principali pericoli militari non ci vengono dalla Russia ma dall’area islamica, mentre la più pericolosa competizione economica è quella della Cina. La Nato è tenuta in vita dagli Usa e dal Regno Unito che ci fanno litigare con la Russia per impedirci di stabilire con essa una profonda integrazione economica, e invece spingerci ad acquistare petrolio e gas dai paesi del Golfo controllati da loro.
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Nato e Ue, due guinzagli per lo stesso padrone: gli Usa
Se al summit di Praga nel 2002 si tratta si accogliere l’Est Europa verso ovest, lo storico vertice di Newport si incarica di impedire alla Cina e alla Russia di svilupparsi. Lo sostiene Thierry Meyssan, secondo cui l’appuntamento gallese della Nato è stato pianificato per impedire a Mosca e Pechino di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Politica estera a mano armata: è nella natura della Nato fin dal 1949. La prassi: «Manipolare i fatti per presentarsi come un’alleanza difensiva di fronte all’espansionismo sovietico». Era vero l’opposto: ad avere funzione di difesa era semmai il Patto di Varsavia, creato infatti sei anni dopo, nel 1955, per cercare di limitare l’imperialismo anglosassone. La Nato, poi, «non è un’alleanza fra uguali, ma la vassallizzazione degli eserciti partner da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito», mentre «il servizio segreto della Nato, la “Gladio”, sotto l’autorità congiunta di Washington e Londra, veglia affinché gli anti-imperialisti non possano mai arrivare al potere negli altri Stati membri. Per fare questo, la Nato non ha lesinato né sugli omicidi politici, e nemmeno sui colpi di Stato: in Francia, in Italia, in Grecia, a Cipro e in Turchia».Questa vassallizzazione, continua Meyssan in un’analisi tradotta da “Megachip”, contravviene ai principi dell’Onu, in quanto gli Stati membri perdono l’indipendenza della loro politica estera e di difesa. Il diktat atlantico fu contestato prima dall’Urss e poi dal presidente francese Charles De Gaulle che, «dopo aver affrontato una quarantina di tentativi di assassinio» da parte dell’Oas, l’organizzazione estremista «finanziata dalla Nato» ed essere riuscito a farsi rieleggere, «annunciò il ritiro immediato della Francia dal comando integrato e la riconsegna di 64.000 soldati e impiegati della Nato fuori dal territorio francese». Una pagina di indipendenza che cessò con l’elezione di Jacques Chirac: pochi mesi dopo il suo arrivo all’Eliseo, il nuovo presidente «reintegrò la Francia in seno al Consiglio dei ministri e al Comitato militare dell’Alleanza». Capitolo definitivamente archiviato «con il ritorno delle forze armate francesi sotto il comando statunitense, deciso da Nicolas Sarkozy nel 2009».Infine, aggiunge Meyssan, «la vassallizzazione degli Stati membri è proseguita con la creazione di numerose istituzioni civili, di cui la principale e la più efficace è l’Unione Europea». Lo dice in modo netto, il giornalista francese: «Contrariamente a un diffuso luogo comune, l’attuale Unione non ha avuto tanto a che fare con l’ideale dell’unità europea, quanto con la vocazione di fissare i membri della Nato fuori dall’influenza sovietica, poi russa, in conformità con le clausole segrete del Piano Marshall». Si trattava quindi di mantenere l’Europa saldamente divisa in due blocchi: la Russia da una parte, tutti gli altri con l’America. «Non è un dunque un caso che gli uffici della Nato e quelli dell’esecutivo europeo siano principalmente situati a Bruxelles e secondariamente in Lussemburgo. Ed è per consentire il controllo dell’Unione da parte degli anglosassoni, che questa si è dotata di una strana Commissione, la cui attività principale è quella di presentare “proposte”, economiche o politiche, tutte predefinite dalla Nato».Si ignora spesso che l’Alleanza non è semplicemente un patto militare. La Nato infatti «interviene nel dominio dell’economia», di fatto «è il primo cliente dell’industria della difesa in Europa». Attualmente, tre quarti del bilancio euroatlantico sono assicurati dai soli Stati Uniti, i quali «stanno progettando un confronto con la Cina» sin dall’11 Settembre, che Meyssan chiama «il colpo di stato del 2001». E spiega: il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle, mentre il mondo era ipnotizzato dagli attentati, «il presidente George W. Bush fu illegalmente rimosso dalle sue funzioni in virtù del programma di “continuità del governo”». Funzioni presidenziali che ritrovò «solo alla fine della giornata, dopo che il suo paese aveva cambiato radicalmente la sua politica estera e di difesa». Durante quella giornata, aggiunge Meyssan, «tutti i membri del Congresso e i loro staff furono collocati dalle autorità militari in domicilio sorvegliato, presso il complesso Greenbrier (West Virginia) e presso il Mount Weather (Virginia)». E’ da allora, dice Meyssan, che il vero obiettivo è la Cina. E, proprio in questa prospettiva, Obama ha annunciato il riposizionamento delle sue forze armate in Estremo Oriente. Problema: «Questo programma è stato perturbato dalla ripresa economica, politica e militare della Russia, che si è mostrata capace nel 2008 di difendere l’Ossetia del Sud attaccata dalla Georgia e, nel 2014 la Crimea minacciata dai golpisti di Kiev».La resurrezione della Russia di Putin ha inoltre indotto gli Usa ad abbandonare lo “scudo anti-missile” dell’Est Europa, presentato come un sistema di protezione contro i missili dell’Iran ma in realtà progettato per accerchiare la Russia e paralizzarla: i missili da fermare erano quelli che Mosca avrebbe potuto scagliare verso ovest, se attaccata. Ma perché concentrarsi sull’Europa orientale? Per colpire l’Ameirca, dice Meyssam, il percorso più breve è il Polo Nord. «Dopo aver minato per oltre un decennio le relazioni tra Washington e Mosca, il progetto viene abbandonato perché risulta tecnicamente impossibile distruggere in volo i missili russi intercontinentali di ultima generazione. Quindi è il principio stesso di “deterrenza nucleare” che viene abbandonato di fronte alla Russia, anche se rimane pertinente per gli altri Stati». Da Mosca a Pechino: «Washington ha esacerbato le tensioni tra la Cina e i suoi vicini, in particolare il Giappone. La Nato, che storicamente rende l’Europa vassalla del Nord America, si è dunque aperta a dei partner asiatici e dell’Oceania, tra cui Australia e Giappone, attraverso contratti di associazione. Nel frattempo, ha ampliato il suo campo d’azione a tutto il mondo».In questo periodo di restrizioni di bilancio, l’Alleanza, che a quanto pare non conosce crisi, sta costruendo una nuova sede a Bruxelles, per la somma sbalorditiva di un miliardo di euro: dovrebbe essere consegnata all’inizio del 2017. Nel frattempo si prevede di associare anche il Montenegro, mentre si invitano gli europei ad aumentare le spese militari. Intanto, a imporsi è sempre il Medio Oriente: «Nella preoccupazione di evitare che la Cina e la Russia controllino abbastanza materie prime da essere capaci di rivaleggiare con gli Stati Uniti», la Nato «si è aggiunta nel corso dell’estate la questione dell’Emirato islamico», il famoso Califfato. «Un’intensa campagna mediatica ha demonizzato l’organizzazione jihadista, i cui crimini non sono affatto nuovi, ma che deve solo attaccare il popolo iracheno». L’Isis è una cretatura occidentale. E, nonostante le apparenze, «la sua azione in Iraq è del tutto coerente con il piano Usa di dividere il paese in tre Stati separati», per sunniti, sciiti e curdi. «Per realizzare un progetto che costituisce un crimine contro l’umanità, perché presuppone la pulizia etnica, Washington ha fatto ricorso a un esercito privato che le spetta condannare pubblicamente intanto che però lo sostiene sottobanco». In realtà, infatti, i “tagliatori di teste” obbediscono agli ordini. Il Califfato è destinato a durare, assicura Meyssan: «Sebbene attualmente agisca soprattutto in Siria e in Iraq, è stato progettato per mettere a ferro e a fuoco a lungo termine la Russia, l’India e la Cina».La questione dell’Emirato islamico non doveva pertanto essere aggiunta all’ordine del giorno anti-russo e anti-cinese di Newport, perché ne faceva già parte. Inoltre, non volendo rischiare di vedere un qualche Stato membro esprimere i propri dubbi su questa mascherata, Washington ha spostato il dibattito a margine del vertice. Obama ha riunito altri otto altri Stati, più l’Australia (che non è membro Nato, ma solo associata) per «mettere a punto il suo piano di guerra». Così, è stato deciso di associare anche la Giordania a questo dispositivo. In appena una mattinata, il vertice del Galles ha poi sbrigato la questione della lunga presenza occidentale in Afghanistan: «Certo, la Nato ritirerà le sue truppe da combattimento, come previsto, entro la fine dell’anno, ma manterrà il controllo dell’esercito afghano e della sicurezza del paese», ipotecando inoltre le prossime elezioni presidenziali. Quanto all’Est Europa, il vertice ha accettato di estendere il controllo Nato anche sull’Ucraina, «solo per vedere quale sarà la reazione russa», ma non è andato oltre: «L’Atto costitutivo sulle relazioni Nato-Russia non è stato revocato e l’Ucraina non è stata incorporata nell’Alleanza. Ognuno ha preferito evocare un possibile cessate-il-fuoco tra Kiev e il Donbass».Molto rumore per nulla, dunque? In apparenza, sì: «A meno che le cose importanti non siano state decise a porte chiuse, in occasione della riunione dei capi di Stato di venerdì 5 settembre, non sembra che le guerre segrete siano state discusse al vertice, ma solo a margine del vertice e solo con alcuni alleati». Già nel 2011, ricorda Meyssan, la Nato aveva violato le sue regole istitutive, non riunendo il Consiglio Atlantico prima di bombardare Tripoli. «Sembrava in effetti impossibile che tutti accettassero di perpetrare un tale massacro». Per questo, «in gran segreto», Usa e Regno Unito riunirono a Napoli la Francia, l’Italia e la Turchia, «per pianificare un attacco che ha causato almeno 40.000 morti civili in una settimana». Cinicamente, il report del vertice gallese «afferma che l’Alleanza ha protetto il popolo libico», citando le risoluzioni 1970 e 1973 delle Nazioni Unite, in realtà utilizzate «per cambiare il regime uccidendo 160.000 libici e facendo precipitare il paese nel caos». In ultima analisi, conclude Meyssan, negli ultimi anni la Nato ha raggiunto i suoi obiettivi in Afghanistan, Iraq, Libia e nel nord-est della Siria, «cioè solo ed esclusivamente in paesi o regioni organizzate in società tribali: non sembra dunque in grado di entrare in conflitto diretto con la Russia e la Cina».Se al summit di Praga nel 2002 si tratta si accogliere l’Est Europa verso ovest, lo storico vertice di Newport si incarica di impedire alla Cina e alla Russia di svilupparsi. Lo sostiene Thierry Meyssan, secondo cui l’appuntamento gallese della Nato è stato pianificato per impedire a Mosca e Pechino di rivaleggiare con gli Stati Uniti. Politica estera a mano armata: è nella natura della Nato fin dal 1949. La prassi: «Manipolare i fatti per presentarsi come un’alleanza difensiva di fronte all’espansionismo sovietico». Era vero l’opposto: ad avere funzione di difesa era semmai il Patto di Varsavia, creato infatti sei anni dopo, nel 1955, per cercare di limitare l’imperialismo anglosassone. La Nato, poi, «non è un’alleanza fra uguali, ma la vassallizzazione degli eserciti partner da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito», mentre «il servizio segreto della Nato, la “Gladio”, sotto l’autorità congiunta di Washington e Londra, veglia affinché gli anti-imperialisti non possano mai arrivare al potere negli altri Stati membri. Per fare questo, la Nato non ha lesinato né sugli omicidi politici, e nemmeno sui colpi di Stato: in Francia, in Italia, in Grecia, a Cipro e in Turchia».
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Isis, finto nemico. Obiettivo: negare il petrolio alla Cina
Trasformare la regione petrolifera in un teatro permanente di guerra, per sabotare il business del petrolio. Europa, Cina e India avranno sempre più bisogno di oro nero, mentre l’America potrebbe rendersi autonoma dal greggio nel giro di 6-7 anni. Lo sostiene Marcello Foa, che ritiene credibili i ripetuti annunci, di tono quasi trionfalistico, che accreditano gli Stati Uniti di riserve sterminate di “shale oil”, il petrolio che si ottiene con la frantumazione idraulica di rocce bituminose. Proprio questo calcolo motiverebbe la politica apparentemente folle di Obama, disposto a una lunga guerra in Medio Oriente contro l’ultima “creatura” della Cia, il Califfato dell’Isis. «La lotta al terrorismo è diventata una guerra perpetua al terrorismo», e la crescente instabilità dei paesi arabi, dal Golfo Persico al Nordafrica, comporta «conseguenze pesantissime per noi europei, che viviamo non lontano da quelle zone, e per tutti coloro – europei ma anche cinesi e indiani – che del petrolio mediorientale hanno bisogno». Se va in fiamme il business del greggio, coi prezzi alle stelle, e l’America resta immune dal contagio, ne otterrà un immenso vantaggio geopolitico. «Capito l’arcano?».Quando, oltre dieci anni da, Giulietto Chiesa dava alle stampe “La guerra infinita” (Feltrinelli), prima coraggiosa indagine sulle menzogne ufficiali dell’11 Settembre funzionali all’imposizione imperialista del “Nuovo Secolo Americano”, i media mainstream si guardavano bene anche solo dal riportarne le tesi. Oggi, dopo anni di crisi catastrofica e focolai di guerra accesi praticamente ovunque, un editorialista in doppiopetto come Foa può permettersi si far sentire la sua voce indipendente dalle pagine del “Giornale”, attraverso il suo blog. «Sieti sicuri di aver capito cosa sta accadendo in Iraq e perché Obama abbia dichiarato guerra all’Isis?». Siamo seri: «L’Isis non esce dal nulla ma è un “mostro” religioso e militare che proprio gli Usa e alcuni alleati strategici come il Qatar e l’Arabia Saudita negli ultimi due anni hanno incoraggiato e sostenuto». E’ l’erede di Al-Qaeda, il nemico di ieri. «Poi è venuto il tempo delle rivoluzioni colorate», a carattere popolare in Tunisia e in Egitto, deflagrate in guerra civile prima in Libia e poi in Siria. «Guerra durissima, spietata e sporca. Combattuta da chi? Da eroici rivoltosi sunniti siriani? Solo in parte».In Siria, a scendere in campo contro Assad sono stati «soprattutto guerriglieri provenienti da altri paesi, motivati dal denaro, dalla disperazione e dall’esaltazione religiosa». Una forza opaca, «composta dalle milizie che avevano combattuto in Iraq e che avevano contribuito a rovesciare Gheddafi». Fanatici ultra-religiosi, ammiratori di Al-Qaeda. «Ovvero, quell’estremismo terrorista che l’Occidente in teoria combatte dal 2001. Ma, si sa, le regole della politica internazionale non corrispondono a quelle della morale e le alleanze possono essere molto flessibili. Certi nemici, all’occorrenza, possono diventare amici. E così è stato. Arabia Saudita e soprattutto Qatar hanno fornito aiuti finanziari, gli americani e verosimilmente i turchi assistenza militare e fornitura d’armi. A posteriori – continua Foa – Hilllay Clinton si è addirittura rammaricata che l’aiuto fosse stato troppo timido. E nel frattempo l’America era stata sul punto di attaccare la Siria che era stata accusata da tutti di aver usato armi chimiche contro i ribelli, un attacco a cui si oppose con successo Putin con ottime ragioni: oggi sappiamo che a usare le armi chimiche furono proprio i ribelli che l’Occidente smaniava di soccorrere. Quali ribelli? Quelli dell’Isis».La guerra civile si è prolungata, Assad non è caduto e nella primavera del 2014 i guerriglieri dell’Isis, ben armati e ben finanziati, hanno cercato nuovi sbocchi: «Hanno girato i cannoni e i blindati e hanno iniziato a scorazzare verso sud-ovest, puntando l’Iraq filoamericano, spingendosi fino alle porte di Baghdad e di Mosul, mentre l’America lasciava fare». Fino a ieri, «Obama snobbava l’Isis, o più verosimilmente faceva finta». Come dire: sono giovani teste calde, non ci preoccupano. «Per lunghe settimane Washington ha lasciato fare, decidendosi tardivamente a sostenere il governo iracheno e decisamente controvoglia, ovvero con pochi raid. Intanto Qatar e sauditi continuavano a finanziare l’Isis». Poi, nelle ultime settimane, l’accelerazione: i media hanno iniziato a occuparsi quotidianamente dell’Isis, diffondendo storie umane agghiaccianti, racconti di stupri, violenze, brutalità, fino a quando sono state diffuse le drammatiche immagini della decapitazione dei due giornalisti americani. Così, «l’Isis è diventato improvvisamente il problema numero uno». L’opinione pubblica occidentale? «Scioccata, di fronte a immagini terribili». E indotta, ovviamente, «a invocare una reazione forte contro i fanatici». Si sa: «La gente comune non segue le sottigliezze geostrategiche, non conosce gli antefatti, ma reagisce emotivamente a immagini “che parlano da sole”».Obama, seguendo uno schema classico dello “spin”, ha risposto all’accorato appello di centinaia di milioni di americani giustamente preoccupati, «annunciando una guerra che sarà naturalmente “lunga”» e capace di coinvolgere, nello sforzo finanziario, «proprio quei paesi, Qatar e sauditi, che fino a ieri avevano finanziato l’Isis». Sicché, «nuovo ribaltamento di fronte: gli ex nemici, poi diventati amici, ora tornano ad essere nemici; anzi molto nemici. Gente da annientare». Risultato: Golfo Persico, Medio Oriente e Nordafrica sono in fiamme, «a oltre 11 anni dalla “guerra lampo” che avrebbe dovuto liberare l’Iraq». Disordine, violenza e morte divampano ovunque: dalla Libia a Gaza, passando per l’Egitto, la Siria, l’Iraq. E gli americani, guardacaso, «si trovano “costretti” ancora una volta a portare la liberazione, impiegando, in quello che appare un moto ormai perpetuo, la loro forza militare». Nel lontano 2002, Giulietto Chiesa l’aveva annunciata, col nome di “guerra infinita”. Oggi, il mainstream continua a evitare di collegare tra loro i singoli fotogrammi. E Foa aggiunge una possibile chiave di lettura: gli Usa infiammano il petrolio del Medio Oriente per toglierlo ai cinesi. E’ il piano per il “Nuovo Secolo Americano”: dall’attentato alle Torri Gemelle, di strada ne ha fatta parecchia.Trasformare la regione petrolifera in un teatro permanente di guerra, per sabotare il business del petrolio. Europa, Cina e India avranno sempre più bisogno di oro nero, mentre l’America potrebbe rendersi autonoma dal greggio nel giro di 6-7 anni. Lo sostiene Marcello Foa, che ritiene credibili i ripetuti annunci, di tono quasi trionfalistico, che accreditano gli Stati Uniti di riserve sterminate di “shale oil”, il petrolio che si ottiene con la frantumazione idraulica di rocce bituminose. Proprio questo calcolo motiverebbe la politica apparentemente folle di Obama, disposto a una lunga guerra in Medio Oriente contro l’ultima “creatura” della Cia, il Califfato dell’Isis. «La lotta al terrorismo è diventata una guerra perpetua al terrorismo», e la crescente instabilità dei paesi arabi, dal Golfo Persico al Nordafrica, comporta «conseguenze pesantissime per noi europei, che viviamo non lontano da quelle zone, e per tutti coloro – europei ma anche cinesi e indiani – che del petrolio mediorientale hanno bisogno». Se va in fiamme il business del greggio, coi prezzi alle stelle, e l’America resta immune dal contagio, ne otterrà un immenso vantaggio geopolitico. «Capito l’arcano?».
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Barack Osama e i ragazzi dell’Isis, reclutati dagli Usa
La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.Negli anni ’80, durante la guerra fredda, l’Islam conservatore era l’alleato degli Usa nel contenere la diffusione del comunismo e dell’influenza dell’Urss nel mondo arabo, scrive Maggioni in un post ripreso da “Informare per Resistere”. Sotto la presidenza Reagan, gli Usa «armarono e addestrarono i Talebani in Afghanistan» per rovesciare la repubblica popolare afghana e contrastare il successivo intervento sovietico. «Al-Qaeda nasce qui, con i soldi e il supporto americano, tanto che lo stesso Bin Laden (ricordiamolo: proveniente da una famiglia di affaristi sauditi in stretti rapporti con gli Usa) combatteva in Afghanistan e veniva intervistato da quotidiani occidentali come “The Indipendent” i quali lo definivano “freedom fighter”». I Talebani, aggiunge Maggioni, «vennero addirittura glorificati in film come “Rambo 3”», mentre «vari leader islamisti afghani furono ricevuti alla Casa Bianca da Reagan, che li definì “leader con gli stessi valori dei Padri Fondatori”».La medesima strategia è proseguita negli anni novanta con Clinton, «che poté intervenire in Jugoslavia al fianco dei narcotrafficanti dell’Uck in Kosovo spacciati come difensori del proprio popolo da non meglio precisati genocidi». Con Bush la strategia cambia: complice l’11 Settembre, gli amici di ieri diventano i nemici di oggi. Scatta così una campagna propagandistica mondiale, secondo cui l’Islam ha dichiarato guerra alla civiltà occidentale e ci sono arabi dietro ogni angolo pronti a farsi esplodere. «Con questa scusa parte la cosiddetta “guerra al terrore”, grazie alla quale vengono eliminati gli ex-alleati Talebani ora sfuggiti al controllo e si invade l’Iraq». Una guerra «totalmente priva di senso anche per la logica di Bush», in teoria, considerato che il governo di Saddam Hussein «apparteneva alla corrente del baathismo laico e di tutto poteva essere tacciato tranne che di islamismo».Con Obama la strategia cambia ancora: non esiste più la minaccia islamica, ma gli Stati Uniti devono intervenire per difendere i giovani della “primavera araba” in lotta contro i “dittatori”, «termine indicante tutti i capi di Stato non graditi all’America». E Bin Laden, «tenuto in vita come spauracchio durante l’epoca Bush», viene «fatto fuori in un lampo, ovviamente prima che possa parlare dei suoi passati legami con gli Usa». Gli islamisti di oggi sono nuovamente alleati dell’America. E tutti i peggiori integralisti, dal Fronte Al-Nusra siriano ai Fratelli Musulmani, vengono trasformati dai media in giovani nonviolenti, in lotta contro la dittatura. «Con questa scusa, Obama arma delle milizie islamiste in Libia e interviene in loro supporto per eliminare Gheddafi: ora la Libia è un inferno a cielo aperto in preda a gang islamiche, mentre gli americani ne saccheggiano il petrolio».Il copione viene replicato in Siria, dove gli Usa appoggiano «animali assetati di sangue come Al-Nusra e il famigerato Isis», presentati però sempre come «studenti che manifestano per i diritti umani». Fallito l’assalto al regime di Assad, però, i “bravi ragazzi” tornano utili ugualmente, sotto forma di “cattivi ragazzi”. Vengono infatti presentati come terroristi: la vecchia propaganda sulla “minaccia islamista” viene riciclata da Obama per giustificare l’inizio di operazioni militari in Iraq. «La situazione fa quasi sorridere – sottolinea Maggioni – considerando che l’Isis sostanzialmente sono i ribelli siriani presentati come sinceri democratici e a fianco dei quali meno di un anno fa lo stesso Obama voleva intervenire militarmente. Le stesse persone, al variare degli interessi in gioco, passano da combattenti per la libertà a sanguinari terroristi, a seconda che si trovino ad ovest o ad est del confine tra Siria e Iraq».L’Isis? E’ un gruppo integralista sunnita, che si propone l’obiettivo di creare uno Stato islamico, il Califfato, che comprenda i territori di Siria e Iran per portare avanti la jihad contro lo sciitismo. Il terreno fertile per la sua espansione è stato creato dall’intervento militare americano in Iraq del 2003, continua Maggioni: il rovesciamento di Saddam ha causato la caduta di uno dei pochi Stati laici della regione e fatto saltare il delicato equilibrio interno tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita. Nel caos e nell’anarchia seguenti, l’islamismo politico è potuto tornare a operare alla luce del sole, con spazi di manovra di cui prima era privo. «I gruppi islamisti sono riusciti in breve tempo a raccogliere un ampio consenso all’interno delle minoranze etniche sunnite», in un Iraq a maggioranza sciita: «Il che ha portato, dalla caduta di Saddam in poi, all’affermazione di governi guidati da forze politiche sciite, quale quello del presidente Al-Maliki».A partire dal 2011, questo quadro si è incrociato con lo scenario della guerra civile siriana, con in primo piano le infami milizie dell’Isis, un “mostro” «che cresce e si sviluppa grazie al supporto economico, diplomatico e militare di Washington», espandendosi a macchia d’olio in Iraq, «dove si guadagna un consistente supporto tra la popolazione sunnita e inizia una guerriglia contro il governo del presidente Al-Maliki». L’Isis, insiste Maggioni, è funzionale agli interessi americani anche in Iraq: dopo la caduta del sunnita Saddam, il paese si è avvicinato ai correligionari dell’Iran e di conseguenza anche alla Siria, alleato storico di Teheran, «creando negli Usa il timore di perdere la propria influenza sul paese». Basta osservare una cartina geografica per capire che si verrebbe a creare in questo modo un asse sciita filo-iraniano che si estenderebbe con continuità territoriale nel cuore del Medio Oriente, da Teheran fino agli Hezbollah libanesi alle porte di Israele. «Questo scenario è ovviamente inaccettabile per la Casa Bianca».Avendo come obiettivo della sua “guerra santa” l’Iran e gli sciiti, l’Isis fa dunque il gioco degli Usa. E Washington, prosegue Maggioni, vorrebbe rendere controllabile l’Iraq balcanizzandolo in tre aree (sunnita, sciita e curda), come apertamente auspicato dal vicepresidente americano Joe Biden. «Per questo l’Isis è stato lasciato agire fino a mettere alle strette il governo di Al-Maliki». Con la scusa dell’avanzata del Califfato, gli americani hanno potuto rientrare militarmente in Iraq, rimettendo in equilibrio il governo di Baghdad e lo “Stato Islamico”. «Un intervento volutamente tardivo, che se ne ha fermato l’avanzata ha permesso al Califfato di consolidare le posizioni già conquistate». Poi, approfittando del drammatico genocidio delle minoranze da parte del Califfato, gli Usa hanno cominciato a rifornire di armi i curdi Peshmerga, alleati degli americani durante l’invasione del 2003 e animati da intenti secessionisti. «La scelta di bypassare il governo iracheno e fornire armi direttamente ai curdi non è casuale, ma ha lo scopo di creare nella regione una forza armata filoamericana e separatista nei confronti di Baghdad, indebolendo ancora di più la posizione del governo centrale iracheno».Il risultato di tutto ciò, conclude Maggioni, è un Iraq sostanzialmente diviso in tre parti: una frazione sciita, debole e alla mercé degli aiuti militari americani, una regione curda che vada a costituire una sorta di “gendarme” americano locale, e poi il Califfato islamico, «formalmente avversato da Washington ma in realtà tollerato», dal momento che «continua la sua guerra regionale contro due Stati sgraditi agli Usa», cioè Siria e Iran, «facendo il lavoro sporco al posto degli americani». I “bravi ragazzi” dell’Isis potranno funzionare da alibi per consentire agli Usa di intervenire militarmente anche in Siria, dove un anno fa furono fermati dall’opposizione russo-cinese. Intanto, per bocca del proprio leader, il califfo Al-Baghdadi, l’Isis ha già indicato la Cina come “Stato nemico dell’Islam”, promettendo in un prossimo futuro di fornire aiuto ai gruppi islamisti Uighuri dello Xinjiang. «Casualmente – chiosa Maggioni – il principale avversario geopolitico degli Usa rientra tra gli obiettivi degli islamisti», che tra parentesi «durante tutto il periodo dei bombardamenti a Gaza non hanno detto una sola parola contro Israele». Miracoli della geopolitica, sotto il regno di “Barack Osama”.La drammatica e apparentemente inarrestabile ascesa dell’Isis ha riportato l’attenzione mediatica sul martoriato Iraq, caduto nel dimenticatoio dopo il ritiro delle truppe americane. I mezzi di informazione sono prodighi di informazioni nel descrivere le atrocità del Califfato, ma reticenti nel raccontare chi siano i suoi membri e quale sia la sua origine. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria (questo il nome completo) non è una forza apparsa improvvisamente dal nulla, ma il figlio diretto delle politiche dell’imperialismo americano in Medio Oriente che ha le sue radici nel conflitto siriano e nel caos dell’Iraq post-Saddam, ricorda Riccardo Maggioni, secondo cui per capire meglio qual è il ruolo dell’Isis occorre fare un salto indietro di almeno trent’anni, dal momento che l’islamismo politico «è l’alleato oggettivo dell’imperialismo americano nel Medio Oriente» a partire dai lontani anni ‘80, quand’era il pretesto perfetto per consentire agli Usa di intervenire per aiutare i “buoni” e punire i “cattivi”.
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I nemici alle porte: l’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro
Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».La risposta, per lui è chiara: «Per questo l’Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte». Ragionare con i matti, in particolare con quelli paranoici, non è sempre facile, perché richiede che si applichi una regola di buon senso, che si può riassumere così: 1) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore fu colpevole di alcuni omicidi avvenuti nella Belle Epoque londinese, se ne può discutere; 2) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore lanciò la bomba atomica su Hiroshima, ho il diritto di esprimere i miei dubbi, senza per questo diventare necessariamente un difensore del personaggio. Quindi, premetto che la parte antirussa degli ucraini ha tanti validi motivi per non voler restare nella sfera di Mosca, e non ho particolari simpatie per l’attuale governo russo (e nemmeno per altri governi, se è per questo). Però constato che nessuno sta cercando di conquistare né l’Ucraina, né l’Occidente: c’è la parte di ucraini – diciamo un terzo della popolazione – che si sente russa che non ha intenzione di farsi sottomettere o cacciare dalla parte antirussa, e in questo godono del sostegno del governo russo.Il signor Ezio Occidente sappia quindi che i russi non vogliono far abbeverare i loro cavalli nella fontana di San Pietro, al massimo faranno abbeverare le loro Ferrari dai benzinai della Versilia. Per quanto riguarda l’Isis, non si tratta di una «parte del mondo» – come scrive Ezio Occidente – che ha come «nemico definitivo» l’Occidente. Si tratta piuttosto dell’ennesima tegola in testa agli iracheni, da quando hanno scoperto il petrolio da quelle parti. Mettere i fatti in ordine cronologico è istruttivo. A giugno l’Isis si è vantato di aver fucilato in un solo giorno tra 600 e 3.000 prigionieri iracheni (accusati di appartenere al “criminale esercito safavide”, un termine che mette insieme i concetti di sciita e di iraniano) catturati nell’ex-base statunitense di Camp Speicher. Tutto in video, ovviamente; e devo dire che è il video più terrificante che mi sia mai capitato di guardare. Lo so che ogni battaglia della Rivoluzione Messicana finiva con la fucilazione finale dei soldatini-contadini prigionieri; e più o meno lo stesso capitava durante tutti i grandi eventi del Novecento, però questa volta i media non hanno la scusa che non ci sono le immagini.Che cosa ne avrà pensato Ezio Occidente? Vado su Google: Nessun risultato trovato per “camp speicher”, “ezio mauro”. Evidentemente i soldatini sciiti non fanno Occidente Minacciato. Per sostenere il governo che avevano installato in Iraq, e perché una nuova guerra ogni tanto ci vuole, gli Stati Uniti hanno in seguito bombardato alcune basi dell’Isis. Basi, ricordiamo, messe in piedi grazie alla lunga accondiscendenza del governo turco. Infatti, l’Isis è il nemico più agguerrito e capace del governo siriano, un governo da anni ormai sotto sanzioni e minacce di ogni sorta proprio da parte dell’Occidente: lo scorso giugno, Obama ha proposto di dare 500 milioni di dollari per addestrare e armare chi sta combattendo contro il governo siriano. Anche il governo siriano avrà le sue pecche, ma non ha certo mai minacciato l’Occidente. Solo dopo i bombardamenti statunitensi, è avvenuto il video-omicidio del giornalista Sotloff: il decapitatore ha spiegato chiaramente il messaggio: «Un’occasione per avvertire i governi che entrano in questa malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico: si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace». E, rivolto a Obama: «Fintanto che i tuoi missili continueranno a colpire il nostro popolo, i nostri coltelli continueranno a colpire il collo del tuo popolo». Non esiste, insomma, nessun pugnale puntato alla gola dell’Occidente.Non escludo che se l’aeronautica americana bombardasse di nuovo una città controllata dall’Isis, a qualche giovane esaltato potrebbe venire in mente di farsi saltare in aria in un supermercato di Parigi, e sarebbe una cosa sicuramente orribile. Ma il punto è che l’Occidente non salta per un supermercato che chiude (ne hanno chiuso uno dietro casa mia l’altro giorno, e ti assicuro che l’Occidente respira uguale). L’Occidente salterebbe, casomai, se non arrivasse più petrolio. Ma anche lì, non c’è da preoccuparsi. L’Isis, infatti, pare che viva del petrolio che riesce a vendere. Come tutto ciò che riguarda il Medio Oriente, sarà una cifra un po’ a caso, ma qualcuno calcola che l’Isis guadagni tre milioni di dollari al giorno grazie proprio al petrolio (e vendono pure l’energia elettrica prodotta dalla diga di Raqqa, che si sono ben guardati dal danneggiare).Passiamo a guardare la filosofia sottostante alla costruzione di Ezio Occidente. Lui che scrive e il lettore formano un “noi”, unito dal nemico che ci odia perché il nemico è intrinsecamente perverso: odia la libertà, la pace e probabilmente anche i bambini. Questa condivisione paranoica permette di spazzare sotto il tappeto tutto ciò che in realtà “ci” divide, a partire dal fatto che lui ha alle spalle Benetton – e io no, ad esempio. Il nemico viene ingigantito oltre ogni misura: stendiamo un velo pietoso sui disastrati villaggi polverosi da cui il Califfato emana i suoi video, sgozza i suoi sciiti e vende il suo petrolio. Ma anche il Pil di tutta la vasta Russia rimane inferiore a quello della nostra piccola Italia. La comunità paranoica non è mai dichiaratamente aggressiva: il suo motto è dobbiamo difenderci – dagli slavi, dagli sciiti, dagli ebrei, dagli arabi, dai cristiani, dai serbi, dai musulmani, dai neri che violentano le nostre donne, dagli Invasori di Lampedusa, dagli alieni di Zeta Reticuli… Il «bersaglio», scrive il direttore di Repubblica, «è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita».Una difesa da condurre, come scrive in tono sinistro il nostro (ricordiamo che sta parlando di un vertice della Nato, cioè della massima organizzazione armata del pianeta), «con ogni mezzo». Ma dietro le parole difensive, Ezio Occidente si lascia sfuggire un concetto interessante. Egli accusa infatti Putin di voler che si «fermi l’America, delimiti l’Europa». Nessuno osi delimitarci. Anzi, «la democrazia» (ricordiamo che per il nostro autore, i termini “Occidente”, “Ezio Mauro”, “democrazia” e “noi” sono tutti sinonimi perfettamente intercambiabili) ha un «carattere universale che può parlare a ogni latitudine». Che è all’incirca ciò che sostengono alcuni a proposito dell’Islam. I difensori paranoici non sono mai contenti. Lo scarto tra le loro fantasie di trionfo totale e la realtà la attribuiscono in genere a una caduta di morale.Il difensore paranoico vive sempre all’undicesima ora, in cui solo uno scossone potrà risvegliare la Fibra Morale; e quindi cerca avidamente i segni del declino e del pericolo, da agitare confusamente davanti a coloro che vorrebbe appunto risvegliare. E l’articolo di cui parliamo è pieno di preoccupazioni per i dubbi che pervadono un Occidente che invece dovrebbe pensare solo a combattere. Qui non ci piace giocare con la parola fascismo. Però nella sequenza filosofica che abbiamo esposto, credo che troverete la chiave per capire tante caratteristiche di movimenti che i media chiamano neofascisti. La differenza però è sempre quella del vecchio detto su chi rapina una banca e chi la fonda. Ezio Occidente non è Roberto Fiore perché Roberto Fiore non fa il direttore del principale quotidiano italiano.(Miguel Martinez, “L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro”, dal “Kelebekler Blog” del 6 settembre 2014).Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».
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Isis, corsari per la grande guerra Usa: ditelo, alla sinistra
Chi erano i corsari? Mercenari del mare, incaricati di colpire gli avversari della potenza che li aveva ingaggiati: di fatto, a loro toccava il lavoro sporco. Dunque, come definire altrimenti l’attuale Isis, armato dagli Usa attraverso l’Arabia Saudita? Già negli anni ‘80, scrive “Piotr” su “Megachip”, la Rand Corporation aveva previsto che guerre future sarebbero state combattute, sul terreno, da “entità sub-statali”. Cui prodest: «Cosa c’è di meglio per gli Usa che installare nel centro nevralgico dell’Eurasia (già oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di Carter per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski) uno Stato-non-Stato, uno Stato-zombie, un essere-non-essere, un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle spalle la Cina? Difficile pensare a un’arma non convenzionale migliore».L’Isis è «un temibile cuneo piazzato nel bel mezzo dell’Organizzazione di Shanghai», nonché una minaccia verso l’Europa, nel caso il vecchio continente «si mostrasse troppo recalcitrante al progetto neoimperiale statunitense, con annessi e connessi tipo il rapinoso Ttip». Il momento è adesso: l’economia occidentale è in declino, mentre i Brics non hanno ancora le capacità militari per reagire. Scrupoli, da parte di Washington? Escluso: «Il regista Oliver Stone e lo storico Peter Kuznick con molto acume hanno fatto notare che con Hiroshima e Nagasaki gli Usa non solo volevano dimostrare al mondo di essere superpotenti, ma anche – cosa ancor più preoccupante – che non avrebbero avuto alcuno scrupolo nella difesa dei propri interessi: erano pronti a incenerire in massa uomini, donne e bambini». Oggi tocca a libici, siriani, iracheni. Certo, «in Occidente questa strategia rimane incomprensibile ai più», anche se già negli ‘80 alcuni studiosi avevano fatto notare «le connessioni tra crisi sistemica, reaganomics, finanziarizzazione, conflitti geopolitici e la ripresa d’iniziativa neoimperiale degli Usa dopo la sconfitta in Vietnam».All’appello manca, drammaticamente, la sinistra: quella che si era battuta contro il Vietnam, contro le guerre imperiali di Bush e contro la globalizzazione selvaggia, e ora lascia che sia il Papa a parlare di “Terza Guerra Mondiale a zone”, iniziata di fatto con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre. Il movimento no-global era sulla strada giusta, eppure – annota l’analista di “Megachip” – è bastata la crisi finanziaria e «l’elezione santificata» di Obama per accecare milioni di individui, divenuti «passivi o incoscienti della nuova politica imperiale». Tutto “merito” della disinformazione mediatica: Goebbels ha fatto scuola. «Il trucco c’è, si vede benissimo, ma non gliene frega niente a nessuno», sentenzia una vignetta di Altan. Tutti lo vedevano: «La “guerra al terrorismo” non sconfiggeva alcun terrorismo», ma «in compenso distruggeva stati, prima l’Afghanistan poi l’Iraq». E il terrorismo? «Entrava “in sonno” e si rifaceva vivo con alcune necessarie dimostrazioni di esistenza a Madrid e a Londra, nel cuore dell’Europa». Avvertimenti.«Con Obama, gli obiettivi e la strategia si sono progressivamente chiariti», sostiene “Piotr”. «Una volta riorganizzato e potenziato l’esercito corsaro, scattava la nuova offensiva che ha avuto due preludi: il discorso di Obama all’Università del Cairo nel 2009 e le “primavere arabe” iniziate l’anno seguente». Attenzione: «In entrambi i casi, la sinistra ha sfoggiato una strabiliante capacità di non capire nulla. Avendo ormai scisso completamente l’anticapitalismo dall’antimperialismo, la maggior parte del “popolo di sinistra” si faceva avviluppare dalla melassa della coppia buonismo-diritti umanitari (inutile ricordare i campioni italiani di questa pasticceria), elevando ogni bla-bla a concetto e poi a Verbo. Obama dixit. Che bello! Che differenza tra Obama e quel guerrafondaio antimusulmano di Bush! Avete sentito cosa ha detto al Cairo? Nemmeno il più pallido sospetto che l’impero stesse esponendo la nuova dottrina di alleanza con l’Islam politico (alleanza che ha il centro logistico, finanziario e organizzativo nell’Arabia Saudita, il partner più fedele e di più lunga data degli Usa in Medio Oriente)». Peggio ancora con le “primavere arabe”: «Nemmeno a bombardamenti sulla Libia già iniziati la sinistra ha avuto il buon senso di rivedere il proprio entusiasmo per quelle “rivolte”».«Disaccoppiare il capitalismo dall’imperialismo è come pretendere di dissociare l’idrogeno dall’ossigeno e avere ancora acqua», continua “Megachip”. «Si è giunti al punto che un capo di stato maggiore statunitense, il generale Wesley Clark, rivela che Libia e Siria erano già nel 2001 nella lista di obiettivi selezionati dal Pentagono». Ma niente paura: i «sedicenti marxisti» continuino ancora a credere alla fiaba delle “rivolte popolari”. E’ così che, all’alba della Terza Guerra Mondiale, la sinistra «ci arriva totalmente disattrezzata, teoricamente, politicamente e ideologicamente», ancora peggio del “popolo di destra” perché, spesso, apertamente schierata coi guerrafondai. Unico «sprazzo di sereno», nell’estate 2014, l’opposizione di M5S e Sel all’invio di armi ai curdi, per una guerra in cui – come avverte Emergency – a pagare saranno al 90% i civili. E il gioco è più sporco che mai: «Il senatore John McCain, in apparenza battitore libero ma nella realtà executive plenipotenziario della politica di caos terroristico di Obama, si è messo d’accordo sia coi leader del governo regionale curdo in Iraq sia con il Califfo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, già Abu Du’a, già Ibrahim al-Badri, uno dei cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti con una taglia di 10 milioni di dollari».«Così come Mussolini aveva bisogno di un migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative di pace – conclude “Megachip” – gli Usa, l’Isis e i boss curdo-iracheni hanno bisogno di qualche migliaio di morti (civili) da gettare sul palcoscenico della tragedia mediorientale, per portare a termine la tripartizione dell’Iraq e lo scippo delle zone nordorientali della Siria (altro che Siria e Usa uniti contro i terroristi, come scrivono cialtroni superficiali e pennivendoli di regime). Il tutto a beneficio del realismo dello spettacolo». Nel lontano 1979, Brzezinski aveva capito e scritto che il futuro problema degli Stati Uniti era l’Eurasia e che quindi occorreva balcanizzarla, in particolare la Russia e la Cina. All’inizio del secolo scorso, in piena egemonia mondiale dell’impero britannico, il geografo inglese Halford Mackinder scriveva: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland, chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo, chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo». L’indefesso girovagare di McCain tra Ucraina e Medio Oriente non è dunque un caso. Ciò che è cambiato, chiosa “Piotr”, è che «gli Usa hanno capito che non è necessario che siano le proprie truppe a fare tutto il lavoro sporco». Bastano a avanzano i nuovi corsari.Chi erano i corsari? Mercenari del mare, incaricati di colpire gli avversari della potenza che li aveva ingaggiati: di fatto, a loro toccava il lavoro sporco. Dunque, come definire altrimenti l’attuale Isis, armato dagli Usa attraverso l’Arabia Saudita? Già negli anni ‘80, scrive “Piotr” su “Megachip”, la Rand Corporation aveva previsto che guerre future sarebbero state combattute, sul terreno, da “entità sub-statali”. Cui prodest: «Cosa c’è di meglio per gli Usa che installare nel centro nevralgico dell’Eurasia (già oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di Carter per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski) uno Stato-non-Stato, uno Stato-zombie, un essere-non-essere, un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle spalle la Cina? Difficile pensare a un’arma non convenzionale migliore».
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Smith: un nuovo 11 Settembre firmato Isis, cioè Cia
L’Isis è una creatura dell’Occidente al 100%: perché non aspettarsi che siano proprio gli “alleati coperti” del Califfato Islamico a firmare l’eventuale prossimo replay dell’11 Settembre? Se lo domanda Brandon Smith, in una lucida analisi nella quale mette a fuoco la storia recente e recentissima. «Il terrorismo “false flag” architettato dai governi è un fatto storico accertato: per secoli, le élite politiche e finanziarie hanno affondato navi, incendiato edifici, assassinato diplomatici, rimosso leader eletti e fatto saltare la gente per aria, per poi incolpare di questi disastri un conveniente capro espiatorio, così da generare paura nel pubblico e acquisire più potere». Gli scettici potranno discutere se una qualche specifica calamità sia stata o meno un evento terroristico “sotto falsa bandiera”, ma nessuno può negare che queste tattiche, in passato, siano state usate puntualmente, in tutto l’Occidente. «I governi hanno ammesso apertamente di creare tragedie sanguinarie e catalizzatrici con falsi pretesti, come l’Operazione Gladio, un programma false-flag in Europa, supportato dai servizi segreti europei e americani, che durò per decenni, dagli anni ’50 ai ’90».
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Se il mondo esplode, entro un anno supermarket vuoti
«Qualsiasi influenza che l’America dovrebbe lasciare in Iraq dovrebbe focalizzarsi sulla ricostruzione della credibilità delle istituzioni nazionali» (editoriale del “New York Times”). Accidenti, non era per questo che in otto anni abbiamo perso 4.500 uomini e speso un miliardo e settecentomila dollari? E a che è servito tutto questo sforzo? La guerra in Iraq è diventata come il sistema finanziario americano, chi l’ha gestita non è stato capace nemmeno di immaginarsi quanto ci sarebbe costata. Cosa, questa, che dal punto di vista politico ha visto gli Usa che si affannavano a scavare buche ovunque e da ognuna di quelle buche uscivano fuori tanti di quei sorci, che è diventato difficile trovare un pezzo di terra dove si possa stare tranquilli e fermarsi a riposare. Saremo fortunati se la vita degli americani non arriverà a somigliare a quella de “La vendetta degli uomini-talpa”.Tutto l’arco di questa storia tende solo a una probabile conclusione: il giorno terribile in cui l’Isis (abbreviazione di quello che vogliono) prenderà possesso della Green Zone Usa di Baghdad. Non credete che quello sarà uno spettacolo nauseante? Forse avverrà giusto in tempo per le elezioni Usa del 2014. E che cosa pensate si potrà dire alla prima riunione politica nella “war room” della Casa Bianca il giorno dopo (l’elezione del prossimo presidente)? Credete che ci sarà qualcuno che comincerà a spiegare che gli Usa si sono voluti prendere una pausa prima di intraprendere altre operazioni in tutto il Medio Oriente e nella Regione del Nord-Africa? Personalmente raccomandarei di restare dietro le quinte, di non fare niente, di aspettare per vedere cosa succede – perché tutto quello che abbiamo fatto finora ha solo portato distruzione per uomini e cose.Facciamo una ipotesi: l’Isis finisce per consolidare il suo potere in Iraq, Siria, e in qualche altro posto. Nell’intera regione si vivrà una dimostrazione molto colorata di quello che significa vivere sotto un dispotismo psicopatico in stile 11° secolo. A fine dimostrazione la gente – quella che sarà sopravvissuta a un’orgia di decapitazioni e di crocifissioni – potrà decidere se gli piace. Una esperienza che potrebbe chiarire meglio le idee. In ogni caso, quello a cui stiamo assistendo in Medio Oriente – a quanto pare all’insaputa di giornali e telegiornali – è che la maggioranza della popolazione ha ormai ha superato ogni limite: caos, omicidi, collasso dell’economia. La popolazione umana di questo angolo desolato del mondo è vissuta finora grazie ad una alimentazione artificiale dipendente solo dai profitti del petrolio, profitti che hanno permesso ai governi di continuare a far mangiare la gente e a mantenere una classe media artificiale che lavorava in uffici burocratici che non avevano nessun senso, dove nella migliore delle ipotesi non facevano niente, e nel peggiore dei casi vessavano il resto della popolazione con la loro corruzione e richieste di mazzette.Non c’è nessuna nazione sulla terra che si stia preparando con intelligenza per la fine dell’era del petrolio – e con questo intendo: 1) alla fine del petrolio a prezzi bassi, a prezzi accessibili; 2) alla destabilizzazione permanente degli attuali canali di fornitura del petrolio. Entrambe queste condizioni dovrebbero essere ben visibili durante questa evoluzione dinamica della geopolitica, ma nessuno sembra volerlo vedere, o sentire, come ad esempio quel frastuono che arriva dall’Ucraina. Quella nazione irresponsabile, infelice, che vive una situazione tragica per colpa dei burattinai della Ue e degli Usa, che ha appena risposto alle ultime reazioni della Russia alle sanzioni commerciali, dichiarando che potrebbe bloccare le forniture di gas russo verso l’Europa, chiudendo le condotte che passano sul suo territorio. Spero che tutti quelli che abitano oltre Dnepropetrovsk siano pronti a bruciare i mobili di casa a novembre prossimo.Ma queste dichiarazioni insensate riescono solo a dimostrare quanto la situazione sia diventata assolutamente irrazionale… e quanto quello che succede sia sempre più lontano dal quello che penso. La cosa peggiore che potrebbe succedere sarebbe che l’Isis riuscisse a instaurare un Califfato tentacolare, che potrebbe sfuggire loro di mano provocando solo episodi sanguinosi e impressionanti dopo il collasso della società esistente. Cosa che è molto probabile in quella zona che ora si chiama Arabia Saudita, dove vive una classe dirigente sclerotica e aggrappata al potere. Se e quando vedremo arrivare quei maniaci dell’Isis protagonisti di video su YouTube dove fanno rotolare le teste, con quante probabilità i tecnici che oggi lavorano nelle compagnie petrolifere resteranno attaccati al loro posto di lavoro? E allora l’Isis sarebbe capace di svolgere lo stesso lavoro e di usare quegli stessi macchinari? Io non ci conterei.E non conterei nemmeno sul fatto che l’intera catena di fornitura mondiale di petrolio possa continuare a produrre come siamo abituati adesso. Se stiamo cercando dove potrebbe accendersi la scintilla per una Terza Guerra Mondiale, cominciamo a cercare da qui. In ogni caso non è che gli Usa si siano dimostrati meno idioti degli ucraini. Noi ci siamo raccontati la storialla che lo “shale oil” – il petrolio estratto dalle rocce sotterranee frantumate – ci potrà trasformare in un’isola felice, fuori dai conflitti che scoppieranno in tutto il resto del mondo, dopo la dissoluzione del paradigma-economico-del-petrolio. La storiella dello “shale oil” è falsa. Secondo i miei calcoli ci resterà ancora un annetto per continuare a spendere tranquillamente nei supermercati, prima che la gente prenda veramente coscienza del guaio in cui ci troviamo. La cosa sorprendente è la gente comune possa arrivare a capirlo anche prima della sua classe politica. Questa dinamica di pensiero porta direttamente a pensare all’impensabile (non certo per i prossimi 150 anni) crollo degli Stati Uniti.(James Kunstler, “Una scintilla per la Terza Guerra Mondiale”, dal blog di Kunstler del 12 agosto 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).«Qualsiasi influenza che l’America dovrebbe lasciare in Iraq dovrebbe focalizzarsi sulla ricostruzione della credibilità delle istituzioni nazionali» (editoriale del “New York Times”). Accidenti, non era per questo che in otto anni abbiamo perso 4.500 uomini e speso un miliardo e settecentomila dollari? E a che è servito tutto questo sforzo? La guerra in Iraq è diventata come il sistema finanziario americano, chi l’ha gestita non è stato capace nemmeno di immaginarsi quanto ci sarebbe costata. Cosa, questa, che dal punto di vista politico ha visto gli Usa che si affannavano a scavare buche ovunque e da ognuna di quelle buche uscivano fuori tanti di quei sorci, che è diventato difficile trovare un pezzo di terra dove si possa stare tranquilli e fermarsi a riposare. Saremo fortunati se la vita degli americani non arriverà a somigliare a quella de “La vendetta degli uomini-talpa”.
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Renzi chi? Fa solo chiacchiere, a decidere sarà Draghi
Renzi chi? Sicuri che sia adatto a governare, in questa Italia in crisi profonda da ormai sei anni? Se lo domanda Lucia Annunziata, direttrice dell’“Huffington Post”, dando per scontata «la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fan, diventati oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti gentiluomini». Come se il Capo avesse «un dogma di “infallibilità”, una narrativa che passa da trionfo a trionfo, una vulgata del genere “durerà venti anni”, il mantra “a lui non c’è alternativa” ripetuto da amici e ancor più da nemici», in una sorta di sindrome di Fukuyama, l’autore della “fine della storia”, «presto smentito dalla storia stessa». Fuochi d’artificio a parte, un leader «dura tanto quanto è efficace la sua azione di governo». Dove sono i risultati di Renzi? «Il più atteso dei suoi provvedimenti, lo Sblocca Italia», è stato unanimemente giudicato «inferiore alle esigenze della drammatica situazione del paese». E’ vero che il premier «è in sella da soli sei mesi», ma «non è giustificabile la inadeguatezza del metodo con cui il premier si sta confrontando con le reali condizioni del paese».Il primo Consiglio dei ministri d’autunno? «La fotografia di un governo segnato dalla approssimazione amministrativa». Sul suo blog, la Annunziata parla di «vicende incredibili». Esempio: «Surreale il percorso della riforma della scuola. Non c’è nulla di meno serio di un premier che su un argomento così delicato per le famiglie e le decine di migliaia di lavoratori del settore, non lavori insieme al suo ministro; un premier che pochi giorni prima di proporre questa riforma scenda in campo con pirotecniche affermazioni tipo “vi stupirò”, salvo poi ritirare l’intero progetto evidentemente non pronto, con la flebile scusa dell’ingorgo». “Surreale” anche il percorso della riforma del lavoro, «con un ministro, Poletti, che un giorno annuncia, un giorno nega quel che ha detto», a cominciare dal lacerante rebus sull’articolo 18: che ne pensa il governo? «Ma se la voce lavoro è dispersa, la voce giustizia, la più delicata da vent’anni a questa parte, è finita dritta dritta di nuovo nelle secche dello scambio politico, irretita nelle fibrillazioni della maggioranza e delle preoccupazioni di Silvio Berlusconi. Stesso destino per le risorse fresche, i milioni promessi per il rilancio dell’economia, passati da 43 miliardi, oppure 30, altre cifre vaganti, a infine solo a 3,8».Nel complesso, «persino le azioni giuste, che riguardano soprattutto la semplificazione normativa», di fatto «sbiadiscono in rapporto a tutta la retorica dei mesi passati – Renzi, ricordate, è lo stesso leader che solo sei mesi fa accusò il suo predecessore Enrico Letta di usare “il cacciavite” laddove, disse, per cambiare l’Italia ci voleva “una rivoluzione”. Altro che cacciavite: al suo primo incontro con il mondo reale della vita dei cittadini Renzi ha fatto soprattutto manutenzione». La nomina della Mogherini a Lady Pesc? «Sembra segnare invece l’azione internazionale del premier di ben altra caratura di quella mediocre nazionale». Ma, con le tensioni con la Russia in corso, che significato ha la nomina della Mogherini? «A Bruxelles non abbiamo sentito nessun discorso di contenuti accompagnare la nomina», sottolinea la Annunziata. «Non sappiamo oggi più di ieri perché abbiamo chiesto il posto di Lady Pesc. Perché vogliamo creare un nuovo detente contro la Russia, perché temiamo una seconda guerra fredda, perché pensiamo che solo noi italiani possiamo essere un ponte fra russi e Occidente, perché pensiamo che i russi possano aiutarci in Medioriente – o forse sono essenziali solo a noi italiani perché così abbiamo una leva in più in Occidente? Di quale di queste opzioni si tratta?».Esattamente, continua Lucia Annunziata, per cosa ci batteremo sul cosiddetto scacchiere mondiale? «Siamo con Kissinger che chiede di ridefinire tutti gli strumenti di intervento, siamo per definire una nuova frontiera occidentale, siamo per un ribaltamento di alleanze in Medioriente, o per nuovi fronti militari? Siamo per i diritti umani o per la realpolitik? Siamo per bombardare Isis con Assad, e l’Iran, e vogliamo pagare per gli ostaggi, o liberarli impiegando le forze speciali? Insomma cosa pensa Renzi, premier del nuovo mondo? Per ora abbiamo soltanto sentito ripetere la frase “mediazione” a ogni angolo. Speriamo che basti». Ma se non ha parlato di politica estera, Renzi ha però fatto un commento per festeggiare la nomina di Mogherini: «Indica che c’è una nuova generazione al potere». Questa frase, scrive l’Annunziata, «è in fondo il vero cuore della sua identità politica: il raggiungimento del potere. Un potere formale, materiale, riconoscibile in una serie di posizioni per sé e per tutti i suoi associati». E nella piattaforma renziana, «fin dall’inizio, il potere ha un ruolo centrale, sotto forma di rottamazione, annuncio di un ricambio generazionale fatto con maniere decise». Obiettivo «del tutto legittimo», peraltro.Su questa piattaforma «Renzi si è rivelato geniale, e degno erede di quella grande scuola della Dc che ha visto in Andreotti il suo maggior e più pragmatico rappresentante, quello del potere che logora solo chi non ce l’ha». Infatti, «come un treno, ha saputo cogliere le debolezze del suo partito, del sistema burocratico romano, delle classi dirigenti italiane prima e quelle europee dopo. È riuscito a intimidire con insulti alcuni di loro, altri li ha invece piegati con la seduzione della sua energia, altri ancora facendo leva sull’opportunismo di chi ama i vincenti». Una visione del potere «senza gabbie etiche, solo e puramente funzionale». Mai un dubbio, infatti, «sulla natura tattica delle alleanze». Non ha esitato a far fuori Enrico Letta e rilanciare «senza nessuna spiegazione» l’ex arci-nemico del suo stesso partito, Berlusconi. In più, «ha distrutto e rivivificato carriere a seconda dei voti che aveva necessità di raccogliere su questo o quel provvedimento: che la priorità assoluta dei primi sei mesi della sua attività di governo sia stata la riforma del Senato ha senso solo in questo percorso».L’idea è che «il potere si giustifica col potere perché solo il potere autorizza il cambiamento», continua Lucia Annunziata. «Renzi in questo sfoggio di forza ha infatti affascinato e addomesticato quasi il 50 per cento del paese». Ma ora un nuovo problema bussa alla sua porta: «Dopo la conquista, il potere occorre riempirlo di fatti, di idee, di proposte. E su questo Renzi arriva tardi e male. E non solo perché non ha i soldi. Anzi. Arriva tardi e male perché in questi mesi non ha saputo o voluto raccordarsi davvero con il paese, e la sua crisi. Il suo orizzonte è stato il più politicista di tutti i leader più recenti. Proprio perché concentrato sulla presa dei centri di potere. Ma non ha saputo mai spiegare a tutti noi perché si sta sempre peggio, cos’è che non funziona nelle nostre città e come mai l’Italia ha continuato a scivolare verso dati economici negativi». Fateci caso: «Non lo abbiamo visto parlare con nessun poveraccio, salvo i suoi giri veloci e le sue pacche sulle spalle. Ha visitato a mala pena qualche fabbrica, della lunga vicenda della Alcoa non ha preso mai nota, ha fatto i suoi gesti di potere disprezzando Squinzi e i sindacati, ha visto Landini che è “nuovo” e cool ma non sembra avergli parlato a sufficienza da capire che lui e Landini vivono in luoghi diversi».Chi vuol prendere in giro, Renzi? «Parla tanto di quote rosa, ma non parla mai di aborto, di diritti, di bambini uccisi da madri a da padri in depressione. Non ha mai fatto una filippica sull’onestà collettiva, sulla evasione fiscale». In compenso, «abbiamo tante filippiche su gufi, invidiosi e specie altre». Il premier «non ha mai detto una parola sul disagio dei giovani, sul degrado che alcol droga e bassi affitti hanno scatenato questa estate sul nostro territorio nazionale, in compenso fa docce gelate, e prepara una mossa smart via l’altra, un permanente girotondo di discorsi, conferenze stampa, convegni – oggi sappiamo già della conferenza stampa di mercoledì e poi del convegno europeo di venerdì e poi della la visita all’Onu prima anticipata da quella – e dove altro? – alla Sylicon Valley». Ma soprattutto, «sembra non aver mai albergato nella sua testa l’idea che in un paese in gravissima crisi c’è bisogno di un qualche misura speciale. Forse di una idea di unità nazionale che non sia solo il suo patto con Berlusconi e Ncd a fini di raccattare i voti che gli servono». E’ storia: «Roosevelt fece i lavori pubblici, Marshall finanziò la ripresa europea, Mussolini risanò le paludi». E Renzi, che annunciava rivoluzioni epocali? «Ha qualche compito cui tutti noi possiamo concorrere, ha in mente una chiamata alla responsabilità di lavoratori e imprenditori, come in Germania ad esempio, o la ripresa viene automaticamente fuori dal suo inarrestabile presenzialismo?».E ancora: «Si è mai chiesto Renzi perché i suoi 80 euro non hanno funzionato? Dove li ha messi la gente che li ha ricevuti? Sotto il materasso? Ha saldato i debiti pregressi? Nemmeno con quei dieci milioni di italiani che ha concretamente e generosamente aiutato lo abbiamo mai visto parlare». E’ un premier che ci tiene a far sapere che ne infischia dei suoi critici, ma deve sapere che «le cambiali arrivano anche per lui». Alla fine di questa girandola, giunto «al dunque delle misure da decidere per il paese», i tanti suoi progetti «sono poi stati filtrati, messi in ordine e limitati da uomini più saggi e più vecchi di lui». Le sue ambizioni? Si sono scontrate con l’aritmetica del Tesoro, con Napolitano che non s’è prestato a «giochi di illusionismo politico», e soprattutto «con la figura imponente di Mario Draghi diventato ormai il real player politico anche per l’Italia, oltre che per l’Eurozona». Alla fine, spenti i fuochi artificiali, «il Renzi che esce da Palazzo Chigi e naviga nel mondo reale è nei fatti un premier tenuto continuamente a balia da altri», conclude la Annunziata. «Un premier decisamente messo al suo posto di ragazzino. E non solo dalla copertina dell’“Economist”».Renzi chi? Sicuri che sia adatto a governare, in questa Italia in crisi profonda da ormai sei anni? Se lo domanda Lucia Annunziata, direttrice dell’“Huffington Post”, dando per scontata «la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fan, diventati oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti gentiluomini». Come se il Capo avesse «un dogma di “infallibilità”, una narrativa che passa da trionfo a trionfo, una vulgata del genere “durerà venti anni”, il mantra “a lui non c’è alternativa” ripetuto da amici e ancor più da nemici», in una sorta di sindrome di Fukuyama, l’autore della “fine della storia”, «presto smentito dalla storia stessa». Fuochi d’artificio a parte, un leader «dura tanto quanto è efficace la sua azione di governo». Dove sono i risultati di Renzi? «Il più atteso dei suoi provvedimenti, lo Sblocca Italia», è stato unanimemente giudicato «inferiore alle esigenze della drammatica situazione del paese». E’ vero che il premier «è in sella da soli sei mesi», ma «non è giustificabile la inadeguatezza del metodo con cui il premier si sta confrontando con le reali condizioni del paese».